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Liceo scientifico “Giacomo Ulivi” - Parma - a.sc.2015-2016 - classe 5 F Scienze applicate
CONFINI
Tesina della classe 5 F Scienze Applicate
Liceo scientifico “Giacomo Ulivi”- Parma - Anno scolastico 2015-2016
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Liceo scientifico “Giacomo Ulivi” - Parma - a.sc.2015-2016 - classe 5 F Scienze applicate
Indice
1. Confine e frontiera
1.1 Terminologia
1.2 Necessità dei confini
1.3 Problematiche inerenti il concetto di confine
1.4 Il curioso caso di Baarle-Hertog e Baarle-Nassau
2. La storia comune della Jugoslavia nella sua divisione
2.1 Le premesse
2.2 La storia
2.3 Il conflitto
3. I "Muri" nel mondo: l'area balcanica nella contemporaneità
3.1 Muri di frontiera
3.2 Nuovi muri, di cemento o filo spinato
3.3 Flussi migratori verso l’Europa: la rotta balcanica
3.4 Le barriere costruite in Ungheria, Bulgaria e Grecia
3.5 I motivi che spingono tre Stati della stessa area a costruire barriere
4. Conflitto Russia Ucraina
4.1 Le radici della crisi
4.2 Euromadain
4.3 Il recente conflitto
4.4 Conclusioni
5. Il muro israelo-palestinese
5.1 Israele e Palestina
5.2 Creazione del muro
5.3 Tracciato
5.4 Conseguenze
6. La Siria
6.1 La storia
6.2 Il territorio
6.3 Sunniti e sciiti: la storia
6.4 Sunniti e sciiti: le differenze
6.5 Sunniti e sciiti in Siria
6.6 La questione curda
6.7 I curdi in Siria
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7. Frontiere interne siriane
7.1 Introduzione: visione di insieme della situazione interna siriana
7.2 Il governo di Al-Asad
7.3 I ribelli e le loro divisioni interne
7.4 ISIS: confini e politica
7.5 La minoranza curda
7.6 Conclusioni
8. Frontiere ISIS
8.1 Introduzione
8.2 Espansione
8.3 Territorio
8.4 Confine Turco-Siriano: gestione turca della frontiera
8.5 Isis, fenomenologia di un Islam che non vuole confini
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1.Confine e frontiera
A cura di Nur Bedeir, Giovanni Pagliari, Lorenzo Serventi
1.1 Terminologia
I termini confine e frontiera, nella lingua italiana, vengono spesso utilizzati come sinonimi, in realtà
il loro significato non è esattamente sovrapponibile.
Le definizioni del vocabolario indicano come confine il “limite di un territorio, di un terreno, di
una regione geografica o di uno stato; zona di transizione in cui scompaiono le caratteristiche
individuanti di una regione e cominciano quelle differenzianti”.
La definizione di frontiera è “una linea di confine (o anche, spesso, zona di confine, concepita
come una stretta striscia di territorio che sta a ridosso del confine), soprattutto in quanto
ufficialmente delimitata e riconosciuta, e dotata, in più casi, di opportuni sistemi difensivi”1.
La frontiera è quindi una linea o meglio una zona, una parte di territorio, più o meno larga a
seconda dei rapporti più o meno buoni, tra gli stati confinanti.
Gran Bretagna, il vallo di Adriano, limes dell’impero romano
La definizione di frontiera contiene la parola confine, ma è qualcosa di più o di meno del confine
stesso? Il termine confine deriva dal latino confine-confinis(confinante), mentre frontiera deriva
1
Definizioni da Enciclopedia Treccani online
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dal latino frons-frontis (fronte) ovvero il luogo in cui si scontrano due eserciti, pertanto le sorti
della guerra spostano la frontiera e di conseguenza anche il confine del territorio.
Da ciò deriva che la frontiera è qualcosa in evoluzione, di instabile ed incerto, un concetto mobile.
Al contrario stabilire un confine significa fissare un punto fermo a cui fare riferimento, una linea
certa e stabile fino a quando non si modificano le condizioni che l’hanno determinata.
Esistono vari tipi di confine: il confine naturale, cioè quello formato da montagne, fiumi e mari, il
confine artificiale, costituito da muri e recinzioni, il confine politico, che viene stabilito in modo
convenzionale tra gli stati, il confine linguistico, segnato dalla diversità della lingua parlata, e infine
il confine culturale, segnato dalla diversità culturale di popoli diversi.
Questa distinzione avviene, per lo studioso Robert Young, a seconda di “razza, religione, lingua,
cultura, storia e territorio”. Di seguito, la sua definizione completa di “confine”:
“Il confine crea i limiti delle nazioni e produce lo spazio in cui può operare la macchina
infrastrutturale nazionale (il suo governo, gli esattori fiscali). La nazione è un tipo
particolare di corporazione. E sono proprio i confini a consentire il riconoscimento
internazionale da parte delle altre nazioni, il pieno inserimento legale di una certa
nazione nella comunità globale. […] Come una grande corporazione, a cui i suoi
cittadini appartengono indipendentemente dalla loro scelta, la nazione diviene uno
spazio vuoto capace di sviluppare al suo interno ogni potenziale forma di
identificazione: razza, religione, lingua, cultura, storia e territorio.”2
Pertanto ci si rende conto che il concetto di confine è più vasto rispetto a quello di frontiera che,
invece, individua solo uno spazio fisico, legato al territorio.
Nella lingua inglese invece border e frontier non sono sinonimi poiché border (traducibile con
confine) è considerato come il nostro confine; invece la parola frontier (traducibile con frontiera)
non ha il significato di divisione tra due stati ma di una regione non ancora colonizzata, quindi un
punto di partenza per l’espansione. La parola frontier ha assunto questo diverso significato con la
colonizzazione americana verso il West.
1.2 Necessità dei confini
Fin dall’antichità, i confini sono sempre stati uno strumento per contenere un popolo e difenderlo,
almeno in parte, da possibili attacchi diretti o indiretti da parte di altri Stati. Tuttavia, negli ultimi
decenni, i caratteri precisi di confine si stanno perdendo e annebbiando. A causa della
globalizzazione e delle forti migrazioni, i vari popoli si stanno allontanando dalla loro terra
d’origine. Ad uno Stato non si può più attribuire una popolazione ed una cultura precisa ed unica.
Infatti, ora più che mai, ogni Nazione è costituita da vari gruppi etnici, con le loro culture, idee e
religioni.
2
R. Young, Introduzione al postcolonialismo, Meltemi, Roma 2005 pp.71-72
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Questo comporta, in positivo, il mescolarsi dei popoli, l’integrazione sociale, per creare una cultura
mista, una condivisione di conoscenze e uno scambio continuo di idee. I lati negativi della perdita
di un confine definito sono la diminuzione del potere decisionale degli Stati, che risultano quindi
sempre più frammentati, e i vari problemi dati dallo scontro xenofobo tra popoli diversi.
A causa delle sempre più intense migrazioni, gli scontri tra la popolazione di uno Stato e quella che
vorrebbe entrare a farvi parte sono sempre più frequenti. I popoli “ospitanti” sono sempre più
ostili e razzisti nei confronti dei migranti. In molte nazioni dilagano i movimenti e le manifestazioni
xenofobe, si esclude e respinge anziché ricevere e includere in maniera giusta e controllata.
1.3 Problematiche inerenti il concetto di confine
“Le frontiere sono la lama di rasoio su cui stanno sospese le moderne questioni di guerra o di pace,
di vita o di morte delle nazioni” (Lord George Curzon3, 1908)
I confini naturali, pur essendo stati quelli più adottati per semplicità, presentano problemi non
facilmente risolvibili, oltre alla loro natura comunque non prettamente “naturale” dato che non
esiste “una linea” in natura che demarca due zone completamente differenti.
I confini naturali vennero molte volte visti anche come una difesa da eventuali incursioni nemiche,
come nel caso delle montagne, ma per come stanno i fatti, usare confini naturali si è rivelato più
volte inefficace, dato che molte volte si arrivava a forzare la divisione di popoli che coesistevano
sinergicamente, come nel caso dei Catalani e dei Baschi che vivevano sulla catena montuosa dei
Pirenei, scelta il 7 novembre 1659 (“Trattato dei Pirenei”) come confine naturale tra Spagna e
Francia.
Kjerag, Lysefjorden, Norvegia
3
George Curzon (1859-1925) fu ministro degli Esteri inglese dal 1919 al 1924, negli anni cruciali che seguirono la prima
guerra mondiale e la dissoluzione dell’Impero Ottomano; col suo nome venne denominata la linea proposta come
frontiera provvisoria fra Polonia, Russia e Lituania nel 1920.
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Lo stesso discorso vale per i deserti, mentre per i fiumila problematica principale è che essi sono
enti dinamici, mentre i confini nascono per essere statici. Nel caso di laghi e mari interni, essi si
dividono generalmente fra gli stati le cui rive bagnano, proporzionalmente all'estensione delle
coste di ognuno.
I confini naturali più complessi e controversi rimangono quelli marittimi, dato che l’alto mare “è
libero”. Il problema sorge nel determinare dove appunto finiscono le cosiddette “acque
territoriali” e dove inizia quest’ultimo. I confini marittimi sono appunto molte volte fonte di
dispute che rimangono irrisolte.
I problemi però non solo solamente legati ai confini naturali, ma anche a quelli culturali. “La
cultura” infatti è un concetto molto complesso, con varie sfaccettature. Il fatto che due popoli
parlino la stessa lingua o che abbiano la stessa religione non implica necessariamente che
condividano le stesse ideologie e quindi debbano far parte della stessa nazione.
A questo si aggiunge il fatto che i popoli non sono disposti uniformemente sul territorio, e che
quindi in una nazione moderna, per quanto culturalmente uniforme si provi a crearla, ci finiscono
inevitabilmente anche persone che non condividono il pensiero comune.
Lo stato “culturale”, teoricamente uniforme, induce a ideologie e politiche di discriminazione,
emarginazione e ghettizzazione verso per esempio le minoranze etniche.
Sulle minoranze etniche invece può avere l’effetto contrario, l’effetto della autoghettizzazione e
dell’obbligo di essere diversi. Negli stati moderni, oltre a questo, la migrazione gioca un ulteriore
ruolo importante, essa infatti si concretizza come una sorta di “diluizione” di quell’uniformità
etnica creata dai cosiddetti confini culturali.Vediamo quindi che per tracciare i “confini di
appartenenza” tanto cercati la soluzione non consiste nel moltiplicare i confini, cioè nel regredire
verso una formazione di micro-nazioni partorite da autodeterminazioni scissionistiche. La strada
invece è l’inserimento delle minoranze in un assetto giuridico generale di consenso. “Il confine di
appartenenza” andrà a coincidere con il confine di quell’assetto generale.
1.4 Il curioso caso di Baarle-Hertog e Baarle-Nassau
Molte volte i confini tra gli stati vengono decisi in modo alquanto frettoloso e illogico attraverso
atti e trattati, che la maggior parte delle volte non si interessano dell’importante questione
culturale inerente il problema affrontato.
Un curioso caso da ricordare è quello di due comuni, uno olandese e l’altro belga dopo il trattato
di Mastricht del 1843. Al confine tra Belgio e Paesi Bassi, nella piccola cittadina olandese di BaarleNassau si trova Baarle-Hertog, un gruppo di ben 16 enclave (territori inclusi in un Paese, ma che
politicamente appartengono ad un altro) di nazionalità belga, che a loro volta comprendono varie
zone olandesi. Una linea grigia sulle strade segna il confine mentre sui marciapiedi vi sono croci
bianche con la nazionalità: B, per il Belgio e NL (Nederland) per i Paesi Bassi. Questa linea di
confine attraversa negozi, ristoranti e addirittura case private, che a seconda della posizione della
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porta appartengono ad uno stato o l’altro (Una casa in particolare ha la porta sulla linea di confine:
ha due campanelli e due indirizzi, uno per stato).
