VERSO NUOVI RIMEDI AMMINISTRATIVI? MODELLI GIUSTIZIALI A CONFRONTO a cura di GIANDOMENICO FALCON BARBARA MARCHETTI 2015 QUADERNI DELLA FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA 13 2015 Al fine di garantire la qualità scientifica della Collana di cui fa parte, il presente volume è stato valutato e approvato da un Referee esterno alla Facoltà a seguito di una procedura che ha garantito trasparenza di criteri valutativi, autonomia dei giudizi, anonimato reciproco del Referee nei confronti di Autori e Curatori. Pubblicazione realizzata nell’ambito del progetto PRIN 2012 (2012SAM3KM) sulla codificazione dei procedimenti dell’Unione europea. PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA © Copyright 2015 by Università degli Studi di Trento Via Calepina 14 - 38122 Trento ISBN 978-88-8443-640-5 ISSN 2284-2810 Libro in Open Access scaricabile gratuitamente dall’archivio IRIS Anagrafe della ricerca (https://iris.unitn.it/) con Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 3.0 Italia License. Maggiori informazioni circa la licenza all’URL: http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/3.0/it/legalcode Il presente volume è pubblicato anche in versione cartacea per i tipi di Editoriale Scientifica – Napoli (ISBN 978-88-6342-820-9). Novembre 2015 VERSO NUOVI RIMEDI AMMINISTRATIVI? MODELLI GIUSTIZIALI A CONFRONTO a cura di Giandomenico Falcon Barbara Marchetti Università degli Studi di Trento 2015 INDICE Pag. Giandomenico Falcon, Barbara Marchetti Presentazione ................................................................................... 1 Luca De Lucia Rimedi amministrativi e rapporto con la tutela giurisdizionale nell’Unione europea ......................................................................... 3 Barbara Marchetti Note sparse sul sistema dei rimedi amministrativi dell’Unione europea ............................................................................................. 23 Roberto Caranta Administrative Tribunals e Courts in Inghilterra (e Galles) ............ 37 Mario P. Chiti La giustizia nell’amministrazione. Il curioso caso degli Administrative Tribunals britannici ............................................................... 49 Cristina Fraenkel-Haeberle Il ripensamento del ricorso amministrativo previo in Germania ..... 59 Diana-Urania Galetta Il ricorso amministrativo previo in Germania in una prospettiva di diritto comparato .......................................................................... 79 Alessandro Pajno I ricorsi amministrativi tradizionali. Una prospettiva non tradizionale............................................................................................... 87 Daniele Corletto I ricorsi amministrativi “tradizionali”: difetti e possibili correttivi ..................................................................................................... 115 Marcello Clarich I ricorsi dinanzi alle autorità amministrative indipendenti .............. 125 INDICE Pag. Michele Giovannini I poteri giustiziali delle autorità indipendenti ................................. 133 Giovanna Ligugnana One Size Doesn’t Fit All. La ricerca della proporzionalità nella risoluzione delle controversie con l’amministrazione ..................... 153 Anna Simonati Giustizia amministrativa e rimedi alternativi: l’esperienza francese .................................................................................................. 179 Cristina Fraenkel-Haeberle La mediazione in Germania tra diritto amministrativo e new public management .............................................................................. 209 Antonio Cassatella Note in tema di transazione e atti a funzione transattiva nel diritto amministrativo ............................................................................. 227 Giandomenico Falcon Conclusioni ...................................................................................... 257 VI PRESENTAZIONE Giandomenico Falcon, Barbara Marchetti Pendono davanti ai Tribunali amministrativi regionali quasi trecentomila ricorsi, e altri venticinquemila procedimenti sono instaurati dinanzi al Consiglio di Stato. Sarà in ragione di questo notevole carico di lavoro e dell’arretrato che esso inevitabilmente genera (oltre che dei costi legati alla proposizione del ricorso dinanzi al giudice), che da tempo si discute anche in Italia di rimedi alternativi al processo, al fine di offrire al cittadino una migliore tutela nei confronti della pubblica amministrazione. Questo volume offre a questa prospettiva il contributo della comparazione; esso volge lo sguardo alle esperienze di alcuni Paesi europei, riflette su potenziali vantaggi e inconvenienti legati all’introduzione di “nuovi” rimedi amministrativi e va alla ricerca dei difetti dei diversi sistemi rimediali alternativi e dei possibili correttivi. A questo scopo, gli studi in esso contenuti esaminano non solo le tecniche di alternative dispute resolution in senso stretto, ma più in generale ogni via stragiudiziale di risoluzione della lite, sia che essa passi attraverso la costruzione di un’amministrazione giustiziale, sia che si concretizzi in strumenti di mediazione, conciliazione o transazione del rapporto controverso. È così esaminato anzitutto il sistema dei ricorsi amministrativi in alcune esperienze nazionali (Germania, Francia e Regno Unito, Italia) e sovranazionali (Unione europea), e sono poi considerati, oltre alle procedure di ricorso dinanzi alle autorità indipendenti, gli istituti della mediazione e della transazione, anche in prospettiva comparata. L’attenzione è rivolta, in particolare, a verificare se le promesse – in termini di flessibilità, specializzazione, celerità, economicità, imparzialità – dei rimedi alternativi siano mantenute o quali ostacoli eventualmente si frappongano a che ciò avvenga. L’indagine tuttavia non è semplice, dacché le esperienze e gli istituti analizzati sono eterogenei e PRESENTAZIONE difficili da comparare, si calano in contesti anche culturalmente assai diversi e presentano punti di forza e di debolezza non corrispondenti. Così per esempio, guardando ai ricorsi amministrativi, la tendenza inglese alla giurisdizionalizzazione degli Administrative Tribunals, divenuti ormai più simili a Corti che a corpi amministrativi, sembra aver trasformato il sistema originario in vista di una maggiore indipendenza del decisore e di una maggiore formalità delle procedure; per altro verso, la sfiducia nella capacità dell’amministrazione di rivedere i propri atti ha spinto i legislatori di diversi Länder tedeschi a ripensare il ricorso amministrativo previo, ritenuto ormai da molti un’inutile perdita di tempo rispetto alla più sicura, imparziale e affidabile via giurisdizionale. Tendenze si trovano poi nell’Unione europea ove si è sviluppato un sistema di vere e proprie Commissioni indipendenti di ricorso aventi una composizione mista tecnico-legale che operano come istanze di ricorso privilegiate (e spesso obbligatorie) per la revisione delle decisioni ad alto contenuto tecnico delle Agenzie. Se poi si torna a guardare all’Italia, si può notare che il nostro sistema, al di là della ritrovata vitalità del ricorso straordinario, dovuta in parte alla sua giurisdizionalizzazione (peraltro non esente da problemi), sembra avere per ora rinunciato ad ogni velleità di riforma dei ricorsi amministrativi “tradizionali”, sviluppando un’amministrazione giustiziale solo in seno alle autorità indipendenti, talora divenute giudici efficienti delle liti tra privati nel proprio settore di regolazione. Il volume incrocia anche, inevitabilmente, l’annosa questione della problematica conciliabilità dei tradizionali meccanismi di alternative dispute resolution con il potere autoritativo dell’amministrazione: qui, proprio il confronto con le altre esperienze europee sembra confermare come la non completa disponibilità delle posizioni controverse induca a impiegare con cautela istituti, quali la mediazione e la conciliazione, che hanno il loro terreno privilegiato di elezione nei rapporti privati. Ne risulta, in sintesi, un quadro complesso e articolato, che tuttavia gli studi raccolti in questo volume possono contribuire, ci sembra, a rendere più chiaro. 2 RIMEDI AMMINISTRATIVI E RAPPORTO CON LA TUTELA GIURISDIZIONALE NELL’UNIONE EUROPEA Luca De Lucia SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. La revisione interna. - 2.1. Norme e caratteri. - 2.2. La revisione interna e l’art. 298 TFUE. - 3. Il ricorso alla Commissione europea contro atti di agenzie europee. - 4. Le commissioni di ricorso delle agenzie europee. - 4.1. Norme e caratteri. - 4.2. Le commissioni di ricorso e l’art. 263, comma 5 TFUE. - 4.3. Ricorsi amministrativi e regime degli atti esecutivi: cenni. - 5. Prospettive di studio. 1. Introduzione L’ordinamento europeo conosce un insieme articolato di strumenti amministrativi finalizzati a offrire tutela ai privati nei confronti delle istituzioni e degli organismi dell’Unione. Si pensi alle attività del Mediatore europeo (art. 228 TFUE)1 o del Garante europeo per la protezione dei dati2 o, ancora, ai reclami intesi a segnalare violazioni del diritto dell’Unione o del Codice di buona condotta3. Alcuni di questi rimedi sono molto utilizzati e in certi contesti l’amministrazione risolve più controversie di quanto non faccia il giudice europeo. Tali tecniche di protezione hanno un’importanza crescente nel sistema, come è dimo1 Per tutti, A. TSADIRAS, The European Ombudsman’s remedial powers: an empirical analysis in context, in European Law Review, 2013, 52 ss. 2 Art. 32 del regolamento (Ce) del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2001 concernente la tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni e degli organismi comunitari, nonchè la libera circolazione di tali dati. Per tutti, H. HIJMANS, The European data protection supervisor: the institutions of the EC controlled by an independent authority, in Common Market Law Review, 2006, 1342 ss. 3 Es. H.C.H. HOFFMANN, G.C. ROWE, A.H. TÜRK, Administrative Law and Policy of the European Union, Oxford, 2011, 436 ss. LUCA DE LUCIA strato dal fatto che il Trattato di Lisbona contiene norme che ad esse, direttamente o indirettamente, si riferiscono. A fronte della complessità del fenomeno, questo contributo ha un oggetto limitato perché si propone di passare in rassegna, alla luce del nuovo Trattato, tre rimedi amministrativi che sono accomunati dai seguenti caratteri: a) sono previsti in una norma derivata; b) terminano con una decisione vincolante; c) il relativo esperimento costituisce condizione di ammissibilità del procedimento giurisdizionale. Più in particolare, si analizzeranno i ricorsi per revisione interna (§ 2), quelli decisi dalla Commissione contro atti di alcune agenzie europee (§ 3) e quelli devoluti a commissioni indipendenti istituite presso agenzie europee per decidere circa determinati atti delle stesse agenzie (§ 4). Infine, si accennerà ad alcune prospettive di studio che questi ultimi procedimenti possono suggerire (§ 5). 2. La revisione interna 2.1. Norme e caratteri Alcune norme derivate disciplinano ricorsi amministrativi da indirizzare al medesimo ufficio che ha emanato la decisione contestata (o un ufficio al primo sovraordinato). In principio, tali rimedi riguardano tutta l’amministrazione europea (ossia le istituzioni e le agenzie). Ad esempio, appartiene a questa categoria il procedimento disciplinato dall’art. 90, comma 2, dello statuto dei funzionari della Comunità4: nel termine di tre mesi, ogni funzionario dell’Unione può presentare all’autorità competente (c.d. “autorità che ha il potere di nomina”) un reclamo contro un atto (o la mancata adozione di un atto) che gli arrechi pregiudizio. L’ufficio interpellato deve comunicare la propria decisione entro quattro mesi dalla presentazione del reclamo; la mancata pronun- 4 Regolamento n. 31 (C.E.E.) e n. 11 (C.E.E.A.) relativo allo statuto dei funzionari e al regime applicabile agli altri agenti della Comunità Economica Europea e della Comunità Europea dell’Energia Atomica. 4 RIMEDI AMMINISTRATIVI E RAPPORTO CON LA TUTELA GIURISDIZIONALE NELL’UE cia in tale termine equivale a “decisione implicita di rigetto”5. L’esperimento di questo rimedio costituisce condizione di ricevibilità del ricorso giurisdizionale (art. 91, comma 2)6. Si può poi ricordare il regolamento n. 1049/01 sull’accesso del pubblico ai documenti delle istituzioni europee7: qualora un’istanza di accesso venga rigettata o rimanga inevasa, l’interessato, nel termine di quindici giorni, può presentare una domanda di conferma all’organo competente (a volte sovraordinato a quello che ha preso la prima decisione), affinché riveda la determinazione iniziale (art. 7); nel caso di conferma totale o parziale del rigetto, l’interessato stesso può rivolgersi al Mediatore o adire il Tribunale (art. 8)8. Infine, va menzionato il regolamento n. 1367/06 di recepimento nell’ordinamento europeo della Convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni in materia ambientale9. Le organizzazioni non governative che abbiano i requisiti stabiliti dall’art. 11 del regolamento cit., entro sei settimane, possono chiedere all’istituzione o all’organo comunitario competente il riesame di un atto amministrativo emanato ai sensi del diritto ambientale o, in caso di presunta omissione, di emanare un atto di tale natura. L’ufficio interessato, entro dodici settimane, deve rispondere per iscritto adducendo le sue motivazioni (art. 10). Anche in questo caso, la proposizione del ricorso è pregiudiziale al procedimento 5 Può essere interessante sottolineare che questa disciplina è in parte simile a quella dei dipendenti di alcune organizzazioni internazionali: es. A. RIDDEL, Administrative Boards, Commissions and Tribunals in International Organizations, in Max Planck Encyclopedia of Public International Law (www.mpepil.com). 6 Per alcune limitazioni a questa regola (es. per le controversie relative ai concorsi), cfr. Corte di giustizia, 26 febbraio 1981, C-34/80 (Authié/Commissione). 7 Regolamento (Ce) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione. 8 In generale, sul diritto di accesso ai documenti delle amministrazioni europee, si vedano C. HARLOW, R. RAWLINGS, Process and Procedure in EU Administration, Oxford-Portland, 2014, cap. 5. 9 Regolamento (Ce) n. 1367/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 settembre 2006 sull’applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale. 5 LUCA DE LUCIA giurisdizionale (art. 12)10. In base agli artt. 2, lett. g) e 10 reg. cit., il ricorso può avere ad oggetto solo atti amministrativi individuali; il Tribunale ha ritenuto questa limitazione in contrasto con l’art. 9 della Convenzione di Aarhus, perché tali reclami dovrebbero poter riguardare tutte le tipologie di atti amministrativi (compresi quelli di portata generale)11. Di recente però la Corte di giustizia ha stabilito che l’art. 9 della Convenzione non può essere invocato come parametro per la valutazione della legittimità dell’articolo 10, paragrafo 1, del reg. n. 1367/2006, il quale quindi, nella sua attuale formulazione, deve essere considerato valido12. Nonostante alcune differenze, queste disposizioni disciplinano rimedi amministrativi idonei a risolvere le dispute in modo rapido, semplice, informale e non costoso13. Adottando concetti elaborati dalla dottrina di common law, si può dire che tali procedimenti sono finalizzati alla promozione dei valori e degli obiettivi stabiliti dalla norma, assicurando nel contempo i diritti dei privati14. Più in particolare, le decisioni oggetto di revisione interna non “stabiliscono in modo definitivo la posizione dell’istituzione” o dell’organismo competente15, ma possono essere modificate dalla stessa amministrazione sulla base delle argomentazioni formulate dalla parte priva10 G.J. HARRYVAN, J.H. JANS, Internal Review of EU Environmental Measures, in Review of European Administrative Law, 2010/2, 53 ss. 11 Tribunale 14 giugno 2012, T-338/08 (Stichting Natuur en Milieu e Pesticide Action Network Europe/Commissione) e 14 giugno 2012, T 396/09 (Vereniging Milieudefensie e Stichting Stop Luchtverontreiniging Utrecht/Commissione). 12 Corte di giustizia, 13 gennaio 2015, C-404/12 P (Consiglio e Commissione/Stichting Natuur en Milieu e Pesticide Action Network Europe). 13 Gli ordinamenti nazionali conoscono procedure di ricorso simili: si pensi, tra gli altri, all’Abhilfeverfahren dell’ordinamento tedesco (art. 72 VwGO), al recours gracieux di quello francese, al ricorso in opposizione e a quello gerarchico dell’ordinamento italiano o all’internal review prevista in alcuni sistemi di common law: per un’analisi comparata, cfr. G. SYDOW, S. NEIDHART, Verwaltungsinterner Rechtsschutz, BadenBaden, 2007, 145 s. 14 P. CANE, Judicial Review in the Age of Tribunals, in Public Law, 2009, 479; ID., Administrative Tribunals and Adjudication, Oxford-Portland, 2009, 21 ss. 15 Tribunale, ordinanza 17 giugno 2010, T-359/09 (Jurašinović/Consiglio), §§ 2631 e sentenza 19 gennaio 2010, T-355/04 (Co-Frutta Soc. Coop/Commissione), § 33. 6 RIMEDI AMMINISTRATIVI E RAPPORTO CON LA TUTELA GIURISDIZIONALE NELL’UE ta16. Il ricorso svolge sì una funzione di tutela per l’interessato, ma essa è recessiva rispetto alla valorizzazione dell’interesse pubblico. Infatti, in materia di funzione pubblica, il giudice europeo ha chiarito che il “reclamo non costituisce un procedimento d’appello, ma ha lo scopo di obbligare l’autorità da cui dipende l’impiegato a riprendere in considerazione la propria decisione alla luce delle eventuali obiezioni di questo”17. Conclusioni sostanzialmente analoghe sono state raggiunte per i ricorsi relativi all’accesso ai documenti18. Per sintetizzare, la revisione interna presenta i seguenti caratteri: la decisione sul ricorso consiste in una riconsiderazione della vicenda sulla base delle osservazioni formulate dal privato, pur restando il frutto di una scelta finalizzata al perseguimento di determinati interessi pubblici; essa è fondata in genere su una procedura informale per agevolare la definizione extragiudiziale della disputa; infine, sono previsti termini di durata del procedimento, decorsi inutilmente i quali l’interessato si può rivolgere al giudice. 2.2. La revisione interna e l’art. 298 TFUE Il Trattato di Lisbona ha apportato novità in questo ambito. L’art. 298, par. 1 TFUE prevede che “nell’assolvere i loro compiti le istituzioni, organi e organismi dell’Unione si basano su un’amministrazione europea aperta, efficace ed indipendente”. Questa norma è di grande importanza da diversi punti di vista19, per limitarsi al nostro tema, essa 16 Es. Corte di giustizia, 21 ottobre 1980, C-101/79 (Vecchioli/Commissione), § 31. Corte di giustizia, C-101/79, cit., § 31. 18 Corte di giustizia, 26 gennaio 2010, C-362/08 P (Internationaler Hilfsfonds/Commissione), § 53. 19 Per tutti, cfr. M.P. CHITI, Lo Spazio amministrativo europeo e D. SORACE, Una nuova base costituzionale europea per la pubblica amministrazione, entrambi in M.P. CHITI, A. NATALINI (a cura di), Lo spazio amministrativo europeo, Bologna, 2012, rispettivamente 19 ss. e 45 ss.; E. NIETO-GARRIDO, Possible Developments of Article 298 TFEU: Towards an Open, Efficient and Independent European Administration, in European Public Law, 2012, 373 ss.; M. RUFFERT, Sub art. 298, in C. CALLIES, M. RUFFERT (a cura di), EUV-AEUV Kommentar, München, 2011; E. NIETO-GARRIDO, I. MARTIN DEL GADO, Derecho administrativo europeo en el Tratado de Lisboa, Madrid-Barcelona-Buenos Aires, 2010, 170 ss. 17 7 LUCA DE LUCIA impone al legislatore di emanare norme idonee ad assicurare l’ottimale perseguimento degli obiettivi fondamentali dell’attività esecutiva, tra i quali l’efficiente attuazione dei programmi normativi. Tale finalità può essere perseguita, ad esempio, prevedendo forme di autocontrollo e di informalità. Più in particolare, l’art. 298 TFUE offre copertura costituzionale alle disposizioni emanate prima del Trattato di Lisbona relative alla revisione interna e verosimilmente intende incoraggiarne l’estensione ad altri ambiti. Questa affermazione è confermata anche dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali20. Infatti, il diritto di ciascuno di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga assunta una decisione pregiudizievole, si può realizzare anche attraverso questo rimedio. Se nell’ambito del riesame l’amministrazione è tenuta a valutare, ai fini dell’adozione della determinazione definitiva, le ulteriori argomentazioni dell’interessato, in tal modo si ha una forma di integrazione della partecipazione che ha anche finalità di garanzia. Inoltre, dall’art. 298 TFUE si possono desumere alcune indicazioni circa il ruolo che questo strumento può avere per l’organizzazione del lavoro burocratico. Ciò è evidente, ad esempio, nel regolamento n. 1049/01. Secondo la Corte di giustizia, la struttura procedurale di questo rimedio “[…] permette di trattare con maggiore prontezza le domande iniziali e, di conseguenza, di rispondere il più sovente possibile alle aspettative del richiedente, permettendo comunque a tale istituzione di adottare una posizione circostanziata prima di rifiutare definitivamente l’accesso ai documenti richiesti dal richiedente”21. La revisione interna può quindi essere funzionale anche a una gestione razionale dell’attività amministrativa, non diversamente da quanto accade in molte esperienze nazionali22. 20 Per tutti, D.-U. GALETTA, Il diritto ad una buona amministrazione europea come fonte di essenziali garanzie procedimentali nei confronti della Pubblica Amministrazione, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 2005, 819 ss. 21 C-362/08 P, cit., §54. 22 In generale, cfr. T.C. ISON, Administrative Justice: Is it Such a Good Idea?, in M. HARRIS, M. PARRINGTON (a cura di), Administrative Justice in the 21st Century, Oxford, 1999, 21 ss. 8 RIMEDI AMMINISTRATIVI E RAPPORTO CON LA TUTELA GIURISDIZIONALE NELL’UE Peraltro questa affermazione della Corte di giustizia potrebbe essere sviluppata nell’ambito di un’eventuale codificazione del procedimento amministrativo europeo, resa oggi possibile proprio grazie all’art. 298 TFUE23. In sede di codificazione il legislatore potrebbe infatti individuare una serie di atti o categorie generali di decisioni, la cui procedura di emanazione sia strutturata in due fasi; nella prima, l’attività amministrativa, in un’ottica manageriale, dovrebbe essere fondata prevalentemente sull’efficiente gestione dei flussi decisionali24; nella seconda, eventuale, si dovrebbe svolgere il riesame delle determinazioni contestate dagli interessati e dovrebbero trovare maggior spazio esigenze di garanzia compresse nella prima fase. 3. Il ricorso alla Commissione europea contro atti di agenzie europee La normativa derivata disciplina poi ricorsi da rivolgere alla Commissione europea contro atti di organi e altri organismi europei. Tali rimedi presuppongono una posizione di sovraordinazione della Commissione stessa rispetto all’agenzia che ha emanato la decisione contestata25. Tale strumento è piuttosto diffuso. Ad esempio, in base all’art. 18 del regolamento n. 337/75, qualsiasi atto, implicito o esplicito, del Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale può, nel termine di quindici giorni, essere deferito alla Commissione da qualsiasi Stato membro, da qualsiasi membro del consiglio di direzione o persona, direttamente e individualmente interessata, al fine di controllarne la legittimità. La Commissione deve assumere una decisione entro un 23 Cfr. per tutti, J. ZILLER, Verso una codificazione del procedimento amministrativo dell’Unione europea, in Lo spazio amministrativo europeo, cit., 217 ss. 24 In termini generali, cfr. M. ADLER, A Socio-Legal Approach to Administrative Justice, in Law & Policy, 2003, 330; in precedenza, J.L. MASHAW, Bureaucratic Justice, New Haven-London, 1983, 22 ss. 25 Tali procedimenti sono, in qualche modo, rapportabili ad alcuni ricorsi gerarchici conosciuti in diversi ordinamenti nazionali: per tutti, G. SYDOW, S. NEIDHART, Verwaltungsinterner Rechtsschutz, cit., 146 ss. e M. FROMONT, Droit administratif des États européens, Paris, 2006, capitolo 3. 9 LUCA DE LUCIA mese; il silenzio protratto oltre tale periodo equivale al rigetto del ricorso. La decisione (o l’inerzia) della Commissione stessa possono essere impugnate innanzi al giudice europeo. Si può ancora ricordare l’art. 122, comma 1 del regolamento n. 207/09 (sul marchio comunitario)26. La norma stabilisce che la Commissione, d’ufficio, può controllare la legittimità degli atti del presidente dell’Ufficio di armonizzazione del mercato unico (non impugnabili innanzi alle commissioni di ricorso: cfr. infra) ed eventualmente esigerne la modifica o la revoca. Il controllo può essere anche attivato su domanda di uno Stato o di un soggetto interessato; la Commissione deve assumere una decisione nel termine di tre mesi; il silenzio della stessa equivale al rigetto dell’istanza. Anche in questo caso, le decisioni (o il silenzio) sul ricorso possono essere sottoposte al giudice comunitario27. In senso analogo dispone l’art. 22 del regolamento n. 58/2003 sulle agenzie esecutive28. Attraverso tali procedimenti, il legislatore, in primo luogo, ha voluto rendere la Commissione responsabile per le attività delle agenzie e, a tal fine, le ha attribuito il compito, oltre che di condurre d’ufficio controlli di legalità sulle relative decisioni, di risolvere le controversie tra esse e soggetti privati (e, a volte, anche amministrazioni statali). In secondo luogo, ha inteso colmare la lacuna – riscontrabile, prima della sentenza “Sogelma” – nella tutela per i privati nei confronti di alcuni organismi europei29: la decisione (o l’inerzia) della Commissione sul 26 Regolamento (Ce) del Consiglio n. 207/2009, del 26 febbraio 2009, sul marchio comunitario. 27 Per un inquadramento generale ed altri riferimenti normativi, cfr. L. DE LUCIA, I ricorsi amministrativi nell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona, in Riv. trim. dir. pubbl., 2013, 355 ss.; J.A. FUENTETAJA PASTOR, Derecho administrativo europeo, Pamplona, 2014, 244 ss.; S. MAGIERA, W. WEIß, Alternative Dispute Resolution Mechanisms in the European Union Law, in D.C. DRAGOS, B. NEAMTU (a cura di), Alternative Dispute Resolution in European Administrative Law, Heidelberg, 2014, 514 ss. 28 Su cui P. CRAIG, Legal Control of Regulatory Bodies: Principle, Policy, and Teleology, in P. BIRKINSHAW, M. VARNEY (a cura di), The European Legal Order After Lisbon, Austin-Boston-Chicago-New York, 2010, 104 ss. 29 Come noto, fino alla sentenza “Sogelma” – Tribunale, 8 ottobre 2008, T-411/96 (Sogelma/AER) – il giudice europeo aveva accolto il principio della non impugnabilità degli atti delle agenzie (quando ciò non fosse previsto in modo espresso dal diritto deri10 RIMEDI AMMINISTRATIVI E RAPPORTO CON LA TUTELA GIURISDIZIONALE NELL’UE ricorso consentiva infatti all’interessato di rivolgersi comunque al giudice comunitario. Nonostante il circolo di discussione sulla Corte di giustizia, istituito nell’ambito della Convenzione europea, abbia espressamente richiamato questo rimedio30, esso ha perso gran parte del suo significato proprio a causa della previsione dell’impugnabilità delle decisioni delle agenzie europee stabilita ora dagli artt. 263, comma 1 e 265, comma 1 TFUE. Del resto, nel corso del tempo, la Commissione non ha voluto utilizzare questo meccanismo (almeno su richiesta dei privati interessati). Ad esempio, a fronte di un ricorso presentato da un dipendente, essa ha sostenuto – invero in modo un po’ apodittico – di non poter svolgere verifiche di legalità su una decisione del presidente dell’UAMI31. In questa situazione, anche per motivi di chiarezza del sistema, sarebbe allora auspicabile un intervento legislativo volto ad abrogare tali disposizioni, prevedendo in alternativa forme di revisione interna o l’istituzione di commissioni di ricorso. vato). Sul precedente orientamento giurisprudenziale, cfr. es. Tribunale, ordinanza 5 dicembre 2007, T-133/03 (Schering-Plough Ltd/Commissione ed EMEA). In dottrina, per tutti, J. SAURER, Individualrechtsschutz gegen das Handeln der Europäischen Agenturen, in Europarecht, 2010, 51 ss.; ID., Der Rechtsschutz gegen Entscheidungen und Fachgutachten der Europäischen Agenturen nach dem Sogelma-Urteil des EuG, in Deutsches Verwaltungsblatt, 2009, 1021 ss. 30 Nella relazione finale del circolo di discussione si legge infatti che “l’atto che istituisce l’agenzia potrebbe peraltro precisare modalità specifiche per l’esercizio del controllo dell’agenzia o dell’organo in questione” (CONV 636/03 del 25 marzo 2003, § 25); nella nota a piè di pagina poi si precisa: “in particolare per quanto concerne la possibilità di riformare un atto impugnato (caso dell’Ufficio dei marchi) accordata alla Corte, o le persone aventi la legittimità attiva per proporre il ricorso (ad es. l’Ufficio dei marchi o l’Ufficio delle varietà vegetali) oppure la necessità di introdurre preliminarmente un ricorso dinanzi alla Commissione, qualora si intenda mantenere questo sistema specifico”. 31 Tribunale, ordinanze 8 giugno 1998, T-148/97 (Keeling/UAMI) e 19 giugno 1997, T-159/97 R (Chaves Fonseca Ferrão/UAMI). 11 LUCA DE LUCIA 4. Le commissioni di ricorso delle agenzie europee 4.1. Norme e caratteri A volte è previsto che contro determinati atti di alcune agenzie europee gli interessati (che talvolta possono essere amministrazioni statali) possono proporre un ricorso ad apposite commissioni incardinate presso le medesime agenzie europee, ma da esse indipendenti32. In prospettiva, questo rimedio dovrebbe costituire il sistema ordinario della tutela amministrativa nei confronti dell’amministrazione “satellitare”33, come è stato ribadito, tra l’altro, dal joint statement on decentralised agencies e dal conseguente common approach del Parlamento, del Consiglio e della Commissione sottoscritto il 12 giugno 2012, che a esso dedica un paragrafo. L’ordinamento europeo conosce numerose tipologie di queste commissioni e configura in modo variegato i relativi poteri. Innanzitutto vanno menzionate quelle istituite presso le agenzie del vecchio “terzo pilastro”: l’autorità di controllo comune di Eurojust34 e l’autorità di controllo comune di Europol35. Esse hanno il compito di assicurare che il trattamento dei dati personali inseriti nelle relative banche dati avvenga nel rispetto della normativa rilevante. A tal fine tali autorità, oltre a esercitare una generale vigilanza sulle attività della rispettiva agenzia, possono anche decidere sui ricorsi presentati dai singoli. Va poi ricordata la commissione amministrativa di riesame, recentemente istituita presso la Banca Centrale Europea e “incaricata di pro- 32 Cfr. L. DE LUCIA, I ricorsi amministrativi, cit., 337 ss.; S. MAGIERA, W. WEIß, Alternative Dispute Resolution Mechanisms, cit., 514 ss. 33 D. CURTIN, Executive Power of the European Union, Oxford, 2009, cap. 6. 34 Art. 23, decisione del Consiglio del 6 marzo 2002, 2002/187/GAI, che istituisce Eurojust per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità. 35 Art. 34, decisione del Consiglio del 6 aprile 2009, 2009/371/GAI, che istituisce l’Ufficio europeo di polizia. Sul che, cfr. C. HARLOW, R. RAWLINGS, Process and Procedure, cit., cap. 11. 12 RIMEDI AMMINISTRATIVI E RAPPORTO CON LA TUTELA GIURISDIZIONALE NELL’UE cedere al riesame amministrativo interno” delle attività di vigilanza bancaria svolta dalla medesima BCE36. Ma soprattutto vi sono le commissioni di ricorso presso agenzie istituite in base al “primo pilastro”, alle quali si rivolge la nostra attenzione. Si tratta, in particolare, delle 5 commissioni di ricorso istituite presso l’Ufficio di armonizzazione del mercato unico (UAMI)37, nonché di quelle incardinate rispettivamente presso l’Ufficio comunitario delle varietà vegetali (UCVV)38, presso l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA)39, presso l’Agenzia europea per la sicurezza aerea (EASA)40, presso l’Agenzia per la cooperazione tra i regolatori nazionali dell’energia (ACER)41, di quella congiunta presso le Autorità euro- 36 Art. 24, regolamento del Consiglio n. 1024/2013 del 15 ottobre 2013, che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi. 37 Artt. 58 ss. e 136, regolamento n. 207/2009 cit.; cfr. anche regole 48 ss. del regolamento (Ce) n. 2868/95 della Commissione, del 13 dicembre 1995, modalità di esecuzione del reg. 40/94, nonché il regolamento (Ce) n. 216/96 della Commissione, del 5 febbraio 1996, che stabilisce il regolamento di procedura delle commissioni di ricorso dell’Uami. 38 Artt. 67 ss. del regolamento (Ce) n. 2100/94 del Consiglio, del 27 luglio 1994, sulla privativa comunitaria per ritrovati vegetali; si veda anche l’art. 11, comma 2, regolamento (Ce) n. 874/2009 della Commissione, del 17 settembre 2009, norme d’esecuzione del regolamento n. 2100/94. 39 Artt. 90 ss. del regolamento (Ce) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, sulla registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche e che istituisce l’Agenzia europea per le sostanze chimiche; si veda anche il regolamento (Ce) n. 771/2008 della Commissione, del 1° agosto 2008, norme sull’organizzazione e la procedura della commissione di ricorso dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche. 40 Artt. 47 ss. del regolamento (Ce) n. 216/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 febbraio 2008, regole comuni nel settore dell’aviazione civile e che istituisce l’Agenzia europea per la sicurezza aerea; si veda anche il regolamento (Ce) n. 104/2004 della Commissione, del 22 gennaio 2004, norme sull’organizzazione e sulla composizione della commissione di ricorso dell’Agenzia europea per la sicurezza aerea. 41 Art. 18 ss. del regolamento (Ce) n. 713/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, che istituisce un’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia. 13 LUCA DE LUCIA pee di vigilanza (ESA)42 e infine di quella presso Comitato per la soluzione delle crisi bancarie43. Nonostante alcune differenze circa la composizione, le procedure e i poteri, queste commissioni di ricorso presentano i seguenti caratteri comuni: 1) in base alle norme istitutive, esse sono indipendenti dagli altri organi delle agenzie presso le quali sono istituite44; 2) a differenza dalle autorità di controllo comune di Europol e di Eurojust, svolgono solo attività di soluzione di controversie: il relativo procedimento decisionale è improntato al principio del contraddittorio tra le parti (di regola, il ricorrente e l’agenzia); 3) possono confermare, modificare la decisione contestata o rinviare la questione al competente organo dell’agenzia. Nei primi due casi, la commissione esprime la posizione definitiva dell’agenzia. Questi organi possono inoltre acquisire, anche d’ufficio, dati ed elementi conoscitivi (secondo le regole stabilite per il primo decisore). Tuttavia, le commissioni istituite presso l’ESA e il Comitato per la risoluzione unica non hanno poteri istruttori e possono solo confermare la decisione contestata o rinviare il caso all’organo competente; 4) posto che esse possono esercitare funzioni del primo decisore, secondo la giurisprudenza (in materia di marchi), le stesse operano in “continuità funzionale” con gli altri organi della rispettiva agenzia45; 5) tali attività hanno quindi natura amministrativa; infatti, secondo la giurisprudenza, le commissioni possono essere qualificate non come “tribunale” (termine questo che ha uno specifico significato co42 Artt. 58 ss. regolamenti 24 novembre 2010, istitutivi rispettivamente dell’Autorità bancaria europea (n. 1093), dell’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (n. 1094) e dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (n. 1095). 43 Art. 85, del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 806/14 del 15 luglio 2014, che fissa norme e una procedura uniformi per la risoluzione degli enti creditizi. 44 Su alcuni problemi a questo riguardo, cfr. A. DAMMANN, Die Beschwerdekammern der Europäischen Agenturen, Frankfurt am Main-Berlin-Bern, 2004, 55 ss. 45 Es. Tribunale, 11 luglio 2006, T-252/04 (Caviar Anzali SAS/UAMI), § 29 ss. 14 RIMEDI AMMINISTRATIVI E RAPPORTO CON LA TUTELA GIURISDIZIONALE NELL’UE stituzionale nei Trattati europei), ma come organi semigiurisdizionali46; in conseguenza, le garanzie per previste le parti non sono del tutto equiparate a quelle tipiche del processo giurisdizionale47; 6) spesso compongono tali organismi non solo giuristi, ma anche esperti della materia di pertinenza dell’agenzia; 7) spesso è previsto che alla presentazione del ricorso segua un procedimento di revisione interna48; inoltre, a volte l’appello produce l’automatica sospensione dell’atto impugnato49, altre volte tale effetto può essere disposto dalla commissione di ricorso (o dall’agenzia). Come è chiaro, l’attività di tali organismi (non diversamente da quella dei giudici) ha la finalità fondamentale di offrire protezione agli interessati. In particolare, le commissioni di ricorso – la cui disciplina in parte richiama quella dell’appeal innanzi ad administrative tribunal di alcuni ordinamenti di common law – sono chiamate a effettuare “una rivalutazione ex novo dell’efficacia legale e sostanziale e dell’accettabilità della decisione originaria…”, potendo – in linea di principio – adottare una determinazione del tutto nuova rispetto a quella impugnata piuttosto che continuare il precedente processo decisionale50. Il fatto che queste commissioni svolgano una funzione semigiurisdizionale non deve però indurre a trascurarne le differenze con il giudice europeo. Infatti, se le prime hanno alcuni poteri più incisivi (es. quelli sostitutivi), il secondo può decidere sulla eccezione di illegittimità di atti di portata generale (art. 277 TFUE) e condannare la parte pubblica al risarcimento del danno subito dal ricorrente (art. 340 TFUE). Si deve infine sottolineare che le commissioni di ricorso non hanno un carico di lavoro comparabile. Dai siti istituzionali risulta infatti che, 46 Tribunale, 18 settembre 2012, T-133/08 (Schräder/OCVV – Hansson), § 37 e 190. 47 Es. Tribunale, 17 marzo 2009, T-171/06 (Laytoncrest/UAMI), § 27. Artt. 61 ss., reg. n. 207/09; art. 70, reg. n. 2100/94; art. 47, reg. n. 216/08; art. 93, reg. n. 1907/06. 49 Art. 58, reg. n. 207/09; art. 67, comma 2, reg. n. 2100/94; art. 91, comma 2, reg. n. 1907/06. 50 Così, in generale, M. HARRIS, The Place of Formal and Informal Review in the Administrative Justice System, in M. HARRIS, M. PARRINGTON (a cura di), Administrative Justice in the 21st Century, cit., 43. 48 15 LUCA DE LUCIA dalla data della rispettiva istituzione, le commissioni dell’UAMI hanno assunto quasi 20.00 decisioni; quella dell’UCVV, 63; quella dell’ECHA, 58 (di cui solo 15 di merito); 4 quelle dell’ESA e dell’AESA. Al momento non hanno deciso alcun ricorso le commissioni dell’ACER e del Comitato per la soluzione delle crisi, che è stato appena istituito51. 4.2. Le commissioni di ricorso e l’art. 263, comma 5 TFUE Questo rimedio trova oggi copertura costituzionale nell’art. 263, comma 5 TFUE52, a mente del quale “gli atti che istituiscono gli organi e organismi dell’Unione possono prevedere condizioni e modalità specifiche relative ai ricorsi proposti da persone fisiche o giuridiche contro atti di detti organi o organismi destinati a produrre effetti giuridici nei loro confronti”. La disposizione potrebbe essere interpretata in modi antitetici. Da un lato essa può essere letta come una sorta di recepimento della giurisprudenza precedente al caso “Sogelma”: per gli atti delle agenzie europee, il legislatore potrebbe cioè prevedere condizioni più restrittive di accesso alla giurisdizione53. Tuttavia, l’art. 263, comma 5 può essere interpretato anche nel senso della pienezza della tutela contro le decisioni di questi organismi. Una serie di elementi dimostra la correttezza di questa seconda lettura54. Del resto, essa è coerente con il Trattato di Lisbona che, innovando sul punto, ha posto il principio della sottoponi51 Dati risultanti al 30 gennaio 2015. Per tutti, R. BARENTS, The Court of Justice after the Treaty of Lisbon, in Common Market Law Review, 2010, 726. 53 Cfr. la precedente nota 29. 54 Si veda, ad esempio, la Comunicazione della Commissione, Inquadramento delle agenzie europee di regolazione, Com(2002) 718 definitivo, dove si afferma che “il rispetto del principio generale di legalità comporta la necessità di prevedere che i terzi interessati possano presentare ricorso al Tribunale di primo grado o, in futuro, ad una sezione giurisdizionale specializzata per richiedere l’annullamento delle decisioni adottate nei confronti di detti terzi dall’agenzia, eventualmente modificate dalle commissioni di ricorso interne, nonché per far constatare l’eventuale carenza dell’agenzia in caso di mancata ed immotivata adozione di una decisione” (14). Si leggano anche i lavori del circolo di discussione sulla Corte di giustizia: per riferimenti cfr. L. DE LUCIA, I ricorsi amministrativi, cit., 347, spec. la nota 104. 52 16 RIMEDI AMMINISTRATIVI E RAPPORTO CON LA TUTELA GIURISDIZIONALE NELL’UE bilità al giudice degli atti delle agenzie europee con destinatari individuali (art. 263, comma 1, ult. frase e art. 265, comma 1, ult. frase TFUE). In sostanza, al fine di assicurare un’effettiva protezione dei diritti, l’art. 263, comma 5 TFUE consente al legislatore di prevedere elementi di differenziazione per quanto riguarda il controllo degli atti delle agenzie europee. Tali regole speciali devono trovare il loro fondamento nei compiti e nel modo di agire di ciascuna agenzia: le commissioni di ricorso rappresentano il più importante strumento di questo adattamento delle tecniche di tutela. Del resto, molte di queste commissioni decidono controversie con forte connotazione tecnica (o scientifica): se in questi casi il giudice europeo si attiene a standard di sindacato piuttosto circoscritti, le commissioni invece possono non solo controllare la legalità degli atti contestati, ma anche esercitare poteri di merito. Attraverso la loro istituzione viene cioè consentita, e in alcuni casi privilegiata, una logica specialistica, che è diversa da quella solo legalistica del giudice (cfr. anche infra)55. Con questo modello viene quindi internalizzata parte dell’attività di tutela dei diritti, per tentare di risolvere nel merito conflitti spesso complessi, evitando “per quanto possibile di rimettere questioni tecniche alla Corte di giustizia”56. 4.3. Ricorsi amministrativi e regime degli atti esecutivi: cenni La breve panoramica che precede chiarisce che le decisioni della Commissione e quelle delle agenzie con destinatari individuali possono essere disciplinate in modo notevolmente diverso. In base all’art. 298 TFUE, gli atti esecutivi della Commissione (e delle altre istituzioni) possono essere sottoposti a forme di revisione interna, ma non a “condizioni e modalità specifiche relative ai ricorsi”: per queste attività non sono (né possono essere) previsti strumenti semigiurisdizionali di tutela dei privati, ma solo rimedi pienamente giuri- 55 In generale, P. CANE, Administrative Tribunals, cit., 125 ss. Rapporto del gruppo di lavoro per il libro bianco sulla governance, gruppo 3a “Establishing a framework for decision-making regulatory agencies” (SG/8597/01-EN), § 72. 56 17 LUCA DE LUCIA sdizionali57. Al contrario, l’art. 263, comma 5 TFUE ammette per gli atti delle agenzie tecniche di controllo più incisive, che tra l’altro finiscono per causare una loro maggiore instabilità. Infatti, come detto, in base ai regolamenti istitutivi, la presentazione del reclamo alla commissione di ricorso, a volte produce l’automatica sospensione dell’atto impugnato58; le commissioni di ricorso possono (direttamente o indirettamente) entrare nel merito della decisione contestata, potendo modificarne il contenuto; talvolta questi atti sono contestabili anche dalle amministrazioni statali59. Infine, molte delle norme menzionate articolano la fase della tutela su quattro livelli: revisione interna, commissione di ricorso, Tribunale, Corte di giustizia60. L’instabilità di tali decisioni è del tutto coerente con la posizione delle agenzie nel sistema istituzionale europeo. Il fatto che il Trattato in varie disposizioni si riferisca a “organi e organismi dell’Unione” (artt. 15, par. 3, 71, 265, 282, 289, 325, TFUE) senza però dettare, ad eccezione dell’art. 263, comma 5 TFUE, una disciplina specifica, significa che è stata accolta l’idea che le agenzie debbano svolgere compiti amministrativi solo “in settori specifici in cui è richiesta una particolare competenza tecnica”, senza poter godere di discrezionalità politica61. Il Trattato ha quindi definitivamente legittimato tali organismi, senza però mettere in discussione la funzione della Commissione di motore dell’esecutivo europeo. Alla limitata legittimazione costituzionale delle agenzie corrisponde quindi un sistema di protezione del privato più garantistico di quello stabilito per le decisioni delle istituzioni in generale e della Commis57 Ovviamente, in base all’art. 257 TFUE, il legislatore potrebbe istituire tribunali specializzati per controversie relative a decisioni della Commissione in specifici settori, ad esempio, in materia di concorrenza. Non potrebbe invece prevedere ricorsi pregiudiziali innanzi a una commissione indipendente incardinata presso la Commissione stessa. Sul che, cfr. per tutti, House of Lords, An EU Competition Court, rapporto del 10 gennaio 2007, n. 15 del 2007, 74 (Q 341). 58 Cfr. la nota 49. 59 Art. 19, reg. n. 713/09 e art. 61, regg. del 2010. 60 Cfr. la precedente nota 48. 61 Cfr. la Comunicazione della Commissione, Il futuro delle agenzie europee, Com (2008) 135 def., 5 e, in generale, la Comunicazione della Commissione, La governance europea, Com (2001) 428 def., 25 ss. 18 RIMEDI AMMINISTRATIVI E RAPPORTO CON LA TUTELA GIURISDIZIONALE NELL’UE sione in particolare. Tale assetto di poteri contribuisce cioè a compensare la carente legittimazione democratica di queste organizzazioni e, nel contempo, a contenerne il ruolo a favore della Commissione. 5. Prospettive di studio Questa breve rassegna dimostra che l’ordinamento europeo, nel tempo, ha elaborato un sistema di tutela amministrativa più articolato di quanto non possa risultare da un’osservazione superficiale. Da un lato vi sono i rimedi che, in base all’art. 298 TFUE, sono finalizzati a migliorare la qualità del processo decisionale delle amministrazioni europee (in vista del perseguimento di obiettivi di interesse generale); rientrano in questo gruppo i ricorsi per revisione interna e, nonostante alcune incertezze, i ricorsi alla Commissione contro decisioni di agenzie62. Dall’altro vi sono rimedi che, in base all’art. 263, comma 5 TFUE, hanno solo finalità protettive per gli interessati; tra essi spiccano quelli gestiti dalle commissioni di ricorso. La disciplina e il funzionamento delle commissioni sono meritevoli di ulteriori approfondimenti teorici, per almeno due ragioni. Innanzitutto perché tali organismi, come detto, rappresentano uno strumento destinato a essere ulteriormente utilizzato dal legislatore, probabilmente in concomitanza con l’accresciuto ruolo delle agenzie nel sistema amministrativo europeo63. In secondo luogo, perché, a causa della loro complessità, le norme di settore e la giurisprudenza (ad oggi relativa in prevalenza all’UAMI e all’UCVV)64 non sono in grado di delinearne una 62 Su tali problemi, cfr. L. DE LUCIA, I ricorsi amministrativi, cit., 355 ss. Si vedano, ad esempio, gli artt. 51-56, della proposta di regolamento relativo all’Agenzia dell’Unione europea per le ferrovie e che abroga il regolamento (Ce) n. 881/2004, Com(2013)27 def. 64 Si veda però Tribunale, 11 dicembre 2014, T-102/13 (Heli-Flight GmbH & Co. KG/Agenzia europea per la sicurezza aerea). 63 19 LUCA DE LUCIA precisa identità funzionale. Ciò dipende essenzialmente dal fatto che le commissioni di ricorso sono al centro di contrapposte tensioni65. La prima tensione è tra attività amministrativa66 e tutela dei diritti. A ciò consegue un’ambigua configurazione delle commissioni stesse, che a sua volta genera una serie di problemi di natura teorica e pratica quali, tra gli altri, la necessità di individuare un corretto equilibrio tra i relativi poteri d’ufficio (connessi alla natura pienamente devolutiva del ricorso) e il ruolo propulsivo (e dispositivo) della parte che avvia il procedimento67; la necessità di individuare limiti chiari ai poteri sostitutivi e correttivi che esse hanno a disposizione (es. limiti derivanti dalla struttura istituzionale e dal processo decisionale dell’agenzia di riferimento). La seconda tensione, che in parte si sovrappone alla precedente, è tra razionalità legale e razionalità specialistica. Come detto, delle commissioni di ricorso spesso fanno parte (a volte in forma maggioritaria, a volte in forma minoritaria) esperti (non giuristi) nel settore di competenza della singola agenzia. La composizione di tali organismi si riflette inevitabilmente sul processo decisionale, che, a seconda della singola disciplina, può essere maggiormente orientato a una logica giuridica o a una logica specialistica68. Il che ovviamente ridonda sulla tipologia e l’intensità del controllo sulle scelte tecniche effettuate dal primo decisore. È quindi evidente che il valore aggiunto che tali organismi possono apportare ai meccanismi di tutela giurisdizionale risiede nel raggiungimento di un equilibrio meditato tra queste diverse forze, che in parte deriva dalla peculiarità dei singoli settori. I fattori costitutivi dell’identità funzionale delle commissioni di ricorso sono dunque numerosi e dipendono, tra l’altro, da come esse stesse interpretano il loro ruolo e da cosa i ricorrenti chiedono loro: se le intendono come una sorta di giudi65 Su questi aspetti, si vedano P. CHIRULLI, L. DE LUCIA, Specialized Adjudication and Coherence of the EU System of Protection of Rights. The Boards of Appeal of EU Agencies, in corso di pubblicazione in European Law Review. 66 Si ricordi il principio di “continuità funzionale” elaborato dalla giurisprudenza: vedi la nota 46. 67 Cfr. es. le conclusioni in C-546/12 P (Schräder/UCVV), § 52 ss. 68 Es. P. CANE, Administrative Tribunals, cit., 124 ss.; in diversa prospettiva, cfr. J. THIBAUT, L. WALKER, A Theory of Procedure, in California Law Review, 1978, 541 ss. 20 RIMEDI AMMINISTRATIVI E RAPPORTO CON LA TUTELA GIURISDIZIONALE NELL’UE ce amministrativo al quale sottoporre motivi d’illegittimità della decisione contestata, oppure come istanza per ottenere una decisione “corretta” nel merito. Inoltre, come insegnano altre esperienze, almeno in principio, la tutela dei diritti improntata a razionalità specialistica può sollevare problemi di coerenza e di frammentazione del sistema complessivo di protezione dei privati69. Per questa ragione, se questo strumento si consoliderà ulteriormente (come sembra probabile), andrà affrontato anche il tema del coordinamento tra attività delle commissioni di ricorso e quella del giudice europeo – tema ad oggi disciplinato in via normativa solo limitatamente all’UAMI e all’UCVV70 – e quello della stessa architettura complessiva del sistema giudiziario europeo71. Insomma, questo istituto solleva moltissimi interrogativi, ai quali probabilmente non si potrà rispondere considerando solo la normativa settoriale che regola ciascuna agenzia. Non si potrà infatti prescindere anche dall’osservazione delle commissioni di ricorso “in azione”, dall’analisi delle questioni che esse risolvono e dalle strategie decisionali e argomentative che esse adottano. Solo in tal modo si potrà avere una visione realistica della “giustizia amministrativa” in Europa. 69 In generale, cfr. per tutti C.M. OLDFATHER, Judging, Expertise and The rule of Law, in Washington Univ. Law Rev., 2012, 848 ss.; A. LEGOMSKY, Specialized Justice, Oxford, 1990, 12 ss. 70 Cfr. art. 135, reg. procedura del Tribunale. 71 Di recente sul punto A. MEIJ, Courts in transition: Administration of justice and how to organize it, in Common Market Law Review, 2013, 3 ss. 21 NOTE SPARSE SUL SISTEMA DEI RIMEDI AMMINISTRATIVI DELL’UNIONE EUROPEA Barbara Marchetti SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. La disomogeneità della disciplina: un sistema rimediale a macchie di leopardo. - 3. La composizione degli organi chiamati a decidere il ricorso e le norme procedurali. - 4. Il rapporto tra rimedi amministrativi e tutela giurisdizionale. - 5. Qualche riflessione finale. 1. Introduzione Come abbiamo sentito dalla relazione di Luca De Lucia, l’Unione europea non ha esitato a sviluppare, in seno alle Istituzioni e agli organismi europei investiti di compiti amministrativi, un’amministrazione di natura giustiziale. Ciò è avvenuto con la previsione di meccanismi di revisione e di appeal sia all’interno della Commissione, che, più tardi, nell’ambito delle agenzie esecutive e delle agenzie europee, ed ha riguardato sia ambiti trasversali di azione (pubblico impiego, accesso ai documenti), sia i compiti, strumentali e finali svolti dalle agenzie (dall’Ufficio per il Marchio comunitario, all’Agenzia per la sicurezza aerea, dall’Ufficio per le varietà vegetali all’Agenzia per i medicinali, dall’Autorità di vigilanza per il settore finanziario all’ACER, l’Agenzia per la cooperazione dei regolatori dell’energia). Alla luce di tali sviluppi, vorrei svolgere in questo breve intervento tre ordini di considerazioni: il primo riguarda, in generale, la frammentarietà e la disomogeneità della disciplina Ue che li contempla; il secondo concerne la composizione degli organi decisori e le norme procedurali applicabili alle procedure di ricorso, anche alla luce del modello di common law da cui traggono ispirazione; e il terzo profilo riguarda il rapporto tra i rimedi amministrativi e la tutela giurisdizionale dinanzi alle Corti dell’Ue. BARBARA MARCHETTI 2. La disomogeneità della disciplina: un sistema rimediale a macchie di leopardo In termini generali, come visto, possono individuarsi due distinte vie di ricorso interne all’amministrazione; la prima, che possiamo chiamare di revisione amministrativa in senso stretto, è costituita da una sorta di seconda camera di esercizio della scelta da parte dell’autorità; la seconda, di appeal vero e proprio, affidata invece ad organismi imparziali e distinti dall’amministrazione attiva, implica la revisione, in fatto e in diritto, di decisioni precedentemente adottate alla luce delle ragioni avanzate dal ricorrente (con un’accentuazione dunque del profilo giustiziale)1. La procedura di revisione amministrativa può presentarsi come unica occasione di ripensamento della decisione: è il caso, ad esempio, della procedura di revisione nei confronti del parere emanato dal Comitato per i medicinali2. Oppure essa può essere prevista come eventualità all’interno di una procedura di appeal, ponendosi come interlocutory revision, ovvero come possibile revisione amministrativa della decisione contestata suscettibile di intervenire a seguito della proposizione del ricorso ma prima che questo venga deciso dall’apposita Commissione: è quanto si stabilisce, ad esempio, per l’Ufficio per le Varietà vegetali, per l’Agenzia per la sicurezza aerea e per l’Agenzia per le sostanze chimiche, in cui l’organo che ha emanato l’atto (o in alternativa l’Executive Director dell’Agenzia) può correggere la decisione contestata entro un mese dal deposito dell’appeal. In queste ipotesi, è chiaro l’intento del legislatore: consentire all’organo amministrativo autore della decisione (o a un suo superiore) di ponderare attentamente (anche alla luce degli argomenti sollevati dal privato) l’opportunità di mantenere in vita l’atto oppure di modificarlo, nell’interesse dell’amministrazione stessa e prima dell’intervento della Commissione di ricorso. Il modo in cui le procedure di ricorso sono previste all’interno dell’amministrazione europea, la loro combinazione e il loro rapporto con 1 L. DE LUCIA, I ricorsi amministrativi nell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona, in Riv. trim. dir. pubbl., 2013, 2, 323. 2 Art. 9 reg. 726/04. 24 NOTE SPARSE SUL SISTEMA DEI RIMEDI AMMINISTRATIVI DELL’UNIONE EUROPEA la via giurisdizionale non rispondono a una logica unitaria. Le stesse procedure di appeal previste all’interno delle agenzie, presentano per esempio struttura e regole procedurali assai differenziate da caso a caso. Se esaminiamo i regolamenti istitutivi delle agenzie europee abbiamo così l’impressione di uno sviluppo stratificato nel tempo, segnato da una disciplina normativa inizialmente molto scarna e solo di recente generosa e articolata. Di seguito alcune esemplificazioni. In alcune agenzie che esercitano solo poteri strumentali (raccolta dati e attività consultiva a favore della Commissione) non sono date procedure di ricorso interne, né di revisione amministrativa, né di appeal vero e proprio: ad esempio ciò vale per l’Agenzia per la sicurezza marittima, per l’Agenzia per le informazioni sulla sicurezza e per l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (reg. n. 178 del 2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare). In altre agenzie, sempre volte all’adozione di atti meramente strumentali, rimedi di carattere interno (volti ad una revisione di merito e di legittimità) sono invece previsti. Ad esempio ciò vale per l’Agenzia per i medicinali, in cui è prevista la procedura di re-examination del parere vista sopra (art. 9 cit.); e anche per l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute del lavoro (art. 22 reg. n. 2062 del 1994). Per altre ancora, una procedura di contestazione degli atti è stata istituita, ma può essere attivata solo per vizi di legittimità: è il caso del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, istituito con il regolamento n. 851/2004, il quale prevede per tale verifica il ricorso alla Commissione. Le agenzie che esercitano poteri finali prevedono per lo più rimedi interni per la revisione degli atti sia in fatto che in diritto. Li prevedono l’Ufficio per il marchio comunitario (UAMI), l’Ufficio per le varietà vegetali, e anche l’Agenzia per la sicurezza aerea (art. 40 e ss. reg. 216/2008 di modifica del regolamento n. 1592 del 2002), così come l’ACER e le autorità di vigilanza finanziaria (reg. 1093/2010). Le procedure di appeal, poi, possono essere o meno obbligatorie ai fini della proposizione del ricorso alla Corte di giustizia UE. Qualche volta, l’esperimento del rimedio interno può costituire condizione necessaria 25 BARBARA MARCHETTI per la proposizione dell’azione giurisdizionale solo per taluni soggetti e non per altri. L’Agenzia per la sicurezza aerea, per esempio, ammette la revisione delle proprie decisioni di carattere individuale dinanzi ad un’apposita commissione di ricorso, e stabilisce espressamente che l’esperimento di tali rimedi sia condizione di ammissibilità del ricorso giurisdizionale per i ricorrenti non privilegiati (persone fisiche e giuridiche). Mentre la medesima preclusione non si applica agli Stati e alle Istituzioni, che possono ricorrere in via diretta alla Corte di giustizia dell’Ue (reg. n. 216/2008). Inoltre, per questa stessa Agenzia, solo l’attività finale è soggetta a procedure interne di revisione: non lo è, ad esempio, l’attività consultiva svolta a favore della Commissione (art. 18 reg. 216/2008), per la quale non sono ammessi rimedi interni, nemmeno di revisione amministrativa. Non sono previste – invece – procedure di revisione o di appeal per l’attività finale svolta direttamente dalla Commissione. Nel settore degli aiuti di Stato, in cui la Commissione esercita i propri poteri di indagine e di sanzione, non sono previsti rimedi interni: né rispetto alle decisioni previste dall’art. 6 b del reg. 734/2013 (di modifica del regolamento 659/99) che stabilisce sanzioni, né rispetto ai periodic penalty payments nei confronti dei soggetti interessati che non hanno fornito alla Commissione le informazioni richieste. Per questi atti, tuttavia, è previsto un ricorso alla Corte di giustizia UE esteso al merito, con potere del giudice di modifica o sostituzione della decisione impugnata. Anche rispetto alle decisioni finali (negative e positive) adottate dalla Commissione circa la compatibilità o meno di un aiuto (art. 7 reg. 659/99), così come nei confronti della revoca di una precedente decisione di compatibilità (art. 9), o delle decisioni cautelari adottate nei confronti degli Stati membri per sospendere o recuperare provvisoriamente un aiuto illegittimamente concesso (art. 11) non sono date vie di revisione o di appeal interne: peraltro, anche in questo caso, il sindacato del giudice comunitario è esteso al merito della decisione, e può condurre a modifiche o sostituzione della stessa. 26 NOTE SPARSE SUL SISTEMA DEI RIMEDI AMMINISTRATIVI DELL’UNIONE EUROPEA Lo stesso vale per le decisioni finali adottate dalla Commissione in materia di concorrenza, per le quali non sono stabilite procedure di appeal o di revisione interne. Da rilevare, tuttavia, che anche per le sanzioni antitrust adottate dalla Commissione è previsto – come noto – un sindacato esteso al merito (dunque anche sostitutivo) della Corte di giustizia. Diverso ancora è l’esito della ricerca se si guarda all’attività strumentale compiuta dagli uffici delle direzioni generali della Commissione: qui sono spesso previste procedure di revisione o di appeal interne per gli atti informativi degli uffici della Commissione: è il caso ad esempio della procedura di revisione esperibile dinanzi al segretario generale della Direzione sicurezza alimentare in relazione alle informazioni raccolte nel procedimento di autorizzazione all’immissione in commercio di prodotti alimentari. Procedure di appello sono poi previste – per così dire trasversalmente – sia a tutela del diritto di accesso, che in materia di pubblico impiego, dove la proposizione di un ricorso al Tribunale della funzione pubblica richiede il previo esperimento della «prelitigation administrative procedure»3. Il panorama dei rimedi appare dunque disomogeneo e mancante di una logica comune. Tuttavia va rilevato il crescente interesse del legislatore europeo per le procedure amministrative contenziose: esse del resto appaiono più flessibili ed economiche, anche in termini di tempo, rispetto a quelle giurisdizionali, e presentano il vantaggio della specializzazione, un elemento che non può essere sottovalutato per un’amministrazione, quella europea, caratterizzata da compiti di elevato grado tecnico. Dunque sembra riconoscibile nell’amministrazione europea un tratto che è tipico delle amministrazioni degli ordinamenti di common law (Stati Uniti, Regno Unito, Australia): la previsione, cioè, di una funzione di revisione delle decisioni nel merito, quasi sempre sommata ad un controllo interno anche di legittimità affidato quest’ultimo ad organi 3 Art. 91 (2) Regolamento del Consiglio n. 31 del 18 dicembre 1961; sul punto cfr. S. MAGIERA, W. WEIß, Alternative Dispute Resolution Mechanisms in the European Union Law, in D.C. DRAGO, B. NEAMTU (eds.), Alternative Dispute Resolution in European Administrative Law, Berlin-Heideberg, 2014, 489. 27 BARBARA MARCHETTI collegiali dell’amministrazione ispirati a logiche di imparzialità e di specializzazione4. 3. La composizione degli organi chiamati a decidere il ricorso e le norme procedurali Le discipline di settore prevedono norme sia sulla composizione delle Commissioni e sulla loro indipendenza (garantita in diversa misura), sia sulle procedure che si svolgono dinanzi ad esse. In qualche caso, la disciplina è piuttosto scarna (ad es. è il caso delle commissioni di ricorso dell’Agenzia per la sicurezza aerea), in altri casi (ad es. per le commissioni di ricorso dell’Agenzia per le sostanze chimiche, per l’Ufficio per il marchio comunitario) esistono norme di dettaglio sia per quanto concerne la composizione delle Commissioni e la loro necessaria composizione mista tecnico-giuridica (regolamento 1238/2007) sia per quanto riguarda le norme procedurali applicabili dinanzi ad essa (regolamento 771/2008; reg. 874/2009; reg. 207/2009). Generalmente, gli organismi amministrativi di appello previsti dalla normativa di settore sono collegiali (formati per lo più da tre membri) e rispecchiano – nella loro composizione – una componente tecnica e una componente giuridica, ciò che li rende idonei a garantire sia una possibile revisione nel merito (con decisione spesso sostitutiva), sia una revisione di legittimità. Ciò testimonia la scelta di un modello di revisione che non è solo tecnico-fattuale (tale è ad esempio quello Australiano) ma appunto misto (questions of fact e questions of law), suscettibile di richiamare il modello inglese dei Boards, confluito poi nell’esperienza degli Administrative Tribunals. Per garantire questa revisione gli organi devono essere indipendenti e imparziali (per essere credibili come vie di tutela), ma, al tempo stes4 Cfr. P. CANE, Judicial review and merits review: comparing administrative adjudication by courts and tribunals, in S. ROSE-ACKERMAN, P. LINDSETH, Comparative Administrative Law, Research Handbooks in Comparative Law, Edward Elgar, 2010, 426 e ss.; P. CANE, Administrative Tribunals and Adjudication, Oxford, 2009. L’influenza del modello anglo-americano è sottolineata da L. DE LUCIA, I ricorsi amministrativi nell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona, cit., 342. 28 NOTE SPARSE SUL SISTEMA DEI RIMEDI AMMINISTRATIVI DELL’UNIONE EUROPEA so, distinguersi da una Corte, dovendosi porre in linea di continuità funzionale rispetto all’agenzia. Essi si collocano quindi, sul piano funzionale, a metà strada tra l’amministrazione e la giurisdizione. Il profilo dell’indipendenza appare particolarmente rilevante: il paragrafo 21 dell’Orientamento comune di Parlamento, Consiglio e Commissione sul ruolo e la collocazione delle Agenzie nello scenario istituzionale dell’Unione, datato 7 giugno 2012, afferma che “l’imparzialità e l’indipendenza dei membri delle Commissioni dovrebbero continuare ad essere garantite sulla base di criteri trasparenti e oggettivamente verificabili definiti dalle agenzie. In tale contesto, il reclutamento dei membri delle commissioni di ricorso tra il personale dell’agenzia e/o i componenti del consiglio di amministrazione dell’agenzia andrebbe affrontato con grande prudenza e non dovrebbe mettere in discussione i summenzionati principi di imparzialità e indipendenza”. Presa alla lettera, questa linea guida implica che il reclutamento dei componenti delle Commissioni, pure attento al profilo della specializzazione, dovrebbe avvenire preferibilmente all’esterno dell’Agenzia. Dal punto di vista procedurale, i tratti di questi ricorsi possono variare sensibilmente: i termini di presentazione dell’istanza sono generalmente di due mesi (cui spesso si aggiungono altri due mesi per depositare le ragioni del ricorso), ma i poteri di decisione possono variare da caso a caso, comprendendo sia l’annullamento con rinvio, che l’adozione da parte dell’organo di appeal della decisione sostitutiva. Inoltre in qualche ipotesi il ricorso ha effetto sospensivo, in qualche altro caso la sospensione della decisione contestata può seguire solo ad una specifica decisione da parte dell’organo giudicante5. Molti elementi procedurali, poi, non sono disciplinati dai regolamenti istitutivi delle agenzie, sicché le norme in materia di tutela cautelare, di istruttoria, di mezzi di prova, di regime linguistico, di intervento dei terzi e di termini devono essere disegnate dall’Agenzia stessa (con regolamento interno) o dalla stessa Commissione di ricorso, la quale costruisce così le regole procedurali che fanno da cornice alla propria attività decisoria. 5 S. MAGIERA, W. WEIß, Alternative Dispute Resolution Mechanisms in the European Union Law, cit., 520. 29 BARBARA MARCHETTI Nella costruzione delle proprie norme procedurali, potranno rilevare sia i principi generali ricavabili dal sistema sia discipline procedurali specifiche dettate per altre agenzie europee. In qualche caso, come nell’ipotesi dell’Ufficio per l’armonizzazione del marchio comunitario, è stabilito che eventuali lacune delle norme procedurali dettate dal regolamento potranno essere colmate facendo ricorso ai principi di diritto processuale generalmente riconosciuti negli ordinamenti degli Stati membri (art. 83 reg. 207/2009, che istituisce le Commissioni di ricorso presso l’UAMI)6. In ogni caso, le norme procedurali così formate dovranno resistere al vaglio della Corte di giustizia, la quale potrà fare riferimento ai principi generali dell’ordinamento comunitario per effettuarne il sindacato, anche alla luce del diritto a una buona amministrazione quale è ora consacrato nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. 4. Il rapporto tra rimedi amministrativi e tutela giurisdizionale Il terzo aspetto cui si dedica qualche riflessione in questa sede riguarda il rapporto tra i ricorsi amministrativi e la tutela giurisdizionale dinanzi alla Corte di giustizia. In particolare, nel caso in cui un ricorso amministrativo (di revisione amministrativa o di appeal) sia previsto, occorre chiedersi in che misura la sua attivazione costituisca un obbligo oppure una semplice facoltà per la parte ricorrente che intenda proporre il ricorso giurisdizionale alla Corte di giustizia. In generale, l’obbligatorietà del ricorso amministrativo produce la conseguenza di far giungere alla Corte di giustizia e al Tribunale una controversia maggiormente sedimentata, i cui profili fattuali sono stati oggetto di riesame da parte dell’amministrazione. Non solo: la natura pregiudiziale del rimedio amministrativo, infatti, dà all’amministrazione la possibilità di ravvedersi della propria decisione sbagliata, e dunque in una qualche misura tutela l’autonomia dell’autorità pubblica; sul fronte dell’interessato, invece, tale condizionalità determina l’allontanamento nel tempo della tutela di 6 S. MAGIERA, W. WEIß, Alternative Dispute Resolution Mechanisms in the European Union Law, cit., 523. 30 NOTE SPARSE SUL SISTEMA DEI RIMEDI AMMINISTRATIVI DELL’UNIONE EUROPEA carattere giurisdizionale, oltre che poter causare un effetto preclusivo, nel caso in cui il privato non si avvalga del rimedio amministrativo. Nel caso in cui il rimedio interno sia facoltativo, al contrario, il suo successo dipenderà dalla fiducia che l’amministrazione chiamata a deciderlo saprà ingenerare nel ricorrente, oltre che nei vantaggi concreti offertigli in termini di flessibilità, celerità e specializzazione delle decisioni. Ciò che conta, tuttavia, è che il cittadino potrà avvalersene o meno, senza dover scontare alcuna preclusione o ritardo dalla sua mancata attivazione dinanzi alla Corte di giustizia. L’art. 263 TFUE V comma stabilisce che «gli atti che istituiscono gli organi e organismi dell’Unione possono prevedere condizioni e modalità specifiche relative ai ricorsi proposti da persone fisiche o giuridiche contro atti di detti organi o organismi destinati a produrre effetti giuridici nei loro confronti». Da tale previsione consegue, dunque, che i regolamenti istitutivi sono la sede privilegiata per la definizione del rapporto tra le due vie di tutela, amministrativa e giurisdizionale. Non sempre, tuttavia, tali fonti dedicano a tale relazione espressa considerazione. Partiamo da alcune ipotesi concrete: l’art. 50, II comma, del reg. istitutivo dell’agenzia per la sicurezza aerea (n. 216/2008) stabilisce espressamente che «I ricorsi per l’annullamento di decisioni dell’Agenzia prese a norma degli artt. 20, 21, 22, 23, 55 o 64 possono essere presentati alla Corte di giustizia delle Comunità europee solo dopo che siano state esperite tutte le possibili procedure di ricorso all’interno dell’Agenzia». Il ricorso diretto alla Corte, disciplinato all’art. 51, è, infatti, una prerogativa riservata solo agli Stati membri e alle Istituzioni comunitarie. Dunque in tal caso, la relazione esistente tra le due vie di tutela è chiaramente inquadrata dalla disciplina normativa, con la conseguenza che il mancato esperimento della procedura amministrativa determinerà, per i ricorrenti non privilegiati, una pronuncia di inammissibilità del ricorso dinanzi al giudice comunitario. Ancora, il regolamento 2100 del 1994 che concerne le procedure dinanzi all’Ufficio per le Varietà vegetali prevede un regime misto, stabilendo che nei confronti di alcune decisioni dell’Ufficio il ricorso a tali Commissioni sia una condizione di ammissibilità del ricorso giurisdi31 BARBARA MARCHETTI zionale, mentre per talune altre (quelle rilasciate ai sensi degli artt. 29 e 100 II paragrafo) la stessa obbligatorietà non sussiste, potendo la parte interessata adire direttamente la Corte di giustizia. In queste ultime ipotesi, spetterà al ricorrente decidere se esperire il ricorso interno o se ricorrere direttamente al giudice comunitario. Il carattere obbligatorio o facoltativo dei ricorsi interni è, anche in questo caso, il risultato di una previsione esplicita del regolamento istitutivo, che lo connota diversamente in ragione della tipologia di decisioni soggette a contestazione, alla luce dunque del punto di equilibrio desiderato tra esigenze di tutela del cittadino e di autonomia dell’amministrazione. Diverso è il caso delle decisioni adottate dall’Ufficio per il marchio comunitario: qui il regolamento non enuncia espressamente l’effetto preclusivo che si verifica per effetto della mancata attivazione delle procedure interne, ma l’art. 63 del reg. n. 40 del 1994 stabilisce che avverso le decisioni delle commissioni di ricorso può essere proposto ricorso dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee, e l’art. 59, dedicato a Termine e forma del ricorso, prevede che avverso le decisioni «il ricorso deve essere presentato per iscritto all’Ufficio entro due mesi a decorrere dal giorno della notifica della decisione». Pur in mancanza di una formula esplicita del tipo riscontrato per l’Agenzia per la sicurezza aerea, appare evidente che l’azione di annullamento dinanzi al giudice presuppone anche qui il previo esperimento della via di revisione interna. Una disciplina ancora diversa è stabilita dal reg. n. 1093/2010 istitutivo dell’Autorità di vigilanza bancaria. In esso si prevede che contro le decisioni adottate dall’Autorità ai sensi degli artt. 17, 18 e 19 del regolamento, e contro ogni altra decisione adottata dall’Autorità in conformità degli atti dell’Unione (…) è possibile proporre ricorso alla Commissione di ricorso degli artt. 58 e ss.; stabilisce poi l’art. 61 del medesimo regolamento, intitolato Azione dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea, che «le decisioni delle Commissioni di ricorso, e nei casi in cui non vi è la possibilità di ricorso dinanzi alla commissione di ricorso, le decisioni dell’Autorità possono essere impugnate dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea, a norma dell’art. 263 TFUE» (I comma); la disciplina sembrerebbe sancire così il carattere obbligatorio e pregiudiziale del ricorso amministrativo. Stabilisce però il II comma 32 NOTE SPARSE SUL SISTEMA DEI RIMEDI AMMINISTRATIVI DELL’UNIONE EUROPEA che «gli Stati membri e le Istituzioni dell’Unione, come pure qualsiasi persona fisica o giuridica, possono intentare un’azione giudiziaria dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea avverso le decisioni dell’Autorità a norma dell’art. 263 TFUE». La formulazione è suscettibile di diverse letture, perché, a differenza di quanto si evince dal I comma della norma, il II comma parrebbe consentire un ricorso diretto alla Corte di giustizia. In termini generali, di fronte ad una incertezza interpretativa circa il carattere obbligatorio o facoltativo del ricorso, spetterà ovviamente al giudice, nella fase preliminare del giudizio, quando cioè ne decide l’ammissibilità, individuare i termini del rapporto tra il ricorso amministrativo e quello giurisdizionale. Nell’esperienza statunitense, che presenta un sistema di appeal per le decisioni delle Agenzie federali simile a quello europeo, il giudice applica, in mancanza di una disciplina normativa espressa, la dottrina della exhaustion of administrative remedies: le Corti cioè procedono ad esaminare nel merito la controversia solo quando questa sia «matura» per il procedimento giurisdizionale, e tra le condizioni di ripeness rientra la circostanza che il ricorrente abbia previamente esperito i rimedi amministrativi. Alla base di tale dottrina, vi è l’esigenza di garantire l’autonomia della p.a., evitando che il giudice entri nell’azione amministrativa prima che l’amministrazione abbia espresso la sua valutazione finale e definitiva7. Tuttavia, proprio per il significato preclusivo che tale dottrina può avere, le Corti sono restie a negare la trattazione nel merito di un ricorso a causa del mancato esperimento del previo rimedio amministrativo: 7 R.J. PIERCE JR., Administrative Law Treatise, Chapter 15, Exhaustion, Finality and Ripeness, New York, 2002, 1017. Ciò implica, tra l’altro, che quando il rimedio amministrativo ha natura obbligatoria, il successivo ricorso alla Corte non potrà avanzare argomenti o censure che non siano state rappresentate alla agency: una Corte infatti usurpa i poteri dell’amministrazione se annulla una decisione amministrativa «upon a ground not therefore presented and deprives the Commission of an opportunity to consider the matter, make its ruling and state the reason of its action». Il medesimo principio è fissato dall’art. 135 del regolamento di procedura del Tribunale, che prevede, al comma IV, che Le memorie delle parti non possono modificare l’oggetto della controversia dinanzi alla commissione di ricorso. 