Le altre religioni: Induismo

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INDUISMO
L'induismo è la religione più diffusa in India. L'induismo è la terza religione più diffusa
al mondo, con circa 950 milioni di aderenti in tutto il mondo. Non fa proselitismo,
poiché riconosce valide tutte le strade per arrivare alla Verità.
La sua base fondamentale è il dharma, (DHARMA è l’ordine cosmico di tutta la realtà.
Il termine deriva dalla radice sanscrita “dhr”, che significa “sostenere”. Tutto ciò che
mantiene e sostiene la manifestazione, il mondo e tutti gli esseri e la società è dharma.
Nel corso dei secoli, la parola è stata impiegata per tradurre “religione”, “codice di
condotta”, “legge”, “rituale religioso”. Il dharma è la qualità inerente a ogni cosa: del
fuoco è il calore; del sole lo splendore; dell’oro il brillare, dello zucchero è il dolcificare
e così nell'uomo è amare Dio), cioè la legge morale, che serve soprattutto a mantenere
l'ordine sociale. I suoi testi sacri sono quasi tutti in sanscrito classico, una lingua molto
antica, ma anche in vedico (una forma ancora più antica).
Origini e caratteristiche
Il termine. Induismo è una parola inventata verso la fine del 18° secolo dai Britannici colonizzatori dell'India - per indicare la religione praticata, a partire da molti secoli
prima della nascita di Cristo, dagli Indiani (parola la cui origine è a sua volta legata al
fiume Indo). L'induismo non ha un fondatore, non ha un unico testo sacro e non ha
neppure un'organizzazione religiosa (non ha infatti le caratteristiche di una Chiesa
istituzionale, come nella religione cristiana).
L'evoluzione della dottrina. L'induismo non va considerato come un'unica religione,
omogenea e compatta. Le sue caratteristiche ne fanno piuttosto una 'famiglia' composta
da religioni diverse, tipiche di alcuni territori dell'India, anche se poi vi sono principi
ispiratori in comune e alcune pratiche abbastanza simili fra loro. Nel corso dei secoli
si sono registrati cambiamenti significativi, soprattutto in relazione alla dottrina della
reincarnazione e della salvezza, come pure nell'ambito della ritualità e delle devozioni
in onore delle divinità.
Il periodo più antico è da collegare alla civiltà nata nella valle del fiume Indo, a nord
dell'India, nell'attuale Pakistan. Le fasi successive sono quelle dette vediche, che
iniziarono quasi duemila anni prima di Cristo e si fondavano sullo studio dei testi sacri
chiamati Veda (in sanscrito "conoscenza"). Circa duecento anni prima dell'era cristiana
si sviluppò l'induismo cosiddetto classico, con l'elaborazione delle leggi di Manu che
fornivano indicazioni per una giusta condotta. In tale contesto risultava operante il
sistema delle caste che stabiliva l'impurità di un contatto fra appartenenti a caste
diverse, cioè a gruppi sociali differenti per ruolo, prestigio e beni posseduti. Successivo
fu l'affermarsi sia del poema epico Ramayana ("La storia di Rama") sia soprattutto
della Bhagavadgita ("Il canto del Beato"), una sezione del sesto libro dell'altro grande
poema epico, il Mahabharata (il poema dei discendenti del re Bharata). Più tardi, nella
cosiddetta fase postclassica, diventarono rilevanti i testi detti Purana, dedicati a
Brahma (il creatore), Vishnu (il preservatore) e Shiva (il distruttore). Tuttavia va
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precisato che Shiva non era solo la divinità della distruzione ma anche della
rigenerazione.
Le pratiche religiose
Gran parte della pratica religiosa degli induisti tiene conto del karma, cioè della legge
che governa tutte le azioni degli uomini in relazione alla vita presente e a quella futura:
il frutto delle azioni compiute da ogni vivente determina una diversa rinascita sulla
scala degli esseri, e particolari gioie e dolori durante il corso della vita seguente.
All'idea del karma è dunque legata quella della reincarnazione, che consente ‒ in una
vita successiva ‒ di nascere in una condizione migliore se la vita precedente è stata
condotta nel rispetto del dharma (ossia della legge morale) e nella devozione verso le
divinità, in primo luogo Brahma, l'essere divino, il potere sacro, presente sia nell'atto
del sacrificio compiuto dai sacerdoti sia nel Cosmo, nella natura. Ma anche Vishnu e
Shiva vanno onorati come membri della trinità induista (o trimurti), insieme con
Brahma.
Elementi centrali della religiosità induista sono: il tempio, il culto dei grandi fiumi
(il Gange, il cui nome in hindi è femminile e che viene considerato come una grande
madre, lo Jamuna e il mitico Sarasvati, detto anche fiume della conoscenza, che
scorrerebbe sotterraneo e invisibile), la celebrazione ogni dodici anni del Maha
Kumbha Mela ("Festa della brocca", con la quale si raccoglie l'acqua del Gange), le
parate degli dei, la recitazione degli inni sacri, le meditazioni di coloro che praticano
lo yoga, le prove cui si sottopongono i fachiri, i sacrifici in onore dei nobili, gli usi
domestici, i matrimoni solenni, il rispetto per le mucche sacre, i riti di cremazione dei
morti.