Bibliografia
C. Altini, M. Borsari,Frontiere politiche e mitologiche dei confini europei, Modena, 2008.
R. Young, Introduzione al postcolonialismo, Meltemi, Roma 2005
J. R. V. Prescott, Political Frontiers and Boundaries, London, 2014
V. Prescott, G. D. Triggs, International Frontiers and Boundaries: Law, Politics and Geography,
Sidney 2008
P. Zanini, Significati del confine, Bruno Mondadori, Milano 2000
Sitografia
Confini, migrazione, cittadinanza in El Ghibli - Rivista di Letteratura della Migrazione.
http://www.el-ghibli.org/confini-migrazione-cittadinanza/
Enciclopedia Treccani online (voce “Confini”)
Enciclopedia Treccani online (voce “Confine”)
Enciclopedia Treccani online (voce “Frontiere”)
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2.La storia comune della Jugoslavia nella sua divisione
A cura di Edison Shehu& Andrea Boroni Grazioli
La comunità internazionale, dopo lo sterminio delle due guerre mondiali, si è promessa di non
ricadere più in un genocidio di tali proporzioni, ma il caso della guerra dell’ex Jugoslavia ci
dimostra tristemente il contrario. Si tratta di un conflitto che ha radici storiche, in cui un popolo
oppresso ha avuto l’opportunità di passare da vittima a carnefice a causa della violenza del
passato. I leader delle fazioni serbe, croate e musulmane non hanno fatto altro che riesumare un
odio atavico presente da tempo immemore. Si tratta probabilmente del conflitto più cruento che
l’Europa ricordi dopo la Seconda Guerra Mondiale e che vede il tristo riutilizzo dei campi di
concentramento e l’uso metodico della pulizia etnica.
2.1 Le premesse
Caricatura di Tito realizzata da parte del movimento di opposizione croato. Fotografia di Tito
Josip Broz Tito 4morì nel 1980 lasciando dietro di sé una federazione di stati governata con il
pugno di ferro. La Jugoslavia socialista e federale venne fondata sulla Fratellanza e Unità (Bratstvo
i Jedinstvo) fra i diversi popoli jugoslavi, garantendo a ciascuno, comprese le minoranze nazionali,
dignità, autonomia decisionale e rappresentatività istituzionale.
4
Tito è il nome di battaglia del fondatore del Partito Comunista Jugoslavo, Josip Broz (1892-1980) che
combattè contro i tedeschi e i fascisti durante la seconda guerra mondiale. L’11 novembre 1945 venne
dichiarata la nascita della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, una dittatura monopartitica che Tito
governò come Primo Ministro tra il 29 novembre 1945 ed il 29 giugno 1963 e come Presidente della
Repubblica dal 14 gennaio 1953 alla morte.
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La Jugoslavia (territori che coincidono con
le attuali: Bosnia Erzegovina, Serbia,
Kosovo, Macedonia, Croazia, Slovenia) si
stava lentamente sfasciando. I Balcani
vennero travolti daun estremo
nazionalismo etnico che i leader
fomentarono rievocando il passato.
A quarant’anni dalla fine della guerra non
c’era mai stata una presa di posizione e
un processo dei crimini di guerra croati
(come quelli commessi dalle squadre di
ustascia filotedeschi). Se mai vi fosse
stata una Norimberga croata (così come del
resto essa è mancata pure all’Italia) forse la
storia non avrebbe preso tale direzione.
Misosevic (a sinistra) e Karadžić
Slobodan Milosevic, leader del governo serbo, fece leva sul sentimento nazionalista e rievocò le
persecuzioni subite dai serbi durante il secondo conflitto mondiale. Si cominciavano a disegnare
nuovi confini, nuovi stati proclamarono la libertà e il concetto di confine divenne problematico
perché interi gruppi di popolazione si trovano stranieri nelle loro stesse case in base a scelte prese
a tavolino.
Il presidente americano Woodrow Wilson, durante la conferenza per la pace di Versailles del 1919
che sancì la fine del primo conflitto mondiale, affermò il diritto alla autodeterminazione di ogni
popolo, inteso come unità etnica, il diritto di avere un proprio stato nazionale. Su questo principio
furono creati Cecoslovacchia e Jugoslavia.
Ma come si può pensare di applicare un tale principio nell’eterogeneo e frammentato territorio
jugoslavo? Nella sola regione della Bosnia convissero per anni musulmani (40%), serbi ortodossi
(30%) e croati (20%) integrati in modo capillare. La propaganda nazionalista serba però si fece
sempre più pressante e le persone cominciarono a provare sentimenti di sfiducia di varia natura.
Esse si chiedevano: “Viviamo in mezzo a loro e siamo una minoranza, siamo davvero al sicuro?”
2.2 La storia
Per capire la diversità di popolazione della zona in questione bisogna tornare indietro circa
quattrocento anni. Alla fine del ‘500 la striscia di territorio che partiva a Ovest dalle coste della
Croazia per terminare a Est in Transilvania, zona fra l'Impero Austriaco e l’Impero Ottomano, fu
destinata ad essere l’area principale di conflitto tra i due imperi. Per più di trecento anni questo
territorio fu testimone di conflitti ininterrotti. La popolazione della regione di confine cambiava
continuamente con piccole ondate migratorie sia dall’Impero Ottomano sia dall’Impero Asburgico.
Questo fece sì che la cultura in questa zona fosse disomogenea e inoltre aumentò la difficoltà negli
anni successivi di tracciare un confine netto tra popolazioni per definire stati e regioni.
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Tra tutte le città bosniache la più particolare è Sarajevo: “esempio concreto di città che, pur non
essendovi costituita sopra o nelle vicinanze, si comporta nella sostanza come città di confine” 5.
Infatti, Sarajevo era ed è una mescolanza di popoli, culture e religioni. All’interno della città
trovavamo quattro quartieri: quello cattolico, quello ortodosso, quello ebreo e quello musulmano.
In Sarajevo possiamo vedere una città che rispecchia tutto quello che accadeva nel territorio
circostante, che rimase di fatto un territorio di confine anche dopo la fine dei conflitti tra Austriaci
e Ottomani.
C’erano territori in cui nessuno aveva la maggioranza assoluta, ma unulteriore passo verso il
conflitto armato venne compiuto quando Milosevic affermò che i serbi residenti in suolo croato
erano tutti seriamente in pericolo. Il suo sogno era quello di ricostruire una grande Serbia che
inglobasse tutti i cittadini di etnia serba.
2.3 Il conflitto
Mladić, uno dei generali di Milosevic, vedeva la guerra bosniaca come un modo di vendicarsi
contro cinquecento anni di dominio turco-ottomano in Serbia. Chiamava i bosniaci musulmani
“turchi” come insulto (elemento che ritroviamo anche nelle canzoni di propaganda serbe 62). Le
vittime dei conflitto furono: 140.000 musulmani, 97.000 serbi e 28.000 croati. L'intervento dei
caschi blu delle Nazioni Unite fu per molti versi difficoltoso perché i serbi spesso ignorarono le
intimidazioni internazionali.
Evoluzione del conflitto fra il 1989 e il 28 aprile 1992
5
P.Zanini, Significati del confine: i limiti naturali, storici, mentali, Mondadori,Milano 1997, cap 6. “Il confine come
spazio di conflitto”.
6
Vedi: https://www.youtube.com/watch?v=U-EQJA8Ahac
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Venne coniato il termine pulizia etnica: la propria terra andava ripulita da tutti coloro che sono
estranei o diversi. “Le frontiere sono sempre state tracciate col sangue e le nazioni sono sempre
state delimitate dalle tombe.” Questa la tremendafrase del militare serbo Mladić, che assume una
connotazione ancora più spaventosa nel momento in cui ci si rende conto che egli fu uno degli
autori del massacro di Srebrenica (9 luglio 1995) dove oltre 8.000 persone persero la vita.
L'uomo arriva a inventarsi qualsiasi scusa per giustificare a se stesso l’uccisione di un essere
umano, poi quando questo essere umano è una persona che vive da sempre
nello stesso territorio diventa strano che la presenza di un'etnia possa metterne in pericolo
un'altra, perché il confine nazionale non è più visto come identità personalee molte persone nei
Balcani si sono sentite apolide, cacciate dai loro territori e vittime di violenza gratuita.
Ancora oggi le ferite di questo conflitto non sono completamente rimarginate e forse non lo
saranno mai perché finché sussisterà questa condizione di multietnicità, che è ovunque
riconosciuta come uno dei valori aggiunti della società, rimarrà il ricordo di un pericolo sempre
dietro l'angolo, perché ognuna delle parti chiamate in causa aveva una sua visione di confine.
Bibliografia e sitografia
P.Zanini, Significati del confine: i limiti naturali, storici, mentali, Mondadori,Milano 1997
Programma di Rai Storia. Guerra di Jugoslavia, un genocidio alle nostre porte di casa
https://www.youtube.com/watch?v=lgVGld6Hwbc
P.Moore, Serbia-Montenegro: Slobodan Milosevic's Life And Legacy, maggio 2006
http://www.rferl.org/content/article/1066617.html
G. Dolzani,“Jugoslavia distrutta dall’Occidente, serbi demonizzati”. Intervista a
RadovanKaradizluglio 2015 http://www.notiziegeopolitiche.net/?p=48414
http://www.storiacontemporanea.eu/content/la-disintegrazione-della-jugoslavia
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3. I "muri" nel mondo: l'area balcanica nella contemporaneità
A cura di Fabio Abelli e Mattia Zilocchi
3.1 Muri di frontiera
Uno Stato-nazione che pretende di “regolare” i “flussi” di merci, informazioni e persone, che
circolano attraverso uno spazio marittimo e imperiale, in base alla logica lineare e discriminante
del territorio; una sovranità che presume di “regolare” le frontiere come se fossero confini – ecco il
nuovo muro. I muri oggi non vengono eretti per definire confini bensì frontiere; ma non si tratta
della tipologia della frontiera mobile americana – e di ogni colonialismo in generale. Questi muri di
frontiera sono immobili. Pur non riconoscendo alcun ordine politico al di fuori, non sono frontiere
di conquista, bensì di difesa; a differenza del con-fine, non definiscono entrambe le parti, ma
soltanto la rettitudine di una parte, quella interna: sono i baluardi di difesa contro gli attacchi alla
democrazia e all’ordine interno, così se ne giustifica sovente la costruzione. Dove le nuove frontiere
murate coincidono con il confine tra due Stati che riconoscono reciprocamente la sovranità sui
propri territori, come per esempio il muro tra Stati Uniti e Messico, non si sostituiscono al confine,
ma vi si sovrappongono. Infatti, il confine è posto e riconosciuto tra due Stati, mentre la frontiera
murata è costruita soltanto da una parte, quella degli Stati Uniti, e non contro lo Stato messicano,
bensì contro quella moltitudine indistinta e indeterminata di individui che provano a s-confinare
illegalmente in territorio americano. Nel mondo globale, confini e frontiere, piuttosto che venir
meno, si moltiplicano, si sovrappongono e si confondono anche all’interno di un medesimo ordine
politico-giuridico.
3.2 Nuovi “muri”, di cemento o filo spinato
C’è chi ha sostenuto recentemente che non si possano costruire nuovi muri, nella vecchia Europa
come nel resto del mondo, perché non servono a nulla e rappresentano una sconfitta per chi
decide di innalzarli sui propri confini. Ma nuovi muri vengono costruiti ogni giorno, siano essi di
cemento armato o semplici reti di filo spinato. Hanno un perché, ma hanno anche delle
conseguenze: in questo caso si tratta di implicazioni di tipo politico.
A proposito del filo spinato, Olivier Razac ha scritto7 che in quanto strumento di recinzione degli
spazi, esso “non produce la delimitazione,la segnala soltanto”, allo stesso tempo però il filo
spinato è in grado “di produrre effettivamente una differenza nello spazio” poiché ha il potere di
respingere gli intrusi. Inventato nella seconda metà del XIX secolo nell’America del Nord, e parte
integrante della storia della così detta “conquista del West”, il filo spinato si è rivelato essere uno
strumento estremamente efficace. Semplice ed economico, sempre uguale a più di cento anni
dalla sua nascita, continua ad essere usato praticamente in tutto il mondo, ovunque vi sia una
qualsiasi delimitazione da segnalare.