33 BARBARA MARCHETTI ad esempio, l’applicazione di tale filtro è sempre esclusa nel contesto penalistico, in presenza di diritti costituzionalmente garantiti, quando non rilevano questioni di fatto, quando l’azione amministrativa è chiaramente ultra vires8. Nel diritto dell’Unione non è rintracciabile un filtro analogamente riferibile alla condizione dell’esperimento dei rimedi amministrativi. La Corte di giustizia richiede sì, quale condizione per l’ammissibilità del ricorso, la definitività dell’atto, ma tale qualità non è funzionale ad assicurare che l’amministrazione abbia esaurito ad ogni grado il suo potere di decisione, soprattutto laddove sia prevista una revisione di merito, ma ad evitare l’attacco dinanzi al giudice di atti inidonei a definire il procedimento, e dunque mancanti di capacità lesiva (caso Azko del Tribunale, sent. 17 settembre 2007, in cause T-125/03 e 253/03). In tale contesto, solo un’espressa previsione normativa che fissi il rapporto tra ricorso amministrativo e giurisdizionale in termini di pregiudizialità necessaria potrebbe dunque avere l’effetto di limitare l’accesso alla Corte. Tale conclusione sembra necessaria, non solo alla luce dell’art. 263 TFUE (che rinvia ad una previsione normativa la definizione di «condizioni e modalità specifiche relative ai ricorsi presentati da persone fisiche e giuridiche»), ma anche alla luce del principio di buona amministrazione: che dovrebbe portare, tra le sue implicazioni, anche quella per cui il destinatario di una decisione deve essere informato circa le possibilità di difendersi, i termini entro cui esperire l’azione, e la necessità di esperire il ricorso interno se ciò è condizione per accedere alla tutela giurisdizionale. Appare dunque poco convincente l’ordinanza del tribunale del 25 novembre 2010 resa nel caso K. V. Eurojust, in cui il giudice ha ritenuto obbligatorio (e non meramente facoltativo) il ricorso all’autorità di controllo comune (stabilito dall’art. 19 comma 8 della decisione del Consiglio n. 187 del 2002) pur in assenza di una norma da cui una simile preclusione potesse essere evinta9. 8 R.J. PIERCE JR., Administrative Law Treatise, Chapter 15, Exhaustion, Finality and Ripeness, cit., 965 ss. 9 http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=Eurojust%2B%2522Joint %2Bsupervisory%2522&docid=80373&pageIndex=0&doclang=EN&mode=req&dir= &occ=first&part=1&cid=393759#ctx1. 34 NOTE SPARSE SUL SISTEMA DEI RIMEDI AMMINISTRATIVI DELL’UNIONE EUROPEA Ciò vale, tra l’altro, anche quando il sindacato riguardi atti di carattere strumentale per cui sia prevista una procedura di revisione amministrativa interna. Si consideri, per esempio, il parere del Comitato per i farmaci per uso umano, il quale opera nell’ambito dell’agenzia per i medicinali. Il regolamento prevede la possibilità di un riesame del parere, con alcune garanzie volte ad assicurare una nuova decisione. Possiamo far discendere dalla mancata richiesta di riesame interno una successiva preclusione ad ottenere un sindacato sul parere stesso da parte della Corte di giustizia nel giudizio contro la decisione della Commissione (di ritiro della AIC) basata su tale parere? Sembra di poter dire che una simile preclusione sarebbe anche in tal caso ingiustificata. Infatti, fintantoché non è emanato l’atto finale, produttivo della lesione, non è chiara la portata sfavorevole dell’atto strumentale. Al di fuori di una chiara previsione normativa, non si dovrebbe, dunque, addebitare al cittadino un onere di attivazione della via rimediale interna, se si considera che l’atto preparatorio potrebbe essere seguito da un esito finale favorevole. Se si considera la pronuncia resa dal Tribunale nel caso Artegodan c. Commissione del 26 novembre 2002 (in cause T-74/00, T-76/00, da T-83/00 a T-85/00, T-132/00, T-137/00 e T-141/00), la separazione tra il parere del Comitato per i medicinali (il cui contenuto è tecnico) e la successiva decisione discrezionale della Commissione (di revoca), entrambi sindacabili dalla Corte, è chiaramente affermata. Il fatto che una richiesta di re-examination (art. 9, II comma, regolamento n. 726 del 2004) non venga avanzata non dovrebbe dunque precludere il successivo controllo del giudice, il cui raggio d’azione, tra l’altro, è completamente diverso rispetto a quello del rimedio interno (p.ti 199-200 della pronuncia), avendo ad oggetto non l’opportunità della valutazione ma la sua leggittimità. 35 BARBARA MARCHETTI 5. Qualche riflessione finale Due parole conclusive. L’attenzione del legislatore europeo per i rimedi amministrativi appare, come abbiamo visto, crescente: a differenza degli interventi normativi più risalenti, le discipline emanate di recente sono ricche di dettagli e ispirate a salvaguardare l’indipendenza e la specializzazione del sistema di revisione e di appeal che vanno a plasmare. I regolamenti istitutivi delle Agenzie europee o i regolamenti più specifici dedicati espressamente alle Commissioni di ricorso hanno cominciato a regolare con rigore la procedura: il contraddittorio, le prove, i poteri decisori, l’intervento dei terzi, il regime linguistico e il rapporto con la tutela giurisdizionale. Tali procedure di ricorso, al pari di quanto si poteva dire degli Administrative Tribunals inglesi di prima generazione, sembrano costituire così una possibile risposta sia alle difficoltà di affrontare il crescente carico di lavoro del Tribunale e della Corte di giustizia, sia le richieste di specializzazione che spesso sono avanzate in relazione ai medesimi organi giurisdizionali (basti pensare, da ultimo, al contenzioso generato dalle decisioni emanate dall’Agenzia per le sostanze chimiche). Da un lato, infatti, essi hanno l’effetto di far giungere dinanzi al giudice comunitario una controversia i cui elementi fattuali sono stati già oggetto di una seconda valutazione amministrativa (da parte di un organo specializzato e indipendente), alleggerendo su questo versante il sindacato delle Corti; e dall’altro, la potenziale soddisfazione dell’interesse del ricorrente nella sede amministrativa potrà tradursi – come dimostrano anche le statistiche esistenti a questo proposito10 – in una decisa riduzione (quantitativa) del contenzioso dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea. 10 Ci si riferisce, qui, ai numeri statistici riportati da L. DE LUCIA, I ricorsi amministrativi nell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona, 2013, 2, 323-324. 36 ADMINISTRATIVE TRIBUNALS E COURTS IN INGHILTERRA (E GALLES) Roberto Caranta SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. Il TCEA 2007 e la metamorfosi dei tribunals. - 3. Uno sguardo di insieme sul sistema della “giustizia amministrativa” in Inghilterra (e Galles). - 4. Quali insegnamenti? 1. Introduzione In un passato non lontano, l’espressione administrative tribunal poteva venire usata come classico esempio di false friend nel diritto amministrativo comparato1. Si insegnava che i tribunals non erano in alcun modo considerabili alla stregua di “tribunali” in quanto, lungi dall’essere organi giurisdizionali avevano natura amministrativa, ed in particolare amministrativa contenziosa2. Allo stesso tempo, alcuni, come gli Employment Tribunals, erano – e sono – chiamati a risolvere questioni di diritto del lavoro in controversie tra privati e quindi dal punto di vista del diritto di civil law, non erano – e non sono – neppure qualificabili come “amministrativi”. È peraltro da ammettere che normalmente è difficile tradurre con esattezza le categorie giuridiche inglesi in quelle nostrane, e ciò è particolarmente vero quando si tratta di funzione amministrativa e di fun1 L’indagine più approfondita, ma limitata ad una comparazione di common law, è quella di P. CANE, Administrative Tribunals and Adjudication, Oxford, 2009; sul punto si veda anche lo studio monografico di G. LIGUGNANA, L’altra giustizia amministrativa. Modelli ed esperienze d’oltre Manica, Torino, 2010; della stessa Autrice anche L’amministrazione giudicante. Modelli ed esperienze inglesi, in G. FALCON, Forme e strumenti della tutela nei confronti dei provvedimenti amministrativi nel diritto italiano, comunitario e comparato, Padova, 2010, 63-81. 2 In tal senso già significativo il titolo dello studio più approfondito della nostra dottrina: E. BALBONI, L’amministrazione giustiziale, Padova, 1986. ROBERTO CARANTA zione giurisdizionale3. Montesquieu docet. E comunque gli stessi inglesi – notoriamente pragmatici ed alieni a dogmatismi – classificavano i tribunals ed i rimedi da questo offerti come quasi-judicial4. False friend, si potrebbe dire, ma up to a point. In ogni caso la riforma del 2007 – il Tribunals, Courts and Enforcement Act (TCEA 2007) – ha profondamente mutato il regime giuridico dei tribunals, facendone delle corti o – appunto – dei tribunali5. Mario Chiti, da Maestro qual è, ha già tratteggiato l’evoluzione della legislazione inglese in materia. In questo contributo l’attenzione si concentrerà sul contenuto e sugli effetti della riforma, per poi fornire un quadro ricapitolativo della “giustizia amministrativa” in Inghilterra (e Galles) e concludersi con qualche notazione circa gli insegnamenti che possiamo trarre dall’evoluzione in questione per il nostro ordinamento. 2. Il TCEA 2007 e la metamorfosi dei tribunals Il TCEA 2007 è un testo molto complesso, di 149 articoli (così li chiameremmo da noi) e 23 allegati. Come di consueto, il suo contenuto è illustrato dal long title: «An Act to make provision about tribunals and inquiries; to establish an Administrative Justice and Tribunals Council; to amend the law relating to judicial appointments and appointments to the Law Commission; […]». Di questi, 49 articoli riguardano i tribunals, cui vanno aggiunte 9 schedules che riguardano diversi aspetti, compresa la procedura da seguirsi davanti agli stessi. Già la Section 1 lascia trasparire il mutamento di natura dei tribunals. La Section 3 del Constitutional Reform Act 2005 sulla garanzia dell’indipendenza dei giudici viene riformata per estendere la protezio3 D. DE PRETIS, La giustizia amministrativa, in G. NAPOLITANO (cur.), Diritto amministrativo comparato, Milano, 2007, 286. 4 H.W.R. WADE, Quasi-Judicial and its Background, in Cambridge Law Journal, 1949, 216. 5 Specificamente sulla riforma si vedano G. RICHARDSON, H. GENN, Tribunals in Transition: Resolution or Adjudication?, in Public Law, 2007, 116, e M. MACCHIA, La riforma degli administrative tribunals nel Regno Unito, in Riv. trim. dir. pubbl., 2009, 209. 38 ADMINISTRATIVE TRIBUNALS E COURTS IN INGHILTERRA (E GALLES) ne colà prevista ai membri dei tribunals. In particolare, sono inclusi nella definizione di judiciary non solo il Senior President of Tribunals ed il President of Employment Tribunals (Scotland), ma anche i membri non togati degli Employment Tribunals. In base alle Sections 4 e 5, infatti, non tutti i membri dei tribunals sono qualificati come giudici. Ma in virtù della Section 1 tutti godono dell’indipendenza dei giudici anche se non dello status relativo. Estendere ai componenti dei tribunals l’indipendenza che la riforma costituzionale del 2005 aveva garantito, sulla spinta della CEDU, ai giudici6, è tra le ragioni più importanti della riforma dei tribunals7. L’obiettivo è raggiunto portando gli apparati dei tribunals al di fuori delle strutture ministeriali8. La Section 3 opera una radicale riorganizzazione del caotico sistema dei tribunals, la cui introduzione e le cui competenze erano il risultato delle esigenze se non delle pressioni politiche del momento, per istituire una struttura tendenzialmente onnicomprensiva articolata sulla base di un first-tier e di un Upper Tribunal9. Ciascuno di essi è suddiviso in sezioni (chambers) competenti per una materia specifica, eventualmente ulteriormente specializzate al loro interno. In base alla Section 7 spetta al Lord Chancellor (l’omologo del nostro Ministro di Grazia a Giustizia), d’accordo con il Senior President of Tribunals, individuare le sezioni in articolare i due tribunals10. Attualmente il First-tier Tribunal è suddiviso in sette chambers di cui una generalista, con competenze su ricorsi relativi a materie come le scommesse, la regolazione delle professioni ed i trasporti, una per il settore salute, educazione e servizi 6 Si vedano S. SHETREET, Creating a Culture of Judicial Independence: Practical Challenge and the Conceptual and Constitutional Infrastructure, in S. SHETREET, C. FORSYTH, The Culture of Judicial Independence: Conceptual Foundations and Practical Challenges, Leiden, 2012, 37; K. SYRETT, The Foundations of Public Law: Principles and Problems of Power in the British Constitution, 2 ed., London, 2014, 38. 7 H.W.R. WADE, C.F. FORSITH, Administrative Law, 11 ed., Oxford, 2014, 768; J. JOWELL, D. OLIVER, The Changing Constitution, 7 ed., Oxford, 2007, 270, ove ult. riff. 8 Così puntualmente M. MACCHIA, La riforma degli administrative tribunals nel Regno Unito, cit., 223. 9 Amplius G. LIGUGNANA, L’altra giustizia amministrativa, cit., 91 ss. 10 Amplius M. MACCHIA, La riforma degli administrative tribunals nel Regno Unito, cit., 222 ss. 39 ROBERTO CARANTA sociali, una per l’immigrazione ed il diritto d’asilo, una per le questioni di proprietà fondiaria, una per taluni specifici social entitlements tra cui i sussidi a vittime di reati, una sulle questioni fiscali, che peraltro si occupa anche delle spese dei membri del Parlamento, e una per le pensioni di guerra (quelle più recenti, non quelle della Seconda guerra mondiale, e quindi il parallelo con la nostra corte dei conti non regge). L’Upper Tribunal ha invece quattro sezioni: amministrativa, immigrazione ed asilo, questioni fondiarie e tasse e chancery. Naturalmente, in un sistema di common law per quanto complicata sia un’organizzazione non è ancora sistema, ed alcuni tribunals escono dal quadro finora tratteggiato, come l’Employment Tribunal di primo grado e d’appello11. Ogni tribunal è dotato di proprie regole di procedura, differenziate rispetto all’ordinaria procedura di judicial review; il carattere prevalentemente se non esclusivamente scritto, anche con l’uso di tecnologie informatiche, delle procedure stesse le distingue dalla tradizione di common law improntata all’oralità12. L’Upper Tribunal è specificamente qualificato quale superior court of record, ovvero quale corte le cui decisioni sono tutte pubblicate secondo il sistema dei law reports. Il punto è rilevante e va molto al di là della semplice – e pur rilevante in termini di certezza del diritto – accessibilità delle decisioni, in quanto permette di riconoscere valore di precedente alle decisioni dell’Upper Tribunal13. Il profilo è indubbiamente importante, in quanto i tribunals sono idealmente posizionati per individuare illegittimità “sistematiche” nei processi decisionali14. In virtù della Section 11 le decisioni del First-tier Tribunal sono appellabili all’Upper Tribunal esclusivamente su questioni di diritto (points of law). Infatti, mentre il First-tier Tribunal ha quella che noi diremmo giurisdizione anche di merito, l’Upper Tribunal ha competen11 Un elenco aggiornato è normalmente presente su http://www.justice.gov.uk/tri bunals. 12 Per un panorama, necessariamente non più aggiornatissimo ma ancora molto utile, G. LIGUGNANA, L’altra giustizia amministrativa, cit., 99 ss. 13 Si veda la discussione del profilo in T. BUCK, Precedent in Tribunals and the Development of Principles, in Civil Justice Quarterly, 2006, 458. 14 R. THOMAS, Administrative Justice, Better Decisions, and Organisational Learning, in Public Law, 2015, 118; cfr. anche 125 s. 40 ADMINISTRATIVE TRIBUNALS E COURTS IN INGHILTERRA (E GALLES) za in base alla Section 15 ad adottare i classici rimedi di judicial review, compresi i prerogative orders della tradizione di common law, ovvero a) mandatory order; b) prohibiting order; c) quashing order; d) declaration; e) injunction. Non solo, ma in base alla Section 15(5)(a) nell’adottare declaration ed injunction l’Upper Tribunal deve applicare gli stessi principi che la High Court seguirebbe in ossequio al Supreme Court Act 1981. Le competenze dell’Upper Tribunal sono dunque omologhe rispetto a quelle dell’Administrative Court, ovvero a quella che potremmo considerare come la sezione specializzata in questioni amministrative della High Court. In base alla Section 19, la High Court – ovvero la sua Administrative Court – può trasferire all’Upper Tribunal ricorsi per judicial review che ricadano nella competenza di quest’ultimo15. Secondo la tradizione inglese, il secondo grado non è un diritto, ma in virtù della Section 16 dipende da una permission o leave vuoi del tribunal la cui decisione si intende impugnare, vuoi dell’Upper Tribunal16. In base alla Section 13, le decisioni dell’Upper Tribunal sono poi appellabili alla Court of Appeal. In un certo senso, il sistema dei tribunals fa precedere un grado di merito rispetto agli ordinari procedimenti di judicial review. In questi l’azione è presentata all’Administrative Court, sezione specializzata della High Court. La sentenza della High Court è poi impugnabile di fronte alla Court of Appeal. Nelle controversie di competenza dei tribunals l’Upper Tribunal decide per così dire già in secondo grado, sulla base di una decisione del First-tier Tribunal. Come già ricordato, ricorsi per judicial review ricadenti nelle materie di competenza del sistema dei tribunals ma introdotti presso la High Court sono da questa trasferiti all’Upper Tribunal, ancora una volta confermando il parallelismo tra i due plessi giurisdizionali che corrisponde ad una delle linee di evoluzione del sistema inglese17. 15 Il profilo è sottolineato da J. JOWELL, D. OLIVER, The Changing Constitution, cit., 272. 16 Sulla pervasività dell’istituto nel mondo di common law D. DE PRETIS, La giustizia amministrativa, cit., 287. 17 Cfr. D. DE PRETIS, La giustizia amministrativa, cit., 288. 41 ROBERTO CARANTA La sostanziale fungibilità di corti e tribunals dal punto di vista della garanzia dell’imparzialità, pur nella differenza delle procedure, è confermata dalla decisione del Lord Chief Justice del 2013 di trasferire la judicial review sulle decisioni in materia di immigrazione dalla Administrative Court alla Immigration and Asylum Chamber dell’Upper Tribunal. Altro profilo di indubbio significato della riforma è l’avvenuta abolizione, ad opera della Section 45, del Council on Tribunals. Il Council era stato istituito dal Tribunals and Inquiries Act del 1958 con lo scopo di sovraintendere alla costituzione ed al funzionamento dei tribunals. La Section 44 del TCEA 2007 aveva invece istituito l’Administrative Justice and Tribunals Council, il cui Presidente era nominato dalla regina su proposta del Lord Chancellor. Tale nuovo organo, come previsto dalla parte II della Schedule 7, aveva il compito di sovraintendere alla administrative justice, ovvero, secondo la definizione ivi contenuta, al complesso di istituti relativi alla soluzione delle controversie originate da decisioni delle pubbliche amministrazioni. Nell’ambito del processo di razionalizzazione e riduzione delle strutture amministrative promosso dal Public Bodies Act 2011 anche il nuovo Council è stato sciolto. Le sue funzioni sono state assorbite dallo HM Courts & Tribunals Service, agenzia del ministero della giustizia che risponde, secondo le rispettive competenze, al Lord Chancellor (il Ministro di Giustizia), al Lord Chief Justice ed al Senior President of Tribunals. La mission dell’agenzia è quella di assicurare al contempo l’efficienza del sistema giurisdizionale e l’indipendenza della magistratura. Corti e tribunals non sono più differenziati in questo contesto. Il “processo di giurisdizionalizzazione” dei tribunals, che peraltro viene da lontano, pare dunque essersi concluso18. Le riforme non si sono infatti arrestate con l’entrata in vigore del TCEA. Oltre ad una riorganizzazione delle competenze delle varie chambers, nel 2011 si è giunti alla fusione delle strutture amministrative di supporto delle corti e dei tribunals – in un certo senso le cancelle- 18 In senso analogo e con più ampia argomentazione M. MACCHIA, La riforma degli administrative tribunals nel Regno Unito, cit., 232 ss. 42 ADMINISTRATIVE TRIBUNALS E COURTS IN INGHILTERRA (E GALLES) rie, ma non solo – con la creazione del già ricordato HM Courts & Tribunals Service. 3. Uno sguardo di insieme sul sistema della “giustizia amministrativa” in Inghilterra (e Galles) Quando si affronta il sistema di “giustizia amministrativa” in Inghilterra (e Galles) ci si sofferma innanzitutto sulla judicial review, ovvero quei rimedi offerti dalle corti di common law ed in prima istanza dalla Administrative Court all’interno della High Court19. Si tratta di istituzioni onuste di storia, soggette a manutenzione periodica e rette oggi dalla Part 54 delle Civil Procedure Rules. Procedura civile perché, ad onta della denominazione, l’Administrative Court è parte integrante del sistema della giurisdizione civile. Specializzazione di giudici, più che di giurisdizione, come è anche il caso della Planning Court, istituita nel 2014 per occuparsi di pianificazione urbanistica, permessi di costruire, espropriazione e così via con lo specifico mandato di decidere rapidamente sui ricorsi presentati secondo la speciale procedura dettata dalla nuova Practice Direction 54E. Non si può certo dire, come famosamente scrisse il primo Dicey, che non c’è nulla di simile al droit administratif in Inghilterra20. Ma ancora siamo lontani dalla completa autonomia ed autosufficienza dell’administrative law rispetto al diritto civile, o meglio alla common law. Tant’è che le impugnazioni confluiscono nel sistema ordinario delle impugnazioni civili alla Court of Appeal e in ultima istanza a quella che, a seguito della riforma costituzionale del 2005, non è più il Judicial Committee della House of Lords ma è la Supreme Court21. 19 Per l’affetto dovuto ai propri lavori giovanili si rinvia a R. CARANTA, Judicial review, in Digesto IV, Disc. pub. IX, Torino, 1993, 53; ma si veda in ogni caso D. DE PRETIS, La giustizia amministrativa, cit., 286 ss. 20 Il tema è magistralmente discusso da S. CASSESE, La costruzione del diritto amministrativo: Francia e Regno Unito, in S. CASSESE (cur.), Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo generale, t. 1, 2 ed., Milano, 2003, 1 ss. 21 Amplius J. JOWELL, D. OLIVER, The Changing Constitution, cit. 43 ROBERTO CARANTA Al di là della sua centralità, anche ideologica, e del suo valore di fucina di precedenti vincolanti, la judicial review ha peraltro un impatto modesto sul contenzioso. I numeri sono fortemente cresciuti, arrivando, per l’Inghilterra ed il Galles, a oltre 12.000 ricorsi nel 2012. Ma se si tolgono i circa 10.000 casi riguardanti immigrazione e diritto d’asilo, restano solo circa 3.000 ricorsi che noi diremmo giurisdizionali amministrativi22. Il sistema di tutela, grazie all’azione combinata di stare decisis e altissimi costi, resta molto accentrato, anche se dal 2009 un’application for judicial review può essere presentata anche in quattro sedi “decentrate”, a Birmingham per le Midlands, a Cardiff per il Galles; a Leeds per il Nordest e a Manchester per il Nordovest. I giudici chiamati a decidere sono peraltro quelli dell’Administrative Court di Londra, che vanno in tour in provincia di tanto in tanto, e possono tener corte in una qualsiasi delle sedi giudiziarie dell’Inghilterra e del Galles, e non necessariamente a Londra, Birmingham, Cardiff, Leeds e Manchester. I Tribunals notoriamente si occupano invece di una larga quantità di casi operando in svariate dozzine di sedi la cui lista aggiornata si trova sul sito internet di ciascun tribunal. La “industrializzazione” dell’attività amministrativa nel XX secolo ha richiesto nuovi modi di soluzione delle controversie. Si parla non a caso di mass justice23. L’istituzione dei tribunals è dipesa proprio dalla volontà di introdurre un’alternativa semplice ed efficace alle garantistiche ma complesse procedure “ordinarie” per decidere moltissimi casi per così dire seriali legati alla crescita del Welfare State. Precisamente 74,400 nuovi casi fra Aprile e Giugno 201424, e ciò in una fase in cui si è scontata una significativa dimi22 https://www.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/26 2036/revision-judicial-review-figures-stats.pdf. 23 Cfr. P. CANE, Administrative Tribunals and Adjudication, cit., 21, il quale non condivide peraltro il connotato negativo dell’espressione. 24 Le statistiche sono pubblicate ogni trimestre; per il dato citato nel testo https:// www.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/352914/tribunal -statistics-quarterly-april-june-2014.pdf; un’analisi di dati poco precedenti si trova nel documento del Ministero della giustizia Administrative Justice and Tribunals: A Strategic Work Programme 2013-16 a pag. 11 (consultabile su https://www.gov.uk/ government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/217315/admin-justice-tribsstrategic-work-programme.pdf); statistiche sulla frequenza di accoglimento dei ricorsi 44 ADMINISTRATIVE TRIBUNALS E COURTS IN INGHILTERRA (E GALLES) nuzione dei casi anche per l’introduzione di una tariffa per la presentazione di ricorsi all’Employment Tribunal25. Se la judicial review è la punta dell’iceberg della giustizia amministrativa inglese, i tribunals non esauriscono, tutt’altro, la parte sommersa. Le corti minori hanno un ruolo non marginale nel sistema. Si pensi al Licensing Act 2007. La somministrazione di alcolici, anche nei club, l’offerta al pubblico di regulated entertainment (musica, danza, teatro, e così via) e di late night refreshment (cibi o bevande caldi tra le 11 di sera e le 5 del mattino) richiede una licenza. In base alla Paragraph 9(2) dello Schedule 5 della legge i ricorsi contro le decisioni in materia debbono essere presentati alla magistrates’ court locale. Le Magistrate’s courts sono corti inferiori normalmente competenti in materia penale ma talvolta anche civile (e, come già accennato, l’alternativa civile/penale esaurisce l’orizzonte classificatorio in materia di giurisdizioni inglesi, e vede l’amministrativo attratto nel civile come una stella in un buco nero). In Inghilterra e Galles ci sono oltre 360 Magistrate’s courts, e dunque il ricorso al giudice è estremamente agevole. Tali corti sono composte alternativamente da un District Judge, giudice togato che, oltre alla laurea in giurisprudenza, deve aver maturato almeno cinque anni di esperienza professionale, ovvero da un collegio di tre giudici non togati, i magistrates appunto. Questi ultimi sono scelti tra “local citizens of good character (not previously convicted), mature personality and sound judgement”. Si tratta di un ufficio onorario, e per esso spetta esclusivamente il rimborso spese (tant’è che per contrasto i giudici togati erano in passato noti come stipendiary magistrates). Anche la giustizia amministrativa continua dunque a beneficiare dell’azione della versione moderna di quell’antichissima istituzione che furono i justices of the peace. sono riportate e discusse in R. THOMAS, Administrative Justice, Better Decisions, and Organisational Learning, cit., 116 s. 25 La riforma ha suscitato non poche critiche, e.g. D. MAGAN, The United Kingdom’s Plan to Reduce Employment Conflict, University of Leicester School of Law Research Paper No. 14-06, reperibile su http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm? abstract_id=2400675; ma per il momento ha superato un primo vaglio di legittimità: R (on the application of Unison (no. 2)) v Lord Chancellor (Equality and Human Rights Commission intervening) [2014] EWHC 4198 (Admin), [2014] All ER (D) 178 (Dec). 45 ROBERTO CARANTA Il ricorso è un appeal, non un’application for judicial review, ed in base alla Section 181 del Licensing Act 2007 la magistrates’ court può sia sostituire la decisione impugnata che rinviare la questione all’autorità competente per una nuova determinazione. Diremmo noi, ha una giurisdizione di merito26. E non deve stupire, considerati sia la competenza non professionale di tali corti (il sound judgment non coincide necessariamente con gli intricati dettagli delle leggi amministrative) sia la loro storia di organi che in passato confondevano funzioni che noi moderni classificheremo talora come amministrative, talaltra come giurisdizionali. A sua volta, e il cerchio si chiude, le decisioni della magistrates’ court possono essere oggetto di un ricorso per judicial review – e quindi per sola legittimità, di fronte alla Administrative Court. 4. Quali insegnamenti? Quali insegnamenti si possono trarre per il nostro diritto amministrativo da questo breve viaggio oltremanica? Il punto di partenza ineludibile sembra essere quello della progressiva giurisdizionalizzazione dei tribunals. Il processo in sé non deve stupire ed è probabilmente inevitabile almeno in quelle numerose materie nelle quali il contenzioso è vincolato dalla Carta europea dei diritti dell’Uomo27. Più fondamentalmente parrebbe di concludere che un sistema di ricorsi non è credibile in assenza di terzietà, ed anzi di indipendenza, del decisore. 26 L’espressione anglosassone di merits review è molto vicina: si veda l’approfondita analisi di P. CANE, Administrative Tribunals and Adjudication, cit., 144 ss. 27 Cfr. S. MIRATE, Protection of ECHR Rights in Administrative Proceedings, in R. CARANTA (ed.), Interest representation in Administrative Proceedings, Napoli, 2008, in part. 235 ss.; si veda anche la discussione in D. MARRANI, Y. FARAH, ADR in Administrative Law: A Perspective from the United Kingdom, in D.C. DRAGOS, B. NEAMTU (eds.), Alternative Dispute Resolution in European Administrative Law, Berlin-Heidelberg, 2014, 270. 46 ADMINISTRATIVE TRIBUNALS E COURTS IN INGHILTERRA (E GALLES) Fermo questo punto, si possono immaginare procedure più semplici ed efficienti di quelle giurisdizionali ordinarie. Trasporre il modello resta difficile, se non impossibile. La deriva giurisdizionale dei tribunals ne fa sostanzialmente dei giudici. Il che potenzialmente crea problemi per il divieto di creazione di giudici speciali di cui all’art. 102, comma 2, della Costituzione. Anche altri profili presentano evidenti difficoltà. Il sistema inglese è molto flessibile sia dal punto di vista organizzativo (chi fa cosa) che procedurale (le regole del decidere)28. Le decisioni sono prese a livello politico (dal Lord Chancellor) e/o dal vertice della magistratura (dal Lord Chief Justice). Dubbi di opportunità prima ancora che legittimità costituzionale fanno dubitare della trasponibilità di simili tecniche nel nostro ordinamento. Infine, un ruolo importante, anche se non ben misurato a quanto risulta, è giocato dai giudici non togati e non retribuiti. L’esperienza dei giudici di pace in materia processuale civile e di figure analoghe nel processo penale fa dubitare ancora una volta che una strada simile sia percorribile con successo nel nostro Paese. Quello che si potrebbe forse imitare è il tentativo di migliorare il procedimento amministrativo per così dire “fondamentale” prima ancora che quello di ricorso se non giurisdizionale tout court. In tal senso si sta infatti muovendo il Regno Unito (per una volta, anziché solo Inghilterra e Galles). Già nel 2004 il governo britannico aveva pubblicato un White Paper intitolato Transforming Public Service che prevedeva l’introduzione di azioni destinate a prevenire il contenzioso; in caso di insuccesso, si sarebbero dovute individuare forme efficaci ed a basso costo di risoluzione delle controversie adeguate ad ogni singola situazione (Proportionate Dispute Resolution – ADR)29. Ad inizio 2014 il ministero della giustizia ha sviluppato una policy consistente nel Making the administrative justice and tribunals system more effective che si basa 28 Fa riferimento alla pluralità di regole procedurali settoriali P. CRAIG, Perspectives on Process: Common Law, Statutory and Political, in Public Law, 2010, 275 e poi 287 ss. 29 Si veda l’analisi di D. MARRANI, Y. FARAH, ADR in Administrative Law: A Perspective from the United Kingdom, cit., 259; cfr. anche J. JOWELL, D. OLIVER, The Changing Constitution, cit., 272 s. 47 ROBERTO CARANTA sull’idea di “getting it right first time”, prima dei ricorsi di qualsiasi genere e livello30. L’art. 10 bis L. 7 agosto 1990, n. 241 va in questo senso. Forse non basta ed almeno nel Regno Unito si pensa anche ad azioni di mediazione ed ADR oltre che ad ulteriori ritocchi al sistema dei tribunals31. Ma anche oltre Manica si riconosce che simili strumenti non necessariamente sono adeguati a sostituire situazioni in cui è importante fissare dei precedenti o quando i diritti fondamentali sono in gioco32; e questo anche al di là della difficoltà – potenzialmente molto rilevante anche da noi – di dedurre in negoziato l’interesse pubblico33. Infine si pensa anche a rendere più efficace l’azione degli ombudsmen. Ma forse in questo (per noi) vicolo cieco ci siamo già infilati in passato34. 30 https://www.gov.uk/government/policies/making-the-administrative-justice-andtribunals-system-more-effective; si veda anche il già citato documento del Ministero della giustizia Administrative Justice and Tribunals: A Strategic Work Programme 2013-16 a pagg. 17 ss. (consultabile su https://www.gov.uk/government/uploads/system /uploads/attachment_data/file/217315/admin-justice-tribs-strategic-work-programme.pdf); si veda l’analisi di R. THOMAS, Administrative Justice, Better Decisions, and Organisational Learning, cit., 111. 31 Cfr., anche per ult. riff., D. MARRANI, Y. FARAH, ADR in Administrative Law: A Perspective from the United Kingdom, cit., 267 s. 32 Le varie opinioni sono riassunte da J. JOWELL, D. OLIVER, The Changing Constitution, cit., 276. 33 Sul punto si veda anche l’importante studio di S. BOYRON, The rise of mediation in administrative law disputes: experiences from England, France and Germany, in Public Law, 2006, in part 321. 34 Sul punto si rinvia a M. COMBA, R. CARANTA, Administrative Appeals in the Italian Law: On the Brink of Extinction or Might They Be Saved (and Are They Worth Saving)?, in D.C. DRAGOS, B. NEAMTU (eds.), Alternative Dispute Resolution in European Administrative Law, cit., in part. 104 ss.; unsurprisingly, l’esperienza nel Regno Unito è decisamente migliore: D. MARRANI, Y. FARAH, ADR in Administrative Law: A Perspective from the United Kingdom, cit., 272 ss. 48 LA GIUSTIZIA NELL’AMMINISTRAZIONE. IL CURIOSO CASO DEGLI ADMINISTRATIVE TRIBUNALS BRITANNICI Mario P. Chiti 1. Per la pattuglia degli amministrativisti italiani interessati alle vicende dell’ordinamento britannico, gli Administrative Tribunals (AT) hanno costituito una potente calamita di interesse sin dalla loro istituzione, ed in particolare da quando per vicende diverse, ma convergenti nell’esito, si era vanificato da noi il ruolo dei ricorsi amministrativi. Coloro che non si rassegnavano al tramonto di una “giustizia nell’amministrazione” consideravano l’esperienza britannica particolarmente allettante, pur con le particolarità proprie di quell’ordinamento, composito al suo interno e di diversa tradizione rispetto al continente. L’interesse per gli AT è stato a lungo ben giustificato. Questi organismi ogni anno riescono a trattare una grandissima quantità di casi. Le statistiche ufficiali parlano di decine di migliaia di casi; pur aggregando situazioni alquanto differenti, talune di dubbia natura, il dato è significativo. Le procedure degli AT sono celeri ed informali, ma rispettose del principio del contraddittorio; si utilizzano esperti del settore coinvolto; i costi sono limitati. La disciplina dei Tribunals consente di sollevare questioni di merito precluse alle corti, favorendo così una più ampia tutela degli interessati. Le decisioni assunte risolvono definitivamente la grandissima parte delle controversie, come dimostra il modesto numero degli appelli alle corti (peraltro limitati da varie preclusioni processuali e dagli alti costi di giustizia, senza paragone con quelli delle procedure davanti agli AT). L’efficace funzionamento degli AT è la principale ragione per cui la Gran Bretagna ha un contenzioso pubblicistico assai limitato rispetto alle cifre continentali; ed in particolare all’Italia, che pure è Paese sostanzialmente equivalente per abitanti e problemi. Il rapporto tra il contenzioso del plesso amministrativo-contenzioso (quasi judicial) e delle corti si è solo in parte modificato verso quest’ultimo in conseguenza MARIO P. CHITI dell’istituzione di un organico sistema di controlli giurisdizionali (la judicial review con le relative azioni/applications) e di un giudice specializzato in cause pubblicistiche (la Administrative Court della High Court). In proporzione, i numeri continuano ad essere di uno a dieci. L’esperienza britannica è risultata interessante, in particolare, per la caratterizzazione non giuridica di gran parte degli AT, evidente dalla loro composizione tecnico-specialistica e dal tipo di procedura, indirizzata alla piena acquisizione e valutazione del merito della controversia. Alle motivazioni positive di carattere giuridico si sono inoltre sommate altre ragioni più generali, quali l’apprezzamento per un’esperienza che all’origine era una delle espressioni istituzionali del socialismo fabiano, e poi, dal secondo dopoguerra, dello Stato sociale, saldo anche dopo le forti evoluzioni degli ultimi due decenni del secolo passato. In breve, una considerazione degli AT come una “autoamministrazione della società” per il contenzioso quotidiano con i poteri pubblici. Una forma di “giustizia senza il diritto”. L’interesse per gli AT perdura tuttora assai vivo; tuttavia questi organismi hanno mutato natura. Da essere parte del sistema amministrativo sono divenuti parte del machinery of justice. Evoluzione di indubbio interesse, ma che allontana gli AT dal tema della giustizia nell’amministrazione. Il loro caso va dunque studiato quale forma originale di tutela, non più nella prospettiva dell’amministrazione giustiziale bensì in quella della funzione “aggiudicativa” più vasta che nella tradizione. 2. Per tutto il secolo scorso il modello degli AT non ha avuto in Italia alcuna corrispondente iniziativa riformatrice, malgrado le autorevoli proposte in tal senso; uno degli esempi più eclatanti del limitato ruolo della scienza giuridica per l’evoluzione delle istituzioni. Anche da ultimo, le nostre politiche pubbliche per razionalizzare la giurisdizione, filtrare l’accesso alle corti e aumentare l’efficienza del sistema giustizia hanno seguito strade diverse. Alcune delle maggiori novità per la giustizia civile – come lo spazio dato alle forme alternative di tutela (le c.d. Alternative Dispute Resolutions, ADR), ed in particolare alla mediazione – traggono origine dal sistema britannico e dalla cultura di common 50 LA GIUSTIZIA NELL’AMMINISTRAZIONE law; ma per la parte delle alternative amministrative o quasi judicial alla giurisdizione è stato nullo il richiamo all’esperienza degli AT. Le ragioni di queste diverse politiche pubbliche nei due Paesi sono in parte italiane; per altra parte derivanti dall’evoluzione che recentemente ha caratterizzato gli AT britannici, andati ben oltre i confini tradizionali della giustizia nell’amministrazione. Le ragioni nazionali non sono il centro di questo intervento. Basta dunque qua indicare le due principali: il rilievo assunto dal 1990 dalla disciplina del procedimento amministrativo; la diffidenza, talora la palese ostilità, per forme di tutela affidata a organi amministrativi composti principalmente da esperti non giuristi. Per quanto riguarda la disciplina del procedimento, è noto che il Regno Unito non ha seguito il modello della disciplina organica del procedimento, preferendo normative per settori del procedimento o discipline particolari. A differenza della Francia – ove, malgrado la diversa tradizione incentrata sul ruolo del giudice amministrativo, sta affermandosi la proposta per una disciplina generale del procedimento – nel Regno Unito non sembra prossima una riforma del genere. Coerentemente, nell’Unione europea i britannici stanno rallentando le proposte del Parlamento europeo per un regolamento sul procedimento amministrativo dell’Unione; che, ove approvato, avrebbe sicuramente influenza indiretta anche per gli Stati membri e quindi per l’ordinamento del Regno Unito. La disciplina britannica del procedimento, pur consentendo generose forme di partecipazione attiva o di garanzia, non offre la possibilità in via preventiva per una tutela piena ed effettiva degli interessi dei soggetti coinvolti; compensata ampiamente dalle doglianze agli Ombudsman ed Ispettorati, e dai ricorsi presentabili agli AT. Il caso italiano è diverso. La legge n. 241/1990 ha consentito ampie forme di partecipazione e garanzia amministrativa nel corso del procedimento, attenuando l’esigenza per una tutela amministrativa ex post alla decisione. I due diversi modelli, britannico ed italiano, con tutta evidenza non sono sovrapponibili e correttamente comparabili. Complessivamente, il modello britannico tutela gli interessati in un numero maggiore di casi, dato che alle non poche possibilità di tutela amministrativa previste dalle specifiche norme procedimentali somma la possibilità di adire, con 51 MARIO P. CHITI facilità ed efficacia, i numerosi AT. Con l’ulteriore opportunità di adire le corti in casi di particolare rilevanza giuridica. In Italia, invece, si preferisce insistere sulla disciplina del procedimento amministrativo per trarne ogni ulteriore possibilità di partecipazione attiva e di garanzia per poi passare direttamente alla giurisdizione, valorizzando le molte possibilità che la giustizia amministrativa offre agli interessati secondo il recente Codice del processo amministrativo. Come noto, procedimenti “giustiziali” di qualche rilievo si hanno solo nel caso di alcune Autorità indipendenti o di organismi particolari come l’Autorità Nazionale Anticorruzione (già A.V.C.P.). Il ricorso straordinario è ormai vicinissimo alla giurisdizione, secondo la più recente giurisprudenza e normativa. Circa poi la generale preferenza in Italia per la giurisdizione, evidente malgrado le diffuse critiche ai giudici di ogni giurisdizione e grado, si è di fronte ad una posizione che ha risalenti radici nella sfiducia per l’imparzialità e la qualità dell’amministrazione pubblica, anche se operante in modo giudiziale. Il tema può essere meglio trattato da colleghi di altre scienze sociali; ma a conferma diretta colpisce la scarsa attrazione che finora hanno avuto le nuove forme di tutela non giurisdizionale per le questioni civilistiche, quasi che le politiche di “degiurisdizionalizzazione” (orrendo neologismo di un legislatore che sembra non avere risciacquato la propria lingua in Arno) tramite le ADR fossero iniziative estranee al comune sentire. Merita notare che se gli AT non hanno avuto in Italia (ed anche in molti altri Stati europei) l’influenza da molti auspicata, nel diritto dell’Unione europea si avverte un crescente interesse per soluzioni delle controversie affidate ad organismi non giudiziali, di particolare qualificazione tecnica, capaci di decidere con tempi rapidi come richiesto dall’urgenza delle questioni. Un esempio recente, importante, si rinviene nella recente disciplina dell’Unione bancaria, precisamente nel regolamento n. 806/2014 sulla risoluzione delle crisi bancarie, che prevede un Comitato di appello (Appeal Panel) assai simile agli AT (nel modello loro proprio sino al 2007). Non è al momento chiara l’origine di queste discipline, ma indubbiamente i nuovi organismi giustiziali dell’Unione bancaria somigliano molto ai Tribunals. 52 LA GIUSTIZIA NELL’AMMINISTRAZIONE 3. Passando alle vicende britanniche, si conferma che le recenti evoluzioni della disciplina degli AT hanno modificato in modo significativo i caratteri che avevano fatto di questi organismi un riferimento per possibili riforme in Italia ed in altri Paesi continentali. Infatti, gli AT hanno progressivamente perduto il carattere di organismi amministrativi contenziosi, estranei alla giurisdizione, per divenire parte del sistema giudiziale di tutela, caratterizzata solo da alcune particolarità. Efficacemente, una studiosa britannica li ha definiti “sostituti delle corti” (C. Harlow). Per capire l’evoluzione degli AT è necessaria una sintetica ricostruzione dei principali passaggi della loro disciplina ed esperienza. Già nella seconda metà dell’Ottocento furono previste le prime forme di “ricorsi amministrativi”, affidate a particolari organismi, denominati Boards, composti di regola da non giuristi. Le decisioni di questi organismi non erano normalmente appellabili davanti alle corti, né a queste si poteva accedere direttamente salvo specialissime situazioni. È all’inizio del Novecento – quindi con l’avvio di un primo Stato sociale voluto dai Liberali, vincitori delle elezioni del 1906 – che si creano vari AT per questioni collegate al recente sistema pensionistico, di sicurezza sociale, di disciplina del lavoro, di protezione dell’infanzia. Le nuove opportunità di tutela ebbero immediato successo, dimostrato dal numero dei ricorsi e dall’attenzione di influenti politici come Lloyd George ed i giovani Beveridge e Churchill. Fino da allora prevalse l’opinione che le questioni poste dal Welfare State fossero inappropriate per le corti, non use a trattare masse di controversie, per di più di carattere eminentemente fattuale (B. Abel-Smith e R. Stevens). Il periodo in cui gli AT si svilupparono maggiormente fu quello tra le due guerre mondiali, specialmente negli anni trenta in conseguenza della grande crisi economica del 1929, dei movimenti sociali e della sempre maggior rilevanza del partito Laburista, supportato giuridicamente dalla Scuola del “socialismo giuridico” di Robson, Jennings e Laski. Si ricorda in particolare nel 1932 il Rapporto della Commissione presieduta da Lord Donoughmore (Committee on Ministers’ Powers), che pose le premesse per l’istituzione di nuovi AT e definì in termini generali una funzione amministrativa giustiziale, distinta dalla giurisdizione e dalla funzione “aggiudicativa”. 53 MARIO P. CHITI Nella prospettiva continentale giuspubblicistica, gli AT sono risultati il “cavallo di Troia” per l’introduzione del diritto pubblico nel Regno Unito. Infatti, malgrado il carattere poco giuridico degli AT del tempo, risultò ben presto chiara la natura pubblicistica/amministrativistica di quasi tutte le questioni attribuite alla competenza dei Tribunals e, per converso, la carenza di tutela giurisdizionale – nelle forme processuali tradizionali – degli interessi coinvolti. Gli AT colmarono così, in modo originale, la lacuna di tutela del sistema britannico per molti interessi violati dal potere pubblico. Pur con le loro spiccate connotazioni giustiziali, gli AT sono rimasti a lungo parte del sistema amministrativo britannico. Da qui, come detto, il comprensibile interesse di alcuni studiosi italiani e continentali per un’esperienza di “tutela amministrativa” ben funzionante e satisfattiva per gli interessati. Ma si è dimenticato spesso che fino alla fine degli anni settanta del Novecento il contenzioso di diritto pubblico aveva possibilità di essere trattato dalle corti in situazioni assai particolari, senza procedure specifiche e senza un giudice “esperto”. Al culmine dell’esperienza degli AT quali organismi parte della pubblica amministrazione si reputò matura la possibilità di una loro evoluzione verso il sistema giudiziale. La Commissione Franks, ed il conseguente Rapporto del 1957 (Report of the Committee on Administrative Tribunals and Inquiries), sostennero che i Tribunali non dovessero più essere parte del sistema amministrativo, ma del “machinery of adjudication”; con una procedura “open, fair and impartial”. Il Rapporto, ampiamente condiviso, portò all’approvazione nell’anno successivo del Tribunals and Inquiries Act, rimasto vigente sino allo scorso decennio; per quanto varie volte emendato. I caratteri assunti dagli AT vennero così sintetizzati dal maggiore studioso del tema, J. Farmer: “the ability to make final legally enforceable decisions, subject to review and appeal; independence from any department of government; the holding of a public hearing judicial in nature; the possession of expertise; a requirement to give reasons; and the provisions of appeal to the High Court on points of law”. Fu dunque definito in modo organico il sistema degli AT, che ormai superavano il numero di quaranta; ed al contempo si segnavano con nettezza i caratteri giustiziali della loro funzione: indipendenza, impar54 LA GIUSTIZIA NELL’AMMINISTRAZIONE zialità, garanzia del contraddittorio, trasparenza. Aprendo così le porte alla revisione delle decisioni degli AT da parte delle corti, oltre alla tradizionale azione per violazione dei loro poteri (ultra vires). I Tribunals esaminavano il merito della controversia; le corti (la High Court e le altre superiori) gli eventuali punti di diritto e, in casi espressamente previsti, anche il merito; in tali casi potendo eventualmente modificare il giudizio dei Tribunals. La scienza giuridica inglese condivise questi sviluppi, perché è “proper for those tribunals that exercise judicial functions to be accountable to courts” (C. Harlow). 4. Nell’ultima parte del secolo scorso sono avvenuti sviluppi particolarmente interessanti: la piena operatività dei “nuovi” AT, come riformati dalla legge del 1957 – ormai decine e con un vastissimo contenzioso – ed, al contempo, l’avvio di una specifica azione processuale pubblicistica, la già ricordata application for judicial review. Dunque una complessiva funzione aggiudicatrice, articolata in due parallele funzioni a tutela di interessi di natura pubblicistica: l’una amministrativa giustiziale; l’altra prettamente giurisdizionale. In breve, con buona pace degli epigoni di Dicey, l’affermazione di una vera e propria “giustizia amministrativa”, pur con tutte le peculiarità britanniche. Quando in quel sistema sembrava ben definita una duplice tutela pubblicistica – amministrativa e giurisdizionale – è avvenuta un’ulteriore evoluzione, tuttora non conclusa. Seguendo il metodo britannico delle Commissioni indipendenti di studio e proposta (purtroppo mai veramente attecchito in Italia, con talune particolarissime eccezioni), all’inizio dello scorso decennio fu costituita una Commissione presieduta da Sir Andrew Leggat per esaminare la possibile revisione degli AT alla luce della fortunata esperienza della judicial review. Il Rapporto del 2001 (Report of the Review of Tribunals. Tribunals for Users, One System, One Service) proponeva un vero e proprio “sistema” di Tribunali indipendenti, con un Presidente nazionale nominato dal Ministro della Giustizia; articolato su due nuovi tribunali (First Tier Tribunal e Upper Tribunal) nei quali far confluire i tribunali esistenti. Dopo molte discussioni, il Parlamento ha approvato nel 2007 il Tribunals, Courts and Enforcement Act che recepisce la sostanza del Rap55 MARIO P. CHITI porto Leggat. Molti Tribunals sono stati trasferiti nei due nuovi, ora citati; altri confermati. Rimarchevole la possibilità, ad onta della razionalizzazione in due gradi generali, di istituire nuovi tribunali specializzati in particolari campi. La garanzia del nuovo “sistema” è assicurata dall’Administrative Justice and Tribunals Council con il compito di vigilare (review) l’intero sistema di giustizia amministrativa. Con la legge del 2007 gli AT sono formalmente e sostanzialmente usciti dal sistema amministrativo britannico, divenendo parte di quello che usualmente si definisce il machinery of justice; ovvero del sistema giustiziale, meglio definibile come machinery of adjudication. Nelle parole di Lord Carnwath, allora Presidente del Council ed oggi giudice della Supreme Court, i Tribunals sono divenuti “a vital but distinct part of the independent civil justice system” e i loro giudici sono “full members of the independent judiciary with full guarantees of independence”. 5. Il sistema dei nuovi Tribunals sta funzionando con successo, specie a seguito dell’entrata in funzione dei due tribunali generali, assicurando un coerente sistema di garanzie. L’Upper Tribunal ha così palesi tratti giudiziali che il già citato Lord Carnwath ha proposto di riconoscerlo formalmente per quello che in effetti è: una “Administrative Court in relation to public law generally”. Per altri commentatori è comunque improbabile che la distinzione formale tra Tribunals e corti sia abolita, anche perché inutile una volta che è stata riconosciuta una generale “adjudicative function”. Nella nuova prospettiva “it will be possible to describe tribunals as a type of courts and the courts as a type of tribunal; or, more accurately, courts and tribunals as species of adjudicative institution” (P. Cane). Pare però che il sistema britannico non riesca a fare a meno di un filtro giustiziale amministrativo. Va segnalato infatti che all’evoluzione ora ricordata degli AT si è accompagnata l’istituzione di nuovi Ispettorati interni nei dipartimenti centrali. Si tratta di organi amministrativi, privi del carattere di indipendenza, incaricati tra l’altro di esaminare gli esposti e le doglianze (complaints) nei confronti dell’amministrazione in cui sono incardinati. Gli Ispettorati sono dunque finalizzati ad assicurare buona parte della tutela amministrativa che in origine era propria 56 LA GIUSTIZIA NELL’AMMINISTRAZIONE dei Tribunals. Si tratta di un’esperienza che si riallaccia ad una delle più antiche forme di controllo amministrativo “interno”, nota in particolare nell’ordinamento francese; ma con le particolarità, tipiche del Regno Unito, del rispetto dei principi procedurali di natural justice, da un lato; e dell’influenza di modelli manageriali di soluzione delle questioni controverse, denominata “proportionate dispute resolution”, dall’altro. Vedremo in futuro quale sarà la loro importanza per la tutela degli interessati. 6. Per il giurista italiano l’evoluzione ora ricordata è di particolare interesse perché indica come il sistema di judicial review, positivamente funzionante ed effettivo (ad onta della recente istituzione), anziché essere anticipato da una fase di natura amministrativa giustiziale, ha finito per “catturare” tale fase quasi come un primo grado semi-giurisdizionale, in cui al nuovo rilievo delle questioni giuridiche si affianca l’apprezzamento del merito delle questioni controversie. Quest’ultimo punto è rilevante in quanto nel periodo di maggiore sviluppo degli AT pareva sostenibile una funzione giustiziale “senza il diritto”, tanto il merito aveva assunto piena centralità. Oggi, evidentemente non è così per la “giuridicizzazione” dei Tribunali ed anche per questo il “judicial review of tribunal decisions is intended to become a rarity” (C. Harlow). Ne consegue una domanda di fondo: il sistema britannico, che ha avuto la più compiuta esperienza di organi amministrativi quasi giudiziali sino a quando non si è sviluppata una particolare “giustizia amministrativa”, indica forse che ad una duplice tutela amministrativa e giurisdizionale è preferibile un perfezionamento/ampliamento della tutela giustiziale istituendo organismi particolari, specializzati, quali i nuovi AT, parte formale e sostanziale del machinery of justice, la cui differenza rispetto alle corti “is one of degree rather than kind” (P. Craig)? Gli sviluppi considerati sono così recenti che non è possibile, al momento, dare una risposta adeguata. Gli stessi giuristi britannici sono cauti nell’interpretazione dello scenario ora delineato. Va aggiunto che altre riforme da ultimo intervenute sulla procedura di judicial review indicano una possibile ulteriore tendenza (che ancor più necessita di prossima ponderazione): si tratta dei provvedimenti per deflazionare il 57 MARIO P. CHITI numero delle applications al giudice – peraltro irrisorie rispetto ai numeri italiani – attraverso una serie di misure che sono state fortemente osteggiate, specie dal mondo scientifico e legale, in quanto ingiustamente restrittive del diritto di difesa, uno dei capisaldi del rule of law. Si è infatti inciso sulle spese di giustizia (ancora più onerose), sul sistema di autorizzazione/leave al ricorso (ristretta), sui termini per presentare i ricorsi (scorciati), sul carattere collegiale di molti procedimenti (con preferenza al monocratico), sulla forma delle sentenze (semplificate), e così via. Novità non certo estranee a politiche similari seguite dalle nostre istituzioni nell’ultimo periodo. 7. Nell’insieme, dunque, la tutela nei confronti del pubblico potere si articola oggi nel Regno Unito su tre vie: a) tutela amministrativa vera e propria, con le istanze (complaints) presentate ai vari commissari civici (Ombudsman) competenti per settore; oppure agli Ispettorati interni di recente istituzione; b) tutela quasi giudiziale, con i ricorsi agli AT, sostanzialmente primo grado del machinery of adjudication; c) tutela giurisdizionale, con le applications for judicial review, nei limiti alquanto ristretti in cui sono ammissibili. Considerato che AT e corti formano ormai un insieme largamente unitario, ove gli AT rappresentano dei “sostituti delle corti”, si conferma la tesi inizialmente espressa che l’esperienza degli AT non possa più essere un punto di riferimento per riforme italiane finalizzate a recuperare una giustizia nell’amministrazione con figure e procedure distinte da quelle giurisdizionali. Ma il caso britannico indica altresì che permane importante la tutela amministrativa; non soltanto tramite la sempre vitale figura degli ombudsman, ma pure con i recenti Ispettorati interni. Ragione vorrebbe che si continuasse a seguire con il giusto interesse le sempre stimolanti vicende di oltre Manica, senza però che gli “orfani” degli Administrative Tribunals tornassero a proporre le più recenti procedure e figure dell’amministrazione giustiziale, come gli Ispettorati, quale una panacea per i nostri problemi. 58 IL RIPENSAMENTO DEL RICORSO AMMINISTRATIVO PREVIO IN GERMANIA Cristina Fraenkel-Haeberle SOMMARIO: 1. Genesi del ricorso amministrativo previo. - 2. Disciplina del ricorso amministrativo previo. - 3. Verso un ripensamento del ricorso amministrativo previo. - 4. Le ragioni del ripensamento del ricorso amministrativo previo. - 5. Le sperimentazioni effettuate a livello dei Länder per verificare la tenuta del ricorso amministrativo previo. - 6. Considerazioni di sintesi. 1. Genesi del ricorso amministrativo previo La nascita della giustizia amministrativa viene abitualmente ricondotta negli Stati tedeschi al 1863, quando nel Land Baden fu istituita la prima Corte amministrativa1. All’inizio del XIX secolo viene invece fatta risalire la previsione di ricorsi interni all’amministrazione. In precedenza si era, infatti, affermato il principio secondo cui erano i tribunali ordinari a doversi pronunciare anche nelle controversie di cui era parte l’amministrazione2. A partire dal XIX sec. si registra invece una progressiva contrazione di tale forma di tutela giurisdizionale e un potenziamento dei rimedi interni, riconducibili al genus dell’Administrativjustiz. Tale fenomeno può essere associato agli sviluppi della dogmatica giuridica, che nel diciannovesimo secolo pare iniziare a distinguere 1 Legge del 5.10.1863, bad. Reg.-Bl. 1963, p. 399 ss. Per l’analisi del ricorso amministrativo previo si rinvia alla manualistica e ai commentari di uso corrente e in particolare a H. MAURER, Allgemeines Verwaltungsrecht, XVIII ed., München, 2011; F. HUFEN, Verwaltungsprozessrecht, VIII ed., München, 2011; H.-P. BULL, V. MEHDE, Allgemeines Verwaltungsrecht mit Verwaltungslehre, VIII ed., Karlsruhe, 2009; H.U. ERICHSEN et al. (a cura di), Allgemeines Verwaltungsrecht, Berlin-Boston 2010; F.J. PEINE, Allgemeines Verwaltungsrecht, XI ed., Karlsruhe, 2015. 2 Si veda più estesamente G. SYDOW, S. NEIDHARDT, Verwaltungsinterner Rechtschutz, Baden-Baden, 2007, p. 23 ss. Il volume riporta un’analisi comparativa dei rimedi giustiziali nell’ordinamento tedesco, britannico, francese e comunitario. CRISTINA FRAENKEL-HAEBERLE meglio e a contrapporre più nettamente la dimensione giuspubblicistica da quella privatistica, erodendo nei confronti della pubblica amministrazione l’unitarietà del concetto di “diritti” dei privati. Il modello era quello napoleonico che, in esito alla rivoluzione francese, aveva mostrato una marcata sfiducia nei confronti del conservatorismo dei giudici, propugnando una teoria dello Stato fondata sull’affermazione netta del principio della divisione dei poteri, da intendersi come vera e propria “separazione”. L’analisi dei ricorsi amministrativi dell’inizio del XIX secolo evidenzia come fossero rimedi scarsamente formalizzati e poco efficaci. Si trattava di procedure defatiganti che prevedevano fino a cinque istanze di riesame. Il procedimento si svolgeva prevalentemente in forma scritta ed era poco regolamentato. Inoltre le autorità preposte alla decisione del ricorso non godevano di garanzie di indipendenza e di inamovibilità. Sempre più pressante si faceva l’esigenza di una disciplina legislativa dei ricorsi amministrativi che prevedesse garanzie minime di tutela, come il principio del contraddittorio e la non identità tra amministrazione autrice del provvedimento e autorità chiamata a decidere il ricorso. Nel Land Baden tale legge fu adottata nel 1833. Essa prevedeva termini perentori per l’adozione della decisione, l’effetto sospensivo del ricorso, il diritto di accesso, il principio del contradditorio e un obbligo di motivazione per l’amministrazione. Nel Württemberg fu adottata nel 1855 una disciplina analoga. Questi ricorsi riguardavano però solo l’attività in cui lo Stato risultava “titolare di diritti patrimoniali”3 e non gli atti autoritativi4. Dopo l’unificazione della Germania, avvenuta nel 1871, il Reich tedesco tentò di stabilire garanzie minime di tutela, cercando di promuovere un’effettiva distinzione tra amministrazione attiva e amministrazione contenziosa. Esemplare è stato ritenuto il ruolo del Geheimer Rat nel Land Württemberg che svolgeva una funzione paragiurisdizionale, esercitando un sindacato in mera legittimità. Anche all’interno del Consiglio di Stato bavarese fu introdotta la distinzione tra funzione consultiva e giustiziale mediante l’istituzione di un’apposita commissione, i 3 4 60 Württembergisches Verwaltungsrechtsmittelgesetz (1885), Art. 1. G. SYDOW, S. NEIDHARDT, op. cit., p. 28 s. IL RIPENSAMENTO DEL RICORSO AMMINISTRATIVO PREVIO IN GERMANIA cui membri venivano denominati “giudici” e le cui decisioni si chiamavano Erkenntnisse (sentenze)5. Nella Costituzione della Paulskirche (1848), mai entrata in vigore, viene per la prima volta codificato il principio dell’indefettibilità della tutela giurisdizionale anche in ambito amministrativo: “Die Verwaltungsrechtspflege hört auf. Über alle Rechtsverletzungen entscheiden die Gerichte” (I rimedi giustiziali hanno fine. Tutte le lesioni giuridiche sono affidate alla decisione dei tribunali), anche se con “tribunali” s’intendeva a quei tempi il giudice ordinario. Nel 1863 vennero invece istituiti i primi Tribunali amministrativi nel Land Baden. Seguirono poi i tribunali amministrativi prussiani, dell’Assia e l’istituzione della Corte amministrativa austriaca nel 1875. Tali tribunali furono introdotti nel 1900 in Sassonia come ultimo Land tedesco. Almeno in ultima istanza le controversie dovevano essere decise da un giudice amministrativo6. Con l’avvento della Repubblica fu istituito nel 1941 il Reichsverwaltungsgericht (Tribunale amministrativo del Reich) durante il regime nazista, anche se con competenze fortemente limitate. Nel dopoguerra si giunse infine nel 1960 al varo dell’ordinamento (federale) del processo amministrativo (Verwaltungsgerichtsordung – VwGO)7, contenente una disciplina del ricorso amministrativo previo (Vorverfahren) come requisito di ammissibilità dell’azione di impugnazione e di adempimento. È stata successivamente varata nel 1976 la legge sul procedimento amministrativo (Verwaltungsverfahrensgesetz – VwVfG)8, contenente ai §§ 79 e 80 disposizioni integrative della disciplina del ricorso. 2. Disciplina del ricorso amministrativo previo L’inquadramento del ricorso interno all’amministrazione come ricorso amministrativo previo al ricorso giurisdizionale e la sua disciplina 5 IBIDEM, p. 29 s. IBIDEM, p. 31 s. 7 In vigore nel testo pubblicato il 19.3.1991 (BGBl. I, p. 686), da ultimo modificato dall’art. 5 della legge del 10 ottobre 2013 (BGBl. I, p. 3786). 8 In vigore nel testo pubblicato il 23 gennaio 2003 (BGBl. I, p. 102), da ultimo modificato dall’art. 3 della legge del 25 luglio 2013 (BGBl. I, p. 2749). 6 61 CRISTINA FRAENKEL-HAEBERLE all’interno della VwGO si spiegano in considerazione del particolare assetto delle competenze tra la Federazione e i Länder tedeschi9. In virtù di ciò la legge sul procedimento amministrativo ne prevede unicamente una disciplina minimale. La VwGO contiene invece una regolamentazione assai dettagliata del ricorso amministrativo ai §§ 68-73. Ad essa rinvia la legge sul procedimento amministrativo10 che disciplina inoltre la ripartizione dell’onere delle spese11. Questa bipartizione normativa si spiega considerando la “doppia natura” del ricorso amministrativo, che si configura come un rimedio giustiziale e contemporaneamente come un requisito di ammissibilità di un’azione di impugnazione o di adempimento in presenza di una decisione di diniego dell’amministrazione. Conseguentemente il ricorso amministrativo è considerato in dottrina come una “prosecuzione del procedimento amministrativo”12 e contemporaneamente come un presupposto necessario per l’esperimento di un ricorso giurisdizionale13. L’assetto normativo si presenta quindi assai composito. La legge sul procedimento amministrativo rinvia per tutti i “rimedi formali” alla VwGO e alle disposizioni attuative di tale legge. La legge sul procedimento amministrativo si applica a titolo residuale. Vengono quindi in rilievo innanzitutto le norme federali sul processo amministrativo e le disposizioni di esecuzione delle stesse a livello dei Länder. Si applicano in secondo luogo il § 79 VwVfG e a titolo sussidiario le disposizioni delle leggi dei Länder. La normativa è infine integrata dalle norme generali sul processo amministrativo, cioè dal § 40 VwGO relativo alla competenza dei tribunali amministrativi e il § 42 VwGO inerente alla legittimazione ad agire14. 9 Art. 74, c. 1, n. 1 GG (procedimento giudiziario). La competenza legislativa sul procedimento amministrativo non è espressamente prevista a livello costituzionale e si ricava dall’analisi congiunta di varie disposizioni tra cui l’art. 84, c. 1 GG e il § 1 VwVfG. Per la traduzione italiana della legge (federale) tedesca sul procedimento amministrativo si rinvia a D.-U. GALETTA, La legge tedesca sul procedimento amministrativo (Verwaltungsverfahrensgesetz), Milano, 2002. 10 § 79 VwVfG. 11 § 80 VwVfG. 12 E. EYERMANN, VwGO Kommentar, XIII ed., München, 2010, § 68, Rn. 1. 13 H.-J. KNACK, H.-G. HENNEKE, VwVfG Kommentar, X ed., Köln, 2014, § 79, Rn. 18. 14 H. MAURER, op. cit., p. 265. 62 IL RIPENSAMENTO DEL RICORSO AMMINISTRATIVO PREVIO IN GERMANIA Il ricorso amministrativo “standard” è disciplinato come segue. Chi si ritiene leso nei propri diritti da un provvedimento amministrativo o dal diniego di un provvedimento ampliativo può proporre ricorso entro un mese dalla comunicazione del provvedimento oppure in presenza di un’erronea indicazione dei mezzi di impugnazione nel termine di un anno15. È innanzitutto l’amministrazione che ha adottato la decisione a dover riesaminare il provvedimento. Se ritiene il ricorso fondato, lo accoglie con una Abhilfeentscheidung16. Altrimenti devolve la controversia al superiore gerarchico (Widerspruchsbehörde)17, che effettua un riesame sia di legittimità sia di merito del provvedimento18. Il modello standard è in sintesi rappresentato da un ricorso gerarchico con sospensione automatica dell’efficacia del provvedimento ed effetto devolutivo19. Sono però previste eccezioni nei casi in cui il superiore gerarchico sia una massima autorità del Land. In tali situazioni la decisione sul ricorso è adottata dall’amministrazione che ha emanato il provvedimento. Lo stesso vale nel caso in cui il provvedimento venga adottato da un’amministrazione autonoma, ad esempio da un comune, un circondario o un consorzio di scopo20. Il ricorso amministrativo è altresì escluso per legge contro i provvedimenti delle massime autorità amministrative (come ad esempio del presidente della Repubblica, del Governo federale, dei singoli Ministri, della Corte dei Conti, dei vertici della Bundesbank), come organi dotati di particolare competenza tecnica e autorevolezza, per cui si ritiene che si debba soprassedere da un riesame in sede amministrativa21, nonché – per evidenti ragioni di economia procedimentale – nel caso in cui la decisione su un ricorso contenga un’autonoma lesione22. Non è quindi possibile esperire un ricorso su una que15 §§ 58, 70 II VwGO. § 72 VwGO. 17 § 73 VwGO. 18 H. MAURER, op. cit., p. 267. 19 E. EYERMANN, op. cit., § 69, Rn. 1. 20 IBIDEM, § 73, Rn. 3. 21 M. REDEKER, H.-J. VON ÖRTZEN, op. cit., § 68, Rn. 12. 22 Fino alla novella del 1997 (6. AndGVwGO dell’1.11.1996, BGBl. I, p. 1626) l’autonoma lesione doveva esplicarsi nei “confronti di un terzo”, mentre secondo il testo vigente essa può riguardare anche il ricorrente. La novella ha anche modificato il 16 63 CRISTINA FRAENKEL-HAEBERLE stione che è già stata oggetto di un ricorso amministrativo. Il ricorso non è ammissibile se il provvedimento ha esaurito i propri effetti prima della presentazione del ricorso. In tal caso è data la possibilità di proporre direttamente in sede giurisdizionale “un’azione di accertamento in prosecuzione” (Fortsetzungsfeststellungsklage) finalizzata ad ottenere un ristoro per equivalente, una volta accertata l’illegittimità della decisione lesiva23. Nei rapporti di pubblico impiego è invece sempre prescritta l’interposizione di un ricorso amministrativo prima di poter adire il giudice24. Il favor nei confronti di questo tipo di ricorso è anche dimostrato dal fatto che, mentre i costi del ricorso amministrativo seguono il criterio della soccombenza25, tranne nei casi in cui l’amministrazione sani a posteriori i vizi del provvedimento26, un’eccezione vige nei casi in cui una controversia verta su un rapporto di pubblico impiego o su un obbligo di servizio. In questo caso la spesa è comunque imputabile all’amministrazione27. La logica del legislatore è quella di incentivare comunque un riesame da parte dell’amministrazione di questo genere di decisioni. In base a quanto appena esposto si possono distinguere quattro forme archetipiche a cui è ascrivibile il ricorso amministrativo tedesco. Viene innanzitutto in rilievo il modello del ricorso in opposizione (Petitionsmodell), che entra in gioco nei casi previsti dalla legge oppure qualora l’amministrazione che ha adottato la decisione accolga il ricorso (Abhilfeentscheidung); il secondo modello è quello del ricorso gerarchico o appellatorio (Widerspruchsverfahren), ove l’autorità sovraordinata ha modo di influire concretamente sull’operato dell’amministrazione che aveva adottato la decisione originaria; parimenti previso dalla § 70 VwGO. Secondo il disposto attuale se la decisione adottata in esito al ricorso risulta lesiva per il ricorrente oppure per un terzo, questo deve essere precedentemente ascoltato. 23 E. EYERMANN, op. cit., § 68, Rn. 4. 24 Ai sensi del § 126, c. 2 BBG; cfr. anche H. MAURER, op. cit., p. 268. 25 § 80 VwVfG. 26 § 45 VwVfG. 27 H.-J. KNACK, H.-G. HENNEKE, op. cit., § 80, Rn. 27 e 33. 64 IL RIPENSAMENTO DEL RICORSO AMMINISTRATIVO PREVIO IN GERMANIA legge sul processo amministrativo28 è il modello collegiale di origine prussiana29, in cui la decisione è affidata ad una commissione di ricorso (Widerspruchsausschuss), istituita in ogni circondario, dotata di particolare competenza tecnica e composta sia da giuristi sia da esponenti delle categorie interessate. Questo modello è diffuso in Renania Palatinato, nel Saarland e ad Amburgo30. La procedura ha carattere semigiurisidizionale, i membri della commissione operano in piena indipendenza e la decisione è adottata in seguito ad un’udienza pubblica. Il quarto e ultimo modello prevede l’abolizione dei rimedi formalizzati all’interno dell’amministrazione e il deferimento diretto della controversia al giudice amministrativo. Entro così nel cuore della trattazione, incentrata sull’analisi della recente espansione di questa soluzione che tende sempre più a ridimensionare la portata dei rimedi giustiziali31. 3. Verso un ripensamento del ricorso amministrativo previo Come si è detto, il ricorso amministrativo previo – essendo attratto nella disciplina processuale – rientra nella “potestà legislativa concorrente” della Federazione32. In base a questa modalità di riparto delle competenze una volta che la Federazione abbia disciplinato una determinata materia, questa rimane preclusa al legislatore del Land. La norma che ha funto da cavallo di Troia inducendo un ripensamento del ricorso amministrativo previo a livello dei Länder è rappresentata dalla cosiddetta “clausola di apertura” (Öffnungsklausel), di cui al § 68 c. 1 VwGO. In base ad essa i Länder possono abolire il ricorso amministra28 § 73 c. 2 VwGO. Ci si riferisce alle commissioni tributarie prussiane (Preußische Steuerkommissionen). Dalla metà del XIX sec. vari Länder avevano, infatti, affidato i ricorsi amministrativi ad apposite commissioni, esterne alla gerarchia amministrativa. Questi organi operavano soprattutto nell’ambito del diritto tributario, industriale e sociale. I loro membri erano esperti, esponenti della categoria interessata, fatto che permetteva di confidare nell’imparzialità del loro giudizio (cfr. G. SYDOW, S. NEIDHARDT, op. cit., p. 30). 30 E. EYERMANN, op. cit., § 73, Rn. 6. 31 G. SYDOW, S. NEIDHARDT, op. cit., p. 144 ss. 32 Art. 74, c. 1, n. 1 GG. 29 65 CRISTINA FRAENKEL-HAEBERLE tivo previo per tutti i procedimenti adottati sia in attuazione del diritto federale sia in attuazione del diritto del Land. Negli anni ’90, sulla scia della modernizzazione dell’amministrazione, della deregulation e dello smantellamento della burocrazia, sono state introdotte varie riforme finalizzate a velocizzare i procedimenti amministrativi. Inoltre, la sesta legge di modifica della VwGO del 199633 ha abrogato l’inciso per cui l’abolizione del ricorso amministrativo previo poteva essere effettuata con legge del Land solo “per casi particolari” (für besondere Fälle), generalizzando così la portata della deroga. Questo concetto giuridico indeterminato era stato precedentemente oggetto di interpretazione da parte del Tribunale costituzionale federale nel suo leading case sull’argomento del 197334. Il Bundesverfassungsgericht vi aveva statuito che “casi particolari” andavano intesi come “particolari materie”. Caduto questo inciso la letteratura si è divisa tra chi ritiene che non ci sia più alcun limite all’abolizione del ricorso amministrativo da parte delle leggi dei Länder e chi invece sostiene – anche sulla scorta dei lavori preparatori della novella legislativa – che l’esclusione del ricorso amministrativo richieda una particolare giustificazione e debba riguardare settori determinati, ad esempio i procedimenti di autorizzazione, ove la situazione di fatto e di diritto è vagliata con tale accuratezza nell’ambito del procedimento amministrativo da rendere superfluo un successivo riesame35. Il ricorso amministrativo previo è inoltre escluso con legge federale nel procedimento amministrativo formale (förmliches Verfahren)36 e per le decisioni adottate nell’ambito di un procedimento di formazione e deliberazione dei piani urbanistici (Planfeststellungsverfahren)37, per le decisioni adottate dall’organo preposto al vaglio degli scritti nocivi 33 Sechstes Gesetz zur Änderung der Verwaltungsgerichtsordnung (6. AndGVwGO dell’1.11.1996, BGBl. I, p. 1626). Tale legge ha inoltre indebolito il ricorso amministrativo sul piano dell’effetto sospensivo, essendo ora consentita la sua esclusione anche attraverso una legge del Land. 34 Ordinanza del 9.3.1973, BVerfGE 35, 65 (75 ss.), in BayVBl., 1973, p. 462 ss. 35 BT-DR 13/5098 del 26.6.1996, p. 19, 23; T. HOLZNER, Die Abschaffung des Widerspruchsverfahrens, in DÖV, 2008, p. 224. 36 § 70 VwVfG. 37 § 74, c. 1 VwVfG. 