Un riformatore dell'induismo fu Shankara, filosofo indiano vissuto forse tra il 788 e
l'820 d.C. Pensatore intelligente e dedito all'ascesi (ascetismo), fu un vero guru (guida
spirituale), capace di raccogliere molti discepoli e fondare monasteri. Shankara fu
anche un attento commentatore del Bhagavadgita.
I testi sacri
Si dividono in due macro insiemi: Shruti, la rivelazione divina e Smriti, i testi basati
sulla Shruti ma compilati dagli uomini. Vi è un vasto corpus di Scritture che contiene
la saggezza, la storia e la spiritualità dell’induismo e dell’India. I testi considerati sacri
dagli induisti sono in sanscrito, una lingua letteraria in uso nell'antica India già alcuni
secoli prima di Cristo e successivamente conosciuta quasi solo dalle persone più
istruite, appartenenti di solito alla casta dei bramini o brahmani, sacerdoti cioè del dio
Brahma. Il Mahabharata è forse il testo più importante ed è noto specialmente per
il Canto del Beato. Risalirebbe a tre secoli prima della nascita di Cristo e si pensa che
contenga il nucleo essenziale della dottrina dei Veda, cioè dei testi indo-ariani più
antichi, che erano quattro e precisamente Rgveda ("Veda degli inni"),
Yajurveda ("Veda delle formule per i sacrifici"), Samaveda ("Veda delle melodie")
e Atharvaveda ("Veda delle formule magiche"). La produzione dei testi vedici
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abbraccia un periodo molto ampio che va dal 2000 al 500 a.C. e contiene molti
riferimenti alla natura e alla vita dopo la morte, soprattutto nelle Upanishad ("Dottrine
segrete"), in cui si parla della salvezza che libera dalla successione delle reincarnazioni
e che consiste nella identificazione fra l'Anima individuale (Atman) e l'Anima
universale (Brahman). Secondo tale dottrina non basta una vita interamente religiosa e
pura per interrompere il continuo ciclo delle rinascite in altre vite, ma occorre giungere
a riconoscere ciò che rappresenta il Brahman (inteso come principio fondamentale
dell'Universo) e a immedesimarsi in esso, realizzando una stretta unione fra essere
umano ed essere divino.
Il Ramayana, poi, è una raccolta di migliaia di strofe che risalgono al 2° secolo d.C. e
narrano le imprese di Rama, un'incarnazione di Vishnu. Attualmente però è
il Bhagavadgita a riscuotere maggiore attenzione, più degli inni e dei formulari
contenuti nei Veda.
OM - La sillaba sacra
La sillaba sacra OM è il suono primordiale dal quale ebbero origine tutti gli altri suoni
e linguaggi, esso è la sintesi di tre suoni a-u-m, la sillaba eterna, è il simbolo vibratorio
dell’Assoluto e della stessa manifestazione, è la vibrazione presente in ogni forma
esistente, dall’uomo a ogni granellino di sabbia, a ogni atomo. É la natura del Brahman,
l’Assoluto. È l’essenza dei Veda.
VEDA
L’induismo non si basa sulla rivelazione di un singolo profeta o fondatore. Dal vasto
oceano della Conoscenza senza fine, gli antichi veggenti, rishi, ricavarono un’essenza
da trasmettere all’umanità per favorire il benessere e la felicità dell’uomo. Tale
conoscenza eterna è il VEDA. Una Conoscenza che ogni essere umano può,
potenzialmente, percepire in uno stato di profonda meditazione.
Il Veda delinea i confini dell’ortodossia indù: è l’autorità suprema. In esso si ritrovano
i fondamenti della cultura, della spiritualità, delle arti e delle scienze induiste. I Veda
sono stati preservati intatti nel corso di millenni grazie alla straordinaria capacità
mnemonica dei sacerdoti, brahmani, incaricati di trasmetterli e di custodirne la
conoscenza.
Il tempio induista
Il tempio è il principale luogo di aggregazione e scambio culturale per i devoti. Intere
famiglie vi si riuniscono per condividere il cibo sacro offerto alla Divinità (prasad) e
trascorrere del tempo in comunità. Esso non costituisce tuttavia un luogo “chiuso”, ma
un ponte tra la comunità induista e quella locale in un processo di conoscenza e
accettazione reciproca in cui ognuno è il benvenuto, in cui si sostiene il bene comune.