7
O.Razac, Storia politica del filo spinato, Ombre Corte, Verona 2001
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Razac ha individuato tre conseguenze politiche decisive derivanti dal suo utilizzo: “Esso radicalizza
le percezioni della delimitazione dello spazio. Produce una massificazione degli elementi respinti,
tanto degli animali quanto, e allo stesso modo, degli uomini. E rafforza, con la sua stessa
leggerezza, la connessione tra delimitazione e sorveglianza”. In altre parole, prima di tutto il filo
spinato è parte di un dispositivo di inclusione-esclusione in cui per proteggere ciò che sta dentro si
arriva a minacciare ciò che sta invece fuori. L’estraneo, che in quanto tale viene respinto, è escluso
dal sistema protetto dell’interno ed esposto così ai pericoli dell’esterno.
11 novembre 2015, la Slovenia inizia la costruzione della barriera in filo spinato
Inoltre, rappresentando l’interno il sistema produttivo, chi sta dentro è organizzato
produttivamente, come un gregge o una mandria, mentre chi sta fuori è bestia selvatica e in
quanto tale viene trattato. La linea di filo spinato produce così una
separazione radicalizzata perché entrano in gioco i concetti di VITA e di MORTE, mentre
la massificazione degli elementi separati ha come effetto la “distinzione tra coloro che
permangono uomini e coloro che non sono altro che corpi”. Infine, la vulnerabilità del filo spinato
comporta la necessità della sua sorveglianza che effettivamente avviene, da parte di uno sguardo
che come osserva Razac: “non è uno sguardo verso l’interno o verso l’interno, ma uno sguardo
miope puntato sul contorno protettivo”. Per lo stretto legame con l’elemento della sorveglianza, il
filo spinato è un recinto interattivo: di fatto più che vietare l’ingresso, compie un’azione
di selezione degli accessi in base all’informazione che la sorveglianza fornisce. Lo stesso che fanno
le più moderne tecnologie ottico-elettroniche quali metal detector e telecamere di videosorveglianza: essi non sono che un esempio, più avanzato, di interfaccia.
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3.3 Flussi migratori verso l'Europa: la rotta balcanica
I flussi migratori diretti verso l’Unione Europea sembrano aver trovato una via preferenziale: il
corridoio balcanico. L’ingresso nei Balcani si verifica al confine tra Turchia e Bulgaria, ma anche tra
Grecia e Macedonia come dimostrano le tensioni registrate lungo la frontiera tra i due Paesi
all'inizio del 2015. La Serbia, attraversata “a piedi”, viene indicata come un corridoio di transito
verso i vicini Paesi dell’Unione, come Ungheria e Croazia, anch’essi intesi, però, come terre di
passaggio. La città di Subotica, nella regione settentrionale serba della Vojvodina, si attesta come
uno degli snodi principali per la tratta dei migranti. Qui ci sono veri e propri punti di raccolta di
clandestini in attesa del momento migliore per varcare il confine con l’Ungheria.
Il 17 giugno 2015 il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto ha annunciato l’intenzione di
erigere una barriera lungo i confini con la Serbia: un tracciato di circa 175 chilometri di quattro
metri d’altezza, che nel suo percorso attraversa anche un tratto fluviale. Alle parole sono seguiti i
fatti e a inizio agosto
militari ungheresi hanno
iniziato i lavori,
all’altezza della località
di Asotthalom.
Ungheria. Militari
ungheresi posizionano la
barriera metallica lungo
i confini con la Serbia a
Asotthalom
L’obiettivo, hanno spiegato i rappresentati del governo conservatore del primo ministro Victor
Orban, è fermare i flussi di migranti clandestini che arrivano in Ungheria dalla Serbia.
Nell’area dei Balcani anche la Bulgaria ha costruito delle recinzioni lungo i 240 chilometri di confine
che separano il Paese dalla Turchia. Inoltre temendo che la costruzione del muro al confine serboungherese possa costringere i migranti a intraprendere nuove rotte, la Bulgaria ha disposto l'invio
di alcuni blindati ai valichi di frontiera con la Macedonia.
Stessa cosa fatta dalla Grecia. Il governo di Atene ha delimitato i 10 chilometri di frontiera con la
Turchia non attraversati dal fiume Evros con un tessuto di filo spinato tagliente alto 4 metri
spendendo 3 milioni di euro.
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ANSA. Cartina del 18 settembre 2015
La Macedonia invece di fronte a un aumento esponenziale del numero di migranti che attraversano
il confine con la Grecia ha inizialmente optato per la linea dura. Il 20 agosto 2015 il governo ha
infatti dichiarato lo stato d’emergenza ai suoi confini meridionali e schierato l’esercito per fermare i
migranti. Dopo alcuni giorni di duri scontri ha però cambiato strategia riaprendo le frontiere e
mettendo a disposizione cinque treni al giorno per trasportare i migranti fino alla frontiera con la
Serbia.
Migranti fermati alla frontiera fra Macedonia e Grecia il 21 agosto 2015
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Secondo il ministro del lavoro serbo Aleksandar Vulin sono oltre 100 mila nel corso dell’anno i
migranti che hanno già attraversato la Serbia diretti in Ungheria mentre altri 4 mila hanno espresso
l'intenzione di chiedere asilo a Belgrado. Sebbene non sia membro dell’Ue la Serbia ha affrontato
con decisione l’emergenza migranti aprendo nuovi centri di accoglienza dove i migranti possono
ottenere un permesso temporaneo di soggiorno di 72 ore per proseguire verso l’Ungheria. Nella
capitale Belgrado la situazione nei mesi successivi si è fatta sempre più difficile con centinaia di
immigrati che bivaccano in parchi e spiazzi della città, in condizioni igienico-sanitaria critiche.
3.4 I motivi che spingono tre Stati nella stessa area a costruire barriere
Pur essendo tutti Paesi di transito e non le mete finali di chi migra, sia il governo ungherese che
quello bulgaro e quello greco sostengono di non essere più in grado di far fronte alle spese legate
all'accoglienza. In tutti questi Paesi sono cresciuti movimenti anti-immigrazione fortemente
rappresentati nei parlamenti e ai quali i governi devono rispondere. A premere per la chiusura dei
confini è l'estrema destra ungherese dello Jobbik (forte del proprio 20% dei consensi, con cui il
premier Viktor Orban deve fare i conti), mentre in Bulgaria è il governo stesso a volere stoppare gli
immigrati per motivi economici e politici: il Paese è uno dei più poveri dell’Unione Europea, e i
costi di gestione dei centri d’accoglienza e dei campi per i rifugiati pesano sul bilancio dello Stato.
La scarsa capacità di controllo sul confine con la Turchia, inoltre, è una delle ragioni per cui la
Bulgaria – che è membro dell’Unione Europea dal 2007 – non è ancora stata ammessa nell’Area
Schengen. Infine, negli ultimi mesi è cresciuta molto la preoccupazione che tra i rifugiati che
arrivano dal Medio Oriente possano mescolarsi estremisti islamici.
Bibliografia
Dario Gentili, Confini, frontiere, murihttps://mastermediazione.files.wordpress.com/2010/04/dariogentili-confini-frontiere-muri3.pdf
Giulia Caravaggi, Confini e barriere, con citazioni di O.Razac, Storia politica del filo spinato, Ombre
Corte, Verona 2001 pp.60 e segg.: http://www.sonda.life/confini-e-barriere/5 novembre 2015
Luigi Rossiello, Flussi migratori verso l’Europa,: la rotta balcanica 24 agosto 2015
http://www.lookoutnews.it/balcani-rotte-migranti-europa/
Luca Steinmann, Dall’Ungheria alla Grecia crescono i muri contro gli immigrati. E la Ue? Tace.
7 agosto 2015: http://espresso.repubblica.it/internazionale/2015/08/07/news/i-muri-anti-migrantinon-fermano-l-immigrazione-ma-la-orientano-verso-l-italia-1.224780
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4.Conflitto Russia Ucraina
A cura di Laura Becchi, Monica Gasparini, RomelaRotaru, Luca Zaccomer
4.1 Radici della crisi
Per comprendere a fondo le ragioni dell’attuale conflitto tra Ucraina e Russia, bisogna partire dai
rapporti tra queste due nazioni nell’arco di tutto il Novecento. Le cause sono sostanzialmente due:
una di tipo geopolitico, l’altra di tipo storico.
Per quanto riguarda la prima motivazione l’Ucraina è infatti un paese multinazionale e presenta al
suo interno diverse etnie, religioni e lingue. La divisione principale è quella segnata dal fiume
Dnepr: la parte a occidente del fiume è più europea e occidentale, quella a est è più legata alla
Russia sia per tradizioni che per economia. La presenza di più civiltà non porta unicamente una
grande ricchezza culturale, ma è anche origine di destabilizzazione dello Stato.
Negli attuali territori dello stato ucraino, inoltre, si è consumato un confronto tra un progetto di
natura imperiale, quello sovietico, e uno di tipo nazionale del movimento nazionale ucraino
(ragione storica).
Il progetto di tipo imperiale prevedeva una “russificazione” dei territori, con la soppressione della
lingua ucraina nella stampa e in pubblico e l’eliminazione dell’élite locale sospettata di
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nazionalismo, lo sviluppo delle regioni industriali e la collettivizzazione di quelle agricole (che
sarebbero poi diventate “il granaio d’Europa”).
L’anima indipendentista dell’Ucraina fu evidente già pochi decenni dopo essere entrata a far parte
del Regno Russo con il Trattato di Perejaslav (1654) della Prima Guerra del Nord: nel 1708 la
popolazione tentò una ribellione capeggiata da Ivan Mazeppa, ma fu ferocemente repressa da
Pietro il Grande.
Altri due tentativi di indipendenza poi falliti vennero organizzati nel Novecento: allo scoppio della
Rivoluzione Russa e durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel novembre del 1917, subito dopo lo
scoppio della guerra civile, un gruppo di nazionalisti ucraini tentò di proclamare l’indipendenza di
Kiev approfittando della debolezza dello stato, mentre tra il 1941 e il 1944 circa 30mila ucraini si
arruolarono nelle SS in funzione antibolscevica e antirussa. In questo contesto si inserì anche
l'attività nazionalista ed indipendentista dell'Esercito Insurrezionale Ucraino contro l'Armata
Rossa.
Tra le due guerre mondiali Stalin decise di imporre la collettivizzazione a tutta la classe contadina
usando la violenza (novembre 1929-gennaio 1930). I contadini però si ribellarono e nacque una
vera e propria guerra civile. Tra il 1929 e il 1932 vennero deportati circa cinque milioni di contadini
e milioni di persone morirono a causa di carestie. Sul piano economico la collettivizzazione ebbe
risultati catastrofici e il prezzo più salato lo pagò l’Ucraina non solo perché nazione
prevalentemente agricola, ma soprattutto perché alla carestia si aggiunse la volontà politica di
Stalin di usare la fame come un’arma per stroncare ogni opposizione alla collettivizzazione. Nel
periodo sovietico inoltre ebbe grande sviluppo industriale il bacino carbonifero del Donbass
(Ucraina orientale) e ciò spostò l'equilibrio economico dell'Ucraina a favore delle aree più orientali
e russofone.
L’indipendenza dell’Ucraina venne infine raggiunta nel 1991. A causa del fermento prodotto dal
risveglio delle nazionalità in diverse regioni quali Caucaso, Repubbliche Baltiche, Kazakistan e
Germania dell’Est, il potere del presidente russo Gorbačëv si indebolì e nell’agosto 1991 gli
oppositori del governo tentarono un colpo di stato che però fallì. Settori politici liberisti e filooccidentali guidati da Boris Eltsin usarono il colpo di Stato come pretesto per mettere in un angolo
Gorbačëv, bandendo il Partito Comunista e spezzando l'Unione.
Il 1° agosto 1991 l’Ucraina dichiarò la propria indipendenza e il 1°dicembre 1991 un referendum e
la prima elezione parlamentare ebbero luogo, confermando l’Atto di Indipendenza. L'8 dicembre
1991 i presidenti di Russia, Ucraina e Bielorussia firmarono a Belaveža il trattato che sanciva la
dissoluzione dello Stato sovietico e la creazione della Comunità degli Stati Indipendenti (CIS).
