392-396:REGDOC 17-2008.qxd 30-06-2009 19:17 Pagina 392 S anta Sede Facoltà speciali Lettera della Congregazione per il clero «Nell’intento di voler promuovere l’attuazione di quella salus animarum, che è suprema legge della Chiesa, lo scorso 30 gennaio il sommo pontefice ha concesso alla Congregazione per il clero alcune facoltà speciali». Ma «nessuno pensi superficialmente a una sorta di generica semplificazione in materia così delicata. Nessun automatismo, ma vaglio e vaglio rigoroso». Con queste parole (Radio vaticana, «Radiogiornale» del 5.6.2009) mons. Piacenza ha illustrato la lettera che il dicastero di cui è segretario ha inviato ai nunzi lo scorso aprile, e che è stata recentemente resa pubblica negli Stati Uniti. Si tratta della facoltà «di trattare i casi di dimissione dallo stato clericale in poenam … di chierici che abbiano attentato al matrimonio anche solo civilmente e che ammoniti non si ravvedano e continuino nella condotta di vita irregolare e scandalosa»; «di intervenire per infliggere una giusta pena o penitenza per una violazione esterna della legge divina o canonica» e di «dichiarare la perdita dello stato clericale dei chierici che abbiano abbandonato il ministero per un periodo superiore ai 5 anni consecutivi, e che persistano in tale assenza volontaria e illecita dal ministero». I Origins 39(2009) 6, 18.6.2009, 81-86. Nostra traduzione dall’inglese; sottotitoli redazionali. IL REGNO - DOCUMENTI 13/2009 l 30 gennaio scorso il sommo pontefice ha concesso a questa congregazione alcune facoltà speciali. Lo scopo di questa lettera circolare è presentare tali facoltà a tutti gli ordinari, in modo che i ragionamenti che stanno alla loro origine e i fini che essa intende perseguire vengano chiaramente compresi secondo la loro intenzione originaria. La Congregazione è stata indotta a scrivere questa lettera ai rev.mi ordinari in virtù dell’ardente desiderio di onorare la missione e la persona di quei sacerdoti che, fedeli alla loro autentica identità e missione sacerdotale, pensano, operano e vivono secondo modalità antitetiche alla cultura fortemente secolarizzata che caratterizza l’attuale momento storico, nonché di assistere i successori degli apostoli nel quotidiano compito di preservare e promuovere la disciplina ecclesiastica per il bene di tutto l’insieme dei credenti. Configurati a Cristo capo 1. Il sacerdozio ministeriale affonda le sue radici nella successione apostolica ed è compenetrato della sacra potestas,1 che consiste nella facoltà e nella responsabilità di agire in persona Christi, capo e pastore.2 «La dimensione missionaria del presbitero nasce dalla sua configurazione sacramentale a Cristo capo: essa porta con sé, come conseguenza, un’adesione cordiale e totale a quella che la tradizione ecclesiale ha individuato come l’apostolica vivendi forma. Questa consiste nella partecipazione a una “vita nuova” spiritualmente intesa, a quel “nuovo stile di vita” che è stato inaugurato dal Signore Gesù ed è stato fatto proprio dagli apostoli. (…) Certamente, la grande tradizione ecclesiale ha giustamente svincolato l’efficacia sacramentale dalla concreta situazione esistenziale del singolo sacerdote, e così le legittime attese dei fedeli sono adeguatamente salvaguardate. Ma questa giusta precisazione dottrinale nulla toglie alla necessaria, anzi indispensabile, tensione verso la perfezione morale, che deve abitare ogni cuore autenticamente sacerdotale».3 Pertanto, i sacerdoti sono chiamati a prolungare la presenza di Cristo, unico sommo sacerdote, attualizzando il suo stile di vita e rendendolo visibile in mezzo al gregge affidato alla loro cura.4 Questa è la vera origine 392 392-396:REGDOC 17-2008.qxd 30-06-2009 19:17 Pagina 393 della forza di qualsiasi vocazione pastorale, che è costituita dalla testimonianza vivente e coerente della consacrazione, alimentata nella preghiera e nella penitenza. 