Nel tempio si può: Cantare inni devozionali o recitare le Scritture; Meditare; Fare
servizio (seva); Portare le offerte per la Divinità; frutta, fiori, polveri colorate
(espressioni simboliche della devozione e delle qualità migliori che il devoto offre)
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Pratiche religiose dell'induismo
Le pratiche religiose dell’induismo sono molte e variano a seconda della tradizione di
appartenenza, della propria cultura territoriale di riferimento e da molti altri fattori. Si
possono genericamente riassumere in:
Con il termine YOGA s'intende genericamente una tecnica di ascesi o un metodo di
meditazione, presente in forma diversa nelle diverse correnti di pensiero e movimenti
mistici indiani, che ha lo scopo di liberare l'uomo dai vincoli della materia, offrendo
una vastità di mezzi. Si distingue oltre che dall'aspetto pratico anche dalla sua natura
iniziatica, che implica un insegnamento trasmesso direttamente da maestro a discepolo.
Esistono molte forme di yoga, in quanto è una disciplina complessa e include pratiche
fisiche, meditative e di adorazione in un contesto filosofico-religioso.
Etimologicamente la parola yoga deriva dalla radice yuj, con diversi significati:
"legare" "mettere sotto il giogo" la mente e i sensi; "unire", nel suo senso mistico, non
prima di aver realizzato il distacco dal mondo. Esiste uno Yoga classico che fa parte
come sistema filosofico dei sat darshana, e si basa sul testo "Yoga Sutra" di Patanjali
che in quest'opera ha codificato principi e tappe di un percorso che dovrebbe condurre
alla liberazione: astanga yoga, ossia otto braccia, otto livelli dello yoga, tra cui il primo
è quello delle norme etiche, yama e nyama.
Nella tradizione indù esistono innumerevoli forme di yoga, differenti sentieri (marga),
le più importanti delle quali sono classificate nella Bhagavad-gita come metodi di
reintegrazione con la Verità:
Karma yoga: attraverso l'azione (karma), è la via dell'azione svolta con distacco, senza
fini egoistici
Jnana yoga: attraverso la conoscenza (jnana), è la via della perfezione attraverso la
consapevolezza della Realtà, che non è conoscenza intellettuale
Bhakti yoga: attraverso l'amore e la devozione (bhakti), l'atteggiamento di abbandono
alla volontà divina, è la via che porta ad avvicinarsi a Dio attraverso l'aspirazione e le
tendenze emozionali.
Lo scopo dello Yoga
MOKSHA
Moksha è un diritto di tutti gli esseri animati e inanimati. Nelle Scritture si accenna alla
liberazione per tutti (krama-mukti) in un ciclo lungo di esistenze; tuttavia, l’essere
umano può accelerare tale processo e, rispetto agli animali, alle piante e ai minerali,
perseguire consapevolmente e volontariamente il sentiero verso la liberazione.
Puja
Rituale domestico
Ogni indù ha nella propria casa uno spazio dedicato all’adorazione, da una semplice
parete a un’intera stanza. Può trattarsi di uno spazio con l’immagine della Divinità cara
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(Ishta-devata) o famigliare o con la foto della propria guida spirituale, Guru o figure di
Santi. Soprattutto le famiglie più ortodosse praticano rituali e recitano inni e mantra
specifici nei momenti associati al passaggio del sole (sandhya): alba, mezzogiorno e
tramonto. Il risveglio è seguito da un bagno rituale e dall’adorazione (puja) della
Divinità famigliare, con l’offerta di acqua, frutta, incensi, luce e suono di campanelle,
accompagnati dalla recita di inni in sanscrito o in lingue regionali. In altri momenti del
giorno, gli appartenenti della famiglia possono sedersi vicino all’altare della Divinità e
meditare, leggere le Scritture, praticare il silenzio o intonare canti devozionali. In
alcune famiglie, le donne iniziano la giornata tracciando sul terreno, con farina di riso
o polveri colorate, davanti alla porta di ingresso, diagrammi geometrici o simboli
religiosi di buon auspicio. Una pratica comune, soprattutto in India, è quella di donare
parte del proprio cibo ai bisognosi e lasciarne sempre una porzione a disposizione degli
uccelli e di altri animali.
Rituale di adorazione (puja)
La prassi religiosa forse più diffusa è la puja: il rituale di adorazione devozionale. Pūjā
è ciò che sconfigge il peccato. La puja è espressione della bhakti, la devozione a Dio,
quindi non è una mera venerazione formale o meccanica bensì è l’instaurarsi di una
relazione intima e personale di amore non egoistico. Nella puja, la Divinità è adorata
alla stregua di un ospite importante. Le si rivolgono i gesti gentili dell’ospitalità: è
invitata a sedersi, simbolicamente nel seggio del cuore del devoto, le si lavano i piedi,
e le si offre acqua pura da bere. Accomodata sul seggio, viene lavata, adornata di
profumi, fiori, colori, simboli degli elementi e del cosmo, e altresì deliziata dal dono
del cibo e nutrito dai frutti delle nostre azioni. Infine, la Luce della conoscenza dissolve
l’oscurità dell’ignoranza. Le offerte per il culto (upacara) possono variare da un
minimo di 5 a un massimo di 64; e nelle forme più elaborate possono essere anche di
più. Lo scopo della puja è l’identità con il Principio Divino che può essere raffigurato
in una statua, murti, o in un simbolo geometrico e astratto, yantra. La puja può essere
di vari tipi da una più semplice domestica a una più complessa e formale all’interno
dei templi.