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Non bisogna però dimenticare che l’attuale Ucraina è stata in un certo senso creata dal
federalismo russo in quanto, dopo la Rivoluzione Russa e la vittoria nella Seconda Guerra
Mondiale, vennero aggiunti ad essa nuove regioni: parte del territorio polacco e una parte di
quello rumeno (1939-1940) e nel 1945 fu annessa anche la Rutenia cecoslovacca.
Nel 1954 abbiamo inoltre il sigillo del rapporto tra Russia e Ucraina con la donazione della Crimea
a favore di quest’ultima da parte di Nikita Chruščёv, nell’anno dell’anniversario del trattato di
Perejaslav del 1654. La donazione doveva essere soprattutto simbolica essendo le due repubbliche
parte dell’URSS. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, però, questa donazione ebbe una grande
importanza perché il territorio diventò parte dell’odierna Ucraina.
4.2 Euromaidan
Il 30 marzo 2012 l'Unione Europea e l'Ucraina iniziarono i preparativi per un accordo di
associazione commerciale denominato DCFTA, che prevedeva la realizzazione di un "Area
Approfondita e Globale di Libero Scambio" (Deep and Comprehensive Free Trade Area, da cui
appunto la sigla DCFTA). Tuttavia, i leader dell'UE dichiararono che l'accordo non sarebbe stato
ratificato se l'Ucraina non avesse risolto alcune questioni relative alla democrazia e allo "Stato di
diritto", comprese le detenzioni preventive di JulijaTymošenko e Jurij Lucenko, considerate illegali
dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Il presidente ucraino Viktor Janukovyč esortò il
Parlamento ucraino ad adottare leggi che rispettassero i criteri fissati dell'UE.
A metà dell'agosto 2013, la Russia cambiò le proprie regole doganali sulle importazioni
dall'Ucraina così che, a partire dal 14 agosto 2013, il Dipartimento delle Dogane russo fermò tutte
le merci provenienti dall'Ucraina.
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Il 21 novembre 2013 il governo ucraino sospese i preparativi per la firma dell'Accordo di
Associazione, motivando la decisione con il calo della produzione industriale e delle relazioni con i
paesi della CSI (Comunità degli Stati Indipendenti). Il presidente Viktor Janukovyč si avvicinò al
leader dell’opposizione filorussa.
La stessa notte iniziò una serie di manifestazioni che venne detta Euromaidan: da "Euro",
abbreviazione di Europa, e "Maidan", che si riferisce a Majdán Nezaléžnosti (piazza
dell’Indipendenza), la piazza principale di Kiev, dove si concentrarono le proteste iniziali. Durante
le proteste la parola "Maidan" (piazza) è arrivata ad indicare di per sé l'attività politica in pubblico.
Sin dal 29 novembre 2013, gli organizzatori della protesta proposero una risoluzione formale in cui
veniva chiesto di:
- formare un comitato di coordinamento per comunicare con la UE
- chiedere le dimissioni al presidente Victor Janukovyč, poiché non in grado di svolgere una
politica geopoliticamente strategica di sviluppo per lo stato;
- cessare le repressioni politiche contro gli attivisti dell'Euromaidan.
Dopo la dispersione forzata da parte della polizia di tutti i manifestanti dalla Maidan Nezaležnosti
nella notte del 30 novembre, la richiesta di dimissioni del ministro degli Interni Vitalij Zacharčenko
divenne uno dei principali obiettivi dei manifestanti.
A metà dicembre 2013, Yanukovich si accordò con il presidente russo Vladimir Putin su una serie di
aiuti e alleanze economiche e commerciali: ne derivò una nuova serie di proteste di piazza, che
portarono ad altri scontri con la polizia. Il parlamento ucraino reagì approvando una serie di leggi
molto restrittive sulle manifestazioni.
Le proteste durarono circa tre mesi, nonostante la presenza della polizia, le temperature sotto
zero e la neve. Violenti scontri ebbero luogo il 1 dicembre e dal 19 al 25 gennaio 2014, in risposta
ai tentativi di repressione della polizia e all'approvazione, il 16 gennaio 2014, di leggi contro la
libertà di manifestazione.
Dal 23 gennaio in varie province occidentali dell'Ucraina gli edifici del Governatore e dei Consigli
Regionali vennero occupati da attivisti dell'Euromaidan. Nelle città russofone di Zaporižžja, Sumy e
Dnipropetrovs'k i manifestanti cercarono di prendere possesso anche delle sedi del governo
locale, contrastati dalla polizia.
A fine gennaio 2014 il primo ministro Mykola Azarov si dimise, le leggi restrittive sulle
manifestazioni vennero ritirate e a metà febbraio tutti i manifestanti arrestati furono rilasciati. Il
18 febbraio ripresero però gli scontri di piazza, con i manifestanti che chiedevano il ritorno alla
costituzione antecedente alle modifiche effettuate nel 2004: in una situazione divenuta quasi una
guerra civile tra popolazione ucraina e russa o filorussa, il 20 febbraio il bilancio era di 88 morti,
uccisi da cecchini, dalla polizia o dall'incendio appiccato all'ultimo piano del palazzo dei sindacati (il
quartier generale dei dimostranti).
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Il 21 febbraio 2014, dopo la fuga del presidente Viktor Janukovyč, (dichiarato decaduto dal
parlamento, che nominò Turčinov presidente ad interim) Euromaidan ebbe idealmente fine e
pochi giorni dopo iniziò una nuova fase di instabilità politica nel paese con la Crisi di Crimea.Il 24
febbraio 2014, il nuovo governo dichiarò il presidente Janukovyč ricercato per "omicidio di massa",
accusandolo di aver ordinato alla polizia di aprire il fuoco sui manifestanti il 18-20 febbraio, e di
aver ricevuto il sostegno di agenti russi. Il parlamento abolì la legge del2012 in materia di “politica
linguistica statale”.
Il 27 giugno 2014,"un giorno storico", a detta del
neo eletto presidente ucraino Petro Poroshenko,
egli ha firmato l'accordo di Associazione tra UE e
Ucraina, ribadendo inoltre l'intenzione di Kiev di
entrare nella NATO. Il 16 settembre il Parlamento
Europeo ha ratificato a stragrande maggioranza con
535 sì, 127 no e 35 astenuti la sottoscrizione che
entrerà in vigore dal 1 gennaio 2016 (su richiesta
della Russia).
4.3 Il recente conflitto
Ora volgiamo la nostra attenzione allo scontro tra Russia e Ucraina. Come abbiamo visto, quando
nel novembre 2013 il presidente ucraino Yanukovich decise di allentare le relazioni con l’Unione
Europea e di rafforzare i rapporti economici e politici con la Russia, scoppiarono le proteste della
parte del paese più favorevole a
una posizione “europeista”.
Quando tornò al potere il partito
filoeuropeo (21 febbraio 2014),
questo scontentò soprattutto le
parti del paese a maggioranza
russa (Ucraina orientale o
Donbass): il 1 marzo a Lugansk
iniziarono le proteste filorusse, due
giorni dopo uomini armati
occuparono edifici governativi a
Donetsk, e così avvenne in
Crimea.La Russia appoggiò le
rivendicazioni, secondo molti non
solo a parole8.
8
«La Crimea condivide le nostre radici storiche ed è un importante elemento per la stabilità della regione. Questo
territorio strategico deve essere soggetto ad una sovranità forte e stabile, che ad oggi può esercitare solo la Russia […]
I residenti della Crimea e di Sebastopoli si rivolsero alla Russia per ricevere aiuto in difesa dei loro diritti e delle loro
vite”.Parole del presidente russo Putin alla Duma il 18 marzo 2014
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Infatti nei primi giorni di marzo 2014 la Russia spostò truppe regolari nella penisola di Crimea e
bloccò con le sue navi da guerra il porto di Sebastopoli ai movimenti delle navi ucraine, con lo
scopo di “proteggere la popolazione di etnia russa in Crimea". L'Ucraina rispose mobilitando le sue
forze armate, anche se consapevole della necessità di risolvere la questione per via diplomatica, in
quanto le sue forze armate non sarebbero in grado di confrontarsi con quelle russe.
Il 15 marzo 2014 la Crimea approvò a larghissima maggioranza l’annessione alla Russia con un
referendum (alle elezioni del settembre 2014 stravincerà il partito filorusso)
vs
Ribelli filorussi continuavano intanto a combattere in Ucraina orientale chiedendo referendum per
l’indipendenza, e diventò evidente il coinvolgimento della Russia in loro appoggio. Gli scontri e i
combattimenti continuarono, in un contesto di sempre maggiori tensioni internazionali tra la
Russia e i paesi dell’Occidente intervenuti con sanzioni economiche alla Russia in difesa degli
interessi dell’Ucraina.
Il 17 luglio 2014 il volo di linea MH17 di Malaysia Airlines con 298 persone a bordo, tra le quali 80
bambini, è precipitato nel territorio controllato dai separatisti. La strage ha riportato grande
attenzione da parte della comunità internazionale sulla crisi Ucraina: indagini statunitensi hanno
concluso che l’aereo è stato abbattuto da un missile fornito dalla Russia e sparato dai ribelli, forse
diretto a un altro obiettivo. A fine luglio i paesi occidentali hanno annunciato una nuova serie di
durissime sanzioni economiche contro aziende e privati russi.
A fine agosto 2014 l’esercito ucraino ha annunciato di avere fermato una decina di soldati russi,
che stavano pattugliando un’area all’interno del confine dell’Ucraina: la Russia ha ammesso il
fatto, sostenendo che i soldati avessero sconfinato “per errore”. Ma i separatisti hanno aperto
nuovi fronti a sud-est che potrebbero consentire alla Russia una via di comunicazione via terra con
la Crimea, che si trova geograficamente isolata dal territorio russo pur essendo stata annessa.
Il 3 settembre 2014, Poroshenko ha annunciato di avere raggiunto una “tregua di lungo periodo”
in Ucraina dell’est dopo una lunga telefonata con Putin. Il governo russo si è affrettato a dichiarare
che il presidente non ha concordato nessuna tregua, perché “non è parte in causa nel conflitto”. Il
comunicato della presidenza ucraina è stato quindi modificato, facendo riferimento in modo più
generico alla possibilità di una tregua, ma manca la posizione in merito dei separatisti filorussi.
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Poche ore dopo, Putin ha presentato una bozza di piano in sette punti per affrontare la crisi in
Ucraina e arrivare ad una tregua.
Dal 17 aprile 2014 al febbraio 2015 (Minsk II) si sono susseguite numerose iniziative internazionali
per porre termine al conflitto (consulta la time line qui sotto).
I fatti dal 21 novembre 2013 (sospensione dell’Accordo con la UE) al 15 febbraio 2015, accordi di Minsk II
4.4 Conclusioni
Mettiamo a confronto le posizioni dell’Unione Europea e della Russia.
La UE (sostenuta da USA e Canada) ritiene:
- illegittima l’annessione della Crimea (sia per il diritto internazionale che per quello
costituzionale ucraino)
- l’Ucraina ha il diritto di scegliere la propria collocazione internazionale
- la Russia ha violato integrità territoriale ucraina
La Russia (appoggiata da stati come Siria, Corea del Nord, Venezuela, Ossezia del Sud e
Transnistria) invece sostiene:
- legittima la “riconquista” della Crimea secondo il diritto internazionale
- necessario considerare i legami storici tra Ucraina e Russia
- pericoloso un avvicinamento dell’Ucraina alla NATO
- il Kosovo è un valido precedente
- la cacciata di Yanukovič è un golpe.
Gli Accordi di Minsk II (12 febbraio 2015) prevedono a livello civile:
- elezioni locali secondo la legge ucraina
- ripresa delle relazioni economico-sociali tra il governo di Kiev e le regioni separatiste
- riforma costituzionale e decentramento dei poteri in favore delle regioni del sud-est
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A livello militare:
- cessate il fuoco e ritiro degli armamenti pesanti
- ritiro delle formazioni e dei dispositivi militari non ufficiali dal territorio ucraino
- misure di amnistia e rilascio dei prigionieri
- misure per il miglioramento della situazione umanitaria
- monitoraggio del confine russo-ucraino
Dopo i fatti di Parigi del 13 novembre
2015 e l’intensificarsi dell’azione della
Russia contro l’ISIS in Siria, l’Europa
potrebbe rivedere le sanzioni. La
situazione è ad oggi (30 gennaio
2016) ancora molto complessa. Basti
pensare alla crisi Russia-Turchia dopo
l’abbattimento dell’aereo russo o
quella Russia-Gran Bretagna dopo le
accuse a Putin per l’omicidio della ex
spia russa Alexandr Litvinenko.