66 IL RIPENSAMENTO DEL RICORSO AMMINISTRATIVO PREVIO IN GERMANIA per la gioventù38, a causa della sua composizione collegiale e della sua particolare competenza tecnica39, nonché nell’ambito di una procedura di asilo che deve seguire particolari formalità40. Esso viene generalmente ritenuto superfluo in caso di decisioni adottate da organi collegiali, che offrono maggiori garanzie di ponderazione delle varie implicazioni di una questione rispetto agli organi monocratici, nonché per le decisioni amministrative vincolate e in casi di urgenza41. Vi sono anche casi in cui l’eliminazione del ricorso è esclusa dalla giurisprudenza. Il Tribunale costituzionale federale42 considera costituzionalmente imprescindibile un ricorso amministrativo previo nel caso di procedure di esami, trattandosi di un settore in cui l’amministrazione dispone di uno spazio di valutazione insindacabile da parte del giudice (cosiddetto Beurteilungsspielraum). In tali e in simili situazioni la riduzione dell’intensità della tutela giurisdizionale (della cosiddetta Kontrolldichte), deve essere compensata da un più attento riesame amministrativo delle decisioni adottate43. In particolare vi sono procedure di esami che influiscono sul futuro lavorativo dell’interessato, ove viene in rilievo il diritto fondamentale alla libera scelta della professione44, fatto che richiede, secondo questo orientamento del Tribunale costituzionale, la garanzia di un riesame interno all’amministrazione45. 38 § 20 GjS. Si veda più estesamente sul punto D. DE PRETIS, Discrezionalità amministrativa e valutazioni tecniche, Padova, 1995, p. 105 f. 40 § 11 AsylVfG; cfr. M. REDEKER, H.-J. VON ÖRTZEN, op. cit., § 68, Rn. 10. 41 E. EYERMANN, op. cit., § 68, Rn. 24. 42 BVerfG, ordinanza del 17.4.1991, BVerfGE 84, 34 (45 ss.), sulla tutela dei diritti fondamenti assicurata dal procedimento amministrativo per gli esami di Stato in giurisprudenza (si veda anche BVerfGE 84, 59). 43 C. STEINBEISS WINKELMANN, Abschaffung des Widerspruchsverfahrens – ein Fortschritt?, in NVwZ, 2009, p. 692; E. EYERMANN, op. cit., § 68, Rn. 10. 44 Art. 12, c. 1 GG. Si tratta delle cosiddette “berufsbezogene Prüfungsentscheidungen“. 45 Si veda più estesamente I. HÄRTEL, Rettungsanker für das Widerspruchsverfahren, in VerwArch, 2007, p. 66; M. REDEKER, H.-J. VON ÖRTZEN, op. cit., § 68, Rn. 1b. 39 67 CRISTINA FRAENKEL-HAEBERLE 4. Le ragioni del ripensamento del ricorso amministrativo previo In Germania la tendenza all’abolizione del ricorso amministrativo riguarda unicamente il diritto amministrativo generale e non interessa le altre due giurisdizioni speciali di diritto pubblico, cioè la giurisdizione sociale e quella finanziaria. Anche se a partire dagli anni ’50 si discute sull’unificazione del processo di diritto pubblico, su cui anche l’Università di Speyer aveva a suo tempo elaborato una proposta sotto la direzione di Carl Hermann Ule46, seguita a partire dal 1978 da varie proposte governative, non pare che tale riforma della giustizia sia prossima a venire. Anche nel 2005 era stata prospettata una “große Justizreform” che presupponeva sia un’unificazione del diritto processuale, sia un accorpamento delle tre giurisdizioni di diritto pubblico. Pure questo progetto non ha avuto alcun esito ed è stato accantonato47. Dal 1960 la VwGO prescrive lo svolgimento del ricorso amministrativo previo come presupposto di ammissibilità dell’azione di impugnazione e di adempimento. Nel 1965 ci si è ispirati a tale normativa nell’elaborazione della legge sul processo finanziario (Finanzgerichtsordnung – FGO). Originariamente il codice sociale (Sozialgesetzbuch – SGB) del 1953 prevedeva il ricorso amministrativo solo in singoli settori. Esso è stato generalizzato nel 1974 ed esteso a tutte le controversie. Il ricorso amministrativo presenta quindi una lunga tradizione in tutte e tre le giurisdizioni e continua ad essere pienamente in auge nell’amministrazione sociale e finanziaria. Nell’amministrazione finanziaria assume eminente rilievo l’esigenza di disporre di un filtro interno al46 Sulla storia della bozza cfr. J. MEYER-LADEWIG, Zur Aktualität einer einheitlichen Verwaltungsprozessordung, in D. MERTEN (a cura di), Justizreform und Rechtstaatlichkeit, Forschungssymposium anlässlich des 100. Geburtstages von Carl Hermann Ule, Schriftenreihe der Hochschule Speyer, 2009, p. 63 ss. 47 Cfr. più in dettaglio O. STEINBEISS-WINKELMANN, G. OTT, Das Widerspruchsverfahren als Voraussetzung des Gerichtszugangs in VwGO, FGO, SGG, in NVwZ, 2001, p. 914 ss. Anche l’impianto normativo non è omogeneo. In ambito finanziario la legge sul procedimento (Abgabenordnung – AO) contiene una disciplina più dettagliata del VwVfG, mentre risulta più concisa la normativa contenuta nel codice processuale (Finanzgerichtsordnung – FGO). In ambito sociale la ripartizione tra codice sociale (Sozialgesetzbuch – SGB) e codice del processo sociale (Sozialgerichtsordnung – SGG) è simile a quella prevista dal diritto amministrativo generale. 68 IL RIPENSAMENTO DEL RICORSO AMMINISTRATIVO PREVIO IN GERMANIA l’amministrazione, anche per ovviare alle deprecate incoerenze della legislazione fiscale. Lo stesso vale per l’amministrazione e la giurisdizione sociale, che parimenti verte su procedimenti di massa, in gran parte automatizzati, ove il margine di errore è elevato. Nel diritto finanziario è predominante l’utilizzo del ricorso in opposizione, cioè la decisione del ricorso è prevalentemente adottata dall’amministrazione che ha emanato il provvedimento (principio della Selbstkorrektur). Nel diritto sociale prevale invece il modello del ricorso gerarchico (principio della Fremdkorrektur)48. Le funzioni del ricorso amministrativo previo vengono ricondotte dalla dottrina tedesca a tre tipologie fondamentali: quella dell’autotutela amministrativa (Selbstkontrolle), in virtù del potere correttivo attribuito all’amministrazione che si ritiene possa migliorare la qualità dell’azione amministrativa; il potenziamento della tutela individuale, trattandosi di un rimedio più semplice ed economico per il cittadino rispetto ad un ricorso giurisdizionale che consente anche un riesame di merito del provvedimento; la riduzione del carico di lavoro gravante sul giudice amministrativo49. Nonostante queste importanti funzioni connesse al ricorso amministrativo, come si accennava precedentemente, da alcuni anni tale rimedio pare essere ormai caduto vittima del mito della modernizzazione e della semplificazione dell’azione amministrativa. Le ragioni addotte per suffragare la scarsa utilità di questo strumento giustiziale sono di varia natura. C’è chi sostiene la tesi che i rimedi amministrativi interni abbiano l’unico scopo di incoraggiare l’amministrazione ad agire con faciloneria e a non preparare la propria decisione con la necessaria accuratezza ed attenzione50. In sostanza il ricorso amministrativo previo non avrebbe altro scopo che quello di alleggerire la mole di lavoro gravante sull’amministrazione procedente. Ad esempio, la motivazione del provvedimento verrebbe solo abbozzata nel procedimento iniziale, per essere poi corretta e resa inattaccabile davanti al giudice nei casi in cui venga proposto un ricorso amministrativo. Anche le valutazioni discrezio48 In considerazione di ciò il ricorso è denominato rispettivamente Einspruch (AO, FGO) e Vorverfahren (SGB, SGG). 49 H. MAURER, op. cit., p. 266. 50 G. SYDOW, S. NEIDHARDT, op. cit., p. 14. 69 CRISTINA FRAENKEL-HAEBERLE nali poste a suffragare una decisione verrebbero integrate e precisate in tale sede51. Alla dequotazione del ricorso amministrativo avrebbe altresì contribuito la riformulazione del § 45 VwVfG che ha notevolmente ampliato la possibilità di sanare i vizi del provvedimento fino al giudizio amministrativo di secondo grado, nonché la facoltà, riconosciuta all’amministrazione, sempre dalle disposizioni acceleratorie del 1996, di integrare le proprie valutazioni discrezionali anche nel corso del processo. La discussione in quest’ambito è motivata anche da considerazioni economiche, poiché si afferma che il contributo richiesto al ricorrente copra al massimo il 10% dei costi del procedimento52. Infine l’abolizione del ricorso si giustifica con l’esigenza di attuare un’opportuna razionalizzazione dell’attività amministrativa, attribuendo a un unico organo il compito di effettuare la concreta ponderazione degli interessi. Anche il riesame del merito del provvedimento lascerebbe a desiderare, vista la propensione dell’amministrazione a effettuare un mero vaglio di legittimità allo scopo di rendere inattaccabile il provvedimento dinanzi al giudice amministrativo53. Più che “autotutela” si sarebbe in presenza di un atto di “autodifesa”54. Conseguentemente questo rimedio giustiziale rappresenterebbe un mero doppione del sindacato giurisdizionale. A questo proposito si sono levate voci in dottrina55 che auspicano la sostituzione del ricorso con la mediazione. Anche in Germania è, infatti, assai dibattuto il tema dell’alternative dispute resolution (ADR). Il ricorso amministrativo previo che affida il riesame del provvedimento all’amministrazione gerarchicamente sovraordinata si ritiene che debba ormai lasciare il passo alla logica partecipativa e consensuale. La mediazione, già nota in Germania nel diritto di famiglia, del lavoro e ambientale, ha iniziato solo recentemente a prendere piede come modalità di risoluzione delle controversie in ambito amministrativo. Allo scopo 51 § 114, c. 2 VwGO. G. SYDOW, S. NEIDHARDT, op. cit., p. 41. 53 T. HOLZNER, op. cit., p. 222. 54 G. SYDOW, S. NEIDHARDT, op. cit., p. 15. 55 Cfr. per tutti la testi di dottorato di S. VETTER, Mediation und Vorverfahren, Berlin, 2004. 52 70 IL RIPENSAMENTO DEL RICORSO AMMINISTRATIVO PREVIO IN GERMANIA di promuovere una maggiore accettazione delle decisioni amministrative e quindi di favorire l’adozione di soluzioni condivise si è proposta l’introduzione standardizzata della mediazione in luogo del ricorso amministrativo (mediatives Vorverfahren)56. È stata anche recentemente varata la legge federale sulla mediazione del 12.7.201257. Secondo il disposto di tale legge (art. 1), gli elementi caratteristici della mediazione sono il suo carattere confidenziale, il percorso strutturato, la neutralità del mediatore/dei mediatori e l’autonomia delle parti che si assumono volontariamente e responsabilmente l’onere di addivenire ad una soluzione consensuale di una controversia. Anche se la mediazione si chiude con un accordo, questo non è giuridicamente vincolante per l’amministrazione58. È necessario che i risultati della mediazione vengano inseriti nel procedimento amministrativo, acquistando efficacia mediante la loro trasposizione nel provvedimento amministrativo o in un accordo di diritto pubblico59. 56 Cfr. R. PITSCHAS, Mediation als kollaborative Governance, in DÖV, 2011, p. 333 ss.; A. GUCKELBERGER, Einheitliches Mediationsgesetz auch für verwaltungsrechtliche Konflikte, in NVwZ, 2011, p. 390 ss.; U. BATTIS, Mediation in der Bauleitplanung, in DÖV, 2011, p. 340 ss. 57 BGBl. I, p. 1577; in attuazione della direttiva 2008/52/CE sulla mediazione in materia civile e commerciale avente un impatto transfrontaliero, estesa dal legislatore tedesco anche a controversie aventi un mero rilievo nazionale, oltre che a quelle di diritto amministrativo. 58 Cfr. sul punto più estesamente A. GUCKELBERGER, op. cit., p. 390. L’autrice distingue tra mediazione extragiudiziale e mediazione giudiziale. Quest’ultima è svolta durante il processo anche se da un giudice esterno al collegio giudicante. Ai sensi del § 173 VwGO che rinvia al § 278 ZPO le parti possono altresì proporre una “gerichtsnahe Mediation” (esterna al tribunale, ma effettuata durante la pendenza del processo) che quindi si differenzia dalla menzionata “gerichtsinterne Mediation”. 59 I. HÄRTEL, Rettungsanker für das Widerspruchsverfahren, in VerwArch, 2007, p. 71. 71 CRISTINA FRAENKEL-HAEBERLE 5. Le sperimentazioni effettuate a livello dei Länder per verificare la tenuta del ricorso amministrativo previo A partire dagli anni ’90 del secolo scorso, in esito a ripetuti interventi legislativi, sia la necessità di anteporre un ricorso amministrativo a quello giurisdizionale sia l’effetto sospensivo del ricorso hanno dovuto fare i conti con un numero crescente di deroghe. Lo “Stato snello” – propagato dal governo Schröder – si proponeva in questo modo di rendere meno obsoleta, rigida e farraginosa la tutela amministrativa, favorendone la flessibilità, rapidità, riservatezza e specializzazione. Si sono quindi avviate varie sperimentazioni per stabilire se e in quali settori ci fosse un’effettiva necessità del ricorso amministrativo60. L’esempio più conosciuto e commentato in letteratura61 è rappresentato dal progetto avviato in Baviera nel distretto della Media Franconia, ove la legge bavarese62 ha stabilito nel 2004 che per due anni il ricorso venisse abolito sperimentalmente, tranne che per le procedure di esame. Già precedentemente la Baviera aveva eliminato nel 1970 il Vorverfahren in materia edilizia per poi reintrodurlo tre anni dopo, a causa dell’incremento esponenziale delle controversie pendenti dinanzi ai tribunali amministrativi63. Anche nelle procedure di asilo negli anni ’90 il ricorso amministrativo era stato progressivamente eliminato.64 60 Per una trattazione analitica delle sperimentazioni avviate nei Länder tedeschi si rinvia a G. BEAUCAMP, P. RINGERMUTH, Empfiehlt sich die Beseitigung des Widerspruchsverfahrens?, in DVBl, 2008, p. 426 ss.; H. BIERMANN, Das Widerspruchsverfahren unter Reformdruck, in DÖV, 2008, p. 395 ss.; C. STEINBEISS WINKELMANN, Abschaffung des Widerspruchsverfahrens – ein Fortschritt?, in NVwZ, 2009, p. 686 ss.; M. REDEKER, H.-J. VON ÖRTZEN, op. cit., § 68, Rn. 11. 61 Si veda per tutti S. MÜLLER GRÜNE, Abschaffung des Widerspruchsverfahrens – Ein Bericht zum Modellversuch in Mittelfranken, in VBl., 2007, p. 65 ss.; J. UNTERREITMEIER, Die Neuregelung des Widerspruchsverfahrens in Bayern, in BayVbl., 2007, p. 609 ss. 62 Bayerisches Gesetz zur Ausführung der Verwaltungsgerichtsordnung (Bay.AGV wGO), art. 15. 63 Ai sensi del § 1 della legge di semplificazione delle norme amministrative (Gesetz zur Vereinfachung verwaltungsrechtlicher Vorschriften) del 27.10.1970 (GVBl. p. 469). 64 T. HOLZNER, op. cit., p. 219. 72 IL RIPENSAMENTO DEL RICORSO AMMINISTRATIVO PREVIO IN GERMANIA Il distretto della Media Franconia, presentando al suo interno sia agglomerati urbani (Norimberga, Fürth ed Erlangen), sia piccoli centri abitati e ampie aree rurali, è stato ritenuto particolarmente idoneo alla sperimentazione65. Il progetto pilota aveva lo scopo di verificare in quali settori fosse opportuno eliminare durevolmente il ricorso amministrativo, cioè in quali ambiti gli svantaggi, come l’allungamento dei processi decisionali, prevalessero sui vantaggi, cioè su una maggiore effettività della tutela. I pregi sono stati identificati con un tasso elevato di accoglimento dei ricorsi (Erfolgsquote) e con la cosiddetta funzione di appianamento delle controversie (Befriedungsfunktion)66. In esito alla sperimentazione si è accertato che le impugnazioni dei provvedimenti amministrativi non superavano una percentuale del tre per mille, anche senza ricorso amministrativo67. L’85% dei provvedimenti impugnati era riconducibile a 10 dei 151 settori oggetto della sperimentazione, tra cui rientravano il diritto del pubblico impiego e del personale giudiziario, le tariffe e i contributi speciali, l’edilizia pubblica, i contributi di urbanizzazione, le provvidenze scolastiche e il diritto dei trasporti68. In questo ambito il gruppo di lavoro incaricato della sperimentazione ha consigliato il mantenimento del ricorso amministrativo. Solo il 25% delle questioni decise su ricorso amministrativo veniva successivamente impugnato in giudizio69. La ricerca ha evidenziato una percentuale di ricorsi che si erano conclusi con una decisione di accoglimento del 51% (di cui il 36% da parte dell’amministrazione procedente). La durata media del procedimento di riesame in sede amministrativa è stata quantificata in ragione di 3,5 mesi70. La novella della legge bavarese, entrata in vigore l’1.1.2007, che ha modificato la legge di attuazione del VwGO71, ha poi previsto per alcune materie espressamente enumerate 65 Come si evince dalla motivazione addotta dal Parlamento Bavarese (Drucks. 15/145, p. 1). 66 C. STEINBEISS WINKELMANN, op. cit., p. 687. 67 Cfr. la relazione finale del progetto: ”Probeweise Abschaffung des Widerspruchsverfahrens im Regierungsbezirk Mittelfranken“, http://archive.today/7pF8p. 68 J. UNTERREITMEIER, op. cit., p. 611. 69 H. BIERMANN, op. cit., p. 400 s. 70 IBID., p. 401. 71 Bay.AGVwGO del 22.6.2007. 73 CRISTINA FRAENKEL-HAEBERLE (tariffe comunali, diritto agricolo, scolastico, sociale, del pubblico impiego e procedure di esame) un ricorso amministrativo facoltativo, abrogandolo invece completamente in tutti gli altri casi. Anche in Bassa Sassonia il ricorso amministrativo è stato quasi completamente abolito a partire dal 2005, inizialmente per un periodo sperimentale di cinque anni, tranne che in casi enumerati (diritto scolastico e procedure di esame, esami rilevanti in ambito professionale, valutazioni di servizio). Ciò ha determinato un incremento dei ricorsi giurisdizionali, soprattutto in materie come l’artigianato, il diritto funerario, il diritto delle attività produttive, della ristorazione, degli stranieri, dei trasporti, delle borse di studio72. Uno studio effettuato nel 2003 nel Land Mecklenburg-Pomerania Occidentale aveva invece rilevato che oltre l’80% delle controversie veniva appianato in sede di ricorso amministrativo. Questo Land ha successivamente previsto la possibilità del ricorso facoltativo in ambito edilizio e delle immissioni nocive, mantenendolo obbligatorio negli altri settori. Nel Land Renania del Nord-Vestfalia si è invece individuata una regione modello (Ostwestfalen-Lippe), ove si è portata avanti con legge un’offensiva per lo smantellamento della burocrazia, che ha determinato un’abolizione alquanto generalizzata del ricorso amministrativo. Altri Länder, come il Baden-Württemberg e la Sassonia-Anhalt73, hanno abolito il ricorso amministrativo nei casi in cui sussisteva un’identità tra l’autorità decidente e quella preposta alla decisione del ricorso, ritenendolo superfluo. In sintesi dopo la novella della VwGO del 1996 il ricorso amministrativo obbligatorio è stato completamente o parzialmente eliminato in dieci Länder (Assia, Amburgo, Baden-Württemberg, Baviera, Berlino, Mecklenburg-Pomerania Occidentale, Renania del Nord-Vestfalia, Sas- 72 H. BIERMANN, op. cit., p. 401. Cfr. P. SCHNEIDER, Zum Ausschluss des verwaltungsgerichtlichen Vorverfahrens in Sachsen-Anhalt bei Identität der Ausgangs- und Widerspruchsbehörde, in LKV, 2004, p. 1 ss. L’abolizione del ricorso amministrativo previo è esclusa se una legge federale lo prevede espressamente e nel caso di esami relativi ad un’attività professionale (berufsbezogene Prüfungen). 73 74 IL RIPENSAMENTO DEL RICORSO AMMINISTRATIVO PREVIO IN GERMANIA sonia, Sassonia-Anhalt, Turingia)74. Ci sono invece sei Länder che non hanno finora adottato norme abrogative del ricorso amministrativo (Brandeburgo, Brema, Renania-Palatinato, Saarland, Sassonia e Schleswig-Holstein). 6. Considerazioni di sintesi La tutela individuale nel diritto pubblico tedesco è fortemente incentrata su un sindacato giurisdizionale estremamente articolato che si declina in tre gradi di giudizio e a cui si aggiunge il ricorso per violazione dei diritti fondamentali dinanzi al tribunale costituzionale federale (Verfassungsbeschwerde). Si ritiene che questa architettura della tutela amministrativa faccia ormai parte dell’acquis national75. D’altro canto la clausola di apertura, contenuta nel codice federale del processo amministrativo76, offre ai Länder ampi spazi di differenziazione. Negli anni ’90 la spinta alla deregulation e all’efficientamento, nonché il desiderio di aumentare l’attrattiva della Germania come location economica (Standortattraktivität), semplificando e velocizzando la gestione delle controversie, hanno indotto ad un ripensamento del ricorso amministrativo, considerato un relitto storico, ormai chiamato a fare i conti con un clima di sfiducia nell’operato dell’amministrazione. In questo contesto i rimedi amministrativi obbligatori sono stati ritenuti utili unicamente là ove vengono adottate decisioni di massa e non si devono risolvere questioni giuridiche complesse (per quanto opinabile possa risultare questa classificazione), ove quindi si ha un’ampia casistica che aiuta a correggere gli errori frequenti. Si ritiene ad esempio che il settore delle tasse comunali sia un ambito privilegiato per i ricorsi amministrativi, a causa della complessità dei calcoli previsti dalla normativa di settore. Qui i ricorsi amministrativi presentano un tasso di accoglimento del 50%. Altri procedimenti con un’elevata incidenza di errori, in cui si consiglia il mantenimento del ricorso amministrativo, sono il diritto scolastico, sociale e della funzione pubblica (Beamten74 T. HOLZNER, op. cit., p. 219. G. SYDOW, S. NEIDHARDT, op. cit., p. 21. 76 § 68 VwGO. 75 75 CRISTINA FRAENKEL-HAEBERLE recht). Viceversa vi sono settori in cui i ricorsi amministrativi sono sporadici e ove non può consolidarsi una prassi amministrativa coerente, motivo per cui si dubita dell’utilità del ricorso previo. Il ricorso amministrativo ha inoltre il pregio di decongestionare l’attività dei tribunali nella trattazione di questioni di routine. L’abolizione del ricorso amministrativo obbliga invece il giudice ad occuparsi di controversie di modesto spessore giuridico o anche di errori materiali che potrebbero essere più agevolmente rimossi dall’amministrazione stessa. In considerazione dei molti pregi del ricorso amministrativo sarebbe consigliabile una sua previsione facoltativa, già parzialmente introdotta in Mecklenburg-Pomerania Occidentale e in Baviera. Ciò consentirebbe di non invertire il rapporto regola-eccezione, previsto dalla VwGO. In alternativa è stata anche proposta l’estensione della Sprungklage (ricorso per saltum), previsto dal § 45 del codice del processo finanziario (FGO)77. In questo caso il potere di adire direttamente il giudice amministrativo richiede la previa autorizzazione dell’amministrazione competente. Nessuna di queste possibilità è attualmente contemplata dalla VwGO ed è in questo senso che andrebbe operata una riforma della legge. Il ricorso amministrativo facoltativo consente al cittadino di scegliere autonomamente se avvalersi o meno di questo rimedio giustiziale, fornendo al legislatore importanti informazioni sul suo grado di accettazione e ovviando quindi anche alla necessità di nuove sperimentazioni. In conclusione si ritiene opportuna una menzione del Land RenaniaPalatinato, ove il ricorso (facoltativo) era un modello già praticato nel 1950 – prima quindi del varo della VwGO – dalla legge renana sul processo amministrativo78, e ove ora il ricorso amministrativo previo è affidato a commissioni circondariali (Kreisrechtsausschüsse) indipendenti, presiedute da un giurista appartenente all’amministrazione circondariale e composte da due membri esterni in rappresentanza dei cittadini del circondario. È generalmente prevista un’udienza per la discussione 77 C. STEINBEIß WINKELMANN, op. cit., p. 692. Rheinland-pfälzisches Landesgesetz über die Verwaltungsgerichtsbarkeit (Legge della Renania-Palatinato sulla giustizia amministrativa) del 14.4.1950 (GVBl. I, p. 103) § 18, c. 3. 78 76 IL RIPENSAMENTO DEL RICORSO AMMINISTRATIVO PREVIO IN GERMANIA della controversia. Qui al ricorso amministrativo solo nel 3% dei casi segue un ricorso giurisdizionale, motivo per cui questa formula viene considerata particolarmente efficace ed esemplare a livello nazionale79. 79 I. HÄRTEL, op. cit., p. 74. 77 IL RICORSO AMMINISTRATIVO PREVIO IN GERMANIA IN UNA PROSPETTIVA DI DIRITTO COMPARATO Diana-Urania Galetta SOMMARIO: 1. Introduzione. 2. Brevi cenni di diritto comparato. 3. Osservazioni conclusive. 1. Introduzione L’intervento precedente mette in luce un aspetto molto importante, ossia che in Germania il previo ricorso in via amministrativa è tendenzialmente obbligatorio, da esperirsi prima dei rimedi giurisdizionali. D’altro canto, grazie alla novella normativa del 2006, adesso la obbligatorietà prevista al § 68, comma 1, VwGO, può essere oggetto di deroga da parte dei Länder1. C’è molta discussione in dottrina sull’opportunità di una siffatta eccezione e la disciplina adottata dai Länder sul punto è assai differenziata2. Soltanto dieci Länder si sono discostati dalla soluzione principe, derogando, in tutto o in parte, alla regola del previo ricorso amministrativo obbligatorio, con soluzioni tra loro diverse3. Le ragioni di tale scelta sono illustrate successivamente, in sede di conclusioni. 1 Sechstes Gesetz zur Änderung der Verwaltungsgerichtsordnung (6. AndGVwGO dell’1.11.1996, BGBl. I p. 1626). 2 T. HOLZNER, Die Abschaffung des Widerspruchsverfahrens, in DÖV, 2008, p. 217 ss. 3 V. sul punto il contributo di C. FRAENKEL-HAEBERLE, in questo volume, p. 59. DIANA-URANIA GALETTA 2. Brevi cenni di diritto comparato In tema di diritto comparato, è meritevole di analisi anche la soluzione adottata nell’ordinamento francese4. Essa è simile a quella italiana. La regola è rappresentata dalla non obbligatorietà del previo ricorso amministrativo, ma ad essa seguono molte eccezioni. Deroghe al principio sono contenute, ad esempio, sia nelle clausole contrattuali relative ai contratti pubblici, sia in disposizioni legislative o regolamentari. Anche la legge di riforma del contenzioso amministrativo del 1987, con l’obiettivo di sgravare la giustizia amministrativa, ha previsto molte eccezioni al ricorso amministrativo previo. Per l’interpretazione della portata esatta di queste eccezioni alla regola e della loro rilevanza è necessario fare ricorso alla giurisprudenza amministrativa, che si è spesso pronunciata su problematiche attinenti a questa specifica questione. Per quanto concerne il tenore della discussione dottrinaria che si è sviluppata in Francia su questo istituto, emblematico è il titolo di un importante contributo di Claude Bonichot: Le recours administratif préalable obligatoire: dinosaure juridique ou panacée administrative?5. La domanda posta rimane tuttora senza risposta definitiva. Anche nell’ordinamento spagnolo il ricorso amministrativo previo è facoltativo, così come previsto dalla Ley n. 30/1992 de Régimen Jurídico de las Administraciones Públicas y del Procedimiento Administrativo Común (LRJPA), al cap. 2 del Titolo VII, ed anche in tale sistema sono sorte molte polemiche sull’utilizzo dello strumento. In merito poi al sistema italiano, vale la pena evidenziare alcuni aspetti. Prima della l. n. 1034 del 1971 istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali vigeva il principio dell’obbligatorietà del previo ricorso amministrativo, fino all’ultimo grado della gerarchia. Il ricorso giurisdizionale era ammesso solo contro l’atto amministrativo “definitivo”. 4 V. R. BOUSTA, A. SAGAR, Alternative Dispute Resolution in French Administrative Proceedings, in D.C. DRAGOS, B. NEAMTU (a cura di), Alternative Dispute Resolution in European Administrative Law, Berlin-Heideberg, 2014, p. 57 ss. (63 ss.). 5 In Mélanges Labetoulle, Paris, 2007. 80 IL RICORSO AMMINISTRATIVO PREVIO IN GERMANIA Occorreva cioè che l’interessato esperisse i ricorsi amministrativi sino all’ultimo grado della gerarchia prima di andare di fronte al Giudice. Facevano, ovviamente, eccezione gli atti emanati da un’Autorità al massimo grado della gerarchia amministrativa (es., Ministro) e gli atti emanati da organi non soggetti a gerarchia (es., organi collegiali). Nel 1971 il quadro normativo muta, tanto che, nell’assetto attuale, l’impugnazione di un atto non definitivo non può essere subordinata ad alcun ostacolo (art. 20, l. n. 1034/71) e il ricorso gerarchico – meramente facoltativo – è possibile per un solo grado (“in unica istanza” ai sensi dell’art. 1, d.P.R. n. 1199 del 1971). È poi prevista anche la possibilità del c.d. ricorso in opposizione, ma solo nei casi espressamente previsti dalla legge6. La ragione del mutamento operato nel 1971 risiede nella necessità di evoluzione del sistema di giustizia amministrativa in modo più conforme al quadro costituzionale. L’obbligo imposto al cittadino di proporre ricorso gerarchico – con l’esclusione del ricorso diretto al Giudice – si discostava, infatti, da quanto previsto all’art. 113, comma 2, Cost., secondo cui la tutela giurisdizionale non può essere limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti: in questo caso gli atti definitivi 7. Inoltre deve considerarsi che la creazione con la l. n. 1034/71 di una nuova figura di Giudice amministrativo svincolato dall’Amministrazione – come non erano invece le Giunte provinciali amministrative – ha garantito anche l’eliminazione di ogni sovrapposizione tra tutela giurisdizionale e tutela giustiziale. L’art. 6 del d.P.R. n. 1199/71 prevede infatti una ipotesi di silenzio diniego: trascorsi novanta giorni dalla sua proposizione, senza che l’Amministrazione abbia adottato una decisione, il ricorso amministrativo deve ritenersi tacitamente respinto. A questo proposito la dottrina 6 V. per tutti M. CALABRÒ, La funzione giustiziale nella Pubblica Amministrazione, Torino, 2012. 7 Ai fini dell’esperibilità del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, alternativo al ricorso giurisdizionale, è necessario invece aver promosso ricorso gerarchico in quanto oggetto dell’impugnativa può essere solamente un provvedimento definitivo (art. 8 d.P.R. 1199/71, cfr. T.A.R. Sardegna Cagliari Sez. I, 26 ottobre 2009, n. 1521). 81 DIANA-URANIA GALETTA italiana ha concluso, in maniera del tutto condivisibile, che il silenzio formatosi sul ricorso gerarchico non dia luogo ad una decisione tacita fittizia, ma produca effetti meramente processuali, in quanto abilita il ricorrente in via gerarchica all’immediata proposizione del ricorso giurisdizionale contro il provvedimento originario e non esaurisce il potere dell’amministrazione di decidere, seppur tardivamente, il ricorso gerarchico8. Il Consiglio di Stato ha peraltro precisato che la decisione tardiva riapre i termini per la proposizione del ricorso giurisdizionale e che, quindi, la mancata impugnazione dell’atto dopo la formazione del silenzio rigetto non preclude la facoltà di impugnazione in via giurisdizionale della decisione tardiva. Un ulteriore riferimento di diritto comparato va fatto in relazione al “Codice Modello di Giurisdizione Amministrativa per l’Euro-America”9. Trattasi di un documento preparato da un gruppo di studiosi sudamericani e europei (del quale ho la fortuna di fare parte), sulla base di un’analisi di diritto comparato e delle soluzioni adottate dai vari Paesi del continente europeo ed americano, alla ricerca delle soluzioni più adatte ad una giustizia amministrativa moderna ed all’avanguardia. L’importanza di tale lavoro emerge dal fatto di basarsi su tutti i modelli comparati di riferimento, e di essere il risultato del vaglio, attraverso l’indagine delle tendenze che emergono nei vari Stati, della soluzione giuridica che appare ottimale. L’istituto del ricorso amministrativo previo è trattato in tale Código all’art. 32. La norma si articola in tre commi, e prevede quanto segue. (1) Come regola generale, il ricorso amministrativo come condizione dell’azione giurisdizionale è facoltativo. La sua presentazione interrompe il termine per accedere alla giurisdizione amministrativa. (2) Nei casi in cui è previsto il ricorso amministrativo come condizione dell’azione giurisdizionale, esso non potrà essere utilizzato per 8 Sul tema della permanenza del potere di decisione in capo ai vertici amministrativi Cons. St. 24 febbraio 2000 n. 983; Comm. Spec. 5 febbraio 2001 n. 479; Cons. St. VI, 19 luglio 1999 n. 971. Comunque il provvedimento da impugnare rimane sempre quello originario di base (Cons. St. VI 23 ottobre 1999 n. 1544). 9 Código modelo euro-americano de jurisdição administrativa (Euro-American Model Code of Administrative Jurisdiction, in http://ssrn.com/abstract=2434795). 82 IL RICORSO AMMINISTRATIVO PREVIO IN GERMANIA ostacolare l’accesso alla giurisdizione. L’Amministrazione pubblica deciderà il ricorso amministrativo con celerità, entro un termine non superiore ad un mese, salvo che l’Amministrazione non rappresenti una causa giustificata, debitamente motivata. Al decorso di tale termine, il silenzio consente l’accesso diretto alla giurisdizione amministrativa. (3) Il previo ricorso amministrativo non esclude la richiesta di misure cautelari innanzi alla giurisdizione amministrativa. La norma proposta dal Código prevede dunque che, come regola generale, il ricorso amministrativo avverso i provvedimenti amministrativi costituisca una condizione facoltativa dell’azione giurisdizionale. L’elaborazione dei primi due commi dell’articolo è stata preceduta da una discussione accesissima. Nei lunghi momenti di confronto del gruppo di lavoro, che hanno preceduto la stesura del testo finale dell’art. 32, vi era chi si era espresso nettamente a favore della previsione del ricorso amministrativo previo come condizione dell’azione sempre e comunque – sulla falsa riga di quanto previsto dal legislatore tedesco del VwGO – e chi, viceversa, riteneva che dovesse vigere la regola della libera scelta, da parte del ricorrente, se percorrere o meno la via del ricorso amministrativo prima di dare corso ad un’azione giurisdizionale. La scelta operata dal Código si è situata, perciò, su di una posizione di compromesso, rispetto a queste due opposte opzioni. Essa consiste, infatti, nel prevedere la possibilità che discipline normative di settore apportino deroghe al regime di facoltatività del ricorso amministrativo previo. In tali frangenti, dunque, il procedimento di contestazione si configurerebbe come una condizione necessaria e di procedibilità per il ricorso innanzi al Giudice amministrativo. A ciò si aggiunge che l’ambito di applicazione di tali eventuali norme derogatorie non viene preventivamente delimitato all’art. 32 del Código. L’apertura a possibili ipotesi di obbligatorietà del previo ricorso amministrativo è mitigata, però, dalla previsione dell’ultimo comma. Si tratta di una disposizione piuttosto importante, in quanto permette al privato di chiedere, comunque, nelle more della decisione del ricorso amministrativo, la tutela cautelare del Giudice amministrativo. Trattasi di una previsione particolare rispetto a quanto previsto nel sistema italiano, dove invece il potere di sospensione del provvedimento impugna- 83 DIANA-URANIA GALETTA to è rimesso soltanto “all’organo decidente” ai sensi dell’art. 3, d.P.R. n. 1199/1971, ossia all’organo adito e competente in rapporto allo strumento di tutela esperito. La ratio di tale scelta risiede nella volontà di tutelare il più possibile il ricorrente. In ultima analisi, la scelta operata dal Código Modelo è una soluzione mediana, tra l’obbligatorietà del ricorso amministrativo previo di scelta tedesca e la sua facoltatività tout court, propria della soluzione italiana. 3. Osservazioni conclusive In conclusione, sussistono motivazioni sia a favore sia contro il mantenimento del ricorso amministrativo previo. Le ragioni a favore del mantenimento e addirittura del rafforzamento del previo ricorso amministrativo, riguardano innanzitutto la volontà di alleggerire il carico della giustizia amministrativa. Per le controversie di scarso spessore giuridico, sarebbe inutile sovraccaricare il lavoro dei giudici amministrativi, e apparirebbe più idoneo introdurre un primo filtro attraverso l’obbligo di previo ricorso alla tutela giustiziale. Resta tuttavia aperta l’incognita in merito a quali siano le controversie di scarso spessore giuridico e attraverso quali criteri esse debbano essere identificate. Altra ragione a favore del mantenimento dell’istituto risiede nella idoneità di tale strumento a fungere da filtro e sede di ripensamento della PA sul suo operato, considerato che la cognizione è in tale sede estesa anche al merito. Con riferimento a principi dell’azione amministrativa italiana, si potrebbe ritenere che la ratio risieda anche nella necessità di valorizzare e garantire il massimo rispetto del criterio di buon andamento ex art. 97 Cost. Contro quest’ultima tesi, tuttavia, si evidenzia il rischio di una deresponsabilizzazione della PA, che può comunque rimediare ai suoi errori facilmente in sede di ricorso amministrativo e sarà tentata di agire con maggiore leggerezza. Conseguenze di tal fatta si sono già verificate a seguito della dequotazione dei vizi formali operata con l’introduzione dell’art. 21-octies nella l. n. 241/1990: l’amministrazione appare talvol84 IL RICORSO AMMINISTRATIVO PREVIO IN GERMANIA ta meno attenta al procedimento e ai requisiti formali dell’azione amministrativa, poiché assume la prospettiva (di tipo essenzialmente processuale) che tali mancanze non possono inficiare la validità del provvedimento ove le risultanze procedimentali non avrebbero potuto dare vita ad un risultato diverso da quello di cui è e espressione il provvedimento adottato. Un altro importante rilievo critico contro il mantenimento del ricorso amministrativo previo si incentra sul fatto che tale istituto – a meno che non sia riformato nella prospettiva degli strumenti di ADR (alternative dispute resolution) – non appare come un vero strumento di tutela per il cittadino, ma agisce piuttosto in funzione servente rispetto agli interessi dell’amministrazione. A tale tesi si può muovere l’obiezione per cui, in realtà, con tale strumento si tutela anche l’interesse del cittadino, e tale interesse e quello dell’amministrazione non sempre necessitano di strumenti diversi e tra loro antitetici per ricevere tutela. L’interesse del cittadino non è assente in tali situazioni. Semmai – come ha sottolineato poc’anzi Mario Chiti – sembra piuttosto che nel nostro sistema “le doglianze tendano ad essere insabbiate”. In conclusione, si può affermare che il ricorso amministrativo è sicuramente uno strumento di tutela utile, a patto che – come affermato da Mario Chiti – non sia visto e vissuto nella sola prospettiva di far lavorare meno i giudici. Si tratterebbe, in questa ipotesi, di una soluzione pericolosa: per il cittadino e per la sua effettiva tutela. Per quanto riguarda l’adozione di modelli alternativi, la soluzione proposta da Cristina Fraenkel-Haeberle, e adottata in Germania nel Land Renania-Palatinato – consistente in un ricorso amministrativo facoltativo affidato però a commissioni circondariali, composte da membri esterni all’amministrazione e che rappresentano i cittadini del circondario – appare una soluzione interessante, probabilmente la migliore idea fino ad ora elaborata. Essa appare anche in linea con le soluzioni prescelte sul punto dal diritto dell’Unione europea10. Tuttavia, essa presenta due aspetti problematici, già evidenziati da Mario Chiti. Tali 10 V. in particolare Regolamento CE/207/2009 sul marchio comunitario – titolo VII, art. 58 ss. 85 DIANA-URANIA GALETTA commissioni non sono necessariamente composte in prevalenza da giuristi, ed inoltre devono essere imparziali ma non necessariamente indipendenti. Pertanto, non sono convinta che questa ultima soluzione possa dar luogo ad un vero progresso in materia. 86 I RICORSI AMMINISTRATIVI TRADIZIONALI. UNA PROSPETTIVA NON TRADIZIONALE Alessandro Pajno SOMMARIO: 1. Crisi dei ricorsi amministrativi ed efficienza della giustizia. - 2. Ricorsi amministrativi ed esperienza europea. - 3. Una visione “antagonistica” dei rapporti fra amministrazioni e giurisdizione. - 4. Le esperienze di confine: il ricorso amministrativo e l’arbitrato. - 5. Rimedi alternativi e riferimento necessario alla giurisdizione: l’amministrazione giustiziale. - 6. Ricorso gerarchico, ricorso gerarchico improprio e ricorso in opposizione. 7. Il ricorso straordinario al Capo dello Stato: riaffermazione della logica antagonistica e cammino verso la giurisdizione. - 8. Il ricorso straordinario nella giurisprudenza della Cassazione e della Corte costituzionale. - 9. Il ricorso straordinario e la possibilità di sollevare questioni di legittimità costituzionale. - 10. Ricorso straordinario e mutamento di natura: dall’amministrazione alla giurisdizione. - 11. Gli argomenti della Cassazione e del Consiglio di Stato. - 12. La sentenza della Corte costituzionale n. 73 del 2014: il ricorso straordinario come rimedio giustiziale. Il ricorso straordinario restituito a se stesso. 1. Crisi dei ricorsi amministrativi ed efficienza della giustizia Quello dei ricorsi amministrativi “tradizionali” – e cioè dei rimedi previsti dal d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 – viene spesso avvertito, per un verso, come un argomento risalente e datato, per l’altro, come un problema largamente superato non soltanto dalla disciplina primaria successiva al 1971, ma anche, e soprattutto, dall’esperienza concreta della tutela non giurisdizionale, che ha registrato l’affermazione di forme diverse di protezione1. In particolare, il tema appare, in qualche 1 Sui ricorsi amministrativi si vedano A. PAJNO, Amministrazione giustiziale, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 2000 p.1 e ss.; G. FERRARI, Ricorsi amministrativi, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, Tomo V, Milano, 2003, p. 4147 ss.; M. GIOVANNINI, Amministrazione pubblica e risoluzioni alternative delle controversie, Bologna, 2007, p. 127 ss. ALESSANDRO PAJNO modo, risalente e datato perché sostanzialmente legato ad un assetto dell’amministrazione pubblica fondato sul principio di gerarchia, ormai largamente in crisi; lo stesso si risolve, poi, in una questione per molti versi superata, perché l’ampliamento della tutela giurisdizionale realizzatasi a partire dal 1971 con la creazione dei tribunali amministrativi regionali e con l’abolizione del c.d. presupposto della definitività del provvedimento ai fini dell’accesso al giudice amministrativo ha ormai reso, nella maggior parte dei casi, la tutela attraverso i rimedi amministrativi vera e propria res derelicta. La crisi dei ricorsi amministrativi impugnatori è dinanzi agli occhi di tutti: già nel 1984 A.M. Sandulli, nel trattare gli strumenti dell’amministrazione contenziosa, avvertiva che questi riguardavano una forma di giustizia tanto insoddisfacente che ai suoi inconvenienti aveva dovuto far fronte la legislazione sui Tribunali Amministrativi regionali2, e che la configurazione dei rimedi amministrativi come presupposto per adire successivamente la via giurisdizionale si era rivelata, fino a quando era stata mantenuta nell’ordinamento, “più di intralcio che di sollievo per la protezione giuridica dei cittadini”3. Persino il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, che è l’unico rimedio, fra quelli previsti dal d.P.R. n. 1199 del 1971, che ha mantenuto una certa vitalità e che, è stato negli ultimi tempi oggetto di significativi interventi legislativi e giurisprudenziali, sembra adesso entrato in crisi, a causa, probabilmente, dell’introduzione, con riferimento al medesimo, del pagamento del contributo unificato. Di fronte a tale situazione, occorrerebbe, peraltro chiedersi con franchezza quali siano state le ragioni – storiche, istituzionali, ma anche culturali – che nel tempo hanno condotto ad una sostanziale perdita di valore (e forse anche di senso) delle forme di tutela non giurisdizionale; occorrerebbe, in altre parole, chiedersi se, oltre a quelle legate a profili, riguardanti il funzionamento del sistema amministrativo sussistano ragioni, per dir così, “culturali”, che impediscano o, comunque rendano più difficile per la riflessione dei giuristi coniugare insieme esperienze giurisdizionali ed esperienze giustiziali, secondo una direzione che po2 3 88 A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, II, Napoli, 1984, p. 1132. A.M. SANDULLI, op. cit., p. 1152. I RICORSI AMMINISTRATIVI TRADIZIONALI. UNA PROSPETTIVA NON TRADIZIONALE trebbe, invece, risolversi in un incremento di efficienza e di tempestività ed, in ultima analisi, della qualità stessa della tutela assicurata al cittadino. Un quesito del genere appare, oggi, assai attuale: il dibattito sulla tutela giurisdizionale non è infatti caratterizzato soltanto dalla tradizionale questione dell’accesso alla tutela, ma anche da quello dell’efficienza di quest’ultima. Alla base di questo approccio c’è non soltanto il noto rilievo che le vicende della tutela giurisdizionale hanno per il processo economico, ma la crescente consapevolezza che quest’ultima costituisce una vera e propria risorsa a disposizione della collettività, il cui uso deve essere “economico”, perseguibile cioè attraverso un adeguato bilanciamento tra diritto delle parti agli strumenti processuali e concreta possibilità di esercizio della funzione da parte del giudice4. L’uso “economico” della risorsa giurisdizionale, richiede, pertanto, che di essa si faccia un’utilizzazione mirata e sotto diversi profili organizzata. In un’ottica del genere, acquista pertanto un rilievo specifico il ricorso a strumenti alternativi alla giurisdizione, volti a realizzare da una parte un accesso più semplice ed immediato alla tutela da parte degli interessati e dall’altra un uso mirato dell’accesso al giudice e della protezione giudiziaria. Il ricorso a tali strumenti può, a volte, apparire problematico a causa degli interessi corporativi legati alla giurisdizione, alla crisi di autorevolezza dell’amministrazione5; tuttavia si deve ritenere che il ricorso a veri strumenti alternativi alla giurisdizione con finalità deflattive sembra ormai una via quasi obbligata, dopo l’introduzione, con il d.lgs. n. 28 del 2010, delle disposizioni relative alla mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali che, non a caso, configurano (art. 5) il primo esperimento della mediazione come condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria. Riguardata sotto questo profilo, l’introduzione della mediazione sembra obbedire non soltanto ad esigenze specifiche della giustizia civile, ma ad esigenze dell’intero sistema giurisdizionale; e, del resto, l’impiego economico della risorsa giudiziaria appare idoneo a sorreggere non soltanto il 4 Cass., sez. un., ord. 6 settembre 2010n. 19501; A. PAJNO, Giustizia amministrativa e crisi economica, in Riv. it. dir. pubbl. comm., 2013, p. 972. 5 A. PAJNO, Giustizia amministrativa, cit., p. 972. 89 ALESSANDRO PAJNO ricorso alla mediazione nel processo civile, ma anche quello a strumenti alternativi alla giurisdizione amministrativa6. 2. Ricorsi amministrativi ed esperienza europea La necessità di interrogarsi sulle ragioni profonde che sembrano impedire un equo contemperamento tra tutela amministrativa e tutela giurisdizionale risulta ulteriormente confermata dalla considerazione dell’esperienza europea. La situazione italiana sembra, infatti, in qualche modo, collocarsi lungo una linea divergente rispetto a quella tracciata dalla Corte di Lussemburgo. Questa, infatti, ha da tempo adottato una nozione di “giurisdizione dello stato membro” non meramente formale, ma di tipo sostanziale-funzionale, incentrata sullo svolgimento di un’attività di soluzione dei conflitti unitariamente considerata, posta in essere da parte di soggetti dell’ordinamento collocati in posizione di terzietà7. Proprio tenendo conto di tale nozione di giurisdizione dello Stato membro, più di recente, con riferimento all’intervento del Consiglio di Stato in sede consultiva, la stessa Corte di giustizia ha affermato che questo ultimo, quando emette un parere in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato, costituisce una giurisdizione ai sensi dell’art. 177 del Trattato8. La nozione così delineata è, come è stato osservato9, più ampia di quella di giurisdizione in senso stretto, dal momento che essa abbraccia ogni attività di decisione dei conflitti posta in essere da soggetti dell’ordinamento, a prescindere da quella che (secondo un modo di pensare tutto italiano) costituisce la “natura” dell’attività, amministrativa o giurisdizionale. Un approccio del genere tende, pertanto, a considerare in modo unitario la tutela fornita dagli ordinamenti degli stati 6 A. PAJNO, Giustizia amministrativa, cit., p. 973. C. giust. CE 30 giugno 1996, Vossen/Goebbels. 8 C. giust. CE 2-69/946 Garofalo ed altri c/Min. Sanità ed USL n. 58 Palermo. 9 M. PROTTO, Giurisdizione nazionale ed effettività della tutela delle situazioni soggettive di matrice comunitaria, in Urbanistica e appalti, 1998, p. 444. Si veda anche A. PAJNO, Amministrazione giustiziale, cit., p. 3. 7 90 I RICORSI AMMINISTRATIVI TRADIZIONALI. UNA PROSPETTIVA NON TRADIZIONALE membri dell’Unione, a prescindere dalla sua natura soggettivamente giurisdizionale10. In coerenza con tale approccio, l’ordinamento europeo sembra procedere ad una valorizzazione delle forme di tutela non giurisdizionale, poste in essere in via amministrativa o affidate ad organismi esterni specializzati. È stato di recente sottolineato11 che il sistema dei ricorsi amministrativi (intesi secondo l’accezione italiana) è in rapida espansione, nell’ordinamento dell’Unione europea, registrandosi sia forme di ricorsi amministrativi “interni” allo stesso plesso amministrativo interessato, come, ad esempio, quelli proposti dagli stessi dipendenti dell’Unione o quelli concernenti la materia ambientale12, sia forme di rimedi esperiti dinanzi alla Commissione quale vertice amministrativo atipico del sistema europeo, sia, infine, rimedi rivolti ad organismi amministrativi indipendenti13. Come è stato osservato, con i diversi tipi di ricorsi amministrativi, “si trattano oggi varie migliaia di casi, con decisioni che solo in piccola parte vengono poi impugnate davanti al Tribunale o al Tribunale della funzione pubblica”14. Ne deriva che nell’Unione europea i rimedi amministrativi vanno assumendo un ruolo per molti versi simile a quella che la administrative justice ha nel sistema britannico e che è ormai praticamente perduto nell’ordinamento italiano15. L’ambito concettuale in cui si muovono queste esperienze è quello dei sistemi di risoluzione alternativa delle controversie (alternative dispute resolutions), siano esse le procedure previste in materia di appalti pubblici dalla direttiva n. 92/13 del 1992 (procedure che, peraltro, non hanno avuto fortuna in Italia), o, le c.d. procedure per “petizione”; si tratta, peraltro di procedure pensate per deflazionare il contenzioso propriamente giurisdizionale (in un’ottica coerente con la considerazione della giurisdizione come risorsa), sia per fornire protezione a situazioni 10 A. PAINO, Amministrazione giustiziale, cit., p. 3. M. CHITI, La tutela giurisdizionale, in ID. (a cura di), Diritto amministrativo europeo, Milano, 2013, p. 545. 12 M. CHITI, op. cit., p. 545. 13 M. CHITI, op. cit., p. 546. 14 M. CHITI, op. cit., p. 546. 15 M. CHITI, op. cit., p. 546. 11 91 ALESSANDRO PAJNO giuridiche che non sembrano possano ricevere tutela adeguata attraverso la deduzione dei tradizionali vizi di legittimità degli atti amministrativi16. Il punto di vista della giurisprudenza dell’Unione europea sui metodi alternativi di risoluzione delle controversie è stato espresso dalla Corte di giustizia con la sentenza 18 marzo 2010, cause riunite 6317/08, C-318-08, C-319/09, C-320/08. Con tale pronuncia la Corte, chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla direttiva n.2002/22/CE, relativa al servizio universale ed ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (c.d. direttiva servizio universale) ha affermato che essa non osta a che una normativa nazionale di uno stato membro preveda che le controversie in materia di servizi di comunicazione elettronica tra utenti finali e fornitori di servizi debbano formare oggetto di un tentativo obbligatorio di conciliazione extragiudiziale prima dell’accesso alla tutela giurisdizionale: i principi di equivalenza e di effettività della tutela giurisdizionale non ostano, infatti, ad una normativa nazionale che impone per tali controversie il previo esperimento di procedure di conciliazione extragiudiziale, a condizione che tale misura non conduca ad una decisione vincolante per le parti. Tali principi sono stati, peraltro richiamati dalla Corte costituzionale la quale, dopo aver ricordato che da essi non si desume un’opzione a favore del carattere obbligatorio dell’istituto della mediazione, ha tuttavia dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, c. 1 del d.l. n. 28 del 2015, che presenta una forma di mediazione obbligatoria finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, per eccesso di delega, non potendosi desumere dall’art. 60 della legge di delegazione (l. 69 del 2009), che questa contenga una previsione di mediazione obbligatoria17. 16 17 92 M. CHITI, op. cit., p. 548. Corte cost., 6 dicembre 2012 n. 272. I RICORSI AMMINISTRATIVI TRADIZIONALI. UNA PROSPETTIVA NON TRADIZIONALE 3. Una visione “antagonistica” dei rapporti fra amministrazioni e giurisdizione La situazione italiana che, pure, sembra talvolta conoscere, con riferimento agli strumenti alternativi della giurisdizione, esperienze virtuose come quella relativa all’arbitro bancario finanziario18 sembra pertanto muoversi secondo una direzione non del tutto convergente con quella fatta propria dall’Unione europea, almeno per quanto riguarda, in particolare, i ricorsi amministrativi. Alla base di tale situazione vi è, senz’altro, una crisi di tempestività dell’amministrazione, sostanzialmente incapace di rivedere le proprie decisioni a seguito dell’utilizzazione dei rimedi amministrativi; tuttavia tale elemento sembra, piuttosto che la causa, una sorta di epifenomeno delle difficoltà dell’utilizzazione nell’ordinamento nazionale di tali strumenti. Tale difficoltà, infatti, sembra trovare il proprio fondamento in un’opzione culturale radicata e sempre pronta a riemergere, destinata a rendere sempre non adeguato, se non addirittura non utile, il ricorso a forme di amministrazione giustiziale. Questa permanente e risalente opzione culturale può essere identificata in una visione, per dir così, antagonistica dei rapporti fra amministrazione e giurisdizione, frutto di una visione del principio di separazione dei poteri come contrapposizione dei poteri, ed in ultima analisi di una visione, anch’essa antagonistica, della giustizia “giudiziaria” e di quella “non giudiziaria”. Questo modo di pensare, conseguenza, a sua volta, di una sorta di preoccupazione “ontologica” o “fisicista” della giurisprudenza, tutta volta ad identificare elementi idonei a stabilire la natura, giurisdizionale o non giurisdizionale, di ogni attività rilevante per l’ordinamento, descrive così i due elementi presi in considerazione, l’amministrazione e la giurisdizione, la giustizia giudiziaria e quella non giudiziaria come realtà in qualche modo antagoniste, che si misurano una contro l’altra e non una accanto all’altra. In un’ottica del genere, piuttosto che la sottolineatura della comune finalità di giustizia, prevale una logica di distinzione che contiene in sé una contrapposizione, e che proprio per tale ragione, può comporre il 18 Si veda G. CARRIERO, Giustizia senza giurisdizione: l’arbitro bancario finanziario, in Riv. Dir. Proc., 2014, p. 161 ss. 93 ALESSANDRO PAJNO conflitto solo con la sostanziale eliminazione di una di esse (e cioè di quella connessa alla giustizia non giudiziaria); eliminazione, questa che può, paradossalmente verificarsi anche con una sorta di cambiamento di natura, come è avvenuto, come meglio si vedrà più avanti, a proposito del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, dal momento che a tale rimedio è stata riconosciuta, alla fine di un lungo percorso normativo e giurisprudenziale, natura sostanzialmente giurisdizionale e non amministrativa. 4. Le esperienze di confine: il ricorso amministrativo e l’arbitrato Che le cose stiano nei sensi sopra esposti, risulta d’altra parte confermato dalla considerazione di quelle che possono essere definite esperienze di confine, nelle quali amministrazione e giurisdizione, giustizia giurisdizionale e non giurisdizionale si incrociano e si toccano. In questi casi, uno degli elementi del dilemma è sempre costituito dalla giurisdizione; a riprova del fatto che, alla base di un tal modo di pensare vi è probabilmente, una speciale “cultura” (o ideologia) della giurisdizione che rende problematica l’adozione di soluzioni in qualche modo equilibrate. Così avviene per i ricorsi amministrativi ed, in genere, per i rimedi giustiziali. Amministrazione e giustizia fanno sempre capo a poteri contrapposti? Esiste un’attività amministrativa che, dovendo ispirarsi al principio di legalità, non si risolva anche nella realizzazione della giustizia nel caso concreto? La pubblica amministrazione non deve realizzare al proprio interno la giustizia, come l’art. 100 Cost. sembrerebbe lasciare intendere? La garanzia dell’indipendenza riguarda soltanto la giurisdizione19? Si aprono, così problemi diversi ma fra di loro collegati, che normalmente vengono risolti, nel tentativo di porre fine al conflitto, o con la pratica irrilevanza dei ricorsi amministrativi o con la sostanziale assimilazione di questi ultimi ai rimedi giurisdizionali (e quindi con la 19 94 A. PAJNO, Amministrazione giustiziale, cit., p. 1. I RICORSI AMMINISTRATIVI TRADIZIONALI. UNA PROSPETTIVA NON TRADIZIONALE pratica eliminazione di forme di tutela alternativa), come è avvenuto per il ricorso straordinario al Capo dello Stato. Che le cose vadano nel senso sopra esposto appare, d’altra parte, confermato proprio dalla considerazione di un’altra esperienza di confine, nella quale si tratta di comporre insieme mondi tradizionalmente rappresentati come strutturalmente diversi, se non, addirittura, come irriducibili l’uno all’altro. Si tratta dell’arbitrato, travagliato istituto, per dirla con Salvatore Satta, “oggetto di esaltazione romantica o teologica ripulsa” che il legislatore del 1942 ha trasformato in un procedimento speciale e relegato in fondo al libro ad essi dedicato nel codice di rito civile20. L’arbitrato ha natura privata o pubblica? È un’esperienza contrattuale ovvero sostanzialmente giurisdizionale? I suoi effetti sono il prodotto dell’accordo o dell’autorità del giudice? Lo stesso arbitrato costituisce una misura sostitutiva ed in alcuni casi, alternativa alla giurisdizione, ovvero, come sembrerebbe ritenere Ludovico Mortara, una usurpazione della giurisdizione, intesa come prerogativa indefettibile di cui lo Stato moderno ha il monopolio21? Deriva da qui la ricorrente querelle sulla natura dell’arbitrato rituale-negoziale e privata, ovvero pubblica e giurisdizionale: nonché sulla natura e sull’efficacia del lodo. Tale querelle – quasi a confermare il collegamento con la precomprensione del giudice – è sopravvissuta, sostanzialmente indenne, alla riforma dell’istituto, posta in essere con la legge n. 25 del 1994 e con il d.lgs. n. 4 del 2006. Si tratta di un esito reso evidente dalla stessa giurisprudenza della Cassazione. Questa, infatti, ha dapprima sovvertito l’orientamento tradizionale ed affermato espressamente la natura di atto di autonomia privata del lodo22 ed il suo carattere non giurisdizionale, con la conseguente impossibilità che la questione riguardante la contestazione della capacità degli arbitri possa integrare una questione di giurisdizione, risolvendosi, essa in una que- 20 S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, Libro IV, Procedimenti speciali, Milano, 1971, p. 162. 21 A. PAJNO, Arbitrato nelle controversie amministrative, in Enc. Giur. Treccani, 2005, p. 1 ss. 22 Cass., sez. un., 3 agosto 2000 n. 527; Cass., Sez. I, 1 dicembre 2000 n. 1240. 95 ALESSANDRO PAJNO stione di merito riguardante la validità del compromesso23; successivamente, la stessa Corte affrontando nuovamente il problema della “natura” dell’arbitrato, ha affermato che la normativa in parte introdotta con la legge n. 25 del 1994 ed in parte con il d.lgs. n. 4 del 2006 del 1994 sembra “contenere sufficienti indizi sistematici per riconoscere natura giurisdizionale al lodo arbitrale”24, risolvendo, così in senso positivo (e configgente con l’indirizzo in precedenza seguito) la questione dell’ammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione in presenza di un’eccezione concernente l’esistenza fra le parti di un patto compromissorio25. L’indirizzo sopra indicato non sembra peraltro essere, almeno esplicitamente, condiviso dalla Corte costituzionale che, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 819 ter, secondo comma, c.p.c., nella parte in cui esclude nei rapporti tra arbitrato e processo l’applicabilità di regole corrispondenti all’art. 50 c.p.c., ha evitato di impegnarsi nell’affermazione della natura giurisdizionale del lodo arbitrale, osservando invece che se il legislatore, “nell’esercizio della propria discrezionalità, struttura l’ordinamento processuale in maniera tale da configurare l’arbitrato come una modalità di risoluzione delle controversie alternativa a quello giudiziale, è necessario che l’ordinamento giuridico preveda anche misure idonee ad evitare che tale scelta abbia ricadute negative per i diritti oggetto delle controversie stesse”26. Per gli istituti che, come il ricorso amministrativo e l’arbitrato sembrano porsi alla confluenza di esperienze diverse (amministrazione-giurisdizione, autonomia privata-tutela giurisdizionale) non sembra pertanto esservi pace. Un esito del genere appare, peraltro, tanto più grave ove si consideri che esso si colloca, su di un piano più generale, in un contesto culturale ed istituzionale che, da una parte, conosce da tempo la crisi delle coordinate sovranità territorio-giurisdizionale ed in ultima 23 Cass., sez. un., 3 agosto 2000 n. 527. Cass., sez. un., ord. 25 ottobre 2013 n. 24153. 25 C. PUNZI, Dalla crisi del monopolio statale della giurisdizione al superamento dell’alternativa contrattualità-giurisdizionalità dell’arbitrato, in Riv. Dir. proc., 2014, 1 ss. 26 Corte cost., n. 233 del 2013. 24 96 I RICORSI AMMINISTRATIVI TRADIZIONALI. UNA PROSPETTIVA NON TRADIZIONALE analisi, del monopolio statale della giurisdizione27 e dall’altro pone gli interpreti di fronte a vere e proprie trasformazioni della giurisdizione, che si diversifica ormai in una pluralità di modelli (giudiziari, paragiudiziari, arbitrali) che sembrano disporsi non più secondo una struttura gerarchica, bensì in una sorta di rete con continui rimandi da una giurisdizione all’altra28. Non a caso è stato in proposito segnalato che il classico modello della giurisdizione si scompone ormai in un complesso di fattispecie ai cui estremi si possono collocare, da una parte, la giurisdizione e, dall’altra, l’arbitrato privato e le istituzioni quasi giudiziarie29; ciò perché “mentre tende a resistere l’aspetto funzionale, consistente nella risoluzione dei conflitti, i caratteri formali e pubblici che lo stato conferiva al formante giurisprudenziale tendono ad indebolirsi”30. È quindi un approccio antagonistico, che distingue, per separare, giurisdizione da ciò che si assume del tutto diverso dalla giurisdizione (amministrazione, autonomia privata) che occorre superare, e ciò perché giurisdizione, arbitrato, mediazione, conciliazione, sono altrettante declinazioni di un unico modulo31. I caratteri formali e pubblici del formante giudiziario attendono infatti ormai ad indebolirsi in varie maniere, mentre “tende a resistere e a rafforzarsi l’aspetto funzionale, consistente nella risoluzione dei conflitti”32. Emergono, in ogni caso, elementi di riflessione che superano la questione specifica delle difficoltà del ricorso amministrativo, e che investono in qualche modo la giurisprudenza del nostro paese, elementi, questi, che riguardano proprio la difficoltà di coniugare insieme, in una prospettiva unificante, esperienze fra loro distinte ma non separate, ed in ultima analisi, la difficoltà di ricondurre ad unità la complessità del reale. 27 C. PUNZI, Dalla crisi del monopolio statale della giurisdizione, cit., p. 3 ss. C. PUNZI, op. cit., p. 11; S. CASSESE, I Tribunali di Babele, I giudici alla ricerca di un ordine globale, Roma, 2009. 29 M.R. FERRARESE, La governance politica e diritto, Bologna, 2010, p. 138, ricordata da C. PUNZI, Dalla crisi del monopolio statale della giurisdizione, cit.; p. 11. Sul tema si veda anche M.R. FERRARESE, Il diritto al presente, Bologna 2002, p. 187 ss. 30 M.R. FERRARESE, La governance politica e diritto, cit., p. 140. 31 M.R. FERRARESE, op. cit., p. 140. 32 M.R. FERRARESE, op. cit., p. 140. 28 97 ALESSANDRO PAJNO La considerazione di tali elementi potrà, invece, indirizzare verso un percorso che, con riferimento ai ricorsi amministrativi, ci porti più vicino all’Europa, e che, a certe condizioni, potrà forse contribuire ad una più accurata analisi della “crisi” del ricorso amministrativo, capace di indicare anche spunti di riflessione utili per il loro possibile rilancio come strumenti alternativi alla giurisdizione. 5. Rimedi alternativi e riferimento necessario alla giurisdizione: l’amministrazione giustiziale In un’ottica che non separa ma, al contrario, mira a considerare in un unico contesto le forme proprie della giurisdizione e quelle dell’amministrazione giustiziale (e cioè dell’esercizio di poteri amministrativi con finalità di giustizia, siano tali poteri attribuiti ad autorità appositamente costituite che all’amministrazione tradizionale) è stato osservato che tale nozione si definisce non soltanto per la considerazione della natura della attività perseguita, quanto piuttosto per il riferimento necessario alla giurisdizione, conseguenza a sua volta della finalità comune di giustizia che tiene insieme strumenti alternativi e strumenti giudiziari33. Può, infatti, concordarsi con la tradizionale affermazione della natura amministrativa dei procedimenti di amministrazione giustiziale; il riferimento ad essa rischia, però, considerato nella sua assolutezza, di apparire in qualche modo fuorviante, in quanto tende a collocare in secondo piano la considerazione della funzione pubblica perseguita dall’amministrazione giustiziale che è quella di provvedere, come avviene per la giurisdizione, alla risoluzione del conflitto in funzione di giustizia, e non quello di consentire all’amministrazione di rivedere, nel proprio interesse, le precedenti determinazioni. L’esistenza di una comune finalità di giustizia tra strumenti giurisdizionali e strumenti giustiziali si proietta, oltre che sul piano della funzione, su quello dell’organizzazione. Poiché, infatti, le misure giustiziali sono alternative a quelle giurisdizionali, ma perseguono anch’esse una finalità di giustizia, esse devono necessariamente strutturarsi in 33 98 A. PAJNO, Amministrazione giustiziale, cit., p. 5. I RICORSI AMMINISTRATIVI TRADIZIONALI. UNA PROSPETTIVA NON TRADIZIONALE modo da consentire l’attribuzione agli interessati di quel bene della vita che i mezzi di tutela previsti dalla giurisdizione (ordinaria o amministrativa) sono capaci di assicurare34. Sotto questo profilo, la giurisdizione costituisce la “lente” che consente di mettere a fuoco i caratteri ed i modi di azione e di attività che, se sono “alternative” alla giurisdizione, concorrono tuttavia al perseguimento della medesima finalità. Tali caratteri, anche sotto il profilo dell’organizzazione, devono essere tali da consentire il conseguimento di un risultato analogo a quello raggiungibile con la tutela giurisdizionale; simili, quindi, a quelli che caratterizzano l’organizzazione di tale tutela. La funzione giurisdizionale appare come uno specchio nel quale cogliere i caratteri dell’amministrazione giustiziale. Da un tale modo di pensare deriva, così, un ribaltamento dell’approccio tradizionale, che tendenzialmente legge il rapporto di alternatività tra tutela giurisdizionale e tutela giustiziale in termini di contrapposizione, se non addirittura di antagonismo; la scelta per una lettura complementare di tali tutele e dei relativi strumenti, nel quadro di una considerazione complessiva della tutela delle situazioni soggettive consente, invece, di pervenire ad una nozione di amministrazione giustiziale, che vede solo ed esclusivamente nella finalità di soluzione dei conflitti la sua funzione tipica, ed esige infine, una speciale modalità dell’organizzazione giustiziale, destinata a rendere palesi l’indipendenza, l’imparzialità e l’autorevolezza del soggetto chiamato a pronunciarsi. Le diverse forme di amministrazione giustiziale, in quanto volte a finalità di giustizia, devono garantire l’indipendenza, l’imparzialità e l’autorevolezza, secondo il modello proprio della tutela giurisdizionale; in quanto alternative alle misure giurisdizionali, devono rimanere tali e non confondersi con queste ultime; in una parola, devono essere non giurisdizionali e non divenire, alla fine, anch’esse giurisdizionali. Si perderebbe, in tal modo, lo scopo stesso delle misure alternative, che è quello di assicurare una tutela più semplice e possibilmente più rapida delle misure giurisdizionali. Le osservazioni che precedono, nell’individuare nell’indipendenza, nell’imparzialità e nell’autorevolezza di chi decide, le caratteristiche strutturali dell’amministrazione giustiziale, e quindi di quelle particolari 34 A. PAJNO, Amministrazione giustiziale, cit., p. 9. 99 ALESSANDRO PAJNO forme costituite dai tradizionali ricorsi amministrativi, consentono, così, di comprendere ad un tempo, quali siano le ragioni profonde della crisi di tali ricorsi e quali siano le possibili indicazioni per un rilancio di alcuni di essi. Sotto questo profilo appare, come si vedrà, particolarmente significativa la vicenda del ricorso straordinario al Capo dello Stato. 6. Ricorso gerarchico, ricorso gerarchico improprio e ricorso in opposizione Se si deve parlare dei ricorsi amministrativi, e della loro crisi, il punto di partenza non può che essere costituito dal ricorso gerarchico, se non altro perché questo costituisce lo strumento più risalente della tutela non giurisdizionale. Sulla progressiva e inarrestabile crisi del ricorso gerarchico molto è stato detto: tale crisi ha trovato come è noto, formale sanzione normativa con il d.lgs. n. 80 del 1998, che, evidenziando il venir meno del potere di revoca, di riforma e di avocazione del Ministro nei confronti dei dirigenti, ha designato la dirigenza come titolare, in via esclusiva, di poteri autonomi, non riconducibili ai poteri degli organi di governo, ed ha quindi comportato il venir meno del principio di gerarchia come regola generale dell’ordinamento e nei rapporti fra dirigenza ed organi di governo35. Il venir meno del modello gerarchico di amministrazione comporta (art. 16 d.lgs. n. 165 del 2001) così, in linea di stretta consequenzialità, il sostanziale venir meno del ricorso gerarchico come istituto di carattere generale. Di tale esito la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha prontamente preso atto36, sottolineando, così, che l’inammissibilità del ricorso gerarchico al ministro avverso gli atti del dirigente generale è espressione di un generale criterio organizzativo e funzionale dell’amministrazione che, innovando rispetto al sistema previgente, approfondisce la linea di demarcazione tra funzione di indirizzo politico ed attività di gestione37. In questo contesto, il potere di annullamento ministe35 A. PAJNO, Amministrazione giustiziale, cit., p. 12. Cons. St., II, 30 settembre 1998 n. 1723. 37 Cons. St., IV, 20 novembre 2008 n. 5744. 36 100 I RICORSI AMMINISTRATIVI TRADIZIONALI. UNA PROSPETTIVA NON TRADIZIONALE riale per motivi di legittimità di cui all’all’art. 14, c. 3, d.lgs. n. 80 del 1998 (peraltro successivamente abrogato dall’art. 72 del d.lgs. 165 del 2001) assume il ruolo di un vero e proprio potere extra ordinem non fondato sul rapporto di gerarchia, ma correlato alla responsabilità politica dell’organo. Il ricorso gerarchico diviene, così, da istituto di carattere generale, figura di carattere residuale, dal momento che sopravvive in quegli assetti organizzativi propri delle amministrazioni d’ordine, nei quali il rapporto di gerarchia continua a mantenere un ruolo significativo (forze armate, forze dell’ordine) o con riferimento a personale, come quello diplomatico e prefettizio, non contrattualizzato38. Quella del ricorso gerarchico è quindi, prima ancora che crisi di un rimedio giustiziale, crisi di un assetto organizzativo. Fino a quando la relazione di gerarchia è stata ritenuta idonea a fondare l’autorevolezza dell’autorità decidente, l’esperienza del ricorso gerarchico come strumento di soluzione dei conflitti, ha avuto una certa efficacia; questa situazione è entrata in crisi quando è entrata in crisi la relazione di gerarchia: quando, cioè, sostituita da modelli diversi di organizzazione amministrativa, essa non è stata più in condizione di garantire, o comunque, di rendere percepibile l’imparzialità e l’indipendenza del soggetto chiamato a decidere. Nel rapporto gerarchico è l’autorità del superiore a fondare la sua imparzialità; quando la relazione gerarchica viene meno, o viene sentita come non idonea ad assicurare l’imparzialità della decisione, quest’ultima deve affidarsi a forme organizzative idonee a garantire il valore dell’indipendenza e dell’imparzialità. Con il ricorso amministrativo non è pertanto, entrata in crisi la funzione giustiziale di soluzione dei conflitti affidata all’amministrazione, ma una sua specifica forma organizzativa, quella di gerarchia, che si è rivelata incapace di assicurare i caratteri dell’imparzialità, dell’autorevolezza e dell’indipendenza che, si è visto sopra, devono caratterizzare tutte le forme di amministrazione giustiziale. Questo esito è, d’altra parte, reso palese dal fatto che la crisi che ha investito il ricorso gerarchico non sembra avere investito, almeno con la stessa intensità, il ricorso 38 Tar Calabria, I, 21 marzo 2013 n. 299. 101 ALESSANDRO PAJNO gerarchico improprio39, nel quale, come è noto, è sostanzialmente carente un’organizzazione gerarchica in senso proprio, mentre il carattere collegiale del soggetto chiamato a decidere appare capace di assicurare un certo livello di imparzialità. Anche il ricorso gerarchico improprio sembra ormai conoscere il declino, dovuto forse all’incapacità dell’amministrazione di provvedere con quella tempestività e con quella efficienza che devono caratterizzare gli strumenti di amministrazione giustiziale: come, ad esempio, è reso palese dall’art. 7, c. 1 bis, del d.l. 29 marzo 2004 n. 80, che ha soppresso il ricorso gerarchico improprio avverso il piano di rilevazione della massa passiva dei comuni in stato di dissesto, ha disposto l’estinzione dei ricorsi pendenti, spiegati ai sensi dell’art. 87 c. 6 d.lgs. 25 febbraio 1995 n. 77 ed ha riconosciuto la facoltà di riproporli, entro un termine prefissato, davanti al giudice amministrativo o, alternativamente, nelle forme del ricorso straordinario al Capo dello Stato. Un ricorso gerarchico improprio è stato sostituito con un ricorso giurisdizionale o con un rimedio amministrativo, come il ricorso straordinario, capace di garantire l’indipendenza e l’imparzialità. Il ricorso gerarchico appare, così, ormai fuori da un autentico sistema di amministrazione giustiziale40, non apparendo in essi riscontrabili quei caratteri ritenuti necessari – in particolare quello dell’indipendenza e della terzietà – per l’organizzazione della funzione di giustizia assegnata all’Amministrazione. Per le stesse ragioni deve, ormai, essere considerato al di fuori degli strumenti di amministrazione giustiziale il ricorso in opposizione che, in quanto rivolto alla stessa autorità che ha emanato il provvedimento impugnato, sembra in realtà atteggiarsi come una forma di protezione procedimentale riconosciuta dall’ordinamento in casi in cui l’interesse dell’amministrazione coincide con l’interesse di cui si fa portatore il soggetto ricorrente (è il caso, ad esempio, del ricorso in opposizione al provveditore agli studi che ha approvato la graduatoria utile per il conferimento degli incarichi di insegnamento). 39 40 102 A. PAJNO, Amministrazione giustiziale, cit., p. 13. A. PAJNO, op. cit., p. 12. I RICORSI AMMINISTRATIVI TRADIZIONALI. UNA PROSPETTIVA NON TRADIZIONALE 7. Il ricorso straordinario al Capo dello Stato: riaffermazione della logica antagonistica e cammino verso la giurisdizione Un discorso a parte, rispetto agli altri tradizionali rimedi amministrativi, merita il ricorso straordinario al Capo dello Stato41, e ciò non soltanto per il ruolo che esso ha svolto nella storia della giustizia amministrativa, ma anche per la particolare evoluzione, legislativa e giurisprudenziale, che lo ha caratterizzato. La decisione del ricorso straordinario è, infatti, adottata in conformità al parere espresso dal Consiglio di Stato (art. 14 d.P.R. n. 1191 del 1971), e quindi con l’intervento dell’organo chiamato ad assicurare, secondo il dettato costituzionale (art. 100, primo comma, Cost.) la giustizia nell’amministrazione; proprio le particolari garanzie che tradizionalmente lo hanno accompagnato, hanno, nel tempo, favorito la sua progressiva evoluzione e la sua considerazione secondo una prospettiva che, mettendo al centro le sue funzioni eminentemente di giustizia, ha favorito il suo avvicinamento ai rimedi giurisdizionali, nel segno delle comuni finalità di giustizia. Lo sviluppo e le ultime vicende di questo processo evolutivo sembrano, però, paradossalmente confermare le difficoltà già evidenziate per i rimedi giustiziali, e cioè la resistenza nel configurare quella che li riguarda come una modalità di tutela che, proprio perché caratterizzata da finalità di giustizia e dall’esercizio di funzioni non giudiziarie, è nello stesso tempo autonoma e non riducibile ad uno dei due corni del dilemma, e cioè all’amministrazione o alla giurisdizione. Ed infatti, se il ricorso gerarchico, per la crisi che lo ha caratterizzato e che è stata sopra descritta, è stato progressivamente attratto nell’orbita dell’amministrazione, il ricorso straordinario appare caratterizzato da un processo che tende ormai, anche formalmente a ricondurlo (non ai rimedi amministrativi ma) ai rimedi giurisdizionali. Si tratta, come è palese, di due processi di segno opposto ma che, paradossalmente, sembrano confermare la difficoltà di una configurazione autonoma dei rimedi giustiziali, ad un tempo non giurisdizionali (e quindi non riconducibili all’esercizio proprio della relativa funzione) e caratterizzati da una finalità di giustizia, e quindi non riconducibili, in senso proprio, al 41 A. PAJNO, Amministrazione giustiziale, cit., p. 13. 