Darshana
Nel tempio, alcune figure addette al culto celebrano la puja quotidianamente, una o più
volte al giorno. Generalmente il rituale si svolge, a tende chiuse, nel sancta-santorum
(garbha-grha) in cui dimora la Divinità principale del tempio. Il momento conclusivo
della puja è il darshana in cui le tende si aprono e il fuoco dell’arati illumina l’immagine
Divina. Il devoto trova nel darshana, letteralmente la “visione” di Dio, il momento di
massima intensità.
Arati
Durante l’arati, il fuoco dei lumini è fatto oscillare davanti all’immagine della Divinità.
Questo fuoco è portato poi tra i devoti che con un gesto delle mani, lo portano agli
occhi e alla fronte, e interiorizzano così la luce della Conoscenza che esso simboleggia.
Durante l’arati, il devoto può suonare le campane, cimbali o strumenti a percussioni;
può cantare bhajan o intonare inni devozionali. Proprio come, anticamente, si
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annunciava l’arrivo di un ospite importante, allo stesso modo questi atti vogliono dare
il benvenuto alla Divinità ed esprimere la grande gioia generata dalla Sua presenza. Il
devoto concentra tutti i sensi e la mente sulle qualità più pure e sperimenta una forte e
intima unione con il Principio Divino.
Prasada
Al termine si distribuisce il cibo consacrato (prasada)
Japa
Meditazione, ripetizione del nome di Dio, mantra
Studio
Delle Scritture e dei testi sacri della propria tradizione
Samskara
Nell' Induismo esiste una serie di cerimonie dette "samskara" che si svolgono nei
momenti particolarmente importanti dell'esistenza. (Samskara significa: ciò che abilita,
che purifica, che rende pronto a compiere qualche dovere particolare e conferisce un
"adhikara" o idoneità). I samskara sono in numero diverso a seconda delle scritture. La
lista canonica, accettata prevalentemente, ne comprende sedici.
Alcuni samskara tra i più osservati al giorno d'oggi sono:
Niskramana - la prima uscita all'aria aperta;
Annaprasana -la prima assunzione di cibo solido;
Cudakarana - a 6 mesi il primo taglio dei capelli - al 1° o 3° anno di età, questo
samskara, noto anche come mundana, caula e vapan, secondo la tradizione ha l'effetto
di prolungare la vita del bambino.
Vidyarambha - l'inizio dell'apprendimento - circa a cinque anni.
Vivaha - matrimonio - celebrato ancora in modo tradizionale. Funzioni sociali del
matrimonio:
1. abilitare l'uomo alla celebrazione dei riti garantendo così la continuità dell'ordine
morale e sociale;
2. procurargli una discendenza capace di procurargli un posto tra gli antenati.
"Il giorno precedente al matrimonio la madre della sposa le decora le mani con i disegni
tradizionali (mehendi). Durante la cerimonia gli sposi vengono simbolicamente
purificati, decorati, nutriti assumendo le vesti degli stessi dei, quindi simboli divini.
Per rendere felici e nutrire le forze dell'universo, gli Dei, si celebra la cerimonia del
fuoco. Per rendere felici e celebrare i quattro padri, gli antenati, si celebra il
matrimonio, vivaha, attraverso il quale la famiglia continua la sua progenie. Il fuoco
rappresenta la purificazione, la conoscenza, il calore, la luce. Lo sposo mette al collo
della sposa una collana, simbolo del matrimonio. Gli sposi si scambiano una promessa
e il reciproco impegno con una suggestiva preghiera. L'atto fondamentale compiuto
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dagli sposi durante la cerimonia del matrimonio è il Saptapadi: i setti passi. Ad ogni
passo gli sposi suggellano, recitando dei versi vedici, gli intenti della loro unione.
Antyesti - funerale - ultima oblazione. "Quando una persona muore, anzitutto si
eseguono riti di espiazione accompagnati dal dono di una vacca (oggi sostituita da una
somma in denaro) ai brahmani; poi il corpo del defunto, avvolto in vesti nuove e pulite
e adorno di fiori freschi, viene trasportato in corteo al luogo di cremazione suonando,
cantando e recitando litanie dei nomi di Dio; ivi giunti, il cadavere è immerso
nell'acqua a scopo di purificazione, spruzzato con burro fuso e collocato sulla pira.
