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Introduzione
In genere le teorie matematiche non godono di molta notorietà presso il pubblico dei non specialisti. Una delle poche teorie che, invece, costituisce un caso privilegiato è quella relativa alle geometrie non euclidee. Infatti ogni persona, mediamente colta, che abbia avuto modo di operare qualche riflessione filosofica o qualche considerazione critica sulla natura della matematica, sicuramente ne è venuta a
conoscenza. In tali occasioni il tema delle geometrie non euclidee viene presentato
come un evento traumatico sopraggiunto improvvisamente a rompere l’illusione che
la matematica fosse un “regno di sapere indubitabile” e “deposito di verità assolute”
e a suffragare la tesi di una matematica “priva di certezze” e, sostanzialmente, in
balia del puro convenzionalismo.
Una tale idea, pur essendo molto efficace per sottolineare l’effetto rivoluzionario
prodotto dalle geometrie non euclidee all’interno della matematica, finisce, però, col
presentare il problema in modo approssimativo e tale da ingenerare equivoci circa
la sua reale natura.
Sicuramente è falso pensare che le geometrie non euclidee abbiano fatto irruzione
improvvisa sulla scena della matematica in quanto l’indagine critica sul postulato
delle parallele, che si può fare risalire allo stesso Euclide, ha attraversato, anche se
con qualche discontinuità, i millenni successivi fino al secolo XIX.
È opportuno, inoltre, sottolineare che l’aspetto di novità e la carica rivoluzionaria
non risiedono tanto nei contenuti, quanto piuttosto nel mutato atteggiamento intellettuale che ha reso possibile impostare la ricerca geometrica in modo nuovo e tale da
esigere un tipo di analisi logico - filosofica sicuramente non elementare.
Poiché la problematica connessa al nostro tema, dal punto di vista storico - filosofico vi è stata ampiamente presentata nelle lezioni precedenti tenute dal Prof. Gianlazzaro Rigamonti, io, come matematico, svolgerò argomentazioni di carattere tecnico, non avulse dal contesto storico, sforzandomi di mantenere il discorso entro livelli di approfondimento e di complessità adeguati ai vostri studi fin qui effettuati.
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Capitolo I
DIMOSTRAZIONE E METODO ASSIOMATICO
La dimostrazione
Cominciamo con il porre una domanda: Cosa vuol dire dimostrare una
proposizione? La risposta spontanea è: far vedere che essa è vera. Ad esempio sia P la proposizione “questa matita è lunga 15 cm” e Q la proposizione “in ogni triangolo un lato è minore degli altri due”. Per provare la verità
di P basta effettuare una misura (è questa una dimostrazione?) mentre per
stabilire la verità di Q effettuiamo ragionamenti che ci consentono di ricavarla
da altre proposizioni già ammesse.
Pertanto la “verità” è un requisito di cui gode una proposizione (o non gode)
in un ambito di oggetti a cui si fa riferimento in modo autonomo, indipendentemente da altre verità, mentre il concetto di “dimostrazione” è intrinsecamente relativo, enunciando un rapporto, una relazione tra proposizioni.
Possiamo anche dire che la “verità” di P viene stabilita per via immediata e diretta e quella di Q procede da ragionamenti, cioè si ottiene per via mediata
dalle “verità” di altre proposizioni.
Ne consegue che una dimostrazione non può dirsi “vera” o “falsa” ma semplicemente “corretta” o “non corretta”. Pertanto:
a) la “verità” o “falsità” sono proprietà di una proposizione;
b) “correttezza” o “scorrettezza” sono proprietà di procedimenti.
È bene notare che non esiste alcuna correlazione tra a) e b) in quanto è possibile che una dimostrazione corretta conduca a conclusioni false (se, per
esempio, non tutte le premesse sono vere) così come può casualmente accadere che una dimostrazione non corretta conduca a conclusioni vere. Allora una dimostrazione è “corretta” se applicata a premesse “vere” conduce a
conclusioni “vere”.
