Dopo l’infarto
L’esperienza, a volte drammatica, dell’infarto miocardico è vissuta ogni anno da centinaia di
migliaia di italiani e nella metà dei casi circa si manifesta in soggetti apparentemente sani.
La drammaticità è rafforzata non solo dall’organo colpito, il cuore e dalla paura della morte; ma
anche dal contesto: il dolore al petto, il senso di angoscia, le facce spaventate dei familiari, la corsa
in ospedale a sirene spiegate, i tanti camici bianchi ecc. Tutto ciò alimenta forti preoccupazioni per
il futuro ed una serie di domande si susseguono nella mente del paziente che pur nella felicità di
aver superato l’infarto, rimane fortemente condizionato dalle preoccupazioni per il suo avvenire.
Domande quali : E’ ora cosa mi succederà? Avrò un altro infarto? Potrò riprendere il mio lavoro e
le mie occupazioni abituali? Pensavo di essere in buona salute, come è stato possibile che abbia
avuto un infarto? ecc. attanagliano molti pazienti ed in alcuni casi ne condizionano fortemente al
vita.
Cosa fare, quali le istruzioni per l’uso per non essere sopraffatti dalle paure.
Il percorso, apparentemente arduo, è invece molto più semplice ed efficace.
L’evento.
Cerchiamo innanzi tutto di capire che cosa ci è successo. Il cuore è un muscolo che pompa il sangue
nei vasi e lo fa circolare attraverso tutto il corpo al fine di portare nei vari organi e tessuti l’ossigeno
e i nutrienti. Ma anche il cuore deve essere nutrito, il sangue che serve per la sua nutrizione passa
attraverso le arterie coronariche. Quando queste sono sane e libere il sangue fluisce normalmente
nel loro interno; ma se le pareti di una coronaria si danneggiano e si restringono, il sangue scorre
con difficoltà e addirittura cessa di scorrere in quella coronaria. Il pezzetto di cuore che veniva
nutrito da quella coronaria, non ricevendo più il sangue, muore. Questo è l’infarto, la morte di una
parte di cuore. Tanto più grande è la parte interessata, tanto più grave è l’infarto.
Come noto, ci sono alcune condizioni che aumentano il rischio di avere un infarto: il fumo,
l’obesità, il colesterolo alto, la pressione arteriosa alta, la vita sedentaria, il diabete ecc. L’impegno
di ognuno di noi dovrebbe ovviamente essere quello di evitare ogni condizione che aumenta il
rischio di avere un infarto.
Dopo che l’infarto c’è stato, l’impegno dovrebbe essere ancora maggiore, poiché aver avuto un
infarto aumenta il rischio di averne un altro.
Cosa fare
Alcuni anni fa avere un infarto comportava una lunga degenza ospedaliera durante la quale al
paziente veniva proibito qualsiasi movimento e veniva prescritto l’allettamento forzato. La mortalità
era alta.
Nel corso degli ultimi anni, invece, l’atteggiamento è totalmente cambiato. Dopo i primi giorni di
ricovero in Unità Coronaria in cui vengono somministrate tutte le terapia del caso, non solo
farmacologiche, il paziente viene inviato presso un Centro di Riabilitazione Cardiaca dove inizia
un programma di fisioterapia e di valutazione clinica, il cui fine è quello di accelerare il recupero
psico-fisico del paziente in piena sicurezza. In poche parole, nell’arco di alcuni giorni il paziente
passa da un letto di terapia intensiva ad una palestra. Un bel risultato!
A cosa serve la riabilitazione cardiologica. Un paziente che ha avuto un infarto ha due punti deboli
da rinforzare: uno è il cuore; l’altro è il paziente stesso, entrambi di fatto colpiti dall’infarto. E’
pertanto necessario dedicarsi sia l’uno che l’altro poichè le due cose camminano insieme. Per
questo motivo un programma di fisioterapia cardiologica comprende non solo esercizi fisici
programmati e quotidiani, ma anche un supporto psicologico ed educativo. I primi, gli esercizi,
hanno lo scopo di rinforzare il corpo ed il cuore; i secondi di dissolvere quel senso di fragilità e di
paura che spesso invalida il paziente infartuato, e di istruirlo sul controllo dei fattori di rischio e
sulle modalità di una vita più sana ed efficiente rispetto a prima dell’infarto. In parole povere, anche
se sembra un assurdo, in molti casi il paziente infartuato che si sottopone con successo ad un
periodo riabilitativo ed educativo, riuscirà a condurre una vita migliore rispetto a prima di avere
l’infarto.