Contemporaneamente si recita un mantra per allontanare gli spiriti maligni e si offre
cibo ai trapassati; poi il figlio maschio primogenito o il parente maschio più prossimo
gira attorno alla pira tre o sette volte recitando un mantra propiziatorio e infine appicca
il fuoco. Terminata la cremazione si gettano sette scaglie di legno nel fuoco e poi
ciascuno dei presenti spruzza acqua sulle ceneri; si raccolgono poi alcuni resti, che un
tempo venivano collocati in un'urna e sepolti sotto un tumulo di terra, mentre oggi
vengono quasi sempre dispersi nelle acque di un fiume sacro.
FESTIVITA' NELL'INDUISMO
Le festività (utsava) indù ruotano intorno ai rituali, all’adorazione in comunità o nel
tempio, ma rappresentano anche un momento di aggregazione sociale molto sentita. La
festa unisce tutti, indipendentemente dalla condizione sociale, economica e di genere.
Assolve, inoltre, una funzione educativa nei confronti delle nuove generazioni. Con
essa si trasmettono antichi saperi, storie tratte dalle Scritture, danze, tradizioni
artigianali, musica … insomma, un'intera cultura!
Le festività induiste sono davvero tante! Elencarle tutte è pressoché impossibile, però
si può tentare di suddividerle in tre tipologie principali:
Dedicate a un aspetto del Divino: Celebrazione di un aspetto del Divino o di un evento
a Lui legato;
Feste stagionali: Celebrazione di festività stagionali legate alla vita agricola (semina,
alla raccolta, e simili) e alle aree geografiche di appartenenza in quanto originarie
dell’India;
Santi, maestri e yogi: Celebrazione della nascita o del Mahasamdhi (dipartita) di un
Guru e/o di un Santo.
Calendario delle principali festività:
Gita Jayanthi: Celebrazione in onore della Bhagavad Gita; in tale occasione si
recitano i versi sacri di questo testo sacro indù dall’elevato valore spirituale e filosofico.
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Dattatreya Jayanti: Festa in onore di Dattatreya, simbolo della Trimurti, ossia la
sintesi delle tre divinità: Brahma (il Creatore), Visnu (il Conservatore), Shiva (il
Distruttore).
Pongal-Makara Samkranti: Festa in occasione del primo raccolto dell'anno per
ringraziare Dio e augurare prosperità e armonia per l'anno nuovo. La festa prende nome
dal riso dolce (pongal) cucinato per l'occasione in segno di abbondanza, e viene detta
anche makara samkranti indicando il passaggio del sole nella costellazione del
capricorno.
Vasanta-Pancami o Sri-Pancami: Festa dedicata alla Dea Madre nella forma di
Sarasvati, divinità tutelare della Conoscenza e delle Arti.
Maha Shiva Ratri: Letteralmente "notte di Shiva". Una notte dedicata all'adorazione
del dio Shiva celebrato con riti, canti e danze sacre in suo onore. Durante questa
festività si osservano digiuni e austerità poiché Shiva è considerato il Signore degli
yogi e degli asceti.
Holi: Festa di primavera
Hanuman Jayanti: Celebrazione di Hanuman, figura divina simbolo di devozione e
fedeltà.
Raksha Bandhana: Festività popolare che si svolge nell'ambito familiare e che
sancisce il legame di protezione tra fratello e sorella.
Krishna Janmastami: Celebrazione della nascita di Krishna, incarnazione di Vishnu.
Ganesha Caturti: Festività dedicata a Ganesha, la divinità che rappresenta il
superamento degli ostacoli invocata prima di iniziare qualsiasi attività, rito, lavoro. E’
simbolo di saggezza, forza, determinazione.
Navaratri: Letteralmente: "Nove notti". Festa in onore della Madre Divina nelle sue
tre forme: Durga, Lakshmi, Sarasvati, celebrate per propiziare nell'uomo il
superamento delle tendenze negative, la ricchezza spirituale e la conoscenza.
Gandhi Jayanti: Anniversario della nascita del Mahatma Gandhi.
Divali o Dipavali: Festa della Luce. Si celebra la venuta della Dea Lakshmi portatrice
di abbondanza, prosperità e ricchezze sia materiali sia spirituali. Per accoglierla, nelle
case e nei templi file di lumini e lucine restano accese per tutta la notte.
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Vrata - Voti
Osservanza di voti. Il vrata esprime quindi un voto che l’individuo sceglie di seguire
volontariamente. Il voto è osservato soprattutto dalle donne. Il voto può essere
classificato in base ad alcuni fattori principali: se si tratta di un voto del corpo, della
parola, della mente. La seconda classificazione è determinata dal tempo, dal momento
e dalla durata. La terza classificazione è legata a un aspetto del divino a cui si vuole
dedicare il voto. Infine, si possono classificare voti in base al ruolo che si ha nella
società o se si è uomini o donne. La durata dei vrata varia a secondo della ragione per
cui si osserva. Ci sono voti che durano per periodi lunghi di sei mesi, un anno fino ad
altri che durano tutta la vita. A ciascun vrata è prescritto un cibo da assumere o da
evitare.
