Le guerre di religione di ieri, di oggi, di sempre a cura Prof. Telesforo Nanni, storico, già docente di Filosofia e Storia presso il Liceo Scientifico “R.Donatelli” di Terni Il tema, che mi è stato assegnato, è talmente vasto da riconoscerne con difficoltà i confini. Ci induce a riflettere sul passato e sugli eventi del presente, non consentendo ottimismo. Sono stato colpito del conclusivo “ di sempre “ dell’enunciato; esso smentisce l’intento del corso, organizzato, come è scritto nel programma, “ per il raggiungimento delle finalità connesse all’educazione, alla convivenza civile, all’intercultura “. E’ possibile rilevare che il “di sempre “ ha un valore affermativo, non interrogativo. A mio avviso ciò è una prova di realismo, del quale dobbiamo tener conto, se vogliamo arrivare, senza eccessivi entusiasmi utopistici “ allo sviluppo del senso etico religioso, ad una formazione volta a valorizzare la coscienza storica e di appartenenza ai vari tipi di comunità”. Parlo di realismo, poiché, se è doveroso raggiungere, nei limiti concessi, lo scopo di questi incontri, ritengo che le mete conseguite siano sempre precarie; non dobbiamo dimenticarlo. L’equilibrio non è perenne; dopo un lasso di tempo lo perdiamo. La sua riaffermazione esige forti intenti e, purtroppo, sangue e lacrime. Di recente ho visto una scritta su un muro della nostra città: “ Fuori la guerra dalla storia”. Sono rimasto perplesso e pensieroso di fronte ad uno slogan, che mi è parso un misto di candore e di disinformazione. Ho rammentato il disincanto di Benedetto Croce, che, in una pagina esemplare, scrive: “ C’è l’ingenuo presupposto che il mondo sia un malato e che bisogni andare in cerca del rimedio per la radicale guarigione della sua malattia. Strano malato, che non è mai stato sano, e sempre ha fatto le cose di cui ora è accusato, e queste cose sono la sua storia, cioè la sua realtà. Tanto varrebbe considerare malato l’uomo perché s’innamora e fa tutte le corbellerie proprie dell’amare……” . Senza proporre un “paradiso terreno”, con lo sguardo rivolto al reale, come è effettivamente, Croce ci consiglia : ”Invochiamo il moltiplicarsi non dei disegni e dei programmi, ma degli uomini di buona volontà e di buon senso, mettiamoci al loro fianco……e avremo tutto ciò che è dato fare perché altro non si può o è finto fare e un vano chiacchierare “. Il mondo o, per meglio dire, la società si trasforma secondo un moto irrefrenabile; è ribelle ad ogni “perenne conquista”. I valori, in cui crediamo, come la libertà, la democrazia, la laicità, il dialogo, tendono ad irrobustirsi e a rigenerarsi con il confronto; una dialettica aperta, sottesa da una continua tensione, ci deve rapportare a “ mondi estranei “. Oggi, questi sono le minoranze extracomunitarie, presenti nel nostro Paese, in particolare la islamica. E’ illusorio non ammettere l’esistenza di un incontro – scontro ( facciamo in modo che sia sempre a livello culturale – religioso !) tra noi Italiani, radicati in una tradizione giudaico – cristiana, e i seguaci di Maometto. Dobbiamo acquisire la consapevolezza della “difficile dialettica tra il valore della diversità e il bisogno di comunità”; non è un conflitto, che comporta il ricorso alle armi; guai alla guerra di civiltà “. Vi invito a riflettere su due parole, usate dai Musulmani; non ce ne deve sfuggire il significato. La prima è jadal ( l’arte della polemica e della controversia); la seconda è jihad (la guerra santa, combattuta per cause religiose, l’obbligo per i Musulmani di lottare sino alla sottomissione degli infedeli, senza limiti di tempo e di spazio). I due termini sono carichi di passioni, di aperture, di prevenzioni. In effetti bisogna intendersi sul vocabolo “controversia”. Dipende dagli esiti a cui ci porta. Controversia di idee o controversia bellica ? E’ innegabile che sia “guerra leggera”, che implica cultura; possibile raffronto alla pari, convinti del valore dello