prof. Teti Ricerca Telethon - Università degli Studi dell`Aquila

UNIVERSITÀ DELL’AQUILA
COMUNICATO STAMPA
RICERCA TELETHON: PRESERVARE LE OSSA PER CONTRASTARE LA DISTROFIA
Uno studio dell’università dall’Aquila individua una nuova strategia per rallentare la
progressione di questa grave malattia neuromucsolare
La lotta alla distrofia di Duchenne* passa anche per la salute delle ossa: uno studio finanziato da
Telethon e condotto da Anna Maria Teti dell’Università dell’Aquila indica una nuova strada per
contrastare questa grave malattia neuromuscolare, che compromette progressivamente i muscoli
di gambe e braccia, quelli del respiro e il cuore.
Pubblicato sul Journal of Bone and Mineral Research**, il lavoro è parte di un ampio progetto
multicentrico coordinato da Fabrizio De Benedetti dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di
Roma il cui obiettivo era capire se particolari “messaggeri chimici” del nostro organismo, fra cui
l’interleuchina-6 (IL-6), potessero avere un ruolo nella distrofia muscolare di Duchenne. «L’IL-6 è
coinvolta in tantissimi processi biologici molto diversi tra loro, come l’infiammazione e la
trasformazione tumorale» spiega Anna Maria Teti. «In questo studio abbiamo dimostrato sia nel
modello animale, sia nelle cellule di bambini distrofici, che questa stessa molecola è coinvolta nella
perdita di tessuto osseo già nelle prime fasi della malattia, quando la capacità di camminare non è
ancora compromessa». Le condizioni delle ossa sono strettamente correlate a quelle dei muscoli:
quando il muscolo è debole, anche l’osso si danneggia di conseguenza, perché non riceve un
adeguato stimolo meccanico. È quanto accade non solo nelle malattie neuromuscolari come la
distrofia, ma anche durante l’invecchiamento, in condizioni di sedentarietà prolungata o di paralisi,
oppure anche agli astronauti sottoposti per lungo tempo alla mancanza di forza di gravità. Allo
stesso tempo, un osso debole non fornisce al muscolo un adeguato sostegno e contribuisce così
alla debolezza progressiva che si osserva in questi pazienti.
«Il meccanismo con cui l’IL-6 media questo fenomeno è una sorta di sbilanciamento nel normale
ricambio dell’osso» continua la ricercatrice. «In condizioni normali le nostre ossa sono sottoposte a
due processi opposti: la deposizione di nuovo tessuto, mediata da cellule chiamate osteoblasti, e il
riassorbimento di tessuto vecchio, ad opera invece degli osteoclasti. Nelle persone sane c’è un
equilibrio perfetto, mentre quello che abbiamo osservato nei bambini distrofici è che c’è un forte
aumento dell’attività degli osteoclasti accompagnato da una riduzione di quella degli osteoblasti,
associati proprio all’aumento di IL-6 nel sangue. In termini clinici questo si traduce in una riduzione
dell’accrescimento delle ossa e in un aumento della loro fragilità».
Questo risultato spiega innanzitutto un fenomeno che in precedenza si pensava dovuto soltanto
all’effetto dei glucocorticoidi, farmaci antinfiammatori che attualmente sono utilizzati per rallentare
la progressione della malattia ma che alla lunga hanno pesanti effetti collaterali, anche sui muscoli.
Soprattutto suggerisce un’alternativa per prolungare la capacità di camminare in questi bambini. «I
dati di questo studio costituiscono il primo risultato concreto di un progetto volto a caratterizzare il
ruolo dell’infiammazione nella distrofia di Duchenne» aggiunge Fabrizio De Benedetti. «Scopo
finale delle ricerche in corso è proprio fornire un’alternativa al trattamento con i glucocorticoidi, tale
da rappresentare una terapia di supporto più efficace nel mantenere una migliore funzionalità del
sistema muscolo-scheletrico. Questo è particolarmente importante nel caso della distrofia di
Duchenne, visto che sono attualmente in sperimentazione diversi approcci terapeutici che
richiedono però di iniziare il trattamento quando la capacità di camminare non è ancora del tutto
compromessa dalla malattia».
Roma, 27 aprile 2011
* La distrofia muscolare di Duchenne è malattia neuromuscolare di origine genetica dovuta all'assenza di
una proteina chiamata distrofina. È caratterizzata dalla degenerazione del tessuto muscolare, che provoca
una progressiva perdita di forza e delle abilità motorie. I bambini colpiti spesso imparano a camminare in
ritardo e, intorno ai 5 anni, mostrano un'andatura particolare, difficoltà a fare le scale, ingrossamento dei
polpacci. La malattia progredisce causando grave scoliosi, perdita della deambulazione entro i 12 anni e, in
seguito, perdita della funzione degli arti superiori. Anche i muscoli respiratori ed il cuore sono coinvolti e sono
proprio le complicanze cardiache e respiratorie a ridurre l'aspettativa di vita di questi pazienti. In alcuni casi ci
può essere un deficit cognitivo, di entità molto variabile. Esiste anche una variante meno grave della
malattia, quella di Becker, in cui la distrofina è ridotta o alterata, ma mai assente.
** A. Rufo, A. Del Fattore, M. Capulli, F. Carvello, L. De Pasquale, S. Ferrari, D. Pierroz, L. Morandi, M. De
Simone, N. Rucci, E. Bertini, M. Bianchi, F. De Benedetti, A. Teti, “Mechanisms inducing low bone density in
Duchenne muscular dystrophy in mice and humans”. Journal of Bone and Mineral Research, 2011.
Per informazioni
Ufficio stampa Telehton: Filippo degli Uberti – 06 44015314, 335 7156263, [email protected]
Anna Maria Zaccheddu - 06 44015402, [email protected]
Ufficio Comunicazione Università de L’Aquila: [email protected]
Comunicazione e Relazioni esterne Ospedale Pediatrico Bambino Gesù: 06 68592390,
[email protected]