2. Tutto ciò è particolarmente importante quando si tratta di comprendere le motivazioni teologiche che sostengono il celibato sacerdotale, poiché la volontà della Chiesa a questo proposito trova la sua espressione proprio in quel legame, così conveniente, che esiste tra il celibato e l’ordinazione sacerdotale, per cui il sacerdote è configurato a Gesù Cristo, capo e sposo della Chiesa. La Chiesa, come sposa di Gesù Cristo, vuole essere amata nel modo totale ed esclusivo con cui Gesù Cristo suo capo e sposo l’ha amata. Il celibato sacerdotale, allora, è dono di sé in Cristo e con Cristo alla sua Chiesa ed esprime il servizio del sacerdote alla Chiesa in e con il Signore.5 È certamente per questa ragione che la Chiesa ha riaffermato, al concilio Vaticano II e ripetutamente nel successivo magistero pontificio, la «ferma volontà (…) di mantenere la legge che esige il celibato liberamente scelto e perpetuo per i candidati [presenti e futuri] all’ordinazione sacerdotale nel rito latino».6 Il celibato sacerdotale, così come più in generale il celibato apostolico, è un dono che la Chiesa ha ricevuto e vuole custodire, convinta come è che esso sia un bene per sé stessa e per il mondo.7 A tal fine il canone 277 del Codice di diritto canonico stabilisce: «§ 1. I chierici sono tenuti all’obbligo di osservare la continenza perfetta e perpetua per il regno dei cieli, perciò sono vincolati al celibato, che è un dono particolare di Dio mediante il quale i ministri sacri possono aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e sono messi in grado di dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini. § 2. I chierici si comportino con la dovuta prudenza nei rapporti con persone la cui familiarità può mettere in pericolo l’obbligo della continenza oppure suscitare lo scandalo dei fedeli. § 3. Spetta al vescovo diocesano stabilire norme più precise su questa materia e giudicare sull’osservanza di questo obbligo nei casi particolari». 3. I vescovi hanno, fra l’alto, il dovere di ricordare ai sacerdoti il loro obbligo alla continenza perfetta e perpetua per il regno dei cieli, un obbligo che essi hanno assunto liberamente e volontariamente al momento dell’ordinazione. Inoltre il vescovo deve sempre fare attenzione a che il sacerdote sia fedele nell’adempiere gli obblighi del proprio ministero (cf. cann. 348 e 392). Infatti «i vescovi reggono le Chiese particolari, a loro affidate come vicari e delegati di Cristo, col consiglio, la persuasione, l’esempio, ma anche con l’autorità e la sacra potestà».8 Tra loro e i loro sacerdoti esiste una communio sacramentalis in virtù del sacerdozio ministeriale e gerarchico, che è partecipazione all’unico sacerdozio di Cristo.9 Certamente il vincolo di subordinazione dei sacerdoti con il vescovo riguarda l’ambito dell’esercizio del loro ministero, che devono esercitare in comunione gerarchica col loro vescovo. Il rapporto che intercorre tra il vescovo e i suoi sacerdoti non può, sotto il profilo canonico, essere ridotto né al rapporto di subordinazione gerarchica di diritto pubblico nel sistema giuridico, né al rapporto di lavoro dipendente che intercorre tra datore di lavoro e prestatore d’opera.10 Non è infrequente, presso l’opinione pubblica, incontrare qualcuno che, fraintendendo la relazione sacramentale che intercorre tra il vescovo e il sacerdote, la percepisce erroneamente come simile a quella che sussiste tra un imprenditore e i suoi lavoratori. In una situazione come questa, «poiché deve difendere l’unità della Chiesa universale, il vescovo è tenuto a promuovere la disciplina comune a tutta la Chiesa e perciò a urgere l’osservanza