Bibliografia
Radici della crisi:
https://it.wikipedia.org/wiki/Ucraina
http://www.raistoria.rai.it/articoli-programma/ucraina-russia-radici-di-unacrisi/25983/default.aspx
https://it.wikipedia.org/wiki/Unione_Sovietica
http://mappa-mundi.blogautore.repubblica.it/files/2014/09/ucraina650.jpg
Euromaidan:
https://it.wikipedia.org/wiki/Euromaidan
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Crisi_di_Crimea_del_2014
Il recente conflitto e conclusioni:
http://www.notiziegeopolitiche.net/?p=48258
http://www.lettera43.it/fatti/ucraina-russia-guida-al-conflitto_43675139776.htm
http://www.ilpost.it/2014/09/04/crisi-guerra-ucraina/
https://it.wikipedia.org/wiki/Trattato_di_adesione_della_Crimea_alla_Russia
http://themillenniumreport.com/2014/07/the-war-for-the-ukraine-whats-the-real-story/ (mappa
p.25); http://epthinktank.eu/2015/03/17/ukraine-after-minsk-ii-the-next-level/eprs-briefing551328-ukraine-after-minskii/(time line crisi Ucraina)
PDF dell’incontro con Stefano Bargiacchi (ex studente dell’Ulivi, laureando in Scienze Politiche a
Pisa) tenutosi nel dicembre 2015 presso l’aula magna del liceo.
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5. Il muro israelo-palestinese
A cura di Nicolò Contini e Alessandro Facchinetti
5.1 Israele e Palestina
Già dalla fine della prima guerra mondiale i territori della Palestina e di Israele furono posti sotto il
controllo Britannico. La Società delle Nazioni Unite aveva infatti, dopo la fine del primo conflitto
mondiale, posto le colonie e i territori degli imperi sconfitti sotto "mandati" (una sorta di
protettorato che vincolava la nazione e la Società delle Nazioni) amministrati dalle potenze
vincitrici.
Tra i territori appena entrati nell'orbita di influenza britannica vi era la Palestina. Gli Inglesi
avevano però promesso la regione, in cambio di aiuto nella lotta all'Impero Ottomano, sia agli
arabi come paese indipendente sia agli ebrei come "Sede Nazionale".
Iniziarono quindi una serie di agitazioni, moti e rivolte sia da parte degli arabi, che volevano che il
flusso immigratorio ebraico fosse fermato, sia da parte degli ebrei, che rivendicavano quello stato
come loro di diritto.
A seguito di questi scontri l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite prese in mano la situazione,
creando una commissione che ricercasse una soluzione.
Le soluzioni proposte furono due: due stati separati oppure un unico stato federale. La
maggioranza si espresse a favore del primo, ma le difficoltà si mostrarono subito:
«La commissione ha anche realizzato che il punto cruciale della questione palestinese
deve essere individuato nel fatto che due considerevoli gruppi, una popolazione araba
con oltre 1.200.000 abitanti e una popolazione ebraica con oltre 600.000 abitanti con
un'intensa aspirazione nazionale, sono diffusi attraverso un territorio che è arido,
limitato, e povero di tutte le risorse essenziali. È stato pertanto relativamente facile
concludere che finché entrambi i gruppi mantengono costanti le loro richieste è
manifestamente impossibile in queste circostanze soddisfare interamente le richieste
di entrambi i gruppi, mentre è indifendibile una scelta che accettasse la totalità delle
richieste di un gruppo a spese dell'altro.» (United Nations Special Committee on
Palestine, Recommendations to the General Assembly, A/364, 3 September 1947)
Tuttavia il piano procedette, e con l'approvazione della Risoluzione 181 si provvide alla creazione
di tre stati distinti, uno di governo ebraico, uno palestinese con governo arabo e una terza zona,
comprendente Gerusalemme che era amministrata direttamente da funzionari dell'ONU.
A seguito di questa decisione l'Inghilterra che fino ad allora aveva difeso militarmente la zona e
impedito un'escalation di violenze ritirò le proprie truppe, secondo alcuni in modo prematuro, non
facendo altro che permettere alle lotte intestine tra i molti gruppi militari e paramilitari di
prosperare.
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In questo scenario si gettarono le basi delle future guerre arabo-israeliane che culminarono nella
guerra del Kippur (1973). Nella cartina l’espansione di Israele a danno dei territori palestinesi dal
1946 al 2010.
5.2 Creazione del muro
La creazione del muro fra Israele e Palestina risale alla
primavera del 2002; lo scopo dichiarato è di impedire
nuovi attentati terroristici da parte dei palestinesi. Il
tracciato ha una lunghezza di circa 730 km. Il nome
ufficiale è "chiusura di sicurezza israeliana".
5.3 Tracciato
Il territorio compreso nella barriera comprende quasi tutte
le colonie israeliane e la maggior parte dei pozzi d'acqua.
Non segue totalmente il confine e il suo tracciato fu
modificato molte volte su richiesta dei cittadini palestinesi.
(nella cartina a fianco: il muro che separa la Cisgiordania, o
West Bank, da Israele)
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5.4 Conseguenze
«È difficile esagerare l'impatto umanitario della Barriera. Il percorso dentro la Cisgiordania separa
comunità, l'accesso delle persone ai servizi, mezzi di sostentamento e amenità religiose e culturali.
In più, i piani per il percorso esatto della barriera e i punti di attraversamento attraverso di essa
spesso non sono completamente rivelati fino a pochi giorni prima che cominci la costruzione.
Questo ha portato a considerevole ansia fra i Palestinesi riguardo a come le loro vite future
saranno influenzate... Il territorio tra la Barriera e la Linea Verde costituisce parte di quelli più
fertili della Cisgiordania. È attualmente la dimora di 49.400 Palestinesi della Cisgiordania che
vivono in trentotto villaggi e cittadine.» (The Humanitarian Impact of the West Bank Barrier on
Palestinian Communities, rapporto ONU del 2005)
Le comunità cristiane presenti sul territorio manifestarono apertamente il loro dissenso per la
costruzione del muro. I sostenitori del muro ricordano però che la presenza di quest’ultimo ha
aumentato il numero di vite salvate e diminuito il numero di attentati anti-israeliani. Infatti le
infiltrazioni di attentatori palestinesi in territorio israeliano sono notevolmente diminuite. Si è
infatti passati da 17 attacchi nel 2002 a 5 nel 2003, mentre nel territorio del sud della Cisgiordania,
dove non è presente il muro, il numero di attentati è salito da 10 nel 2002 a 11 nel 2003.
Ci sono però effetti molto negativi nella vita dei palestinesi perché la barriera separa intere
comunità da beni e servizi di prima necessità. Prima di tutto il muro blocca l’accesso a fonti di
reddito, come campi coltivabili e pascoli, e sorgenti d’acqua, entrambe fondamentali per la
sopravvivenza delle comunità. L’educazione e la socialità risultano inoltre fortemente
compromessi, come del resto tutto ciò che nella vita di tutti i giorni si basa sul movimento e la
capacità di spostarsi, come per esempio il potersi recare in un ospedale in tempi brevi.
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Questa condizione peggiora di fatto la situazione della popolazione “tagliata” dal muro, che si
trova costretta a fare affidamento sui contrabbandieri che, attraverso tunnel sotterranei,
trasportano merce dall’Egitto alla Striscia di Gaza.
Sitografia
https://it.wikipedia.org/wiki/Diaspora_ebraica
https://it.wikipedia.org/wiki/Barriera_di_separazione_israeliana
https://it.wikipedia.org/wiki/Israele
https://it.wikipedia.org/wiki/Mandato_britannico_della_Palestina
https://it.wikipedia.org/wiki/Conflitti_arabo-israeliani
https://it.wikipedia.org/wiki/Lega_araba
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6. La Siria
A cura di Paolo Bedodi, Andrea Feretti, Yasmin Jafari, Filippo Saccani
6.1 Storia
La storia della Siria è la storia dei territori che attualmente fanno parte della Siria. Si tratta di una
regione mediorientale che è stata crocevia tra il mondo mediterraneo, l'Egitto, la Persia, l'Asia
Minore, e il Caucaso, traversato dalle vie commerciali verso la Cina (via della seta) e l'India.
Nel 1517 la Siria entrò a far parte dell'impero ottomano. La regione iniziò una lenta decadenza, a
cui contribuì la diminuita importanza delle rotte commerciali in seguito alla recente scoperta
dell'America.
Dopo la caduta dell'impero ottomano avvenuta nel 1922, questo stato entrò a far parte dei
possedimenti francesi. La Siria era ancora sotto il controllo dei Francesi quando scoppiò la seconda
guerra mondiale, ma questa si proclamò indipendente a partire dal 1944 e le truppe francesi si
ritirarono nel 1946.
Tuttavia la politica siriana fu particolarmente instabile: tra il 1946 al 1956 vi furono ben 20 governi
diversi e 4 versioni differenti della costituzione. Nel 1958 inoltre, vi fu un tentativo di fusione tra
Siria ed Egitto per la formazione della Repubblica Araba Unita, ma l'operazione non ebbe successo.
Successivamente in Siria si affermò il Partito della Resurrezione Socialista Araba, con primo
ministro Hāfiz al-Asad, il quale si mosse per creare una struttura organizzativa per il suo governo e
consolidare il suo controllo.
Nel 1976 la Siria intervenne nella guerra civile libanese, inviando 40.000 uomini a protezione dei
cristiani maroniti, sotto il nome di Forza Araba di Dissuasione (FAD) e continuò tale presenza allo
scopo di acquisire il controllo sul Libano e destabilizzare i confini settentrionali di Israele con le
fazioni libanesi sue alleate. Nel 1990 la guerra civile cessò con gli Accordi di Ta'if, voluti dalla stessa
Siria che, tuttavia, mantenne il proprio esercito fino al 2005 con quella che fu vista da molti come
una vera e propria occupazione militare, influenzando fortemente la politica libanese.
La Siria partecipò anche alla Prima Guerra del Golfo nel 1991 al fianco della coalizione
multinazionale contro l'Iraq e ciò comportò un netto cambiamento nelle relazioni internazionali
con gli altri stati arabi e con il mondo occidentale. Negli anni Novanta intavolò anche trattative di
pace con Israele, che tuttavia non arrivarono mai a una conclusione.
6.2 Territorio
Il paese occupa una superficie di 185.227 Km² per un totale di 16.729.00 abitanti (stime riportate
nel 2001) inoltre è confinante a Nord con la Turchia, a Est con l'Iraq, a Sud con la Giordania ed
Israele e infine ad ovest con il Libano e in piccola parte anche con il mar Mediterraneo.
In massima, la popolazione è costituita da arabi o armeni arabizzati e per il resto sono curdi,
armeni o turchi. Per quanto riguarda la religione invece, la maggior parte della popolazione è di
fede sunnita(64%), mentre il 26% appartiene a correnti sciite. Questa divisione tra sunniti e sciiti
risale alla morte del profeta Maometto (632 d.C) e segna la realtà del mondo islamico,
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determinando gli schieramenti delle grandi potenze sunnite come Arabia Saudita e Turchia da un
lato, e di quelle sciite dall'altro, come Iran e in un prossimo futuro anche Iraq.
6.3 Sunniti e sciiti: la storia
Le divisioni tra sciiti e sunniti risalgono alla morte del fondatore dell’Islam, il profeta Maometto,
nel 632 d.C. La maggioranza di coloro che credono nell’Islam, che oggi noi conosciamo come
sunniti e che sono circa l’80 per cento di tutti i musulmani, pensavano che l’eredità religiosa e
politica di Maometto dovesse andare ad Abu Bakr, amico e padre della moglie di Maometto. C’era
poi una minoranza, oggi la minoranza sciita, che credeva che il successore dovesse essere un
consanguineo del profeta: questo gruppo diceva che Maometto aveva consacrato come suo
successore Ali, suo cugino e genero.