103 ALESSANDRO PAJNO perseguimento dell’interesse specifico che la legge attribuisce all’amministrazione. Proprio, d’altra parte, con riferimento al ricorso straordinario al Capo dello Stato, il lungo processo che ha condotto alla “giurisdizionalizzazione” (e quindi alla riduzione di esso ad uno dei due corni del dilemma, amministrazione o giurisdizione) sembra aver conosciuto oggi, se non una vera e propria battuta di arresto, certamente un’importante occasione di riconsiderazione, a seguito della sentenza n. 73 del 2014 della Corte costituzionale. Tale pronuncia, infatti, potrebbe contribuire a mettere in discussione quel percorso che, conformemente alla ricordata visione “antagonistica” dei rapporti fra giurisdizione ed amministrazione, ha condotto ad una formale assimilazione del ricorso straordinario alla tutela giurisdizionale, e contribuire, invece, a disegnare uno spazio proprio ed autonomo per i rimedi non giurisdizionali ma con finalità di giustizia. 8. Il ricorso straordinario nella giurisprudenza della Cassazione e della Corte costituzionale Non è questa, ovviamente, la sede per ricordare il lungo percorso normativo e giurisprudenziale che ha progressivamente trasformato un’istanza rivolta al potere di grazia del sovrano, “una sorta di prerogativa di grazia del monarca”42 in un vero e proprio rimedio di giustizia. Quel che forse è il caso di rilevare è che la lunga sequenza normativa che ha condotto all’introduzione di sempre più spiccati profili di garanzia43 è stata costantemente accompagnata, nella giurisprudenza della Cassazione, dall’affermazione della natura amministrativa e non giuri42 Corte cost., n. 298 del 1983. Si considerino al riguardo la l. 20 marzo 1865 n. 2248 che, all’all. D, espressamente prevede il ricorso straordinario al Capo dello Stato, e che ne ha fatto, fino all’istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato con la l. n. 5992 del 1899, l’unico strumento per la tutela delle situazioni soggettive che prenderanno il nome di interessi legittimi; la l. 7 marzo 1907 n. 62, che ha introdotto un termine per la proposizione del gravame e previsto la necessità del contraddittorio con l’autorità emanante; il R.D. 26 giugno 1924 n. 1054; il R.D. 21 aprile 1942 n. 444; la l. n. 105 del 1950, che ha indirettamente confermato la vigenza del rimedio dopo l’entrata in vigore della Costituzione, il d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199. 43 104 I RICORSI AMMINISTRATIVI TRADIZIONALI. UNA PROSPETTIVA NON TRADIZIONALE sdizionale del rimedio44, con la conseguente inconfigurabilità dell’efficacia di cosa giudicata del decreto decisorio45, ed impossibilità di chiederne l’esecuzione attraverso il giudizio di ottemperanza46. A tale costante orientamento della giurisprudenza della Cassazione ha fatto riscontro un indirizzo della Corte costituzionale che, pur convenendo con la Corte di cassazione circa la natura non giurisdizionale del ricorso, ne ha espressamente sottolineato il carattere di “rimedio singolare, anomalo, alternativo al ricorso giurisdizionale … caratterizzato da uno speciale procedimento contenzioso sui generis”47. Nel tempo, peraltro, la stessa Corte ha ritenuto di dover sottolineare una sorta di progressivo “distacco” del ricorso straordinario dal carattere meramente amministrativo, dal momento che questo risulta temperato dal fatto che si è pur sempre in presenza di un meccanismo di risoluzione di una controversia e soprattutto dalla considerazione della sua caratteristica peculiare, costituita dalla sua alternatività al ricorso giurisdizionale48. Sulla scorta di tali considerazioni la Consulta ha così affermato che il ricorso straordinario, se non può essere minimamente assimilato ad atti di tipo giurisdizionale o paragiurisdizionale, non può tuttavia essere definito atto di amministrazione attiva, ricorrendo in esso non un’attività discrezionale diretta allo specifico fine predeterminato dalla legge, ma un’attività di pura e semplice applicazione di diritto oggettivo sicché il medesimo “si distingue nettamente dai ricorsi amministrativi ordinari e da altre espressioni di amministrazione attiva in forma contenziosa, secondo una distinzione che non è vanificata neppure nel caso in cui il Consiglio dei ministri adotti un’autonoma decisione sul ricorso straordinario differente dal parere del Consiglio di Stato”49. Il ricorso straordinario ha, così, acquistato una specifica caratterizzazione nell’ambito dei rimedi non giurisdizionali; ciò, peraltro, non ha impedito alla Corte di sottolineare la peculiarità della funzione amministrativa 44 Cass., sez. un., n. 3141 del 1953; n. 2992 del 1968; n. 6075 del 1988. Cass., sez. un., n. 903 del 1971. 46 Cass., sez. un., n. 15978 del 2001. 47 Corte cost., n. 31 del 1975, n. 148 del 1982, n. 298 del 1936. 48 Corte cost., n. 298 del 1986. 49 Corte cost., n. 298 del 1986. 45 105 ALESSANDRO PAJNO esercitata a seguito della proposizione di ricorsi, possedendo tale funzione una sua autonomia che ne suggerisce una disciplina unitaria50. 9. Il ricorso straordinario e la possibilità di sollevare questioni di legittimità costituzionale Il sopra richiamato indirizzo giurisprudenziale della Consulta è stato, peraltro, accompagnato da un altro, volto progressivamente ad ampliare la legittimazione alla proposizione delle questioni di legittimità costituzionali; tale legittimazione è stata, tra l’altro, riconosciuta al giudice dell’esecuzione immobiliare esattoriale, al giudice dell’esecuzione penale, al giudice di sorveglianza, alla Sezione disciplinare del CSM, ai Commissari regionali per la liquidazione degli usi civici, agli Intendenti di finanza, alla Corte dei conti nel corso del giudizio di parificazione51 ed in sede di controllo preventivo di legittimità52 in forza della considerazione che la relativa funzione è sotto molteplici aspetti assimilabile a quella giurisdizionale. La possibilità di sollevare questioni di costituzionalità è stata riconosciuta agli arbitri rituali, nella considerazione che l’arbitrato costituisce un procedimento previsto e disciplinato dal codice di rito civile per l’applicazione obiettiva del diritto, con le garanzie del contraddittorio e dell’imparzialità, e che il giudizio degli arbitri è potenzialmente fungibile con quello degli organi della giurisdizione53. Si sono, così, progressivamente affermati due diversi indirizzi giurisprudenziali della Corte costituzionale, uno volto a sottolineare la speciale natura di decisione a seguito di contraddittorio propria del ricorso straordinario, ed un altro volto a riconoscere la legittimazione a sollevare questioni di costituzionalità in presenza di attività di applicazione obiettiva del diritto con la garanzia del contraddittorio. Non può, pertanto, sorprendere il fatto che, avendo la Corte di giustizia riconosciuto che il Consiglio di Stato, quando emette un parere nell’ambito del ricorso straordinario, costituisce una giurisdizione ai 50 Corte cost., ord. 456 del 2001. Corte cost., n. 165 del 1963; n. 121 del 1966; n. 142 e 143 del 1968. 52 Corte cost., n. 226 del 1976. 53 Corte cost., n. 376 del 2001. 51 106 I RICORSI AMMINISTRATIVI TRADIZIONALI. UNA PROSPETTIVA NON TRADIZIONALE sensi dell’art. 177 del Trattato54, il medesimo Consiglio di Stato abbia rimesso all’esame della Corte costituzionale una questione di costituzionalità prospettata in sede di ricorso straordinario. La Corte ha, tuttavia, considerato inammissibile la questione di legittimità sollevata, sul rilievo della natura amministrativa e non giurisdizionale del rimedio, resa, tra l’altro, palese, dalla possibilità, prevista dall’art. 14 del d.P.R. n. 1199 del 1971, per il Consiglio dei ministri di adottare una decisione difforme da quella fatta propria dal parere del Consiglio di Stato55. La pronuncia suscita qualche perplessità. Ed infatti, una volta riconosciuta la possibilità di sollevare questioni di costituzionalità ad organi amministrativi che agiscono in posizione di indipendenza per l’applicazione del diritto obiettivo, ed a collegi che, come quelli arbitrali, pongono in essere un’attività fungibile con quella giurisdizionale, appariva ragionevole riconoscere tale possibilità ad organi che, come il Consiglio di Stato in sede consultiva, provvedono all’applicazione del diritto obiettivo nel quadro di un procedimento alternativo al rimedio giurisdizionale. Con la pronuncia in questione la Corte ha, invece, affermato la natura amministrativa del gravame straordinario, così omettendo in qualche modo di considerare i propri precedenti che avevano sottolineato l’impossibilità di ridurre all’amministrazione attiva la funzione svolta in sede straordinaria, implicando essa un’attività di pura e semplice applicazione del diritto oggettivo56 e che avevano posto le premesse per una considerazione autonoma del ricorso straordinario, non di amministrazione attiva, né giurisdizionale, ma più semplicemente di giustizia. Il problema non era infatti quello di stabilire la natura del rimedio, ma l’altro, di considerare se in presenza di un’attività di applicazione del diritto oggettivo, e cioè di giustizia, capace, per di più, di prendere il luogo della tutela giurisdizionale, in quanto ad essa alternativa, non fosse ragionevole riconoscere la possibilità, nell’esercizio della medesima, di investire la Corte costituzionale di questioni di legittimità delle norme primarie. 54 Corte giust. CE, 16 ottobre 1997, cause da C-69/96 a C-79-96. Corte cost., n. 254 del 2004. 56 Corte cost., n. 298 del 1986. 55 107 ALESSANDRO PAJNO 10. Ricorso straordinario e mutamento di natura: dall’amministrazione alla giurisdizione Quali che siano le considerazioni possibili in ordine alla pronuncia della Consulta n. 254 del 2004, è certo che dopo di essa è iniziata una riflessione volta a consentire il superamento della preclusione alla possibilità di sollevare, in sede straordinaria, questioni di costituzionalità. Il punto di arrivo di questa riflessione è costituito dall’art. 69 della legge n. 69 del 2009 che, modificando gli artt. 13 e 14 del d.P.R. n.1199 del 1971, ha espressamente introdotto la possibilità per il Consiglio di Stato in sede consultiva di rimettere alla Corte costituzionale l’esame di questioni di costituzionalità, ed eliminato la possibilità, per il Governo, di disattendere con il decreto decisorio il parere del Consiglio di Stato. L’intento in tal modo perseguito dal legislatore era chiaro: non si trattava di intervenire sulla natura del rimedio ma di eliminare dalla disciplina riguardante un ricorso non giurisdizionale quei profili che avevano escluso la legittimazione del Consiglio di Stato in sede consultiva a sollevare questioni di costituzionalità, così riconoscendo quella possibilità, nell’esercizio di funzioni di giustizia, che la giurisprudenza della Corte costituzionale aveva riconosciuto ad altre sedi non giurisdizionali. La norma in questione è stata, tuttavia, letta in modo diverso dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato, secondo una chiave di lettura ispirata ad una logica che ritiene impossibile configurare qualunque spazio per un’attività che non sia o giurisdizionale o amministrativa, e che ha portato a configurare l’art. 69 della legge n. 69 del 2009 come il punto di arrivo di un lungo processo evolutivo che ha condotto non all’incremento di garanzia di un rimedio giustiziale, ma ad un vero e proprio mutamento di natura. La nuova disciplina dell’art. 69 della legge n. 69 del 2009 diviene così la lente alla luce della quale operare una rilettura delle vicende, normative e giurisprudenziali precedenti, secondo un modo di operare che non è estraneo alla giurisprudenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione (si pensi, ad esempio, alla “rilettura” della propria giurisprudenza operata dalla Suprema Corte con la sentenza n. 500 del 1999, per pervenire all’affermazione della risarcibilità dell’interesse legittimo); correlativamente, le vicende normative che hanno accompagnato i 108 I RICORSI AMMINISTRATIVI TRADIZIONALI. UNA PROSPETTIVA NON TRADIZIONALE cambiamenti nella disciplina del ricorso straordinario vengono descritte come tante tappe di un cammino progressivo che, introducendo nel procedimento straordinario una tutela sempre più efficace per il cittadino, non possono non condurre all’affermazione della natura giurisdizionale del rimedio, quasi che l’incremento della garanzia in un procedimento non giurisdizionale debba necessariamente comportare l’ingresso nella giurisdizione. In questa ottica, si pone innanzi tutto la sentenza con cui la Cassazione, innovando rispetto al proprio precedente orientamento, ha riconosciuto l’esperibilità del rimedio dell’ottemperanza con riferimento ai decreti decisori del ricorso straordinario57. La Corte, dopo aver descritto il proprio tradizionale indirizzo, porta l’attenzione sulla sopravvenuta disposizione di cui all’art. 69 l. n. 69 del 2009, per osservare che le modifiche con esso introdotte sono idonee ad eliminare alcune determinanti differenze per il procedimento del rimedio straordinario, sicché “la nuova norma pare implicitamente presupporre il riconoscimento di una condizione comunque sostanzialmente equivalente alla giurisdizionalità”58. Con tali presupposti, “la nuova regolamentazione normativa intesa all’assimilazione del rimedio straordinario a quello giurisdizionale, pur nella diversità formale del procedimento e dell’atto conclusivo non può non assicurare una tutela effettiva del tutto simile”59. Questa “rilettura” delle vicende relative al gravame straordinario è, se possibile, operata in modo ancor più penetrante con la pronuncia n. 23464 del 2012, con cui la Cassazione ammette l’esperibilità, avverso il decreto decisorio del ricorso straordinario, del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. La Corte, infatti, ripercorre le diverse innovazioni che hanno caratterizzato la vicenda del ricorso straordinario per portare, poi, l’attenzione sull’art. 69 della l. n. 69 del 2009, e sulla nuova disciplina del processo amministrativo contenuta nel d.lgs. n. 104 del 2010. Il primo, eliminando la possibilità di una decisione difforme, avrebbe rimosso l’ostacolo che la giurisprudenza costituzionale ravvisava nel riconoscimento della natura di autorità giurisdizionale del Consiglio di 57 Cass., sez. un., n. 2065 del 2011. Cass., sez. un., n. 2065 del 2011. 59 Cass., sez. un., n. 2065 del 2011. 58 109 ALESSANDRO PAJNO Stato in sede consultiva; la seconda avrebbe ulteriormente accentuato il carattere giurisdizionale del ricorso straordinario, facendo della giurisdizione il presupposto necessario del ricorso straordinario60. Lo sviluppo normativo consentirebbe pertanto di riconoscere che vi sarebbe esercizio di giurisdizione nel contenuto espresso dal parere del Consiglio di Stato, che consentirebbe il sindacato sulla giurisdizione delle sezioni unite della Cassazione ex art. 111 Cost. (Cass., sez. un., n. 23464 del 2012). Questo iter argomentativo è stato condiviso dal Consiglio di Stato, prima dalle sezioni semplici (Cons. St., VI, n. 3513 del 2011), e poi dall’Adunanza Plenaria (Ad. Pl., n. 18 del 2012 e n. 9 del 2013), che ha condiviso l’affermazione della natura giurisdizionale della pronuncia emessa su ricorso straordinario, ed indicato ai sensi dell’art. 112, c. 2, c.p.a., il Consiglio di Stato quale giudice chiamato a conoscere dell’ottemperanza. 11. Gli argomenti della Cassazione e del Consiglio di Stato Se queste sono le conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza della Corte regolatrice e del Consiglio di Stato, occorre osservare che alla base di esse vi è, probabilmente, una scelta in forza della quale non può esservi spazio tra ciò che è amministrazione e ciò che è giurisdizione; non può, cioè, essere perseguita quella via che pure la Corte costituzionale aveva iniziato ad intraprendere, quando il rimedio straordinario era stato descritto come non giurisdizionale ma irriducibile ad un atto di amministrazione attiva61. Alla base di un tale modo di pensare c’è probabilmente una sorta di idea “totalizzante” della giurisdizione, in virtù della quale, non può, alla fine, esservi giustizia fuori dalla giurisdizione, né garanzia autentica al di fuori di essa; secondo questa logica, allorché il sistema di garanzia riconosciuto in un provvedimento decisorio raggiunge un certo livello, esso, per dir così, “trabocca” nella giurisdizione. Viene in tal modo realizzato un percorso inverso a quello indicato molti anni fa da Salvatore Satta. Per Satta, infatti, occorreva ri60 61 110 Cass., sez. un., 19 dicembre 2012 n. 23464. Corte cost., n. 298 del 1985. I RICORSI AMMINISTRATIVI TRADIZIONALI. UNA PROSPETTIVA NON TRADIZIONALE solvere la giurisdizione in giustizia; al contrario, con l’approccio sopra descritto, ogni forma di giustizia viene risolta nella giurisdizione. Che le cose vadano nel senso sopra indicato, appare, d’altra parte confermato da una sia pur sommaria considerazione degli argomenti esegetici che vengono posti alla base dell’affermazione della natura giurisdizionale del ricorso straordinario. Al centro di questo approccio c’è come si è visto l’art. 69 della legge n. 69 del 2009; tuttavia, viene del tutto trascurata la considerazione dell’intenzione del legislatore, che era quella di incrementare le garanzie di un rimedio non giurisdizionale, come risulta evidente dalla rubrica della norma, dedicata (non ai rimedi giurisdizionali ma) ai rimedi giustiziali62. Allo stesso modo, non può ritenersi decisivo, quale “sintomo” della giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario, il richiamo al nuovo codice del processo amministrativo. Questo ha preso in considerazione il ricorso straordinario fondamentalmente per disciplinare gli effetti della trasposizione del rimedio in sede giurisdizionale, e cioè effetti tipicamente processuali; non può, d’altra parte, condurre a diversa conclusione, né la circostanza che la facoltà di opposizione sia stata estesa a tutte le parti (art. 48, c. 1, c.p.a.), né la locuzione contenuta nell’art. 48 c. 3, alla stregua del quale, se l’opposizione è dichiarata inammissibile, il tribunale amministrativo dispone la restituzione del fascicolo “per la prosecuzione del giudizio in sede straordinaria”. Non si tratta, infatti, come pure è stato detto, di un caso di traslatio iudicii, ma molto più semplicemente, della disciplina, meramente ricognitiva delle prassi già esistenti, conseguente all’inidoneità dell’opposizione a provocare la trasposizione. In questo caso, la controversia viene restituita alla sede straordinaria, nella quale, a seguito della semplice notifica della trasposizione, il ricorso era divenuto improcedibile; è chiaro, infatti, che, rivelatasi inidoneo allo scopo l’atto di trasposizione nella sede giurisdizionale, viene meno la condizione di improcedibilità che impediva l’esame della controversia nella sede straordinaria. Non può indurre ad un esito diverso l’utilizzazione, nel corpo della norma, della locuzione “giudizio”; essa non esprime nient’altro che il fatto che si è di fronte ad una 62 G. D’ANGELO, La giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica: profili critici di un orientamento che non convince, in www.giusti ziamm.it. 111 ALESSANDRO PAJNO vicenda decisoria, appunto ad un “giudizio”, sia che esso si perfezioni nella sede straordinaria sia che invece trovi la propria definizione nella sede giurisdizionale. Se si fosse di fronte ad un procedimento giurisdizionale, non avrebbe senso, come efficacemente è stato osservato63, la trasposizione da una sede giurisdizionale ad altra della stessa natura. Non sembra, infine, decisiva, l’affermazione, pure presente in giurisprudenza, secondo la quale la giurisdizione costituirebbe ormai, ex art. 7, c. 8 c.p.a., il presupposto del ricorso straordinario. In realtà, infatti, la giurisdizione amministrativa è sempre stata il presupposto del rimedio straordinario, dal momento che questo è ad essa alternativo. La circostanza che con l’art. 7, c. 8, il legislatore abbia inteso superare quell’anomalo indirizzo giurisprudenziale, che vedeva esperibile il ricorso in questione anche nella materia rientrante nella giurisdizione ordinaria (ma con alcune limitazioni, tutte messe a fuoco dalla giurisprudenza) non muta la sostanza delle cose. In questa prospettiva, deve infine considerarsi non condivisibile l’affermazione alla stregua della quale l’ottemperanza dei decreti decisori dei ricorsi straordinari dovrebbe ritenersi proponibile ai sensi dell’art. 112, c. 2, lett. b, c.p.a., in forza della quale la relativa azione può essere proposta per l’attuazione delle sentenze esecutive e degli altri provvedimenti del giudice amministrativo. Questi ultimi sono, infatti, i provvedimenti cautelari del giudice amministrativo; quello che fonda, invece, l’ammissibilità del ricorso per l’ottemperanza delle pronunce in sede straordinaria è l’art. 112, c. 2, c.p.a., che disciplina l’esperibilità del rimedio contro i provvedimenti, equiparati alle sentenze passate in giudicato, per i quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza. Nel sistema del codice, infatti, l’ottemperanza è costruita non come disposizione che riguarda le pronunce giurisdizionali, ma come rimedio generale nei confronti di qualunque decisione di giustizia, come è reso palese dall’art.112, c. 2, lett. e, che estende il ricorso all’esecuzione dei lodi arbitrali divenuti inoppugnabili. 63 112 G. D’ANGELO, La giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario, cit. I RICORSI AMMINISTRATIVI TRADIZIONALI. UNA PROSPETTIVA NON TRADIZIONALE 12. La sentenza della Corte costituzionale n. 73 del 2014: il ricorso straordinario come rimedio giustiziale. Il ricorso straordinario restituito a se stesso È comunque, nel dibattito sopra descritto che interviene la sentenza della Corte costituzionale 2 aprile 2014 n. 73, che ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale, prospettata dalla I Sezione consultiva del Consiglio di Stato, in riferimento agli artt. 76 e 77, primo comma, Cost. Ciò che colpisce nella pronuncia in questione è il fatto che la Corte, pur prendendo rigorosamente atto dei contenuti innovativi dell’art. 69 l. n. 69 del 2009, non fa derivare da essi l’acquisizione della natura giurisdizionale del rimedio straordinario, ma la sua collocazione in un’area non più semplicemente amministrativa, ma giustiziale. Secondo la Corte, infatti, l’istituto, per effetto delle modifiche legislative, “ha perduto la propria connotazione puramente amministrativa ed ha assunto la qualità di rimedio giustiziale amministrativo, con caratteristiche strutturali e funzionali in parte assimilabili a quelle tipiche del processo amministrativo”64; in coerenza con tale impostazione, la funzione precipua dell’art. 7 c.p.a. viene identificata nella necessità di assicurare il coordinamento fra la giurisdizione amministrativa ed un rimedio (non giurisdizionale ma) giustiziale, attratto per alcuni profili nell’orbita della giurisdizione in quanto metodo alternativo di soluzione dei conflitti. La pronuncia della Corte prende, pertanto, consapevolmente le distanze dall’indirizzo della Cassazione e dal Consiglio di Stato, e con essa, dal modo di pensare che sta alla base di tale indirizzo. L’istituto ha perduto il proprio tradizionale connotato amministrativo, ma non per questo è divenuto un rimedio giurisdizionale; esso ha assunto, infatti, “la qualità di rimedio giustiziale amministrativo”65. Il ricorso rimane, pertanto amministrativo, ma viene qualificato in modo specifico come giustiziale, e cioè caratterizzato dalla propria funzione di giustizia, che ne condiziona lo svolgimento e l’organizzazione. 64 65 Corte cost., n. 73 del 2014. Corte cost., n. 73 del 2014. 113 ALESSANDRO PAJNO In tal modo la Corte da una parte riprende il proprio orientamento risalente, volto a mettere in luce il progressivo distacco del ricorso straordinario dalla semplice natura amministrativa; dall’altra evidenzia come non possa essere condivisa quella lettura “antagonistica” che impedisce di delineare uno spazio terzo tra amministrazione e giurisdizione, e con esso, la possibilità di configurare rimedi che, pur dotati di un’alta qualità di indipendenza e di garanzia, non diventano per questa ragione giurisdizionali, ma esigono, in funzione della finalità di giustizia, una loro specifica autonoma organizzazione e considerazione, che possa spiegare la loro capacità di essere “alternativi” alla giurisdizione. In tal modo la Corte costituzionale non solo restituisce a se stesso il ricorso straordinario, ma, alla fine, recupera un ruolo significativo per tutti i rimedi alternativi, che proprio quel modo di pensare che esclude ogni possibile spazio tra amministrazione e giurisdizione aveva contribuito ad erodere in modo decisivo. L’efficacia e la ragione stessa dei rimedi alternativi è, infatti, proprio quella di non essere giurisdizione, e tuttavia di poter comporre il conflitto, di poter fare opera di giustizia senza utilizzare la risorsa giurisdizionale. L’importanza della sentenza si proietta oltre il caso del ricorso straordinario; attraverso di essa, infatti, si ha conferma del fatto che è possibile che vi sia un’attività di giustizia al di fuori della giurisdizione, a condizione che questa sia organizzata secondo moduli che assicurino l’indipendenza del giudizio, la terzietà, l’autorevolezza dell’organo chiamato a pronunciarsi e la tempestività della decisione. Riguardata sotto questo profilo, la pronuncia della Corte costituzionale può in qualche modo contribuire ad un rapporto più significativo dell’ordinamento nazionale con quello europeo e alla adeguata considerazione di profili pure indicati dalla Costituzione. La pronuncia della Corte rende più vicina l’esperienza europea, che valorizza anche a fini deflattivi, i rimedi alternativi; contribuisce, poi, a dare valore concreto all’art. 100 Cost., che fa riferimento alla giustizia nell’amministrazione e che, proprio per tale ragione garantisce l’indipendenza del Consiglio di Stato in sede consultiva. Si tratta di un rilievo importante, perché pone in luce come sia possibile concepire una giustizia non giurisdizionale, ed un’indipendenza non concentrata soltanto nell’esercizio della funzione giurisdizionale. 114 I RICORSI AMMINISTRATIVI “TRADIZIONALI”: DIFETTI E POSSIBILI CORRETTIVI Daniele Corletto Ringrazio innanzitutto ancora una volta gli amici trentini che ci danno, oggi come in tante altre occasioni, una bellissima opportunità d’incontro e di discussione. Volendo prendere sul serio il ruolo che mi è stato attribuito di “discussant”, mi sono sforzato di cercare dei punti attorno ai quali articolare una proposta di discussione critica su quello che ha detto il presidente Pajno, ma la cosa mi riesce assai difficile, dato che mi trovo in pieno accordo con la sua impostazione e con le conclusioni avanzate. Del resto forse non è detto che chi “discute” su una relazione debba necessariamente “mettere in discussione” gli argomenti e le conclusioni di questa. Mi servirò invece di un paio di punti che il presidente Pajno ha colto in modo molto puntuale come base per una riflessione che avrà il solo pregio di essere breve (del resto non è la ristrettezza del tempo la più classica e spudorata delle scuse per giustificare la frammentarietà e disorganicità di quello che si sta per dire, e per accattivarsi la benevolenza, o almeno la sopportazione dell’uditorio?). Fra le tante questioni che il presidente Pajno ha trattato, la prima delle due che vorrei riprendere riguarda la sorte sfortunata dei ricorsi gerarchici, e in generale dei ricorsi amministrativi; l’altra, che coincide proprio con una riflessione che andavo ruminando e che adesso mi sento autorizzato ad esporre, si riassume in questa formula: i ricorsi in opposizione sono una modalità di esercizio della funzione di amministrazione attiva. Sulla sorte sfortunata dei ricorsi vorrei tornare un solo momento, soltanto per rilevare che la delusione sofferta da chi in qualche momento si era immaginato che i ricorsi amministrativi potessero diventare degli utili strumenti, economici, rapidi e semplici per risolvere o preve- DANIELE CORLETTO nire le controversie, non pare del tutto superata e anzi lascia spazio spesso non solo ai rimpianti, ma anche a dei tentativi di rianimazione dei poveri infermi. La malaticcia sopravvivenza dei ricorsi amministrativi (tenendo fuori dal discorso il ricorso straordinario al Capo dello Stato, che ha profili e caratteri peculiari, dei quali non è necessario oggi occuparsi), così come la tradizione e la legge del 1971 ce li ha consegnati, viene illuminata di quando in quando dalla speranza di un rilancio, di una rinascita. Come quando, ad esempio, tipicamente in occasione delle inaugurazioni degli anni giudiziari del Consiglio di Stato e dei TAR, i rispettivi Presidenti hanno fatto presente la necessità di sostenere il funzionamento della giurisdizione amministrativa riducendo il numero delle controversie, deflazionando (come si dice) il contenzioso. Nella Relazione del Presidente De Lise, ad esempio, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2011 del Consiglio di Stato, sulla base della premessa che “la giurisdizione va considerata come una risorsa non illimitata, da riservare alle questioni più rilevanti” (e questa è, in fondo, l’idea che sta alla base della c.d. Proportionate Dispute Resolution inglese, della quale sta scrivendo la collega Ligugnana), si sostiene che “almeno per alcune materie, si potrebbe tornare a prevedere il previo ed obbligatorio esperimento di ricorsi amministrativi, garantendo la terzietà e la specializzazione degli organi competenti a deciderli”. Ma dieci anni prima il presidente Baccarini all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2002 del TAR Veneto aveva caldeggiato “l’ipotesi di rivitalizzare il ricorso gerarchico improprio dinanzi a commissioni dotate di effettiva terzietà”. E ancora un decennio prima, la Commissione di studio nominata dal ministro Cassese nel 1993 e presieduta da Cerulli Irelli1 avanzò la proposta di istituire delle apposite “commissioni per l’amministrazione giustiziale” presso ogni amministrazione statale, separate dall’amministrazione attiva e circondate di garanzie quanto all’indipendenza e alla composizione, con il compito di decidere ricorsi amministrativi. 1 Vedi PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – DIPARTIMENTO PER LA FUNZIONE La riforma della p.a., vol. V, La giustizia nell’amministrazione, 1994. PUBBLICA, 116 I RICORSI AMMINISTRATIVI “TRADIZIONALI”: DIFETTI E POSSIBILI CORRETTIVI Del resto, a prendere sul serio le utilità che potrebbero essere offerte da un ben funzionante sistema di rimedi amministrativi ci sollecita anche quella giurisprudenza del Consiglio di Stato, espressa dalla sentenza dell’Ad. Plen. 23 marzo 2011, n. 3, che ha ritenuto che l’art. 30 del Codice del processo amministrativo – con la previsione che il giudice “esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti” – consenta di “soppesare l’ipotetica incidenza eziologica non solo della mancata impugnazione del provvedimento dannoso ma anche dell’omessa attivazione di altri rimedi potenzialmente idonei ad evitare il danno, quali la via dei ricorsi amministrativi e l’assunzione di atti di iniziativa finalizzati alla stimolazione dell’autotutela amministrativa (c.d. invito all’autotutela)”. Ovviamente, la sottoposizione del ricorso al giudice amministrativo alla obbligatoria condizione del previo esperimento di ricorsi amministrativi dovrebbe tener conto del limite che la Corte costituzionale ha segnato2 quando ha chiarito che “l’assoggettamento dell’azione giudiziaria all’onere del previo esperimento di rimedi amministrativi, con conseguente differimento della proponibilità dell’azione a un certo termine decorrente dalla data di presentazione del ricorso, è legittimo soltanto se giustificato da esigenze di ordine generale o da superiori finalità di giustizia, fermo restando che, pur nel concorso di tali circostanze, il legislatore deve contenere l’onere nella misura meno gravosa possibile”. E che sono quindi contrarie agli artt. 24 e 113 Cost. quelle disposizioni che comportano “compressioni del diritto di azione, ostacolandone l’esercizio, in particolare comminando la sanzione della decadenza in relazione al mancato esperimento di ricorsi amministrativi”. Proprio richiamandosi a questa sua ferma e risalente giurisprudenza la Corte ha da ultimo ritenuto l’illegittimità delle previsioni in tema di mediazione tributaria obbligatoria: la norma, di cui al comma 2 dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, secondo cui l’omissione della presentazione del relativo “reclamo” (o istanza) da parte del contribuente determinava l’inammissibilità del ricorso (rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio) è stata ritenuta contraria a Costituzione con la 2 Per tutte v. le sent. n. 406 del 1993 e n. 233 del 1996. 117 DANIELE CORLETTO sent. n. 98 del 2014. Nel frattempo il legislatore, annusata l’aria, ha previsto con l’art. 1, comma 611, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 che la presentazione dell’istanza di mediazione sia condizione di procedibilità e non di ammissibilità del ricorso (e la Corte, nella stessa sent. n. 98, precisa che quella sua pronuncia non costituisce una presa di posizione sulla legittimità della nuova formula della legge). Pur restando ferma questa limitazione, spingono nella direzione di una rinascita dei ricorsi amministrativi, o di qualcosa che vi assomigli, non solo ben concrete esigenze (del resto assai note), ma anche gli inviti di provenienza europea a dare più ampia realizzazione ad un sistema di risoluzione alternativa delle controversie (ad es. la Direttiva 2013/11/UE in materia di controversie dei consumatori), e, volendo, anche l’esempio di quanto avviene fuori dai nostri confini. Per non andare lontano si potrebbe del resto guardare con interesse alla riflessione (e più ancora alla pratica) che in Francia si è realizzata negli ultimi anni in tema di recours administratifs préalables obligatoires (i c.d. RAPO) dei quali avevamo parlato proprio qui a Trento qualche anno fa3. Non stupisce quindi che l’ordinamento in qualche modo si attrezzi, anche per vie traverse, per trovare una risposta a quelle esigenze. Nel diritto tributario, lo Statuto dei diritti del contribuente, la legge 212 del 2000, prevede all’art. 7 (sotto il titolo “chiarezza e motivazione degli atti”) certi contenuti obbligatori degli atti dell’amministrazione tributaria, fra i quali ci sta l’indicazione dell’organo o dell’autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell’atto in sede di autotutela. Certo, la norma è dettata specificamente per il settore tributario, che però non è affatto lontano dal nostro diritto amministrativo. Ed è pur vero anche che la sostanza delle questioni di cui si discute nei rapporti con l’amministrazione finanziaria è caratterizzata dalla individuazione normativa di presupposti precisi dell’obbligo tributario, dall’assenza di discrezionalità, e con ciò dalla presenza di posizioni giuridiche più definite, diritti contro pretese. D’altro lato è anche vero che nella materia tributaria non ci sono di solito 3 Volendo, si può vedere ora D. CORLETTO, I “RAPO” (recours administratifs préalables obligatoires) nel diritto amministrativo francese, in G. FALCON (a cura di), Forme e strumenti della tutela nei confronti dei provvedimenti amministrativi nel diritto italiano, comunitario e comparato, Padova, 2010. 118 I RICORSI AMMINISTRATIVI “TRADIZIONALI”: DIFETTI E POSSIBILI CORRETTIVI controinteressati, non c’è il terzo che ha interesse al mantenimento dell’atto così come l’amministrazione lo ha configurato, e che ciò semplifica notevolmente il quadro, anche in tema di ricorsi e di annullamento o modifica successiva del provvedimento già adottato. Nonostante queste specificità, mi pare che l’esempio non sia privo di interesse anche per noi. Si direbbe che in questo caso non siamo di fronte ad una richiesta in autotutela come semplice appello all’esercizio di poteri officiosi che l’amministrazione può secondo la sua valutazione decidere di utilizzare oppure no, appello al quale quindi l’amministrazione non è neppure obbligata a rispondere: in presenza di una precisa previsione che elenca fra i diritti del contribuente quello di sapere a chi si può presentare la relativa richiesta, verrebbe da dire che qui siamo di fronte alla creazione di un nuovo rimedio, cioè di una istanza a cui l’amministrazione deve dare una risposta (così TAR Toscana 22 ottobre 1999, n. 767: “mentre per l’autotutela spontanea l’amministrazione continua ad essere assolutamente libera di rivedere o meno i propri atti illegittimi senza che a ciò corrisponda alcuna posizione tutelabile del privato, per l’autotutela ad istanza di parte, il solo fatto di averla prevista e disciplinata conduce inevitabilmente alla conclusione che l’amministrazione in questo caso non possa esimersi dal decidere sulla medesima”). Del resto potrebbe non essere del tutto priva di qualche significato sintomatico, almeno quanto alla comune percezione del fenomeno, la circostanza che la prassi parli ormai correntemente di “ricorso” in autotutela. Vale forse la pena anche di ricordare che l’amministrazione tributaria, con un suo regolamento (D.M. 11 febbraio 1997, n. 37) ha a suo tempo limitato la possibilità per gli uffici di intervenire in autotutela ai soli casi di errori materiali o di calcolo e simili, cioè a punti di criticità dell’operato dell’amministrazione che siano evidentemente riconoscibili e in maniera abbastanza diretta e facile passibili di correzione. L’utilizzo di questi “ricorsi in autotutela”, di queste richieste all’amministrazione di correggere, o di ritirare, sue decisioni, pare si stia diffondendo, al di fuori di ogni previsione normativa, anche ad ambiti diversi. Se così è, mi pare che siamo di fronte al crearsi, per generazione spontanea, di meccanismi che non sono nella sostanza diversi da quelli 119 DANIELE CORLETTO che chiamavamo una volta “ricorsi in opposizione”. Abbiamo infatti per il privato delle possibilità di chiedere, alla stessa amministrazione che ha provveduto, appunto la modifica o il ritiro di sue decisioni, e il dovere, per l’amministrazione, di dare una sua risposta. E qui vengo al secondo degli spunti che prendo dalla relazione del presidente Pajno, per rispondere alla domanda, che viene fatto di porsi subito, su quale sia la funzione che l’amministrazione esercita in questi casi. Io penso, confortato su questo da quanto ci ha detto il presidente Pajno, che si tratti di una funzione di amministrazione attiva. Mi guarderò bene dall’affrontare il tema di quale sia il peso e lo spazio da riconoscere al concetto di autotutela, limitandomi ad esprimere la mia convinzione che il potere che viene esercitato, quando si torna su precedenti decisioni per rivalutarne legittimità od opportunità, ed eventualmente per correggerle o ritirarle, è ancora sempre quello di provvedere sull’interesse pubblico che viene affidato, in via principale e caratterizzante, a quella certa amministrazione. E questo sia che tale operazione sia spontanea, sia che venga sollecitata dalla richiesta di un interessato. Mi pare in ogni caso che non si possa in tali casi ricorrere ancora al concetto di funzione giustiziale. Direi che la nozione di “amministrazione giustiziale” dovrebbe essere riservata a quei casi in cui l’amministrazione esercita un potere di riconsiderazione critica, sotto il profilo della legittimità, delle decisioni che ha preso, in una forma particolarmente vicina a quella della giurisdizione, cioè con organi separati da quelli dell’amministrazione attiva che abbiano una funzione espressamente rivolta alla tutela di posizione di privati e che siano dotati di garanzie di indipendenza, di almeno relativa terzietà. Tali sarebbero state, se la proposta avesse avuto seguito, le Commissioni giustiziali ipotizzate nel 1994 dalla Commissione Cerulli Irelli; tali erano, in Austria, gli “unabhängige Verwaltungssenate” fino alla recente riforma recata dalla Verwaltungsgerichtsbarkeits-Novelle del 5 giugno 2012, con effetto dal 1° gennaio 2014. Un altro bell’esempio di istituto che rappresenta una risposta possibile alle esigenze di tutela rapida, economica, informale cui i tradizionali ricorsi amministrativi si sono mostrati incapaci di far fronte po120 I RICORSI AMMINISTRATIVI “TRADIZIONALI”: DIFETTI E POSSIBILI CORRETTIVI trebbe vedersi nell’art. 243-bis del Codice dei contratti (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163): il preannuncio dell’intenzione di presentare ricorso giurisdizionale che nella materia degli appalti si deve dare all’amministrazione. Di questo preannuncio di ricorso viene talvolta sottolineato che la sua ratio sembra piuttosto la tutela dell’amministrazione che quella dei privati, e ne vengono messi in evidenza i limiti, cioè da un lato il fatto che non è obbligatorio, o meglio, che pur essendo dichiarato obbligatorio, non ci sono però sanzioni sostanziali per la sua omissione, se non eventualmente sotto il profilo delle spese del successivo giudizio, dall’altro che anch’esso in fondo presenta i soliti difetti che si attribuivano ai ricorsi amministrativi, collegati con la ripugnanza che l’amministrazione dimostra di fronte alla prospettiva di rimettere in discussione il suo operato. C’è poi, carico di possibilità che ancora una volta rischiano di andare definitivamente sprecate, l’art. 10-bis della legge n. 241. Mi pare che quel momento di discussione, di contraddittorio aggiuntivo su un progetto di atto, su di un testo in sostanza già delineato del provvedimento (ci si trova infatti in fase decisoria) non possa rappresentare la riapertura (e men che mai la prima edizione) di un contraddittorio istruttorio su di una domanda, che deve esserci già stato, ma piuttosto un contraddittorio di discussione sui termini di opportunità e di legalità di una decisione sostanzialmente già presa, di un testo già scritto. Anche qui, inevitabilmente, come nella comunicazione dell’intenzione di ricorrere, l’amministrazione è chiamata a riconsiderare una sua determinazione (già presa formalmente o già sostanzialmente formata) alla luce di rilievi, osservazioni, lamentele degli interessati, sullo sfondo della possibilità o dell’intenzione, in un caso esplicitamente dichiarata, nell’altro sottointesa ma evidentemente presente, di portare i rilievi sollevati (almeno quelli di legittimità, e quelli di merito nella misura in cui si riesca a formularli sotto la specie di figure di eccesso di potere) al giudice, come motivi di un ricorso. Nel ri-valutare la propria decisione alla luce delle osservazioni dell’interessato, e comunque alla luce della prospettiva che si apre di un imminente ricorso al giudice amministrativo, l’amministrazione non si spoglia affatto della sua funzione di amministrazione attiva, ma viene 121 DANIELE CORLETTO chiamata da questa iniziativa del privato a mettere a fuoco, nel quadro degli interessi (e dei contro-interessi) di cui deve tener conto, anche l’interesse ad evitare la controversia, e con ciò a raggiungere, rapidamente e pacificamente, la definitiva stabilizzazione dell’assetto voluto. Si potrebbe cioè dire che, specificamente di fronte ad una sollecitazione articolata dall’interessato attorno a puntuali rilievi, l’amministrazione deve inserire, nel quadro delle valutazioni e degli interessi di cui tenere conto, il “rischio giudiziario”, cioè la possibilità che il raggiungimento dei suoi obbiettivi sia impedito o comunque ritardato e disturbato dalla prospettiva del ricorso giurisdizionale e dagli esiti possibili di questo. Senza dire poi dell’interesse dell’amministrazione a rendere la sua azione più accettata mostrando la capacità di riconoscere e correggere suoi errori. Non per dare giustizia agli interessati, ma per realizzare in maniera più efficace e sicura le finalità cui deve mirare, e quindi evidentemente in una prospettiva di amministrazione attiva, l’amministrazione deve verificare la tenuta possibile delle sue decisioni, con una valutazione prognostica sul possibile esito del ricorso giurisdizionale che viene annunciato. Sulla base della ricognizione degli orientamenti della giurisprudenza, e di un “esame di coscienza” circa l’esistenza delle illegittimità denunciate, l’amministrazione dovrebbe aprire così una fase di autocontrollo sul suo operato, e un check, una valutazione sui possibili esiti dell’iniziativa giudiziaria annunciata, sulle possibilità che questa abbia successo. In questa fase di verifica, di rivalutazione del quadro alla luce dell’interesse alla stabilità e sicurezza, potrebbero ben trovare spazio eventuali accordi transattivi con l’interessato, dovendosi del resto verosimilmente escludere, fino al decorso dei termini per ricorrere, che sussista un affidamento protetto dei terzi avvantaggiati4. Perché anche questi embrioni di possibili futuri rimedi non vadano incontro alla sorte sfortunata dei ricorsi amministrativi, forse si dovreb4 In questo senso, v. G. LIGUGNANA, Conflitto e consenso nei rapporti tra privato e amministrazione: riflessioni in merito ai c.d. «accordi transattivi», in D. CORLETTO (a cura di), Gli accordi amministrativi tra consenso, conflitto e condivisione, Napoli, 2012. 122 I RICORSI AMMINISTRATIVI “TRADIZIONALI”: DIFETTI E POSSIBILI CORRETTIVI be cercare di inquadrarli in una maniera diversa da quella che talvolta si propone, e cioè non come rimedi giustiziali, non come strumenti che servono a dare garanzie al privato, ma come occasioni per un riesercizio, più ponderato e saggio, del potere di amministrazione attiva. Quando si parla di “amministrazione giustiziale” si chiede esplicitamente all’amministrazione di sdoppiare il suo ruolo, cioè di trasformarsi, non si capisce come, da soggetto di amministrazione attiva a giudice, per giunta giudice in re propria, veramente un’impresa impossibile che spiega la triste sorte dei ricorsi. Bisognerebbe invece aver chiaro che qui si tratta di fare amministrazione attiva. Da questo punto di vista si potrebbe persino pensare ad una qualche riconsiderazione delle tradizionali costruzioni del procedimento amministrativo. Si potrebbe cioè convenire che il procedimento amministrativo, una volta adottata e formalizzata la decisione, resta ancora sospeso, aperto per un breve periodo, almeno finché pende il termine per ricorrere al TAR, durante il quale la situazione è ancora non definita, non vi sono aspettative consolidate di terzi, e l’amministrazione ha modo di rivedere eventualmente la sua scelta, esercitando i suoi poteri di autotutela, ossia poteri di amministrazione attiva sotto forma di rivalutazione, di ripensamento sollecitato e guidato dai rilievi del possibile ricorrente. Volendo allargare ancora la riflessione, si potrebbero qui ripetere quelle considerazioni che altre volte si sono fatte sulle conseguenze dell’idea, forse alla fine negativa dal punto di vista dei risultati, dell’amministrazione come un corpo giuridico formato da giuristi, che applicano norme giuridiche. Forse si dovrebbe tornare a pensare che l’amministrazione deve essere un insieme di tecnici, di persone competenti nei singoli campi in cui l’attività pubblica si esplica, che cercano le soluzioni migliori ai problemi che si presentano e che cercano di realizzare nella maniera più intelligente, più economica, più efficace possibile le indicazioni della politica, che ha il compito di indicare interessi, priorità, obbiettivi da realizzare. E che il profilo giuridico rappresenta il limite esterno dell’azione, ed una indicazione, non troppo invasiva, delle modalità di essa. Se così fosse, amministrazione e giurisdizione non potrebbero confondersi, restando ben separate nella loro sostanza, e l’idea stessa di 123 DANIELE CORLETTO amministrazione giustiziale non avrebbe spazio, se non per alcuni uffici specializzati ed autonomi che abbiano lo specifico compito di risolvere controversie, anche relative alla legittimità dell’azione amministrativa. Qui mi fermo, e ringrazio tutti per la pazienza. 124 I RICORSI DINANZI ALLE AUTORITÀ AMMINISTRATIVE INDIPENDENTI Marcello Clarich Il tema che ci è stato affidato nell’ultima sessione si ricollega alle precedenti, anche se ha una sua specificità, soprattutto rispetto alle relazioni che hanno avuto a oggetto i ricorsi amministrativi. Qui il settore è strutturalmente diverso: quando si parla di ricorsi amministrativi, siamo di fronte ad una relazione di tipo verticale tra autorità amministrativa e destinatario di un provvedimento, che ha poi i suoi mezzi di tutela nei confronti della stessa amministrazione. Quando ci spostiamo nel settore delle procedure paragiurisdizionali – chiamiamole convenzionalmente così – davanti alle autorità indipendenti, in realtà gran parte delle situazioni sono quelle in cui l’autorità indipendente svolge la funzione arbitrale tra soggetti privati che vantano rispettive pretese. In un certo senso, qui le parti propugnano le proprie tesi in contraddittorio, in una dimensione un po’ diversa e più semplice, che ne spiega forse il successo, caratterizzata dal fatto che l’amministrazione non è chiamata a ripensare i propri provvedimenti. Avvicinandoci al tema, bisogna osservare che questo fenomeno è in amplissima espansione e ha una base comunitaria ormai estremamente rilevante. Tutte le direttive di settore (comunicazione, energia elettrica e così via) prevedono organi paragiurisdizionali o di mediazione, o simili, chiamati in vari modi, concepiti come strumenti ulteriori di tutela dell’utente, del consumatore, del cliente. Rientra perciò in quella logica, in espansione degli ultimi anni, di tutela del consumatore, che sappiamo essere un ambito in cui l’Unione europea è intervenuta massicciamente per rafforzare la tutela di questi soggetti nei confronti delle imprese nei diversi ambiti (dalla finanza ai servizi pubblici nazionali, e così via). Se guardiamo ai settori principali solo descrittivamente, abbiamo sistemi ormai consolidati nel settore finanziario (Banca d’Italia, ISVAP, COVI); nei grandi servizi pubblici i settori più consolidati sono quelli MARCELLO CLARICH dell’Autorità per il gas e l’energia elettrica, dell’Autorità per la garanzia nelle comunicazioni; ci sono anche degli altri settori (si pensi all’Autorità per i trasporti) in cui una disciplina in tal senso si sta profilando. Inoltre, aggiungerei, in tale contesto, l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (ora sostituita dall’Autorità anticorruzione) che, forzando un po’ la norma del codice, interpreta il potere di esprimere pareri sulle procedure in corso come una attività paragiurisdizionale in contraddittorio tra la stazione appaltante e l’impresa. Perciò siamo di fronte ad un ventaglio molto ampio di regolazione che copre sia settori come quello finanziario, sia settori pubblici, in cui i fallimenti di mercato sono più marcati. Le considerazioni trasversali sui vari settori che si possono fare sono varie. Questa funzione si inserisce bene nelle attività delle autorità indipendenti, che tagliano in orizzontale il principio della separazione dei poteri: esercitano funzione di regolazione generale e astratta (atti amministrativi e regolamenti), la applicano ai casi concreti e svolgono attività paragiurisdizionali. Il modello delle autorità indipendenti è forse quello che è più propenso a sperimentare con successo questi meccanismi. Sappiamo che la stessa natura delle attività indipendenti è stata oggetto di discussione; la tesi della paragiurisdizionalità è stata un po’ ridotta ma resta indubbio che si tratta di amministrazioni che hanno caratteristiche che le avvicinano di per sé a organi se non giurisdizionali, certamente diversi dal modello di amministrazione burocratica tradizionale. Le procedure più particolari, come abbiamo già detto, hanno la loro fonte in norme di vario rango: abbiamo le fonti comunitarie, che obbligano gli Stati ad inserire negli specifici settori regolati le direttive di settore (come quella del 2009 in materia di energia elettrica e gas); a valle delle direttive europee in gran parte dei casi abbiamo almeno un fondamento legislativo interno di rango primario. Nel caso della Banca d’Italia, per esempio, l’arbitro finanziario trova un riferimento preciso nel Testo Unico per le leggi bancarie e creditizie come strumento di adesione obbligatoria, cui gli istituti di credito devono aderire obbligatoriamente, onde evitare di incorrere in sanzioni amministrative o in altri provvedimenti di vigilanza. Gran parte però della disciplina minuta 126 I RICORSI DINANZI ALLE AUTORITÀ AMMINISTRATIVE INDIPENDENTI è contenuta in delibere delle stesse autorità; nella gran parte dei casi, come per la Banca d’Italia, la copertura normativa è rappresentata dalla disciplina degli istituti del credito e del risparmio. Predominano però quantitativamente le fonti sub-legislative. Questo è stato ritenuto rilevante in una sentenza della Corte costituzionale, la 2011/218, nella quale l’arbitro finanziario aveva provato ad autoqualificarsi organo giurisdizionale allo scopo di poter sollevare la questione di legittimità costituzionale. La Corte, sulla base di vari indizi, ha deciso la questione osservando, tra gli argomenti importanti, che queste procedure non trovano la propria disciplina in fonti di rango primario, come accade invece per le procedure giurisdizionali. Questo elemento, come sappiamo, è dunque considerato fondamentale per stabilire la natura giurisdizionale o meno di un’attività, così che la Corte giunge ad argomentare le proprie conclusioni mediante un procedimento indiziario. Altro punto trasversale è che le procedure si trovano in una posizione intermedia tra altri modelli di tutela dei consumatori, degli utenti del servizio. Da un lato c’è la forma classica delle tutele giurisdizionali: qui c’è tutto il tema delle attività paragiurisdizionali come condizione o meno di procedibilità in sede giurisdizionale. Abbiamo alcuni casi, come il CORECOM, dove il sistema paragiurisdizionale è in linea con la mediazione in ambito civile, per cui è condizione di procedibilità almeno il tentativo della proposizione della domanda giudiziaria. Da un lato quindi abbiamo la tutela giurisdizionale che deve essere comunque sempre garantita, perché anche i provvedimenti delle autorità nell’esercizio della funzione paragiurisdizionale sono normalmente impugnabili, secondo le regole generali, davanti al giudice amministrativo. Dall’altro si hanno queste forme di tutela dei consumatori e dei clienti previste presso gli stessi operatori, sotto forma di reclami, che molto spesso diventano addirittura propedeutiche, costituiscono cioè un presupposto necessario per agire poi di fronte alla autorità paragiurisdizionale. Ciò accade anche per le banche o le assicurazioni, perché si ritiene che debbano essere inserite delle forme di tutela efficace per il consumatore soprattutto nel caso di piccole disfunzioni. Nel caso della Banca d’Italia, per esempio, è previsto addirittura che gli istituti di credito abbiano un servizio interno per esaminare i reclami e un personale aggiornato sugli orientamenti” giurisprudenziali” degli arbitri finanziari presso le 127 MARCELLO CLARICH aziende. Si stabilisce così un raccordo tra tutela presso le aziende e presso le autorità di regolazione. E poi vi è l’altro raccordo, e qui vi è una variazione tra i singoli settori, con procedure di tipo di accordo conciliativo-alternativo (ad esempio presso le camere di commercio per il CORECOM) oppure arbitrali, previste nei contratti tra gli operatori. Ad esempio è importante il modello per l’Autorità per l’energia elettrica e il gas dove si è definito un meccanismo di negoziazione paritetica volontaria, che vede i grandi gestori dei servizi che si mettono d’accordo con le associazioni dei consumatori per risolvere tra di loro le controversie in modo paritetico: qui la controversia non è tanto risolta da un collegio composto di arbitri, ma da due soggetti uno nominato dall’impresa e uno dall’associazione dei consumatori. Ciò lo distingue dall’altra tipologia di conciliazione, dove interviene lo stesso organo e vi è una composizione diversa del collegio. C’è quindi varietà e forse disordine nella composizione tra i modelli di tutela non giurisdizionale. Un altro punto importante riguarda il modo in cui la funzione arbitrale si può raccordare con le altre funzioni delle regolazioni del settore. Per esempio l’Autorità per la garanzia nelle comunicazioni stabilisce, in una norma del codice per le discipline elettroniche relativa alle attività paragiurisdizionali per le liti tra gli operatori che, nel risolvere le controversie, l’autorità persegue i fini della regolazione. Come si concilia tale affermazione? Se l’autorità decide una controversia tra gli operatori per l’accesso alla rete, deve fare giustizia oppure può piegare la giustizia in ordine alle finalità della regolazione? Noi sappiamo che le authorities del modello anglosassone esercitano due funzioni fondamentali: l’attività normativa e quella di adjudication caso per caso. Però c’è qualcosa che rimane di difficile composizione: quando un’impresa si rivolge all’autorità desidera che la sua situazione di diritto venga tutelata in quanto tale, e non piegata ad esigenze più generali. È un punto perciò di difficile composizione. Queste attività si collegano poi necessariamente alle funzioni generali delle autorità. Per esempio, nel caso delle assicurazioni, c’è un obbligo di registrare tutti i reclami, anche quelli interni alla singola compagnia di assicurazione, con una reportistica all’attività di vigilanza che ovviamente tiene conto dei comportamenti seriali nei rapporti con la clientela ai fini dell’esercizio dei poteri di vigilanza, inclusi in alcuni casi anche quelli sanzionatori. Il reclamo 128 I RICORSI DINANZI ALLE AUTORITÀ AMMINISTRATIVE INDIPENDENTI può perciò essere anche un meccanismo che favorisce la conoscibilità di comportamenti suscettibili di essere valutati poi al di fuori della procedura per l’assunzione di provvedimenti di vigilanza. Ulteriore punto è la distinzione fondamentale tra due tipologie di liti delle quali si occupano le autorità, che hanno logiche profondamente diverse. Il primo è il settore principale che è quello della tutela dei consumatori-utenti; l’altro è il modello della regolazione delle liti tra gli operatori delle imprese del settore, come nel caso di contratti di interconnessione in materia di comunicazione elettronica o nel settore dell’energia elettrica e del gas per l’accesso dei produttori alla rete di distribuzione (dove si è fuori dall’ambito dei rapporti con il consumatore, e si è nel modello di regolazione pro-concorrenziale, in cui le regole e i contratti devono comporre un sistema in cui possa operare la concorrenza, dato che qui la mancata concessione dell’accesso alla rete al piccolo operatore gli impedisce di esercitare le sue attività). Queste procedure che riguardano gli operatori assomigliano molto di più, anche come disciplina positiva delle autorità, a procedure di tipo giurisdizionale: il contraddittorio è particolarmente garantito, anche nella forma orale, le decisioni sono vincolanti e sono previsti anche provvedimenti cautelari, in presenza di urgenti motivi che mettano in crisi l’attività d’impresa. Nel caso invece dei consumatori, la logica è diversa: si hanno procedure molto più snelle, talvolta, come nel settore del gas, gestite anche elettronicamente. Quindi abbiamo due tipologie di risoluzione delle controversie strutturalmente e proceduralmente diversificate. Altro punto è il fatto che non tutte le procedure sono uguali: dalla semplice raccolta di esposti che instaurano un meccanismo di richiesta al gestore del servizio di chiarimenti, a procedure conciliative in senso proprio, a procedure che hanno esito in decisioni vincolanti, a modalità ulteriori. Per esempio nella CONSOB la camera di conciliazione arbitrale di servizio contempla procedure conciliative e arbitrali gestite da arbitri nominati dalle parti; nel caso dei contratti con il settore pubblico abbiamo invece il diverso istituto della camera arbitrale presso la camera di vigilanza. Altro punto, ancora, è l’obbligatorietà o meno dell’adesione. Come detto prima, nel settore bancario gli istituti di credito devono prevedere 129 MARCELLO CLARICH lo strumento conciliativo dell’arbitro finanziario o bancario. Altri tipi di procedure non sono invece obbligatorie, come quelle davanti all’autorità di vigilanza dei contratti con il settore pubblico (ora ANAC) che conclude con un parere autorevole (dunque un atto non vincolante) cui la stazione appaltante non è obbligata ad aderire (però se aderisce deve anche vincolarsi a non aggiudicare prima della conclusione della procedura, cercando così di recuperare l’effettività della decisione su base volontaria). Ovviamente si cerca di incentivare l’adesione tramite protocolli d’intesa e altri strumenti che assicurino di dare maggiore sviluppo a queste attività. Per esempio l’Autorità dell’energia e del gas deve impiegare una quota delle somme che riceve a titolo di sanzioni amministrative per incentivare queste tipologie di conciliazioni alternative alla giurisdizione. Il contraddittorio è generalmente molto più semplificato rispetto a quello previsto in altre procedure; è generalmente scritto e solo in pochi casi è possibile la forma orale. Per esempio, davanti all’Autorità di vigilanza dei contratti pubblici si prevede un procedimento anche orale simile a quello che può aversi dinanzi ad un giudice amministrativo. Le decisioni possono essere vincolanti o con un grado di persuasività variabile. Nel caso dell’arbitro finanziario bancario non c’è un obbligo di conformazione, ma se la banca non si conforma tale dato diventa di dominio pubblico attraverso la pubblicazione nel sito e nelle due testate nazionali maggiori. Perciò diviene un fatto reputazionale, nel famoso name, come modello rivelatorio informale. Gli esiti possono perciò essere i più vari. Anche le decisioni vincolanti, in ogni caso, sono decisioni amministrative e quindi suscettibili di essere impugnate di regola davanti al giudice amministrativo. Ultimo punto è la questione delle situazioni giuridiche soggettive. Queste tipologie di procedure non costituiscono deroghe inammissibili alla giurisdizione, perché si tratta di diritti disponibili e di obblighi, perciò di posizioni paritarie-privatistiche Solo nel caso dell’Autorità di vigilanza dei contratti pubblici (ora ANAC) siamo al cospetto di situazioni che noi identificheremo di interesse legittimo. A ciò si collega il tema, che forse andrebbe ristudiato, dell’indisponibilità o meno delle situazioni giuridiche di diritto pubblico, che qui non ha un rilievo centrale, ma che diverrebbe fondamentale laddove si intendesse ripensare 130 I RICORSI DINANZI ALLE AUTORITÀ AMMINISTRATIVE INDIPENDENTI complessivamente il sistema delle ADR in funzione deflattiva del contenzioso del giudice amministrativo. Quella che abbiamo tratteggiato è un’esperienza molto variegata e in piena espansione; sarebbe opportuno un intervento riformatore che razionalizzasse le singole procedure, nate in modo disparato, così da individuare modelli comuni da sottoporre a regole più armonizzate. So di parlare di un libro dei sogni di un razionalista-illuminista: anche nei punti del programma di Renzi ciò è stato auspicato, ma è lecito ritenere che un’effettiva armonizzazione di queste procedure pare difficile da realizzare. 131 I POTERI GIUSTIZIALI DELLE AUTORITÀ INDIPENDENTI Michele Giovannini SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. La storia della giustizia amministrativa come evoluzione verso la giurisdizione delle forme di tutela ad essa alternative. - 3. La centralità del giudice nell’assetto costituzionale. - 4. La definitiva marginalizzazione dei ricorsi amministrativi. - 5. L’ampliamento dell’offerta di giustizia nella prospettiva europea. - 6. Spazio giustiziale ed autorità indipendenti. - 7. I poteri solo apparentemente giustiziali dell’AGCM. - 8. I poteri giustiziali delle autorità indipendenti nell’ordinamento positivo. - 8.1. L’AGCOM. - 8.2. L’AEEGSI. - 8.3. L’ANAC. - 8.4. La CONSOB. - 8.5. L’ART. - 9. Conclusioni. 1. Introduzione Tradizionalmente concepite come autorità dedicate alla regolazione dei rispettivi settori, negli ultimi anni le autorità indipendenti hanno visto accresciute le loro funzioni dirette alla risoluzione dei conflitti sul presupposto che l’indipendenza da cui sono contraddistinte ben si accompagni all’esercizio di un potere decisorio esercitato su iniziativa di parte1. Il fenomeno è in rapida espansione se pur non tutte le funzioni attribuite alle autorità possano essere ricondotte ad un modello uniforme. È del resto nota la difficoltà di qualificare i tratti salienti di tale modello e ciò è dimostrato dallo stesso utilizzo di definizioni già consolidate o prese a prestito dall’esperienza di altri ordinamenti. In questo senso si spiega la cautela della dottrina allorché – non senza averne precisato la natura convenzionale – definisce “paragiurisdizionali”, “contenziose” o “quasi giudiziali” le suddette funzioni. 1 M. D’ALBERTI, A. PAJNO, Arbitri dei mercati, Bologna, 2010 ed in particolare per i temi qui trattati il contributo di E.L. CAMILLI, M. CLARICH, Poteri quasi-giudiziali delle autorità indipendenti, 107 ss. MICHELE GIOVANNINI Si tratta di espressioni incerte, utilizzate di volta in volta per spiegare fenomeni eterogenei che tuttavia esprimono il tentativo di chiarire che si è in presenza di funzioni diverse da quelle di amministrazione attiva: nel loro esercizio l’autorità non esprime un potere provvedimentale classico – cioè indirizzato al contemperamento tra diversi interessi alla luce di un interesse primario – ma piuttosto opera all’interno di un procedimento in contraddittorio costruito sulla falsariga di quello giurisdizionale, il cui unico scopo è quello di risolvere un conflitto tra parti. La dottrina ha subito mostrato interesse per le potenzialità espresse dai nuovi poteri attribuiti alle autorità ma si è prevalentemente concentrata sulle implicazioni regolatorie dell’esercizio di tali poteri. Si tratta in effetti di un profilo importante ma non qualificante: ogni atto compiuto nell’esercizio di una funzione che dirime un conflitto, indipendentemente dal soggetto che si esprime, produce effetti più o meno diretti sulle regole che lo hanno originato, contribuendo a precisarne il significato ed il perimetro di applicazione2. Nell’esercizio delle funzioni qui esaminate vi è però qualcosa di più e di diverso, il cui significato è più agevolmente comprensibile se si pone l’attenzione su alcuni passaggi storici particolarmente significativi: a) gli anni 1865-1889: soppressione e rinascita della giustizia amministrativa; b) 1948: entrata in vigore della Costituzione; c) 1971: istituzione dei Tar che apparentemente completò il disegno costituzionale perdendone tuttavia una parte importante; d) gli anni 1990: la scoperta europea dei rimedi alternativi alla giurisdizione (i c.d. strumenti di ADR) che ha accelerato il percorso di attribuzione alle autorità dei poteri sopra menzionati. 2. La storia della giustizia amministrativa come evoluzione verso la giurisdizione delle forme di tutela ad essa alternative La peculiarità dei poteri in esame si coglie innanzi tutto tornando alle origini della giustizia amministrativa. Non è un caso che le analisi più approfondite siano state effettuate dalla dottrina giuspubblicistica; 2 134 S. CASSESE, C. FRANCHINI, I garanti delle regole, Bologna, 1996. I POTERI GIUSTIZIALI DELLE AUTORITÀ INDIPENDENTI ed infatti l’intera storia della giustizia amministrativa ruota intorno all’esistenza di rimedi diversi dal ricorso giurisdizionale che le parti dovevano (o potevano) attivare prima di giungere al cospetto del giudice. Da questo punto di vista si registra dunque una significativa convergenza tra l’iniziale configurazione della giustizia amministrativa, incentrata sulla necessità di filtrare l’accesso alla giurisdizione, e l’attuale vicenda dei ricorsi presso le autorità indipendenti. In altre parole, le nuove funzioni attribuite a tali autorità hanno nei ricorsi amministrativi tradizionali (e nei numerosi ed importanti studi ad essi dedicati) il proprio predecessore storico e giuridico. È noto che la legge di unificazione amministrativa dello Stato italiano, la legge 20 marzo 1865 n. 2248 (All. E), abolì il contenzioso amministrativo sul presupposto che la tutela del giudice andasse riservata soltanto “ai veri diritti”. Tutto ciò che non era “diritto civile o politico” – gli affari non compresi – veniva confinato nell’irrilevante (ovviamente sotto il profilo della tutela giurisdizionale) ed attribuito alla competenza delle autorità amministrative. “Ebbene, ch’ei si rassegni…” disse Pasquale Stanislao Mancini a proposito dello sfortunato titolare di una posizione giuridica diversa da quella che oggi chiamiamo diritto soggettivo, così evidenziando la duplicità dello scopo della nuova legge: da un lato, tutelare l’amministrazione dalle intromissioni del potere giudiziario sul presupposto (per molti versi ancora attuale) che giudicare l’amministrazione significhi inevitabilmente amministrare; dall’altro, non rinunciare alla tutela del cittadino per le questioni maggiormente significative e rilevanti3. Altrettanto noto è il vuoto di tutela generato da questa scelta. Ad esso tentò di rimediare la successiva legge n. 5992/1889 che istituì la IV sez. del Consiglio di Stato, delineando un assetto rimasto pressoché inalterato fino ai giorni nostri. La tutela contro il potere e l’atto amministrativo fu quindi configurata come tutela sia amministrativa, sia giurisdizionale ed il rapporto tra queste due dimensioni divenne di c.d. 3 Vale la pena di richiamare i contributi di M.S. GIANNINI, A. PIRAS, Giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria nei confronti della pubblica amministrazione, voce in Enc. Dir., Milano, 1970, 231 e di E. CANNADA BARTOLI, Giustizia amministrativa, voce in Dig. Disc. Pubbl., Torino, 1992, 510. 135 MICHELE GIOVANNINI complementarietà sequenziale: solo esaurita la filiere dei rimedi amministrativi si poteva accedere alla tutela del giudice. 3. La centralità del giudice nell’assetto costituzionale Questo assetto subisce un primo scossone all’entrata in vigore della Costituzione. A dire il vero gli effetti tardano a verificarsi, stante il prolungato periodo di rodaggio del testo costituzionale, divenendo più tangibili allorché la Corte comincia a pronunciarsi e a consolidare via via i propri orientamenti. È comunque indubbio che lo sviluppo dei ricorsi amministrativi, così come delineati nel secolo precedente, non è stato favorito dalla formulazione dell’art. 24 che, attribuendo al giudice (e al processo) un ruolo centrale nella tutela del cittadino, lo ha involontariamente trasformato in interlocutore necessario al servizio del progresso giuridico e sociale. Si tratta di un fenomeno non soltanto nazionale ma che solo in Italia ha assunto una dimensione così marcata, portando il giudice (in particolare quello amministrativo) a svolgere un importante ruolo di protettore e garante di una vasta serie di diritti in attesa di rappresentazione normativa, secondo uno schema consolidato negli ordinamenti di common law4. L’aspetto singolare è tuttavia costituito dal fatto che, mentre nel nostro Paese l’esposizione del giudice al richiamo della regola da creare ha finito per compromettere lo sviluppo di canali diversi di tutela, negli ordinamenti di common law, accanto all’attivismo giurisprudenziale degli anni ’70, si registra contemporaneamente l’emergere di un fenomeno nuovo: la nascita del “movimento per l’accesso alla giustizia”, inteso non più soltanto come accesso alla giurisdizione ma come accesso ad un sistema complesso e differenziato di tutele, processuali e non5. Queste diverse forme di tutela, all’inizio molto informali, diventano via via più strutturate (come rimedio al deficit di garanzie) fino ad as4 Basti pensare al celebre lavoro di R. DWORKIN, I diritti presi sul serio, Bologna, 1982. 5 M. CAPPELLETTI, Alternative Dispute Resolution Processes within the Framework of the World-Wide Access to Justice Movement, in The Modern Law Review, 1993, 287. 136 I POTERI GIUSTIZIALI DELLE AUTORITÀ INDIPENDENTI sumere le sembianze degli odierni strumenti di Alternative Dispute Resolution (ADR)6. In altre parole, gli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie, di diffusione ed efficacia oggi indiscussa negli ordinamenti di common law, rappresentano il passaggio dalla cultura dell’informal justice a quella della vera e propria giustizia alternativa: la progressiva giuridicizzazione di tali strumenti non è altro che il tentativo di individuare un compromesso giuridicamente accettabile tra la semplicità della procedura (da cui derivano rapidità e costi contenuti del rimedio) ed alcune irrinunciabili garanzie tipiche del processo. 4. La definitiva marginalizzazione dei ricorsi amministrativi Diverso il destino dei rimedi alternativi in Italia. Negli stessi anni in cui altrove proliferavano dando buona prova di sé, il nostro ordinamento riuscì ad assestare loro un colpo fatale: l’istituzione dei TAR nel 1971, in ossequio al mantra al tempo in voga in base al quale solo il giudice può offrire vera giustizia, ha infatti travolto la più risalente forma di pregiudizialità amministrativa vigente nel nostro ordinamento. Affidando al ricorrente la scelta se percorrere la via amministrativa o quella giurisdizionale, il Legislatore ha infatti decretato il passaggio dal modello della complementarietà sequenziale a quello della alternatività tra le due vie di tutela (diversamente declinata a seconda del tipo di ricorso utilizzato), esprimendo una chiara preferenza per quella giurisdizionale. Questa preferenza, accordata sulla scorta di una lettura che ha probabilmente sottovalutato le potenzialità espresse dall’art. 24 della Costi6 La letteratura sul punto è sterminata. Tra i contributi più significativi, si v. L. BOULLE, M. NESIC, Mediation. Principles, Process, Practice, London-Dublin-Edimburgh, 2001, M. PALMER, S. ROBERTS, Dispute Processes. Adr and the Primary Forms of Decision Making, London, 1998, F.E.A. SANDER, Alternative Methods of Dispute Resolution: an overview, in University of Florida Law Review, 1985, 1, S.B. GOLDBERG, F.E.A. SANDER, N.H. ROGERS, Dispute Resolution. Negotiation, Mediation and Other Processes, New York, 1999, nonché M.P. CHITI, Le forme di risoluzione delle controversie con la pubblica amministrazione alternative alla giurisdizione, in Riv. ital. dir. pubbl. comunit., 2000, 8, G. ALPA, Riti alternativi e tecniche di risoluzione stragiudiziale delle controversie in diritto civile, in Politica del diritto, 1997, 406. 137 MICHELE GIOVANNINI tuzione, è in larga parte giustificata dal fallimento dell’esperienza dei ricorsi amministrativi, rimasti nel loro complesso ostaggio di una concezione ormai superata del rapporto tra amministrazione e cittadino, sotto entrambi i profili funzionale (erano svariate le lacune nel regime procedimentale dei rimedi) ed organizzativo (la fragilità culturale degli apparati burocratici si è ripercossa sulla loro capacità di decidere in maniera imparziale)7. Non era dunque sbagliata l’idea che aveva ispirato il sistema dei ricorsi amministrativi ma l’attuazione che a quel sistema fu data. E su tale attuazione ha esercitato un peso decisivo l’arretratezza dell’amministrazione di quegli anni che non ha saputo percepire se stessa in chiave giustiziale8, quale anello fondamentale nel processo di implementazione dei diritti. In definitiva, ciò che è mancato all’amministrazione è la capacità di svolgere non già soltanto il ruolo di amministrazione attiva ma quello di un’amministrazione che, se opportunamente configurata, sa all’occorrenza dispensare giustizia e giudicare se stessa e gli altri in modo imparziale. 