di tutte le leggi ecclesiastiche» (can. 392, § 1), e deve vigilare affinché nella disciplina ecclesiastica non si insinuino abusi (cf. can. 392, § 2). Infatti il vescovo diocesano deve accompagnare i sacerdoti con particolare sollecitudine, assicurandosi che i loro diritti siano tutelati (cf. can. 384). La grande maggioranza dei sacerdoti vive quotidianamente la propria identità sacerdotale con serenità ed esercita fedelmente il proprio ministero, ma «nei casi in cui si verifichino situazioni di scandalo, specie da parte dei ministri della Chiesa, il vescovo deve essere forte e deciso, giusto e sereno nei suoi interventi. In tali deplorevoli casi, il vescovo è tenuto a intervenire prontamente, secondo le norme canoniche stabilite, sia per il bene spirituale delle persone coinvolte, sia per la riparazione dello scandalo, sia per la protezione e l’aiuto alle vittime».11 In un tale contesto anche la pena da ultimo comminata dal vescovo «va vista (…) come strumento di comu- 1 Cf. CONCILIO VATICANO II, cost. dogm. Lumen gentium sulla Chiesa, nn. 10, 18, 27, 28; EV 1/311s.328s.351ss; decr. Presbyterorum ordinis sul ministero e la vita sacerdotale, nn. 2, 6; EV 1/1244ss.1257ss; Catechismo della Chiesa cattolica, nn. 1538, 1576. 2 Cf. GIOVANNI PAOLO II, esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis sulla formazione dei sacerdoti, 25.3.1992, n. 15; EV 13/1229; Catechismo della Chiesa cattolica, n. 875; CONGREGAZIONE PER IL CLERO e altri, istr. interdicasteriale Ecclesiae de mysterio sulla collaborazione dei laici al ministero dei sacerdoti, 15.8.1997; EV 16/671ss. 3 BENEDETTO XVI, Discorso alla plenaria della Congregazione per il clero, 16.3.2009; cf. Regno-doc. 11,2009,379. 4 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Pastores dabo vobis, n. 15; EV 13/1228. 5 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Pastores dabo vobis, n. 29; EV 13/1297. 6 Ivi; EV 13/1296; cf. VATICANO II, Presbyterorum ordinis, n. 16; EV 1/1296ss; PAOLO VI, lett. enc. Sacerdotalis coelibatus sul celibato sacerdotale, 24.6.1967, n. 14, EV 2/1428; Codice di diritto canonico, can. 277, § 1. 7 Cf. CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, 31.3.1994, n. 57; EV 14/842. 8 VATICANO II, Lumen gentium, n. 27; EV 1/351. 9 Cf. VATICANO II, Presbyterorum ordinis, n. 7; EV 1/1264; GIOVANNI PAOLO II, esort. ap. postsinodale Pastores gregis sul vescovo servitore di Gesù Cristo per la speranza del mondo, 16.10.2003, n. 47; EV 22/846. 10 Cf. PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI, nota Elementi per configurare l’ambito di responsabilità canonica del vescovo diocesano nei riguardi dei presbiteri incardinati nella propria diocesi e che esercitano nella medesima il loro ministero, 12.2.2004, in Communicationes 36(2004), 33-38; EV 22/1520ss. 11 CONGREGAZIONE PER I VESCOVI, Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi, 22.2.2004, n. 44; EV 22/1669. La funzione del vescovo IL REGNO - DOCUMENTI 13/2009 393 392-396:REGDOC 17-2008.qxd 30-06-2009 19:17 Pagina 394 S anta Sede nione, cioè come mezzo di recupero di quelle carenze di bene individuale e di bene comune che si sono rivelate nel comportamento antiecclesiale, delittuoso e scandaloso dei membri del popolo di Dio».12 Deve essere ben chiaro, tuttavia, che il sacerdote diocesano, che non è semplicemente l’esecutore passivo degli ordini ricevuti dal vescovo, gode di autonomia decisionale sia nell’esercizio del ministero sia nella sua vita personale e privata. In tal modo egli è personalmente responsabile delle proprie azioni personali e di quelle compiute nell’esercizio del ministero. Di conseguenza il vescovo non può essere ritenuto giuridicamente responsabile delle azioni che il sacerdote diocesano compie in trasgressione delle norme