L’esplicitazione di tale correttezza richiede che i nessi dimostrativi vengano
considerati in se stessi, indipendentemente dalle proposizioni, vere o false, a
cui sono applicati.
Il nesso di dimostrazione mette in relazione proposizioni e tale relazione non
è simmetrica, nel senso che se la proposizione B è dimostrabile a partire dalla proposizione A non consegue, tranne casi particolari, che A sia dimostrabile a partire da B. In simboli:
A ⇒ B (A implica B, ovvero B segue da A).
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Si conviene che ogni proposizione A sia dimostrabile a partire da A (A ⇒ A).
Più in generale, se la proposizione P è dimostrabile a partire da più proposizioni A 1, A 2, ..., A n si potrà scrivere: A 1, A 2, ..., A n ⇒ P
Proviamo ad applicare il concetto di “dimostrazione” per affermare la verità di
P. Siano A 1, A 2, ..., A n le premesse dalle quali dimostrare la verità di P (verità
mediata). Per avere la certezza che “P è vera “occorre che:
1) A 1, A 2, ..., A n siano “vere”;
2) la dimostrazione (A 1, A 2, ..., A n ⇒ P) sia corretta.
A 1, A 2, ..., A n possono essere “proposizione vere” o per via immediata o per
via mediata . In quest’ultimo caso bisogna cercare antecedenti premesse a
partire dalle quali, mediante dimostrazioni corrette, si possono dimostrare le
A 1, A 2, ..., A n e così via a ritroso. Possiamo schematizzare questo procedimento nel modo seguente:
...
⇓
B1
...
...
⇓ ...... ⇓
B2
Bu
⇓
A1
...
⇓
C1
...
...
⇓ .... ..⇓
C2
Cr
⇓
A2
...
⇓
D1
...
...
⇓ ..... ⇓
D2
Ds
⇓
A3
⇓
P
Il voler dare risposte alla domanda “la proposizione P è vera? “ ci porta, mediante il procedimento dimostrativo, a regredire indefinitamente alla ricerca
delle premesse. Se tale regresso non si arrestasse a proposizioni dichiarabili
vere per via immediata, la risposta all’interrogativo “P è vera?” non potrebbe
essere data. La stessa cosa accadrebbe se durante il regresso ricomparisse
la stessa proposizione P.
Concludendo:
Se in un qualsiasi ambito si può asserire che una certa proposizione P è vera, allora in quell’ambito esistono proposizioni (almeno una) dichiarabili vere
in via immediata. Nel caso più semplice e banale potrebbe essere P stessa.
Se P non fosse vera per via immediata, l’unica possibilità di rispondere alla
domanda “P è vera?” potrebbe consistere nel ricercare la risposta mediatamente a partire da proposizioni immediatamente vere. Su questa semplice
constatazione, cioè che nel processo dimostrativo non si può regredire
all’infinito, si fonda l’idea centrale del metodo assiomatico.
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Il metodo assiomatico.
Dalle considerazioni precedenti consegue una prescrizione generale di
carattere metodologico circa l’organizzazione di un qualunque sapere che
voglia qualificarsi come scientifico (cioè come vero e, nel contempo, in possesso delle ragioni della propria verità). La struttura di tale metodo consiste
quindi nell’esplicitare un certo numero di principi, indimostrabili perché immediatamente veri e nel ricavare da essi, con dimostrazioni logiche, rigorose
e corrette tutte le altre proposizioni ammesse al suo interno.
Alle proposizioni iniziali indimostrabili viene dato il nome di assiomi o postulati (per ulteriori approfondimenti filosofici a riguardo si rimanda alla lettura di
Aristotele “Analitici secondi”).
Nella struttura del metodo assiomatico confluiscono due istanze diverse ma
non disgiunte . La prima è di natura puramente formale, in quanto si limita ad
esplicitare il carattere di relazione asimmetrica del processo dimostrativo che
procede da premesse date senza dimostrazione (i “cominciamenti”).