5. L’ampliamento dell’offerta di giustizia nella prospettiva europea Il sistema amministrativo resta a lungo impermeabile a questa esigenza e neppure l’iniziativa posta in essere nel 1993 dall’allora Ministro Sabino Cassese, al quale si deve il tentativo più completo ed organico di ripensare l’amministrazione (anche) in chiave giustiziale, sortisce gli effetti sperati. Ma sono questi gli anni in cui la forza uniformante dell’Unione europea comincia a spiegare le sue ali, evidenziando l’arretratezza e l’inefficacia di un sistema di tutela esclusivamente incentrato sul processo e sul giudice. È infatti del 1992 (1992/13/CEE) la prima Direttiva con la quale l’Unione si fa promotrice della diffusione all’interno degli Stati membri 7 A. TRAVI, Ricorsi amministrativi, voce in Dig. Disc. Pubbl., Torino, 1997, 382. Così sono definiti i ricorsi amministrativi da A.M. SANDULLI, Ricorso amministrativo, voce in Noviss. Dig. It., Torino, 1968, 975. Sul punto vale la pena di rileggere le considerazioni di V. BACHELET, I ricorsi amministrativi, in Scritti giuridici. Le garanzie dell’ordinamento democratico, II, Milano, 1981. 8 138 I POTERI GIUSTIZIALI DELLE AUTORITÀ INDIPENDENTI di un modello articolato di tutela che, senza affatto smentire la centralità della tutela giurisdizionale, impone che ad essa vengano affiancati una serie di strumenti diversi, strutturati come filtri tali da regolare l’accesso al giudice anche al fine di preservarne l’utilità. A questo intervento seguono le Raccomandazioni 257/1998/CE e 2001/310/CE nonché la Direttiva 2008/52/CE nelle controversie in materia di consumo ed infine la Direttiva 2013/11/CE il cui considerando n. 5 definisce addirittura “deplorevole” il ritardo di molti Stati membri nell’attuazione dei sopra richiamati atti. Quest’ultima Direttiva, in particolare, è di grande interesse ai presenti fini perché contribuisce al definitivo consolidamento dei principi fondamentali della “giustizia alternativa” e del modo in cui essa dovrebbe rapportarsi con la giurisdizione. Gli aspetti caratterizzanti sono a) l’indipendenza e l’imparzialità del soggetto che gestisce la procedura (art. 6); b) la necessità di escludere dal novero degli strumenti di tutela alternativa tutte le procedure che si materializzano in reclami o in analoghi atti di impulso gestiti direttamente dal soggetto contro il quale il reclamo è proposto (Considerando 23); c) la garanzia di un contraddittorio effettivo; d) l’esclusione dall’ambito delle ADR di quei rimedi che, potendo essere attivati d’ufficio dalle Autorità, sono in realtà strumenti di secondo grado con i quali esse fanno valere un interesse proprio, strettamente connesso all’esercizio delle funzioni di regolazione, ma non un interesse di carattere giustiziale, cioè diretto alla tutela di una specifica situazione giuridica soggettiva; e) l’integrazione tra le forme di tutela stragiudiziale e giudiziale che devono essere pensate insieme e valorizzate nella loro complementarietà, in ogni caso senza l’esclusione della tutela giurisdizionale (Considerando 45); f) l’organizzazione sequenziale delle procedure (art. 1) che ripropone e conferma il modello del filtro alla giurisdizione, in conformità a quanto stabilito dalla giurisprudenza costituzionale che, nel ribadire l’insopprimibilità del diritto ad una tutela giurisdizionale piena ed effettiva (ex artt. 24 e 113 Cost.), ha tuttavia precisato come esso non implichi la sua immediatezza9. 9 Sul punto è tornato di recente il Tar Lazio, Roma, sez. I, n. 1421/2015 allorché ha incidentalmente accertato che l’obbligatorietà del tentativo di mediazione prevista per le controversie civili e commerciali di cui all’art. 5, c. 1-bis del d.lgs. n. 28/2010, non 139 MICHELE GIOVANNINI In estrema sintesi, secondo quanto emerge dal complesso della legislazione comunitaria in materia, gli Stati membri sono tenuti ad arricchire l’offerta di giustizia predisponendo, nel rispetto dei criteri sopra menzionati, una serie di strumenti di tutela aggiuntivi rispetto a quelli giurisdizionali. Si tratta di un modello “a maglie larghe” che non individua o tipizza uno strumento in particolare ma che invece traccia i confini e le caratteristiche di uno spazio ulteriore di tutela. 6. Spazio giustiziale ed autorità indipendenti Non è difficile definire “giustiziale” questo spazio allorché esso venga collocato all’interno della zona grigia sussistente tra l’ambito dell’amministrazione e quello della giurisdizione, tradizionalmente percepiti in chiave antagonistica per una svista culturale e giuridica se è vero, come segnalato da un’autorevole dottrina10, che è lo stesso art. 100 della Costituzione a parlare di “tutela della giustizia nell’amministrazione” nel descrivere la funzione del Consiglio di Stato. A maggior ragione alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale che di recente, pronunciandosi sulla natura del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, lo ha inequivocabilmente qualificato in termini “giustiziali”, così fornendo un autorevole contributo alla delimitazione dello spazio sussistente tra l’amministrazione e la giurisdizione11. L’attribuzione di poteri giustiziali alle autorità indipendenti deve dunque essere collocata su questo sfondo. Proprio perché indipendenti (si ricordino i limiti dell’esperienza dei ricorsi amministrativi) e ad elevata composizione tecnica, queste autorità – oltre alla funzione ordinaria di regolazione dei rispettivi mercati – si trovano nella condizione ideale per svolgere attività di risoluzione dei conflitti nati all’interno del impedisce in concreto l’accesso al giudice ma si limita a ritardarne l’esperimento al fine ottemperare alle indicazioni comunitarie concernenti la necessità di abbreviare la durata dei procedimenti giurisdizionali. 10 A. PAJNO, Le norme costituzionali sulla giustizia amministrativa, in Dir. proc. amm., 1994, 464 nonché più di recente Amministrazione giustiziale, voce in Enc. Giur. Treccani, Roma, 2000. 11 Corte cost. 2 aprile 2014, n. 73. 140 I POTERI GIUSTIZIALI DELLE AUTORITÀ INDIPENDENTI loro specifico mercato. La tutela delle ragioni del potere (e degli interessi della regolazione) è dunque affiancata dalla tutela degli interessi che da quel potere risultano pregiudicati. Se poi la prima venga addirittura sostituita dalla seconda, nel tentativo di portare a compimento l’intuizione di indipendenza ed imparzialità insita nel modello giustiziale, ciò dipende dal modo in cui il modello viene in concreto strutturato, a cominciare dalla configurazione organizzativa dell’autorità e dalla più o meno accentuata separazione dell’autorità che regola dall’autorità che dispensa giustizia. Ad oggi questa declinazione non può ancora dirsi compiuta: sono infatti numerosi i casi in cui le due funzioni risultano contaminate tra loro. L’acquisizione di una consapevolezza giustiziale da parte delle autorità indipendenti è del resto relativamente recente e non è stata agevolata dalla scarsa linearità del loro sviluppo, in larga parte dovuta mancanza di un disegno organico ed unitario12. Ciò nondimeno, come si è già detto, si registra oggi una progressiva convergenza sul modello giustiziale qui considerato: esso, in estrema sintesi, ricorre ogni qualvolta il Legislatore affida ad un’autorità indipendente, imparziale ed autorevole, il compito di dirimere un conflitto tra privati e (altre) amministrazioni oppure solo tra privati, mediante l’utilizzo di una procedura a carattere contenzioso che, garantendo il pieno contraddittorio tra le parti, offra tutela alle posizioni giuridiche soggettive che esse assumono lese. Rilevano dunque l’imparzialità e l’autorevolezza del soggetto cui le parti indirizzano la loro istanza di tutela (il modello impedisce l’attivazione d’ufficio dell’autorità), le modalità con le quali viene predisposta e gestita la procedura e l’idoneità della stessa a garantire la tutela richiesta. Non rileva invece lo strumento giuridico tramite il quale la funzione giustiziale si manifesta in concreto, ben potendo essa estrinsecarsi nell’utilizzo di uno schema riconducibile ai vecchi ricorsi amministrati12 Si ricordi sul punto quanto segnalato tempo addietro da G. AMATO, Autorità semi-indipendenti e autorità di garanzia, in Riv. trim. dir. pubbl., 1997, 1, a proposito dell’eterogeneità del fenomeno delle autorità indipendenti, vittime di quei processi di “semplificazione unificante” che gli interpreti utilizzano per descrivere i fenomeni giuridici senza necessariamente comprenderli a fondo. Si veda in tema anche M. CLARICH, Autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello, Bologna, 2005. 141 MICHELE GIOVANNINI vi (nel qual caso la controversia sarà definita con l’atto amministrativo) oppure ai più recenti strumenti negoziali utilizzati nell’ambito di procedure di mediazione (nel qual caso la definizione della controversia è riconducibile all’accordo sottoscritto dalle parti all’esito della procedura gestita dall’autorità) o di arbitrato13. In buona sostanza, perché si abbia spendita di potere giustiziale non è sufficiente che una procedura a carattere contenzioso venga radicata presso un’autorità indipendente. Occorre indagare le modalità in cui essa risulta in concreto declinata, verificando di volta in volta: a) se l’indipendenza della funzione è innanzitutto garantita a livello organizzativo14; b) se l’assetto organizzativo prescelto è in grado di assicurare l’imparzialità della funzione sia rispetto agli interessi privati che emergono dal mercato, sia rispetto agli interessi pubblici di cui l’autorità – come soggetto nato per regolare il settore – è il primo e più autorevole interprete; c) se, grazie a quanto sopra, la singola autorità è effettivamente in grado di offrire tutela alle posizioni soggettive dei regolati. 7. I poteri solo apparentemente giustiziali dell’AGCM Prima di passare ad esaminare, tra le diverse ipotesi esistenti nell’ordinamento positivo, quelle che più di altre sembrano corrispondere al modello giustiziale sopra richiamato, è utile richiamare una singola esperienza che si allontana significativamente dal suddetto modello; non si tratta peraltro di un esempio isolato ma il discorso non cambia se riferito ad altre analoghe esperienze. 13 Sia consentito il rinvio a M. GIOVANNINI, Amministrazioni pubbliche e risoluzione alternativa delle controversie, Bologna, 2007, nonché al contributo Il ricorso amministrativo nello spazio giustiziale, in Foro amministrativo - TAR, 2009, 597. 14 Di particolare interesse rispetto a questo profilo risulta l’esperienza degli administrative law judges dell’ordinamento statunitense, radicati presso svariate autorità indipendenti federali ma da queste separati dal punto di vista organizzativo e funzionale, cui è attribuito il compito di risolvere in via amministrativa i conflitti nati all’interno del settore. Sul punto, tra i molti, v. M. ASIMOW, The Administrative Judiciary: ALJ’S in historical perspective, in Journal of the National Association of Administrative Law Judges, n. 20/2000, 157. 142 I POTERI GIUSTIZIALI DELLE AUTORITÀ INDIPENDENTI Si fa riferimento alle funzioni che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) esercita a tutela della concorrenza (intese, abusi, concentrazioni o separazioni societarie). Se pur in questi casi l’Autorità gestisca i relativi procedimenti con la massima attenzione al contraddittorio, l’attività svolta non è diretta alla risoluzione di un conflitto da una posizione “terza” ed imparziale ma piuttosto all’attuazione dell’interesse pubblico affidato alla cura dell’Autorità secondo lo schema dell’adjudication diffuso negli ordinamenti angloamericani, il cui rispetto è condizione necessaria ma non sufficiente per la sussistenza di un potere giustiziale in senso stretto. Ad esempio, l’art. 14, ter della l. 287/1990 prevede che le imprese possano proporre, in relazione ad attività anticoncorrenziali, specifici impegni tali da far venire meno i profili anticoncorrenziali delle attività sottoposte ad istruttoria. L’accettazione da parte dell’autorità degli impegni proposti svolge una funzione di regolazione, in quanto definisce la regola del comportamento futuro dell’impresa, ma al tempo stesso dirime in anticipo un possibile conflitto futuro con l’autorità. È tuttavia evidente che in questo caso l’Autorità non è chiamata in via diretta a dirimere un conflitto tra parti ma agisce prevalentemente con il volto del regolatore (o, per dirla con la tradizione, dell’amministrazione attiva) all’interno di un rapporto bilaterale. Se pur si tratti di un testimone indipendente e imparziale, in questo frangente l’autorità agisce attuando l’interesse pubblico che l’ordinamento ha affidato alle sue cure. Lo stesso può dirsi quando l’Autorità, accerta e inibisce le pratiche commerciali scorrette a tutela del consumatore. La procedura è disciplinata dall’art. 27 del d.lgs. n. 206/2005 (Codice del consumo) attuato con il regolamento di cui alla delibera del 15 novembre 2007. Vero è che questa delibera disciplina minuziosamente l’istruttoria e il procedimento in contraddittorio. Ma c’è un aspetto, tutt’altro che secondario, che confligge vistosamente con i parametri delle funzioni giustiziali: l’attribuzione all’AGCM del potere di agire anche d’ufficio (art. 27, c. 2 del Codice), cioè in assenza di un atto di impulso da parte dei ricorrenti ai quali è peraltro riconosciuta la sola facoltà (art. 10 del regolamento) di partecipare al procedimento. Non si tratta dunque di una funzione esercitata per tutelare l’interesse specifico di una parte o, quanto meno, questo interesse non viene tutelato direttamente. Per questa ra143 MICHELE GIOVANNINI gione anche l’ipotesi ora considerata resta al di fuori del perimetro giustiziale. 8. I poteri giustiziali delle autorità indipendenti nell’ordinamento positivo Più interessanti sono invece le ipotesi in cui le autorità sono direttamente chiamate a risolvere un conflitto tra parti (imprese o imprese e consumatori/utenti). Anche in questi casi emerge una stretta connessione tra il momento proprio della regolazione e quello della risoluzione di un conflitto: il singolo episodio conflittuale è l’occasione per l’adozione di un atto di tipo regolatorio oppure, in versione più soft come strumento di enforcement ex post (in via autoritativa o negoziale) di una regola esistente15; ma è chiaro che in queste ipotesi l’autorità si pone in una posizione di equidistanza tra gli interessi fatti valere dalle parti e in tal modo garantisce la “parità delle armi” dei litiganti. È attorno ad ipotesi di questo tipo che si articola lo spazio giustiziale delle autorità indipendenti. Vale dunque la pena considerarle separatamente. 8.1. L’AGCOM Oltre ai poteri generali di controllo esercitati ai sensi dell’art. 2, c. 12, lett. g), n) ed m) della legge n. 481/1995 (che per le ragioni sopra dette non hanno natura giustiziale), l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni esercita le funzioni giustiziali previste dall’art. 1, c. 11, della legge n. 249/9716. La norma stabilisce che l’Autorità “disciplina con propri provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie che possono insorgere fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze oppure tra soggetti autorizzati o destinatari di licenze tra loro. Per le predette controversie, individuate con provvedimenti dell’Autorità, non può propor15 A.P. MORRISS, B. YANDLE, A. DORCHAK, Regulation by Litigation, Yale, 2012. E.M. COTUGNO, AGCOM e consumatori: recenti sviluppi, in Consumatori, diritti e mercato, 3/2008, 109. 16 144 I POTERI GIUSTIZIALI DELLE AUTORITÀ INDIPENDENTI si ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza all’Autorità. A tal fine, i termini per agire in sede giurisdizionale sono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione”. Con delibera n. 173/2007 l’Autorità ha adottato il regolamento che disciplina le procedure giustiziali attivabili in materia di controversie tra operatori e utenti, di recente completato dal regolamento sugli indennizzi applicabili adottato con delibera n. 73/2011 e dalle Linee Guida adottate con delibera del Consiglio n. 276/2013. In sintesi, gli strumenti previsti sono la conciliazione obbligatoria ed il ricorso amministrativo presentato alla stessa autorità, strutturati in sequenza tra loro. Prima di rivolgersi al giudice le parti devono obbligatoriamente esperire il tentativo di conciliazione (da svolgersi entro trenta giorni presso la stessa Autorità oppure, ove istituito, presso il Corecom competente per territorio o altri organismi), fallito il quale anche il solo utente può chiedere che la vertenza sia decisa con un provvedimento amministrativo della Commissione Infrastrutture e Reti dell’Autorità. Una volta esaurita questa fase, le parti possono rivolgersi al giudice. Il sistema previsto rispecchia in pieno le condizioni sopra individuate: l’imparzialità e l’autorevolezza del soggetto che decide (come si è visto, strutturalmente separato dall’Autorità), la predisposizione di una serie di strumenti atti a garantire la corretta instaurazione del contraddittorio e la riservatezza delle attività svolte in seno al procedimento, la previsione di alcuni incentivi alla definizione anticipata della vertenza (ad esempio, la natura di titolo esecutivo del verbale di conciliazione sottoscritto dalle parti o la possibilità riconosciuta al giudice che dovesse successivamente occuparsi della vicenda di tenere conto della condotta delle parti in sede stragiudiziale ai fini della ripartizione delle spese del giudizio). L’efficacia del sistema è peraltro confermata dai dati attualmente disponibili: dalla casistica emerge infatti che l’operatore preferisce mediare la controversia, da un lato, per governare in prima persona l’assetto dei propri interessi anziché esporsi al potere unilaterale della CIR e, 145 MICHELE GIOVANNINI dall’altro, per non esporre l’azienda ad azioni di carattere seriale ed ai conseguenti danni reputazionali17. 8.2. L’AEEGSI Anche in questa ipotesi il quadro generale è fornito dai poteri di controllo di cui all’art. 2 della legge n. 481/1995 rispetto ai quali valgono le considerazioni sopra svolte. Quanto invece alle funzioni qui rilevanti il quadro normativo è tuttora in via di assestamento. Basti pensare ai poteri giustiziali attribuiti all’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico in materia di collegamento alla rete elettrica degli impianti FER. L’art. 14, c. f-ter, del d.lgs. n. 387/2003 prevedeva la possibilità che le controversie insorte tra produttori e gestori di rete potessero, su istanza di parte, essere risolte con decisioni vincolanti adottate dall’Autorità. Questa previsione era stata attuata con il regolamento di cui alla delibera 16 settembre 2008 (ARG/elt 123/08) che attribuiva al Collegio dell’Autorità il potere di assumere una decisione vincolante, previo rilascio di un’eventuale misura cautelare, nonché di determinare indennizzi o risarcimenti per il danno derivante dal ritardo nella connessione alla rete. Contro questa decisione, come del resto contro ogni decisione amministrativa, era ammesso il ricorso al giudice amministrativo ed in particolare al Tar Lombardia. La disciplina è stata tuttavia abrogata dalla delibera del 28 maggio 2012 n. 188 (n. 188/2012/E/com) adottata in attuazione dell’art. 44 del d.lgs. n. 93/2011 e da ultimo nuovamente modificata dalla delibera n. 605 dell’11 dicembre 2014 (n. 605/2014/E/com). La nuova normativa, che detta la disciplina dei reclami presentati dagli operatori contro un gestore di un sistema di trasmissione, di trasporto, di stoccaggio di un sistema GNL o di distribuzione, prevede che sul reclamo presentato l’Autorità decida dopo apposito contraddittorio con un provvedimento vincolante, da adottarsi entro due mesi dalla presentazione dell’istanza, 17 Nel 2014 erano 86.670 le istanze di conciliazione presentate con un tasso di risoluzione positiva del 79%. 146 I POTERI GIUSTIZIALI DELLE AUTORITÀ INDIPENDENTI compresa l’adozione di eventuali misure cautelari. Anche questa decisione è impugnabile innanzi al Tar Lombardia. Tra le novità sostanziali della nuova disciplina vi sono l’estensione della facoltà di attivare questa procedura giustiziale anche ai prosumer (cioè coloro che al tempo stesso producono e acquistano elettricità) titolari di impianti superiori a 10 MW, nonché ai prosumer titolari di impianti di potenza inferiore a 0,5 MW, a condizione tuttavia che questi secondi abbia esperito senza successo la via della procedura di conciliazione presso il Servizio Conciliazione dell’Autorità o lo Sportello per il consumatore. Interessante sembra poi essere l’attività svolta dall’Autorità nell’ambito delle procedure di conciliazione ed arbitrato. Se pur l’apposito regolamento governativo di cui all’art. 2, c. 24, lett. b) della legge n. 481/1995 concernente criteri, condizioni, termini e modalità per l’esperimento delle procedure di conciliazione ed arbitrato, non sia stato ancora emanato (i giorni concessi erano sessanta), l’Autorità non è stata inerte. Da un lato, ha stipulato il protocollo di intesa con le Camere di commercio per la devoluzione a tali enti delle suddette procedure e soprattutto, con deliberazione del 21 giugno 2012 (260/2012/E/com), dall’altro ha istituito presso l’Autorità il Servizio conciliazione clienti energia, approvando l’apposito regolamento di prima attuazione per la risoluzione delle controversie tra clienti finali ed esercenti la vendita o distributori di energia elettrica e gas. Si tratta di una procedura volontaria e facilitativa, attivabile ad istanza di parte, che si svolge interamente in via telematica (anche in video) ed è diretta al raggiungimento di un accordo conciliativo. Se tale accordo non viene raggiunto le parti possono – si badi, congiuntamente – chiedere al conciliatore di formulare una proposta non vincolante di accordo che deve essere accettata entro sette giorni. Questo accordo (o l’accettazione della proposta) ha efficacia transattiva ai sensi dell’art. 1965 cc. e l’intera procedura deve chiudersi entro novanta giorni, salva eventuale proroga di trenta giorni al massimo. Il quadro è dunque composito ma l’indicazione che ne deriva e l’interesse mostrato dall’Autorità verso le procedure giustiziali è senz’altro significativo. Al punto che la stessa AEEGSI, al fine di consolidare 147 MICHELE GIOVANNINI l’utilizzo di tali procedure, con deliberazione del 7 agosto 2014 (n. 410/2014/E/com) ha dato avvio al procedimento di razionalizzazione del sistema di tutele dei clienti finali in materia di trattazione dei reclami e risoluzione extragiudiziale delle controversie instaurate contro gli operatori del settore. Il termine di conclusione del procedimento è previsto per il 31 dicembre 2016. 8.3. L’ANAC Come noto, secondo quanto disposto dall’art. 19 del d.l. n. 90/2014, l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha sostituito ed inglobato, nell’ambito di un’azione generale volta al controllo ed alla prevenzione dei fenomeni corruttivi, le competenze della soppressa Autorità di vigilanza sui contratti pubblici. Sul tema qui considerato, tuttavia, le modifiche introdotte non sono particolarmente significative. Resta naturalmente confermata l’attività giustiziale svolta, ai sensi dell’art. 241, c. 7 e 242 del d.lgs. n. 163/2006, dalla camera arbitrale dell’Autorità in materia di controversie su diritti soggettivi derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici o conseguenti al mancato raggiungimento dell’accordo bonario. Il sistema, che ha dato buona prova di sé (come confermano i dati delle relazioni annuali), è stato indebolito dalla previsione dell’autorizzazione all’inserimento della clausola compromissoria (art. 241, c. 1), nonché dalla facoltà concessa all’aggiudicatario in merito alla eventuale ricusazione della stessa (c. 1-bis). È singolare il destino dell’amministrato nel settore dei contratti pubblici: soggetto a continui ripensamenti da parte di un Legislatore che prima ha cercato di imporlo, poi lo ha facoltizzato ma in un’ottica incentivante, per relegarlo da ultimo in una posizione quasi residuale. Non sembra che le ragioni di queste oscillazioni trovino nel diritto (o nella politica del diritto) la propria origine; è invece certo che il settore non trae alcun beneficio da atteggiamenti di questo tipo che minacciano la certezza dei rapporti giuridici ed impediscono il consolidarsi di utili prassi. Diverso il discorso in relazione all’attività giustiziale svolta dall’Anac in sede di precontenzioso. È noto che l’art. 6, c. 7, lett. n) del 148 I POTERI GIUSTIZIALI DELLE AUTORITÀ INDIPENDENTI d.lgs. n. 163/2006 attribuisce all’Autorità il potere di esprimere, su istanza di parte, parere relativamente ad un conflitto insorto durante lo svolgimento delle procedure di gara. L’intera procedura è stata dapprima riscritta dal regolamento approvato dall’Autorità il 13 febbraio 2014 e di recente sostituita (se pur la nuova disciplina non si esprima espressamente sul punto) dal nuovo regolamento approvato il 2 settembre 2014 (pubblicato in G.U. il 12/9/14). Il sistema è stato da ultimo esteso, con provvedimento dell’Anac adottato in data 14 gennaio 2015, alle questioni insorte dopo la stipulazione del contratto. Il procedimento volto al rilascio del parere è attivato su istanza delle parti (stazione appaltante oppure una o più parti interessate); l’istanza può essere formulata anche congiuntamente, nel qual caso la sua trattazione è prioritaria rispetto alle altre istanze analoghe ricevute dall’Autorità (art. 3, c. 5). Le parti hanno dieci giorni di tempo per presentare memorie e ulteriori documenti e possono essere ascoltate su richiesta dell’Ufficio competente allo svolgimento dell’istruttoria (art. 6, c. 1 e 2). Il parere è deliberato dal Consiglio dell’Autorità nel termine di novanta giorni dalla presentazione dell’istanza, fatto salvo il periodo necessario per l’acquisizione di tutta la documentazione rilevante. Si è a lungo discusso della scelta di attribuire efficacia non vincolante al parere rilasciato dall’Autorità, scelta inizialmente parsa troppo timida in considerazione dell’autorevolezza della sede incaricata e del fatto che il Consiglio di Stato, esprimendosi sullo schema di decreto legislativo18, aveva escluso la legittimità di soluzioni più “ardite” sul solo rilievo dell’assenza di una indicazione precisa nella legge delega. A diversi anni di distanza la questione sembra in realtà meno rilevante di quanto inizialmente si temesse. La casistica evidenzia infatti un sistema complessivamente in salute (le istanze sono oltre 500 all’anno) all’interno del quale il parere, se pur non vincolante, è tuttavia dotato di una particolare efficacia persuasiva. È infatti emerso, da un lato, che le stazioni appaltanti tendono ad adeguarsi spontaneamente agli orientamenti dell’Autorità e, dall’altro, che, se la controversia viene comunque rimessa al vaglio del giudice amministrativo, questi finisce spesso per condividere le conclusioni espresse 18 Cons. St., sez. VII, parere 6 febbraio 2006, n. 355. 149 MICHELE GIOVANNINI nel parere. In altre parole, la casistica evidenzia una certa “deferenza” nei confronti della decisione imparziale espressa da un’Autorità dotata di particolare qualificazione tecnica. 8.4. La CONSOB Negli ultimi anni il quadro normativo è mutato rapidamente19. La stagione “giustiziale” della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa ha preso avvio nel 2005: l’art. 29 della legge n. 262/2005 (recante tutela del risparmio e disciplina dei mercati finanziari), nel tentativo di arginare l’utilizzo strumentale del processo e diffondere la pratica degli strumenti alternativi, ha introdotto l’art. 128-bis nel TU bancario (d.lgs. n. 385/1993) che impone a tutti gli intermediari italiani ed esteri operanti stabilmente in Italia l’obbligo di aderire ad un sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie quale condizione di ammissibilità dello svolgimento dell’attività bancaria e finanziaria. Il sistema è delineato in termini generali dall’art. 27, c. 1, lett. a), della suddetta legge n. 262 che ha delegato il Governo ad adottare un decreto legislativo recante la disciplina di procedure di conciliazione ed arbitrato per la risoluzione delle controversie tra risparmiatori/investitori e le banche/altri intermediari finanziari aventi ad oggetto la violazione degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza. La delega è stata esercitata con d.lgs. n. 179/2007, a sua volta attuato con l’approvazione del regolamento Consob nel 2008, modificato dalla Consob con la delibera del 18 luglio 2012 n. 18275. Per quanto qui rileva, in estrema sintesi, la Camera di conciliazione ed arbitrato istituita presso la Consob è composta di tre membri, scelti tra soggetti non preposti ad unità organizzative con funzioni di vigilanza o sanzionatorie nelle materie di competenza della Camera (art. 3, c. 1) che devono operare con imparzialità e indipendenza di giudizio (c. 3) e garantendo il contraddittorio tra le parti. Sulla conciliazione è interessante la disposizione di cui all’art. 11 del regolamento: è attivata su iniziativa delle parti (investitori/rispar19 L. ENRIQUES, Il ruolo delle Autorità di vigilanza sui mercati mobiliari nelle controversie economiche, in Astrid-Rassegna, 79/2008. 150 I POTERI GIUSTIZIALI DELLE AUTORITÀ INDIPENDENTI miatori) a condizione che sia già stato presentato reclamo all’intermediario e la risposta di questo risulti insoddisfacente, non data o comunque tardiva rispetto al termine massimo di novanta giorni. La norma, in sostanza, non solo conferma la differenza sussistente tra i semplici reclami e le procedure a carattere giustiziale ma addirittura configura le prime come un filtro alle seconde, che a loro volta sono un filtro (in questo caso non obbligatorio) all’avvio del giudizio. 8.5. L’ART Meritano infine un cenno i poteri giustiziali attribuiti all’Autorità di Regolazione dei Trasporti dall’art. 37 del d.l. 201/2011 (liberalizzazione del settore dei trasporti). Stabilisce infatti il comma 3, lett. h) che l’Autorità “favorisce l’istituzione di procedure semplici e poco onerose per la conciliazione e la risoluzione delle controversie tra esercenti e utenti”. A differenza delle ipotesi in precedenza considerate, l’Autorità non ha ancora adottato alcun provvedimento di attuazione della sopra richiamata disciplina. Dalla quale tuttavia emerge, quanto meno, un disegno coerente con le esperienze e le ambizioni giustiziali avviate da altre Autorità. Il fatto stesso che la lett. h) tratti separatamente le procedure di conciliazione da quelle dirette alla “risoluzione” delle controversie tra esercenti e utenti è un’ulteriore conferma di questa tesi e lascia aperta la possibilità che l’Autorità possa in futuro dotarsi di un apparato di tutela stragiudiziale comprensivo dei ricorsi amministrativi sopra descritti. 9. Conclusioni Alle sollecitazioni comunitarie che hanno progressivamente imposto agli Stati membri l’obbligo di ampliare l’offerta di giustizia introducendo una serie di strumenti giustiziali incentrati sull’imparzialità del decisore e sulla pienezza del contraddittorio tra le parti, l’ordinamento italiano ha risposto in maniera non uniforme. Un dato è tuttavia fuori discussione: il parametro giustiziale tracciato a livello europeo trova nelle 151 MICHELE GIOVANNINI autorità indipendenti il suo sbocco più naturale. In quest’ottica sembra essersi mosso il Legislatore nazionale allorché con intensità crescente ha cominciato ad attribuire svariate funzioni giustiziali alle suddette autorità. L’eterogeneità delle scelte effettuate e dei modelli ad oggi introdotti non deve stupire eccessivamente: le stesse autorità indipendenti non sono figlie di un disegno unitario e, in quanto titolari di poteri normativi, amministrativi e contenziosi diversamente configurati, risultano ancora oggi enti dalla “legalità problematica”20. Purtuttavia, l’analisi condotta evidenzia l’emersione di una matrice comune nelle esperienze segnalate. La valorizzazione delle competenze giustiziali è effettuata non già per sbarrare l’accesso alla giurisdizione ma per completare e riequilibrare un sistema di tutele la cui sostenibilità (per i tempi e i costi del processo) ed effettività (la sentenza tardiva spesso serve a poco) sono seriamente minacciate da una concezione pan-giudiziaria di protezione dei diritti. Al tempo stesso, l’attribuzione di poteri decisori ad un’autorità particolarmente qualificata sotto il profilo tecnico accresce la qualità della tutela offerta ed indirettamente contribuisce al miglioramento del settore, sollevando il giudice dallo svolgimento di un compito gravoso che lo porta spesso, suo malgrado, a sostituire con una propria scelta quelle effettuate dagli arbitri dei mercati e ad assecondare – poco importa qui rilevare se a torto o a ragione – la diffusa percezione che egli svolga un ruolo “antagonista” rispetto alle contingenze del contesto economico21. La storia chiarirà se queste esperienze embrionali saranno in grado di svilupparsi in maniera organica e razionale, eventualmente innescando un processo di mutazione del significato e del ruolo stesso delle autorità: ieri prevalentemente focalizzate sul raggiungimento di obiettivi macroeconomici in ossequio agli imperativi di uno Stato che arretra a parole ma che in realtà fatica ad astenersi dal regolare tutto; oggi suggestionate da una consapevolezza nuova, che le porta a promuovere la concorrenza tutelando in maniera più efficace i diritti dei consumatori e degli operatori dei rispettivi settori. 20 F. MERUSI, Sentieri interrotti della legalità, Bologna, 2007. A. PAJNO, Giustizia amministrativa e crisi economica, in Astrid Rassegna, 18/2013. 21 152 ONE SIZE DOESN’T FIT ALL. LA RICERCA DELLA PROPORZIONALITÀ NELLA RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE CON L’AMMINISTRAZIONE Giovanna Ligugnana SOMMARIO: 1. Il costo della giustizia e il concetto di Proportionate Dispute Resolution nel contesto della administrative justice inglese. - 2. La risoluzione delle controversie ad opera degli ombudsmen. Una soluzione ‘proporzionata’? - 3. La proporzionalità all’interno della giurisdizione: il caso Cart. - 4. Conclusioni. 1. Il costo della giustizia e il concetto di Proportionate Dispute Resolution nel contesto della administrative justice inglese Nell’ultimo ventennio il tema della giustizia e dei suoi costi per la società e per i singoli ha occupato uno spazio crescente nel dibattito politico e scientifico inglese. L’esigenza di semplificazione e di riduzione dei costi della giustizia civile e, al contempo, l’emersione di una dimensione sociale ed egualitaria della giustizia – intesa essenzialmente come tendenziale parità nelle possibilità di accesso a quest’ultima anche per le fasce sociali più deboli – ha condotto ad un’estesa attività normativa volta al miglioramento delle condizioni di accesso alla giustizia civile in generale. Così, accanto all’ampia riforma della procedura civile, avvenuta sulla base dei lavori di Lord Woolf, allora al vertice del sistema giudiziario in veste di Lord Chief Justice, l’Access to Justice Act 1999 disponeva anche una serie di interventi volti a favorire e a migliorare l’attività di consulenza legale gratuita attraverso l’istituzione, a livello locale, di una rete di centri a finanziamento pubblico, prevalentemente rivolti ai vulnerable groups e tendenzialmente specializzati nel settore dei servizi sociali (sussidi, alloggi, etc.). Il sistema si combinava con la possibilità GIOVANNA LIGUGNANA di ricorso al Legal Aid, fondo pubblico istituito nel dopoguerra e destinato alla copertura delle spese legali dei soggetti a basso reddito. Al contempo, sembrava maturare l’idea della giustizia stessa come servizio alla società (oltre che come diritto del singolo), ciò che, da un lato, ne incentivava l’utilizzazione da parte del numero più ampio possibile di cittadini, dall’altro imponeva di effettuare alcune considerazioni in merito ai costi che tale servizio avrebbe potuto comportare per la collettività intera e non solo per il singolo “utente”. Il tutto si inseriva nella più ampia problematica del costo di accesso alla giurisdizione che, nel Regno Unito, è stato sempre molto elevato per il ricorrente, ciò che era stato espressamente riconosciuto dallo stesso Lord Woolf1. La riforma della giustizia civile aveva peraltro toccato solo in parte la giustizia amministrativa, e cioè solo nelle (pur consistenti) aree in cui essa si sovrappone, dal punto di vista processuale, alla prima2. Cinque anni dopo l’emanazione dell’Access to Justice Act 1999, il Governo britannico pubblicava un White Paper dal titolo Transforming Public Services: Complaints, Redress and Tribunals3, in cui prospettava – anche sulla scorta della proposta di riforma dei Tribunals sviluppata da Sir Andrew Leggatt qualche anno prima4 – una revisione della giustizia amministrativa non solo in senso meramente efficientistico, ma anche mutandone la prospettiva concettuale. Administrative justice, in sostanza, non doveva significare solo la risoluzione delle controversie con l’amministrazione: essa doveva invece estendersi alle stesse decisioni di quest’ultima. La giustizia comincia, insomma, dall’avere un provvedimento corretto e legittimo e laddove ciò non accada, e il cittadino abbia attivato un qualunque meccanismo 1 Cfr. LORD WOOLF, Access To Justice. Final Report, London, 1996. Detto report seguiva un Interim Report, pubblicato l’anno precedente in cui si ritrovano già gran parte delle soluzioni contenute nel report finale. 2 Occorre qui ricordare che la giustizia amministrativa è stata per lungo tempo (e tuttora rimane) considerata come una “disciplina speciale” della giustizia civile. 3 Transforming Public Services: Complaints, Redress and Tribunals, London, 2004. Il White Paper era stato pubblicato a cura dell’allora esistente Department for Constitutional Affairs; oggi è reperibile in webarchive.nationalarchives.gov.uk. 4 Cfr. SIR A. LEGGATT, Tribunals for Users. One System One Service, March 2001, www.tribunals-review.org.uk, da cui è derivata la riforma contenuta nel Tribunals, Courts and Enforcement Act 2007. 154 ONE SIZE DOESN’T FIT ALL. LA RICERCA DELLA PROPORZIONALITÀ di controllo (giustiziale o giurisdizionale) del provvedimento, l’amministrazione dovrebbe utilizzare tali meccanismi come una sorta di feedback sulla propria attività, correggendo gli eventuali malfunzionamenti: We are all entitled to receive correct decisions on our personal circumstances; where a mistake occurs we are entitled to complain and to have the mistake put right with the minimum of difficulty; where there is uncertainty we are entitled to expect quick resolution of the issue; and we are entitled to expect that where things have gone wrong the system will learn from the problem and will do better in the future5. Emerge, dal Libro Bianco, l’idea che un eventuale rapporto conflittuale con l’amministrazione debba essere gestito in modo semplice e (relativamente) poco dispendioso per il cittadino: tale concezione viene riassunta nel concetto di Proportionate Dispute Resolution (PDR), che indica, in breve, un sistema in cui non solo le controversie siano risolte rapidamente, ma anche che esse trovino una modalità di risoluzione compatibile con la loro complessità, valore e con l’importanza degli interessi in gioco. Tutta la costruzione tendeva, in realtà, a tenere la giurisdizione (intesa come l’insieme delle Courts e dei Tribunals) indenne da quel carico di ricorsi che, per la relativa semplicità della questione controversa, avrebbero potuto essere risolti da altri soggetti e con diverse e più spedite modalità. Il riferimento è, in particolare, a quel complesso di “risolutori indipendenti” che caratterizzano da anni il panorama giustiziale inglese, a partire dai più noti Ombudsman fino al variegato e multiforme universo degli Independent Complaints Handlers6. L’intento che stava alla base della riforma della giustizia amministrativa, il cui frutto più rilevante è stato, nel 2007, la ristrutturazione dei Tribunals7, era quello di migliorare l’efficienza della gestione del 5 Transforming Public Services, cit., p. 3. Sia in proposito consentito il rinvio a G. LIGUGNANA, L’altra giustizia amministrativa. Modelli ed esperienze d’oltremanica, Torino, 2010, p. 153 ss. 7 Sulla riforma ed i suoi effetti, cfr. M. MACCHIA; La riforma degli administrative tribunals nel Regno Unito, in Riv. Trim. Dir. Pubb., 2009, p. 209 ss.; G. LIGUGNANA, Le trasformazioni della giustizia amministrativa inglese: la riforma dei tribunals, in Dir. 6 155 GIOVANNA LIGUGNANA contenzioso e, al contempo (forse ancor più), quello di evitare il coinvolgimento del sistema giurisdizionale (e, in particolare, delle Corti superiori), ritenuto particolarmente costoso, laddove ciò non fosse necessario. La giurisdizione, in altri termini, è vista come un servizio il cui costo, per il ricorrente e per la società, appare accettabile solo in presenza di controversie che richiedano, per la loro importanza, l’attivazione della relativa macchina8. Tale concezione era stata ulteriormente sviluppata, alcuni anni dopo, dalla Law Commission, in relazione al settore degli alloggi9. L’idea di una risoluzione proporzionata delle controversie non era peraltro una novità: lo stesso Lord Woolf, nella sua proposta di riforma della giustizia civile, vi era ricorso. Quella riforma conteneva, in effetti, una divisione delle cause civili in diverse “classi” prevalentemente sulla base del valore di queste, ed associava ad ogni classe di causa una procedura più o meno semplificata, quanto a tempi ed adempimenti processuali. La decisione circa l’inclusione di una causa in una particolare classe spettava al giudice e non alle parti, secondo un approccio definito, per tale motivo, top-down10. Nel suo Interim Report11, inoltre, Lord Woolf asseriva che, laddove fossero esistite forme di risoluzione alternativa delle controversie, le Proc. Amm., 2009, p. 432 ss.; G. LIGUGNANA, L’altra giustizia amministrativa, cit., p. 85 ss. 8 Cfr. Transforming public services, cit., p. 13: «Judicial review proceedings are complex and demanding and invariably require help and representation by solicitors and counsel. This is inevitably costly». 9 THE LAW COMMISSION, Housing: Proportionate Dispute Resolution, Cm 7377, London, 2008, in www.lawcom.gov.uk. 10 La proposta (poi trasfusa nell’Access to Justice Act 1999) conteneva una tripartizione delle cause civili a seconda del valore di queste, ma con potere del giudice di integrare tale criterio con quello della complessità e della rilevanza della stessa; a ciascuna “classe di causa” era associata una data procedura: si ipotizzava così una small claims jurisdiction per le controversie con un valore fino a £ 3.000 (poi elevate dalla legge a 5.000); una fast track procedure, per le controversie sopra le £ 3.000 e fino a £ 10.000 (divenute poi £ 15.000), con procedura semplificata, costo fisso per le parti e termini prestabiliti per l’emanazione della sentenza, e una multi-track procedure per le liti di valore superiore, a procedura ordinaria e con ampi poteri di case management del giudice. 11 Supra, nt. 1. 156 ONE SIZE DOESN’T FIT ALL. LA RICERCA DELLA PROPORZIONALITÀ parti avrebbero dovuto essere incoraggiate a servirsi di queste ultime prima di iniziare l’iter processuale dinanzi alla corte. Nel caso delle controversie con l’amministrazione, tuttavia, il concetto di PDR viene in qualche modo trasformato nella sua costruzione, anche se, nel White Paper governativo poco sopra citato, non risulta mai chiaramente definito. Poiché però la riforma della giustizia amministrativa (come sopra intesa) ha al suo centro le esigenze del cittadino, dovrebbe essere quest’ultimo a scegliere il mezzo giustiziale più consono a risolvere la controversia, secondo un percorso che, idealmente, va dal basso verso l’alto (approccio c.d. bottom-up). I primi commenti dottrinali seguiti alla pubblicazione del White Paper avevano subito rilevato i potenziali problemi connessi a tale concezione: il cittadino che decida di contestare la decisione sfavorevole dell’amministrazione, spesso non è consapevole né del “se” vi sia stata illegittimità – e, in caso affermativo, quale sia il vizio –, né del risultato che egli può ottenere con il rimedio giustiziale da scegliere12. Del resto, l’utilizzo di una metodologia di tipo top-down, come nella giustizia civile non avrebbe probabilmente potuto trovare applicazione nelle controversie amministrative, dove è assai più arduo stabilire il valore della causa e le parti in lite si trovano in posizione di parità spesso solo formale e non sostanziale. Come poco sopra accennato, il tema della PDR è stato successivamente sviluppato e precisato dalla Law Commission nel 2008, attraverso la pubblicazione di un Issues Paper dedicato alla risoluzione delle controversie nel settore housing13. In tale sede si proponeva una nuova via per la gestione delle situazioni conflittuali, che andava sotto il nome di triage plus. Il concetto di triage presupponeva (al pari di ciò che avviene in campo medico da cui il termine è tratto) la presenza di un soggetto dotato della necessaria competenza (triage provider) che indirizzi il privato verso la modalità di risoluzione della controversia più efficiente sia in termini di risultato sia di costi. Il termine plus indicava l’ulteriore funzione dello strumento 12 Cfr. M. ADLER, Tribunal Reform: Proportionate Dispute Resolution and the Pursuit of Administrative Justice, in Modern Law Review, 2006, p. 958 ss. 13 Supra, nt. 9. Cfr., in proposito, M. ADLER, The Idea of Proportionality in Dispute Resolution, in Journal of Social Welfare & Family Law, 2008, p. 309 ss. 157 GIOVANNA LIGUGNANA e cioè la sua attitudine al miglioramento generale delle decisioni amministrative attraverso un meccanismo di feedback proveniente dalla risoluzione della controversia e del problema su cui essa si basava14. Come è possibile notare, il perno di tale sistema è in realtà il triage provider, cioè il soggetto che, valutata la natura della controversia ed il suo possibile esito, decide quale sia la strada più opportuna da percorrere per risolverla. Tale ruolo era stato individuato dalla stessa Law Commission in capo ai vari Community Legal Advice Centres (CLACs) e Community Legal Advice Networks (CLANs). Si tratta di organizzazioni finanziate da fondi pubblici centrali o locali che si affiancano alle varie organizzazioni private non profit (charities)15, con lo scopo di offrire consulenza legale a soggetti a basso reddito (che, dunque, non avrebbero potuto avere accesso alle normali consulenze legali professionali) soprattutto nel campo del c.d. social welfare, comprensivo di tutta l’area dei sussidi, degli alloggi, dei rapporti debitori, dei rapporti di lavoro e di famiglia16. Sul fatto che tali soggetti avrebbero potuto svolgere efficacemente la funzione di triage plus – comprensiva cioè di quel supporto alla qualità delle decisioni future dell’amministrazione e della giurisdizione che avrebbe dovuto discendere dalla gestione del contenzioso – parte della dottrina aveva espresso seri dubbi, dal momento che il numero di casi 14 Il meccanismo di triage plus, infatti, si componeva delle seguenti fasi: signposting, cioè la “diagnosi iniziale” della situazione conflittuale e la valutazione delle relative opzioni risolutive; intelligence-gathering and oversight, cioè l’individuazione di eventuali problematiche generali o di sistema a partire dal caso concreto; feedback, ovvero l’utilizzo delle informazioni non solo per migliorare le future decisioni dell’amministrazione ma, più in generale, per costituire una serie di soluzioni utilizzabili da tutto il circuito del contenzioso, comprese le Corti, i Tribunals e gli Ombudsmen. 15 Occorre precisare che il termine charities in senso stretto identifica solamente una parte del più ampio settore non profit. Le charities infatti (perlomeno quelle con sede in Inghilterra e Galles) sono soggette alla vigilanza della Charities Commission e godono di particolari vantaggi fiscali, ciò che comporta il possesso di determinati requisiti previsti dalla legge (Charities Act 2011), requisiti la cui sussistenza impone anche l’inserimento negli elenchi tenuti dalla stessa Commission. 16 Il primo CLAC è stato istituito nel 2007. Nell’anno successivo sono divenuti operativi altri cinque centri (rispettivamente a Gateshead, Leicester, Derby, Portsmouth e Hull). A fine 2010 operavano in totale otto CLACs e due CLANs. 158 ONE SIZE DOESN’T FIT ALL. LA RICERCA DELLA PROPORZIONALITÀ trattati dai Centres sarebbe stato comunque limitato, anche volendo estendere l’attività di questi al di fuori del settore housing17: l’attività dai centri, al pari, del resto, di quella offerta dalle charities che operano nello stesso campo, non pare essersi mai spinta al di là della normale consulenza alle parti interessate, come appare anche dai più recenti studi circa l’efficacia del loro operato18. Sull’attività dei centri, inoltre, ha inciso fortemente il problema del finanziamento: essi, infatti, traggono le proprie risorse da fondi pubblici statali, locali e, nel caso delle charities, anche dalle erogazioni liberali di privati. I recenti e consistenti tagli alle spese che fanno capo al Ministry of Justice, tagli imposti dal Governo nel quadro della complessiva riduzione della spesa pubblica, hanno, infatti, indotto a prevedere non solo una drastica riduzione delle attività dei centri di consulenza ma, più in generale, l’estromissione di parte dei cittadini dall’accesso alla giustizia19. Del resto, è lo stesso Ministero ad ammettere che il taglio delle risorse destinate al Legal Aid, cioè al fondo pubblico destinato (prevalentemente) al rimborso delle spese legali dei soggetti a basso reddito, si inserisce nel più ampio obiettivo di riduzione dei costi della “litigiosità” (intesa come risoluzione in via contenziosa delle controversie) che sarebbe in qualche modo incentivata dalla disponibilità di accesso alle 17 Cfr. M. ADLER, The Idea of Proportionality, cit., p. 318. Il recente taglio dei fondi pubblici destinati al Legal Aid e ai centri di consulenza ha costituito l’occasione per la pubblicazione di numerosi studi sul funzionamento e sul ruolo di tali centri e sull’impatto che i mancati finanziamenti avranno sulla risoluzione delle controversie nelle fasce più deboli della società. Cfr., ad esempio, D. MORRIS, W. BARR, The impact of cuts in legal aid funding on charities, in Journal of Social Welfare & Family Law, 2013, p. 79 ss.; A. BUCK, M. SMITH, Back for the future: a client centred analysis of social welfare and family law provision, in Journal of Social Welfare & Family Law, 2013, p. 95 ss.; H. SOMMERLAD, P. SANDERSON, Social justice on the margins: the future of the non for profit sector as providers of legal advice in England and Wales, in Journal of Social Welfare & Family Law, 2013, p. 305 ss. 19 Senza potersi troppo addentrare nella complessa tematica dei tagli recentemente imposti al Legal Aid, basti qui osservare che il Legal Aid, Sentencing and Punishment of Offenders (LASPO) Act 2012, entrato in vigore l’anno successivo, ha previsto consistenti restrizioni sia nei criteri di accesso degli individui al fondo per il rimborso delle spese legali, sia nelle aree in cui la consulenza legale può essere rimborsata a carico del fondo. 18 159 GIOVANNA LIGUGNANA risorse pubbliche (almeno per quella parte di popolazione avente i requisiti di accessibilità)20. Ma, al di là di ciò, e nonostante che la riduzione complessiva delle risorse pubbliche (centrali e locali) da destinare alla consulenza legale comporti presumibilmente una serie di ricadute sul panorama giustiziale inglese, l’impatto delle quali appare ancora incerto, è comunque da rilevare che l’attività svolta dai vari centri di consulenza non ha mai veramente trovato corrispondenza con il disegno di una giustizia amministrativa proporzionata tracciato dieci anni orsono dal governo. I centri di consulenza legale, infatti, proprio per la loro intrinseca destinazione alle categorie sociali più deboli, si sono ritrovati a gestire settori limitati di controversie che sono, tra l’altro, per una buona parte di natura privatistica (tipico il caso dei conflitti familiari) o mista21. Se non pare possibile ad oggi affermare la realizzazione di quella “teoria proporzionalistica” della giustizia amministrativa, non significa però che l’ordinamento britannico non si sia mosso (e si stia tuttora muovendo), di fatto, verso quell’obiettivo. Il panorama giustiziale inglese già da tempo presenta, in effetti, alcune forme di proporzionalità che emergono fuori e (di recente, anche) dentro lo stesso sistema giurisdizionale. Da un lato, infatti, si possono distinguere le controversie affidate alla risoluzione degli ombudsmen, perché fondate su ipotesi di maladministration, da quelle che consentono il ricorso alle Courts, presentando veri e propri grounds for judicial review, e dai casi (previsti dalla legge) in cui è possibile il ricorso ai Tribunals. 20 MINISTRY OF JUSTICE, Proposal for the reform of legal aid in England and Wales, consultation paper CP12/10, London, 2010, reperibile in www.justice.gov.uk. 21 In realtà gran parte delle problematiche giuridiche gestite dai centri di consulenza si rivelano “complesse” poiché la controversia nata come “privatistica”, come ad esempio le cause di famiglia o di estinzione di rapporti obbligatori può recare con sé una controversia pubblicistica ad esempio, in relazione all’assegnazione di alloggi o all’accesso ai sussidi o ad altri servizi sociali. 160 ONE SIZE DOESN’T FIT ALL. LA RICERCA DELLA PROPORZIONALITÀ Dall’altro, il criterio della proporzionalità è recentemente emerso all’interno della giurisdizione amministrativa ed è riferito, come si vedrà, al rapporto tra Tribunals (in particolare l’Upper Tribunal) e le Courts22. Nell’uno e nell’altro caso, l’ordinamento è alla ricerca della soluzione più efficiente, che conduca al risparmio della risorsa giurisdizionale più scarsa e dispendiosa, cioè l’intervento delle Corti. 2. La risoluzione delle controversie ad opera degli ombudsmen. Una soluzione ‘proporzionata’? Come poco sopra accennato, la visione della giustizia amministrativa recentemente accolta dal sistema britannico è ampia e tendente alla creazione di una sorta di circuito virtuoso dal conflitto all’azione, un circuito in cui la risoluzione della controversia tra privato e amministrazione costituisca l’occasione, per quest’ultima, di migliorare la “qualità” delle proprie decisioni future. Ciò, a sua volta, dovrebbe consentire una graduale e generale riduzione della conflittualità e dei relativi costi. In tale contesto si inserisce pienamente il concetto di PDR: quanto più, infatti, la risoluzione delle controversie può essere effettuata al di fuori della giurisdizione, tanto più alto sarà il risparmio in termini di costi per il privato e per la società. Naturalmente, ciò comporta la presenza di diversi attori nel campo della risoluzione delle controversie con l’amministrazione: una posizione speciale, tra questi, è assunta dagli ombudsmen, la cui capacità “persuasiva” nei confronti delle amministrazioni assume una particolare incisività sui comportamenti e, più in generale, sull’azione di queste, consentendo quel ritorno in termini di qualità dei provvedimenti di cui sopra si diceva. Inoltre, nella misura in cui l’attività risolutiva dell’ombudsman soddisfi le esigenze giustiziali del cittadino, esso si inserisce a pieno titolo nel sistema della PDR. 22 Su cui cfr. R. CARANTA, Administrative Tribunals e Courts in Inghilterra (e Galles) e M.P. CHITI, La giustizia nell’amministrazione. Il curioso caso degli Administrative Tribunals britannici, in questo volume. 161 GIOVANNA LIGUGNANA Nel panorama della giustizia amministrativa inglese odierna, gli ombudsmen costituiscono un universo assai esteso ed eterogeneo, il cui ruolo, tuttavia, non appare pienamente apprezzabile se non si tiene in conto il contesto evolutivo del ruolo delle Corti e dei Tribunals nel sindacato delle decisioni dell’amministrazione. Non è, ovviamente, questa la sede per una disamina di tale evoluzione che abbia una qualche pretesa di completezza: basti qui ricordare che fino alla fine degli anni Sessanta dello scorso secolo circa, le Corti effettuavano un sindacato piuttosto ridotto sull’attività dell’amministrazione23; i Tribunals, dal canto loro, esplosi nel numero a causa del peculiare processo di creazione legislativa ad hoc, hanno sempre sofferto dei limiti di competenza derivanti proprio dal loro processo istitutivo. Restava, dunque, una sfera residuale di casi in cui un’eventuale injustice derivante dall’azione o dal comportamento dell’amministrazione, non trovava una collocazione giustiziale precisa, non presentando le caratteristiche per accedere né alla giurisdizione né ai Tribunals oppure non avendo valore tale da rendere conveniente il sostenimento dei costi del ricorso giurisdizionale. La creazione dell’ombudsman ha colmato in buona parte tale vuoto, costituendo un’istanza di semplice accesso e dal costo molto limitato, volta alla risoluzione delle controversie che risultano da maladministration. Il concetto di maladministration non ha una precisa definizione normativa: ogni sua ricostruzione deve comunque partire dalla legge istitutiva del Parliamentary Commissioner for Administration, anche noto come Parliamentary Ombudsman (PO) che costituisce la prima e principale figura di ombudsman, e che funge da modello, quanto a pote- 23 È a partire dalla metà degli anni Sessanta, infatti, con le sentenze Ridge v. Baldwin ([1964] AC 40), Padfield (R v. Minister of Agriculture and Fisheries, ex p. Padfield [1968] AC 997) e Anisminic (Anisminic v. Foreign Compensation Commission [1969] AC 147), «the “Holy Trinity”», come le definisce T. POOLE (The reformation of English Administrative Law, in Cambridge Law Journal, 2009, p. 142), che il sindacato delle Corti, pur attestandosi su basi formali, si è esteso alle modalità di esercizio del potere da parte delle amministrazioni e allo svolgimento del procedimento. 162 ONE SIZE DOESN’T FIT ALL. LA RICERCA DELLA PROPORZIONALITÀ ri e a procedure utilizzate, per tutti gli ombudsmen successivamente istituiti24. Il Parliamentary Commissioner Act 1967, istitutivo del PO, non offre, invero, alcuna definizione di maladministration: una esemplificazione può trovarsi tuttavia nel c.d. Crossman catalogue25, il quale individua come possibili di casi di “cattiva amministrazione” ogni forma di 24 Il Parliamentary Commissioner for Administration è stato istituito dal Parliamentary Commissioner Act 1967, dopo che, all’inizio degli anni Sessanta, il gruppo di studio JUSTICE ne aveva raccomandato, in un apposito report (noto come Whyatt Report), la creazione. La legge istituisce dunque una nuova figura, – il Parliamentary Ombudsman (PO), appunto – con nomina settennale da parte della Corona. Tale figura è legata al Parlamento da un doppio meccanismo: da un lato, infatti il PO era sottoposto alla vigilanza, attraverso l’obbligo di reporting periodico, di un’apposita commissione parlamentare, il Public Administration Select Committee (PASC – un report annuale è invece presentato all’assemblea parlamentare), dall’altro l’accesso diretto al PO da parte del cittadino non è consentito dalla legge, poiché si rende necessario il previo inoltro del reclamo scritto al Member of Parliament della House of Commons eletto nella sua circoscrizione, il quale, a sua volta, lo trasmette al PO. Sotto il profilo soggettivo, la legge circoscrive la competenza giustiziale del PO delimitandone il raggio d’azione agli atti e comportamenti delle amministrazioni statali (Ministeri e le altre autorità statali previste nella sch. 2 della legge) e dei privati gestori di pubblici servizi (secondo un’interpretazione ormai consolidata della s.5(1) del Parliamentary Commissioner Act 1967 che fa riferimento a «any action (…) which is taken by or on behalf of a government department (…)» e, comunque, «where the action is taken in the exercise of administrative function of that department or authority»). Negli anni successivi, il Parliamentary Ombudsman ha assunto anche, in Inghilterra, le competenze del Health Service Commissioner, occupandosi così anche della risoluzione delle controversie che involgano maladministration in ambito sanitario pubblico e assumendo il nome (tuttora mantenuto) di Parliamentary and Health Service Ombudsman (PHSO). Sulla figura del PHSO, cfr. A. TORRE, Maladministration, tutela del cittadino e controllo parlamentare: il Parliamentary Commissioner britannico, in Dir. Pubb. Comp. Europeo, 2006, p. 1783 ss. La dottrina inglese in tema di PHSO è assai estesa: per i principali riferimenti cfr. G. LIGUGNANA, L’altra giustizia amministrativa, cit., p. 129 ss. Si ricordi, inoltre che analoghe figure sono state create per la Scozia (Scottish Public Services Ombudsman), nel 2002, per il Galles (Public Service Ombudsman for Wales) nel 2005 e per il Nord Irlanda (Northern Ireland Ombudsman), nel 1996, con la revisione di una originaria normativa del 1969. Si noti che tali Ombudsmen “nazionali” operano con regole diverse e, per taluni aspetti, più elastiche di quelle del PHSO inglese. 25 L’elencazione dei casi si deve a Richard Crossman, Speaker della House of Commons, che la effettuò durante l’iter di approvazione della legge. 163 GIOVANNA LIGUGNANA «bias, neglect, inattention, delay, incompetence, ineptitude, perversity, turpitude, arbitrariness and so on». Il “catalogo” è stato progressivamente arricchito dallo stesso Ombudsman, tanto che, nel rapporto annuale per l’anno 1993, venivano indicati come maladministration tutti i casi in cui l’amministrazione, interpellata dal cittadino, non avesse fornito adeguate informazioni circa i diritti di quest’ultimo, oppure avesse fornito informazioni errate o fuorvianti, i casi di istruttoria inadeguata, il ritardo ingiustificato, l’errata interpretazione delle norme sulle procedure, il rifiuto di offrire idonea riparazione ove dovuta, fino alla semplice scortesia. Si tratta, dunque, almeno dal punto di vista del giurista italiano, di casi eterogenei, che talora, nel nostro sistema, costituirebbero vizi del procedimento, veri e propri sintomi di eccesso di potere. Lo stesso PO ha, nel tempo, contribuito alla realizzazione dell’administrative justice pubblicando, nel 2007, i Principles of Good Administration26, documento contenente non solo i criteri utilizzabili dall’Ombudsman per valutare le decisioni dell’amministrazione (dai quali è anche possibile dedurre, a contrario, ciò che può essere considerato maladministration). Tali principi sono definiti come: a) getting it right, cioè agire secondo la legge, nel rispetto dei diritti dei privati e degli obiettivi dell’amministrazione, decidendo con ragionevolezza e con un’istruttoria completa; b) being costumer focused, cioè avere un atteggiamento orientato alle esigenze del cittadino compresa anche la disponibilità dell’amministrazione a fornire tutte le informazioni necessarie affinché egli possa avere agevole accesso ai servizi pubblici; c) being open and accountable, ossia adottare procedure trasparenti e criteri predeterminati per le decisioni dell’amministrazione, decisioni da motivare congruamente; d) acting fairly and proportionately, evitando le disparità di trattamento, le discriminazioni e i conflitti di interesse; 26 PHSO, Principles of Good Administration, London, 2007. Il documento fa parte di una trilogia di pubblicazioni del PO, comprensiva dei Principles of Good Complaints Handling e i Principles for Remedy, oggi compresi nella raccolta Ombudsman’s Principles, London, 2009. 164 ONE SIZE DOESN’T FIT ALL. LA RICERCA DELLA PROPORZIONALITÀ e) putting things right, cioè riconoscere i propri errori e porvi rimedio nel più breve tempo possibile, rendendo eventualmente il cittadino consapevole delle possibilità, modalità e tempi per l’impugnazione della decisione; f) seeking continuous improvement, ottenibile attraverso un costante controllo della rispondenza tra obiettivi e procedure utilizzate attraverso la richiesta di feedback della propria azione ai cittadini. Il PO ha inoltre adottato la prassi, poi estesasi a tutti gli ombudsmen, di subordinare il proprio intervento al previo esperimento del riesame da parte dell’amministrazione che ha emanato il provvedimento contestato. Solo qualora l’intervento in “autotutela” non abbia dato esito favorevole, il privato potrà adire l’ombudsman. Al di là di tale passaggio obbligato, l’accesso all’ombudsman non presenta ulteriori adempimenti, è diretto27 e relativamente immediato28. I poteri di investigation consentono a quest’ultimo una raccolta quasi sempre esaustiva di informazioni circa il comportamento e il procedimento seguito dall’amministrazione nell’emanazione della decisione29. In genere gli ombudsmen non hanno il potere di garantire al reclamante una tutela in termini di risultato finale, quanto piuttosto un potere di raccomandare all’amministrazione interessata di soddisfare le esigenze del cittadino che abbia subito una injustice dovuta all’accertata presenza di maladministration. Le raccomandazioni dell’ombudsman contengono di solito anche una proposta circa il rimedio da adottare nel caso concreto: le misure rimediali sono atipiche e variano, a seconda dell’injustice subita, dalla mera richiesta di scuse al privato, fino alla richiesta di compensation30. 27 Rimane la permanenza del previo reclamo al parlamentare per il PO inglese, a meno che esso non agisca in qualità di Health Service Ombudsman. 28 Permane tuttora, in relazione al PO, la necessità di inoltrare il reclamo in forma scritta. 29 La legge istitutiva del PO estende a quest’ultimo i poteri del giudice in merito alla convocazione di testimoni e alla produzione di documenti. Ad esso non possono inoltre essere opposti né il segreto da parte dell’amministrazione, né privileges da parte della Corona. 30 Con la pubblicazione dei Principles for Remedy, nel 2007, il PO ha presentato i criteri utilizzabili per individuare il rimedio più idoneo, a partire dal ripristino della situazione antecedente la lesione. Qualora ciò non fosse possibile, il rimedio dovrebbe 165 GIOVANNA LIGUGNANA Pur non avendo carattere vincolante, le raccomandazioni degli ombudsmen (e, soprattutto, del PO) hanno un’elevata capacità “persuasiva” nei confronti delle amministrazioni indagate che, tendenzialmente, vi si adeguano. I poteri degli ombudsmen soffrono, naturalmente, di alcuni limiti, che pongono l’istituzione per lo più al di fuori di ogni concorrenza con il sistema delle Corti e dei Tribunals. Ancora una volta, il caso del PO offre il modello di riferimento. Il primo limite all’attività di quest’ultimo si ricava dalla stessa legge istitutiva che, alla s.12(3), esclude che il PO possa sindacare il contenuto discrezionale del provvedimento emanato in assenza di maladministration: la disposizione aveva originariamente dato origine ad una sorta di self-restraint dell’ombudsman, che tendeva a limitare le proprie indagini ai soli profili procedimentali senza considerare il contenuto della decisione finale. Tale rigida separazione tra procedimento e provvedimento pare comunque oggi superata31. Il secondo limite dell’attività dell’ombudsman è la generale impossibilità di sindacare la legittimità (le c.d. issues of law) della decisione: nell’istituire il PO infatti il legislatore ha imposto la regola secondo cui non spetta all’ombudsman interpretare la legge, poiché ciò è riservato al giudice. La stessa legge del 1967, peraltro, consente al PO di trattenere presso di sé le controversie, pur riguardanti issues of law, nel caso in cui egli ritenga che, nel caso concreto, sia irragionevole attendersi un ricorso del privato alla giurisdizione. La giurisprudenza ha comunque riconosciuto la sindacabilità, da parte del giudice, della decisione dell’ombudsman di trattenere presso di sé la controversia che involga questioni di diritto, sindacato da effettuarsi però sulla base del test di Wednesbury: la decisione sarebbe pertanto annullabile solo qualora si dimostri “talmente irragionevole, che comunque essere suitable and proportionate, secondo i principi di buona amministrazione emanati dallo stesso PO. 31 Parte della dottrina ritiene infatti che, poiché la legge prevede che il PO non possa prendere in considerazione «the merits of a decision taken without maladministration», egli, a contrario, possa (e debba) considerare il contenuto di una decisione presa in presenza di maladministration. Cfr., sul punto, R. KIRKHAM, The Parliamentary Ombudsman: withstanding the test of time, London, March 2007. 166 ONE SIZE DOESN’T FIT ALL. LA RICERCA DELLA PROPORZIONALITÀ nessun ombudsman ragionevole l’avrebbe presa”. Ciò comporta una certa estensione dei poteri dell’ombudsman che potrà eventualmente decidere controversie in cui emergano questioni di legittimità vuoi quando vi siano motivi sostanzialmente economici che impediscono l’accesso alle Corti – tipicamente, la sproporzione tra valore della causa e costo di accesso alla giurisdizione – e vuoi quando il ricorrente, per cause a lui non imputabili, non abbia potuto adire la giurisdizione e, dunque, l’accesso all’ombudsman costituisca l’unica via per ottenere redress32. Nonostante che l’ombudsman rivesta un ruolo assai significativo nell’ambito dell’administrative justice inglese ed un ruolo potenzialmente in espansione per gli anni a venire, rimangono alcuni problemi insiti nella strutturazione della figura, tuttora in attesa di una soluzione. In primo luogo, l’indeterminatezza del concetto di maladministration e la conseguente emersione di zone di sovrapposizione tra la sfera di competenza giustiziale del PO e la giurisdizione amministrativa. Ciò si verifica ogni qualvolta il vizio procedimentale o della decisione finale qualificato come maladministration possa essere inquadrato anche sotto il profilo della legittimità o della ragionevolezza33: in tal caso il confine tra competenza dell’ombudsman e giurisdizione diviene incerto e il trattenimento della controversia presso il primo, come ora visto, è subordinato alla presenza di particolari circostanze. In secondo luogo occorre rilevare che la diffusione e la proliferazione degli ombudsmen ha contribuito a costituire un quadro complesso e non sempre coordinato nell’attività di questi. Al pari dei Tribunals, infatti, gli ombudsmen sono stati creati attraverso un processo privo di sistematicità, che vede alcune figure (il PO, ad esempio, ma anche il 32 Si noti che la questione “di diritto” potrebbe manifestarsi anche durante il procedimento di indagine dell’ombudsman: in tal caso la scelta di trattenere comunque la decisione dovrà comunque basarsi su un criterio di ragionevolezza, il che dovrebbe comportare una valutazione dell’effettiva incidenza della questione sulle sue conclusioni circa la maladministration ed anche una valutazione sulla propria capacità di garantire la corretta applicazione della legge. Cfr. R. KIRKHAM, When Is It Appropriate to Use the Ombudsman?, in Journal of Social Welfare & Family Law, 2004, p. 188. 33 Ciò si è verificato ancor più proprio a partire dalla fine degli anni Sessanta, quando, come si diceva, la giurisdizione delle Corti è andata ampliandosi, riconoscendosi nuovi e più incisivi grounds per la judicial review. 167 GIOVANNA LIGUGNANA Local Government Ombudsman e i tre ombudsmen “nazionali”, scozzese, gallese e nordirlandese) istituite con legge ed altre istituite attraverso fonti secondarie di vario tipo; così come alcune figure a competenza generale ed altre a competenza settoriale (quali, i diversi independent complaints handlers); taluni operanti solo nei confronti delle amministrazioni (public sector ombudsmen) altri dedicati alla risoluzione di controversie tra privati; infine, ombudsmen operanti a livello nazionale e ombudsmen locali. Tale varietà di strutture e di competenze ha creato non pochi problemi di coordinamento e spesso complicato le procedure. Da un lato, infatti, si rileva la inevitabile presenza di aree di sovrapposizione tra le competenze dei diversi ombudsmen; dall’altro, si deve considerare la frequente previsione di considerare il PO come istanza di secondo grado nei confronti degli independent complaints handlers34. Ciò ha fatto (e fa) da più parti sollevare la questione di una possibile revisione complessiva del settore, simile a quanto avvenuto qualche anno fa per i Tribunals con la Leggatt review35, in modo da ricondurre il frammentato universo degli ombudsmen a vero e proprio “sistema”, in grado di costituire uno dei pilastri dell’administrative justice e, al contempo, il perno della Proportionate Dispute Resolution. A tale proposito occorre tener conto di una serie di osservazioni espresse recentemente dal Public Administration Select Committee nel Report dal titolo Time for a People’s Ombudsman Service36, dal quale si evincono alcune possibili trasformazioni del ruolo e delle modalità di funzionamento del PO. Tra le varie criticità osservate nel funzionamento del PO rileva, in particolare, l’impossibilità di attivarsi d’ufficio: l’azione investigativa del PO, che è tuttora soggetta all’istanza di parte, potrebbe, se divenisse 34 Si tratta ad esempio delle decisioni dell’Independent Case Examiner (ICE) come di quelle degli independent reviewers legati alle varie strutture ministeriali. 35 Cfr. A. ABRAHAM, The ombudsman and “paths to justice”: a just alternative or just an alternative?, in Public Law, 2008, p. 1 ss.; T. BUCK, R. KIRKHAM, B. THOMPSON, Time for a “Leggatt-style” review of the Ombudsman system?, in Public Law, 2011, p. 20 ss. 36 PASC, Time for a People’s Ombudsman Service, Fourteenth Report of Session 2013-14, London, 2014. 168 ONE SIZE DOESN’T FIT ALL. LA RICERCA DELLA PROPORZIONALITÀ indipendente da tale istanza, avere un elevato potenziale “formativo” per le amministrazioni pubbliche, potendo analizzare e risolvere le situazioni problematiche prima che si manifesti la controversia, innescando quel circuito virtuoso da cui può scaturire il miglioramento complessivo dell’amministrazione37. Altri elementi da più parti criticati sono, da un lato la presenza del filtro del rappresentante in parlamento, dall’altro la necessità di presentare i reclami in forma scritta, entrambi ritenuti di ostacolo ad un maggiore coinvolgimento del PO nella risoluzione delle controversie38 e ad una maggiore consapevolezza, da parte dei cittadini, nei confronti delle potenzialità risolutive di quest’ultimo. Nonostante il numero crescente di reclami presentati al PO nell’ultimo anno39, la via del ricorso all’ombudsman appare ancora complessivamente poco battuta: ciò potrebbe essere la prova di quanto già osservato in sede dottrinale, laddove si rilevava il problema della scarsa “comprensibilità”, da parte del pubblico, degli attori e degli strumenti a garanzia del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione40 e delle loro modalità di funzionamento. In tale contesto, tuttavia, gli ombudsmen si trovano in una posizione particolarmente favorevole per svolgere anche un advisory service di “prima linea”, incanalando i reclami verso il risolutore più adatto o verso la giurisdizione competente, e svolgendo, in tal modo, quella funzione di triage che sta alla base della PDR. 37 Cfr. PASC, op. cit., p. 28 ss. Sul punto cfr., inoltre, C. GILL, Right first time: the role of ombudsmen in influencing administrative decison-making, in Journal of Social Welfare & Family Law, 2011, p. 181 ss. 38 Sul punto, cfr., ancora PASC, op. cit., p. 16 ss. 39 PHSO, A voice for change, The Ombudsman’s Annual Report and Accounts 2013-14, London, 2014, p. 8 ss. 40 Cfr., in proposito, T. BUCK, R. KIRKHAM, B. THOMPSON, op. cit., p. 28, secondo i quali «(…) that the public do not understand the administrative justice system and its component parts, including the ombudsmen, is a real problem leading to added stress and complainant fatigue». 169 GIOVANNA LIGUGNANA 3. La proporzionalità all’interno della giurisdizione: il caso Cart Il concetto di PDR è emerso, in tempi recenti, in una nota sentenza della Supreme Court, in relazione al rapporto tra Courts e Tribunals. Si tratta del caso Cart41, in cui, come tra breve si vedrà, l’utilizzo del concetto di proporzionalità cela anche la difficoltà di delineare con chiarezza l’assetto dei rapporti tra giudice “ordinario” e “speciale” nel quadro dei principi di rilievo costituzionale e, in particolare, quello della rule of law. Il tema è senz’altro complesso e fortemente influenzato dall’apparente mutamento della posizione dei Tribunals nel panorama della giustizia amministrativa, conseguente alla citata riforma del 2007. Se non è in questa sede possibile un’analisi compiuta delle circostanze che hanno condotto all’attuale assetto dei Tribunals, appare comunque utile effettuare qualche considerazione preliminare sul tema che, pur senza alcuna pretesa di completezza, aiuti a comprendere il contesto generale in cui la sentenza del supremo giudice è stata emanata. Il tema del rapporto tra Corti e Tribunals non riesce a cogliersi appieno se non si tengono a mente due circostanze fondamentali. La prima è la lunga e complessa evoluzione che ha portato i Tribunals a trasformarsi da un insieme frammentato di strutture create ad hoc dal legislatore per la risoluzione di controversie in determinate materie – prevedendo, normalmente, una prima ed una seconda istanza alla quale l’appeal è consentito in point of law –, ad un sistema organizzato, sempre a due livelli (First-tier Tribunal e Upper Tribunal), entrambi formati da diverse Chambers, sempre competenti per materia. La seconda riguarda il controverso problema della natura dei Tribunals: nati come vere e proprie “amministrazioni contenziose”42, essi sono lentamente scivolati verso la giurisdizione senza però mai raggiungerla in senso pieno. Se, infatti, essi sono da molto tempo comunemente considerati parte del potere giurisdizionale, e se la loro riforma li ha legati, dal punto di vista meramente organizzativo, al Ministero 41 R (Cart) v The Upper Tribunal [2009] UKUT 62 (AAC). Sull’evoluzione storica dei Tribunals cfr. C. STEBBINGS, Legal Foundations of Tribunals in Nineteenth Century England, Cambridge, 2006. 