Il Digiuno (anahara)
Usato già dagli antichi veggenti come mezzo di purificazione del corpo, della mente e
dello spirito, il digiuno mira ad avvicinare l’uomo alla Presenza di Dio. Le forme di
digiuno sono anch’esse numerose e prevedono molte varianti: dalla semplice
astensione dal cibo cotto, ammettendo frutta e latte, fino ad arrivare alla forma di
digiuno completo in cui non si assume nessun tipo di cibo. Ai chiari benefici spirituali,
si affiancano ripercussioni benefiche sull’intero organismo dell’uomo.
Il silenzio (mauna)
Il silenzio è una pratica molto diffusa tra asceti, ricercatori spirituali (sadhaka) e anche
capofamiglia. Mauna non è la semplice astensione dal parlare, deve comportare anche
un silenzio, una pace della mente e delle emozioni.
Yatra - Pellegrinaggio
Il pellegrinaggio, yatra, è una pratica religiosa molto diffusa. Intrapreso soprattutto a
piedi, il pellegrinaggio prevede (o almeno così era in passato) viaggi su percorsi irti di
pericoli e rischi. Risponde soprattutto a motivi legati a una pratica ascetica, tapas; a un
voto, vrata; a una purificazione da una colpa commessa quindi come forma espiatoria,
prayashcitta; al semplice desiderio di visitare il luogo santo. Meta principale di
pellegrinaggio sono i tirtha, [letteralmente “guado sacro”; quei fiumi o bacini d’acqua
in prossimità dei quali si riunivano festività periodiche]. Giunto a destinazione il
devoto compie le azioni rituali, esegue la circumambulazione rituale (pradakshina). Il
pellegrinaggio termina con il ritorno a casa. Il pellegrinaggio può essere inteso anche
in senso simbolico come viaggio interiore dell’essere umano e la sua progressiva
purificazione fino a raggiungere il luogo sacro del proprio cuore dove dimorano amore,
veridicità, controllo dei sensi e compassione. I principali tirtha sono luoghi naturali
come fiumi, laghi o montagne; città o villaggi legati alla vita o alle gesta di Maestri,
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santi e autorità religiose o menzionati nelle Scritture; luoghi di raduni di persone
religiose. Le città più famose meta di pellegrinaggio in India: Varanasi; Kedarnath;
Ayodhya; Mathura; Haridvar; Kanchipuram; Kanyakumari; Madurai; Calcutta;
Dvaraka; Ujjain; Badrinatha; Rameshvaram; Chidambaram, e altre ancora. I principali
fiumi sono: la Ganga, la Sarasvati, la Godavari, la Yamuna, la Kaveri, la Narmada, il
Sindhu.
Seva
Fare servizio alla propria comunità, proprio Guru, a Dio, a tutti gli esseri umani, agli
animali.
Varṇa: il sistema castale hindu
Il nome varṇāśramadharma si compone innanzitutto del termine varṇa che in
sanscrito significa "colore" ed indica l'appartenenza ad una determinata "casta".
Il sistema castale indiano ha origine piuttosto antiche, già il Ṛgveda indica una
suddivisione della società indoaria in quattro ambiti funzionali:
I brāhmaṇa (italianizzato in "brahmano") sono coloro che svolgono le funzioni
sacerdotali o eminentemente religiose, gli kṣatriya sono coloro che svolgono le
funzioni guerriere o politico-amministrative (potere temporale, kṣatra), i vaiśya sono
coloro che svolgono le attività lavorative agricole, l'allevamento del bestiame o il
commercio, all'ultima casta, gli śūdra, sono riservati i lavori servili ed in genere
raccoglieva i prigionieri di guerra e gli aborigeni resi schiavi (dāsa) dai conquistatori
indoari.
L'appartenenza ad uno di questi ambiti è per rigida discendenza (per "nascita" ovvero,
in sanscrito, jāti quest'ultimo un altro termine comune per indicare il sistema castale),
ovvero si è brahmano o kṣatriya solo se si è a sua volta figli di un brahmano o di
uno kṣatriya. Il termine varṇa, "colore", è perché ad ognuna di queste caste viene
assegnato un colore simbolico.
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il colore dei brāhmaṇa è il bianco, colore della luce e della purezza;
il colore degli kṣatriya è il rosso, colore dell'energia e della passione;
il colore dei vaiśya è il giallo, il colore della terra;
il colore degli śūdra è il nero, il colore dell'oscurità.
Solo i primi tre varṇa sono indicati come ārya (nobili) e solo i maschi dei primi
tre varṇa accedono allo stesso varṇa per mezzo di una iniziazione (dikṣā)
detta upanayana, e per questo i loro appartenenti sono indicati anche come "rinati",
"nati due volte" (dvija).