La seconda riguarda l’aspetto di verità delle proposizioni che devono essere
connesse mediante le dimostrazioni. Le premesse o i cominciamenti devono
avere il requisito di sostenersi da soli in quanti veri di per sé .
L’assiomatica classica si caratterizza per il fatto di proporre l’evidenza come
criterio di scelta degli assiomi. Gli Elementi di Euclide sono il primo e, per
molti secoli, forse l’unico esempio di Scienza organizzata secondo i criteri
metodologici dell’assiomatica classica.
L’assiomatica classica va in crisi nel momento in cui nasce qualche fondata
perplessità circa il fatto di potere stabilire il carattere di evidenza delle proposizioni primitive di una teoria.
La conseguenza storica della scoperta delle geometrie non euclidee, avvenuta nel XIX secolo (1830), fu quella di porre in crisi il requisito dell’evidenza
nella scelta degli assiomi, facendo emergere con forza il carattere puramente
formale del metodo assiomatico, che, nella prospettiva classica restava, in
qualche modo, in ombra, quasi occultato. La riflessione critica sulla nascita e
sullo sviluppo delle geometrie non euclidee portò ad un nuovo modo di concepire il metodo assiomatico.
La differenza sostanziale tra l’assiomatica classica e l’assiomatica moderna,
che così si viene a costituire, risiede nel fatto che in quest’ultima gli assiomi
sono pure e semplici proposizioni iniziali senza la richiesta dell’evidenza. Anzi
non si richiede neanche che siano proposizioni vere!
Ciò vuol dire forse che si può costruire una teoria deduttiva a partire da assiomi falsi? Certamente no.
Quel che si intende affermare, piuttosto, nell’assiomatica moderna è che gli
assiomi non siano più considerati come proposizioni ma come enunciati né
veri né falsi.
Cercherò di chiarire questo aspetto dopo qualche considerazione elementare
di logica matematica.
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SINTASSI E SEMANTICA
Dato un universo U di oggetti, si chiama teoria T su U un linguaggio L
che parla a proposito degli oggetti di U. La teoria è quindi una coppia ordinata costituita dal linguaggio L e dall’universo U di cui L parla. In simboli:
T = (L, U)
(1)
con U sostegno di T ed L linguaggio di T.
Se noi vogliamo parlare di una teoria T è ovvio che costruiamo una seconda
teoria che avrà come universo L di cui parlerà con un suo proprio linguaggio.
Questa nuova teoria che chiameremo meta - teoria di T ed indicheremo con
MT non si occuperà più degli oggetti dell’universo U ma del linguaggio L e ne
parlerà con un linguaggio che chiameremo meta - linguaggio ed indicheremo
con ML; dunque:
MT = (ML, L)
(2)
con L (universo) sostegno di MT , linguaggio di T.
A livello meta - teorico si può indagare su L interessandosi:
Unicamente delle proprietà strutturali di L, prescindendo dal fatto che esso
parli di oggetti di U Si dice in tal caso che si fa la sintassi di T.
ad L, tenendo conto degli oggetti di U e, allora, si dice che si fa la semantica
di T.
Sintassi e semantica di T sono due parti che rientrano ambedue nella metateoria della teoria T.
Data una teoria T = (L, U), allora:
La nozione di verità è una tipica nozione semantica perché può essere stabilita paragonando il linguaggio L con gli oggetti di U per se esso ne parla, appunto, con verità.
La nozione di dimostrazione si configura, invece, sul piano sintattico, considerato che concerne soltanto il nesso tra le proposizioni e non già il loro essere vere o false.