Il gruppo che riuscì a imporsi fu quello dei sunniti, anche se Ali governò per un periodo come
quarto califfo, il titolo attribuito ai successori di Maometto. La divisione tra i due rami dell’Islam
divenne ancora più forte nel 680 d.C., quando il figlio di Ali Hussein fu ucciso a Karbala, città del
moderno Iraq, dai soldati del governo del califfo sunnita. Da quel momento i governanti sunniti
continuarono a monopolizzare il potere politico, mentre gli sciiti facevano riferimento al loro
imam, i primi dodici dei quali erano discendenti diretti di Ali.
Con il passare degli anni le differenze tra i due gruppi sono aumentate e oggi ci sono alcune cose
condivise e altre dibattute. Tutti i musulmani sono d’accordo che Allah sia l’unico dio, che
Maometto sia il suo messaggero, e che ci siano cinque pilastri rituali dell’Islam, tra cui il Ramadan,
il mese di digiuno, e il Corano, il libro sacro. Mentre però i sunniti si basano molto sulla pratica del
profeta e sui suoi insegnamenti (la “sunna”), gli sciiti vedono le figure religiose degli ayatollah
come riflessi di dio sulla terra, e credono che il dodicesimo e ultimo imam discendente da
Maometto sia nascosto e che un giorno riapparirà per compiere la volontà divina (questo è il
motivo per cui, tra l’altro, l’ex presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad in molte riunioni di
governo lasciava una sedia vuota accanto a sé: per aspettare il ritorno del Mahdi, l’imam
nascosto).
Questa differenza ha portato i sunniti ad accusare gli sciiti di eresia, e gli sciiti ad accusare i sunniti
di avere dato vita a sette estreme, come gli wahabiti più intransigenti.
6.4 Sunniti e sciiti: le differenze
Il termine sunnita deriva da “sunna” ovvero la tradizione dei detti di Maometto mentre il termine
sciita deriva da “shiat Ali” ovvero "il partito di Ali".
I paesi con presenza rilevante sciita sono: Iran (90%) Pakistan (20%) Bahrein (70%) Yemen (50%)
Arabia Saudita (15%) Iraq (55%) Libano (27%)
I pilastri del culto sunnita sono cinque:
•
la professione di fede
•
la preghiera rituale
•
l’elemosina canonica
•
il digiuno del ramadan
31
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•
il pellegrinaggio alla Mecca
I pilastri del culto sciita sono 10 e tra gli altri vi sono il “Tawalla” che significa amore per il bene e
il “Tabarra” che significa odio per il male.
I sunniti pregano con le mani all'altezza del diaframma e per la professione di fede si ripete la
formula "testimonio che non c'è divinità se non iddio e Muhammad è il suo profeta”, frase che si
ritrova anche sulle bandiere dell’Isis. Gli sciiti pregano con le mani in parallelo rispetto al corpo
davanti alle cosce.
I sunniti celebrano solo due feste: l’Ed Al Fitr che celebra la fine del mese di digiuno e l’Eid Al-Adha
che celebra il sacrificio della fine del pellegrinaggio alla Mecca. Gli sciiti festeggiano in particolare
l'Ashura la festa che ricorda il martirio di Hussayn a Karbala.
L'uso del velo è obbligatorio in base a due sure del corano, le versioni più rigide come il burqa o il
niqab sono diffuse nei paesi sunniti come l'Afghanistan mentre in Iran, che è il più grande paese
sciita, il velo più usato è lo hijab.
I sunniti non hanno clero e l’imam è colui che guida la preghiera mentre lo sciismo ha il clero
organizzato che è preparato in università di scienze islamiche.
Distribuzione Sunniti-Sciiti nel mondo
6.5 Sunniti e sciiti in Siria
La rivalità tra sciiti e sunniti è scoppiata a livello politico a partire dalla rivoluzione khomeinista in
Iran del 1979, che ha portato alla cacciata dello scià iraniano, che fino a quel momento era stato
tra le altre cose anche filo-americano, e all’instaurazione di una teocrazia islamica, sciita, in forte
contrapposizione con tutti i paesi governati dai sunniti nel Golfo Persico. Dal 1979 le alleanze nella
regione si modificarono, e i cambiamenti furono notevoli e con grandi conseguenze: si rafforzò
l’inimicizia dei sunniti contro la cosiddetta “mezzaluna sciita”, che dall’Iran passa al regime alawita
di Assad in Siria e arriva fino a Hezbollah in Libano. Questa divisione si sta realizzando
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concretamente in diversi paesi del Medio Oriente. In Iraq, per esempio, ci sono ogni giorno
attentati di natura settaria che provocano la morte di decine di persone: è da diversi anni che gli
scontri tra iracheni sunniti e governo sciita vanno avanti, più per ragioni politiche di controllo del
potere che per ragioni ideologiche. I paesi che dal 1979 stanno guidando i due fronti dell’Islam,
l’Arabia Saudita sunnita e l’Iran sciita, sono entrati da diverso tempo nella guerra siriana.
Sunniti e sciiti in Siria
La guerra in Siria, conosciuta anche come guerra civile siriana, è un conflitto iniziato nel 2011 e che
va avanti ininterrottamente da quattro anni, contando attualmente più di 220mila vittime e
migliaia di profughi.
Tutto ha avuto inizio nel marzo 2011, quando la popolazione manifestò contro il regime del
presidente Bashar al-Assad, succeduto al padre, e governa la Siria ininterrottamente dal 2000 (la
famiglia Al-Assad, complessivamente, governa a Damasco dal 1971). Il regime cercò di reprimere
con la forza le manifestazioni, causando centinaia di morti, ma le proteste si diffusero.
Dopo le repressioni una parte dei manifestanti è passata alla lotta armata e alcuni soldati siriani
hanno disertato per unirsi alle proteste. Negli ultimi mesi del 2011 alcuni ufficiali disertori hanno
proclamato la nascita dell’Esercito Siriano Libero (cioè l’FSA, Free Sirian Army). Da allora si è
passati ad una vera e proprio guerra civile.
L’Arabia Saudita finanzia i ribelli sunniti, l’Iran manda i propri uomini della Guardia Rivoluzionaria e
i combattenti di Hezbollah a combattere in alcune zone della Siria.
Le conseguenze di quella che è stata definita da più parti come “regionalizzazione” della guerra
siriana sono già molto visibili: la violenza del conflitto ha raggiunto livelli altissimi e ci sono sempre
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più testimonianze di brutalità e violazioni gravi dei diritti umani che ogni giorno vengono compiute
in Siria. Il coinvolgimento di Hezbollah ha radicalizzato ancora più lo scontro e ha permesso al
fronte di Assad di recuperare molti villaggi e città nella zona della Siria che oggi viene considerata
più importante dal punto di vista strategico: quella a nord del confine con il Libano, che dalla
capitale siriana Damasco porta alla costa occidentale del paese.
6.6 La questione curda
Quello kurdo è il popolo senza terra più numeroso del pianeta: 30 milioni di persone che vivono in
un’area (da loro chiamata Kurdistan) che si estende in Turchia, Iraq, Iran, Armenia e Siria. La
maggior parte dei kurdi (12 milioni) è comunque concentrata nel territorio della Turchia orientale.
Qui essi combattono dal 1920 per il riconoscimento del loro diritto di autodeterminazione. La lotta
si è intensificata da quando, nel 1974, i kurdi turchi si sono organizzati nel Partito del Lavoratori
del Kurdistan (PKK).
Da allora l’esercito di Ankara, appoggiato anche da alcuni Paesi dell’Occidente, ha intrapreso un
vero e proprio genocidio teso alla eliminazione culturale e fisica del popolo kurdo. I continui
bombardamenti aerei dei villaggi kurdi hanno provocato finora 35mila morti e 3 milioni di rifugiati.
La repressione politica contro il PKK ha le dimensioni di 10mila prigionieri politici (compreso il
leader del partito Ocalan). Lo scorso anno il PKK ha ritirato la maggior parte dei suoi combattenti
dalla Turchia annunciando la fine dei combattimenti nel sud-est del Paese. Ma il governo di Ankara
ha rifiutato il cessate il fuoco dicendo di voler continuare a combattere fino alla resa totale dei
ribelli.
La repressione che ha colpito i kurdi, soprattutto in Turchia, e la ricerca di lavoro nell’emigrazione
hanno determinato d’altra parte una diaspora kurda, che si è accentuata negli ultimi decenni. Ciò
ha portato circa metà della popolazione kurda mondiale a vivere fuori dal Kurdistan, soprattutto in
Germania.
E' dal 1920 che chiedono al governo turco e non solo la creazione di uno stato indipendente: il
Kurdistan, una regione di 550 mila chilometri quadrati è divisa tra Turchia, Iran, Iraq e Siria. La
popolazione di questa etnia, una delle più grandi al mondo senza un suo territorio e la quarta
mediorientale dopo arabi, persiani e turchi, è presente infatti anche in Siria, Iran ed Iraq.
6.7 I curdi in Siria
I curdi che vivono nel Kurdistan occidentale (Kurdistana Rojava) e in Siria hanno vissuto a lungo ai
margini degli sviluppi politici generali e sono stati loro stessi a rischio di scomparsa. Non avevano
mai acquisito il posto che si meritavano a livello di dibattito pubblico regionale e internazionale.
Quando si parlava dei curdi siriani, anche negli ultimi tempi, non era che a margine degli
avvenimenti verificatisi nel Kurdistan iracheno o nel Kurdistan turco. Eppure i curdi del Kurdistan
occidentale non hanno sperimentato meno problemi degli altri; ma questo fatto si spiega
attraverso considerazioni geografiche, demografiche e soprattutto fondamentalmente politiche, il
motivo principale essendo la persistenza dello status quo nella regione di fronte alle politiche
negazioniste che hanno ignorato i diritti e persino l’esistenza di un popolo.
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Tuttavia la rivolta popolare scoppiata nel Kurdistan occidentale (Kurdistana Rojava) contro il
regime siriano ha aperto la strada a un rapido cambiamento della situazione e ha finalmente
attirato l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale su questa parte del Kurdistan. Questa
regione, la più piccola del Kurdistan, è diventata attualmente la chiave per risolvere la questione
curda, e un modello di organizzazione politica per l’intero Medio Oriente. I cambiamenti avvenuti
in Kurdistan occidentale hanno prodotto effetti sulle altre parti del Kurdistan (Turchia, Iran e Iraq),
effetti che, ovviamente, non vanno in un’unica direzione. Si possono valutare le difficoltà
affrontate per arrivare a un tale livello di cambiamento. Le politiche repressive, i programmi
d’assimilazione e la propaganda negazionista sono simili nelle diverse parti del Kurdistan e, in
Kurdistan occidentale, sono state spinte fino al punto in cui i curdi abitanti in quella regione non
avevano acquisito alcun diritto fondamentale in quanto residenti, alcuni privati perfino dei
documenti necessari per il godimento dei diritti civili. Essi stessi hanno quindi dovuto resistere per
lunghi anni.
Bibliografia e sitografia
Perché parliamo di sciiti e sunniti, 31 maggio 2013, http://www.ilpost.it/2013/05/30/percheparliamo-di-sciiti-e-sunniti/
La differenza tra sunniti e sciiti spiegata in 2’ con un’animazione, 26 novembre 2015,
http://www.lastampa.it/2015/11/26/multimedia/esteri/la-differenza-tra-sunniti-e-sciiti-spiegatain-con-unanimazione-ycZHGoQGC83cH5CMe2hugJ/pagina.html
Una mappa per capire la collocazione geografica di sciiti e sunniti, 22 marzo 2008
http://www.religione20.net/2008/03/22/una-mappa-per-capire-la-collocazione-geografica-disciiti-e-sunniti/
Breve storia del conflitto siriano-Dalla prima protesta del marzo 2011 alla guerra civile. 2012
http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntate/breve-storia-del-conflitto-siriano/1256/default.aspx
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7. Le frontiere interne siriane
A cura di Sebastiano Benfenati, Daphne Campanero, Martina Zinelli
7. 1 La situazione interna siriana
Parlare della Siria vuol dire riferirsi a una situazione degenerata, derivante dal contesto della
cosiddetta "Primavera Araba", con la quale si indica una serie di proteste popolari cominciate tra
la fine del 2010 e l'inizio del 2011, in territori appartenenti al mondo arabo. I primi episodi
riconducibili ad essa sono avvenuti in Tunisia, dando forma alla "Rivoluzione dei Gelsomini", che
innescò una vera e propria ondata di proteste contro i rispettivi regimi anche nei paesi adiacenti.