Solo ai maschi dei primi tre varṇa è consentito lo studio e la pronuncia del Veda e
delle Śruti, agli appartenenti al varṇa degli śūdra ed alle donne è consentito solo lo
studio degli Itihāsa (Letteratura epica) e dei Purāṇa.
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Va tenuto presente che gli appartenenti alle famiglie relative alle prime tre caste sono
appena l'8,5% dell'intera società hindū e che da questa percentuale vanno sottratte le
donne ciò dà la cifra dell'importanza religiosa per gli hindū della letteratura scritta
degli Itihāsa-Purāṇa.
L'eredità dell'appartenenza castale è testimoniata dall'interpretazione dell'autore
indiano Patañjali (II secolo a.C.) il quale nel Mahābhāṣya (II,2,6) sostenne che si
è brāhmaṇa per nascita (jātibrāhmaṇa) a prescindere se si ha realizzato o meno la
necessaria erudizione e preparazione spirituale.
La nozione di karman finisce comunque per prevalere, ovvero se si è brahmani lo si è
perché durante le vite precedenti si sono acquisiti dei meriti, viceversa gli śūdra sono
tali per espiare delle colpe accumulate.
Così la Manusmṛti (anche Mānava-Dharmaśāstra, intorno al II sec. a.C.) spiega la
trasmigrazione in una delle caste a seconda dell'influsso dei guṇa:
All'interno delle quattro caste (caturvarṇa) sopracitate si sono formate lungo i secoli
circa tremila sottocaste (upajāti o anche jāti) provocate, secondo i loro compilatori,
dall'incrociarsi dei varṇa.
l'India contemporanea non ha, come credono in molti, abolito il sistema castale ma ha
solo emanato delle leggi che puniscono coloro che discriminano quelli che oggi
vengono indicati comunemente come dalit (gli oppressi) ovvero i fuori-casta.
L'appartenenza ad un varṇa non indica un'attività professionale, né tanto meno
individua un gruppo di persone che svolge attività simili (śreṇi) esso indica piuttosto il
ruolo e il compito religioso in cui è collocato un individuo fin dalla sua nascita secondo
la tradizione vedica.
Āśrama: gli stadi della vita di un hindu
Prima di entrare nel dettaglio dei quattro stadi della vita di un hindu occorre precisare
che tale "percorso" esistenziale e religioso inerisce esclusivamente, almeno nelle sue
formulazioni tradizionali, agli appartenenti di sesso maschile delle caste
cosiddette ārya (ovvero ai primi tre varṇa), essendo rigidamente esclusi da tale
percorso sia gli śūdra (e a maggior ragione i "fuori casta") sia le donne, a qualsiasi
casta queste ultime appartengano.
Il termine sanscrito āśrama è composto dalle radici śram (impegnarsi per)
e ā- (realizzare). Tali stadi sono propugnati dalla letteratura Smṛti, in particolar modo
dai cosiddetti Dharmaśāstra, e sono conformi alla suddivisione in quattro parti
della Śruti:

Brahmācarya (condotta in armonia col Brahman): si accede a questo stadio e alla
relativa vita religiosa con il rito, fondamentale, dello upanayana. È lo stadio del
giovane studente religioso, il brahmācarin che deve avviarsi e completare lo studio
del Veda presso un maestro (guru), praticando una rigida castità.
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Gārhasthya: dopo le abluzioni (snāna) che chiudono il periodo di dodici anni
del brahmācarya, il fanciullo ormai divenuto uomo rientra nella normale vita
familiare per prepararsi al matrimonio ed essere colui che "sta in casa" (gṛastha)
compiendo i riti propri del capofamiglia, ma anche godendo delle legittime
soddisfazioni mondane. Questa fase della vita è molto importante per l'intera
società hindu perché, come ricorda la stessa Manusmṛti[151], tutti gli uomini che
vivono negli altri stadi della vita dipendono da coloro che vivono in questo.
Vānaprastha: «Quando vedrà la sua pelle raggrinzita, i suoi capelli bianchi e i figli
dei suoi figli, allora un capofamiglia si ritirerà nella foresta»[152], allora il capofamiglia si reca ai confini del villaggio, in prossimità della foresta, divenendo
un vānaprastha (colui che dimora nella foresta). Potrà affidare la moglie ai figli
oppure consentirle di seguirlo. In questa condizione ha ancora dei precisi doveri
rituali ma si approssima alla condizione totalmente ascetica successiva rinunciando
ai piaceri mondani, vivendo in uno stato di povertà, meditando sul Veda e
praticando lo yoga e l'ascesi (tapas). Se tale condotta di vita diviene occasione di
infermità, non potendo più proseguire allora partirà «verso nord-est e, nutrendosi
solo di acqua e aria, mantenersi concentrato e camminare in linea retta fintantoché
il suo corpo non cada a terra morto»[153].