Se una teoria T non si limita ad essere un insieme di proposizioni che parlano degli oggetti di un universo U, ma intende in più collegare queste proposizioni mediante nessi di dimostrazione allora la teoria T = (L, U) si dice teoria
deduttiva. È in seno alle teorie deduttive che prende forma il metodo assiomatico, infatti in esso alcune proposizioni vengono assunte come primitive, le
altre ricavate da queste mediante dimostrazione.
10
Schematizzando:
Se assumiamo gli assiomi sul piano sintattico abbiamo la concezione moderna del metodo assiomatico.
Se, invece, consideriamo gli assiomi sul piano semantico abbiamo la concezione classica del metodo assiomatico.
Infatti da un punto di vista sintattico gli assiomi sono semplici enunciati da cui
muovono le dimostrazioni per cui non ha senso chiedersi se sono veri o falsi.
Dal punto di vista semantico, invece, gli assiomi sono ammessi proprio perché veri e, poiché non sono dimostrabili in quanto primitivi, devono risultare
veri di per sé, cioè evidenti.
La distinzione tra aspetto semantico e aspetto sintattico si applica anche alle
dimostrazioni.
Il nesso dimostrativo, dal punto di vista semantico, deve mettere in relazione
due proposizioni salvaguardando la verità. Diremo pertanto che la proposizione B è “conseguenza logica” della proposizione A (A ⇒ B) quando non
può accadere che A sia vera e B sia falsa. Dunque la tabella di verità (sul
piano semantico) di A ⇒ B è la seguente
A⇒B
V
B è conseguenza logica di A
A
B
V
V
V
F
F
B non è conseguenza logica di A
F
V
V
B è conseguenza logica di A
F
F
V
B è conseguenza logica di A
Dal punto di vista sintattico, invece, la caratterizzazione del nesso dimostrativo deve prescindere dalla verità delle proposizioni connesse.
Poiché una proposizione quando, si prescinde dal suo essere vera o falsa, è
un puro enunciato, cioè un sistema di segni privi di significato, il nesso che
collega due o più proposizioni (enunciati) non può che essere una trasformazione di segni secondo regole determinate.
Tale rapporto di connessione sarà qualificato come processo di derivazione
formale, nel quale, obbedendo a certe regole si ricavano sequenze di segni a
partire da altre sequenze di segni.
Sintetizzando:
Mentre l’aspetto semantico del concetto di dimostrazione si esprime mediante il concetto di conseguenza logica fondato sulla nozione di verità;
l’aspetto sintattico è espresso dal concetto di derivabilità incentrato sulla nozione di regola.
I due aspetti (semantico e sintattico) che abbiamo distinti, vengono riaccostati perché un sistema di regole di derivazione non può essere del tutto arbitrario, ma dovrà essere tale che l’applicazione di quelle regole consenta di pas11
sare soltanto da certe proposizioni ad altre che, semanticamente parlando,
siano la loro conseguenza logica.
Un sistema di regole di derivazione che goda di queste proprietà si dice corretto e semanticamente completo se esso consente di ricavare tutte le conseguenze logiche di qualsiasi insieme di proposizioni.
FONDAMENTALI PROBLEMI META-TEORICI DELLA NUOVA
ASSIOMATICA
Come si è visto precedentemente l’approccio di tipo semantico e quello
di tipo sintattico sono modi distinti ma anche solidali che concorrono alla medesima costruzione del sapere. Storicamente, però, l’aspetto semantico è
stato di gran lunga prevalente, essendo concepita ogni scienza come un sistema di proposizioni vere.
L’avvento della geometria non euclidea diede l’avvio ad una solida affermazione dell’aspetto sintattico nelle teorie matematiche tanto da raggiungere,
agli inizi del 1900, una accentuazione quasi esclusiva e tale da far perdere di
vista l’aspetto semantico. Le teorie matematiche non sono più concepite come sistemi di proposizioni vere relativamente a certi ambiti di oggetti, ma
come sistemi di formule (vuote di significato) e tenute assieme da nessi di
concatenazione deduttiva (tanto che qualcuno ebbe a dire : il matematico è
tanto più felice quanto meno sa di cosa sta parlando!).