Queste portarono alla fuga di numerosi capi di stato, tra i quali Hosni Mubarak in Egitto e
Muhammar Gheddafi in Libia (che venne successivamente catturato e ucciso).
La Siria si colloca in questo quadro già di per sè drammatico, con una situazione interna ancora più
critica e intricata rispetto a quella degli altri stati. La guerra civile è iniziata nel 2011, ed è stata
definita "Guerra Mondiale Locale" (Limes) per sottolineare il grande frazionamento interno che si
è creato e il fatto che ad essa partecipino le massime potenze planetarie e regionali a sostegno
delle suddette fazioni. Il quasi immediato supporto occidentale andò a favore dei ribelli siriani,
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nella speranza di una caduta fulminea del regime così come era successo in Tunisia, Egitto e Libia.
Al contrario di ciò che ci si aspettava, la guerra si fece sempre più cruenta, contando tra le sue
vittime ormai oltre 200mila siriani. Il regime è invece sostenuto da potenze straniere quali Russia,
Iran e in secondo luogo Corea del Nord, Venezuela ed Iraq. La reazione del governo di al-Asad
contro i ribelli è da subito particolarmente violenta, arrivando a colpire migliaia di civili, costretti
ad armarsi per difendersi. Dopo anni di conflitti interni, appare sempre più evidente l'irreversibilità
della situazione che si è venuta a creare.
"Quella che continuiamo a battezzare Siria sta scadendo a buco nero geopolitico, tanto più
profondo quanto più durerà il conflitto. Se la posta in gioco della ribellione contro al-Asad era
inizialmente lo Stato siriano, oggi chiunque "vinca" si troverà in mano un cumulo di macerie, fiumi
di sangue da vendicare, bande criminali a scorrazzare fra le rovine di un già orgoglioso
protagonista del Levante arabo."9
Tanto più che il regime non si limita a condurre operazioni di controguerriglia, ma effettua una
vera e propria guerra con armi pesanti e volanti, escludendo in questo modo la ricostituzione del
proprio dominio totale sull'intera Siria. D'altra parte anche i ribelli armati, dopo anni di guerra,
hanno ormai raggiunto un'ottima capacità operativa individuale, anche se ancora non riescono a
coordinarsi. Tra di essi la fazione dell'Esercito Siriano Libero ha ancora il ruolo di
comandantestrategico, ma numerosi gruppi estremisti si sono ormai formati ed allontanati,
unendosi al Fronte al-Nusra. Ad essi si aggregherà successivamente lo Stato Islamico dell'Iraq e del
Levante (ISIS), per il quale la guerra in Siria è solo un passo verso la Jihad globale e la rifondazione
del califfato. Ora vedremo più nel dettaglio come sono composte queste fazioni.
7.2 Il governo di al-Asad
Al-Asad divenne presidente per caso, in quanto fin da giovane dimostrò ben poco interesse per la
politica. Venne spinto verso questa direzione a causa della morte del fratello maggiore, il quale
sarebbe dovuto diventare il futuro presidente precedentemente designato. Inizialmente venne
considerato da certi osservatori esterni quasi come un fantoccio manovrato dagli ex-collaboratori
del padre, e in generale, essendo di religione alawita, in Siria fu ed è tutt'ora malvisto dalla
maggioranza sunnita e dai Fratelli Musulmani.
Il conflitto in Siria è iniziato il 15 marzo del 2011 come una protesta contro la corruzione che
harovinato ogni aspetto della vita delle persone e ha creato la mancanza di libertà. Inizialmente
viene portata avanti pacificamente, ma la mancanza di risposta alle richieste è seguita da una
grave e prolungata azione militare contro i ribelli, spingendoli ad azioni di ritorsione.
Contemporaneamente alla repressione, al-Asad acconsente a una serie di concessioni, che però
non miglioreranno la situazione.
9
Lucio Caracciolo, La perla di Lawrence, editoriale del volume 2/2013 di Limes, "Guerra Mondiale in Siria", pagina 13.
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Il governo non si trova contro solo l'opposizione, ma anche una composita alleanza che vede
presenti diverse organizzazioni terroristiche tra cui il Fronte al-Nusra affiliato ad Al-Qaeida e lo
Stato Islamico.
Dalla parte del regime, invece, tutt'oggi combattono le Forze armate siriane, ovvero le truppe
regolari derivate dalla leva, e gli shabiha, milizie formate da civili originari da bande dedite al
contrabbando. Tale esercito è ormai uno strumento non ufficiale del regime per soffocare le
rivolte, represse sempre più frequentemente nel sangue. L'avanzata dei ribelli ha infatti
estremizzato le reazioni del governo, che utilizza sempre più spesso aerei di assalto su centri
abitati, provocando un cospicuo numero di vittime.
A causa della sua posizione strategica, inoltre, la Siria fa sì che anche altri stati vengano coinvolti
nella guerra civile; il Libano sostiene la Siria (sia militarmente che politicamente), mentre la
Turchia e i paesi Sunniti del Golfo sostengono i ribelli. Il 3 giugno 2014 Basshar al-Asad è stato
rieletto con l'88,7% dei voti, venendo riconosciuto da 30 paesi (esclusi gli USA) essendo le prime
elezioni multipartitiche. Eppure nonostante le elezioni e i quattro anni di guerra, nessuna delle
fazioni è ancora vicina alla vittoria.
7.3 I ribelli e le loro divisioni interne
"A rendere finora intrattabile la guerra di Siria sono la quantità crescente di soggetti armati
informali e la convinzione reciproca di non poter trattare con il nemico. Ciascun contendente
attribuisce all'altro l'intenzione di liquidarlo. Mors tua vita mea. Convivere non si può. Personalità
di buon senso e gruppi moderati, che inizialmente giocavano un ruolo nella rivolta e non
mancavano nemmeno fra i governativi, sono ai margini. Dopo un biennio di sangue e crudeltà, è
l'ora dei radicali."10
Ormai la maggioranza dei ribelli si è unita, o comunque ha buoni rapporti, con le forze del
fondamentalismo islamico, aggiungendo altra violenza a quella esercitata dal regime. La principale
forza militare dell'opposizione siriana al governo di al-Asad è l'Esercito siriano libero, composto
principalmente da ex-combattenti e disertori delle Forze armate siriane e agli ordini del colonnello
Riyāḍ al-Asʿad. Quest'ultimo annunciò che tale gruppo avrebbe preso parte al conflitto come
rappresentante del popolo siriano, essendo intenzionato a supportare i dimostranti e a far cadere
il sistema. Vi fu e vi è tutt'ora un grande numero di diserzioni nei ranghi delle Forze armate siriane
a favore dell'Esl, inizialmente da parte di soldati semplici e ufficiali di basso rango e
successivamente anche da parte di quelli di rango più elevato. Un buon numero degli attuali
comandanti dell'Esl appartiene alla sfera politica della Fratellanza musulmana o comunque è
associato ad essa, e riconosce l'autorità della Coalizione Nazionale Siriana, principale organo
politico dell'opposizione. Essa non viene invece riconosciuta dal Fronte al-Nusra, il gruppo
militante jihadista più aggressivo ed efficace tra le forze ribelli. Il Fronte è considerato il ramo
siriano della rete terroristica di al-Qaeda, ed è guidato da Abu Muhammad al-Gulani. Inizialmente
collaborava con l'Esl, ma il loro rapporto si fece sempre più fragile a causa della contesa dei
10
Lucio Caracciolo, La perla di Lawrence, editoriale del volume 2/2013 di Limes, "Guerra Mondiale in Siria", pagina 20.
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territori conquistati, fino a sfociare in una rottura. Il Fronte al-Nusra, tra l'altro, fa largo uso di
attentati-suicidi e autobombe, probabilmente usando come conducenti prigionieri e oppositori.
L'ultima grande fazione a favore dei ribelli è costituita dallo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante
(ISIL), il quale si differenzia dai primi due presi in considerazione, meritando un paragrafo a parte.
7.4 ISIS: confini e politica
Lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (ISIL), o Stato Islamico dell'Iraq e Siria (ISIS), il cui attuale
capo è Abu Bakr al-Baghdadi, iniziò a prendere parte al conflitto siriano inizialmente inviando
membri iracheni e siriani appartenenti a tale associazione in Siria per partecipare alla guerriglia.
Tali membri fondarono il Fronte al-Nusra, operante per i ribelli siriani e la caduta del regime, e
inizialmente in buoni rapporti con lo Stato Islamico, tanto che il comandante al-Baghdadi aveva
annunciato l'unione dei due gruppi jihadisti. A causa di incomprensioni, dovute principalmente al
rifiuto del Fronte al-Nusra di unirsi totalmente all'ISIS, la fusione non avvenne, in quanto per di più
il Fronte pretendeva che l'ISIS gli lasciasse campo libero in Siria. Vi sono inoltre importanti
differenze tra i due movimenti, soprattutto per quanto riguarda gli scopi per i quali essi lottano. Il
principale obiettivo di al-Nusra è infatti quello di rovesciare il governo di al-Asad, dunque è più
incentrato sulla politica siriana in quanto tale. L'ISIS,invece, punta ad istituire un proprio governo
nei territori conquistati, in funzione della costituzione ed espansione di uno stato fondamentalista
salafita. È dunque molto più spietato e determinato rispetto ad al-Nusra, portando avanti attacchi
settari ed imponendo la shari'a (letteralmente "Legge di Dio"). I combattenti dell'ISIS, per questo
motivo, sono visti dalla popolazione rifugiata locale più come degli invasori stranieri che degli
alleati. I metodi utilizzati nei confronti dei civili sono aberranti e spaziano dall'esecuzioni di massa
di chi non è musulmano agli stupri delle donne dei paesi conquistati. Tra di esse un importante
esempio sono le donne curde, che hanno creato un gruppo di resistenza che si staglia sullo sfondo
di questa interminabile guerra civile.
7.5 Minoranza curda
Il gruppo etnico dei curdi è da sempre stato una minoranza religiosa perseguitata in svariati stati,
nei quali si sviluppano i confini dell'immaginario Kurdistan, territorio compreso tra Iran, Iraq, Siria
e Turchia. Nei confronti di questa popolazione vi furono sempre numerose discriminazioni, spinte
soprattutto dalla paura degli stati ospitanti di una possibile pretesa sul proprio territorio da parte
dei curdi, che costituiscono comunque una minoranza abbastanza importante in ciascuno dei paesi
sopra citati. Essi si inseriscono anche nello scenario della guerra civile siriana come "sottogruppo"
di ribelli, che lottano più che altro contro l'ISIS e il terrore che semina nel paese. Nel settembre
2014 nasce un importante movimento di resistenza creato da donne curde, grazie al quale l'ISIS è
stato definitivamente cacciato dal territorio del Kurdistan siriano. Questo gruppo promuove la
pace, per la quale si è costretti ad imbracciare le armi. Oltre che per il territorio, la resistenza delle
donne curde lotta contro l’ordine sociale fortemente gerarchizzato e la rigida mentalità patriarcale
che affondano le proprie radici nelle forme più estreme dell'Islam, dalle quali si discostano
assolutamente. Ritengono infatti la loro religione come portatrice di pace, e non di odio,
affermando che la folle linea dell’ISIS non ha nulla in comune con essa.
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"Il progetto che queste donne portano avanti va ben al di là della necessaria e prossima sconfitta
delle orde di terroristi che fanno parte dell’Isis. Esso comprende una società nuova, caratterizzata
dal recupero delle radici culturali umiliate dall’oppressione dei regimi e dal superamento dei
vecchi modelli feudali e patriarcali."11
Non attendono dunque di essere salvate da qualcun'altro, bensì lottano in prima persona per la
conquista di un mondo migliore per sè stesse e per gli altri. Le combattenti curde sono circa
10mila, e tutte sono state sottoposte ad un duro addestramento che le ha portate lontano dalla
loro famiglia e dalla loro casa a combattere per la causa curda. Ciò ridà speranza a un popolo
disperso, che costituisce uno dei più grandi gruppi etnici privi di unità nazionale, nonostante gli
ostacoli che difficilmente risulteranno superabili anche possedendo tale determinazione.