42 170 ONE SIZE DOESN’T FIT ALL. LA RICERCA DELLA PROPORZIONALITÀ della giustizia (al pari delle Corti), i Tribunals continuano ad operare decidendo nel merito le controversie loro affidate dal legislatore – quindi con possibilità di sostituire la propria decisione a quella dell’amministrazione –, ed hanno il potere di riesaminare le proprie decisioni come vere e proprie amministrazioni. L’Upper Tribunal, tuttavia, assume una posizione particolare: ad esso il legislatore conferisce sicuramente una natura ibrida, che lo pone veramente “sul” confine con la giurisdizione: l’Upper Tribunal conosce delle impugnazioni (appeals) in point of law, delle decisioni del Firsttier Tribunal che il ricorrente effettui dopo aver ottenuto, da quest’ultimo o dal primo la c.d. permission to appeal; esso è definito una superior court of record (in grado di creare il precedente) ed ha anche il potere di giudicare in judicial review nelle materie indicate dalla legge con gli stessi poteri della High Court (Administrative Court)43. Ora, come è noto, il potere di (judicial) review in capo alle corti superiori, la c.d. supervisory jurisdiction, cioè il potere di sindacare la conformità alla rule of law degli atti degli altri soggetti pubblici, è considerato un inherent power, cioè un potere che deriva direttamente dalla common law e non ha bisogno di alcuna previsione legislativa. Il caso Cart propone, in sostanza, proprio questo problema: una decisione dell’Upper Tribunal, – nel caso di specie, il diniego della permission to appeal di fronte a se stesso44 – per la quale non sia prevista possibilità di ulteriore appeal45, può essere soggetta a judicial review? Nel suo “viaggio” attraverso i tre gradi della giurisdizione “superiore”, la questione ha ricevuto tre soluzioni sostanzialmente convergenti 43 Una sintetica disamina dei poteri dell’Upper Tribunal trovasi in G. MITCHELL, Judicial Review, But Not As We Know It: Judicial Review in the Upper Tribunal, in Judicial Review, 2010, p. 112 ss.; sulle problematiche relative alla judicial review dell’Upper Tribunal, cfr., inoltre, E. LAURIE, Assessing the Upper Tribunal’s Potential to Deliver Administrative Justice, in Public Law, 2012, p. 288 ss. 44 Come noto, la permission negata dal giudice “di partenza”, può essere richiesta al giudice “di destinazione”. 45 In effetti, avverso le decisioni dell’Upper Tribunal è prevista, dal TCE Act 2007 (s.13(1)(2)), la possibilità di appello, sempre in point of law, alla Court of Appeal tranne che per le c.d. excluded decisions, delle quali fanno comunque parte le pronunce sulla permission. 171 GIOVANNA LIGUGNANA ma fondate su premesse molto diverse, ciascuna delle quali considera sotto una particolare prospettiva il rapporto tra Tribunals e Courts. Il ricorrente aveva infatti impugnato il diniego di permission to appeal ricevuto dall’Upper Tribunal avanti alla High Court, per ottenere una pronuncia in judicial review46. La Corte aveva sottolineato, in quell’occasione, che, poiché il legislatore aveva voluto conferire all’Upper Tribunal uno status avente pari dignità rispetto a quello della High Court, ne aveva in sostanza replicato la posizione e i poteri rendendo il primo immune dalla judicial review della seconda, se non negli assai improbabili casi di errore di eccezionale gravità. Il ricorso giungeva in Court of Appeal47. La questione veniva qui considerata sotto un diverso approccio: la Corte, infatti, negava ogni immunità dei Tribunals in generale (e dell’Upper Tribunal, in particolare) nei confronti della judicial review delle Courts, negando in radice proprio il fatto che l’Upper Tribunal costituisse una sorta di replica della High Court. La legge di riforma dei Tribunals, nell’ottica della Corte, non avrebbe mutato il ruolo e la posizione che i singoli Tribunals avevano prima della suddetta riforma: il potere, che le Corti hanno sempre avuto, di correggere gli errors of law dei primi non poteva essere, pertanto, disconosciuto. Ciò che andava, tuttavia, riconosciuto era il fatto che il legislatore avesse voluto, con la riforma, creare un giudice speciale strutturato in un sistema tendenzialmente autonomo da quello delle Corti: ciò avrebbe comportato che un eventuale intervento “correttivo” di queste ultime attraverso la judicial review sarebbe stato possibile solo nel caso eccezionale di “eccesso di giurisdizione” o di gravissimi difetti di procedura48. È, infine, la Supreme Court49, a decidere di cercare il punto di equilibrio tra ruolo “costituzionale” delle Corti superiori, ultimi garanti del rispetto della rule of law, e nuova, autonoma posizione dei Tribunals (e dell’Upper Tribunal, in particolare), utilizzando proprio il concetto di proporzionalità. 46 R (Cart) v The Upper Tribunal [2009] EWHC 3052 (Admin). R (Cart) v The Upper Tribunal [2010] EWCA (Civ) 859. 48 Si noti il ritorno della Corte ai criteri del sindacato pre-Anisminic. 49 R (Cart) v The Upper Tribunal [2011] UKSC 28. 47 172 ONE SIZE DOESN’T FIT ALL. LA RICERCA DELLA PROPORZIONALITÀ Il ricorso alle Corti per ottenere la verifica della “conformità al diritto” della decisione di altro giudice, infatti, pur costituendo un principio fondamentale dell’ordinamento, non può essere sempre ammissibile ma deve avere un limite: se, infatti, la decisione proviene da un giudice speciale, facente parte di una struttura che già prevede un’istanza di secondo grado, e che è dotato di uno status ed una expertise idonei a decidere in modo corretto, sarebbe “sproporzionato” consentire l’utilizzo delle scarse risorse a disposizione delle Corti (e dell’Administrative Court in particolare) per ottenere la correzione di un error of law attraverso judicial review. In altri termini vi sono “errori” che l’ordinamento può tollerare perché il costo della loro correzione tramite l’intervento delle Corti sarebbe eccessivo e, dunque, sproporzionato. In quali circostanze, dunque, è ammissibile il ricorso in judicial review avverso la decisione di un giudice quale l’Upper Tribunal? Secondo la Supreme Court andranno applicati, in questi casi, i criteri che reggono, in generale, il ricorso ai second-tier appeals, e cioè la necessità di valutare principi di speciale rilevanza o se vi siano altre ragioni che rendono indispensabile l’intervento di una superior court in judicial review. Così, solo se l’errore coinvolga un important principle o vi sia un’altra compelling reason, il ricorrente potrà ottenere un sindacato in judicial review del diniego di permission to appeal50. La dottrina più attenta osserva come, attraverso il caso Cart, la Supreme Court abbia ufficialmente riconosciuto il concetto di PDR ed anzi, si potrebbe dire, lo abbia fatto entrare a pieno titolo tra i principi dell’ordinamento: il “costo” dell’errore in una singola controversia deve superare il “costo” complessivo dell’accesso alla Administrative Court per poter consentire l’attivazione di quest’ultima51. Riemerge, in fondo, l’idea che le Corti debbano costituire un’istanza residuale per la giustizia amministrativa da “scomodarsi” solo se si tratti di questioni di assoluta rilevanza: in questo modo si dovrebbero incanalare le contro- 50 Sul punto cfr. le osservazioni critiche di P. MURRAY, Judicial Review of the Upper Tribunal: Appeal, Review and the Will of Parliament, in Cambridge Law Journal, 2011, p. 487 ss. 51 M. ELLIOTT, R. THOMAS, Tribunal Justice and Proportionate Dispute Resolution, in Cambridge Law Journal, 2012, p. 314 ss. 173 GIOVANNA LIGUGNANA versie nelle sedi più idonee e garantire che le risorse disponibili vengano utilizzate secondo efficienza. L’approccio efficientistico scelto dalla Corte attraverso l’utilizzo del concetto di proporzionalità non pare inoltre incompatibile con il principio della rule of law, se inteso in un senso più ampio rispetto all’angusta diceyana concezione per cui la decisione di un administrative tribunal non potrebbe essere mai sottratta al “controllo” di una regular court. In realtà, non solo il sistema dei Tribunals, come risultante dalla riforma, è in grado di ricoprire quel ruolo di independent judicial body che la rule of law richiede per il sindacato sulle decisioni dell’amministrazione, ma appare esso stesso come una struttura in grado di svolgere un ruolo di pari dignità rispetto a quello che le Corti svolgono nella risoluzione delle controversie52. 4. Conclusioni Appare innegabile che, nell’ultimo decennio, l’ordinamento britannico abbia colto la sfida di una radicale riforma della giustizia amministrativa. Tale sfida si è attuata (ed è tuttora in atto) su due fronti: quello della giurisdizione, con la sistematizzazione dei Tribunals – che, si tenga presente, non si è risolta in una mera riorganizzazione delle strutture esistenti ma ha comportato anche un assestamento di funzioni, soprattutto se si guarda all’Upper Tribunal –, e con la recente “regionalizzazione” della Administrative Court, che ha visto l’aggiunta di quattro sedi periferiche per una migliore distribuzione del carico di lavoro53. L’altro fronte è quello degli Ombudsmen, e del PHSO in particolare, 52 «On this analysis, PDR and the rule of law are not (…) factors that are in tension with one another: under the TCEA scheme the requirements of the rule of law are primarily satisfied not by judicial oversight of the tribunals system, but by the characteristics with which that system has been invested». Cfr., M. ELLIOTT, R. THOMAS, op. cit., p. 323. 53 A partire dal 2009 sono state istituite alcune sedi periferiche della Administrative Court, presso i District Registries della High Court a Birmingham, Cardiff, Leeds e Manchester, in modo da diluire il carico di lavoro della sede centrale. Cfr., in proposito, S. NASON, Regionalisation of the Administrative Court and the Tribunalisation of Judicial Review, in Public Law, 2009, p. 440 ss. 174 ONE SIZE DOESN’T FIT ALL. LA RICERCA DELLA PROPORZIONALITÀ per il quale, ormai da qualche tempo e da più parti, giunge la spinta per una riforma altrettanto completa. L’obiettivo verso cui tutti questi attori e tutte le riforme convergono è uno: quello dell’efficienza del sistema di giustizia amministrativa o, meglio, della massima efficienza compatibile con il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento. Efficienza significa, in tale contesto, ottenere il migliore bilanciamento tra il “servizio” offerto al cittadino e il costo che tale servizio comporta per il singolo e per la società: la via principale per ottenere tale risultato è quella di distrarre il più possibile le controversie dalle Corti superiori, il cui intervento non solo è costoso per il singolo ma anche per la società, data la limitatezza delle risorse a disposizione delle stesse54. A fronte di ciò, l’ordinamento deve approntare un sistema giustiziale che consenta di gestire le controversie da parte del “risolutore” più appropriato e attraverso la procedura più appropriata. Tali considerazioni stanno alla base del concetto di PDR, che potrebbe dunque espresso anche come la “risoluzione idonea delle controversie” con la pubblica amministrazione, risoluzione che porti, nel tempo, alla prevenzione dei conflitti: della risoluzione, infatti deve beneficiare la stessa amministrazione, ricevendo l’input per il miglioramento della qualità delle proprie decisioni. La giustizia amministrativa, come si diceva all’inizio del presente scritto, parte dalla “decisione giusta”: quanto più l’amministrazione sarà in grado di emanare provvedimenti corretti, tanto più il sistema intero ne trarrà giovamento in termini di risparmio di risorse, finanziarie e temporali. A margine, si potrebbe anche osservare come, attraverso la via giustiziale, l’ordinamento inglese giunga a valorizzare maggiormente il provvedimento e, con esso, il procedimento, concetti che negli ordinamenti di civil law costituiscono il fulcro del diritto amministrativo e che 54 Il tema è naturalmente controverso e foriero di numerose difficoltà soprattutto nei settori, quale, ad esempio, la tutela ambientale, dove l’accesso alla giustizia a costi non eccessivi è garantito dalla Convenzione di Århus. Su questa tematica sia nuovamente consentito il rinvio a G. LIGUGNANA, Tutela ambientale, Convenzione di Århus e costi della giustizia. Appunti dall’esperienza inglese, in Dir. Pubb. Comp. Europeo, 2014, p. 287 ss. 175 GIOVANNA LIGUGNANA invece la teoria pubblicistica tradizionale d’oltremanica ha finora lasciato in ombra. L’approccio efficientistico alla giustizia, di cui il concetto di PDR è una chiara manifestazione, cela, tuttavia, alcune difficoltà, la prima delle quali sta nel fatto che una rilevante questione di principio potrebbe sorgere anche da una “piccola” controversia. La fuoriuscita dal sistema delle Corti di buona parte delle controversie porta con sé il rischio di una risoluzione frammentaria, con la probabile perdita di parte del potenziale “uniformante” svolto dal giudice soprattutto attraverso la tecnica del precedente55. La seconda difficoltà sta nella capacità del privato di decidere quale sia il risolutore idoneo: in un sistema dove i costi di accesso alle Corti sono molto elevati e le risorse del Legal Aid sempre più limitate è possibile che il privato, di fronte a diverse opzioni, decida semplicemente di desistere o di cercare di risolvere il problema “da sé”, al di fuori di ogni accesso alla giustizia, con risultati spesso insoddisfacenti e con il rischio che i costi sociali aumentino invece che diminuire56. La risoluzione proporzionata delle controversie diviene, allora (e non può che essere così), un’aspirazione del sistema, un obiettivo tendenziale, il risultato di una mediazione di variabili giuridiche e politiche (i principi cardine dell’ordinamento e le considerazioni di efficienza) che muta a seconda delle circostanze e della necessità delle une di prevalere o meno sulle altre. Se la PDR sia in grado di divenire un filo conduttore della giustizia amministrativa e, magari, di affermarsi essa stessa quale principio generale dell’ordinamento britannico, è ancora prematuro da dirsi. Resta, però, l’idea, che forse dovrebbe essere maggiormente considerata anche nel nostro sistema, che la giustizia possa 55 Cfr., su questi aspetti, pur se inserite in un contesto parzialmente diverso, le interessanti considerazioni di L. MULCAHY, The Collective Interest in Private Dispute Resolution, in Oxford Journal of Legal Studies, 2013, p. 59 ss., nonché le osservazioni critiche di D. FELDMAN, Error of law and flawed administrative acts, in Cambridge Law Journal, 2014, p. 275. 56 Sugli effetti della riduzione del Legal Aid, cfr., G. COOKSON, Analysing the economic justification for the reforms to social welfare and family law legal aid, in Journal of Social Welfare & Family Law, 2013, p. 21 ss. 176 ONE SIZE DOESN’T FIT ALL. LA RICERCA DELLA PROPORZIONALITÀ essere in qualche modo “graduata” e che tra gli estremi del giudice e della negoziazione privata possano esservi altre possibilità. La giustizia può anche essere vista come un servizio (oltre che come un diritto): l’efficienza nella sua gestione è fondamentale per la realizzazione del sottostante diritto. In tale prospettiva, la PDR è in grado di espandere appieno le sue potenzialità, fungendo anche da equilibratore delle disparità sociali. 177 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA E RIMEDI ALTERNATIVI: L’ESPERIENZA FRANCESE Anna Simonati SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. La conciliation. - 3. La transaction. - 4. L’arbitrage. - 5. La médiation. - 6. La Direttiva europea n. 52 del 2008 e le sue possibili conseguenze nel diritto amministrativo francese. - 7. Considerazioni di sintesi. - 7.1. Le A.D.R. nel diritto amministrativo francese: i tratti salienti di un identikit almeno in parte comune. - 7.2. Esperienze “pilota” e prospettive evolutive. 1. Premessa Nell’ordinamento francese, la necessità di gestire la giustizia amministrativa con strumenti alternativi al ricorso al giudice è ormai colta pienamente1 e si fonda non solo su esigenze di ordine economico, ma anche sull’intento di salvaguardare le garanzie connesse alla difesa dei diritti2. È evidente, infatti, che la tempistica eccessivamente dilatata dei processi si traduce comunque in incertezza dei rapporti giuridici e, in particolare per i privati che abbiano impugnato una decisione ammini1 V. già, per esempio, F. DUCAROUGE, Le juge administratif et les modes alternatifs de règlement des conflits: transaction, médiation, conciliation et arbitrage en droit public français, in Revue française de droit public, 1996, 86 ss., e G. KEROMNES, Les modes alternatifs de règlement amiable des litiges en matière administrative, in Gazette du Palais, 25 febbraio 1997, 346 ss. Più recentemente, v., per esempio, D. CHABANOL, Régler autrement les conflits, in La Gazette des communes, des départements, des régions, 10 novembre 2008, n. 1956, 60 ss. 2 A questo proposito, v. CONSEIL D’ETAT, Régler autrement les conflits: conciliation, transaction, arbitrage en matière administrative, Paris, La Documentation française, 1993. Per un’analisi (se pur risalente) del ruolo delle A.D.R. nel diritto amministrativo francese, sia consentito rinviare ad A. SIMONATI, Nuovi poteri del giudice amministrativo e rimedi alternativi al processo. L’esperienza francese, Trento, 2004, e v. gli ampi riferimenti dottrinali e giurisprudenziali ivi indicati. ANNA SIMONATI strativa, in scarsa efficienza della tutela. Ove anche sopraggiunga infine un epilogo della controversia vittorioso per il ricorrente, la soddisfazione tardiva degli interessi individuali è spesso suscettibile di neutralizzare, in parte o in toto, la portata concreta dell’esito processuale. Se l’intento deflattivo del contenzioso da un lato costituisce un importante incentivo all’espansione dei rimedi alternativi alla giustizia amministrativa, parallelamente – e in senso diametralmente opposto – non mancano evidentemente ragioni di perplessità all’estensione dell’ambito di efficacia di questi strumenti (originari del diritto civile) al campo del diritto pubblico. In primo luogo, infatti, l’attribuzione di ampio spazio alla negoziazione con i privati coinvolti nella lite potrebbe condurre a un sacrificio troppo spiccato dell’interesse della collettività. Inoltre, ancora una volta sul piano pubblicistico, è comunque necessario compensare l’eventuale previsione di strumenti alternativi all’intervento diretto del giudice amministrativo con la permanenza in suo capo di spazi di intervento almeno minimali e di stampo latamente garantistico, onde evitare la violazione della riserva di competenza radicata a livello costituzionale3. Infine, non vanno sottaciuti i rischi connessi alla dispa3 Invero, la “riserva di competenza” in capo al giudice amministrativo non è espressa direttamente nel testo costituzionale, ma è ricondotta nella giurisprudenza costante del Conseil constitutionnel ai «principes fondamentaux reconnus par les lois de la République» (sulla base del Preambolo). Pertanto, si ritiene oggi che rientri necessariamente nell’ambito della giurisdizione amministrativa «l’annulation ou la réformation des décisions prises, dans l’exercice des prérogatives de puissance publique, par les autorités administratives». V. così Cons. const., 23 gennaio 1987, n. 86-224 DC, in http://www.legifrance.gouv.fr/affichJuriConst.do?oldAction=rechJuriConst&idTexte= CONSTEXT000017667494&fastReqId=1657925669&fastPos=1, poi confermata, per esempio, da: Cons. const., 28 luglio 1989, n. 89-261 DC, in http://www.legifrance. gouv.fr/affichJuriConst.do?oldAction=rechJuriConst&idTexte=CONSTEXT00001766 7603&fastReqId=1687903356&fastPos=6; Cons. const., 23 luglio 1996, n. 96-378 DC, in http://www.legifrance.gouv.fr/affichJuriConst.do?oldAction=rechJuriConst&idTexte =CONSTEXT000017666560&fastReqId=1687903356&fastPos=5; Cons. const., 29 luglio 1998, n. 98-403 DC, in http://www.legifrance.gouv.fr/affichJuriConst.do?old Action=rechJuriConst&idTexte=CONSTEXT000017667927&fastReqId=1687903356 &fastPos=4; Cons. const., 27 novembre 2001, n. 2001-451 DC, in http://www.legifran ce.gouv.fr/affichJuriConst.do?oldAction=rechJuriConst&idTexte=CONSTEXT000017 664528&fastReqId=1687903356&fastPos=3; Cons. const., 26 novembre 2010, n. 201071 QPC, in http://www.legifrance.gouv.fr/affichJuriConst.do?oldAction=rechJuriConst 180 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA E RIMEDI ALTERNATIVI: L’ESPERIENZA FRANCESE rità fra le parti della controversia, che può influenzare negativamente l’effettivo esercizio della (supposta) autonomia negoziale dei soggetti coinvolti nella singola vicenda. A fronte delle difficoltà “sistematiche” di convivenza fra i rimedi alternativi al processo e il contesto amministrativistico, da più parti in Francia ci si è attivati per potenziare uno strumento tradizionale come il recours administratif préalable obbligatorio. Quest’ultimo, come evidenziato dall’assemblea generale del Conseil d’Etat nel suo studio in materia del 29 maggio 20084, può svolgere un’importante funzione deflattiva del contenzioso nella prospettiva del riavvicinamento delle posizioni delle parti, quanto meno nelle ipotesi in cui la p.a. investita del ricorso possa ricercare una soluzione di compromesso che tenga conto non solo della legalità ma anche di elementi di opportunità5. Peraltro, nel contesto ora tratteggiato, in cui il fattore forse più evidente è quello dell’incertezza dei confini di praticabilità delle A.D.R. amministrative, si riscontra anche una certa confusione a livello concettuale e definitorio, tant’è vero che si ravvisa qualche difficoltà in dottrina nella distinzione netta fra i vari meccanismi. Gli strumenti che meritano di essere in questa sede sinteticamente esaminati sono la conciliation, la transaction, l’arbitrage e la médiation. &idTexte=CONSTEXT000023218622&fastReqId=1687903356&fastPos=2; Cons. const., 9 giugno 2011, n. 2011-631 DC, in http://www.legifrance.gouv.fr/affichJuriConst.do?old Action=rechJuriConst&idTexte=CONSTEXT000024275705&fastReqId=1217539564 &fastPos=1 (tutti i link sono stati consultati il 7 gennaio 2015). In dottrina v. sul punto, per esempio, M. FROMONT, La place de la justice administrative française en Europe, in Droit administratif, 2008, 8 ss., e C. FERRARI-BREEUR, La giurisdizione amministrativa in Francia. Evoluzione e tendenze attuali, in Dir. e proc. amm., 2009, 413 ss. 4 Precisamente, v. CONSEIL D’ETAT, Les recours administratifs préalable obligatoires à la saisine du juge: un mode souple de règlement des conflits, Paris, La Documentation française, 2008, in particolare 36 s. 5 Sul punto v. in dottrina, per esempio, A. MASUCCI, La “mediazione” in Francia, in Germania e nel Regno Unito. Un valido rimedio alternativo alla sentenza nelle liti con la pubblica amministrazione, in M.P. CHITI, F. MASTRAGOSTINO (a cura di), Forme alternative di risoluzione delle controversie con la pubblica amministrazione ed effettività della tutela, Bologna, 2009, 23 ss. 181 ANNA SIMONATI 2. La conciliation Nel diritto amministrativo francese, la conciliation appare come uno strumento dai contorni ancora poco chiari. In linea di principio, essa determina lo spostamento presso circuiti diversi dal processo amministrativo del compito di dirimere controversie coinvolgenti privati e pubbliche autorità. Il conciliatore assume un ruolo propositivo, ma resta privo del potere di imporre alle parti la soluzione individuata. Il legislatore ha via via introdotto nel diritto pubblico diversi istituti latamente conciliativi. Peraltro, la varietà delle previsioni settoriali impedisce di indicare un criterio unitario mediante il quale è individuato il terzo incaricato di contribuire alla risoluzione della controversia. A ben vedere, comunque, nella normativa frequentemente si parla di conciliation in modo almeno parzialmente improprio, per configurare la previsione di tentativi di risoluzione della lite, alternativi e spesso precedenti all’esperimento del recours pour excès de pouvoir in sede giurisdizionale6, privi di tratti fondamentali realmente comuni. In dottrina, si rileva che non è agevole distinguere questo meccanismo dai ricorsi amministrativi in senso stretto. Secondo qualche autore7, la conciliation si distinguerebbe per la sua facoltatività dall’obbligo, operante in vari settori, di esperire un recours préalable quale conditio sine qua non in vista dell’instaurazione della causa in sede processuale. Altri8, al contrario, affermano che la conciliation può esse6 Per esempio, v. il decreto 10 luglio 1952, n. 807 (che disciplinava il funzionamento delle Commissions d’arrondissement des dommages de guerre), gli artt. 6, comma 5, e 11 del decreto 20 febbraio 1959, n. 327 (sulla giurisdizione in materia di pensioni militari di invalidità) e l’art. 11 del decreto 9 marzo 1971, n. 188 (sui compiti delle Commissions du contentieux de l’indemnisation des rapatriés). Come emerge chiaramente da questi esempi, in molti casi i compiti conciliativi sono assegnati a organismi collegiali creati ad hoc. 7 V. così R. CHAPUS, Droit de contentieux administrative, Paris, 2008, 652 ss. 8 Da tempo si esprime in questi termini O. Gohin: v. già, per esempio, O. GOHIN, Droit de contentieux administratif, Paris, 1999, 17 ss. In proposito v. anche, per esempio: M. HEERS, La conciliation par le juge administratif et son déboires, in Les petites affiches, 12 luglio 1995, 13 ss.; F. GUIHAL, La conciliation et la médiation administratives, in Gazette du Palais, 1996, 2, 954 ss.; J.M. LES GARS, Conciliation et médiation en matière administrative, in Actualité juridique, 2000, 507 ss. 182 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA E RIMEDI ALTERNATIVI: L’ESPERIENZA FRANCESE re obbligatoria o facoltativa. Nel primo caso, evidentemente essa risulterebbe sostanzialmente priva di tratti specifici, tranne qualora il legislatore attribuisse al conciliatore poteri di intervento particolarmente incisivi. Del resto, la flessibilità delle forme e la maggiore ampiezza dello spazio valutativo di cui può avvalersi il conciliatore nell’espletamento del suo compito rispetto a quello normalmente attribuito al giudice amministrativo (che comporta, per così dire, un più agevole accesso al fatto del primo, soprattutto in ragione dell’applicabilità di regole anche di natura equitativa per risolvere la lite) rappresentano elementi fondamentali dell’istituto. Per questo è emersa in giurisprudenza la precisazione per cui il contenuto della conciliazione in nessun caso può contrastare con i principi di ordine pubblico9. Se è vero che la conciliation trova copertura normativa in settori determinati, manca ad oggi una esauriente disciplina positiva di portata generale. Indubbiamente, un contributo assai rilevante, almeno potenzialmente, per la diffusione dell’utilizzo dell’istituto è fornito dall’art L. 211-410 del Code de justice administrative11. Questa disposizione consentiva originariamente l’utilizzo della conciliation da parte dei Tribunaux administratifs, ma, in seguito alla riforma del 201112, la stessa facoltà è ammessa dinanzi alle Cours administratives d’appel. Precisamente, il giudice amministrativo può, previo accordo delle parti, nominare uno o più terzi con compiti di conciliation. 9 V. C.E., 7 ottobre 1981, ANIFOM c. Sahuc (in Rec., 1981, 355) e C.E., Sect., 19 marzo 1971, Mergui (in Rec., 1971, 235, con nota di M. ROUGEVINBAVILLE, in Actualité juridique, 1971, 274, con nota di D. LABETOULLE e P. CABANES, nonché in Revue de droit public, 1972, 234, con nota di M. WALINE). 10 In base a questa disposizione, i giudici amministrativi di primo grado e d’appello possono, previo accordo fra le parti, «exercer une mission de conciliation». 11 In realtà, la modifica fu introdotta nell’ordinamento francese con l’art. 22 della legge del 6 gennaio 1986, la quale ha aggiunto il comma 2 all’art. L. 3 del Code des Tribunaux administratifs et des Cours administratives d’appel. Successivamente la disposizione è stata trasfusa nell’art. L. 211-4 del Code de justice administrative, ove è attualmente reperibile. 12 La modifica è stata introdotta dall’art. 49 della legge 13 dicembre 2011, n. 1862. 183 ANNA SIMONATI Nonostante la norma ora indicata rappresenti un’apertura certamente significativa, la sua introduzione non costituisce un passo decisivo ai fini della compiuta definizione dei contorni giuridici dell’istituto in ambito amministrativo. Pertanto, la sua portata innovativa non deve essere sopravvalutata. In primo luogo, infatti, essa nulla chiarisce circa i criteri per la nomina del conciliatore e le modalità dell’esecuzione dell’accordo conciliativo, in tal modo rendendo questa via scarsamente appetibile quale alternativa all’emanazione di una sentenza vera e propria. Inoltre, l’art. L. 211-4 del Code de justice administrative, il quale trova la sua matrice normativa nell’art. 21 del Code de procédure civile, rispetto alla corrispondente disposizione processual-civilistica – che assegna al giudice il dovere di sperimentare la possibilità di giungere a un esito conciliativo della lite prima di trattarla nel merito – appare assai meno incisivo. Per il giudice amministrativo, infatti, l’attivazione della conciliation corrisponde a una mera facoltà13. Questa peculiarità chiaramente deriva dalla matrice pubblicistica del processo amministrativo, in cui solo al giudice spetta il delicato compito di valutare il complesso equilibrio degli interessi sottesi alla singola fattispecie, vigilando affinché quelli delle parti private non siano eccessivamente sacrificati e nel contempo quelli pubblici non siano indebitamente lesi dall’esito della negoziazione fra le parti. Benché questa sia palesemente la ratio della norma, le sue implicazioni concrete sono tutt’altro che indiscusse. All’opinione14 per cui il giudice amministrativo può attivare interventi di natura conciliativa esclusivamente relativamente alle questioni di cui sia stato espressamente investito e che risultino direttamente connesse con la decisione del ricorso, si contrappone un orientamento giurisprudenziale meno 13 In proposito, è interessante C.E., 1 agosto 2012, Société nationale des chemins de fer français (in http://www.legifrance.gouv.fr/affichJuriAdmin.do?oldAction=rechJuri Admin&idTexte=CETATEXT000026247627&fastReqId=2138940949&fastPos=3, consultato il 28 dicembre 2014), in cui si precisa che la decisione con cui il giudice amministrativo rifiuta di esercitare il potere di conciliation è un atto di natura amministrativa e non giurisdizionale; pertanto, essa non può validamente costituire l’oggetto di un ricorso al Conseil d’Etat. 14 In questi termini v. a suo tempo già O. GOHIN, Contentieux administratif, cit., 17. 184 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA E RIMEDI ALTERNATIVI: L’ESPERIENZA FRANCESE restrittivo, in base al quale la conciliation di iniziativa giudiziale è praticabile solo sulle questioni rientranti nella competenza giurisdizionale, ma non è strettamente indispensabile che un processo sia già stato instaurato15. Quanto all’esito della procedura, laddove alla conciliation si sia pervenuti dinanzi al giudice, costui dichiarerà l’estinzione del processo. Resta fermo, tuttavia, che il giudice presso il quale pende la causa non è vincolato dall’intesa raggiunta dalle parti ed è legittimato a rifiutarsi di dare seguito all’accordo, scegliendo di portare il processo a naturale compimento. Più precisamente, il Conseil d’Etat gli riconosce un amplissimo spatium deliberandi ed esclude l’impugnabilità delle decisioni con cui egli accetti o rifiuti di procedere alla conciliation16. 3. La transaction L’applicazione della transaction in campo pubblicistico è il frutto dell’elaborazione della giurisprudenza17, che, soprattutto a partire dagli anni ottanta del Ventesimo secolo, si è impegnata nel tentativo di estendere oltre i confini privatistici l’ambito di operatività dell’art. 2044 del Code civil. In base a questa disposizione, la transaction ricorre laddove si ravvisi «une convention par laquelle les parties, au moyen de concessions réciproques, terminent une contestation née ou préviennent une contestation à naître». Essa trova applicazione, dunque, nelle fattispecie in cui le parti di una controversia raggiungano spontaneamente un accordo, idoneo a porre fine18 a una lite attuale o potenziale19. Per la 15 In termini, v. T.A. Marseille, 7 dicembre 1989, M.me Hirtzel (in Rec., 1989, 865) e C.E., 22 marzo 1995, Dadillon (in Rec., 1995, 138). 16 Questo orientamento è assai sedimentato nella giurisprudenza amministrativa francese. V. già, per esempio, C.E., Ass., 23 giugno 1989, Vériter (in Actualité juridique, 1989, 424, con nota di E. HONORAT e di E. BABTISTE, nonché in Le quotidien juridique, 13 febbraio 1990, 4, con nota di M.-C. ROUALT). 17 V. già, per esempio, C.E., 23 dicembre 1887, de Dreux-Brézé, évêque de Moulins, in Rec., 842, e C.E., 17 marzo 1893, Compagnie du Nord, de l’Est et autres, in Rec., 245. 18 V. per esempio C.E., 8 febbraio 1956, dame Germain, in Rec., 69, nonché C.E., 31 marzo 1971, sieur Baysse, in Rec., 1971, 1116. 185 ANNA SIMONATI conclusione dell’accordo transattivo non è richiesto il rispetto di modalità operative particolari; analogamente, è irrilevante la denominazione utilizzata per designare l’atto d’intesa20. L’ampia portata della definizione normativa rende questo istituto uno strumento quanto mai fungibile. Anzi, la stipulazione dell’accordo transattivo può costituire il meccanismo con cui le parti della controversia raggiungono in concreto un esito di natura conciliativa, con efficacia tecnicamente estintiva della lite. Il tratto distintivo principale fra le due figure risiede essenzialmente nel ruolo attribuito al conciliatore. Come si è accennato21, infatti, la conciliation per sua natura richiede l’intervento di un terzo che funga da tramite fra le parti. Al contrario, la transaction può essere conclusa a prescindere da tale intervento, a se- 19 Ovviamente, l’indicazione precisa della controversia rispetto alla quale la transaction assume efficacia estintiva ne è un contenuto essenziale e in sua assenza la convenzione è inficiata da nullità. V. così, per esempio, C.E., 11 settembre 2006, Commune de Theoule-Sur-Mer, in http://www.legifrance.gouv.fr/affichJuriAdmin.do?oldAction =rechJuriAdmin&idTexte=CETATEXT000008218596&fastReqId=351160285&fast Pos=14 (consultato il 28 dicembre 2014). Ciò evidentemente significa che l’effetto estintivo si produce comunque esclusivamente sulla lite che espressamente e specificamente costituisce l’oggetto dell’accordo transattivo: v. così, per esempio, C.E., 30 gennaio 2008, Ville de Paris, in http://www.legifrance.gouv.fr/affichJuriAdmin.do?old Action=rechJuriAdmin&idTexte=CETATEXT000018259672&fastReqId=351160285 &fastPos=12 (consultato il 28 dicembre 2014). Va detto, infine, che non incide sull’ammissibilità della transaction il livello di maturazione raggiunto in sede giurisdizionale dalla controversia, purché questa possa considerarsi ancora pendente; per esempio, è stato ritenuto legittimo l’accordo transattivo intervenuto dopo la decisione della Cour administrative d’appel, quando la lite pendeva in cassazione (v. così C.E., Ass., 11 luglio 2008, Société Krupp Hazemag, in Rec., 2008, 273). 20 V. R. CHAPUS, Droit du contentieux administratif, cit., 858, il quale sottolinea che la terminologia utilizzata in concreto è la più varia, comprendendo definizioni quali contrat, protocole d’accord, procès-verbal, ecc. V. anche J.-M. AUBY, La transaction en matière administrative, in Actualité juridique, 1956, 1, 1 ss.; più recentemente, v. A. LYON-CAEN, Sur la transaction en matière administrative, in Actualité juridique, 1997, 48 ss.; G. CHAVRIER, Réflexions sur la transaction administrative, in Revue française de droit administratif, 2000, 548 ss.; T. DAL FARRA, La transaction, mode d’emploi, in La Gazette des communes, des départements, des régions, 25 giugno 2007, n. 1892, 50 ss.; N. VINCI, Guide de la transaction en droit administratif, Voiron, 2007. 21 V. supra, par. 2. 186 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA E RIMEDI ALTERNATIVI: L’ESPERIENZA FRANCESE guito dell’accordo liberamente e autonomamente stipulato dai soggetti direttamente coinvolti nel conflitto. Peraltro, la libertà negoziale sopporta alcune restrizioni, che ovviamente derivano dalla necessità di armonizzare la natura intrinsecamente negoziale della transaction con l’esigenza di salvaguardare la tutela dell’interesse pubblico22. Pertanto, la giurisprudenza amministrativa – che è investita delle richieste di omologazione dell’accordo transattivo, finalizzate ad attribuirgli l’efficacia di cosa giudicata23 – richiede che la transaction concerna solo diritti disponibili24. Più in generale, il giudice 22 In giurisprudenza, si è precisato che non possono essere rimesse in discussione mediante transazione le decisioni rese in sede di recours pour excès de pouvoir (per esempio, v. C.E., Sect., 13 luglio 1967, Ministre de l’éducation nationale c. École privée de filles de Pradelles, in Rec., 1967, 339). D’altra parte, da tempo il Conseil d’Etat ammette che siano risolte in via transattiva le controversie sulla ripartizione delle spese di una lite (per esempio, v. già C.E., 25 febbraio 1921, Larminier, in Rec., 1921, 239). Inoltre, si è ritenuto legittimo l’accordo con cui le parti hanno convenuto di rinunciare alla via giudiziaria ordinaria per deferire la loro controversia dinanzi al giudice amministrativo (v., per esempio, C.E., 26 giugno 1974, Société La Maison des isolants-France, in Rec., 1974, 365). 23 È sufficiente che la richiesta sia presentata da una delle parti, ove l’altra si limiti a non opporre contestazioni. V. così, per esempio, C.E., 18 novembre 2011, Ligue d’escrime du Languedoc-Roussillon, in http://www.legifrance.gouv.fr/affichJuriAdmin. do?oldAction=rechJuriAdmin&idTexte=CETATEXT000024815363&fastReqId=3511 60285&fastPos=8 (consultato il 28 dicembre 2014). 24 Nella giurisprudenza amministrativa (in cui l’orientamento ora indicato nel testo è sedimentato), v., per esempio: C.E., 8 febbraio 1956, D.me Germain (in Rec., 1956, 69); C.E., 31 maggio 1971, Baysse (in Rec., 1971, 1116); C.E., Sect., 28 settembre 1983, Société Etablissement Prévost (in Les petites affiches, 2 aprile 1984, 8, con nota di P. TERNEYRE); C.E., 11 dicembre 1987, Bouchaleb et Khelfa (in Rec., 1987, 416); C.E., 28 novembre 1990, Office HLM de la Meuse (in Recueil Dalloz, 1991, 188, con nota di P. TERNEYRE). V. anche C.E., Ass. plén., 4 luglio 1997, Gaudinat et Soc. Hydexco (in Rec., 1998, 101, con nota di D. BOULMIER). Per quanto concerne la tipologia degli interessi su cui non è ritenuta ammissibile la transaction, nella circolare del Primo Ministro del 6 aprile 2011 (Circulaire du 6 avril 2011 relative au développement du recours à la transaction pour régler amiablement les conflits) si richiama l’esempio delle materie relative allo stato giuridico delle persone. Da tempo la giurisprudenza amministrativa ammette che mediante transaction si rinunci ad ottenere il riconoscimento di situazioni giuridiche soggettive anche fortemente radicate nell’ordinamento, quale un diritto perfetto (per esempio, v. già C.E., Sect., 9 maggio 1952, Houillères du 187 ANNA SIMONATI è tenuto a verificare che l’accordo concluso dalle parti non risulti inficiato da alcun moyen d’ordre public25. Precisamente, è inammissibile che, mediante la via transattiva, si rinunci a chiedere l’annullamento di una decisione amministrativa illegittima. Qualora taluno si sia vincolato in questi termini, la rinuncia formalizzata può sempre essere ritirata e non può essergli opposta laddove egli esperisca ugualmente il recours pour excès de pouvoir26. Evidentemente, la ratio è riposta nell’intento di proteggere la parte privata dalle pressioni provenienti dall’amministrazione – che potrebbero costituire la conseguenza della disparità nel rapporto di forza tra il primo e la seconda – nel senso di un epilogo negoziale della lite. Sul fronte diametralmente opposto, la tutela dell’interesse della collettività impone ai giudici amministrativi di vigilare affinché non siano conclusi accordi transattivi eccessivamente costosi o impegnativi per l’autorità. Di conseguenza, la posizione dell’amministrazione non può assumere le sembianze di un mero atto di liberalità nei confronti della controparte27. bassin de Lorraine, in Rec., 1952, 238), ma solo entro i limiti in cui si tratti di una questione di rilievo meramente individuale. 25 V. così C.E., 7 ottobre 1981, ANIFOM c. Sahuc cit. Analogamente, v. C.E., 11 luglio 1980, Compagnie d’assurance La Concorde et autres (in Revue de droit public, 1981, 1083, con nota di J.-M. AUBY); più recentemente, per esempio, v. C.E., Ass., 11 luglio 2008, Société Krupp Hazemag, cit., e C.E., 10 febbraio 2014, S.A. Gecina, in http://www.legifrance.gouv.fr/affichJuriAdmin.do?oldAction=rechJuriAdmin&idTexte =CETATEXT000028583852&fastReqId=351160285&fastPos=4 (consultato il 28 dicembre 2014). In dottrina, v. sul punto X. LAGARDE, Transaction et ordre public, in Recueil Dalloz, 2000, 217 ss. 26 In questi termini, con particolare chiarezza, v. già, per esempio, C.E., sect., 13 luglio 1967, Ministre de l’éducation nationale c. école privée de filles de Pradelles, in Rec., 1967, 339; v. anche, più recentemente, C.A.A. Paris, 30 dicembre 1996, Boyer c/ Commune de Boulogne-Bilancourt, in http://www.legifrance.gouv.fr/affichJuriAdmin. do?oldAction=rechJuriAdmin&idTexte=CETATEXT000007433854&fastReqId=1209 042972&fastPos=1 (consultato il 9 gennaio 2015). In dottrina v., per esempio, C. BLUMANN, La renonciation en droit administratif français, Paris, 1979, 144 ss; v. anche D. BAILLEUL, L’efficacité comparée des recours puoir excès de pouvoir et de plein contentieux objectif en droit public français, Paris, 2002, 52 ss. 27 Per esempio v. in questi termini, con particolare chiarezza, C.E., Ass., 6 dicembre 2002, Syndicat intercommunal des établissements du second cycle du second degré du district de l’Haÿ-les-Roses, in Rec., 2002, 433. V. anche C.E., 26 luglio 2011, M. Julien 188 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA E RIMEDI ALTERNATIVI: L’ESPERIENZA FRANCESE Fermo restando il compito del giudice amministrativo di verificare la compatibilità dell’accordo con i principi e le regole procedurali inderogabili28, la domanda di omologazione di una transaction presentata a un giudice amministrativo presso il quale non pendeva alcuna controversia relativa al caso di specie è normalmente ritenuta ricevibile29. 4. L’arbitrage L’arbitrage comporta la possibilità che i soggetti contrapposti in una lite decidano di investire della soluzione di questa non gli ordinari organi giurisdizionali, bensì uno o più arbitri, scelti dalle parti stesse. Costoro operano in base alle modalità stabilite dagli interessati e godono della possibilità di applicare le disposizioni vigenti (soprattutto quelle di natura procedurale) con una flessibilità maggiore rispetto a quella di cui dispongono gli organi giurisdizionali. La giurisprudenza30 sottolinea che la procedura deve necessariamente trovare il suo epilogo in una decisione vera e propria, non in una mera proposta o in un parere. B., in http://www.legifrance.gouv.fr/affichJuriAdmin.do?oldAction=rechJuriAdmin&id Texte=CETATEXT000024448403&fastReqId=351160285&fastPos=9 (consultato il 28 dicembre 2014). 28 Sul potere del giudice amministrativo di verificare la congruità delle concessioni reciproche, v. già, per esempio: C.E., sec., 19 marzo 1971, sieurs Mergui, in Rec., 235, e C.E., 30 ottobre 1974, Commune de Saint-Pierre-les-Bois c. sieur Gohin, in Rec., 525. Più recentemente v., per esempio, C.E., 29 dicembre 2000, M. Comparat, in Rec., 658, e C.E., Ass., 11 luglio 2008, Société Krupp Hazemag cit., nonché C. cass. soc., 19 febbraio 1997, M.me X, in http://www.legifrance.gouv.fr/affichJuriJudi.do?idTexte=JURI TEXT000007035976&dateTexte= e C. cass. soc., 3 novembre 1998, M. George X, in http://www.legifrance.gouv.fr/affichJuriJudi.do?oldAction=rechJuriJudi&idTexte=JUR ITEXT000007393350&fastReqId=1446418612&fastPos=1 (entrambi consultati il 7 gennaio 2015). 29 Per esempio v. così C.E., Ass., 6 dicembre 2002, Syndicat intercommunal des établissements du second cycle du second degré du district de l’Haÿ-les-Roses, cit. Analogamente, v. C.E., Ass., 11 luglio 2008, Société Krupp Hazemag, cit. 30 V. sul punto già C.E., 6 dicembre 1935, Ville de Bergerac (in Recueil Sirey, 1936, 3, 65, con nota di R. ALIBERT); più recentemente, con particolare chiarezza v., per esempio, C.E., 20 dicembre 1985, Sefrioui (in Droit social, 1986, 471, con nota di B. LASSERRE). 189 ANNA SIMONATI Ciò evidentemente fa dell’arbitrage un meccanismo particolarmente incisivo e assai più derogatorio della conciliation e della transaction rispetto alla disciplina pubblicistica. Da questo scaturiscono le perplessità circa la sua praticabilità quale alternativa al processo amministrativo. Anzi, in dottrina31 è condivisa la tesi per cui l’arbitrage sarebbe radicalmente incompatibile con la materia amministrativa, poiché è assai meno flessibile delle altre A.D.R.: in primo luogo, gli arbitri non si limitano a suggerire una soluzione alle parti che restano libere di aderirvi o meno, ma hanno il potere di imporre la soluzione che hanno individuato; inoltre, all’espansione del potere degli arbitri corrisponde la contrazione di quello del giudice amministrativo, che può esercitare un controllo assai limitato sulla decisione arbitrale. Le norme relative al funzionamento in concreto del meccanismo esaminato sono contenute nel Libro IV del Code de procédure civile32. La loro applicazione analogica in ambito amministrativo è legittima soltanto laddove la possibilità di ricorrere all’arbitrage sia espressamente prevista dal legislatore33. In tali ipotesi, la deroga è ammissibile 31 V., per esempio, C. JARROSSON, La notion d’arbitrage, Paris, 1987, 254 ss.; ID., L’arbitrage en droit public, in Actualité juridique, 1997, 16 ss.; ID., Les concessions réciproques dans la transaction, in Recueil Dalloz, 1997, chron., 267 ss.; J.M. AUBY, L’arbitrage en matière administrative, in Actualité juridique, 1955, 1, 81 ss. V. anche: B. PACTEAU, Une nouvelle hypothèse d’arbitrages pour les litiges administratives, in Les petites affiches, 8 ottobre 1986, 12 ss.; D. FOUSSARD, L’arbitrage en droit administratif, in Revue de l’arbitrage, 1990, 3 ss.; Y. GAUDEMET, L’arbitrage: aspects de droit public. Etat de la question, in Revue de l’arbitrage, 1992, 241 ss. A. PATRIKIOS, L’arbitrage en matière administrative, Paris, 1997, 3 ss. Recentemente, v. J.M. SAUVE, Intervention, in Les développements de la médiation, Colloque organisé par le Conseil d’Etat à la Chambre de commerce et d’industrie de Paris, 4 maggio 2011, in http://www.conseil-etat.fr/content/download/2479/7465/version/1/file/intervention_col loque_mediation_04052011.pdf (consultato il 7 gennaio 2015), in particolare 7. 32 Si tratta, precisamente, degli artt. 1442 e ss. del Code de procédure civile, introdotti con decreto del 12 maggio 1981. Per quanto concerne i caratteri e il contenuto dell’arbitrage, sono particolarmente rilevanti gli artt. 1442-1449. 33 Per esempio, gli artt. 1442 e ss. del Code de procédure civile sono espressamente richiamati dagli artt. 247 e 361 del Code des marchés publics. Un altro riferimento normativo espresso alla possibilità di utilizzare l’arbitrage nel diritto pubblico è contenuto nella l. 9 luglio 1975, n. 596, che si occupa dei contratti di partenariato e della 190 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA E RIMEDI ALTERNATIVI: L’ESPERIENZA FRANCESE perché il principio che vieta alla p.a. di avvalersi dell’arbitrage non è di rango costituzionale34. In assenza di previsione espressa, però, il suo utilizzo generalizzato si scontrerebbe comunque con la regola in base alla quale, in campo pubblicistico, l’attività giudiziaria può essere svolta esclusivamente da soggetti che fanno parte dell’organizzazione istituzionale dello Stato. Secondo il Conseil d’Etat, tale restrizione corrisponde a un principio generale dell’ordinamento francese35. La limitazione è trasposta a livello normativo nella disposizione dell’art. 2060 del Code civil36, in base al quale «on ne peut compromettre […] sur les contestations intéressant les collectivités publiques et les établissements publics». A fronte di un divieto espresso in termini tanto drastici, in caso di indebita conclusione di un compromesso ovvero di indebita apposizione di clausole compromissorie all’interno di un accordo regolarmente stipulato, la sanzione prevista è la medesima e consiste nella nullità dell’intero patto37 o delle clausole illegittime38, nonché della decisione arbitrale39. liquidazione delle spese per i lavori e le forniture pubblici. Per l’indicazione puntuale degli interventi normativi che hanno consentito il ricorso all’arbitrage in settori specifici, v. il Rapport Labetoulle (su cui cfr. anche subito infra, nel testo) pubblicato online al link http://www.justice.gouv.fr/art_pix/Rapport_final.pdf (consultato il 27 dicembre 2014), 3. 34 In questi termini si è espresso il Conseil constitutionnel: v., per esempio, Cons. const., 2 dicembre 2004, n. 2005-506 DC, in http://www.legifrance.gouv.fr/affichJuri Const.do?oldAction=rechJuriConst&idTexte=CONSTEXT000017664807&fastReqId= 744545173&fastPos=1 (consultato il 28 dicembre 2014). 35 Per esempio, v. in questi termini C.E., Sect. des travaux publics, avis, 6 marzo 1986, Euro-Disneyland, in http://www.conseil-etat.fr/content/download/745/2263/ver sion/1/file/339710.pdf (consultato il 7 gennaio 2015). V. anche C.E., Ass., 13 dicembre 1957, Société nationale de vente des surplus, in Rec., 1957, 677, e, più recentemente, C.E., 29 ottobre 2004, Sueur et autres, in Rec., 2004, 393. 36 Precisamente, v. in questi termini il comma 1 dell’art. 2060 del Code civil, come modificato dall’art. 13 della legge del 5 luglio 1972, n. 626. 37 In questi termini, v. già, per esempio, C.E., 19 maggio 1893, Ville d’Aix-lesBains c. Compagnie de travaux hydrauliques, in Rec., 1893, 442, e C.E., 8 luglio 1959, Houseaux, in Rec., 1959, 438. 38 In giurisprudenza, v., per esempio: C.E., 17 luglio 1946, Ministre de travaux publics (in Rec., 1946, 473); C.E., 8 marzo 1961, Société Air-Couzinet Transocéanic (in Rec., 1961, 162); C.E., Sect., 3 marzo 1989, Société des autoroutes de la région Rhône191 ANNA SIMONATI Tuttavia, in prospettiva de jure condendo, si ravvisano oggi nell’ordinamento francese nuove aperture rispetto alla praticabilità dell’arbitrage anche alle liti in cui sono coinvolti soggetti pubblici. Da qualche anno, è in corso una riflessione attenta sui tempi e sui modi dell’estensione nel campo del diritto amministrativo dell’ambito di applicazione dell’istituto, quanto meno con riferimento alle controversie che non comportano l’impugnazione di provvedimenti. In particolare, è rilevante il rapporto su L’arbitrage e les personnes morales de droit public (il cosiddetto Rapport Labetoulle)40, prodotto nel 2007 da un gruppo di lavoro coordinato dall’allora vicepresidente del Conseil d’Etat. L’idea di elaborare uno studio ad hoc sull’ammissibilità dell’arbitrage nel diritto pubblico era sorta dalla constatazione della previsione – a fronte del divieto generale di utilizzare questo strumento, tradizionalmente rivolto all’amministrazione – di una serie di deroghe normative espresse. In questa prospettiva, il Rapport Labetoulle ha auspicato l’estensione dell’arbitrage quale meccanismo di risoluzione delle liti coinvolgenti i soggetti41 che svolgono attività amministrativistica di natura non strettamente autoritativa42. Alpes (in Rec., 1989, 69, con nota di E. GUILLAUME, in Actualité juridique, 1989, 391, con nota di J. DUFAU, in La semaine juridique, 1989, n. 21323, con nota di P. LEVEL, in Revue de l’arbitrage, 1989, 167, con nota di D. FOUSSARD e ivi, 1992, 279, con nota di Y. GAUDEMET, nonché in Revue française de droit administrative, 1989, 619, con nota di B. PACTEAU). 39 V. C.E., 20 aprile 1948, Office PHLM de Seine-et-Oise, in Rec., 1948, 180 e C.E., 13 febbraio 1959, Compagnie des chemins de fer du Midi, in Rec., 1959, 113. 40 Il rapport Labetoulle è pubblicato online al link http://www.justice.gouv.fr/art_ pix/Rapport_final.pdf (consultato il 27 dicembre 2014). 41 Si tratta, per esempio, dell’ente Poste e degli enti che operano in campo minerario ed energetico: v. Rapport Labetoulle, cit., 4 ss. In dottrina, v. per esempio P. FOUCHARD, Une nouvelle extension de l’arbitrage en droit public: la faculté de compromettre de La Poste et de France Télécom, in Revue de l’arbitrage, 1990, pp. 945 ss. 42 La precisazione per cui l’estensione della possibilità di utilizzare l’arbitrage quale strumento di risoluzione delle controversie coinvolgenti soggetti pubblici non riguarda l’attività strettamente autoritativa è connessa a quella per cui l’ampliamento dei casi di arbitrage non comporterebbe comunque l’espansione conseguente della giurisdizione del giudice amministrativo, poiché la competenza giurisdizionale è pur sempre determinata in via esclusiva dalla natura della lite: v. così, per esempio, T.C., 16 ottobre 2006, Caisse centrale de réassurance c/Mutuelle des architectes français, in http:// 192 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA E RIMEDI ALTERNATIVI: L’ESPERIENZA FRANCESE 5. La médiation L’istituto della médiation è quello che, nell’ultimo decennio, ha subito la metamorfosi più incisiva. Esso si contraddistingue in quanto un terzo assiste le parti della controversia in vista dell’individuazione della soluzione più appropriata43. Fino a qualche tempo fa, la mediazione propriamente detta operava in Francia quale strumento di risoluzione delle controversie alternativo solo al processo ordinario. In ambito pubblicistico, in passato sono state denominate médiation una serie di procedure amministrative che con la mediazione vera e propria non hanno nulla a che fare44: nella maggior parte dei casi, si tratta in verità di fattispecie di conciliation obbligatoria; altre volte, sono procedure svolte internamente (in seno agli enti autori della decisione controversa) e consistono in sostanza anch’esse in misure di carattere sostanzialmente conciliativo. Invece, a lungo la “médiation pubblicistica in senso stretto” ha trovato espressione nella figura del Médiateur de la République45, costituiwww.legifrance.gouv.fr/affichJuriAdmin.do?oldAction=rechJuriAdmin&idTexte=CET ATEXT000007608069&fastReqId=1938424747&fastPos=1 (consultato il 7 gennaio 2015). 43 A mero scopo esemplificativo, v. in dottrina: A. DE LUCA, La mediazione in Europa. Una questione di cultura e non di regole, in Riv. dir. civ., 2013, f. 6, 1451 ss.; C. PASINI, Médiation e conciliation nell’esperienza francese: alcuni spunti per una comparazione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2011, f. 4, 1285 ss.; D.A. BORGHI, La médiation in Francia, in I contratti, 2003, f. 7, pt. 2, 750 ss. 44 Si è calcolato che si tratta di più del 90% del totale delle procedure amministrative raggruppate sotto la comune denominazione formale di médiation. In questi termini si esprime lo studio prodotto nel 2010 dal Conseil d’Etat, in base al quale è possibile indicare una sola fattispecie di médiation in senso stretto operante nel diritto amministrativo non régalien e cioè quella svolta in seno alla Haute Autorité de Lutte contre les Discriminations e pour la Légalité: v. CONSEIL D’ÉTAT, Développer la médiation dans le cadre de l’Union Européenne, Paris, La Documentation française, 2010, 5. V. anche, per esempio, E. GAILLARD, J. EDELSTEIN, Médiation in France, in Dispute Resolution Journal, 2000, 55, 4, 1 ss., e B. BOUMAKANI, La médiation dans la vie administrative, in Revue de droit public, 2003, 3, 863 ss. 45 Accanto al Médiateur de la République, disposizioni di legge settoriali hanno via via istituito altre autorità dotate di funzioni di mediazione in senso ampio. Per esempio. in materia di discriminazione sul lavoro a lungo ha operato (come si è accennato supra, 193 ANNA SIMONATI to con la legge del 3 gennaio 1973, n. 6 e definitivamente eliminato con la loi organique del 29 marzo 2011, n. 334. Sul piano sistematico e organizzativo, la sua caratteristica peculiare era costituita, per così dire, dalla “impermeabilità” rispetto alle possibili influenze esterne. Esso si situava infatti in una posizione intermedia fra le autorità amministrative e gli organismi che trovano la loro legittimazione giuridica direttamente a livello costituzionale, in quanto deputati a proteggere diritti primari dei cittadini. Se il legislatore lo aveva qualificato in termini di autorità indipendente46, il suo inserimento normativo in quest’ambito non convinceva del tutto la dottrina, poiché, nonostante per la nomina dovessero essere seguite regole idonee a garantire l’adesione a rigorosi parametri di competenza tecnica, moralità e imparzialità, la designazione era comunque effettuata dall’esecutivo47. La giurisprudenza, da parte sua, aveva mantenuto un atteggiamento assai cauto e costantemente inseriva il Médiateur fra le autorità amministrative48. Tuttavia, con un orientamento a ben vedere un po’ contraddittorio, il a nt. 43) la Haute Autorité de Lutte contre les Discriminations e pour la Légalité; inoltre, fra i “mediatori istituzionali” più attivi vanno menzionati il Médiateur de l’Education Nationale et de l’Enseignement Supérieur e il Médiateur des Ministères Economique et Financiers. 46 Tale caratteristica emerge espressamente nell’art. 1 della legge n. 6 del 1973, modificato dall’art. 69 della legge del 13 gennaio 1989. Sul punto può essere interessante, in prospettiva sistematica, CONSEIL D’ETAT, Rapport public 2001 - Jurisprudence et avis de 2000. Les autorités administratives indépendantes, La Documentation Française, Paris, 2001. In particolare, vi si riconosce la titolarità di funzioni di mediazione in senso stretto, in ambito pubblicistico, in capo al Médiateur de la République, al Médiateur du cinéma (dotato anche di poteri di injonction), al Défenseur des enfants, all’Autorité de contrôle des nuisances sonores aéroportuaires, al Bureau central de tarification; a questi soggetti vengono tendenzialmente equiparate la Commission consultative du secret de la défense nationale e la Commission nationale de déontologie de la sécurité (v. 307 s.). V. anche G. BRAIBANT, Les rapports du Médiateur et du juge administratif, in Actualité juridique, 1977, 283 ss. 47 V. in termini dubitativi P. LEGATTE, Le Médiateur est-il une autorité administrative indépendante?, in AA.VV., Les autorités administratives indépendantes, 1988, 135 ss. 48 In dottrina, specificamente sul punto, v. per esempio J.P. COSTA, Le médiateur peut-il être autre chose qu’une autorité administrative?, in Actualité juridique, 1987, 341 ss. 194 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA E RIMEDI ALTERNATIVI: L’ESPERIENZA FRANCESE Conseil d’Etat nel contempo escludeva decisamente la possibilità che il giudice amministrativo intervenisse a verificare la legittimità delle réponses del Médiateur ai reclami presentati dagli interessati49. Dal punto di vista funzionale, il Médiateur aveva margini di intervento più ampi di quelli concessi al giudice amministrativo. Non solo egli era legittimato ad indicare soluzioni di natura equitativa, ma era anche espressamente stabilito che applicasse l’equità in via preferenziale rispetto alle disposizioni legislative o regolamentari50. La particolare ampiezza dei suoi margini valutativi era in un certo senso compensata, però, dalla limitata incisività giuridica degli strumenti a sua disposizione. Infatti, egli poteva solo esercitare pressioni e utilizzare l’arma della persuasione, puntando principalmente sull’autorevolezza del suo ruolo e sulla notorietà dell’esperienza e della preparazione tecnica acquisite51; comunque, il destinatario del monito era tenuto a riferire circa le iniziative assunte in vista dell’adempimento52. La loi organique n. 333 del 29 marzo 2011 ha infine sostituito il Médiateur53 con il Défenseur des droits54, definito come autorità costi49 V. C.E., Ass., 10 luglio 1981, Retail, in Revue de droit public, 1981, 1441, con nota di Y. GAUDEMET e di J.-M. AUBY, nonché in Revue administrative, 1981, 493, con nota di S. RIALS, e in Actualité juridique, 1981, 467, con nota di F. TIBERGHIEN e B. LASSERRE. 50 V. art. 9, comma 1, della legge n. 6 del 1973, modificato dall’art. 9 della legge del 12 aprile 2000. 51 V. così il comma 2 dell’art. 9 della legge n. 6 del 1973, in base al quale «lorsqu’il apparaît au Médiateur de la République qu’un organisme mentionné à l’article 1er n’a pas fonctionné conformément à la mission de service public qu’il doit assurer, il peut proposer à l’autorité compétente toutes mesures qu’il estime de nature à remédier à cette situation». 52 Infatti, in base al comma 4 dell’art. 9 della legge n. 6 del 1973, «le Médiateur de la République est informé de la suite donnée à ses interventions». 53 In base alla loi organique n. 333/2011, il Défenseur des droits assume non solo le competenze del preesistente Médiateur de la République, ma anche quelle del Défenseur des enfants, e della Commission nationale de déontologie de la sécurité. 54 V.: L. CLUZEL-METAYER, Réflexions à propos de la saisine du Défenseur des droits, in Revue française d’administration publique, 2011, 3, 447 ss.; R. BOUSTA, Le Défenseur des droits: une apparence trompeuse d’innovation, in AA.VV., 8th Congress of the French Association of Constitutional Law, Nancy, 16-18 June 2011, 2011; C. DUMAT, Le Défenseur des droits, in Les petites affiches, 2009, n. 212, 4 ss. 195 ANNA SIMONATI tuzionale indipendente (benché tuttora di nomina governativa)55. Non è questa la sede per esaminarne compiutamente le funzioni. È opportuno fare presente, però, che il Défenseur des droit – il quale riceve i reclami dei soggetti che ritengono di avere subito la violazione di un diritto nei settori di sua competenza56, ma può attivarsi anche d’ufficio57 – può in primo luogo indirizzare raccomandazioni (anche di contenuto latamente equitativo) alle parti della lite, affinché i diritti e le libertà individuali siano adeguatamente garantiti58. Inoltre, a differenza del Médiateur de la République59, è titolare – almeno in linea di principio – di poteri di médiation vera e propria60, che può esercitare anche caldeggiando un epilogo transattivo, estintivo della controversia sottoposta alla sua attenzione61. Oggi, peraltro, l’utilizzo della mediazione in campo pubblicistico è ulteriormente in via di graduale ma progressiva espansione, soprattutto 55 V. l’art. 2 della loi organique n. 333/2011. In base all’art. 4 della loi organique n. 333/2011, il Défenseur des droits è competente in materia di: «relations avec les administrations de l’Etat, les collectivités territoriales, les établissements publics et les organismes investis d’une mission de service public; […] droits de l’enfant consacrés par la loi ou par un engagement international régulièrement ratifié ou approuvé par la France; […] discriminations, directes ou indirectes, prohibées par la loi ou par un engagement international régulièrement ratifié ou approuvé par la France; […] respect de la déontologie par les personnes exerçant des activités de sécurité sur le territoire de la République». 57 V. l’art. 5 della loi organique n. 333/2011. 58 V. l’art. 25 della loi organique n. 333/2011. 59 Nel Rapport annuel 2011 (in http://www.defenseurdesdroits.fr/sites/default/files/ upload/ddd_raa_2011.pdf, consultato il 7 gennaio 2015), relativo al momento di “passaggio di competenze” fra il Médiateur de la République e il Défenseur des droits, si sottolinea proprio che la titolarità di poteri di médiation in senso stretto contraddistingue il secondo rispetto al primo (v. in particolare 45). 60 V. così espressamente l’art. 26 della loi organique n. 333 del 29 marzo 2011. D’altra parte, dato l’elevatissimo numero di casi sottoposti alla sua attenzione, è ragionevole supporre che il défenseur des droits svolgerà, più che compiti di mediazione vera e propria, una (meno incisiva) attività di “intercessione” presso le pubbliche amministrazioni. I Rapports annuel del Défenseur des droits sono reperibili online in http://www.defenseurdesdroits.fr/documentation/rapports (consultato il 9 gennaio 2015). 61 V. l’art. 28 della loi organique n. 333 del 29 marzo 2011. 56 196 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA E RIMEDI ALTERNATIVI: L’ESPERIENZA FRANCESE alla luce delle riforme normative conseguenti al recepimento della Direttiva europea n. 52 del 200862. 6. La Direttiva europea n. 52 del 2008 e le sue possibili conseguenze nel diritto amministrativo francese In un quadro complessivo come quello che contraddistingue l’ordinamento francese, ove i confini reciproci fra i diversi meccanismi di A.D.R. sono ancora piuttosto confusi (anche dal punto di vista della definizione e della delimitazione reciproca degli istituti), si inserisce l’emanazione della Dir. 2008/52/CE del Parlamento e del Consiglio europei sulla mediazione in materia civile e commerciale63. La Direttiva (il cui recepimento era previsto entro il 21 maggio 2011) ha l’importante pregio di contenere definizioni precise. In particolare per quanto concerne il suo oggetto specifico, essa offre una definizione ampia della mediazione, che poggia essenzialmente 62 V. infra, par. 6. A proposito della Direttiva v., in generale: C. VACCÀ, La direttiva sulla conciliazione: un’occasione mancata?, in Contratti, 2008, 857 ss.; E.M. APPIANO, I sistemi A.D.R. nell’ottica del legislatore comunitario, in Contratto e impr./Europ., 2009, 59 ss.; M.F. GHIRGA, Strumenti alternativi di risoluzione della lite: fuga dal processo o dal diritto? (Riflessioni sulla mediazione in occasione della Direttiva 2008/52/CE), in Riv. dir. proc., 2009, 357 ss.; E. MINERVINI, La direttiva europea sulla conciliazione in materia civile e commerciale, in Contratto e impr./Europ., 2009, 41 ss.; V. VIGORITI, La direttiva europea sulla médiation. Quale attuazione?, in Riv. arbitrato, 2009, f. 1, 1 ss.; N. TROCKER, A. DE LUCA (a cura di), La mediazione civile alla luce della direttiva 2008/52/CE, Firenze, 2011; D. VOLPINO, La direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale, in M. TARUFFO, V. VARANO (a cura di), Manuale di diritto processuale civile europeo, Torino, 2011, 383 ss.; A. DE LUCA, La mediazione in Europea. Una questione di cultura e non di regole, cit., 1451 ss. Per una sintetica analisi dell’attuazione della Direttiva in prospettiva comparata, v., per esempio: C. BESSO, L’attuazione della direttiva europea n. 52 del 2008: uno sguardo comparativo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2012, 863 ss.; G. DE PALO, M.B. TREVOR, EU Mediation Law and Practice, Oxford, 2012; C. ESPLUGUES, J.L. IGLESIAS, G. PALAO, Civil and Commercial Mediation in Europe, vol. I, National Mediation Rules and Procedures, Cambridge-Antwerp-Portland, 2013. 63 197 ANNA SIMONATI sull’intento delle parti di trovare un accordo amichevole, a prescindere dalla denominazione di questo64. Precisamente, secondo la concezione accolta nella Direttiva, la mediazione consiste in un procedimento strutturato, ove due o più parti65 di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria66, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un terzo. Il procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale (che non necessariamente deve essere stato previamente chiamato a dirimere una controversia pendente) o normativamente prescritto67. Il terzo deve condurre la fattispecie in modo efficace, imparziale e competente, garantendo la riservatezza delle informazioni emerse nel corso della procedura68, al fine di consentire alle parti di gestire in autonomia l’esito della lite che le contrappone, senza rimetterlo totalmente a decisioni altrui. Resta ferma, inoltre, la possibilità di ricorrere all’omologazione giudiziale dell’accordo69. 64 Precisamente, nell’art. 3, lett. a), della Direttiva si afferma che «per “mediazione” si intende un procedimento strutturato, indipendentemente dalla denominazione, dove due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un mediatore. Tale procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro. Esso include la mediazione condotta da un giudice che non è responsabile di alcun procedimento giudiziario concernente la controversia in questione. Esso esclude i tentativi messi in atto dall’organo giurisdizionale o dal giudice aditi al fine di giungere ad una composizione della controversia in questione nell’ambito del procedimento giudiziario oggetto della medesima». 65 Come sottolinea il Conseil d’Etat nel suo rapporto del 2010, Développer la médiation dans le cadre de l’Union Européenne, cit., 4, deve comunque trattarsi di controversie individuali, poiché quelle collettive sono escluse dall’ambito di applicazione della Direttiva. 66 Nota in proposito il Conseil d’Etat nel suo rapporto del 2010, Développer la médiation dans le cadre de l’Union Européenne, cit., 4, che la volontà “conciliativa” delle parti deve perdurare fino alla conclusione della mediazione; ne deriva che ciascuno dei soggetti coinvolti può interrompere in qualsiasi momento la procedura di médiation, senza dover motivare la sua decisione in tal senso. 67 V. art. 5 della Direttiva. 68 V. art. 7 della Direttiva. 69 V. art. 6 della Direttiva. 198 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA E RIMEDI ALTERNATIVI: L’ESPERIENZA FRANCESE Emergono dunque con una certa chiarezza gli elementi distintivi della mediazione rispetto sia alla conciliazione sia all’arbitrato, che pure sono definiti nella Direttiva. La conciliazione si distingue dalla mediazione per la maggiore rilevanza del ruolo del terzo, che non si limita ad assistere le parti, ma propone direttamente la soluzione della lite70. Nell’arbitrato71, invece, spicca il ruolo strettamente deliberativo del terzo, il quale è incaricato dalle parti – che lo scelgono liberamente – di risolvere definitivamente il conflitto in luogo del giudice72. Per quanto riguarda il rapporto fra la mediazione e la transazione (la cui disciplina non è ricompresa nell’oggetto della Direttiva), dalla configurazione della prima risulta rafforzato il tratto distintivo principale rispetto alla seconda, che consiste nella basilare importanza in quest’ultima dell’elemento negoziale incentrato sulle reciproche concessioni fra le parti73. L’ambito di applicazione della normativa europea è espressamente delimitato. In primo luogo, infatti, lo si circoscrive alle sole mediazioni transfrontaliere74, pur consentendo agli Stati membri di applicarla anche 70 Esattamente in questi termini, v. la precisazione di C. JARROSSON nel Glossaire annesso in calce a CONSEIL D’ETAT, Développer la médiation dans le cadre de l’Union Européenne, cit. Sulla distinzione fra mediazione e conciliazione, v. già, per esempio, C. JARROSSON, Définition de la Médiation. Glossaire, in J.-C. MAGENDIE (a cura di), Célérité et qualité de la justice. La médiation: une autre voie, Parigi, 2008, 15 ss. 71 Secondo la definizione proposta da C. JARROSSON nel Glossaire annesso in calce a CONSEIL D’ETAT, Développer la médiation dans le cadre de l’Union Européenne, cit., nell’arbitrage «c’est une tierce personne, choisie par les parties, qui, à la place du juge, est chargée de régler le différend, selon des modalités qui se rapprochent le plus d’une procédure judiciaire». V. anche C. JARROSSON, Médiation et conciliation: définition et statut juridique, in Gaz. Pal., 1996, n. 10, 952 ss. 72 Per quanto riguarda l’impatto della riforma sull’istituto dell’arbitrato, si rinvia, per completezza, a M. DE SANTIS, M.M. WINKLER, La riforma francese del diritto dell’arbitrato: un commento sistematico. Parte prima: la convenzione d’arbitrato e il procedimento arbitrale, in Dir. comm. intern., 2011, f. 4, 927 ss., ed EID., La riforma francese del diritto dell’arbitrato: un commento sistematico. Parte seconda: il lodo, le impugnazioni e la disciplina dell’arbitrato internazionale, ivi, 2012, f. 1, 59 ss. 73 Secondo la definizione proposta da C. JARROSSON nel Glossaire annesso in calce a CONSEIL D’ETAT, Développer la médiation dans le cadre de l’Union Européenne, cit., la transaction «se présente sous la forme d’un contrat entre les parties ayant pour objet de mettre fin à un litige né ou à naître». 74 V. art. 1, comma 2, della Direttiva. 199 ANNA SIMONATI ai procedimenti meramente “interni”75. In secondo luogo, sono esplicitamente escluse le controversie in materia fiscale, doganale e amministrativa76. Infine, si prescrive che l’oggetto della lite debba tassativamente concernere esclusivamente diritti disponibili77. In Francia, però, si è subito pensato di ampliare78 l’operatività della normativa europea a settori ulteriori a quello dei rapporti commerciali, purché sussista il requisito fondamentale della natura transfrontaliera della lite. La riforma legislativa, introdotta con Ordonnance n. 1540 del 16 novembre 201179, ha così determinato l’aggiunta nella parte legislativa 75 V. Considerando n. 8 della Direttiva. V. art. 1, comma 2, della Direttiva, in cui sono espressamente escluse dal suo ambito di applicabilità le liti sulla responsabilità degli enti pubblici per atti compiuti iure imperii. 77 V. Considerando n. 10 della Direttiva. 78 Il Conseil d’Etat, nel suo rapporto del 2010 Développer la médiation dans le cadre de l’Union Européenne, cit., 4, sottolinea che la ratio dell’operazione è riposta nell’intento di evitare che a un regime finalmente compiuto della mediazione civile e commerciale transfrontaliera di matrice europea si affiancassero una serie discontinua di norme preesistenti relative alle diverse categorie di mediazione di cui da tempo è disseminato l’ordinamento francese (che fatalmente sarebbero risultate in un certo senso “declassate”). In dottrina, v. in proposito, per esempio: F. FERRAND, La transposition en droit français et en droit allemand de la directive n. 2008/52/CE du 21 mai 2008 relative à certains aspects de la médiation en matière civile - Confrontation des conceptions nationales en matière de règlement amiable des différends, in Zeitschrift für Zivilprozess International, 2011, n. 16, 29 ss., nonché ID., La transposition en droit français la de directive n. 2008/52/CE du 21 mai 2008 relative à certains aspects de la médiation en matière civile, in A.-L. VERBEKE, J.M. SCHERPE, CH. DECLERCK, T. HELMS, P. SENAEVE (a cura di), Confronting the Frontiers of Family and Succession Law. Liber Amicorum Walter Pintens, Cambridge, 2012, 555 ss., e Y. DESDEVISES, La médiation en France et la directive 2008/52/CE du Parlement européen et du Conseil du 21 mai 2008, in N. TROCKER, A. DE LUCA (a cura di), La mediazione civile alla luce della direttiva 2008/52/CE, cit., 35 ss.; L. CADIET, I modi alternativi di regolamento dei conflitti in Francia fra tradizione e modernità, in V. VARANO (a cura di), L’altra giustizia, Torino, 2007, 85 ss. 79 Per la relazione esplicativa alla riforma, v. il Rapport au Président de la République relatif à l’ordonnance n. 2011-1540 du 16 novembre 2011 portant transposition de la directive 2008/52/CE du Parlement européen et du Conseil du 21 mai 2008 sur certains aspects de la médiation en matière civile et commerciale, reperibile online al link http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000024804821 (consultato il 27 dicembre 2014). Il recepimento della Direttiva è avvenuto in seguito a 76 200 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA E RIMEDI ALTERNATIVI: L’ESPERIENZA FRANCESE del Code de justice administrative del Chapitre Ier ter (La médiation)80 relativo alle controversie amministrative transfrontaliere81. Il recepimento anche nel campo amministrativistico della Direttiva è suscettibile di condurre all’utilizzo della médiation in vari settori inerenti ad attività pubblicistiche non strettamente autoritative (non régaliennes)82: per esempio, la gestione dei mercati pubblici, la delega ai privati per la gestione di servizi pubblici, i contratti di partenariato, la responsabilità per i danni cagionati nello svolgimento di lavori pubblici, la responsabilità per l’attività ospedaliera83. Un aspetto sul quale la Direttiva insiste riguarda i requisiti di imparzialità, indipendenza e moralità del médiateur84. Questo elemento è assai rilevante, perché ha sortito effetti immediati sia a livello europeo85, un procedimento normativo particolarmente articolato, che ha visto, oltre alla produzione nel 2010 dello studio in materia di médiation da parte del Conseil d’Etat (Développer la médiation dans le cadre de l’Union Européenne, cit.), la sottoposizione a consultazione pubblica sia del progetto di quella che sarebbe poi diventata l’Ordonnance n. 2011-1540, sia del progetto di quello che sarebbe diventato il decreto 20 gennaio 2012, n. 66 (su cui v. infra a nt. 80). In proposito, v. in dottrina, per esempio, C. BESSO, L’attuazione della direttiva europea n. 52 del 2008: uno sguardo comparativo, cit., 863 ss. 80 Si tratta degli artt. da L 771-3 a L771-3-2. 