Questo nuovo punto di vista, esageratamente astratto e formalistico, faceva
sorgere per le teorie matematiche problemi importanti che la concezione
classica dell’assiomatica non aveva dovuto affrontare quali: la coerenza,
l’indipendenza e la completezza del sistema di assiomi.
La coerenza di un sistema assiomatico.
Fin tanto che gli assiomi erano ritenuti veri, si poteva esser certi che,
deducendo da essi correttamente delle proposizioni, non ci si poteva imbattere in contraddizioni, cioè in proposizioni false. Supposto, però, che gli assiomi sono puri enunciati, ne veri ne falsi, questa certezza crolla. Sorge così la
necessità di tutelarsi dal rischio che, procedendo con deduzioni logicamente
ineccepibili, ci si imbatta in contraddizioni determinate dalla presenza nella
stessa teoria di una proposizione A e della sua negazione ¬A (non A). La
lunga controversia circa la non con contraddittorietà delle geometrie non euclidee fece avvertire l’urgenza e la non banalità del problema.
12
L’indipendenza degli assiomi.
La visione classica concepiva gli assiomi come verità immediate, semplici ed evidenti e dava per scontato che essi fossero indipendenti, in quanto
enunciavano proprietà ben distinte. Una volta negato, però, agli assiomi il carattere di proposizioni aventi preciso significato, nasce il problema di stabilire
la loro effettiva indipendenza, se non altro al fine di non assumere un numero
di proposizioni primitive superiori a quelle necessarie.
La completezza di un sistema di assiomi.
Questo aspetto era sfuggito del tutto alla visione classica. Un sistema
di assiomi è completo intuitivamente se è sufficiente per la dimostrazione di
tutte le proposizioni ammesse nella teoria.
Con riferimento al tema dei nostri incontri non è superfluo ricordare che soltanto nella seconda metà del secolo XIX ci si rese conto che le proposizioni
primitive ammesse da Euclide non erano sufficienti per dedurre in modo corretto ed esplicito tutte le proposizioni della sua geometria.
I tre problemi precedentemente enunciati sono tra loro strettamente imparentati e la loro risoluzione è, in ultima analisi, riconducibile al problema di non
contraddittorietà come si evince dalle riflessioni seguenti.
1) Sia S un sistema non contraddittorio di assiomi ed A un nuovo assioma; A
sarà indipendente da S se risultano non contraddittorie S ∪ Α ed S ∪ ¬A.
2) Sia S un sistema non contraddittorio di assiomi ed A un enunciato qualsiasi non derivabile sintatticamente da S, se S ∪ Α è contraddittorio allora S
è completo.
Dunque l’appello ultimo e fondamentale è alla non contraddittorietà. Dal punto di vista puramente sintattico e formalistico dell’assiomatica, riveste, quindi,
massima urgenza il problema della dimostrazione meta - teorica di non contraddittorietà.
Una soluzione (parziale) del problema può consistere nel ricondurre la non
contraddizione di sistemi assiomatici esposti a qualche a qualche dubbio alla
non contraddizione di teorie matematiche ben note e collaudate. Questo è il
caso delle geometrie non euclidee per le quali erano disponibili i modelli euclidei: se le geometrie non euclidee fossero contraddittorie tale dovrebbe essere la geometria euclidea. Una tale soluzione, tuttavia, non soddisfa completamente da un punto di vista puramente logico in quanto la prova di non
contraddittorietà è relativa (non assoluta) fondandosi sulla coerenza di altra
teoria. Restava pertanto ragionevolmente in piedi il dubbio che potesse essere contraddittoria la teoria di riferimento.