jadal, “arte del dialogo con l’avversario”. Alcuni studiosi islamici sostengono che nel Corano sia rintracciabile lo jadal: l’ <arte del dialogo > è presente in un trattato del pensatore arabo Al Baji, vissuto nel secolo XI. Obiettivamente lo jadal è patrimonio dell’Occidente o del mondo islamico ? Senza smentita esso è patrimonio di noi occidentali; un bene prezioso che abbiamo acquisito nel corso dei secoli, dopo guerre, rivoluzioni, controversie ideologiche e religiose, da difendere, di continuo, in quanto c’è chi non ne tiene conto. Privilegio, del quale, sovente, non si apprezza il valore; è un traguardo ambito, da cui, se non vigiliamo, i dogmatici e gli intolleranti ci possono far retrocedere. “ La barbarie è sempre dietro l’angolo”. Nel libro “Dall’Islam a Prometeo” il filosofo Emanuele Severino conferma la scarsa importanza che la cultura musulmana conferisce al dialogo; è posto ai “margini dell’ortodossia”. Pur valutando positivamente l’apporto dei filosofi, dei letterati e dei giuristi, seguaci di Maometto, la valenza dello jadal è debole, a differenza dell’Occidente in cui il dialogo ha una sua storia Nel Cristianesimo è prevalente l’ammonimento: mondo”;nell’Islamismo lo jadal è tutt’altro che garantito. “Sara il dialogo a salvare il Non rammentare che, nel corso dei secoli, l’Islamismo e il Cristianesimo “ hanno avuto evoluzioni culturali analoghe, sarebbe da faziosi e da incolti. Infatti sono indiscutibili gli esiti costruttivi a cui giunsero i filosofi dell’Islam, affrontando il pensiero dei massimi pensatori greci; su questo terreno hanno un primato di precedenza rispetto al Cristianesimo. Personaggi prestigiosi come Avicenna ed Averroè giustamente sono definiti i “pilastri della filosofia araba”. Platone,Aristotele e Plotino sono identificati da Avicenna nella “ragione”; non diversa è la convinzione di Sant’Agostino e di San Tommaso. Avicenna non sfugge alla complicata connessione tra ragione e fede, attribuendo quest’ultima il privilegio della rivelazione, non concesso alla prima. Nondimeno la fede non è avversa alla ragione. L’Occidente è stato caratterizzato dalla dialettica tra ragione e fede, della quale esiste una storia, che non si riferisce soltanto ad un problema strettamente legato all’ambito teologico, ma anche al rapporto: religione e politica, Chiesa e Stato. Fare i conti da parte dei Cristiani con la “ragion di Stato” ha rappresentato una “tensione” utile all’Europa. All’Islam è mancato tutto questo. Nel sec.XI la “ questione ragione – fede “ rimane positivamente aperta nel Cristianesimo e di conseguenza in Occidente, mentre si spegne nell’Islam, che non esita a fare il vuoto intorno ad Avicenna e ad estinguere lo jadal. La “ modernità “ è respinta dai Musulmani; non hanno avuto l’esperienza duramente incisiva, ma proficua, della Riforma Protestante, che segna la storia della Cristianità. I Cattolici, i Luterani e gli appartenenti alle diverse Chiese riformate hanno dovuto misurarsi con l’Illuminismo, lo Stato nazionale e la filosofia moderna; lotta non agevole, a volte aspra in ogni senso,…che, pure nelle fasi più acute, non ha negato il dialogo. L’arresto dell’avanzata islamica in Europa nel sec.XVII e il colonialismo, subito dai paesi arabi, hanno reso difficoltoso lo jadal, necessario tra l’Occidente ed il Medio Oriente. Testimonia E. Severino che, in occasione di un incontro con alcuni Ayatollah, ha constatato, sorpreso, come i musulmani colti ignorino la “filosofia occidentale degli ultimi duecento anni”. Vuoto assoluto su Cartesio, Spinosa, Kant, Hegel, autori indispensabili per avere sempre più chiari i rapporti tra fede e ragione, religione e politica. Pensiero filosofico che mette in rilievo come il mondo non possa essere “guidato dalla sapienza e dalla bontà divina”, esclusione di Dio dall’uomo, sia esso cattolico, protestante e musulmano. E’ in atto un processo di de-sacralizzazione, di cui ogni giorno ne abbiamo testimonianza, la