81 Può essere utile ricordare che questa disposizione si affianca alla riforma operata con il decreto 20 gennaio 2012, n. 66, che ha modificato il Libro V del Codice di procedura civile, introducendo nuove disposizioni volte a regolare, in generale, la résolution amiable des différends. Oggi, dunque, quest’ultima si affianca alla conciliazione e alla mediazione liberamente scelta dalle parti e confluisce nella procédure participative, a sua volta introdotta con la l. 22 dicembre 2010, n. 1609. 82 Precisamente, il comma 1 dell’art. 771-3 del Code de justice administrative estende la possibilità di avvalersi della médiation alle liti transfrontaliere di competenza del giudice amministrativo, «à l’exclusion de ceux qui concernent la mise en oeuvre par l’une des parties de prérogatives de puissance publique». 83 Sull’efficacia estensiva dell’ambito di applicazione della médiation nel diritto amministrativo non régalien che deriva dal recepimento della Direttiva nell’ordinamento francese, v., per esempio, CONSEIL D’ETAT, Développer la médiation dans le cadre de l’Union Européenne, cit., 4 e 10 s. 84 V. art. 3, lett. b), della Direttiva. 85 Il Codice europeo di condotta per mediatori è reperibile online in lingua italiana al link http://ec.europa.eu/civiljustice/adr/adr_ec_code_conduct_it.pdf (consultato il 27 dicembre 2014). 201 ANNA SIMONATI sia (ancor prima del recepimento formale) nell’ordinamento francese86. In entrambi i contesti, infatti, sono stati emanati i codici deontologici dei mediatori. Al médiateur e al conciliateur sono richieste capacità tecniche e competenze giuridiche; è predisposto un sistema di adesione volontaria al codice da parte delle associazioni di categoria, con attivazione di interventi di formazione e aggiornamento costante. L’unica differenza significativa fra i due modelli consiste nel fatto che nel codice francese è stato inserito un riferimento espresso anche al dovere etico di probità dei mediatori87. Ciò del resto non comporta che questi debbano necessariamente assumere un vero e proprio obbligo di risultato, nel senso dell’individuazione di un epilogo soddisfacente per la controversia sottoposta alla loro attenzione; è sufficiente, invece, la profusione di un impegno concreto e reale nella ricerca di una soluzione efficace della lite. 7. Considerazioni di sintesi 7.1. Le A.D.R. nel diritto amministrativo francese: i tratti salienti di un identikit almeno in parte comune L’analisi delle A.D.R. amministrative operanti nell’ordinamento francese offre svariati spunti di interesse. Va evidenziato, innanzi tutto, che gli istituti esaminati presentano alcuni profili di analogia reciproca, pur nella sussistenza di importanti fattori distintivi. Il primo elemento comune risiede nella natura volontaristica e nella configurazione tendenzialmente negoziale di tutte le procedure. In questa prospettiva, ovviamente, la differenza fondamentale fra i vari meccanismi concerne il ruolo del terzo. Nel caso della transaction, l’intervento di soggetti diversi da quelli direttamente coinvolti nella contro86 L’art. 4 della Direttiva impone agli Stati membri di incoraggiare la predisposizione di Codici deontologici e la formazione costante dei mediatori. In Francia, quello nazionale è stato approvato nel 2008 dalle principali organizzazioni professionali. 87 Per l’indicazione dei caratteri necessari del mediatore, v. CONSEIL D’ETAT, Développer la médiation dans le cadre de l’Union Européenne, cit., 4. 202 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA E RIMEDI ALTERNATIVI: L’ESPERIENZA FRANCESE versia è del tutto eventuale e non incide sulla fisionomia della procedura, che si fonda sulle reciproche concessioni fra le parti. Ma anche nel caso in cui le parti concordino di chiedere la collaborazione di un terzo, questo ha il compito di aiutarle a trovare un’intesa, mentre non può imporre loro la propria decisione: ciò vale senz’altro per il médiateur, ma anche per il conciliateur, benché a quest’ultimo sia affidato un ruolo propositivo tendenzialmente più incisivo. Su questo fronte, peraltro, va evidenziata la peculiarità dell’arbitrage, in cui il potere decisionale è deferito in toto agli arbitri – i quali emettono una decisione vincolante per le parti, che a monte si impegnano a rispettarla – e anche il ruolo di garanzia esercitabile dal giudice amministrativo è ridotto alla salvaguardia dei soli principi fondamentali88. Pertanto, come si è segnalato89, tuttora aleggia un diffuso atteggiamento di chiusura rispetto all’ammissibilità dell’arbitrage nel diritto amministrativo. Peraltro, molte resistenze stanno progressivamente crollando, non solo alla luce della disciplina vigente, che espressamente autorizza l’utilizzo di questo meccanismo in alcuni settori pubblicistici, ma soprattutto in prospettiva de jure condendo90. Un altro elemento comune alle A.D.R. amministrative è la natura (più o meno spiccatamente) equitativa della soluzione additata, che ha il compito di pacificare definitivamente gli animi. Questo obiettivo prevale su considerazioni relative alla stretta attinenza alle norme giuridiche, nel senso che l’esito equitativo della médiation o della conciliation può essere adottato se risulta essere la via maggiormente condivisa, nonostante non sia in concreto quella più corretta alla luce dei precetti di stretto diritto91. Questo aspetto si riverbera sulla flessibilità delle norme 88 Il ruolo di garanzia in chiave pubblicistica del giudice amministrativo è stato recentemente affermato da Tribunal des conflits, 17 maggio 2010, Institut national de la santé et de la recherche médicale c/Fondation Letten F. Saugstad, in http://www.legi france.gouv.fr/affichJuriAdmin.do?oldAction=rechJuriAdmin&idTexte=CETATEXT0 00022931557&fastReqId=1103266424&fastPos=1 (consultato il 28 dicembre 2014). 89 V. supra, par. 4 90 V. le considerazioni svolte supra, par. 4., a proposito del cosiddetto Rapport Labetoulle del 2007. 91 V. così, per esempio, G. FLÉCHEUX, P. LAFARGE, La médiation, in AA.VV., Le juge entre deux millénaires. Mélanges offerts à Pierre Drai, Paris, 2000, 301 ss., non203 ANNA SIMONATI di forma e di procedura applicabili. Non a caso, né per la médiation né per la conciliation – che possono essere instaurate su iniziativa del giudice o dei soggetti coinvolti nella lite – valgono regole procedurali vincolanti, così come non devono essere tassativamente rispettati termini cogenti. Le une e gli altri, anzi, possono essere indicati dalle parti in ragione dell’urgenza e della complessità della fattispecie. Tuttavia, l’ordinamento giuridico deve pur sempre rappresentare l’indefettibile punto di riferimento. Del resto, come si è accennato, il legittimo esercizio della “capacità negoziale” non è indiscriminato, in quanto non può mai determinare la violazione, da un lato, dei diritti fondamentali dei singoli e, dall’altro lato, delle regole di ordine pubblico (aspetto, quest’ultimo, particolarmente significativo nel campo del diritto amministrativo). Se così non fosse, evidentemente le A.D.R. potrebbero essere utilizzate per sedimentare una situazione soggettiva di debolezza o vulnerabilità (segnatamente, della parte privata rispetto a quella pubblica) oppure per assecondare la conclusione di patti sostanzialmente illegittimi in quanto indebitamente lesivi dell’interesse della collettività. Una garanzia ulteriore, su questo fronte, deriva comunque dal fatto che, laddove sia stata attivata una médiation o una conciliation, le parti mantengono il potere di rivolgersi al giudice, sia per chiedergli l’omologazione della soluzione individuata a sostegno dell’effettività di questa, sia (nell’ipotesi diametralmente opposta) per tornare a sottoporgli la controversia qualora il tentativo di composizione amichevole sia fallito. 7.2. Esperienze “pilota” e prospettive evolutive La tendenziale disponibilità del legislatore francese ad assecondare l’uso dei meccanismi di A.D.R. in campo pubblicistico si coglie nella circostanza che da più di quindici anni sono stati introdotti vari istituti di questo tipo (per lo più in forme in gran parte assimilabili alla média- ché A. BOLZE, Le procès, risque à éviter: les modes alternatifs de règlement des litiges, in Revue générale de droit des assurances, 1 luglio 2010, n. 3, 481 ss. 204 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA E RIMEDI ALTERNATIVI: L’ESPERIENZA FRANCESE tion) in settori vicini al diritto amministrativo92. Queste esperienze sono risultate nel complesso efficienti, soprattutto sul piano della riduzione del contenzioso. Particolarmente significativa è la sperimentazione in ambito tributario, ove da tempo operano varie commissioni a composizione paritetica, in cui spicca la presenza (per così dire “garantistica”), nel collegio giudicante, anche di un magistrato93. La peculiarità ora indicata non deve essere sottovalutata; essa dimostra come fra A.D.R. e processo amministrativo non vi sia necessariamente contrapposizione, bensì si possa instaurare un importante rapporto sinergico, che va ben al di là del mero effetto deflattivo del contenzioso auspicabilmente riconducibile a un oculato utilizzo dei primi. Si è rilevato94, poi, che le A.D.R. nel diritto amministrativo possono essere particolarmente utili soprattutto in due casi: quando la posta in gioco è limitata e la controversia è pressoché “seriale” e, all’opposto, quando la lite coinvolge interessi generali di grande rilievo e il suo valore (giuridico ed economico) è assai elevato. Proprio in queste due ipotesi, infatti, si è rivelato particolarmente incisivo il potere di attivare la conciliation attribuito al giudice amministrativo95. 92 Ciò è avvenuto, per esempio, in capo assicurativo, ove il Médiateur des assurances è stato istituito nel 1993 a seguito dell’iniziativa spontanea delle imprese operati in ambito assicurativo; v. oggi l’art. L. 133-1 del Code des assurances. Nel settore bancario, la disciplina della mediazione è stata introdotta nel Code monétaire et financier nel 2001: precisamente, v. art. L. 316-1. Un altro esempio è rappresentato dal settore dei servizi sociali. Per una sintetica analisi della casistica, v. in dottrina, J.-M. LE GARS, La conciliation par le juge administratif, in Actualité juridique – Droit administratif, 2008, 1468 ss. 93 Istituite nella loro configurazione originaria da una legge del 13 luglio 1941, le Commissions de conciliation operano oggi in ciascun département, ai sensi del Code général des impôts. La composizione di questi organismi è disciplinata all’art. 1653 A del codice. 94 V. in questi termini, per esempio, J.M. SAUVÉ, Intervention, cit., 8. 95 Può essere interessante segnalare anche che, in ambito civilistico, in base all’art. 21-1, Loi n. 95-125 dell’8 febbraio 1995 (come modificato da ultimo dall’art. 1, Ordonnance n. 2011-1540 del 16 novembre 2011, ma precedentemente già dall’art. 8, Loi n. 2002-1138 del 9 settembre 2002), qualora manchi il consenso espresso delle parti allo svolgimento di un tentativo facoltativo di conciliazione, il giudice presso il quale pende la controversia può ingiungere loro di partecipare ad un incontro con una persona designata dal giudice stesso – che può anche essere un conciliatore – la quale le informa 205 ANNA SIMONATI In generale, una nuova consapevolezza circa l’opportunità di potenziare la compresenza di meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie, a fianco del processo amministrativo, si sta oggi via via diffondendo. De jure condendo, lo stesso Conseil d’Etat ha auspicato una riforma di ampia portata, rivolta a estendere al processo amministrativo l’introduzione della médiation, secondo lo schema previsto nella Direttiva europea n. 52 del 2008, se pur con qualche correttivo (per esempio, la riduzione della sospensione dei termini decadenziali conseguente all’instaurazione della médiation96 a soli tre mesi, per evitare dilazioni ritenute eccessive97). Nella medesima prospettiva, una proposta interessancirca l’oggetto e le modalità di svolgimento della mediazione. J.M. SAUVÉ, Intervention, cit., 8 s., segnala al riguardo la sperimentazione svolta nel 2010 presso le chambres sociales della Cour d’appel di Parigi: in quell’occasione, si era stabilito che, ancor prima dell’inizio della trattazione della causa, il giudice investito di questa dovesse convocare le parti all’incontro; inoltre, la permanenza della possibilità di attivare la médiation durante lo svolgimento del processo era resa evidente dalla presenza costante in aula del mediatore. Ciò ha determinato l’attivazione della médiation addirittura nei due terzi dei casi. In proposito, v. specificamente Célérité et qualité de la justice. La médiation, une autre voie, Rapport du groupe de travail sur la médiation présidé par Jean-Claude Magendie, aprile 2010, in http://www.ca-paris.justice.fr/art_pix/rapport_ Les_conciliateur_justice_Cour_d_appel_de_Paris_Avril_2010.pdf (consultato il 28 dicembre 2014), 80 ss. 96 In base all’art. 2-1, l. 31 dicembre 1968, n. 1250 (come modificato dall’art. L. 771-3-2 del Code de justice administrative), la prescrizione è sospesa a partire dal giorno in cui le parti stipulano l’accordo scritto con cui convengono di tentare la médiation ovvero dal giorno in cui si svolge la prima riunione relativa alla procedura di mediazione, per una durata massima di sei mesi. La sospensione del termine decadenziale previsto per l’esperimento di un ricorso in sede giurisdizionale o l’attivazione di una procedura arbitrale a vantaggio di coloro che decidono di ricorrere alla mediazione è previsto, nella Direttiva europea, all’art. 8. 97 Si nota che l’estensione del gratuito patrocinio anche alla médiation puramente negoziale, attivata in base alla libera e autonoma iniziativa delle parti, è prematura e potrebbe essere inopportuna per ragioni sistematiche, oltre che per motivi di spesa. È evidente, infatti, che solo il previo intervento del giudice appare sufficientemente garantistico della correttezza della fattispecie, in particolare rispetto al divieto di violare principi generali del diritto amministrativo e di ledere diritti fondamentali dei privati coinvolti nella lite. V. sul punto, per esempio, CONSEIL D’ETAT, Développer la médiation dans le cadre de l’Union Européenne, cit., 6. 206 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA E RIMEDI ALTERNATIVI: L’ESPERIENZA FRANCESE te riguarda l’estensione dell’istituto del gratuito patrocinio (evidentemente, a fini incentivanti) alla médiation disposta dal giudice amministrativo98. Ancora, per potenziare il ricorso alla médiation si è suggerito di aggiornare e mettere in rete il codice deontologico dei mediatori99. Per quanto riguarda l’utilizzo della transaction, la circolare del Primo Ministro emanata il 6 aprile 2011100, assecondando un sedimentato orientamento giurisprudenziale pregresso in senso estensivo (per esempio, nei settori dei lavori pubblici e dei mercati pubblici), ha espressamente esortato le amministrazioni ad avvalersi dello strumento transattivo, previa autorizzazione espressa del Primo ministro stesso101, come del resto è già da tempo consentito dall’art. 2045, comma 3, Code civil. Tale soluzione è quanto mai auspicata, in particolare, nelle controversie di natura risarcitoria, ove la responsabilità della p.a. non sia affatto in discussione o appaia comunque quasi certa. Resta aperto, ovviamente, il problema dello svolgimento di un controllo costante, puntuale e accurato sulla qualità dell’attività svolta dai terzi mediatori e conciliatori. A fronte della pluralità delle vie astrattamente percorribili, il Conseil d’Etat102 ha escluso l’opportunità dello svolgimento di un’attività centralizzata di vigilanza da parte dello Stato, che risulterebbe, appunto, troppo accentrata. Nel contempo, però, ha manifestato perplessità nei confronti della possibile attribuzione dell’incarico a soggetti privati, che si rivelerebbe poco garantistica nel merito, 98 V. CONSEIL D’ETAT, Développer la médiation dans le cadre de l’Union Européenne, cit., 7. 99 V. nuovamente CONSEIL D’ETAT, Développer la médiation dans le cadre de l’Union Européenne, cit., 7. 100 Il testo della circolare è reperibile online al link http://www.legifrance.gouv.fr/ affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000023826838, consultato il 27 dicembre 2014. 101 V. sul punto, per esempio, C.E., 14 dicembre 1998, Chambre d’agriculture de La Réunion, in Rec., 729. La giurisprudenza amministrativa precisa altresì che attualmente la maggior parte degli enti pubblici sono direttamente autorizzati a concludere transactions dalle norme dello statuto, adottato con decreto: v. C.E., 23 aprile 2001, Ceccaldi-Raynaud, n. 215552, in http://www.legifrance.gouv.fr/affichJuriAdmin.do? oldAction=rechJuriAdmin&idTexte=CETATEXT000008018216&fastReqId=3265570 9&fastPos=1 (consultato il 28 dicembre 2014). 102 V. CONSEIL D’ETAT, Développer la médiation dans le cadre de l’Union Européenne, cit., 7 s. 207 ANNA SIMONATI oltre che eccessivamente costosa. Suggerisce, invece, o di realizzare un sistema di controllo formale presso un’autorità amministrativa da definire (o, in alternativa, direttamente presso i tribunali amministrativi), oppure di instaurare un regime di adesione volontaria dei mediatori a enti di natura associativa, i quali si facciano essi stessi garanti della qualità delle prestazioni erogate dagli iscritti. Tenendo conto di tutti gli elementi fin qui indicati, pare di poter ritenere che nell’ordinamento francese siano attualmente aperte nuove potenzialità di sviluppo per le A.D.R. amministrative. Il punto fondamentale, che rappresenta forse la migliore chiave di lettura delle ragioni della loro perdurante e crescente vitalità, risiede a mio avviso nella circostanza che la médiation, la conciliation e la transaction (in misura minore, anche l’arbitrage) non si pongono oggi come sostituti del processo amministrativo, ma come meccanismi di tutela dei privati (e, in qualche misura, delle stesse autorità), che si affiancano alla giustizia amministrativa propriamente detta e ne arricchiscono l’efficacia: fonti non solo e non tanto, dunque, di alternative dispute resolution quanto, piuttosto, di appropriate dispute resolution. 208 LA MEDIAZIONE IN GERMANIA TRA DIRITTO AMMINISTRATIVO E NEW PUBLIC MANAGEMENT Cristina Fraenkel-Haeberle SOMMARIO: 1. Definizione del concetto. - 2. Le sperimentazioni avviate nei Länder tedeschi. - 3. Le spinte esercitate dal diritto comunitario. - 4. La legge tedesca sulla mediazione del 2012. - 5. Articolazione della mediazione. 6. Casi in cui la mediazione è controindicata o viceversa consigliata. - 7. Lo status del mediatore. - 8. Considerazioni conclusive. 1. Definizione del concetto Le origini della mediazione vengono generalmente ricondotte alla cultura americana, ove tale procedura presenta una tradizione ben radicata. Essa viene identificata con il concetto di alternative dispute resolution (ADR) e frequentemente praticata anche durante il procedimento amministrativo per la realizzazione di grandi opere, come discariche, autostrade ed aeroporti. La diffusione di questo metodo di risoluzione consensuale delle controversie ha fatto sì che la mediazione sia stata codificata dalla legge statunitense sul procedimento amministrativo (Administrative Procedure Act), che attribuisce alle autorità federali la facoltà di avviare tale procedura, purché le parti in conflitto aderiscano alla proposta1. Pare che il sistema sia così diffuso da indurre parte della categoria forense a specializzarsi e a praticare a titolo esclusivo attività di mediazione. Si sono ormai istituzionalizzati prestatori di servizi altamente specializzati che offrono il loro sostegno professionale in que- Il contributo è una rielaborazione della relazione tenuta in occasione del convegno “Giustizia amministrativa e rimedi alternativi: riflessioni e proposte alla luce del contesto europeo”, Trento, 10.10.2014. 1 W. HANDLICH, M. RENNACK, Mediation im öffentlichen Baurecht – Chancen einer neuen Planungskultur, in Landes- und Kommunalverwaltung, 1999, p. 9 ss. CRISTINA FRAENKEL-HAEBERLE sto settore (Alternative Dispute Resolution Facilitation)2. Tale prassi è abbinata alla partecipazione al procedimento amministrativo, correntemente praticata negli USA fin dagli anni ’70 del secolo scorso3. Uno strumento in quest’ambito è rappresentato, ad esempio, dalla Public Participation Guide della United States Environmental Protection Agency (EPA) in materia ambientale, ove la mediazione assume un ruolo di spicco nei procedimenti di pianificazione urbanistica4. Il modello statunitense è sotto diversi profili assimilabile al sistema tedesco, incentrato su un terzo neutro e imparziale che si adopera per individuare in un conflitto tra le parti una soluzione consensuale, ma che è privo di un autonomo potere decisionale. Rientra nell’essenza della mediazione il fatto che le parti mantengano il loro potere negoziale durante l’intera procedura. Obiettivo del mediatore è creare una situazione senza vincitori né vinti, attraverso una “competizione orientata al consenso”5, non risultando determinante la posizione giuridica fatta valere, bensì l’analisi e il contemperamento degli interessi in gioco6. La strategia della mediazione consiste nella ricerca di una soluzione winwin, da cui tutte le parti in causa possano trarre vantaggio7. In questo contesto il mediatore rappresenta un “ponte” tra le parti e non un arbitro chiamato a dirimere una controversia8. La mediazione, già nota in Germania nel diritto di famiglia, del lavoro e ambientale, ha iniziato solo recentemente a prendere piede come modalità di risoluzione dei conflitti in ambito amministrativo9. Essa 2 Cfr. J. STENDER-VORWACHS, Participation and Administrative Procedure, in C. FRAENKEL-HAEBERLE ET AL. (a cura di), Citizen Participation in Multi-Level Democracies, Leiden, 2015, p. 188 s. 3 IBID., p. 189. 4 W. HANDLICH, M. RENNACK, op. cit., p. 11. 5 R. PITSCHAS, Mediation als kollaborative Governance, in DÖV, 2011, p. 335. 6 K-M. ORTLOFF, Europäische Streitkultur und Mediation im deutschen Verwaltungsrecht, in NVwZ, 2007, p. 33. 7 U. ZEPF, Mediation im Schatten des Leviathan oder das Verhältnis zwischen hoheitlichem Handeln und Mediation, in DÖV, 2012, p. 632. 8 R. FRITZ, H. KRABBE, Gerichtsinterne Mediation – Der Faktor „Zeit“ Verfahrensoptimierung durch Kurz-Zeit-Mediation, in NVwZ, 2011, p. 399. 9 Tra i progetti scientifici svolti sull’argomento all’Università di Speyer sia consentito di rinviare a R. PITSCHAS, H. WALTER, Mediation in der hessischen Verwaltungsge210 LA MEDIAZIONE IN GERMANIA TRA DIRITTO AMMINISTRATIVO E NEW PUBLIC MANAGEMENT viene considerata uno strumento prezioso nei rapporti tra i cittadini e l’amministrazione nell’era della cosiddetta democrazia “post-rappresentativa”10. Il concetto sottende una forma di “governance collaborativa”, incentrata sulla condivisione della responsabilità tra cittadini e amministrazione (Verantwortungsverbund) e sul concetto di partecipazione e d’impegno civico11. La dottrina tedesca la considera parimenti una forma di regulierte Selbstregulierung (regolazione autoregolata) che affida alla contrattazione tra le parti poste su un piede di parità la risoluzione di una controversia, mediante un meccanismo dialogico e trasparente12. La diffusione della mediazione è andata di pari passo con altre riforme del diritto amministrativo, influenzate nell’ultimo decennio dalle sollecitazioni del New Public Management, e orientate a forme cooperative e consensuali, cioè non autoritative, di soluzione dei conflitti13. 2. Le sperimentazioni avviate nei Länder tedeschi La mediazione è stata definita in Germania “una riforma pretoria della giustizia” (richterliche Justizreform)14. Essa, infatti, non è stata inizialmente introdotta dal legislatore, bensì su iniziativa dei giudici stessi, poiché più rapida e conveniente del processo tradizionale, oltre che ritenuta un utile strumento per decongestionare il sistema giudiziario. In quest’ambito, infatti, i tribunali si sono mostrati estremamente propensi alla sperimentazione, offrendo al loro interno questa forma alternativa di risoluzione dei conflitti ad opera di giudici appositamente richtsbarkeit, Zwischenbericht, Speyer, 2008; U. BECKER, N. FRIEDRICH, Evaluation des Modellprojekts “Mediation in der Sozialgerichtsbarkeit“, in BAYERISCHES STAATSMINISTERIUM FÜR ARBEIT UND SOZIALORDNUNG, FAMILIEN UND FRAUEN (a cura di), Mediation in der Sozialgerichtsbarkeit – Ergebnisse eines Modellprojekts, München, 2008, p. 11 ss. 10 R. PITSCHAS, op. cit., p. 333. 11 IBID., p. 333. 12 IBID, p. 333. 13 S. VETTER, Mediation und Vorverfahren – Ein Beitrag zur Reform des verwaltungsgerichtlichen Vorverfahrens, Berlin, 2014, p. 9 ss. 14 M.J. SEIBERT, Mediation in der Verwaltungsgerichtsbarkeit Erfahrungen und Überlegungen zu einer alternativen Streitbeilegung, in NVwZ, 2008, p. 365 ss. 211 CRISTINA FRAENKEL-HAEBERLE addestrati. In molti tribunali amministrativi sono stati così istituzionalizzati i “mediatori giudiziari”, modello preponderante in Germania nel processo amministrativo rispetto alle forme di mediazione extragiudiziale che invece hanno avuto una diffusione assai inferiore. Prima del varo della legge federale sulla mediazione del 201215, la dottrina tedesca distingueva le seguenti categorie. Veniva innanzitutto in rilievo, accanto alla mediazione extragiudiziale (außergerichtliche Mediation), la gerichtsinterne Mediation (mediazione processuale) nel diritto di famiglia, civile e amministrativo16. Questa veniva svolta dopo l’instaurazione del giudizio anche se da un giudice esterno al collegio giudicante. Il giudice relatore trasmetteva gli atti al giudice-mediatore. Non erano previste spese giudiziarie e si apriva una parentesi nella trattazione della causa17. Le parti potevano altresì proporre una gerichtsnahe Mediation (esterna al tribunale, ma effettuata durante la pendenza del processo). Quando la mediazione aveva esito positivo veniva redatto un “accordo mediativo” (Mediationsvereinbarung), non giuridicamente vincolante. Secondo altre categorizzazioni si distingueva la vetragsautonome Mediation (mediazione convenzionale, contrattualmente prevista) dalla gerichtsbezogene Mediation (gerichtsintern o gerichtsnah), svolta in pendenza del processo su suggerimento del giudice o delle parti, da mediatori interni o esterni al tribunale18. Esistono peraltro da anni società di avvocati specializzate nella gestione dei conflitti nel settore pubblico, come ad esempio “mediat” e “Mediadvo”19. Le ragioni che hanno provocato la diffusione capillare della mediazione nei tribunali tedeschi, non solo nelle cause civile e penali, bensì anche in ambito amministrativo, sono molteplici, come peraltro è stato rilevato dal Deutscher Juristentag che ha dedicato nel 2008 il suo convegno annuale proprio al tema della Mediation und weiterer Verfahren konsensualer Streitbeilegung (Mediazione e altre procedure di risolu15 Mediationsgesetz (MediationsG) del 21 luglio 2012 (BGBl. I, p. 1577). K-M. ORTLOFF, Mediation – Regelungsbedarf?, in NVwZ, 2008, p. 2544 s. 17 A. GUCKELBERGER, Einheitliches Mediationsgesetz auch für verwaltungsrechtliche Konflikte?, in NVwZ, 2011, p. 390 ss. 18 K-M. ORTLOFF, Mediation – Regelungsbedarf?, cit., p. 2545. 19 H. JOHLEN, M. OERDER, MAH (Münchner Anwalts Handbuch) Verwaltungsrecht, III ed., Monaco, 2012, Rn. 127. 16 212 LA MEDIAZIONE IN GERMANIA TRA DIRITTO AMMINISTRATIVO E NEW PUBLIC MANAGEMENT zione consensuale delle controversie). Viene innanzitutto in rilievo l’architettura estremamente differenziata e sofisticata del sistema tedesco di giustizia amministrativa, unitamente alla sua particolare attenzione alle esigenze del cittadino (Bürgernähe), che viene così arricchito da forme alternative di risoluzione delle dispute. In quest’ottica i tribunali hanno pensato di introdurre la mediazione allo scopo di arricchire la gamma degli strumenti di tutela disponibili, secondo il modello della multi door courthouse20, anche nell’intento di contribuire al miglioramento qualitativo del sistema giudiziario. Vi sono poi ragioni particolari che inducono a prevedere la mediazione dopo la presentazione del ricorso. L’azione giudiziale può, infatti, essere utilizzata per fare pressione sulla controparte e indurla a un accordo. Inoltre, l’interconnessione organizzativa tra attività giurisdizionale e mediazione è ritenuta una combinazione favorevole e un ampliamento delle possibilità di risoluzione delle controversie offerte dalla giustizia. Secondo quest’orientamento i giudici tedeschi, mostrando una certa insofferenza per il limite del sindacato di legittimità, hanno tentato una vera e propria fuga in avanti, “oltre il diritto”21. L’autorità connessa alla funzione di giudice, la sua competenza e l’aura di neutralità e imparzialità connaturate al suo ruolo si ritiene che inducano le parti ad accettare più di buon grado un giudice-mediatore, piuttosto che un avvocato, che nella percezione generale viene maggiormente identificato con gli interessi di una delle parti. Dopo un primo esperimento, svolto nel tribunale amministrativo di Berlino e risalente già al 2000, nel frattempo la mediazione viene praticata più o meno in tutti i Länder. Tale evoluzione è stata avallata anche dal Tribunale costituzionale federale, che ha statuito in un’ordinanza del 14.2.200722 che risolvere una situazione di conflitto attraverso una soluzione consensuale rappresentava, anche in uno Stato di diritto, un’opzione sostanzialmente preferibile al metodo contenzioso23. 20 Cfr. F. BROSIUS-GERSDORF, Dritte Gewalt im Wandel: Veränderte Anforderungen an Effektivität und Legitimität?, VVDStRL, 2014, tesi n. 13. 21 M.J. SEIBERT, Mediation in der Verwaltungsgerichtsbarkeit. Erfahrungen und Überlegungen zu einer alternativen Streitbeilegung, in NVwZ, 2008, p. 369. 22 NJW-RR 2007, 1073. 23 BVerfG, NJW-RR 2007, 1073 (1074). 213 CRISTINA FRAENKEL-HAEBERLE Nel frattempo si contano in Germania oltre 1000 giudici-mediatori che hanno seguito un apposito addestramento e che operano nei tribunali, rappresentando una forma alternativa di risoluzione delle controversie24. Dall’inizio del 2006 la Renania del Nord-Vestfalia, ove operano attualmente in tribunale 21 mediatori, viene considerata una roccaforte della mediazione25. La maggior parte delle mediazioni si svolge in questo Land nel tribunale amministrativo di Minden, ove operano 12 giudici-mediatori nell’ambito di un progetto pilota26. L’introduzione della mediazione si coniuga, nello spirito della direttiva europea n. 52 del 200827, successivamente intervenuta, agli sforzi per un miglioramento qualitativo della giustizia. La formazione dei mediatori è praticata, ad esempio, all’Università telematica di Hagen, dall’Università di Viadrina a Francoforte sull’Oder e in parte nell’ambito di un progetto pilota svolto nel distretto di Ostwestfalen-Lippe28. In assenza di una previsione legislativa unitaria, i Länder tedeschi hanno sostanzialmente seguito percorsi differenziati. Prima del varo della legge, la mediazione era stata introdotta – pur in assenza di una previsione legislativa – in sette Länder tedeschi. Nel Baden-Würtemberg essa veniva praticata dal Tribunale amministrativo di Friburgo; in Mecklenburgo-Pomerania occidentale dal tribunale di Greifswald; in Bassa Sassonia – ove si è svolto dal 2002 al 2005 un progetto pilota – dal Tribunale amministrativo di Hannover; in Sassonia-Anhalt dal tri24 M. EISENBARTH, I. SPIECKER GEN. DÖHMANN, Der Verwaltungsprozess und das erste deutsche Mediationsgesetz – Streit über den Weg der Streitschlichtung, in DVBl, 2012, p. 993. 25 M.J. SEIBERT, op. cit., p. 365. In realtà Münster può storicamente annoverare un mediatore ante litteram di origine italiana. Il doge veneziano Alvise Contarini, che ha svolto proprio a Münster un ruolo preminente nelle negoziazioni per la conclusione della guerra dei trent’anni. Partecipò, fin dal 1642, come inviato di Venezia, all’intavolazione delle trattative per addivenire alla pace di Vestfalia (1648). È questo il motivo per cui l’Istituto sulla mediazione dell’Università telematica di Hagen (Fernuniversität Hagen) porta il suo nome (cfr. U. BATTIS, Mediation in der Bauleitplanung, in DÖV, 2011, p. 343). 26 M.J. SEIBERT, op. cit., p. 366. 27 Direttiva 2008/52/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21.5.2008, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale, L 136/3. 28 M.J. SEIBERT, op. cit., p. 365. 214 LA MEDIAZIONE IN GERMANIA TRA DIRITTO AMMINISTRATIVO E NEW PUBLIC MANAGEMENT bunale di Magdeburgo29. In particolare, ad Amburgo ci si era specializzati nella mediazione nel diritto del lavoro, a Monaco nel diritto sociale30. Il tasso di successo della mediazione giudiziale veniva stimato in ragione del 75 fino al 90%31. 3. Le spinte esercitate dal diritto comunitario A livello europeo un ruolo propulsivo è stato senz’altro svolto dalla Commissione che ha pubblicato nel 2002 un libro verde sull’ADR32. Ha inoltre promosso la redazione di un codice di condotta per i mediatori European Code of Conduct for Mediators33, alla cui stesura hanno partecipato 30 organizzazioni europee operanti nel settore dell’ADR e che è stato approvato il 2.7.200434. Va infine menzionata la direttiva del 2008 con cui si è inteso dare una veste istituzionale alla mediazione a livello europeo. La direttiva 2008/52/CE disciplina alcuni aspetti basilari della mediazione in materia civile e commerciale. Essa prevede però i seguenti due limiti: il suo ambito di applicazione è circoscritto alle mediazioni a carattere transfrontaliero35 ed esclude gli acta jure imperii e le dispute in ambito amministrativo36. La mediazione viene definita come procedimento strutturato su base volontaria. Per garantire la qualità della mediazione si invitano gli Stati membri ad elaborare codici volontari di condotta e a incoraggiare la formazione dei mediatori (art. 4). Vengono altresì disciplinati gli elementi essenziali della mediazione, chiamati in tedesco le 29 K-M. ORTLOFF, Europäische Streitkultur und Mediation im deutschen Verwaltungsrecht, cit., p. 33. 30 IBID., p. 33. 31 IBID., p. 34. 32 Libro verde relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale, COM/2002/0196 def. 33 ZKM 2004,148. 34 K-M. ORTLOFF, Europäische Streitkultur und Mediation im deutschen Verwaltungsrecht, cit., p. 35. 35 Pur precisando che “nulla dovrebbe vietare agli Stati membri di applicare tali disposizioni anche ai procedimenti di mediazione interni“ (considerando n. 8). 36 Art. 1, c. 2. 215 CRISTINA FRAENKEL-HAEBERLE tre “V” e consistenti nella Vertraulichkeit, Verjährung, Vollstreckung, cioè nell’obbligo di riservatezza, nell’effetto della mediazione sui termini di prescrizione e di decadenza, nonché nell’esecutività delle decisioni. La direttiva contiene una definizione molto ampia di mediatore37, anche se esclude dal concetto di mediazione il tentativo di giungere a una transazione da parte del giudice competente. Si tratta peraltro di un’opzione espressamente prevista dal codice di procedura tedesco, secondo cui il giudice adito può proporre alle parti un accordo transattivo38. 4. La legge tedesca sulla mediazione del 2012 In recepimento della direttiva comunitaria è stata varata la legge federale sulla mediazione del 12.7.201239. Secondo il disposto di tale legge (art. 1), i tratti caratteristici della mediazione sono il suo carattere confidenziale, il percorso strutturato, la neutralità del mediatore/dei mediatori e l’autonomia delle parti che si assumono volontariamente e responsabilmente l’onere di addivenire ad una soluzione consensuale di una controversia. La legge tedesca sulla mediazione, peraltro estremamente breve e generica, rinuncia – in aderenza a quanto disposto dalla direttiva comunitaria – ad una disciplina precisa del profilo professiona- 37 Secondo la direttiva (art. 3) “per mediatore s’intende qualunque terzo cui è chiesto di condurre la mediazione in modo efficace, imparziale e competente, indipendentemente dalla denominazione e dalla professione di questo terzo…”. 38 “Ein gerichtlicher Vergleich kann auch dadurch geschlossen werden, dass die Beteiligten einen in der Form eines Beschlusses ergangenen Vorschlag des Gerichts, des Vorsitzenden oder des Berichterstatters schriftlich gegenüber dem Gericht annehmen“ (§ 106 VwGO). Inoltre è espressamente previsto che il presidente del collegio giudicante o il giudice relatore in sede d’istruzione della causa possano esortare le parti a procedere a una composizione bonaria della controversia o a un accordo transattivo (§ 87 VwGO). 39 BGBl. I, p. 1577; in attuazione della direttiva 2008/52/CE sulla mediazione in materia civile e commerciale avente un impatto transfrontaliero, estesa dal legislatore tedesco anche a controversie aventi un mero rilievo nazionale, oltre che a quelle di diritto amministrativo. 216 LA MEDIAZIONE IN GERMANIA TRA DIRITTO AMMINISTRATIVO E NEW PUBLIC MANAGEMENT le del mediatore, presumibilmente anche allo scopo di non ingessare l’evoluzione estremamente dinamica di questa figura professionale40. La direttiva è stata applicata estensivamente in Germania, operando uno spill-over peraltro auspicato dalla direttiva stessa anche alla mediazione di controversie di mero rilievo nazionale, allo scopo di evitare una controproducente frammentazione normativa. Diversamente da altri paesi ove la disciplina della mediazione ha una portata prevalentemente settoriale41, in Germania questo istituto è disciplinato in termini assai generici da un’unica (breve) legge di nove articoli, che include nel proprio ambito di applicazione anche il processo amministrativo. La mediazione è stata prevista, ad esempio, anche nel diritto sociale, ove il § 202 SGG rinvia, analogamente a quanto previsto dall’ordinamento processuale amministrativo (Verwaltungsgerichtsordung – VwGO)42, alle disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili43. In virtù di questo rinvio le parti possono essere invitate dal giudice presso il quale pende la causa a deferire la controversia a un Güterichter (giudice amichevole compositore), peraltro ormai previsto praticamente da tutti i codici di procedura, tranne che da quello di procedura penale44. 40 P. STELKENS et al., Verwaltungsverfahrensgesetz, VIII ed., München, 2014, § 9, Rn. 190 ss. La legge tedesca sulla mediazione contiene la seguente definizione di mediatore: “Persona indipendente e neutrale senza potere decisionale, che guida le parti nella mediazione“ (§ 1, c. 2 legge sulla mediazione). 41 Il Belgio ha inserito con legge del 3.2.2005 la mediazione nel codice di procedura civile; in Inghilterra le Civil Procedures Rules (CPR) prevedono che le parti vengano esortate a utilizzare soluzioni alternative per la risoluzione delle dispute; l’Austria dispone dall’1.5.2004 di un Zivilrechts-Mediations-Gesetz (ZivMeditG), mentre la Svizzera l’1.1.2007 ha inserito l’accordo bonario e la mediazione (gütliche Einigung und Mediation) nella legge sul procedimento amministrativo (art. 3b VwVG). Cfr. più estesamente A. GUCKELBERGER, op. cit., p. 391 s.; K-M. ORTLOFF, Europäische Streitkultur und Mediation im deutschen Verwaltungsrecht, cit., p. 35. 42 Verwaltungsgerichtsordnung – VwGO (Ordinamento processuale amministrativo), nel testo pubblicato il 19.3.1991 (BGBl. I p. 686), e da ultimo modificato dalla legge dell’8.7.2014 (BGBl. I p. 890). 43 H. PLAGEMANN et al. (a cura di), Münchener Anwaltshandbuch Sozialrecht, München, 2013, alla voce “Mediation – Gütericher“, Rn. 32. 44 V. SCHMIDT, in H. SODAN, J. ZIEKOW (a cura di), Verwaltungsgerichtsordnung, Kommentar, IV ed., München, 2013, § 173, Rn. 67. 217 CRISTINA FRAENKEL-HAEBERLE La legge del 2012 ha così determinato l’estensione al processo amministrativo del modello del Güterichter in uso nel processo civile, avente il compito di guidare le parti alla ricerca di una soluzione consensuale, con facoltà di applicare tutti i metodi disponibili per la risoluzione delle controversie, inclusa la mediazione (§ 278 c. 5 ZPO, a cui rinvia il § 173 VwGO). Egli può sia far parte del tribunale presso il quale pende la causa, sia essere un ersuchter Richter (giudice incaricato), proveniente da un altro tribunale o da un’altra giurisdizione45. Tale giudice, diversamente da un mediatore, pur non avendo poteri decisori, può proporre alle parti una soluzione possibile a guisa di accomodamento e anche illustrare loro i punti di diritto rilevanti nella controversia46, oltre a verbalizzare l’accordo transattivo. In alternativa il collegio giudicante può proporre alle parti una mediazione o un altro procedimento di risoluzione extragiudiziale della controversia. Se le parti acconsentono, il giudice dispone la quiescenza del procedimento (§ 278a ZPO, a cui rinvia il § 173 VwGO). Le parti sono libere nella scelta del mediatore extragiudiziale. Dopo il varo della legge del 2012 solo i mediatori extragiudiziali possono fregiarsi di questo titolo. Il collegio giudicante può riassumere il procedimento se ritiene che la mediazione non abbia prospettive di successo. I suoi interlocutori sono le parti e non il mediatore47. La legge si propone in sostanza di distinguere nettamente il ruolo del giudice da quello di mediatore, motivo per cui la mediazione viene scissa dalla trattazione della causa e si svolge fuori dalle aule del tribunale. In sintesi la legge ha come scopo, concluso un periodo di transizione che è scaduto l’1.8.2013, di abolire la figura di “mediatore giudiziale” (gerichtlicher Mediator). La mediazione deve essere in qualche modo sganciata dal processo, allo scopo di facilitare una soluzione consensuale, operando una netta distinzione dei ruoli. L’altra opzione è quella del Güterichter che non è un mediatore, bensì un giudice vero e proprio 45 M.J. SEIBERT, op. cit., p. 366. La legge sulla mediazione prevede viceversa al § 2 c. 6 che il mediatore prospetti alle parti la possibilità di sottoporre l’accordo di mediazione all’esame di un esperto esterno. 47 H. POSSER, H.A. WOLFF, Beck’scher Online-Kommentar VwGO, XXX ed., München, 2014, Rn. 20 e 21. 46 218 LA MEDIAZIONE IN GERMANIA TRA DIRITTO AMMINISTRATIVO E NEW PUBLIC MANAGEMENT precostituito per legge (gesetzlicher Richter), che è parte del procedimento giurisdizionale e che favorisce una soluzione ex aequo et bono. Anche il collegio giudicante può promuovere una soluzione consensuale della controversia, e in tal caso – come si è detto – non si ha mediazione. L’intervento del Güterichter non determina un’interruzione del processo, ma piuttosto ne apre una parentesi, allo scopo di sondare le prospettive di giungere a un accordo bonario. Il Güterichter deve essere stato designato dal tribunale. Egli non adotta alcuna decisione (ist nicht entscheidungsbefugt), ha però il potere di fissare le udienze. Il procedimento si conclude con il rinvio della decisione al collegio giudicante che in caso di esito positivo della mediazione può omologare l’accordo transattivo e disporre il ritiro del ricorso o dichiarare la cessata materia del contendere48. Trattandosi di legge federale è stata sollevata in dottrina la questione della competenza della Federazione a disciplinare la mediazione49. Se, infatti, la mediazione giudiziale può essere correlata alla competenza concorrente della Federazione nella materia “ordinamento della giustizia e procedimento giurisdizionale” (art. 74, c. 1, n. 1 GG), tale sussunzione non può essere effettuata per la mediazione extragiudiziale. In proposito è stata chiamata in causa, a titolo residuale, la competenza concorrente della Federazione relativa alla macromateria del “diritto dell’economia” (art. 74, c. 1, n. 11 GG). Il procedimento amministrativo è, infatti, come regola generale attratto nella competenza legislativa dei Länder. 5. Articolazione della mediazione La mediazione si articola sostanzialmente in tre fasi: una preparatoria, una di negoziazione e una d’implementazione. La fase introduttiva ha soprattutto lo scopo di motivare le parti a giungere a una composizione consensuale della controversia. Segue la fase dello scambio d’informazioni, in cui le parti possono esporre la loro visione dei fatti e de48 49 IBID., Rn. 14 ss. A. GUCKELBERGER, op. cit., p. 394 ss. 219 CRISTINA FRAENKEL-HAEBERLE finire concretamente la loro posizione. Nella fase di definizione degli interessi le parti individuano – con l’aiuto del mediatore – gli interessi economici, ideali, ecc., che intendono tutelare con l’accordo di mediazione. Infine segue la fase dell’accordo, generalmente transattivo, la cui fattibilità deve essere valutata dal mediatore e che prelude a sua volta alla fase attuativa50. Ai sensi della legge tedesca sulla mediazione, le parti possono interrompere in qualsiasi momento la mediazione e lo può fare anche il mediatore, soprattutto se è dell’opinione che non ci siano prospettive di pervenire ad un accordo. Altrimenti il principio della volontarietà (§ 2, c. 5 della legge sulla mediazione)51 – che è un elemento cardine della mediazione – risulterebbe vanificato. Anche il setting della mediazione è diverso da un’aula di tribunale, essendo generalmente rappresentato da un tavolo ovale, da flipcharts, da un dittafono, da bibite. Si cerca in tal modo, anche mediante accorgimenti metagiuridici, di creare un ambiente confortevole, che sia propizio alla ricerca del consenso52. Il mediatore non rappresenta posizioni contrastanti, bensì interessi comuni, finalizzati ad una soluzione consensuale della controversia. Tale attività è incompatibile con l’assunzione del patrocinio legale precedentemente o successivamente alla mediazione a favore di una delle parti, attività peraltro espressamente vietata dalla legge sulla mediazione (§ 3, c. 2). 6. Casi in cui la mediazione è controindicata o viceversa consigliata Soprattutto in seguito alla pubblicazione di un libro, assai dibattuto in dottrina, intitolato Mediation und Vorverfahren53 (Mediazione e ricorso amministrativo) si sono levate voci che auspicano la sostituzione del ricorso amministrativo, da anteporre obbligatoriamente al ricorso 50 E. REINELT, C. STRAHL, Beck’sches Prozessformularhandbuch, XII ed., Monaco 2013, alla voce “Mediator“, Rn. 1-10. 51 IBID., alla voce “Mediationsvereinbarung“. 52 R. FRITZ, H. KRABBE, op. cit., p. 400. 53 Cfr. S. VETTER, op. cit. 220 LA MEDIAZIONE IN GERMANIA TRA DIRITTO AMMINISTRATIVO E NEW PUBLIC MANAGEMENT giurisdizionale nei casi di un’azione d’impugnazione o di adempimento, con la mediazione. Il ricorso amministrativo, che affida il riesame del provvedimento all’amministrazione gerarchicamente sovraordinata, si ritiene che debba ormai lasciare il passo alla logica partecipativa e consensuale. Allo scopo di promuovere una maggiore accettazione delle decisioni amministrative, e quindi di favorire l’adozione di soluzioni condivise, si è proposta l’introduzione standardizzata della mediazione in luogo del ricorso amministrativo (mediatives Vorverfahren). Sono state però anche evidenziate le controindicazioni a questa ipotizzata riforma, che possono essere esplicitate nel modo seguente. Quando viene proposto un ricorso amministrativo non è prevista la presenza fisica delle parti (un’udienza): il procedimento si svolge in forma scritta, tranne che in Renania-Palatinato, ad Amburgo e nel Saarland, ove sono previste apposite commissioni (Widerspruchsausschüsse); la posizione negoziale debole del cittadino può non incentivare l’amministrazione a promuovere la mediazione; in campo amministrativo, in considerazione degli interessi in gioco e dei poteri di cui è dotata l’amministrazione, potrebbe risultare più agevole l’impiego di un mediatore appartenente alla stessa amministrazione, anche se risulterebbe privo della necessaria neutralità; il coinvolgimento di mediatori esterni renderebbe assai costoso il procedimento; va infine menzionata la tendenza di molti Länder a eliminare il ricorso amministrativo previo54. A tali considerazioni se ne aggiungono altre di natura più generale, relative ai limiti che incontra la mediazione in ambito amministrativo. Diversamente dal diritto privato, la mediazione di diritto pubblico viene in rilievo nel caso di conflitti che presentano caratteristiche loro proprie. Le parti in causa non si pongono, infatti, su un piede di parità e non risolvono una controversia nell’ambito della loro autonomia privata. Vengono piuttosto in rilievo poteri di supremazia con il relativo vincolo legislativo e una limitazione dello spazio di negoziazione legato a considerazioni di pubblico interesse e alla presenza di rapporti multipolari, ove emerge l’esigenza di tutelare i terzi controinteressati. Il procedimento amministrativo è finalizzato alla trasparenza e alla legittimità della soluzione da adottare e non necessariamente alla contrattazione 54 G. BEAUCAMP, Mediation im Widerspruchsverfahren, in DÖV, 2011, p. 889 s. 221 CRISTINA FRAENKEL-HAEBERLE della soluzione più conveniente. Rientra inoltre tra le funzioni del giudice amministrativo il riesame degli atti posti in essere dal potere esecutivo (art. 20, c. 3 GG), compito che lo distingue da un mediatore extragiudiziale. L’attività pubblica è caratterizzata dai poteri di supremazia della P.A., da ordini e ingiunzioni e quindi non si presta in termini generali a una procedura mediativa. Inoltre la P.A. è vincolata dalla Legge Fondamentale al principio di legalità, cioè al rispetto della legge e del diritto (an Gesetz und Recht gebunden). I suoi margini di azione sono di conseguenza limitati, quando si è in presenza di un’attività vincolata. Invece quando viene in rilievo uno spazio di valutazione o un apprezzamento discrezionale si possono aprire ambiti di negoziazione sia sul bilanciamento degli interessi, sia sull’interpretazione normativa55. La mediazione si rivelerà inoltre inadeguata, ove vi sia necessità di adottare una decisione che funga da riferimento per ulteriori casi o per controversie che richiedono una risposta univoca su un punto di diritto. Parimenti controindicata è la mediazione in situazioni in cui debba esserci necessariamente un perdente (es. due concorrenti per un posto solo), oppure in controversie che comportino il coinvolgimento di molti soggetti (ad es. in materia tributaria, delle prestazioni sociali). Nonostante ciò, e considerando che anche il diritto tedesco prevede nella disciplina del procedimento amministrativo gli accordi di diritto pubblico, si ritiene che ove ci sia spazio negoziale sia anche concepibile la mediazione e la stipula di accordi transattivi56. I settori in cui è invece consigliata la mediazione in ambito amministrativo sono rappresentati dai rapporti di diritto comune tra cittadino e amministrazione e quindi dalla presenza di situazioni disponibili per le parti, mentre qualora l’amministrazione eserciti un potere d’imperio la mediazione può essere svolta in presenza di uno spazio conformativo (Gestaltungsspielraum)57. In campo amministrativo la mediazione in Germania è praticata soprattutto nel diritto dell’edilizia, ambientale, nell’attività pianificatoria, nel pubblico impiego, nel diritto sociale e in controversie su sovvenzioni. Nei procedimenti formali (förmliche Ver55 U. ZEPT, Mediation im Schatten des Leviathan oder das Verhältnis zwischen hoheitlichem Handeln und Mediation, in DÖV, 2012, p. 631 ss. 56 R. FRITZ, H. KRABBE, op. cit., p. 398. 57 M.J. SEIBERT, op. cit., p. 367. 222 LA MEDIAZIONE IN GERMANIA TRA DIRITTO AMMINISTRATIVO E NEW PUBLIC MANAGEMENT fahren) e nei Planfeststellungsverfahren (procedimenti di formazione e deliberazione dei piani urbanistici) sono invece già previsti nel corso del procedimento elementi partecipativi, volti a favorire la condivisione delle decisioni della P.A., motivo per cui la mediazione viene ritenuta pleonastica58. 7. Lo status del mediatore Prima del varo della legge sulla mediazione è stata ripetutamente sollevata la questione della legittimazione dei giudici allo svolgimento della mediazione, soprattutto in mancanza di una disciplina legislativa espressa. Taluna dottrina ha qualificato la mediazione come attività amministrativa, attribuita al giudice esternamente alla propria funzione giudiziaria (approccio seguito in Bassa Sassonia e in Assia)59. Più convincente può essere invece considerato l’inquadramento della mediazione come un’attività giurisdizionale sui generis, considerando che la risoluzione consensuale di una controversia rientra a pieno titolo tra i compiti del giudice (interpretazione peraltro seguita in MecklenburgoPomerania occidentale e Renania Palatinato)60. Su questo ha fatto chiarezza la legge del 2012, che ha sostituito, attraverso il combinato disposto del § 173 VwGO e del § 278 c. 5 ZPO, la mediazione effettuata nel corso di un giudizio, con la devoluzione della controversia a un giudice avente il compito di fungere da amichevole compositore secondo parametri equitativi (Güterichter). Nel periodo di transizione che, ai sensi del § 9 della legge sulla mediazione è scaduto l’1.8.2013, è stato raccomandato ai giudici il chiarimento di questo aspetto con le parti61. 58 G. BEAUCAMP, Mediation im Widerspruchsverfahren, in DÖV, 2011, p. 887. R. FRITZ, commento dell’ordinanza VGH Mannheim del 9.10.2012, in NVwZ, 2013, p. 381. 60 IBID., p. 381; cfr. anche M.J. SEIBERT, op. cit., p. 366. 61 R. FRITZ, op. cit., p. 379 s. Anche lo status del mediatore extragiudiziale è controverso, considerando che viene talora inquadrato come prestatore di servizi privato, talaltra come ausiliario dell’amministrazione. In entrambi i casi la direzione del proce59 223 CRISTINA FRAENKEL-HAEBERLE La legge prevede requisiti alquanto generici per la formazione del mediatore (apprendimento di tecniche negoziali, di comunicazione e di gestione dei conflitti), rendendo alquanto indefinita questa figura, in sintonia con lo spirito della direttiva. Prevede però anche la figura del “mediatore certificato”, che dovrà seguire un’apposita formazione disciplinata da un regolamento, a cui la legge rinvia (§ 6), ma che deve essere ancora emanato, non essendo ancora stato stabilito a quali soggetti affidare la certificazione e secondo quali criteri. Solo per la formazione del secondo sono previsti standard validati, mentre la figura del “mediatore semplice” non è giuridicamente tutelata. La diffusione dei mediatori all’interno dei tribunali è stata vista con sospetto dalla categoria forense che ritiene che questa forma di soluzione alternativa delle dispute debba essere riservata agli avvocati e non attribuita ai giudici. Gli avvocati temono la competizione (ritenuta sleale) dei giudici, poiché preclusiva di opportunità di guadagno per i privati. I giudici invece vedono nella mediazione uno strumento aggiuntivo e alternativo di gestione dei conflitti, asserendo che non esiste una vera e propria competizione tra mediazione giudiziale ed extragiudiziale, poiché i giudici non offrono i propri servizi sul mercato, limitandosi a prospettare una soluzione alternativa alle controversie già pendenti in tribunale62. Tale competizione in passato era stata però distorta dal fatto che la mediazione processuale veniva praticata gratuitamente dai tribunali. Era stata invece prevista un’apposita voce tariffaria63 per l’avvocatomediatore, con la raccomandazione di raggiungere un accordo con le parti anche su questo punto (generalmente sulla base di una tariffa oraria). I costi della mediazione hanno rappresentato, infatti, un tema controverso, oggetto di una giurisprudenza alquanto ondivaga. Non essendo la mediazione giudiziale prevista come autonoma voce di spesa (probabilmente anche allo scopo di invogliare le parti a fare uso di questo strumento di soluzione delle controversie, o semplicemente a causa dimento rimane nelle mani dell’amministrazione, che garantisce il rispetto delle regole che lo disciplinano (cfr. U. BATTIS, op. cit., p. 343). 62 K-M. ORTLOFF, Europäische Streitkultur und Mediation im deutschen Verwaltungsrecht, in NVwZ, 2007, p. 34. 63 § 34 Rechtsanwaltsgebührentabelle (tabella tariffaria forense). 224 LA MEDIAZIONE IN GERMANIA TRA DIRITTO AMMINISTRATIVO E NEW PUBLIC MANAGEMENT di una lacuna legislativa e quindi del mancato adeguamento del regime tariffario), mancava una disciplina processuale espressa in quest’ambito. La questione è stata oggetto di controversie giudiziarie. È stato presentato, ad esempio, ricorso dinanzi al tribunale amministrativo di Stoccarda, poiché nell’addebito delle spese giudiziarie di un procedimento in cui era stata tentata una mediazione processuale, le spese legali, di viaggio, le diarie, ecc., sostenute per effettuare la mediazione, erano state addebitate alla parte soccombente condannata alle spese del procedimento giudiziario, cioè inglobate nei costi del giudizio. Era stata seguita l’interpretazione secondo cui la mediazione andava inquadrata tra le funzioni giudiziali, pur rappresentando un’attività sui generis64. Tale decisione è stata impugnata dinanzi alla Corte amministrativa di Mannheim65, che è giunta alla conclusione opposta, statuendo che i costi della mediazione interna al processo non dovevano essere addebitati alla parte soccombente nel giudizio. La legge sulla mediazione ha risolto il problema alla radice, eliminando – come si è detto – a partire dall’1.8.2013 (§ 9) la mediazione giudiziale. In pratica la mediazione finora praticata su base informale dai tribunali ha così ricevuto una veste istituzionale, motivo per cui dovrà essere ora previsto in organico un numero adeguato di posti di Güterichter. 8. Considerazioni conclusive La gestione delle controversie fa parte della cultura giuridica di uno Stato. Sulla scia della tendenza allo Stato snello e alla privatizzazione dei servizi pubblici, si riscontra una propensione ad abbinare all’amministrazione della giustizia metodi alternativi di soluzione delle controversie. In Germania la sfida della mediazione è stata interpretata dai giudici all’insegna della Bürgernähe, cioè dell’attenzione al cittadino, e si è quindi prevalentemente innestata all’interno del procedimento giurisdizionale, pur offrendo contemporaneamente alle parti la facoltà di 64 65 VG Stuttgart, ordinanza del 21.9.2011 – S K 2044/10. VGH Mannheim, ordinanza del 9.10.2012 – 3 S 2964/11. 225 CRISTINA FRAENKEL-HAEBERLE optare per la mediazione extragiudiziale. L’esigenza di deflazionare il contenzioso è stata così uniformata alla logica del processo amministrativo: si è tenuto conto della circostanza che la mediazione debba rappresentare una modalità “alternativa” e non “sostituiva” di risoluzione delle controversie che dovrebbero comunque gravitare nel circuito processuale ordinario. Si è evitato di compiere un percorso a ritroso rispetto all’evoluzione che ha interessato la tutela amministrativa, nata dall’impiego di rimedi speciali, e la cui giurisdizionalizzazione è considerata un’eminente conquista dello Stato di diritto. Va però anche considerato che la mediazione involge anche un altro soggetto per il quale essa rappresenta una svolta copernicana. Essa comporta un ripensamento del ruolo dell’amministrazione, usa a decidere e ad adottare provvedimenti. Nell’immaginario collettivo ci si aspetta che agisca unilateralmente invece di negoziare (dass sie handelt und nicht verhandelt)66. La mediazione è invece espressione dello Stato cooperativo e partecipativo, ispirato più al concetto di governance, anzi di good governance, che di government67. La mediazione nell’attività dell’amministrazione richiede che l’approccio unilaterale ceda il passo a un metodo discorsivo (herrschaftsfreier Diskurs), come teorizzato da Jürgen Habermas. Inoltre rispetto alla funzione giurisdizionale incentrata su una soluzione giuridica ex post di un conflitto, l’attività del mediatore è proiettata nel futuro e deve porre in essere una buona dose di creatività nella ricerca di una soluzione appagante per entrambe le parti68. Solo in questo modo la mediazione può esplicare appieno la propria funzione, non solo di appianamento delle controverse presenti, bensì anche di prevenzione dei conflitti futuri. 66 K. BLOCH, Mediation im Verwaltungsrecht, in BayVBl, 2010, p. 137. J.M. VON BARGEN, Mediation im Verwaltungsverfahren nach Inkrafttreten des Mediationsförderungsgesetz, in ZUR, 2012, p. 471. 68 M.J. SEIBERT, op. cit., p. 369. 67 226 NOTE IN TEMA DI TRANSAZIONE E ATTI A FUNZIONE TRANSATTIVA NEL DIRITTO AMMINISTRATIVO Antonio Cassatella SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive: pubblico e privato negli accordi transattivi dell’amministrazione. - 2. Transazioni in senso proprio: gli accordi transattivi su questioni patrimoniali. - 3. Transazioni in senso improprio: il problema degli accordi amministrativi con funzione transattiva. - 4. Transazioni pubblicistiche: spunti per la ricerca di un modello convenzionale di soluzione delle controversie fra amministrazione e privati. - 5. Osservazioni di sintesi. 1. Considerazioni introduttive: pubblico e privato negli accordi transattivi dell’amministrazione La problematica dell’applicabilità del contratto di transazione, e della generale ammissibilità degli atti a funzione transattiva, nelle controversie di cui sia parte l’amministrazione può dirsi un tema classico e moderno al contempo: classico, nella parte in cui i termini del dibattito sono stati posti in dottrina almeno sin dagli anni ’30, grazie ai contributi di De Valles, Guicciardi e Miele1; moderno, nella parte in cui il problema si può inquadrare anche all’interno di più recenti e ancora dibat1 Cfr. A. DE VALLES, Le transazioni degli enti pubblici, in Foro It., 1934, I, 46 ss.; E. GUICCIARDI, Le transazioni degli enti pubblici, in Archivio di diritto pubblico, 1936, 65 ss., cui può rinviarsi anche per un sintetico esame della letteratura di fine ’800 ed inizio ’900, dove il tema era stato comunque affrontato in maniera sporadica; G. MIELE, La transazione nei rapporti amministrativi (1950), ora in ID., Scritti giuridici, II, Milano, 1987, 509 ss. Gli esiti del dibattito, in senso favorevole alla transazione nei rapporti amministrativi, sono documentati anche da M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, II, Milano, 1993, 419; A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, I, Milano, 1989, 603 s. e 735. ANTONIO CASSATELLA tute tematiche, come l’esercizio negoziato della funzione amministrativa2 e la diffusione delle alternative dispute resolution alle controversie di cui sia parte l’amministrazione3. Si tratta, con tutta evidenza, di temi e problemi che impegnano gli operatori sia sul piano della sistematica giuridica che su quello, più ampio, della politica del diritto: se, sul piano della sistematica giuridica, ciò implica una serie di riflessioni inerenti alla transigibilità dei rapporti fra amministrazioni e privati – o fra amministrazioni – e sugli strumenti maggiormente idonei a garantire un simile risultato, sul piano della politica del diritto ci si può invece chiedere entro quali margini, ed attraverso quali eventuali riforme, si possano diffondere nell’ordinamento italiano strumenti alternativi alla tutela giurisdizionale. Negli stretti limiti di questo scritto, si prenderà in esame il problema cercando di delineare i diversi strumenti attraverso i quali l’amministrazione ed i privati possono giungere al risultato pratico della soluzione consensuale di una controversia già sorta, o in grado di sorgere, fra le parti, partendo dal rilievo che nella prassi amministrativa il ricorso ad atti o accordi a funzione (o con finalità) transattiva appare frequente, e spesso irriducibile al modello civilistico del contratto di transazione4. 2 Cfr. P. CHIRULLI, P. STELLA RICHTER, Transazione (dir. amm.), in Enciclopedia del diritto, XLIV, Milano, 1992, ad vocem; C. FERRARI, Transazione della pubblica amministrazione, in Enciclopedia giuridica Treccani, XXXI, Roma, 1994, ad vocem; L. FORMENTIN, Transazione nel diritto amministrativo, in Dig. Disc. Pubbl., XIX, Torino, 1999, ad vocem; G. GRECO, Contratti e accordi della pubblica amministrazione con funzione transattiva (appunti per un nuovo studio) (2005), ora in ID., Argomenti di diritto amministrativo, Milano, 2008, 183 ss. 3 Sul punto sia consentito rinviare ad A. CASSATELLA, Il ricorso alle a.d.r. nelle controversie fra privati e pubblica amministrazione: ammissibilità e limiti, in Dir. & For., 2004, 1203 ss. Nel corso degli ultimi anni il dibattito attorno all’applicabilità delle adr nei rapporti amministrativi si è progressivamente arricchito a fronte della diffusione di tecniche di mediazione e conciliazione giudiziali e stragiudiziali, fra attese del legislatore e perplessità della dottrina, ancora alla ricerca di un quadro sistematico di riferimento: per una efficace sintesi cfr. da ultima M. RAMAJOLI, Strumenti alternativi di risoluzione delle controversie pubblicistiche, in Dir. Amm., 2014, 1 ss., cui si rinvia per più ampi riferimenti bibliografici. 4 Nell’amplissima letteratura in argomento, cfr. almeno F. CARRESI, La transazione, in F. VASSALLI (diretto da), Trattato di diritto civile italiano, IX, Torino, 1966; R. NICOLÒ, Il riconoscimento e la transazione nel problema della rinnovazione del negozio e 228 NOTE IN TEMA DI TRANSAZIONE E ATTI A FUNZIONE TRANSATTIVA Sul piano metodologico, si individueranno i tratti dei diversi strumenti transattivi a partire dalle caratteristiche del rapporto alla base della controversia fra amministrazione e privati: rapporti regolati in prevalenza dal diritto comune; rapporti regolati, sempre in prevalenza, dal diritto amministrativo5. Si assume, infatti, che la disciplina sostanziale del rapporto controverso condizioni, a monte, la tipologia del contratto, dell’accordo o dell’atto attraverso cui si può risolvere la controversia sorta, o in grado di sorgere, a causa delle patologie del rapporto stesso. Pare quindi evidente come l’intera vicenda si iscriva nella cornice della più ampia problematica dei rapporti fra diritto privato e diritto pubblico nell’esercizio dell’azione amministrativa: problematica che, ad avviso di chi scrive, non può essere impostata su argomentazioni tese a far unilateralmente prevalere la disciplina del contratto di transazione di diritto comune o la disciplina dei negozi atipici a funzione transattiva, ma su criteri volti a far emergere i punti di contatto (e contrasto) fra regolazione privatistica e pubblicistica6. Il rilievo sembra confermato dal fatto che gli stessi rapporti fra diritto privato e diritto amministrativo mal si prestano ad essere declinati nei termini della tradizionale dicotomia (se non contrapposizione) fra diritto “comune” e diritto “speciale”, essendo più realistico evidenziare della novazione dell’obbligazione, Messina, 1934; F. SANTORO PASSARELLI, La transazione, II ed., Napoli, 1975; V. POLACCO, Del contratto di transazione, Roma, 1921; S. PUGLIATTI, Della transazione, in M. D’AMELIO, E. FINZI (diretto da), Commentario al Codice civile, Firenze, 1949, 448 ss.; G. STOLFI, La transazione, Napoli, 1931. Nella letteratura più recente, cfr. soprattutto E. DEL PRATO, Transazione (dir. priv.), in Enciclopedia del diritto, XLIV, Milano, 1992, 813 ss.; M. FRANZONI, La transazione, Padova, 2001; G. GITTI, L’oggetto della transazione, Milano, 1999; E. MINERVINI, Della transazione, in P. PERLINGERI (a cura di), Libro IV. Delle obbligazioni, II, Bologna-Napoli, 1991, 1607 ss.; A. PALAZZO, La transazione, in P. RESCIGNO (diretto da), Trattato di diritto privato. Obbligazioni e contratti, XIII, Milano, 1985, 297 ss.; S. RUPERTO, Gli atti con funzione transattiva, Milano, 2002, ai quali si rinvia per ulteriori approfondimenti bibliografici e giurisprudenziali. 5 In tal senso, del resto, cfr. già E. GUICCIARDI, op. cit., 77 ss.; G. GRECO, op. cit., 185 ss. 6 Per tale impostazione, cfr. G. FALCON, Convenzioni e accordi amministrativi (profili generali), ora in ID., Scritti scelti, Padova, 2015, 202. 229 ANTONIO CASSATELLA la specialità reciproca dei due fenomeni ed individuare il modo attraverso cui essi si condizionano a vicenda7. 2. Transazioni in senso proprio: gli accordi transattivi su questioni patrimoniali Una prima tipologia di accordi transattivi incide su rapporti patrimoniali fra amministrazione e privati che trovano la propria fonte prevalente nella disciplina del Codice civile, salve le deroghe imposte dalla disciplina speciale. Casi paradigmatici possono essere quelli di controversie sull’esecuzione dei contratti d’appalto8, sulla ripartizione degli oneri inerenti alla realizzazione di opere di urbanizzazione primaria9, su pretese risarcitorie10, sui contratti di locazione11, oltre che in materia di pubblico impiego12. 7 Per una più ampia analisi del fenomeno e delle interrelazioni fra diritto privato e diritto pubblico, senza pretese esaustive, cfr. V. CERULLI IRELLI, Amministrazione pubblica e diritto privato, Torino, 2011; S. CIVITARESE MATTEUCCI, Regime dell’attività amministrativa e diritto privato, in Dir. Pubbl., 2003, 405 ss.; G. GRECO, L’azione amministrativa secondo il diritto privato, in V. CERULLI IRELLI (a cura di), La disciplina generale dell’azione amministrativa. Saggi ordinati in sistema, Napoli, 2006, 69 ss.; F. TRIMARCHI BANFI, Il diritto privato dell’amministrazione pubblica, in Dir. Amm., 2004, 661 ss., cui si rinvia per ogni approfondimento bibliografico. Per un’impostazione teorico-generale cfr. S. PUGLIATTI, Diritto pubblico e diritto privato, in Enciclopedia del diritto, XII, Milano, 1964, ad vocem. 8 Cfr. Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 2013, n. 3635; Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 2013, n. 3064; Cass. civ., sez. I, 29 febbraio 2008, n. 5433. 9 Cfr. Cass. civ., sez. I, 13 settembre 2013, n. 21012. Sulla possibilità di ricondurre tali transazioni all’esercizio di potestà pubblicistiche, con giurisdizione del g.a., cfr. tuttavia Cass. civ., sez. un., ord., 17 aprile 2009, n. 9151. 10 Cfr. Cass. civ., sez. I, 6 novembre 2014, n. 23655; Cass. civ., sez. I, 2 gennaio 2014, n. 11. 11 Cfr. Cass. civ., sez. III, ord., 29 novembre 2011, n. 25211; Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2004, n. 13082. Cfr. anche Cons. Stato, sez. VI, 4 settembre 2007, n. 4634 12 Cfr. fra le tante Tar Campania, Napoli, sez. V, 20 febbraio 2014, n. 1092; Cons. Stato, sez. V, 13 gennaio 2011, n. 158; Tar Campania, Napoli, sez. V, 23 giugno 2008, n. 6079. 230 NOTE IN TEMA DI TRANSAZIONE E ATTI A FUNZIONE TRANSATTIVA Questa tipologia di liti può implicare una serie di reciproche contestazioni delle parti in ordine all’an o al quantum della somma o del bene spettante al creditore, in rapporto alle caratteristiche del caso concreto. Si giustifica quindi, in molti casi, il ricorso alla transazione disciplinata dagli artt. 1965 c.c. ss., che, come noto, si distingue da altri strumenti di composizione stragiudiziale della lite per il fatto di avvenire mediante reciproche concessioni fra le parti13. Può essere utile individuare la fonte che legittima la conclusione di tali accordi; la loro specifica funzione; il loro oggetto; il loro regime giuridico; le questioni ancora aperte attinenti alla loro disciplina. La fonte degli accordi transattivi può essere individuata nella stessa capacità giuridica di diritto comune della p.a., che legittima l’intera attività di diritto privato della pubblica amministrazione e che consente di stipulare il contratto di transazione sulla falsariga di ogni altro soggetto dell’ordinamento14. Va da sé che si può trovare conferma di questo preliminare rilievo in una serie di norme di diritto positivo, che, implicitamente o esplicitamente, riconoscono la capacità giuridica di diritto comune della p.a. ed autorizzano i singoli organi a stipulare contratti di diritto privato: se anche si volesse prescindere dalle discusse previsioni dell’art. 1, comma 1 bis, della l. n. 241/1990, che consentono alla p.a. di agire – entro limiti in realtà alquanto ristretti – mediante strumenti privatistici15, re13 Sulla specificità della transazione rispetto ad altri strumenti di composizione della lite (negozio di accertamento, conciliazione, arbitrato rituale ed irrituale) cfr. per tutti F. SANTORO PASSARELLI, op. cit., 18 ss. Sempre rilevanti anche le osservazioni di E. GUICCIARDI, op. cit., 214 ss. 14 Cfr. tra gli altri E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, XIII ed., Milano, 2011, 593; G. FALCON, op. cit., 202. Per una recente ricostruzione dell’intero dibattito si veda S. VALAGUZZA, Società miste a partecipazione comunale. Ammissibilità e ambiti, Milano, 2012, 52 ss., anche per ulteriori rinvii. 15 Cfr. D. DE PRETIS, L’attività contrattuale della p.a. e l’art. 1, comma 1 bis, della l. n. 241/1990: l’attività non autoritativa secondo le regole del diritto privato e il principio di specialità, in giustamm (2006); M. GOLA, L’applicazione delle norme di diritto privato, in M.A. SANDULLI (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2011, 162 ss.; N. PAOLANTONIO, Articolo 1, comma 1 bis, in N. PAOLANTONIO, A. POLICE, A. ZITO (a cura di), La pubblica amministrazione e la sua azione. Saggi critici sulla l. n. 241/1990 riformata dalle leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, Torino, 2006, 78 ss. 231 ANTONIO CASSATELLA stano sempre indicative le previsioni degli artt. 13 e 21 del t.u. sull’Avvocatura di Stato, oltre che dell’art. 239 del Codice dei contratti pubblici16. Per quanto concerne l’oggetto della transazione, può osservarsi come essa riguardi rapporti patrimoniali, ossia diritti disponibili da parte della stessa p.a. ai sensi dell’art. 1966 c.c.17. In tal senso, l’oggetto del contratto non diverge, di primo acchito, da quello stipulato fra privati ai sensi dell’art. 1965 c.c., per quanto occorra sottolineare come l’operazione amministrativa in cui si ricorre alla transazione non esaurisca i propri effetti – giuridici e pratici – sul piano meramente patrimoniale. Il modello dell’art. 1965 c.c. viene infatti a situarsi in un contesto più articolato e complesso di quello codicistico, posto che i rapporti fra amministrazione e terzi non possono risolversi in una prospettiva bilaterale o plurilaterale18, ma riflettono la natura multipolare dei rapporti di cui sia parte ogni amministrazione19. Ciò permette di rivisitare le originarie teorizzazioni di Guicciardi in ordine alla piena ammissibilità delle transazioni su rapporti patrimoniali alla luce del diverso contesto ordinamentale, che, pur riconoscendo all’amministrazione la più ampia potestà di agire con strumenti negoziali 16 Cfr. C. POLIDORI, La transazione in materia di appalti pubblici, in Corr. Merito, 2009, 941 ss. 17 Sulla disponibilità dei diritti oggetto di transazione cfr. per tutti F. SANTORO PASSARELLI, op. cit., specie 89 ss. 18 Prospettiva, quest’ultima, che può dirsi tipica di un paradigma relazionale teso a risolvere i rapporti amministrativi nei soli rapporti intercorrenti fra organo titolare del potere di agire e soggetto portatore di un diritto soggettivo e/o di un interesse legittimo oppositivo o pretensivo nei confronti della p.a., al punto di giustificare – almeno sul piano teorico – una sorta di fungibilità fra strumenti autoritativi e strumenti di diritto privato: sui fondamenti di tale concezione, per certi versi derivata dall’influenza della pandettistica sull’analisi degli strumenti dell’azione amministrativa, cfr. G. DEL VECCHIO, Lezioni di filosofia del diritto, Milano, 1950, specie 213 ss. 19 Su tale concetto, e sulla rilevanza degli strumenti convenzionali nella determinazione dell’interesse pubblico concreto, cfr. M.S. GIANNINI, Il pubblico potere. Stato e amministrazioni pubbliche, Bologna, 1986, specie 124 ss. Più recentemente, cfr. S. CASSESE, La formazione e lo sviluppo dello Stato amministrativo in Europa, in S. CASSESE, P. SCHIERA, A. VON BOGDANDY, Lo Stato e il suo diritto, Bologna, 2013, 45 ss.; L. DE LUCIA, Provvedimento amministrativo e diritti dei terzi. Saggio sul diritto amministrativo multipolare, Torino, 2005, specie 111 ss. 232 NOTE IN TEMA DI TRANSAZIONE E ATTI A FUNZIONE TRANSATTIVA di diritto privato, assoggetta ogni attività dei pubblici poteri al doveroso rispetto dei canoni stabiliti dall’art. 1 della l. n. 241/1990 in attuazione dell’art. 97, comma 2, Cost., a propria volta riconducibili alla posizione organizzativa di responsabilità che gli apparati amministrativi assumono ai sensi dello stesso art. 97, comma 3, Cost. 20. A parere di chi scrive, quindi, anche nel momento in cui l’amministrazione ricorre a strumenti di diritto privato nell’esercizio delle proprie funzioni non è possibile qualificare la sua attività nei termini di una pura autonomia negoziale. Tale autonomia resta esclusa, a monte, dal fatto che se l’amministrazione è libera di scegliere i mezzi con cui esercitare le proprie attività, tali attività restano comunque funzionalizzate alla tutela del pubblico interesse, e potenzialmente idonee ad esplicare i propri effetti sulle posizioni giuridiche di una serie indeterminata di soggetti terzi, a vario titolo interessati agli esiti dell’azione21: si tratta, quindi, di un’attività che, anche qualora venga esercitata nelle forme negoziali, resta sempre connotata da una strutturale eteronomia, qui intesa come idoneità a produrre effetti giuridici nella sfera di soggetti esterni alle parti del rapporto contrattuale22. Esemplificando: una transazione attinente alle modalità di esecuzione di un appalto o di opere di urbanizzazione trascende necessariamente gli interessi delle sole parti, incidendo non solo sulla razionale gestione 20 È significativo quanto osservato da Cons. Stato, sez. VI, 2 agosto 2004, n. 5365, dove si evidenzia che “l’amministrazione, nell’usare del diritto privato, ad es. nel concludere transazioni, non si trova nella stessa posizione del privato che può disporre liberamente del suo patrimonio, ma deve rispettare le regole del diritto pubblico (art. 11 c.c. secondo cui le province ed i comuni nonché gli enti pubblici riconosciuti come persone giuridiche pubbliche godono dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico)”. Corsivi miei. 21 Sul punto, in una prospettiva tesa a ridimensionare la stessa dicotomia diritto pubblico e diritto privato nell’attività negoziale della p.a., sono persuasive le osservazioni di B.G. MATTARELLA, L’imperatività del provvedimento amministrativo. Saggio critico, Padova, 2000, specie 365 ss. 22 Sul concetto di eteronomia, e sulle sue matrici filosofiche in contrapposizione a quello di autonomia, cfr. E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1955, 17; H. KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto (1934), trad. it. Torino, 1952, 131 ss.; A. PASSERIN D’ENTRÉVES, Il negozio giuridico. Saggio di filosofia del diritto, Torino, 1934, 30 ss. 233 ANTONIO CASSATELLA di risorse pubbliche, ma pure sull’efficacia, efficienza, trasparenza dell’attuazione delle singole politiche di gestione o governo del territorio. Nel momento in cui l’amministrazione decide di concludere un contratto di transazione, e ne stabilisce il contenuto, si vincola non solo come parte negoziale, ma come apparato che esercita le proprie prerogative nell’interesse pubblico o della collettività di riferimento. Sono le menzionate previsioni dell’art. 97, comma 3, Cost. a giustificare questa specifica interpretazione: se, sul piano organizzativo, ogni amministrazione assume la responsabilità funzionale dell’attuazione del pubblico interesse affidato alle sue cure, ne deriva che qualunque strumento utilizzato a tale scopo – anche privatistico – vada ricondotto all’adempimento dei doveri connessi all’assunzione di responsabilità rispetto alla produzione di determinati effetti giuridici o al raggiungimento di un determinato assetto di interessi23. 