Per risolvere completamente il problema bisognava trovare almeno una teoria matematica della quale si potesse dimostrare la coerenza in maniera di13
retta cioè senza ricorrere ad appoggi esterni alla teoria. Molti tentativi furono
fatti in tal senso sulla teoria matematica più semplice, l’aritmetica elementare,
e tutti fallirono. Nel 1931 Kurt Gödel in una sua memoria pubblicata nel 1938
dimostra il seguente teorema: “ è impossibile ottenere una dimostrazione di
non contraddittorietà di una teoria matematica (di complessità pari, almeno,
all’aritmetica elementare) utilizzando unicamente il linguaggio offerto dalla teoria stessa”.
Le dimostrazioni di non contraddittorietà quindi devono seguire altre strade:
o Attingere strumenti sicuri fuori dalla teoria stessa;
o tornare a dimostrazioni di non contraddittorietà relativa (geometrie non
euclidee);
o utilizzare metodi semantici.
Si ha perciò una rivalutazione dei metodi semantici, dopo un periodo in cui la
prospettiva di tipo sintattico era apparsa definitivamente vincente.
CONCETTI PRIMITIVI
L’assiomatica classica si caratterizza per il fatto di concepire le proposizioni di una teoria come vere. Ora data una proposizione, P per decidere la
verità o la falsità, condizione prioritaria è quella di capirne il significato, cioè
capire il significato dei termini che la esprimono. Allora ciascuno di questi termini deve essere definito utilizzando concetti il cui significato è già noto o
perché già definito o perché primitivo. Dunque così come le dimostrazioni
devono muovere da proposizioni primitive anche le definizioni devono muovere da concetti primitivi perché così come non tutto è dimostrabile, non tutto
è definibile.
La presentazione rigorosa di un sistema assiomatico, secondo l’assiomatica
classica, deve quindi consistere in:
1. un elenco di concetti primitivi, a partire dai quali si derivano altri concetti mediante definizioni;
2. un elenco di proposizioni primitive (assiomi) a partire dai quali si derivano altre proposizioni mediante dimostrazione.
Occorre poi una prescrizione metodologica fondamentale:
1. non si devono usare, nella teoria, altri concetti se non quelli primitivi e
quelli da essi derivati mediante definizioni.
2. non si devono usare altre proposizioni se non quelle primitive e quelle
da esse derivate per dimostrazione.
Un aspetto debole dell’assiomatica classica consiste nel fatto venivano lasciate imprecisate le regole per procedere sia alle definizioni che alle dimo14
strazioni le quali venivano suggerite dalle capacità logiche del costruttore della teoria o demandate alla logica intesa come scienza ausiliaria.
L’assiomatica moderna ha precisato con accuratezza il complesso di tali regole, cominciando dal formularle sul piano sintattico. Presentare una teoria
sul piano sintattico, come abbiamo visto, significa essenzialmente illustrare la
completezza del suo linguaggio. Tale costituzione avviene mediante la formulazione:
a) dell’alfabeto; si deve cioè fornire un elenco di simboli contenenti:
1) le variabili;
2) le costanti logiche (∨, ∧, ∃,...) ed extra - logiche (per la geometria:
rette, punti, piani)
a) delle regole di formazione in base alle quali si stabilisce quali sequenze
di simboli sono termini del linguaggio e quali sequenze di simboli sono
enunciati del linguaggio;
b) degli assiomi che vengono espressi utilizzando le costanti extra-logiche
e le regole b);
c) delle regole di derivazione (o di trasformazione) che servono a costruire le dimostrazioni di nuove espressioni per mezzo di a), b), c).
Un sistema di oggetti del tipo a), b), c), d) si dice sistema formale (S.F.) e la
teoria che ne deriva teoria formale. In tal modo ai simboli primitivi non viene
attribuito alcun significato e nemmeno alle costanti extra - logiche; essi sono
dei puri segni grafici che derivano il loro significato dal fatto che sono combinati in un modo [ b), c) ] piuttosto che in un altro (il significato è intrinseco,
implicito, sintattico e non implica alcun riferimento ad oggetti di qualsiasi natura). Ovviamente neanche gli assiomi hanno significato e perciò non possono essere detti veri o falsi.