Saṃnyāsa (rinuncia al mondo): «Dopo aver trascorso il terzo quarto della propria
vita nella selva, durante il quarto egli abbandonerà gli attaccamenti e diverrà un
asceta errante»[154]. Quindi come "asceta errante" (yati) privo di qualsiasi possesso,
di casa o di focolare, vivrà solo di elemosine. L'ultimo rito che compirà prima di
divenire uno yati sarà il "sacrificio di Prajāpati" donando ogni sua proprietà ai
poveri e ai brahmani, quindi interiorizzando quel fuoco sacrificale che lo aveva
accompagnato nei riti religiosi per tutta la vita. Concentrato solo sul mokṣa, con
barba e capelli rasati, le unghie tagliate, con solo una ciotola, un bastone e un vaso
per l'acqua e senza mai nuocere ad alcun essere vivente[155], «Egli non aspirerà alla
morte né aspirerà alla vita. Semplicemente attenderà il proprio tempo, come un
servitore attende la ricompensa»[156]. Stefano Piano[157]evidenzia tuttavia che se
il saṃnyāsa era originariamente lo stadio finale della vita, a partire
da Śaṅkara (VII-VIII secolo) si avviò il costume da parte di alcuni devoti hindu di
abbracciare quest'ultimo stato subito dopo il brahmācarya.
Puruṣārta: i quattro scopi legittimi della vita di un hindu
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Artha: ricchezza materiale, successo, benessere, potere, anche politico; in tal senso
il manuale del "buon governo" l'Arthaśāstra attribuito al ministro di Candragupta
Maurya, Kauṭila.
Kāma: piacere, soddisfazione dei desideri, anche sessuali; in tal senso i manuali del
sesso, i Kāmasūtra tra cui quello di Vātsyāyana.
Dharma: giustizia, etica, ordine, valori, anche religiosi; questo scopo deve
inglobare e guidare i due precedenti di modo che essi non sconfinino nella
illegittimità fornendogli quella necessaria armonia con la legge e l'ordine dell'intero
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universo; in tal senso le opere che vanno sotto il nome
di Dharmasūtra e Dharmaśāstra.
Mokṣa: (o mukti), la libertà assoluta, ovvero il fine ultimo di ogni esistenza hindu e
di ogni esistenza in genere e consiste nella liberazione dalle catene del nasceremorire (saṃsāra, lett. "scorrere insieme") obiettivo ultimo dell'ultimo stadio della
vita, il saṃnyāsa; in tal senso i sūtra propri delle differenti Darśana .
Il karman e il ciclo delle rinascite (saṃsāra)
Una delle nozioni religiose più diffuse nelle religioni dell'India, e più in generale in
Asia meridionale, attiene al karman, ovvero a quel principio per cui il comportamento
di una persona porta irrevocabilmente a un'adeguata ricompensa o punizione,
commisurata a tale comportamento.
Originariamente la nozione religiosa espressa dal termine sanscrito karman indicava
un rituale correttamente eseguito. La religione vedica era essenzialmente fondata sul
sacrificio (yajña) occasione di scambio di doni tra gli Dei (Deva) e gli uomini. Tale
scambio era libero e gli Dei potevano o meno rispondere alle esigenze degli uomini.
Sconosciuta è invece nel vedismo qualsiasi nozione inerente alla sofferenza delle
esistenze e della consequenziale necessità di avviare un percorso di liberazione (mukti)
da essa, quanto, piuttosto, obiettivo dello stesso sacrificio era quello di guadagnare i
godimenti terreni (bhukti).
saṃsāra «vagare o attraversare una serie di stati o condizioni». Il saṃsāra è quindi
l'universo condizionato e mutevole, soggetto a nascita e morte, e si oppone, nella sua
natura, al livello trascendente, incondizionato ed eterno, indicato con i termini sanscriti
di mokṣa e nirvāṇa.
Va detto anche che se il fine ultimo del percorso hindūista resta la liberazione dalle
catene saṃsāriche (mokṣa), le più diffuse pratiche religiose inerenti a questa
costellazione di fedi, quali le donazioni o la devozione alle divinità, mirano piuttosto
ad accumulare dei meriti "karmici" e quindi a conseguire una vita migliore proprio nel
suo ambito.
La liberazione dal saṃsāra: il mokṣa
Il termine sanscrito di genere maschile mokṣa, così come il termine sanscrito femminile
avente il medesimo significato mukti, indicano in questa lingua la "liberazione" dal
ciclo di nascita-morte, dalla sofferente trasmigrazione, propria del saṃsāra. Ambedue
i termini originano dal verbo sanscrito muc avente il significato di "liberarsi".
Paesi con la maggiore concentrazione di induisti
Nepal - 81.3%; India - 79.8%; Mauritius - 48.5%; Fiji - 30-33%; Guyana - 28-33%;
Bhutan - 25%; Trinidad - 22.5%; Suriname - 20-27.4%.
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