canoniche universali e particolari. Questo principio non è nuovo e ha sempre fatto parte del patrimonio della Chiesa, il che significa, fra l’altro, che l’azione delittuosa compiuta da un sacerdote e le sue conseguenze penali così come qualsiasi eventuale risarcimento di danni vanno imputati al sacerdote che ha commesso il delitto e non al vescovo o alla diocesi di cui il vescovo ha la rappresentanza legale (cf. can. 393).13 4. Si ribadisce che nell’esercitare la funzione giudiziale, il vescovo deve avvalersi dei seguenti criteri generali: «a) Purché ciò non comporti pregiudizio della giustizia, il vescovo deve fare in modo che i fedeli risolvano in maniera pacifica le loro controversie e si riconcilino quanto prima, anche se il processo canonico fosse già iniziato, evitando così le permanenti animosità alle I sette doni dello Spirito Santo I sette doni dello Spirito Santo aiutano a superare le debolezze della natura umana e danno la luce divina per discernere, volere e amare secondo Dio. 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Questo dicastero, con l’intento di promuovere la salus animarum, suprema legge della Chiesa, e di rispondere alle necessità spesso dolorosamente sperimentate da non pochi vescovi nella loro quotidiana responsabilità di governo, ha deciso che fosse opportuno sottoporre le summenzionate facoltà speciali alla considerazione del sovrano pontefice, ed egli lo scorso 30 gennaio ha concesso a questa congregazione: I. La speciale facoltà di trattare e presentare al santo padre, per l’approvazione in forma specifica e la decisione, casi di dimissione dallo stato clericale in poenam, con la dispensa dagli obblighi decorrenti dall’ordinazione, compreso quello del celibato, di chierici che abbiano attentato al matrimonio, anche solo civilmente, e che, essendo stati ammoniti, non si siano ravveduti, persistendo così in una condotta di vita irregolare e scandalosa (cf. can. 1394, § 1); e di chierici colpevoli di gravi peccati contro il sesto precetto del Decalogo (cf. can. 1395, §§ 1-2). II. La speciale facoltà di intervenire, sulla scorta del can. 1399, o assumendo direttamente un caso o confermando le decisioni degli ordinari, quando l’ordinario competente ne abbia fatto richiesta, a motivo della speciale gra- Ludovic Lécuru Edizioni Dehoniane Bologna quali le cause giudiziarie sogliono dar luogo (cf. can. 1446). b) Il vescovo osservi e faccia osservare le norme di procedura stabilite per l’esercizio della potestà giudiziale, poiché sa bene che tali regole, lungi dall’essere un ostacolo meramente formale, sono un mezzo necessario per la verifica dei fatti e il conseguimento della giustizia (cf. cann. 135, § 3 e 391). c) Se ha notizia di comportamenti che nuocciano gravemente al bene comune ecclesiale, il vescovo deve investigare con discrezione, da solo o per mezzo di un delegato, sui fatti e la responsabilità del loro autore (cf. can. 1717). Quando reputi di aver raccolto prove sufficienti dei fatti che hanno dato origine allo scandalo, proceda a riprendere o ammonire formalmente l’interessato (cf. cann. 1339-1340). Ma ove ciò non bastasse per riparare lo scandalo, ristabilire la giustizia e conseguire l’emendazione della persona, il vescovo dia inizio al procedimento per l’imposizione di pene, cosa che potrà fare in due modi (cf. cann. 1341 e 1718): – mediante un regolare processo penale, nel caso in cui, per la gravità della pena, la legge canonica lo esiga o il vescovo lo ritenga più prudente (cf. can. 1721); – mediante un decreto extragiudiziale, conforme al procedimento stabilito nella legge canonica (cf. can. 1720)».14 394 IL REGNO - DOCUMENTI 13/2009 392-396:REGDOC 17-2008.qxd 30-06-2009 19:17 Pagina 395 vità della violazione della legge e della necessità o urgenza