Dopo la crisi dell’evidenza matematica provocato dall’avvento delle geometrie non euclidee, era sembrato che ogni teoria matematica dovesse rassegnarsi ad essere soltanto un S.F.(cioè un linguaggio e basta) dove il significato minimo si riduce a quello implicito offerto dagli assiomi. Senza nulla togliere all’autonomia di funzionamento di un S.F., si può procedere a collegarlo a dei contenuti in modo da fargli svolgere una funzione semantica, cioè tale da farlo parlare intorno ad oggetti di un universo U. Ciò si ottiene interpretando opportunamente i simboli del linguaggio formalizzato.
Interpretare un dato S.F. vuol dire dare significato semantico alle costanti extra - logiche che diventano nomi di particolari oggetti di un universo U e
considerare le variabili dell’alfabeto come parti vuote che possono essere
occupate da tali nomi.
Si costruisce così un modello del linguaggio in cui i termini primitivi hanno un
significato. Gli assiomi diventano ora proposizioni che parlano della struttura
dell’universo U e, come tali, possono essere veri o falsi.
Ebbene se l’interpretazione così data rende gli assiomi tutti veri, abbiamo un
modello della teoria. La nozione di modello della teoria è una nozione
semantica perché trovare un modello della teoria significa trovare un
15
mantica perché trovare un modello della teoria significa trovare un universo U
di oggetti e una interpretazione che renda la teoria vera a proposito di
quell’universo. D’altra parte la teoria non è vincolata ad alcun modello, nel
senso che può averne più di uno anche nello stesso universo.
Da quanto detto discende che:
o il recupero dell’aspetto semantico non comporta un ritorno alla visione
classica secondo cui ogni teoria matematica parlava del suo (unico) universo. Il formalismo fa acquisire la polivalenza alle teorie matematiche;
o una teoria matematica formale può essere pensata semanticamente
come un sistema di proposizioni vere, purché si precisino quali universi
ne costituiscono i modelli. Viene così sottolineata la relativizzazione
della verità matematica di cui non si trova riscontro nella visione classica dove le teorie matematiche erano vere in assoluto perché parlavano
di un universo assegnato;
o la ricerca dei modelli è molto duttile : si possono cercare modelli in ambito matematico, ma anche dentro strutture fisiche, chimiche, etc.
Un’ultima osservazione : la ricerca del modello deve seguire come guida il
sistema formale degli assiomi, perché un modello del linguaggio che non sia
anche modello degli assiomi non serve. Quindi un S.F. può applicarsi ad un
qualsiasi universo di oggetti, purché soddisfi agli assiomi.
ESEMPIO:
Sia G un insieme (“insieme” : termine primitivo) , “∗” un’operazione in G (“operazione”: enunciato, non primitivo, definito);
(G, *) si dice gruppo se:
a) ∀ x, y, z ∈ G risulta (x ∗ y ) ∗ z = x ∗ ( y ∗ z )
b) ∃e ∈ G : ∀x∈G si ha e ∗ x = x ∗ e = x
c) ∀x∈G ∃ x ′ ∈ G : x ∗ x ′ = x ′ ∗ x = e
x, y, z sono costanti extra - logiche; ∀, ∃, ∈ costanti logiche; a), b), c) gli assiomi.
Inoltre sono:
Modelli del linguaggio:
1) G ≡ Z (numeri interi);
* = + (operazione di addizione);
2) G ≡ Z (numeri interi);
* = • (op. di moltiplicazione);
Modello della teoria ( dei gruppi ):
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Solo (Z, +). Si noti che (Z, •) è modello di a) e b) e modello della negazione
di c) dunque c) è indipendente da a) e b).