televisione ce lo conferma. “ Si crede sempre meno che la fede muova le montagne e sempre più che siano mosse dalla tecnica guidata dalla razionalità scientifica”, precisa con vigore E. Severino. La mancata conoscenza di autorevoli pensatori dell’età moderna e contemporanea porta numerosi uomini colti dell’Islam a sottovalutare la crisi che sta investendo loro e la latinità cristiana. Non avvertono la corrosione della religione, di cui in Europa siamo sempre più consapevoli, provocata da Leopardi, Nietzsche,Heidegger, Gentile. Cristianesimo ed Islamismo sono egualmente in pericolo. La tecnica, intesa in un senso più vasto, comprendente “il sistema scientifico – giuridico – finanziario avrà effetti devastanti in una comunità, legata strettamente al Corano; infatti tra i seguaci di Maometto pochi sono coloro che giudicano, con accortezza, quali mutamenti di carattere antropologico e religioso possano portare le potenti stazioni radio – televisive. La tecnica nelle sue varie forme prevarrà sulle religioni che confliggono necessariamente, dopo aver sperimentato il dialogo, pure con le migliori e civili intenzioni; su di esse cadrà pesantemente la tecnica, a cui è assicurata la vittoria fin da ora. Cristianesimo e Islamismo saranno “ svuotati” ed inerti; la pace dominerà, ma – con “ la violenza allo stato puro “. LA CHIESA E LA GUERRA Secondo la dottrina della Chiesa l’autorità, da quella familiare a quella politica, ha fondamento divino. “ Non c’è potere che non provenga da Dio” Non est potestas nisi a Deo. C’è un rapporto assoluto tra metafisica e principio di sovranità. Per di più è rilevante la massima : “ Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Gesù, infatti, afferma il valore ed il ruolo dell’autorità spirituale e di quella temporale in terra. Si distinguono, ma nello stesso tempo debbono collaborare, non contestando il principio di subordinazione dell’autorità temporale alla spirituale. Papa Gelasio, nel 400 d.C., formula la teoria dei duo luminaria, rivolgendosi all’imperatore Anastasio: “ Vi sono due poteri principali mediante i quali il mondo viene governato: l’autorità sacra dei Pontefici e il potere regio”. Da Dio discendono “ L’auctoritas sacrata dei Pontefici , o Ecclesia, e la regalis potestas dei sovrani, o Imperium “. Il consecratum conferisce la corona insieme con la spada, “ santa come l’altare”, la quale deve, di necessità, essere utilizzata soltanto “per le cause sante “; ovvero, chi la impugna non può sottrarsi dal combattere contro i nemici esterni ed interni. Esemplare è Carlo Magno, a cui, per la sua fede e per il suo coraggio, spetta la missione di pugnare chi offende con le armi la Christianitas; la guerra santa- difensiva è doverosa affinché la Chiesa trionfi. Da queste premesse è possibile precisare gli aspetti della specificità della Crociata, considerata “guerra giusta – cristiana “. E’ necessario marcare la differenza che connota la guerra giusta, dichiarata e avviata dai sovrani, dalla guerra santa, proclamata e sostenuta dalla Chiesa e dai Cristiani, quando si attenta alla loro libertà. Dalla documentazione, che ci è pervenuta,rileviamo che la Chiesa, nei suoi primi tre secoli, non pone un veto ai Cristiani, che prestano il servizio militare. Non è impropria la figura del soldato cristiano. Si ha notizia che nel 295, Massimiliano, un fervente credente, rifiuta di essere “uomo d’arme “; la scelta dello stato di reticenza gli procura una severa punizione. La coraggiosa decisione, in forza del messaggio evangelico,sarà premiata con la sua santificazione. Eustachio, Sebastiano, Maurino, soldati appartenenti a prestigiose legioni, vanno incontro al martirio perché non intendono” compiere atti di idolatria e di apostasia “. Il Concilio di Arles, nell’agosto del313 d.C. assume una posizione negativa nei riguardi del pacifismo: “ Quelli che gettano le armi vengano scomunicati. Quando si turba, usando la violenza delle