di evitare un oggettivo scandalo. Essa viene garantita, in deroga alle prescrizioni dei cann. 1317, 1318, 1342 § 2 e 1349, in riferimento all’applicazione di pene perpetue, applicabili ai diaconi solo per gravi ragioni e ai presbiteri per le ragioni più gravi, sempre a condizione che tali casi siano presentati al santo padre per l’approvazione in forma specifica e per la decisione. III. La speciale facoltà di trattare casi di chierici che, avendo liberamente abbandonato il ministero per un periodo di più di cinque anni consecutivi e che, dopo un’attenta verifica dei fatti per quanto possibile, persistono in tale assenza dal ministero, liberamente scelta e illecita; e di dichiarare in seguito, avendo tenuto conto di tale situazione, la loro dimissione dallo stato clericale, con la dispensa dagli obblighi decorrenti dall’ordinazione, compreso quello del celibato. Qualora si sia in presenza delle necessarie condizioni, se un prelato ritiene opportuno avvalersi delle suddette facoltà, dovrà essere al corrente delle informazioni e procedure che seguono. 6. Questa congregazione ha studiato i casi di quei chierici (presbiteri e diaconi) che: – attentano al matrimonio, anche civilmente, e, essendo stati ammoniti, non si sono ravveduti rispetto a tale condizione ma piuttosto hanno perseverato nella loro condotta irregolare e scandalosa (cf. can. 1394, § 1); – vivono in concubinato e commettono altri gravi delitti contro il sesto precetto del Decalogo (cf. can. 1395, §§ 1-2) e che non dimostrano alcun segno di emendamento della loro condotta, malgrado ripetuti ammonimenti, e neppure mostrano alcuna intenzione di richiedere la dispensa dagli obblighi decorrenti dalla sacra ordinazione. Spesso, in tali casi, la pena della «sospensione» e l’irregolarità, nel senso del can. 1044, § 1, 3°,15 non si sono dimostrate sufficientemente efficaci o idonee alla riparazione dello scandalo suscitato, al ristabilimento della giustizia e all’emendamento del reo (cf. can. 1341). Infatti, solo attraverso la dimissione dallo stato clericale, secondo la norma del can. 292, il chierico perderà anche i relativi diritti e non sarà più vincolato da alcun obbligo decorrente da tale stato. Pertanto, sua santità ha voluto concedere alla Congregazione per il clero le facoltà speciali di: Trattare e presentare al santo padre, per l’approvazione in forma specifica e la decisione, casi di dimissione dallo stato clericale in poenam, con la conseguente dispensa dagli obblighi decorrenti dall’ordinazione, compreso quello del celibato, di chierici che abbiano attentato al matrimonio, anche solo civilmente, e che, essendo stati ammoniti, non si siano ravveduti, persistendo così in una condotta di vita irregolare e scandalosa (cf. can. 1394, § 1); e di chierici colpevoli di gravi peccati contro il sesto precetto del Decalogo (cf. can. 1395, §§ 1-2). Tali casi devono essere istruiti mediante un legittimo processo amministrativo, sempre assicurando il diritto alla difesa. In riferimento alla procedura amministrativa (cf. cann. 35-58, 1342, 1720), tali casi verranno istruiti solo da chierici, e deve essere assicurato che: I. All’imputato venga resa nota l’accusa che pende contro di lui e le relative prove, dandogli modo di produrre una difesa a meno che, essendo stato legittimamente citato, egli si sia rifiutato di rendersi disponibile. II. Sia condotto un attento esame, con l’aiuto di due assessori (cf. can. 1424), di tutte le prove e gli elementi raccolti nonché della difesa presentata dall’imputato. III. Sia prodotto un decreto, secondo le disposizioni dei cann. 1344.1350, se non sussistono dubbi intorno al delitto che è stato commesso, e se l’azione criminale non si è estinta secondo le disposizioni del can. 1362. Il decreto, prodotto a norma dei cann. 35-38, deve contenere le ragioni che l’hanno motivato e deve contenere al suo interno, anche se solo in modo sommario, le ragioni in diritto e in fatto relative a quella particolare situazione. 