LO SFRUTTAMENTO METATEORICO DEL METODO DEI
MODELLI
La nozione di modello di una teoria formale offre grandi vantaggi sul
piano meta teorico, precisamente:
1) Definiamo in maniera più precisa il nesso semantico di “conseguenza logica” A ⇒ B nel modo seguente: sia M un insieme di proposizioni formali (di un
S.F.), si dice che P è conseguenza logica di M e si scrive:
(a) M ⇒ P
se P è vera in ogni modello M di M (cioè se ogni modello M di M è anche
modello di P).
Se P è derivabile [vedi d) ] da M , scriveremo, invece:
(b) M → P
(Ovviamente secondo una dimostrazione che si ottiene applicando il sistema
di regole d) della T.F.).
Il simbolo (a) ha un valore semantico; il simbolo (b) è il corrispondente valore
sintattico di (a).
2) Dato un S.F. si dice che esso è corretto se applicando le regole di derivazione ad un qualsiasi sistema M di proposizioni del S.F., si ottengono soltanto le proposizioni P che sono conseguenze logiche di M, cioè :
se M → P allora M ⇒ P
3) Il S.F. si dice completo se le regole di derivazione d) consentono di derivare tutte le conseguenze logiche dall’insieme di proposizioni M del S.F.
M ⇒ P allora M → P
Le 2) e 3) assicurano che in un S.F. corretto e completo :
M ⇒ P se e solo se M → P
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4) Sia dato un S.F. (e quindi la conseguente T.F.) “corretto”, il metodo dei
modelli consente di stabilire la non contraddittorietà della teoria (o, ciò che è
lo stesso del S.F.). Sia A un sistema di assiomi del S.F.. Se esiste un modello M (A) allora A è non contraddittorio. Se fosse A contraddittorio, esisterebbe una proposizione P, formulabile nel linguaggio della T.F., tale che:
A → P ∧ A → ¬P
Essendo il S.F. corretto: A ⇒ P ∧ A ⇒ ¬P , allora M (A) sarebbe un modello
di A e P e un modello di A e ¬P , cioè nel modello M (A) esisterebbe P e ¬P,
ciò che è assurdo.
5) Si può stabilire l’indipendenza di un sistema di assiomi in A .
Sia A un sistema di assiomi del S.F. (corretto e completo) e P una proposizione formulabile nel linguaggio della T.F. Se esiste un modello M (A) che è
anche modello di ¬P allora A → P (P non è derivabile da A) e, quindi P è indipendente da A. Se fosse A → P, allora A ⇒ P e M (A) sarebbe modello di
P; allora in M (A) sussisterebbero P e ¬P, il che è assurdo.
Per finire un’ultima osservazione: sia A un sistema di assiomi corretto di una
T.F., se esiste P (formulabile nel linguaggio di T.F.) allora P è indipendente
da A (cioè A → P ∧ A → ¬P), allora A è sintatticamente incompleto perché
non riesce a dominare, per così dire, tutte le proposizioni.
Le dimostrazioni di indipendenza degli assiomi consentono di apprezzare il
ruolo svolto da ciascun assioma all’interno della teoria, evidenziando quali
sono le proposizioni che la teoria non è più in grado di giustificare se viene a
mancare quell’assioma.
Infine la constatazione dell’indipendenza di un certo assioma A da altri, mostra che non si ha contraddizione sia
1. trascurando A nella teoria (e si ottiene un’altra teoria più generale)
2. sostituendo A con qualche forma della sua negazione.
Esempio: se noi consideriamo l’assioma “V postulato” di Euclide (o
dell’unicità della parallela condotta da un punto P esterno ad una retta data
r), esso può essere negato in due modi:
1. esistono almeno due rette per P e parallele ad r (geometria iperbolica)
2. non esiste alcuna retta per P parallela ad r (geometria ellittica).
Osserviamo che, poiché l’esistenza di una parallela per P ad r è stata provata da Euclide a partire dagli altri postulati, il caso b) può presentarsi solo se si
modifica qualche altro assioma.
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