23 La tesi è stata sostenuta in A. CASSATELLA, Il dovere di motivazione nell’attività amministrativa, Padova, 2013, specie 249 ss., cui si fa ampio rinvio, anche a fini bibliografici. Basti qui sottolineare come per responsabilità funzionale si intenda una specifica forma di responsabilità ex ante che implica, a carico dell’amministrazione, l’onere di agire a protezione di beni e valori giuridici, assumendo una posizione di garanzia rispetto all’effettività ed efficacia della propria azione. Proprio la necessità di interpretare il ruolo dell’amministrazione nel sistema giuridico come posizione di garanzia funzionalizzata alla tutela di beni e valori (e non di esercizio di potere sovrano) deriva la complessiva necessità di interpretare le regole dell’azione amministrativa in una chiave volta a contemperare validità ed efficacia dell’agire pubblico. È appena il caso come tale responsabilità possa essere distinta da quella ex post, cui fa riferimento anche l’art. 28 Cost., laddove in quest’ultimo caso la p.a. ed i suoi funzionari sono responsabili per fatti (illeciti) compiuti in violazione dei propri doveri istituzionali, e non per fatti da compiere in adempimento di essi. Sui fondamenti teorici della ricostruzione proposta cfr. G. BERTI, La responsabilità pubblica (Costituzione e amministrazione), Padova, 1994, 67 ss. e 357 ss.; D. BIRNBACHER, Philosophical foundations of responsibility, in A.E. AUHAGEN, H.W. BIERHOFF (a cura di), Responsibility. The many faces of a social phenomenon, London-New York, 2001, 9 ss.; H.L.A. HART, Responsabilità e pena (1968), trad. it. Milano, 1981, 157 ss.; J.H. KLEMENT, Verantwortung. Funktion und Legitimation eines Begriffs im Öffentlichen Recht, Tübingen, 2006, 50 ss.; J.R. LUCAS, Responsibility, Oxford, 1993, 54 ss.; U. SCARPELLI, Riflessioni sulla responsabilità politica. Responsabilità, libertà, visione dell’uomo, in R. ORECCHIA (a cura di), La responsabilità politica. Diritto e tempo, Milano, 1982, 45 ss. 234 NOTE IN TEMA DI TRANSAZIONE E ATTI A FUNZIONE TRANSATTIVA Il fatto che l’amministrazione assuma una responsabilità ex ante anche rispetto alla stipulazione di transazioni preordinate alla tutela di interessi che trascendono l’assetto negoziale definito dalle parti, spiega, del resto, le ragioni per le quali la scelta di transigere o meno possa comportare a carico degli amministratori una specifica responsabilità ex post, come quella per danno erariale: se si è già notato, in dottrina, come il sindacato della Corte dei Conti sui contratti di transazione sia uno dei principali ostacoli pratici all’utilizzo di questo strumento da parte delle amministrazioni24, si può in ogni caso osservare che questo tipo di controllo giurisdizionale non sia rinunciabile in un sistema contraddistinto da una concezione responsabilistica e funzionalizzata dall’agire amministrativo25. La chiave di lettura appena delineata ha dei chiari riflessi sul regime giuridico della transazione, per quanto attiene alla formazione della volontà dei contraenti ed al regime del contratto. Per quanto concerne il primo aspetto, si deve tenere conto del pacifico superamento di schemi ricostruttivi psicologistici e volontaristici nella formazione delle decisioni amministrative. Esse costituiscono pur sempre il prodotto delle valutazioni di una pluralità di persone fisiche, all’interno di un’attività che resta funzionalizzata e contraddistinta dal doveroso rispetto di norme procedurali che conformano la stessa emersione degli interessi e dei motivi sottesi ad una determinata scelta: ciò spiega come, anche ai fini della conclusione di un contratto di transazione avente ad oggetto diritti patrimoniali o rapporti di diritto comune, vadano rispettati alcuni canoni procedimentali minimi, parzialmente derogatori rispetto ai principi contenuti nel libro IV del Codice civile26. 24 Cfr. G. GRECO, op. cit., 188. Cfr. Corte Conti Lombardia, sez. giurisd., 21 aprile 2010, n. 137; Corte Conti Lombardia, sez. giurisd., 13 ottobre 2008, n. 662. 26 Sull’abbandono delle tesi psicologicistiche, e sulla progressiva oggettivazione dell’esercizio del potere pubblico, restano fondamentali gli studi di M.S. GIANNINI, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Milano, 1939; A.M. SANDULLI, Il procedimento amministrativo, Milano, 1940, nonché, nell’immediato dopoguerra, F. BENVENUTI, Eccesso di potere per vizio della funzione (1950), ora in ID., Scritti giuridici, I, Milano, 2006, 1015 ss. 25 235 ANTONIO CASSATELLA In tal senso non pare del tutto condivisibile la posizione di chi afferma la natura puramente privatistica della transazione, anche ai fini della formazione della volontà dell’apparato, per il solo fatto che l’ente agisce iure privatorum e senza emanare atti prodromici di natura autoritativa: il rilievo che l’atto non sia autoritativo non esclude che l’amministrazione stia assumendo una responsabilità rispetto all’attuazione dell’interesse pubblico ed all’adempimento dei propri doveri istituzionali, essendo quindi tenuta a rispettare alcuni canoni fondamentali dell’agire amministrativo. La posizione che qui si critica, espressa da una parte della giurisprudenza, fa discendere la disciplina della fattispecie dalla pretesa “natura” privata del contratto, senza considerare come, ai fini della riconducibilità della condotta dell’apparato alla disciplina di diritto speciale, sia necessario muovere dalla posizione organizzativa dell’amministrazione e dalle modalità attraverso cui si formano le decisioni amministrative27: modalità che sono espresse dalle norme di principio desumibili dal titolo I della l. n. 241/1990, imponendo all’amministrazione di formalizzare la propria volontà in un atto che esterni sia i motivi che la congruità della scelta, proprio in forza della efficacia eteronoma della decisione e del fatto che essa sia potenzialmente idonea ad esplicare i propri effetti oltre il rapporto intercorrente con la controparte negoziale28. Esemplificando: se si ammette che una transazione conclusa ai sensi dell’art. 239 del Codice dei contratti pubblici sia regolata in prevalenza da norme di diritto privato, con giurisdizione del g.o. in ordine ad eventuali controversie scaturenti dal suo inadempimento, ciò non esclude che la scelta di transigere da parte dell’organo competente debba rispettare i canoni procedurali e modali dell’azione amministrativa, assumen- 27 Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 4 settembre 2007, n. 4634, dove si afferma la giurisdizione del giudice ordinario in controversie derivanti dall’esecuzione dell’accordo transattivo, escludendo che la stessa revoca della proposta contrattuale da parte dell’ente sia disciplinata dall’art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. 28 Cfr. Corte Conti, Molise, sez. contr., 6 febbraio 2014, n. 30; Corte Conti, sez. II app., 24 maggio 2012, n. 315; Corte Conti, sez. II app., 4 ottobre 2010, n. 372. 236 NOTE IN TEMA DI TRANSAZIONE E ATTI A FUNZIONE TRANSATTIVA do la responsabilità della scelta nei confronti della collettività di riferimento con atto motivato29. Per quanto concerne il regime del contratto, l’interrelazione fra diritto privato e diritto pubblico incide principalmente sull’oggetto delle reciproche concessioni attraverso cui le parti pongono fine alla controversia o ne prevengono l’insorgenza: nel caso in cui le concessioni abbiano ad oggetto somme di danaro rientranti nel patrimonio disponibile della p.a., sarà comunque necessario che la determinazione della somma sia congrua – sulla base di una decisione motivata – onde non determinare un danno all’erario30; nel caso in cui le concessioni abbiano ad oggetto 29 Cfr. Corte Conti, Lazio, sez. giurisdiz., 10 gennaio 2012, n. 22; Corte Conti, sez. III app., 2 novembre 2010, n. 745. Particolarmente significativo l’orientamento espresso recentemente da Corte Conti, Abruzzo, sez. giurisdiz., 2 marzo 2015, n. 28, di cui giova riportare alcuni passaggi. Ad avviso del giudice contabile, “la discrezionalità, anche nell’ambito di una fattispecie transattiva, non può essere confusa con il mero arbitrio e che, in quest’ottica, la elaborazione di una idonea motivazione (con oggettiva estrinsecazione dell’iter logico-giuridico, cioè del criterio, sottostante la scelta discrezionale esercitata) costituisce requisito indefettibile di legittimità dell’esercizio stesso del potere discrezionale”. Ed ancora, a riprova del fatto che la motivazione consiste in una assunzione di responsabilità ex ante della scelta effettuata dall’apparato amministrativo, si è aggiunto che “è ben vero che, dopo le contestazioni formulate dalla Procura regionale, [il funzionario] si è premurato di motivare analiticamente (ma ex post), la convenienza (a suo dire) della transazione; ma è altrettanto vero che, a dispetto degli asseriti approfondimenti verbali svolti, nessuna traccia di essi è rimasta in atti, si dà motivare oggettivamente, ex ante, le ragioni e i presupposti della scelta esercitata. Trattandosi di denaro pubblico… la decisione di riconoscere all’impresa una somma non trascurabile avrebbe dovuto essere senz’altro circostanziata e formalizzata in maniera rigorosa e trasparente, previa accurata analisi delle singole riserve e contestazioni, nonché previa valutazione, almeno prima facie, della fondatezza delle stesse da parte dell’amministrazione comunale, con propri atti interni. In altri termini, la decisione di transigere, e segnatamente di farlo per la somma [individuata], è stata assunta con una valutazione a spanne (o, meglio, al buio), nell’ambito della quale la liquidazione dell’importo pattuito non è discesa da una valutazione discrezionale, bensì dalla pregiudiziale volontà di venire comunque incontro alle richieste dell’impresa e di riconoscere perciò ad essa un forfait al solo fine di evitare le paventate eventuali azioni giurisdizionali ed a prescindere da una ponderata analisi del contenuto delle stesse”. Corsivi miei. 30 Cfr. sempre Corte Conti Abruzzo, sez. giurisdiz., 2 marzo 2015, n. 28; Corte Conti Molise, sez. contr., 6 febbraio 2014, n. 30; Corte Conti, sez. II, 26 ottobre 2010, n. 431; Corte Conti Marche, sez. giurisdiz., 1 giugno 2006, n. 549. 237 ANTONIO CASSATELLA vendita o permuta di beni rientranti nel patrimonio indisponibile, l’alienabilità del bene sarà inoltre condizionata dal rispetto di norme di evidenza pubblica, che limitano l’autonomia negoziale dei pubblici poteri31. Un ulteriore esempio delle interrelazioni fra diritto privato e diritto pubblico riguarda i limiti del riesame del contratto di transazione. Se una parte della giurisprudenza nega che le potestà di revoca o annullamento d’ufficio possano essere esercitate nei confronti di atti negoziali, operando in tal caso solo gli strumenti risolutivi previsti dal Codice civile, la conclusione non pare del tutto condivisibile32: da un lato, l’amministrazione non perde la possibilità di intervenire sui provvedimenti alla base dell’accordo transattivo, e, dall’altro, nessun principio generale esclude che dopo la stipulazione del contratto la p.a. perda la possibilità di riesaminare il proprio operato, laddove ne ravvisi l’inopportunità o la stessa illegittimità33. Ciò pare confermato dalla costante giurisprudenza amministrativa, che ritiene giustificato in re ipsa l’esercizio delle potestà di riesame ogni qual volta l’operato della p.a. determini un ingiustificato esborso di danaro pubblico, o utilità analoga, a favore di privati, a prescindere dal fatto che l’arricchimento ingiustificato sia disposto con atti o contratti34: anche in tal caso, è la stessa posizione di garanzia assunta dall’apparato a tutela della razionale gestione delle risorse pubbliche a giustificare e legittimare l’esercizio di prerogative esorbitanti rispetto a quelle previste dal diritto privato, senza che ciò costituisca un “privile31 Sul punto, e sui limiti dell’applicabilità del contratto di transazione, cfr. Trga Trento, 12 marzo 2014, n. 76; Tar Campania, Napoli, sez. IV, 12 marzo 2002, n. 1278. In materia di pubblico impiego, si consideri inoltre l’ipotesi di transazioni aventi ad oggetto l’individuazione dell’orario di lavoro e del trattamento economico del dipendente pubblico Tar Veneto, sez. II, 28 novembre 1998, n. 2334. 32 In tal senso cfr. Cons. Stato, sez. III, 7 luglio 2011, n. 4083; Tar Campania, Napoli, sez. V, 4 febbraio 2004, n. 1590. 33 Cfr. Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 25 marzo 2011, n. 401; Cons. Stato, sez. VI, 22 marzo 2007, n. 1364. 34 Con riferimento all’annullamento di atti del procedimento transattivo cfr. Tar Campania, Napoli, sez. III, 15 maggio 2014, n. 2696. In generale, cfr. invece Cons. Stato, sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5267; Cons. Stato, sez. V, 27 agosto 2014, n. 4387; Cons. Stato, sez. VI, 26 giugno 2013, n. 3503. 238 NOTE IN TEMA DI TRANSAZIONE E ATTI A FUNZIONE TRANSATTIVA gio” della p.a., trattandosi semmai dell’esercizio doveroso di poteri attribuiti agli apparati nell’interesse pubblico. Va quindi osservato come la vera linea di demarcazione fra l’esercizio di potestà pubblicistiche di riesame e strumenti di diritto privato sia da identificare nella ragione giustificativa delle prerogative esercitate: se revoca e annullamento d’ufficio postulano l’inopportuno o illegittimo esercizio della funzione amministrativa e colpiscono la determinazione a transigere, gli strumenti di diritto privato – come recesso o risoluzione – saranno doverosamente utilizzabili a fronte dell’inadempimento della controparte o di altre cause espressamente pattuite fra le parti35. Cercando di sintetizzare i termini della questione, pur senza trattare in maniera esaustiva tutte le problematiche giuridiche sottese a questa tipologia di contratti, va ritenuto come l’amministrazione sia tendenzialmente libera, nell’an, di stipulare accordi transattivi modellati sulla falsariga degli artt. 1965 c.c. al fine di risolvere controversie di ordine patrimoniale. Va del pari precisato come questa libertà non sia altrettanto ampia nel quomodo e nel quid, nel senso che, proprio in forza dei generali principi dell’art. 1, comma 1 bis, della l. n. 241/1990 e di numerosi indici di diritto positivo, la posizione della p.a. competente a transigere non pare strutturalmente riconducibile a quella di un soggetto completamente autonomo36: sul piano teorico-generale, ciò discende dal rilievo per cui l’autonomia negoziale della p.a. può intendersi come un’autonomia pubblica cui è sempre riconnessa l’assunzione di una precisa responsabilità funzionale della scelta, stante la generale rilevanza dei motivi (e della motivazione) di ogni atto unilaterale ed eteronomo ricondu35 Sulla necessità di operare questa distinzione sia consentito un rinvio ad A. CASRitiro di sovvenzioni e riparto di giurisdizione: le Sezioni Unite indicano la via… senza poi seguirla, in Diritto e Formazione, 2008, 406 ss. Sul punto, cfr. però la recente Ad. Plen, 20 aprile 2014, n. 14, dove, pur sottolineando come dopo la stipulazione del contratto d’appalto la revoca per sopravvenute ragioni di pubblico interesse non sia ammessa – dovendosi disporre semmai il recesso negoziale dal contratto – restano pur sempre applicabili le previsioni dell’art. 1, comma 136, della l. n. 311/2004 (ossia l’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione illegittima). 36 Per una efficace sintesi cfr. Corte Conti Piemonte, sez. contr., 26 settembre 2013, n. 344. SATELLA, 239 ANTONIO CASSATELLA cibile all’apparato amministrativo; sul piano del diritto positivo e dei principi dell’azione amministrativa, può sottolinearsi come la posizione di garanzia della p.a. rispetto all’attuazione delle singole politiche pubbliche implichi un esercizio funzionalizzato ed eteronomo della facoltà di transigere, caratterizzato dal rispetto di norme modali e di azione proprie del diritto amministrativo37. Va da sé che quest’operazione potrebbe essere integralmente assorbita nella disciplina di diritto comune, laddove si ritenesse – nel solco di autorevole dottrina38 – che l’autonomia privata possa risolversi nell’esercizio di attività regolate da norme procedurali, o da canoni come buona fede e correttezza comunque idonei a condizionare le modalità di formazione delle decisioni: tuttavia, come già si è avuto modo di sostenere in altra sede, questa possibilità appare più astratta che concreta, laddove l’ordinamento contiene una serie di norme derogatorie e speciali rispetto ai principi generali di matrice privatistica39. Sul piano della politica del diritto, non potrebbe del resto più sostenersi che tali norme siano espressive di un retaggio teso a garantire il privilegio dell’amministrazione, posto che, almeno dagli anni ’40 del secolo scorso e soprattutto dall’entrata in vigore della l. n. 241/1990, non pare possa dubitarsi che le norme procedurali o modali inerenti alla formazione delle decisioni amministrative – anche se destinate a confluire in una fattispecie negoziale e tendenzialmente paritaria – abbiano 37 Per questi aspetti, rinvia sempre ad A. CASSATELLA, Il dovere di motivazione, cit., 275 ss. La irrilevanza dei motivi, nel contratto di transazione regolato dal diritto privato, è coerentemente profilata da F. SANTORO PASSARELLI, op. cit., 233 ss. 38 Cfr. SAL. ROMANO, L’atto esecutivo nel diritto privato. Appunti, Milano, 1958. Per una ricostruzione del pensiero dell’A., riguardo ai rapporti fra disciplina privatistica e pubblicistica, cfr. F. MERUSI, Il diritto privato della pubblica amministrazione alla luce degli studi di Salvatore Romano, in AA.VV., Salvatore Romano giurista degli ordinamenti e delle azioni, Milano, 2007, 47 ss. Per una rivisitazione delle tesi romaniane, in ambito privatistico, cfr. S. RUPERTO, op. cit., 142 ss. 39 Sul punto sia consentito rinviare ad A. CASSATELLA, Potestà di autotutela, risarcimento del danno e riparto di giurisdizione: vecchi temi e nuovi problemi, in Diritto e Formazione, 2011, 387 ss. 240 NOTE IN TEMA DI TRANSAZIONE E ATTI A FUNZIONE TRANSATTIVA anche una precisa funzione garantistica, a duplice tutela dell’amministrazione e degli stessi soggetti privati40. 3. Transazioni in senso improprio: il problema degli accordi amministrativi con funzione transattiva Un secondo tipo di accordi transattivi ha ad oggetto rapporti connessi all’esercizio del potere pubblico41. Anche in tal caso l’analisi può articolarsi mediante l’identificazione della fonte che legittima gli accordi, della loro funzione, del loro oggetto, del loro regime giuridico e delle principali problematiche sottese al fenomeno. È noto come uno dei principali meriti della dottrina di Guicciardi sia stato quello di estendere l’ambito applicativo della transazione a questa tipologia di rapporti, superando l’ostacolo teorico rappresentato dalla indisponibilità del potere pubblico42. Ciò avveniva non senza cautele, 40 Fondamentali, anche sotto il profilo dell’impostazione culturale della l. n. 241/1990, le argomentazioni di M. NIGRO, Procedimento amministrativo e tutela giurisdizionale contro la pubblica amministrazione (il problema di una legge generale sul procedimento amministrativo) (1980), ora in ID., Scritti giuridici, III, Milano, 1996, 1427 ss.; G. PASTORI, La disciplina generale del procedimento amministrativo. Considerazioni introduttive, in AA.VV., La disciplina generale del procedimento amministrativo. Contributi alle iniziative legislative in corso. Atti del XXXII convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Milano, 1989, 29 ss. 41 Va da sé come ogni discussione in argomento postuli, a propria volta, più profonde riflessioni attorno allo stesso concetto di potere giuridico e di potere pubblico, anche in rapporto alla disciplina costituzionale di riferimento. Il tema non può essere, come ovvio, affrontato in questa sede: si rinvia, tra gli altri, a V. CERULLI IRELLI, Il potere amministrativo e l’assetto costituzionale delle funzioni di governo, in Dir. Pubbl., 2011, 33 ss.; S. CIVITARESE MATTEUCCI, Funzione, potere amministrativo e discrezionalità in un ordinamento liberal-democratico, in Dir. Pubbl., 2009, 739 ss.; G. DI GASPARE, Il potere nel diritto pubblico, Padova, 1992; B.G. MATTARELLA, Potere amministrativo, in S. CASSESE (diretto da), Dizionario di diritto pubblico, V, Milano, 2006, ad vocem; A. ROMANO TASSONE, Note sul concetto di potere giuridico, in Ann. Fac. Economia Messina, 1981, 405 ss. 42 Cfr. E. GUICCIARDI, op. cit., 118 ss. Sul punto cfr. anche G. GRECO, op. cit., 183 ss. 241 ANTONIO CASSATELLA che finivano per ridurre l’effettiva portata dell’innovazione teorica al caso in cui l’amministrazione avesse emanato atti di dubbia legittimità e concedesse al destinatario una somma di danaro allo scopo di evitare la proposizione del ricorso o di determinare la rinuncia alla prosecuzione di un eventuale giudizio43. I fondamenti di questa ricostruzione sono rimasti per certi versi insuperati nel corso dei successivi decenni, quando il dogma della indisponibilità del potere pubblico è stato ulteriormente ridimensionato dalla dottrina, che – a differenza di quanto sostenuto dallo stesso Guicciardi – è giunta ad ammettere la stessa possibilità di disporre del potere amministrativo mediante atti negoziali: che ciò avvenga sulla base di norme di diritto positivo, o, come sostenuto da altri, sulla base di una concezione oggettivata e paritaria dell’azione amministrativa44, nulla toglie al fatto che il maggior limite alla più ampia diffusione delle transazioni di diritto pubblico è stato superato sia dal diritto positivo che da giurisprudenza e dottrina. Questi mutamenti, compatibili con una lettura costituzionalmente orientata dell’agire amministrativo e con i diversi modelli di amministrazione emersi nei decenni successivi alla pubblicazione dello studio di Guicciardi, hanno indotto la dottrina a rivisitare la tematica della transazione nel nuovo contesto ordinamentale, valorizzando le previsioni dell’art. 11 della l. n. 241/1990: previsioni che, nell’ammettere l’esercizio negoziato e consensuale del potere discrezionale, lasciano presupporre che gli accordi procedimentali possano avere anche funzione transattiva e si pongano quindi come fonte delle transazioni di diritto pubblico45. 43 Cfr. sempre E. GUICCIARDI, op. cit., 128 ss. Si fa riferimento soprattutto a F. BENVENUTI, L’amministrazione oggettivata: un nuovo modello (1978), ora in ID., Scritti giuridici, IV, Milano, 2006, 3467 ss. 45 Nella recente giurisprudenza, cfr. Tar Abruzzo, Pescara, sez. I, 12 marzo 2015, n. 107. In dottrina cfr. G. GRECO, op. cit., 193 ss.; P. CHIRULLI, P. STELLA RICHTER, op. cit., 870 ss. Sulla tematica dei contratti pubblici e degli accordi procedimentali, nell’ampia letteratura di riferimento, cfr. M. D’ALBERTI, Le concessioni amministrative, Napoli, 1981; G. FALCON, Le convenzioni pubblicistiche. Ammissibilità e caratteri, Milano, 1984; R. FERRARA, Gli accordi tra privati e la pubblica amministrazione, Milano, 1985; G. GRECO, I contratti dell’amministrazione tra diritto pubblico e privato, Milano, 1986, ai quali si fa rinvio per più ampi riferimenti. Dopo l’entrata in vigore 44 242 NOTE IN TEMA DI TRANSAZIONE E ATTI A FUNZIONE TRANSATTIVA Nella medesima prospettiva di analisi appena seguita, potrebbe quindi ritenersi che anche gli accordi procedimentali siano espressivi di una responsabilità funzionale della p.a., la quale, a differenza di quanto avviene nell’esercizio del potere autoritativo, fronteggia (e dialoga con) l’autonomia del contraente privato sia nella fase istruttoria che nella fase propriamente decisoria del procedimento: ciò che un tempo, e nelle stesse teorizzazioni di Guicciardi, era possibile solo mediante provvedimenti dell’autorità amministrativa, appare oggi possibile anche attraverso gli accordi procedimentali46. Ne deriva, in concreto, che eventuali controversie sull’esercizio del potere amministrativo potrebbero essere prevenute o risolte attraverso tali accordi – integrativi o sostitutivi – che, pur non essendo appieno riconducibili al modello dell’art. 1965 c.c. ed alla relativa disciplina, avrebbero le stesse finalità della transazione di diritto privato. Ciò incide sul regime giuridico dell’accordo con funzione transattiva, retto sia dal punto di vista procedurale sia dal punto di vista contenutistico da norme di diritto pubblico, e da norme di diritto privato solo in quanto compatibili con la peculiare struttura di un accordo – anche ai sensi dell’art. 11, comma 2, della stessa l. n. 241/1990 – che non nasce dall’incontro di due volontà in senso naturalistico o psicologistico, ma dal confronto e bilanciamento di interessi diseguali compiuto nell’ambito del procedimento amministrativo: interessi pubblici da un lato, privati ed essenzialmente patrimoniali dall’altro. Le implicazioni pratiche della ricostruzione sono molteplici: la formazione della volontà negoziale dovrà seguire la disciplina stabilita della l. n. 241/1990 E. BRUTI LIBERATI, Consenso e funzione nei contratti di diritto pubblico tra amministrazioni e privati, Milano, 1996; S. CIVITARESE MATTEUCCI, Contributo allo studio del principio contrattuale nell’attività amministrativa, Torino, 1995; M. DUGATO, Atipicità e funzionalizzazione nell’attività amministrativa per contratti, Milano, 1996; F. FRACCHIA, L’accordo sostitutivo. Studio sul consenso disciplinato dal diritto amministrativo in funzione sostitutiva rispetto agli strumenti unilaterali di esercizio del potere, Padova, 1998; G. GRECO, Accordi amministrativi. Tra provvedimento e contratto, Torino, 2003; G. MANFREDI, Accordi e azione amministrativa, Torino, 2001; P.L. PORTALURI, Potere amministrativo e procedimenti consensuali. Studi sui rapporti a collaborazione necessaria, Milano, 1998. 46 Cfr. E. GUICCIARDI, op. cit., 228 ss. Per la tesi evolutiva, cfr. G. GRECO, op. cit., 189 ss. 243 ANTONIO CASSATELLA dall’art. 11 della l. n. 241/1990 o da altre norme speciali47; il rapporto sarà regolato dalle medesime previsioni di legge, con la possibilità di ricorrere all’esercizio di potestà di riesame, quantomeno nelle forme del recesso48; la giurisdizione esclusiva in materia spetterà al giudice amministrativo49. Se la fisionomia dell’istituto appare lineare, va nondimeno avvertito come, ad un esame più approfondito del fenomeno, sorgano alcune difficoltà ad ammettere che l’art. 11 possa non solo legittimare, ma anche disciplinare, una sorta di accordo procedimentale con funzione transattiva. Un primo problema attiene al fatto che gli accordi procedimentali disciplinati dall’art. 11 della l. n. 241/1990 hanno ad oggetto, per espressa scelta del legislatore, l’esercizio del potere discrezionale della p.a. e rappresentano, quindi, una tecnica di fissazione consensuale dell’interesse pubblico concreto che emerge al termine del bilanciamento di interessi sotteso ad una determinata operazione amministrativa: se si pone mente alla originaria concezione della discrezionalità amministrativa teorizzata da Giannini50, come pure a quella di funzione amministrativa individuata da Benvenuti51, può notarsi come gli accordi procedimentali siano strumenti preordinati a definire conflitti economico-sociali fra amministrazione e privati, o, ancora, a favorire una cooperazione fra pubblico e privato nell’attuazione delle politiche pubbliche. 47 Ciò, specie per quanto concerne la determinazione motivata dell’organo competente, nella quale dovranno evidenziarsi le ragioni che giustificano l’accordo transattivo. Sul procedimento di conclusione degli accordi cfr. Cons. Stato, sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6344. 48 Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 8 luglio 2013, n. 3597; Tar Piemonte, sez. II, 15 aprile 2011, n. 379; Cons. Stato, sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6344; Cons. Stato, sez. IV, 6 novembre 1998, n. 1448. Sull’illegittimità di attività di riesame volte ad inibire gli effetti di una transazione già intervenuta fra le parti – anziché alla tutela dell’interesse pubblico concreto – cfr. tuttavia Tar Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 26 marzo 2015, n. 210. 49 Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 novembre 2009, n. 7057. 50 Cfr. M.S. GIANNINI, Il potere discrezionale, cit., 72 ss. 51 Cfr. F. BENVENUTI, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1952, 118 ss.; ID., Semantica di funzione (1985), ora in ID., Scritti giuridici, IV, Milano, 2006, 3875 ss. 244 NOTE IN TEMA DI TRANSAZIONE E ATTI A FUNZIONE TRANSATTIVA L’assunto non pare compatibile con la natura del contratto di transazione, che, secondo la tesi maggioritaria, appare preordinato alla soluzione di controversie giuridiche in cui il conflitto di interessi fra le parti riguarda reciproche pretese contrapposte e fondate su una differente interpretazione di norme attributive di diritti e di obblighi52. Ne deriva che, con specifico riferimento alle liti di cui sia parte l’amministrazione, il conflitto giuridico ha ad oggetto la conservazione o la spettanza di un dato bene della vita a seguito del pregresso esercizio di un potere amministrativo che si sia tradotto in atto ablatorio o nel diniego di provvedimento favorevole; il che postula l’intervenuto esercizio di attività vincolata o tecnico-discrezionale, o la consumazione di un potere discrezionale tradottosi in provvedimento sfavorevole al privato, o, ancora, un silenzio inadempimento lesivo di specifiche aspettative. Se così è, può agevolmente osservarsi come l’accordo procedimentale operi su un piano distinto dalla transazione quanto a presupposti, oggetto ed effetti53: presupposto non è la consumazione di un potere che si assume esercitato in maniera illegittima, ma la necessità di esercitare un potere di amministrazione attiva; non la res litigiosa, ma la definizione dell’interesse pubblico senza eccessivo o sproporzionato sacrificio per il privato; non le reciproche concessioni con attribuzione di beni, ma una sorta di scelta di compromesso apprezzabile sul piano dell’opportunità amministrativa54. Solo in via eccezionale, ed a fronte di specifici presupposti, tali accordi potranno quindi assumere, in senso lato, una funzione transattiva: 52 Sulla distinzione fra conflitti economici e conflitti giuridici cfr. E. GUICCIARDI, op. cit., 80; F. SANTORO PASSARELLI, op. cit., 5 ss.; S. RUPERTO, op. cit., 82 ss. e 109 ss. Il fatto che una parte della dottrina abbia qualificato la collaborazione fra p.a. e privati come una coalizione decisionale volta alla definizione consensuale del contenuto di determinate operazioni amministrative conferma il rilievo per cui gli accordi procedimentali possono essere tutt’al più intesi come strumento di mediazione sociale e legittimazione dell’attività degli apparati pubblici, più che come strumento transattivo in senso proprio: sul punto, cfr. M. BOMBARDELLI, Decisioni e pubblica amministrazione. La determinazione procedimentale dell’interesse pubblico, Torino, 1996, specie 175 ss. 53 Seppur con alcune cautele, cfr. P. CHIRULLI, P. STELLA RICHTER, op. cit., 870. 54 In tal senso, cfr. Tar Lombardia, Brescia, sez. II, 2 novembre 2009, n. 1820; Tar Lazio, Roma, sez. III quater, 18 dicembre 2008, n. 11695. 245 ANTONIO CASSATELLA il che avviene quando il presupposto dell’apertura del procedimento destinato a concludersi mediante accordi ai sensi dell’art. 11 della l. n. 241/1990 sia dato da un preesistente conflitto giuridico sorto, o in grado di sorgere, fra le parti. È intuitivo come tale evenienza possa ricorrere nel caso in cui l’amministrazione stia esercitando potestà di riesame integrando (o sostituendo) atti ad esito eliminatorio o conservativo mediante accordi procedimentali: sembrano emblematiche le previsioni dell’art. 1, comma 136, della l. n. 311/2004, che impongono di tenere indenne il privato delle conseguenze pregiudizievoli nascenti dall’annullamento che incide su rapporti negoziali, ammettendo implicitamente che l’indennizzo possa essere negoziato o che gli stessi effetti dell’annullamento possano essere in qualche modo graduati55. In termini più generali, lo stesso schema ricorre quando il ritiro dell’atto illegittimo favorevole sia integrato da un accordo volto a tutelare l’affidamento del destinatario incolpevole, potenzialmente interessato a contestare in giudizio l’attività di riesame: analogamente avverrebbe nel caso di una convalida in corso di giudizio, in cui il riconoscimento del vizio sia integrato da accordi tesi ad evitare la proposizione di motivi aggiunti avverso l’atto di secondo grado56. Va da sé che anche in tal caso si può parlare solo impropriamente di transazione, laddove la finalità dell’accordo procedimentale non consiste nella soluzione di una controversia, ma nell’individuazione (negoziata) dell’interesse pubblico concreto, nel rispetto di canoni di ragionevolezza, imparzialità e proporzionalità definiti dalla legge e dalla giurisprudenza57. 55 Si rinvia ad A. CASSATELLA, La nuova disciplina dell’annullamento d’ufficio al vaglio della giurisprudenza amministrativa, in Foro Amm. Tar, 2006, 2186 ss. 56 Ciò appare coerente con il rilievo, affermato in giurisprudenza, per cui gli accordi procedimentali non possono eludere il principio di tipicità e nominatività dei provvedimenti unilaterali, anche ai fini della produzione dei relativi effetti giuridici: cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 luglio 2010, n. 4545. 57 La rilevanza – e prevalenza – dell’interesse pubblico nell’accordo procedimentale è ribadita da Cons. Stato, sez. IV, 25 settembre 2014, n. 4812. 246 NOTE IN TEMA DI TRANSAZIONE E ATTI A FUNZIONE TRANSATTIVA 4. Transazioni pubblicistiche: spunti per la ricerca di un modello convenzionale di soluzione delle controversie fra amministrazione e privati Se pare dubbia la possibilità di individuare nell’art. 11 della l. n. 241/1990 la fonte e la disciplina delle transazioni di diritto pubblico, ciò non toglie che il fenomeno possa essere analizzato a partire dalla disciplina speciale, ricostruendo un modello di convenzione transattiva spiccatamente pubblicistico, al quale applicare in via prevalente norme e principi propri dell’esercizio della funzione amministrativa mediante forme negoziali. Tale operazione è possibile su base induttiva, ossia attraverso la ricerca di fonti, funzione, oggetto, disciplina di questa particolare tipologia di accordi, che vanno distinti tanto dalle transazioni su rapporti patrimoniali che dagli accordi procedimentali con funzione transattiva esaminati in precedenza. Per quanto concerne le possibili fonti delle transazioni pubblicistiche, sembra possibile individuare dei casi in cui sono le singole norme speciali ad attribuire alla p.a. il potere di transigere su determinate tipologie di rapporti controversi, come nel caso paradigmatico delle transazioni per danni trasfusionali58, o delle transazioni a favore delle vittime 58 Cfr. la disciplina del d.m. 4 maggio 2012, che disciplina le modalità di conclusione degli accordi transattivi, regolando anche il procedimento di formazione del negozio. Come bene evidenzia il Consiglio di Stato, “la normativa legislativa e regolamentare che disciplina la fattispecie, ha una struttura non compatibile con una ricostruzione in termini di pura attività privatistica, atteso che è intervenuto un decreto attuativo ministeriale che regolamenta il potere di transazione, facendo risaltare profili attratti alla sfera pubblicistica, esistono dei criteri di priorità nella stipulazione delle transazioni fondata su elementi obiettivi e, a parità di gravità dell’infermità, la preferenza è accordata ai soggetti in condizioni di disagio economico accertate mediante l’utilizzo dell’indicatore della situazione economica equivalente (Isee), previsione quest’ultima non compatibile con una ricostruzione della fattispecie in termini privatistici di estrinsecazione del principio di libertà contrattuale. Una tale procedimentalizzazione del potere (ulteriormente confermata dal D.M. 28 aprile 2009, n. 132 del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, e dal D.M. 4 maggio 2012, che hanno determinato le modalità attuative per la stipulazione degli atti di transazione con l’individuazione dei presupposti per la stipulazione e dei criteri di valutazione delle diverse fattispecie, la previsione di termini per la presentazione delle domande, della modulistica e della documentazione da allegarsi, ed un’articolata disciplina del procedimento 247 ANTONIO CASSATELLA di atti di matrice terroristica59, oltre che in una serie di casi previsti dalla legislazione regionale60. Nel novero delle transazioni pubblicistiche possono farsi rientrare anche le transazioni fiscali61. Accanto a queste ipotesi, sembra possibile ravvisare la fonte del potere di transigere nelle stesse norme di attribuzione dei singoli poteri di amministrazione attiva: se, infatti, si ammette che tali norme attribuiscano alla p.a. anche le responsabilità funzionali connesse all’esercizio o al mancato esercizio del potere, e la facoltà di riesaminare i propri atti, deve logicamente ammettersi che da siffatta responsabilità derivi anche il potere di stipulare convenzioni pubblicistiche finalizzate alla soluzione di liti in senso tecnico-giuridico. A differenza di quanto avviene per l’attività di riesame – la cui natura discrezionale è incontestata62 – nel caso degli accordi transattivi deve escludersi che la p.a. effettui valutazioni discrezionali in accezione propria, e nel senso che si è visto caratterizzare le transazioni ricondotte all’art. 11 della l. n. 241/1990: si tratta di attività vincolata quanto alla determinazione dei presupposti di fatto, individuabili in una res litigiosa connessa al pregresso esercizio del potere amministrativo o alla amministrativo, degli importi e di ogni altra condizione e modalità riguardante i moduli transattivi per ciascuna classe di danneggiati) comporta l’applicabilità dei principi propri dell’attività pubblicistica e delle previsioni in materia di termine del procedimento e silenzio previste dalla L. 7 agosto 1990, n. 241 e dal codice del processo amministrativo” (cfr. Cons. di Stato, sez. III, 24 novembre 2011, n. 6244). Corsivi miei. 59 Cfr. art. 13 della l. n. 206/2004. 60 Cfr. art. 27, comma 9, della l.r. n. 4/2006 della Regione Sardegna, in materia di transazioni speciali finalizzate alla riscossione dei crediti dell’Amministrazione regionale; art. 1 della l.r. 24/1996 della Regione Toscana in materia di obbligazioni fideiussorie assunte dal Fondo regionale di Garanzia; art. 10 della l.r. n. 10/1995 della Regione Molise, in materia di risanamento delle situazioni di passività di alcuni enti. 61 Cfr. art. 182 ter della l. fall.; art. 29 d.P.R. 131/1986. 62 Cfr. tra gli altri G. FALCON, Questioni sulla validità ed efficacia del provvedimento amministrativo nel tempo (2003), ora in ID., Scritti scelti, Padova, 2015, 439 ss.; G. LIGUGNANA, Profili evolutivi dell’autotutela amministrativa, Padova, 2004. Per una ricognizione della problematica, e ampi rinvii alla letteratura classica in materia, cfr. anche R. CHIEPPA, Provvedimenti di secondo grado (dir. amm.), in Enciclopedia del diritto. Annali, II, Milano, 2008, ad vocem. Il dibattito tradizionale è documentato da F. BENVENUTI, Autotutela (dir. amm.), in Enciclopedia del diritto, IV, Milano, 1959, ad vocem. 248 NOTE IN TEMA DI TRANSAZIONE E ATTI A FUNZIONE TRANSATTIVA mancata adozione di provvedimenti doverosi; di attività vincolata quanto ai presupposti di diritto, individuabili in una controversia attinente alla valutazione della illegittimità o illiceità della precedente condotta della p.a. o della controparte; di attività vincolata nel fine, posto che l’accordo transattivo non mira alla definizione dell’interesse pubblico concreto sotteso ad un bilanciamento di interessi discrezionale, ma alla definizione dei limiti entro i quali l’interesse pubblico originariamente perseguito dalla p.a. possa essere conservato, salvaguardando anche il separato interesse della parte privata. Per esemplificare: una transazione di tal genere potrebbe individuarsi nel caso di diniego di permesso di costruire, derivante da discrepanze fra previsioni cartografiche e norme di attuazione del piano. L’accordo transattivo potrebbe implicare, per il Comune, l’obbligo di procedere alla rettifica di errori materiali della cartografia o delle norme di attuazione, nel rispetto delle originarie previsioni di zona, e, per il privato, la rinuncia alla prosecuzione della controversia e a pretese risarcitorie nascenti dalla mancata o ritardata emanazione del provvedimento atteso. Ancora, si pensi al caso in cui venga emanata un’ordinanza che vieti ad un bar la somministrazione di bevande alcoliche oltre una determinata fascia oraria, giustificando il provvedimento per ragioni legate alla tutela della sicurezza urbana. In caso di controversia fra le parti, il Comune si potrebbe obbligare ad aprire un procedimento di revisione dell’ordinanza, mentre il privato – oltre a rinunciare ad ogni impugnazione e pretesa patrimoniale – potrebbe impegnarsi a garantire una più efficace vigilanza della condotta degli avventori del locale63. La funzione di tali convenzioni sarebbe, allora, quella di giungere alla soluzione stragiudiziale di controversie occasionate dall’esercizio della funzione o dall’inerzia della p.a., e, in generale, dal mancato adempimento dei doveri che gravano sulla p.a. in quanto soggetto titolare di una posizione di garanzia rispetto all’attuazione dell’interesse pubblico senza illegittimo sacrificio degli interessi privati64. 63 Per un’applicazione, ancorché peculiare, cfr. Trga Trentino-Alto Adige, Trento, 23 luglio 2009, n. 218. 64 Cfr. Tar Puglia, Lecce, sez. I, 22 febbraio 2007, n. 617, laddove si è osservato come l’accordo transattivo non possa avere ad oggetto rapporti o situazioni estranee alla 249 ANTONIO CASSATELLA Così intese, le transazioni pubblicistiche hanno ad oggetto qualsiasi rapporto connesso all’esercizio o al mancato esercizio della funzione amministrativa, salvo che la conclusione dell’accordo non sia vietata da specifiche disposizioni di legge, a propria volta finalizzate a tutelare specifici interessi pubblici: se, nella dottrina tradizionale, il problema coincideva con quello della indisponibilità di determinati rapporti65 – alla stregua di quanto ora stabilito dall’art. 1966 c.c. – nella chiave di lettura che qui si segue non viene tanto in questione l’astratta impossibilità di disporre, quanto l’esistenza di limiti specifici e tassativi alla transazione, da interpretare in senso restrittivo in quanto derogatori rispetto alla piena transigibilità dei rapporti fra amministrazione e privati. Incentrando la prospettiva d’indagine sui divieti stabiliti dal legislatore, può evidenziarsi come la transazione non sia ammessa in tutte le ipotesi in cui difetti, a monte, un potere di amministrazione attiva della p.a. cui sia connesso un qualche margine di scelta, interpretativa o discrezionale66: così, il fatto che la transazione non possa determinare un avanzamento di carriera discende dal rilievo per cui la legge disciplina in maniera rigida i presupposti delle singole promozioni67; il fatto che una transazione non possa comportare una rinuncia all’acquisizione della proprietà delle opere di urbanizzazione primaria da parte di un Comune discende dal rilievo che si tratta di una obbligazione ex lege che non lascia alla p.a. margini di apprezzamento di sorta68; il fatto che non possano essere oggetto di transazione le controversie connesse alla realizzazione di abusi edilizi discende dalla rigida tipizzazione degli illeciti e delle relative sanzioni da parte dello stesso legislatore, impo- sfera di competenza (e responsabilità, alla luce dell’art. 97, comma 3, Cost.) della singola amministrazione interessata. 65 Cfr. E. GUICCIARDI, op. cit., 135 ss. 66 Sul fatto che anche nel caso di attività vincolata la p.a. possa comunque essere obbligata alla soluzione di problematiche ermeneutiche o di accertamento di fatti non univoci, sia consentito rinviare ad A. CASSATELLA, Il dovere di motivazione, cit., 251 in nota, con ulteriori riferimenti bibliografici. 67 Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 9 luglio 2012, n. 4007. 68 Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2477. 250 NOTE IN TEMA DI TRANSAZIONE E ATTI A FUNZIONE TRANSATTIVA nendo alla p.a. l’irrogazione dei provvedimenti sanzionatori e la loro effettiva esecuzione69. Per quanto attiene alla disciplina di questa tipologia di transazioni, deve ritenersi che essa sia prevalentemente stabilita dalle norme di azione e dalle norme modali sull’esercizio della funzione amministrativa, come fissate dalla l. n. 241/1990 e dai principi generali di riferimento: ciò implica che la scelta di transigere della p.a. sia esternata in un provvedimento motivato prodromico alla stipulazione dell’accordo70 e che nei confronti della determinazione a contrarre possano essere emanati ulteriori provvedimenti in autotutela71. Al regime della convenzione potrebbero applicarsi i principi dell’art. 1, comma 1 bis, della l. n. 241/1990, nel momento in cui si qualificasse la fase negoziale del procedimento come attività non autoritativa, fermo comunque l’assorbente rilievo per cui la disciplina di matrice privatistica incontra, in materia, deroghe tali da assoggettare il negozio alla prevalente disciplina di diritto amministrativo. Tali deroghe non si spingono, tuttavia, sino al punto di riconoscere alle pretese nascenti dall’accordo il privilegio dell’esecutorietà riservato ai provvedimenti amministrativi, quantomeno laddove si ritenga che l’art. 21 ter della l. n. 241/1990 abbia codificato un principio di stretta legalità e tassatività del fenomeno72. 69 Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 giugno 2012, n. 3642; Cons. Stato, V, 2 febbraio 2010, n. 445. 70 Va condiviso, al riguardo, l’orientamento espresso da Tar Lazio, Roma, sez. II quater, 13 novembre 2012, n. 9341, di cui può essere utile richiamare, per esteso, un passaggio: “la formazione della volontà dell’Amministrazione di concludere la transazione non può non svolgersi nella sfera pubblicistica, secondo le movenze “classiche” della c.d. evidenza pubblica, con conseguenziale applicabilità dei principi propri dell’attività pubblicistica ed in particolare, delle previsioni in materia di termine del procedimento e silenzio della p.a. previste dalla L. 7 agosto 1990, n. 241 e dal codice del processo amministrativo” operando siffatto procedimento un contemperamento in sede amministrativa “delle due diverse tipologie di interessi riportabili alla sfera dei soggetti danneggiati (indubbiamente, in una posizione di indiscutibile disagio) e dell’Amministrazione (che, attraverso il ricorso all’istituto, chiude una vicenda contenziosa di incerto esito)”. Corsivi miei. 71 Cfr. Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, 25 marzo 2011, n. 401. 72 Cfr. Tar Piemonte, sez. I, 21 novembre 2012, n. 1226. 251 ANTONIO CASSATELLA Il modello così delineato, se consente di legittimare gli accordi transattivi della p.a. senza ricorrere all’art. 11 della l. n. 241/1990, lascia comunque aperte una serie di problematiche derivanti dall’assenza di un sistema di norme idoneo a disciplinare le modalità di formazione degli accordi transattivi ed i relativi effetti. Alla stregua di quanto avviene con riferimento all’attività di riesame, può essere discussa la sussistenza di un obbligo, per la p.a. di aprire un procedimento finalizzato alla conclusione di un accordo transattivo a fronte di una proposta formulata dalla parte privata; possono essere discusse le modalità di partecipazione di terzi interessati al procedimento ed alla stessa sottoscrizione dell’accordo, in quanto portatori di interessi legittimi o diffusi collegati alla res controversa; possono essere discussi gli stessi effetti dell’accordo transattivo sul futuro esercizio dell’azione amministrativa, con riferimento all’eventuale efficacia e stabilità dell’accordo, ad eventuali interventi in autotutela, all’emanazione di provvedimenti comunque idonei ad incidere sull’assetto di interessi emerso a seguito della sua stipulazione. 5. Osservazioni di sintesi Traendo una sintesi da quanto osservato, emerge innanzitutto come il rapporto fra diritto pubblico e diritto privato condizioni ogni proposta ricostruttiva del contratto di transazione applicabile alle pubbliche amministrazioni, rendendo quantomeno ardua l’analisi delle singole fattispecie sulla base di criteri univoci desunti dalla disciplina civilistica, come pure da principi generali dell’azione amministrativa che finiscono per essere condizionati, nella loro applicazione, dalle peculiarità della singola fattispecie. Il modello privatistico ha perdurante utilità quantomeno al fine di individuare i presupposti del contratto di transazione e per distinguere questo strumento da altre forme di negoziazione del potere o di mediazione di interessi. Al contempo, ogni riflessione attorno alla possibilità di utilizzare il modello civilistico – o parte di esso – nei rapporti di cui sia parte la p.a. implica, a monte, una riflessione sul ruolo assunto dall’amministrazione 252 NOTE IN TEMA DI TRANSAZIONE E ATTI A FUNZIONE TRANSATTIVA nell’attuale contesto ordinamentale e sugli stessi paradigmi ricostruttivi dell’azione amministrativa. Il rilievo non è nuovo: se si riflette sulla concezione di Guicciardi, per il quale la transazione era ammissibile nei rapporti di diritto amministrativo unicamente nelle forme dell’atto unilaterale con cui la stessa p.a. disponeva dell’interesse pubblico, può concludersi come tale concezione rappresentasse un pur sempre corollario di una sorta di supremazia dell’amministrazione, rispetto alla quale il privato rimaneva in una perdurante posizione di subordine, non potendo che accettare (o rifiutare) gli effetti della proposta transattiva73. Le pur rare rivisitazioni teoriche dell’argomento hanno dato comunque per assunto che la facoltà di transigere, e gli strumenti attraverso i quali era possibile giungere al medesimo effetto del contratto disciplinato dagli artt. 1965 c.c., postulasse a monte una diversa ricostruzione dell’agire amministrativo, ispirato a logiche paritarie o comunque tese ad ammettere senza particolari difficoltà un esercizio negoziato della funzione amministrativa, nel solco delle acquisizioni teoriche più moderne74. In questo scritto si è cercato di argomentare – seppur in termini sintetici e meritevoli di approfondimento – come l’ammissibilità delle transazioni della p.a. sia strettamente correlata all’assunzione di responsabilità ed alla posizione di garanzia che i pubblici poteri rivestono a tutela dell’interesse pubblico e di ogni altro soggetto entri in contatto con loro nell’esercizio della funzione amministrativa. Sulla base di tale concezione, che poggia su una rivisitazione delle previsioni dell’art. 97, comma 3, Cost., si è ritenuto che la p.a. possa ricorrere ad ogni possibile strumento transattivo per la soluzione delle singole controversie generate dall’esercizio o dal mancato esercizio delle proprie funzioni: strumenti a prevalente disciplina privatistica, ove vengano in gioco rapporti patrimoniali; strumenti a prevalente disciplina pubblicistica, ove vengano in gioco rapporti connessi all’esercizio di potestà amministrative comunque qualificate. Ciò, al netto della facoltà di utilizzare gli accordi procedimentali per concludere transazioni in 73 74 Cfr. sempre E. GUICCIARDI, op. cit., 222 ss. Cfr. G. GRECO, op. cit., 183 ss.; P. STELLA RICHTER, P. CHIRULLI, op. cit., 870 ss. 253 ANTONIO CASSATELLA senso improprio, in cui l’effetto pratico dell’esercizio del potere discrezionale è (anche) quello di bilanciare interessi pubblici e privati in maniera tale da evitare l’insorgenza o la prosecuzione di eventuali rapporti controversi. La concezione responsabilistica che si è tentato di delineare implica, a propria volta, che la conclusione di tutti i tipi di accordo transattivo – indipendentemente dalla disciplina sostanziale del rapporto – sia preceduta da un procedimento volto a far emergere, sulla base del principio generale rappresentato dall’art. 3 della l. n. 241/1990, gli effettivi presupposti di fatto e di diritto della decisione di transigere: ciò non avviene solo con riguardo alle transazioni pubblicistiche, ma anche alle transazioni su rapporti patrimoniali, non operando, con riferimento all’azione amministrativa, il criterio della c.d. irrilevanza dei motivi (e dei presupposti fattuali) della delibera a contrarre75. Va da sé che, in prospettiva, questa chiave di lettura implica una concezione rigidamente bifasica dell’operazione transattiva: una prima fase, retta da norme di diritto amministrativo, riguarda le modalità di formazione della decisione di transigere, sia nell’an sia nel quid, essendo riservata in ultima analisi agli apparati pubblici la responsabilità di valutare l’opportunità dell’accordo transattivo, o della proposta transattiva eventualmente formulata dalla controparte; una seconda fase, retta sia da norme di diritto privato sia da norme di diritto amministrativo, riguarda la disciplina negoziale del rapporto, che a propria volta non potrà che conformarsi alle pregresse valutazioni della p.a., lasciando comunque alle parti dei margini di negoziazione degli aspetti di dettaglio, sia per quanto concerne le reciproche obbligazioni che per quanto concerne i tempi e le modalità del loro adempimento. Tale struttura bifasica implica, in assenza di disposizioni che attribuiscano al g.a. una giurisdizione esclusiva in materia alla stregua di quanto previsto dall’art. 11 della l. n. 241/1990, che la cognizione di eventuali controversie derivanti dalla stipulazione dell’accordo transattivo sia ripartita fra g.a. e g.o., affidando al primo la cognizione della fase di evidenza pubblica che si conclude con la determinazione a contrarre ed al secondo – salvo venga in gioco l’esercizio di poteri autorita75 254 Cfr. già E. GUICCIARDI, op. cit., 245. NOTE IN TEMA DI TRANSAZIONE E ATTI A FUNZIONE TRANSATTIVA tivi della p.a. – la cognizione della fase di negoziazione ed esecuzione del contratto stesso76. Con riferimento ad eventuali controversie nascenti dalla stipulazione degli accordi transattivi, occorre dedicare alcuni cenni conclusivi alla problematica della tutela del terzo pregiudicato dall’assetto di interessi derivante dalla formazione del contratto: già segnalata in dottrina in rapporto alle stesse evoluzioni del ruolo della p.a. in un sistema “multipolare” o pluralistico77, la questione tocca non solo le transazioni riconducibili alla disciplina dell’art. 11 della l. n. 241/199078, ma – a ben vedere – ogni tipo di transazione o accordo con funzione transattiva idonei ad incidere, in forza dei propri effetti, sulla gestione di interessi di rilevanza collettiva e tali da incidere sulla posizione giuridica di terzi. Nei termini che si appena indicati, può ritenersi che il terzo pregiudicato dal negozio transattivo possa sempre e comunque contestare, innanzi al giudice amministrativo, le modalità attraverso cui si è svolto l’esercizio della funzione, soprattutto per quanto attiene alla proporzionalità o ragionevolezza della determinazione a contrarre, ed alla complessiva attendibilità della scelta risultante dai documenti o atti preparatori e dalla stessa motivazione dell’atto prodromico alla stipula del contratto. Ciò non toglie che, al contempo, il terzo possa agire in giudizio nei confronti dei contraenti lamentando l’illiceità del negozio transattivo, nella parte in cui – oltre a violare i canoni di esercizio della funzione – esso violi pure i suoi diritti soggettivi: in tal caso, sembra che la tutela più efficace possa essere quella risarcitoria79. 76 Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 17 marzo 2014, n. 1312; Cons. Stato, sez. V, 14 ottobre 2013, n. 5000. 77 Cfr. L. DE LUCIA, op. cit., specie 158 ss. 78 Cfr. sempre L. DE LUCIA, op. cit., ibidem. 79 Cfr. ancora una volta L. DE LUCIA, op. cit., 187 ss. 255 CONCLUSIONI Giandomenico Falcon 1. In primo luogo mi sembra giusto sottolineare che, come è stato lucidamente avvertito anche nei nostri lavori (soprattutto da Marcello Clarich), sotto l’intitolazione generale “Verso nuovi rimedi amministrativi?” abbiamo affrontato due tematiche molto diverse. Da una parte, infatti, abbiamo discusso dell’amministrazione che decide al suo interno le controversie che i privati sollevano verso l’amministrazione stessa in relazione a suoi provvedimenti. In questa vicenda, come è stato notato da Daniele Corletto e da altri, “l’amministrazione” svolge diverse parti nella stessa vicenda, il che naturalmente complica le cose. Neppure poi ne svolge due soltanto, perché in realtà l’amministrazione non solo è contemporaneamente una delle parti della lite ed il giudice della lite, ma continua anche ad essere l’amministrazione. E se come parte della lite in qualche modo il suo obbiettivo consiste nell’aver ragione (per tutti quelli che litigano la prima soddisfazione sta nel non perdere, nell’aver riconosciuta la bontà della propria azione), come giudice è valutare imparzialmente, e come amministrazione è curare gli interessi pubblici che ad essa sono affidati: ed è naturale che mettere insieme questi tre ruoli e questi tre obbiettivi non sia la cosa più semplice. Ed è chiaro che a seconda delle situazioni e dei caratteri della procedura e dell’organo decidente può prevalere l’uno o l’altro aspetto, e che la regolazione dei rimedi dovrebbe tenere conto della complessa situazione. Dall’altra parte, invece, abbiamo alcune amministrazioni, appartenenti al tipo delle c.d. “amministrazioni indipendenti” che operano non come risolutrici di controversie tra se medesime e gli amministrati colpiti da propri provvedimenti lesivi, ma come sede esperta – diciamo così – in cui si discutono e si risolvono controversie che non hanno come parte l’amministrazione, e che riguardano i rapporti reciproci tra i soggetti che operano nel suo campo di intervento. GIANDOMENICO FALCON Non si può dire, però, che neppure in questo caso sia assente il problema legato alla pluralità dei ruoli dell’amministrazione. Se è vero che essa qui non è parte, è però vero che essa rimane giudice e amministrazione. Si apre qui il dilemma di cui ci ha parlato Marcello Clarich: quando decide controversie tra privati, l’amministrazione è ancora amministrazione o è semplicemente chiamata a fare il giudice? È chiamata solo a giudicare imparzialmente o sta anche curando interessi pubblici? Ci è stato ricordato, se non erro da Giovannini, che in certe situazioni la controversia è iniziata dalla stessa autorità, il che fa supporre che ci sia di mezzo qualcosa di più del ruolo di giudice. E nel caso, si tratta di un fenomeno accettabile o di una mostruosità? Giovannini, se non erro, ritiene che sia al di fuori di quanto ammissibile secondo corretti principi, e certamente è un punto su cui riflettere. Certo, anche le situazioni nelle quali amministrazioni indipendenti svolgono il ruolo di giudice di controversie interprivate non sono tutte uguali, dovendosi almeno distinguere tra i casi in cui sono le parti ad attivare una procedura di tipo arbitrale e i casi in cui invece è la legge che dà all’autorità il potere di essere giudice, anche di fronte a parti eventualmente recalcitranti (come è il caso dell’Autorità per le comunicazioni e di altre di cui abbiamo sentito). 2. Dal momento che sappiamo che abbiamo parlato di fenomeni molto diversi, è naturale che ci chiediamo se abbiamo fatto bene o abbiamo fatto male: abbiamo semplicemente messo insieme specie differenti, o ci sono dei punti comuni da discutere? Se dovessimo riprogettare questo seminario, lo rifaremmo allo stesso modo, o dall’esperienza trarremmo la conclusione che è meglio separarle? Senza voler dare una risposta univoca al quesito, mi pare di poter dire che, in ogni modo, qualche punto comune tra le due problematiche, qualche elemento che ci consente una riflessione che coinvolge entrambi i rami, c’è. Il primo elemento che tocca entrambi gli ambiti è, mi pare, la questione del rapporto con la tutela giurisdizionale, a seconda che la previa utilizzazione di questi rimedi sia obbligatoria o facoltativa: anche se non è poi detto che la ragione e il significato di eventuale obbligatorietà siano simili o corrispondenti. 258 CONCLUSIONI Altra problematica comune (anche in questo caso con eventuale risposta differenziata) può essere individuata nella circostanza che sia nel caso di controversie tra amministrato e amministrazione affidate alla decisione della stessa amministrazione, che nel caso di controversie tra soggetti terzi, affidate alla decisione dell’autorità amministrativa indipendente si può porre un problema di equilibrio tra la tutela dell’interesse pubblico portato dall’amministrazione e la funzione di mera giustizia. Sin dalla prima relazione sull’Unione europea è stato notato da De Lucia che nelle diverse soluzioni organizzative l’equilibrio tra di due aspetti si sposta in forma incrementale, senza netti punti di frattura. Si tutela l’interesse pubblico, e occasionalmente anche quello dei privati, o si fa giustizia e di riflesso si tutela l’interesse pubblico? Come si vede, è una domanda che ha una lunga storia anche nella tradizione della nostra giustizia amministrativa, e che si pone anche per il ruolo delle autorità indipendenti con funzione di giustizia tra le parti. Una terza riflessione può toccare il problema della composizione dell’organo decidente e della sua imparzialità o indipendenza: ed in questo caso ci troviamo a sottolineare una differenza tra i due ambiti. Se ci facciamo caso, osserviamo che stranamente questo problema della imparzialità e indipendenza dell’organo decidente pare che non si ponga per il settore delle autorità indipendenti che risolvono liti tra terzi. Per queste non si discute se siano imparziali, semplicemente lo si presuppone, come se fosse decisivo il fatto che tratta di autorità, appunto “indipendenti”. Voglio dire che, da una parte, quando l’amministrazione è chiamata a risolvere liti che la vedono come controparte ci poniamo il problema di trovare una formula che colleghi la funzione di amministrazione con la funzione di giustizia, evitando che l’amministrazione sia “semplicemente” giudice in causa propria. Perciò, il baricentro della procedura consiste nella tutela dell’interesse pubblico e il decisore non ha una particolare autonomia; noi diciamo che si tratta di amministrazione attiva, di pura prosecuzione del procedimento in una fase di secondo grado, mentre per assegnare alla procedura una specifica funzione di giustizia richiediamo formule organizzative che assicurino al secondo decisore, che sia pur sempre “amministrazione”, una effettiva separatezza rispetto al primo decisore. 259 GIANDOMENICO FALCON Per le autorità indipendenti, invece, non ci poniamo questo problema, perché pensiamo che le caratteristiche specifiche di quell’autorità assicurino che proprio quella determinata autorità, in quanto tale, sia nella migliore posizione per decidere quella controversia come sede esperta. In questo caso la necessità di disporre di una sede esperta prevale sulla preoccupazione dell’assoluta garanzia di indipendenza. Un quarto terreno di riflessione comune può consistere nell’esame delle regole procedurali. Le regole e i principi del contraddittorio sono gli stessi tra i due ambiti? Qui va subito notato che non si tratta di contraddittorio tra le stesse parti, perché da un lato, nel caso delle autorità indipendenti, abbiamo il contraddittorio tra i privati litiganti, dall’altro abbiamo invece il contraddittorio tra amministrazione stessa e il privato leso e ricorrente. Certo più ci avviciniamo all’amministrazione che decide attraverso una commissione indipendente, per prendere il modello proposto da De Lucia più le regole possono essere comuni, perché in realtà la commissione indipendente in qualche modo vede l’amministrazione che agisce come terza rispetto a se stessa. Il che però ci porta a un altro problema perché se l’amministrazione che decide il ricorso fosse realmente altra cosa rispetto a quella che agisce, allora che cosa la legittimerebbe ad assumere soluzioni di merito? Più diventa “altra cosa” meno è legittimata a decidere nel merito in luogo di quella cui è attribuito il compito di base. C’è da trovare un equilibrio complesso, e non è detto che la soluzione debba trovarsi con tagli netti. In certe situazioni possono coesistere i tecnici del settore e i giuristi, che insieme sono chiamati a trovare la soluzione legittima ma anche la soluzione appropriata per quel problema amministrativo specifico. La loro coesistenza aiuta a tenere insieme i due obiettivi, non facilmente raggiungibili, di riuscire a essere l’amministrazione che dà giustizia e l’amministrazione che trova la soluzione giusta. Accomuna ancora le due problematiche l’impugnabilità delle decisioni davanti al tribunale amministrativo, di cui ci ha parlato, tra l’altro, Mario Chiti. Qui però a me pare rimanga da dare risposta ad una domanda: posto che l’autorità indipendente risolve una controversia tra due privati, che di per sé ovviamente non appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, quale scopo si propone l’impugnazione di questa decisione davanti al giudice amministrativo? Sembra che non 260 CONCLUSIONI possa essere che quello di travolgerla, affinché la stessa autorità indipendente (e non certo il giudice amministrativo) possa poi pervenire ad una nuova e legittima decisione. Ma non si finisce così per allungare ulteriormente il percorso di una lite che potrebbe raggiungere direttamente il suo giudice naturale? Un ultimo punto di possibile comparazione è la possibilità di valutare l’utilità di questi ricorsi in termini di efficienza. Sono rimasto molto colpito dalle statistiche che ci sono state riportate da più di un relatore. In effetti constatiamo che è possibile misurare l’utilità di questi ricorsi. Allora una riflessione che mi sembra da fare è che, prima ancora che discutere di modellistica astratta dei ricorsi, sarebbe utile capire in quali settori essi servono, come nel caso delle graduatorie scolastiche citate dal presidente Pajno. 4. Ricordato ciò che accomuna le due problematiche, vorrei fare ancora qualche riflessione su quello che è per noi il più consueto e tradizionale degli ambiti, cioè sulla funzione dei ricorsi quando l’amministrazione, in una composizione o in un’altra, decide la controversia con l’amministrato in relazione ad un provvedimento che è stato emanato dall’autorità amministrativa. Credo che da tutti i contributi emerga evidente la conclusione che sì, può essere in ogni caso opportuno, nell’interesse dell’amministrazione, che essa stessa istituisca procedure rivolte ad un possibile ripensamento, ma che se si tratta realmente di “fare giustizia” il metodo non può essere che quello delle commissioni indipendenti. Poi però dobbiamo provare a tradurre in concreto questa affermazione, nel quadro delle istituzioni del nostro paese: perché altrimenti corriamo il rischio di pensare agli istituti giustiziali separatamente dall’assetto istituzionale. Secondo l’art. 118 della Costituzione tutte le funzioni amministrative sono svolte dai Comuni, e quelle che non lo possono essere sono svolte dalle Province o dalle Regioni o dallo Stato, in applicazione del principio di sussidiarietà. Come si organizzerebbe, in questo quadro, una rete di commissioni indipendenti? Pensiamo che davanti ad esse si possano o debbano impugnare gli atti dei Comuni o delle Regioni? Ho la sensazione che una simile ipotesi non si inserisca 261 GIANDOMENICO FALCON facilmente nel nostro quadro costituzionale. Ma si immagini pure una simile legge, o anche soltanto una legge statale (dato che la Corte costituzionale ha accostato la materia a quella della giurisdizione) che, nel rispetto dei principi di autonomia, abiliti le amministrazioni che lo vogliono a prevedere questo tipo di organi. Alla fine, che natura avrebbero? Ad esempio, sarebbero abilitati a sollevare questioni pregiudiziali davanti alla Corte di giustizia, o questioni di legittimità costituzionale davanti alla Corte? Avrebbe senso istituire una rete di organi che inevitabilmente costituirebbero una sorta di via di mezzo tra amministrazione e giurisdizione? Già siamo alle prese con la strana vicenda del ricorso straordinario, che certamente meriterebbe una riflessione ad hoc perché rappresenta un vero paradosso. Oggi sembra più vitale che mai: è deciso in piena indipendenza dal Consiglio di Stato, si possono sollevare questioni di legittimità costituzionale e questioni pregiudiziali davanti alla Corte di giustizia, ammette l’azione di ottemperanza (Cass. sez. un., 28 gennaio 2011, n. 2065 e 15 marzo 2012, n. 2129; Cons. Stato, Ad. Plen,. 5 giugno 2012, n. 18 e 25 marzo 2013, n. 9) e termina con una decisione che forma giudicato (Cass., III, 2 settembre 2013, n. 20054) e che può essere impugnata per ragioni attinenti alla giurisdizione (Cass., S.U., 19 dicembre 2012, n. 23464). Insomma, si è miracolosamente tramutato – anche se la Corte costituzionale ne ha prudentemente mantenuto la qualificazione di “giustiziale” (sent. 73/2014) - in un rimedio di pieno carattere giurisdizionale. Con ciò, tuttavia, il problema della razionalità complessiva del sistema non è certo risolto: c’è una possibile ragione per una doppia via giurisdizionale da percorrere in alternativa una in due gradi e una in unico grado davanti al giudice (che altrimenti sarebbe) di secondo grado? Anche il presidente Pajno ha posto il problema, giustamente osservando che se dobbiamo dargli un senso occorre mantenere una diversità, che rimane difficile da individuare. Tenendo conto anche di questa vicenda, chiediamoci se sarebbe una buona idea voler costituire una rete di organismi di natura intermedia tra amministrazione e giurisdizione che verrebbero a costituire un sistema di paragiustizia amministrativa interno alle amministrazioni più diverse: organi che per dare giustizia dovrebbero essere “indipendenti”, 262 CONCLUSIONI ma per rimanere amministrativi dovrebbero risolvere questioni in diritto senza poter formulare rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia né sollevare questioni di legittimità costituzionale. A me pare che potrebbe essere preferibile lasciare alle amministrazioni piena libertà di istituire rimedi interni, nell’interesse proprio e nell’interesse pubblico ad una buona amministrazione: ma, quanto alla vera giustizia, lavorare sulla ormai solida tradizione di giurisdizione amministrativa. Potrebbe essere utile, ad esempio, rendere più vicina e capillare la giurisdizione amministrativa (anziché pensare al contrario, come anche di recente è capitato), eventualmente organizzandola, come in tutti i grandi Paesi europei, su tre livelli. 5. Da ultimo, un cenno alle esperienze che ci sono state raccontate di altri Paesi. L’Unione europea ci dà l’impressione di una costruzione in fieri, in tumultuoso divenire, con tanti spunti e tentativi in direzioni diverse. Certo, qui non ci riferiamo ad enti del tipo dei Comuni e delle Regioni, cioè a comunità che esercitano l’autogoverno secondo i criteri della rappresentanza politica. Troviamo invece la Commissione e i diversi tipi di agenzie, quelle che talvolta sono chiamate amministrazioni satellitari. Anche per tale diversità si tratta di problematiche e soluzioni non facilmente trasportabili in ambiti di democrazia nazionale. Per il Regno Unito, Roberto Caranta ci ha detto che un tempo Administrative Tribunals e Corti erano “falsi amici”, mentre ora, dopo la riforma del 2007, sono diventati veri amici. Ora, se questo è vero in termini generali, nel senso che i Tribunals sono entrati nella machinery of the justice, a me sembra però che – con riferimento a quelli tuttora specializzati nelle singole materie, sia ancora da approfondire il tema della loro composizione (solo di giuristi o anche esperti della materia specifica?), del loro modo di lavorare e del loro modo di affrontare i problemi. La direzione, comunque, è quella dell’espansione del sistema giurisdizionale. In Germania, stando a quanto abbiamo sentito, mi pare si sia aperto un periodo di sperimentazione, favorito anche dalla forma federale dello Stato, che consente una pluralità di esperienze, sulla cui base scegliere la via che sembra migliore. 263 GIANDOMENICO FALCON Resta il fatto che complessivamente, non sembra produttivo avviarsi su rimedi amministrativi che siano soltanto una “brutta copia” di quelli giurisdizionali, mentre può essere utile sperimentare soluzioni in via amministrativa che abbiano, rispetto alla via giurisdizionale, un preciso valore aggiunto. 264 COLLANA ‘QUADERNI DELLA FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA’ UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO 1. L’applicazione delle regole di concorrenza in Italia e nell’Unione europea. Atti del IV Convegno Antitrust tenutosi presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento - (a cura di) GIAN ANTONIO BENACCHIO, MICHELE CARPAGNANO (2014) 2. Dallo status di cittadino ai diritti di cittadinanza - (a cura di) FULVIO CORTESE, GIANNI SANTUCCI, ANNA SIMONATI (2014) 3. Il riconoscimento dei diritti storici negli ordinamenti costituzionali (a cura di) MATTEO COSULICH, GIANCARLO ROLLA (2014) 4. Il diritto del lavoro tra decentramento e ricentralizzazione. Il modello trentino nello spazio giuridico europeo - (a cura di) ALBERTO MATTEI (2014) 5. European Criminal Justice in the Post-Lisbon Area of Freedom, Security and Justice - JOHN A.E. VERVAELE, with a prologue by Gabriele Fornasari and Daria Sartori (Eds.) (2014) 6. I beni comuni digitali. Valorizzazione delle informazioni pubbliche in Trentino - (a cura di) ANDREA PRADI, ANDREA ROSSATO (2014) 7. Diplomatici in azione. Aspetti giuridici e politici della prassi diplomatica nel mondo contemporaneo - (a cura di) STEFANO BALDI, GIUSEPPE NESI (2015) COLLANA ‘QUADERNI DELLA FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA’ 8. Il coordinamento dei meccanismi di stabilità finanziaria nelle Regioni a Statuto speciale - (a cura di) ROBERTO TONIATTI, FLAVIO GUELLA (2014) 9. Reti di libertà. Wireless Community Networks: un’analisi interdisciplinare - (a cura di) ROBERTO CASO, FEDERICA GIOVANELLA (2015) 10. Studies on Argumentation and Legal Philosophy. Further Steps Towards a Pluralistic Approach - (Ed. by) MAURIZIO MANZIN, FEDERICO PUPPO, SERENA TOMASI (2015) 11. L’eccezione nel diritto. Atti della giornata di studio (Trento, 31 ottobre 2013) - (a cura di) SERGIO BONINI, LUCIA BUSATTA, ILARIA MARCHI (2015) 12. JOSÉ LUIS GUZMÁN D’ALBORA, Elementi di filosofia giuridico-penale - (a cura di) GABRIELE FORNASARI, ALESSANDRA MACILLO (2015) 13. Verso nuovi rimedi amministrativi? Modelli giustiziali a confronto (a cura di) GIANDOMENICO FALCON, BARBARA MARCHETTI (2015)