7. Inoltre, deve sempre essere manifesto che si è in presenza di una situazione nella quale è stata gravemente violata dal chierico la disciplina, e che nessun tentativo di risolvere il problema attraverso le misure pastorali e canoniche previste dal Codice di diritto canonico ha portato a un risultato positivo, e che non si prevede che questa situazione possa avere fine, essendo in tal modo causa di grave scandalo ai fedeli e di danno al bene comune della Chiesa e alla sua missione spirituale. In tali circostanze gli ordinari hanno spesso richiesto alla Sede apostolica un’azione diretta, o hanno domandato che le loro decisioni fossero confermate così da poter trattare tali questioni con maggiore efficacia e autorità, talvolta chiedendo anche l’imposizione di sanzioni perpetue, non esclusa la dimissione dallo stato clericale, quando le particolari circostanze del caso la richiedano. Inoltre, sua santità ha voluto concedere alla Congregazione per il clero la speciale facoltà di intervenire, sulla scorta del can. 1399, o assumendo direttamente un caso o confermando le decisioni degli ordinari, quando l’ordinario competente ne abbia fatto richiesta, a motivo della speciale gravità della violazione della legge e della necessità o urgenza di evitare un oggettivo scandalo. Essa viene garantita, in deroga alle prescrizioni dei cann. 1317, 1318, 1342 § 2 e 1349, in riferimento all’applicazione di pene perpetue, applicabili ai diaconi solo 12 GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Rota romana, 17.2.1979, n. 3, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II 1979/2, 412; Regno-doc. 7,1979,169. 13 Cf. PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI, Elementi per configurare l’ambito di responsabilità canonica del vescovo, in Communicationes 36(2004), 33-38; EV 22/1520ss. 14 CONGREGAZIONE PER I VESCOVI, Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi, n. 68; EV 22/1715ss. 15 Cf. anche PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI, dichiarazione Circa la retta interpretazione del can. 1335, seconda parte, del CIC, 19.5.1997, in Communicationes 29(1997), 17-18; EV 16/541. IL REGNO - DOCUMENTI 13/2009 395 392-396:REGDOC 17-2008.qxd 30-06-2009 19:17 Pagina 396 S anta Sede per gravi ragioni e ai presbiteri per le ragioni più gravi, sempre a condizione che tali casi siano presentati al santo padre per l’approvazione in forma specifica e per la decisione. Questa speciale facoltà di intervenire, secondo la mente del can. 1399, è prevista o quando il dicastero assume direttamente su di sé un caso, o quando conferma le decisioni degli ordinari, ogniqualvolta l’ordinario competente lo richieda, al fine di applicare una giusta pena o penitenza per una violazione esterna della legge divina o canonica. In casi del tutto eccezionali e urgenti, quando il reo non intenda emendarsi, talvolta può essere imposta anche una pena perpetua. Tali casi devono essere istruiti mediante un legittimo processo amministrativo, sempre assicurando il diritto alla difesa. di tali procedure in forma stabile o di volta in volta a un sacerdote idoneo appartenente alla propria o ad altra diocesi. § 3. In questa procedura il promotore di giustizia, che ha il dovere di proteggere il bene comune, deve sempre essere coinvolto. Articolo 3 La dichiarazione di cui all’articolo 1 può essere ottenuta solo dopo che l’ordinario competente, compiute le relative indagini, abbia raggiunto la certezza morale dell’irreversibile abbandono del ministero da parte del chierico, sulla base della dichiarazione del