armi, la pace del popolo cristiano, è legittimo, in nome della “giusta causa”, combattere “ (Sacramentario Leonino; testo composto a Roma nel V e nel VI secolo). Sant’Agostino non si sottrae ad elaborare una dottrina sulla guerra, ammettendo, come premessa, che l’uomo desidera vivere in pace, “tranquillità dell’ordine”; a questa si oppone “ la pace falsa ed apparente”. Il vescovo di Ippona condanna la guerra, di cui rileva il maleficio; nondimeno è convinto che, spesso, sia utile per riaffermare la “giusta pace”. Non è possibile non ritenere che la “ guerra giusta” sia una “giusta” vendetta contro i soprusi e la violenza. L’iniquità dell’avversario esige la risposta delle armi. “ E’ l’ingiustizia del nemico che obbliga il saggio ad accettare guerre giuste “. Non si dovrebbe giungere ad azioni belliche; purtroppo, a volte, le circostanze lo richiedono per non avvantaggiare i nemici della pace. San Tommaso dichiara apertamente il valore dello iustum bellum. “Quelli che fanno le guerre giuste hanno di mira la pace. Perciò essi sono contrari solo alla pace cattiva, che il Signore non è venuto a portare sulla terra” (Matteo, 10, 34) . Secondo l’Aquinate i buoni che hanno il desiderio di affermare il bene si contrappongono ai malevoli, ai quali interessa una pace apparente e falsa. S. Tommaso è rigoroso nell’affermare che soltanto chi è al potere, in quanto autorità, ha la facoltà di dichiarare guerra; ciò non è consentito ad un suddito. La provata colpevolezza per danni procurati rende “giusta” la reazione armata di un popolo; il proposito di combattere deve sottintendere l’affermazione dei valori del Cristianesimo. La “guerra offensiva” per reagire alla sopraffazione dell’avversario è senz’altro “giusta”. La giurisprudenza e la teologia non hanno l’obbligo di legittimare la “guerra difensiva”, poiché trova giustificazione nel “diritto naturale” dell’uomo. Difendersi non menoma la virtù e la santità della persona; la “giustizia vendicativa” è a discolpa della guerra, combattuta per le “ingiurie subite”. Le motivazioni, meritevoli di giustificazione, che inducono il Cristiano ad impugnare la spada, in linea di massima,sono: - “ recuperare una provincia o una città perduta” - “ punire una nazione per l’aiuto dato al nemico” - “ aiutare gli alleati” - “punire chi ha violato i trattati”. La sommaria esposizione delle considerazioni di S. Agostino e di S. Tommaso sulla guerra ha posto in evidenza: la iusta causa, l’auctoritas principis, e la intentio recta. Il concetto di “guerra giusta” è rintracciabile in Francisco da Vitoria, vissuto tra il XV e il XVI secolo, e in Francisco Suarez (1548 – 1617), due eminenti teologi. A sostegno della “guerra giusta”, Suarez richiama l’Antico Testamento, in cui “ sono lodate le guerre intraprese da uomini molto santi ”. Nel momento nel quale si è attaccati, la risposta immediata è la mobilitazione degli uomini armati, preparati al combattimento; la reazione è una “ingiustizia ormai incompiuta”, non presunta. La “guerra aggressiva” è possibile, dopo che i mezzi idonei e le trattative leali di pace hanno subito uno scacco. Francisco da Vitoria, nel dichiarare che la legge naturale consente la guerra, trova sostegno nell’Antico Testamento; inesistenti sono i passi che ne decretano la condanna. Anzi è approvata “guerra di difesa e di liberazione giusta”. La conclusione di quanto abbiamo esposto è la seguente: “La guerra è illecita per chi la fa senza una giusta causa e in modo indebito; “ la guerra è lecita, anzi è doverosa per chi la fa con giusta causa e nel debito modo”. BIBLIOGRAFIA GIOVANNI SARTORI multietnica - Rizzoli – Pluralismo, Multiculturalismo ed Estranei. Saggio sulla società FELICE DASSETTO - L’islam in Europa . - Ed. Fondazione Giovanni Agnelli FRANCO CARDINI - Storia di un malinteso: Europa e Islam - Editori Laterza EMANUELE SEVERINO - Dall’Islam a Prometeo - Rizzoli ROBERTO DE MATTEI - Guerra santa Guerra giusta - Piemme