7.6 Conclusioni
Sono passati più di quattro anni dall’inizio della guerra civile in Siria. Decine di migliaia di morti,
centinaia di migliaia di profughi, città distrutte e un paese in ginocchio. La guerra in Siria si può
definire a tutti gli effetti una guerra mondiale anche se combattuta a livello locale. È una guerra
che coinvolge i principali paesi a livello internazionale: Francia, Inghilterra, Turchia, le petromonarchie (Arabia Saudita e Qatar in testa) e in maniera più defilata gli Stati Uniti che armano,
finanziano e supportano i ribelli anti-Asad, mentre Russia, Iran e Cina appoggiano le forze
filogovernative. È anche, però, una guerra dalle forti divisioni interne tra i territori controllati dal
regime, quelli conquistati dai vari gruppi di ribelli e i possedimenti dell'ISIS. Il particolare riflette
l'universale degli schieramenti esteri, dando a questo conflitto una terribile unicità sempre più
rischiosa. La crisi alla quale si è arrivati non passerà tanto facilmente, ci vorranno anni per
ricostituire la pace di un tempo e l'unità perduta. La già varia composizione etnica e religiosa della
Siria potrebbe portare alla creazione di tante sub-unità, che comunque uscirebbero da questo
11
Fabio Marcelli, Isis, la resistenza delle donne curde, da “Il Fatto Quotidiano” 11 settembre 2014
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conflitto con un'economia distrutta e una civiltà da ricostruire. Difficilmente i confini ritorneranno
ad essere com'erano inizialmente, ma la costante di un futuro dopoguerra è la devastazione che la
Siria si porterà dietro, dovendosi ricostruire il futuro su di un cumulo di macerie.
Bibliografia-sitografia
Quattro anni di guerra in Siria, http://www.ilpost.it/2015/03/15/quattro-anni-guerra-siria/
Fabio Marcelli, Isis, la resistenza delle donne curde, “Il Fatto Quotidiano” 11 settembre 2014
Lucio Caracciolo, La perla di Lawrence, editoriale del volume 2/2013 di Limes, "Guerra Mondiale in
Siria", pagina 20.
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8. Frontiere ISIS
A cura di Matteo Angella, Luca Marchini e Marco Valenti
8.1 Introduzione
Il 29 giugno 2014, il gruppo di jihadisti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil), più noto
come Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (Isis), annunciano la creazione di un califfato islamico nei
territori controllati tra Siria e Iraq, nominando come proprio leader Abu Bakr al-Baghdadi, “il
califfo dei musulmani”.
È il prodotto della specifica situazione politica che si è venuta a creare in Iraq nel 2003-2004
all’indomani della «seconda guerra del Golfo». Vale a dire della guerra condotta principalmente da
Stati Uniti e Gran Bretagna contro l’Iraq nel 2003, la quale portò alla caduta e poi alla condanna a
morte del dittatore iracheno Saddam Hussein. È sulla base di queste due matrici che si può
schematicamente comprendere che cos’è l’Isis, il quale oggi si autodefinisce più semplicemente IS:
“Stato islamico”. Come tutti i gruppi che si ispirano al fondamentalismo islamico dal Marocco
all’Indonesia, l’Isis si riconosce nel principio – adottato dai Fratelli Musulmani in Egitto nel 1928 e
poi da tutti i movimenti fondamentalisti sorti soprattutto nell’ultimo quarto del XX secolo –
secondo il quale “la nostra Costituzione è il Corano”.
8.2 Espansione
Considerando la gestione dei combattimenti (e in generale la logistica interna) dell’ISIS gli analisti
affermano che l’attuale missione primaria del Califfato è quella di difendere le zone già
conquistate. Però tra gli obbiettivi c’è sicuramente l’espansione e la conquista.
Il sedicente Stato Islamico ha già sotto controllo le città chiave dell'Iraq e della Siria. L'ISIS si è
espansa nella provincia irachena di Abnbar e nelle aree petrolifere della Siria. Inoltre ha aperto dei
fronti in Libia e nella penisola egiziana del Sinai. Dopo aver ottenuto il controllo, lo stato islamico
impone la severa legge della Shariah, ma a differenza di altri gruppi jihadisti, mira a governare
attivamente, provvedendo a servizi pubblici come l'approvvigionamento dell'acqua, la costruzione
di strade e un sistema giuridico.Un'altra tattica espansionistica dell'ISIS è la distruzione della
comunità dall'interno. Lo stato Islamico infiltra gruppi locali, spesso usando l'intimidazione per
influenzare i leader. Inoltre instaurano cellule dormienti, che emergono in momenti critici.Analisti
pensano che lo stato islamico stia costruendo una rete di comunicazione in Arabia Saudita e in
Algeria.
8.3 Territorio
La Live map12 del sito indicato in nota permette di seguire l’espansione dell’ISIS. Nell’immagine
della pagina seguente l’ultima mappa, del luglio 2015.
12
Sul sito http://www.corriere.it/esteri/15_agosto_24/isis-quanto-grande-davvero-califfato-infografica-902f5ca84a64-11e5-bdc5-ee9c5a368093.shtml?refresh_ce-cp è reperibile una serie di immagini da 01/09/2013 a 08/07/2015;
vedi anche per mappe aggiornate ed eventi http://isis.liveuamap.com/
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Attualmente il territorio ISIS è suddiviso in 33 province («wilaya»), in un territorio che spazia dal
Nord Africa all’Afghanistan. Le zone direttamente controllate dal Califfato non sono molto estese,
differente è il discorso sulle zone di influenza e di supporto dello Stato Islamico, le quali hanno
un’estensione molto maggiore.13
Ciò che si può facilmente notare dalle mappe è che nella zona immediatamente a nord del
territorio dell’ISIS c’è una grande presenza del gruppo etnico dei Curdi.
Distribuzione delle aree curde in Medioriente (1986)
13
Questi dati sono poco verificabili in quanto è difficile definire con esattezza i contorni dello Stato Islamico.
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8.4 Confine Turco-Siriano: gestione turca della frontiera
Nelcorso del 2014 e del 2015 la collaborazione tra diversi stati anti-ISIS si è intensificata, anche a
causa di un più elevato movimento di truppe ISIS e ad un corrispondente incremento di guerriglia.
Fondamentale la collaborazione tra Iraq e Turchia, infatti quest’ultima a partire dall’ottobre 2014,
ha permesso alle forze armate curde irachene di attraversare il proprio territorio per arrivare sul
confine con la Siria e oltrepassare la frontiera per raggiungere la città di Kobani, in aiuto ai ribelli
contro i militanti dell’ISIS. Questa decisione rappresenta un grande cambiamento della linea di
azione del Governo Turco, che per parecchio tempo aveva rifiutato di permettere il transito di
truppe nel proprio territorio e di passare il confine con la Siria. Fra i ribelli che combattono l’ISIS a
Kobani, infatti,ci sono membri del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) 14 e peshmerga curdi
(di orientamento comunista), a cui il primo ministro Erdogan è stato sempre ostile, considerandoli
terroristi.
Dopo l’attentato all’aereo russo nel Sinai del 31 ottobre 2015 e quello di Parigi del 13 novembre, si
sono intensificati gli interventi della Russia e della Francia, aiutati dalle altre forze della coalizione
anti-ISIS. La situazione è stata in seguito complicata dall’abbattimento di un aereo russo da parte
dei turchi (24 novembre).
Le forze anti-ISIS non risultano sempre d’accordo su obiettivi e strategie, né sul futuro della Siria:
Putin continua a sostenere Assad, mentre gli USA ritengono non possa continuare a governare
dopo anni di guerra civile e repressione.
Mappa del 27 luglio 2015, dopo gli accordi Turchia-USA per la creazione di una no fly zone a nord della Siria
14
Partito dei Lavoratori del Kurdistan → sigla PKK. Partito politico e organizzazione paramilitare, sostenuto dalle
masse popolari (prevalentemente agricole) della zona sud-est della Turchia. In Turchia è ritenuto illegale. Il Partito è
considerato di estrema sinistra.
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8.5 Isis, fenomenologia di un Islam che non vuole confini
Il sedicente Stato Islamico ha effettuato grandi sforzi per imprimere una nuova identità in coloro
che vivevano nella sua crescente sfera di influenza (multinazionale), per esempio istituendo
Tribunali della Sharia e pubblicizzando video dove i combattenti dello Stato Islamico bruciavano il
loro passaporto. Il gruppo terroristico denuncia che il sistema di confini del Medio Oriente è
un’imposizione risalente al colonialismo dell’inizio del ‘900.
Secondo i maggiori stati musulmani, l’Islam non ha confini. Il che, tradotto per l’Occidente,
significa che quell’Islam non riconosce e non accetta le frontiere statali.
Bisogna ammettere che quelle linee di confine, disegnate tanto dagli Accordi Sykes-Picot15 quanto
dai Paesi vincitori delle guerre del Novecento, sono state tracciate contro la volontà delle
popolazioni locali e senza una chiara comprensione delle prerogative etniche delle comunità che si
andavano a dividere.
Per i Touareg libici o i berberi del Mali, ad esempio, i punti di riferimento sono ancora oggi le oasi e
non certo le capitali o le frontiere disegnate sulle mappe tracciando una riga in verticale o in
15
Intesa segreta (1916) fra l’Inghilterra, rappresentata da M. Sykes (1879-1918), e la Francia, rappresentata da F.
Georges-Picot (1870-1951), con l’assenso della Russia zarista, per decidere le rispettive sfere d’influenza e di controllo
in Medio Oriente, dopo il crollo ritenuto imminente dell’impero ottomano. All’Inghilterra fu riconosciuto il controllo,
diretto e indiretto, di un’area comprendente la Giordania attuale e l’Iraq meridionale, mentre la Francia avrebbe avuto
la regione siro-libanese, l’Anatolia sudorientale e l’Iraq settentrionale, e la Russia Costantinopoli con gli stretti e
l’Armenia ottomana. Il resto della Palestina sarebbe stato sotto il controllo internazionale.
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orizzontale, senza sapere che nel deserto non c’è modo di segnare un confine. Il frutto di quelle
spartizioni, insomma, lo raccogliamo oggi.
È anche così - oltre ai meccanismi del disagio economico, che incide ben più della mancanza di
diritti - che nascono fenomeni eversivi, scontri etnici e violenze, rivolti anzitutto all’interno delle
comunità di appartenenza.
Bibliografia-sitografia
Carlo Lodolini e Marta Serafini, Quanto grande davvero è il califfato?15 agosto 2015
http://www.corriere.it/esteri/15_agosto_24/isis-quanto-grande-davvero-califfato-infografica902f5ca8-4a64-11e5-bdc5-ee9c5a368093.shtml (serie di mappe dal 2013 al 2015)
Mappe – Carte Geografiche: http://isis.liveuamap.com/
T.Arango e C.Yeginsu, Turkey Seeks Buffer Zone on the Border with Siria, 9 ottobre 2014
http://www.nytimes.com/2014/10/10/world/middleeast/turkish-support-of-coalition-fighting-isiscenters-on-border-buffer-zone-.html
K.Fahim e K.Shoumali, Turkey to Let Iraqi Kurds Cross to Siria, 20 ottobre 2014
http://www.nytimes.com/2014/10/21/world/middleeast/kobani-turkey-kurdish-fighterssyria.html
L.Tirinnanzi, Isis, fenomenologia di un Islam che non vuole confini, 27 febbraio 2015
http://www.panorama.it/news/esteri/obamamania/isis-fenomenologia-islam-non-vuole-confini/
Accordo Skyes-Picot. http://www.treccani.it/enciclopedia/accordo-sykes-picot_%28Dizionario-diStoria%29/
Video: ISIS http://www.tpi.it/mondo/iraq/l-isis-spiegato; ISWhttp://www.understandingwar.org/
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A cura della classe 5 F Scienze applicate
Coordinamento prof.ssa Sandra Borsi
31 gennaio 2016
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