chierico stesso e/o sulla base delle deposizioni di testimoni, di una ben fondata fama pubblica o di altre indicazioni. Articolo 4 Procedure per l’esercizio della terza facoltà 8. Questa congregazione ha esperienza di casi di presbiteri e diaconi che hanno abbandonato il ministero per un tempo ininterrotto e prolungato. In tali casi, dopo che, avendo verificato per quanto possibile le circostanze, la persistenza di tale illecita e volontaria assenza dal ministero è accertata, si è deciso che l’intervento della Santa Sede avrebbe garantito l’ordine nella società ecclesiastica e avrebbe preservato i fedeli dal cadere nell’error communis (cf. can. 144) a proposito della validità dei sacramenti. Pertanto sua santità ha voluto concedere alla Congregazione per il clero la speciale facoltà di: Trattare i casi di chierici che hanno abbandonato il ministero in base a una scelta personale per un periodo di più di cinque anni consecutivi e che, dopo un’attenta verifica dei fatti per quanto possibile, persistono in tale assenza dal ministero, volontaria e illecita; il dicastero, avendo tenuto conto di tale oggettiva situazione, può dichiarare la dimissione dallo stato clericale, con la dispensa dagli obblighi decorrenti dall’ordinazione, compreso quello del celibato, del chierico in questione. Tali casi, anche quelli precedenti alla concessione di questa facoltà, devono essere istruiti secondo le procedure che seguono: Articolo 1 L’ordinario di incardinazione può richiedere un rescritto della Sede apostolica in cui sia dichiarata la dimissione dallo stato clericale, insieme alla relativa dispensa dagli obblighi decorrenti dall’ordinazione, compreso quello del celibato, per un chierico che abbia abbandonato il ministero per un periodo di più di cinque anni consecutivi e che dopo un’attenta verifica dei fatti, per quanto possibile, persista nella volontaria e illecita assenza dal ministero. § 1. L’ordinario competente è quello di incardinazione del chierico. § 2. L’ordinario competente può affidare l’istruzione IL REGNO - DOCUMENTI Articolo 5 L’istruttore, avendo terminato l’istruttoria, trasmetterà tutti gli atti all’ordinario competente corredati da un appropriato sunto, in cui esporrà il suo votum sulla base dei riscontri oggettivi della situazione. Articolo 6 L’ordinario competente trasmetterà alla Sede apostolica tutti gli atti insieme al suo proprio votum e alle osservazioni del promotore di giustizia. Articolo 7 Se secondo il giudizio della Sede apostolica è necessaria un’istruttoria supplementare, ciò verrà riferito all’ordinario competente, insieme alle indicazioni su come completare gli «atti». Articolo 8 Il rescritto di dimissione dallo stato clericale, con la relativa dispensa dagli obblighi decorrenti dai sacri ordini, compreso quello del celibato, viene trasmesso dalla Santa Sede all’ordinario competente, che provvederà a renderlo noto nella maniera più opportuna. 9. Dopo la dimissione dallo stato clericale, in casi eccezionali un chierico che desiderasse chiedere la riabilitazione deve presentare la richiesta alla Sede apostolica per tramite di un vescovo benevolo. È sincero desiderio di questa congregazione che ogni ordinario possa, secondo uno stile realmente paterno e in spirito di carità pastorale, giungere ad assicurare che i suoi più apprezzati collaboratori sappiano vivere la disciplina ecclesiastica come «discepolato», con profonde motivazioni interiori, memori che il quotidiano esercizio del «fare» vale assai poco senza l’«essere in Cristo» come autentica disciplina. Dal Vaticano, 18 aprile 2009. Articolo 2 396 La notificazione di ciascun atto deve essere compiuta attraverso il servizio postale o con altri mezzi sicuri. 13/2009 CLÁUDIO card. HUMMES, prefetto ✠ MAURO PIACENZA, segretario