Per chi, colpito da in infarto, non avesse avuto l’opportunità di un ciclo riabilitativo cardiologico,
anche se è ormai passato del tempo da quando l’infarto si è manifestato, si suggerisce di rivolgersi
al proprio medico per avere consigli in merito, oppure afferire direttamente presso gli ambulatori di
un Centro di Riabilitazione Cardiologica qualificato per essere inserito in un programma
riabilitativo ambulatoriale. Vista la complessità e l’articolazione degli obiettivi di un buon
programma riabilitativo, è un errore ritenerlo indicato solo in prossimità dell’infarto acuto ed inutile
a distanza di tempo dall’infarto. In realtà non è mai troppo tardi per conseguire ottimi risultati
inserendosi in un programma riabilitativo ben fatto. Provare per credere!
La terapia.
Uno dei dilemmi maggiori e più frequenti che un medico si trova ad affrontare è convincere il
paziente ad assumere la terapia con precisione e costanza. Sembra un assurdo, ma è la realtà
quotidiana; un considerevole numero di paziente abbandona o riduce arbitrariamente la terapia
prescritta. Precisissimi, quasi con piglio maniacale, nel periodo immediatamente successivo
all’infarto, molti pazienti diventano disordinati ed incostanti, relativamente alla terapia ed ai
controlli a distanza di tempo dall’evento acuto. Tale difficoltà non deriva solo da un imprudente
atteggiamento del paziente nei confronti della sua malattia, ma più frequentemente da un
atteggiamento mentale sbagliato. Differenti, infatti, sono le riflessioni dei pazienti in merito alla
malattia ed alla terapia, esempio: dato che ho già avuto un infarto, quello che è fatto è fatto e non mi
devo più preoccupare; dato che mi hanno fatto l’angioplastica, e quindi mi hanno sturato la
coronaria, non mi dovrò più preoccupare; sono stato sottoposto a by-pass, mi hanno messo le
coronarie nuove, è finito il problema; ormai sono mesi che prendo questa terapia, non ho più
disturbi da tempo, non posso che essere guarito, non c’è più bisogno che la prenda; se oggi salto
questa pillola cosa potrà mai succedere.
Niente di più sbagliato. E’ fondamentale che il paziente si convinca che la sua è una malattia
cronica, e l’infarto è stato solo un evento acuto nell’ambito della malattia cronica; malattia legata
nella stragrande maggioranza dei casi all’aterosclerosi. L’aterosclerosi inizia, in ognuno di noi, sin
dai primi giorni di vita. E’ un processo naturale che in alcuni soggetti si manifesta più velocemente
o più aggressivamente. Colpisce le arterie, tra queste le coronarie, e determina tra l’altro, la crisi di
angina o l’infarto miocardico acuto. Ecco perché non si può né si deve pensare che una terapia sia
in grado di guarire la malattia, né tanto meno si deve pensare di non essere più a rischio se già si è
avuto l’infarto o si è stati sottoposti ad angioplastica o By-Pass. La malattia rimane, la terapia ha il
compito di rallentarne la progressione o attenuarne le conseguenze. Lo stesso By-pass o
l’angioplastica riparano la coronaria colpita dalla lesione critica, ma le altre coronarie rimangono
quelle che sono, magari malate anche se non in maniera critica. Non esiste alcuna terapia, né
farmacologica né chirurgica, in grado di far guarire completamente dall’aterosclerosi. Per questo
motivo il comportamento del paziente, relativamente alle sue abitudini di vita, è fondamentale in
quanto rafforzativo della terapia farmacologica. La terapia prescritta dovrà essere sempre assunta
dal paziente secondo le indicazioni che gli vengono date dal medico di volta in volta.
I perché della terapia.
Per aiutare a capire meglio tutto ciò è fondamentale sapere il perché dei diversi farmaci assunti da
un cardiopatico che ha avuto un infarto miocardico.
Poiché la terapia è ormai standardizzata a livello mondiale i farmaci che un soggetto infartuato
assume sono sostanzialmente gli stessi in tutto il mondo.
Antiaggreganti: il più comune è l’aspirina. Solitamente si consigliano piccole dosi di aspirina, 100
mg/die; sebbene in alcuni casi è meglio prenderne una dose maggiore. Tale differente dosaggio
viene deciso dal medico in base alle caratteristiche personali del singolo paziente. La funzione di
questi farmaco è contrastare l’aggregazione delle piastrine e quindi rendere più difficoltosa la
trombosi all’interno delle coronarie. La trombosi coronarica, che è strettamente legata alla lesione
aterosclerotica, è la responsabile ultima dell’infarto. Assumere aspirina regolarmente consente di
contrastare quotidianamente la formazione di trombi nelle coronarie. Per questo motivo non si
dovrebbe assumere questo farmaco saltuariamente, ma quotidianamente.
Chi per diverse ragioni non può assumere aspirina, ed è il medico che lo stabilisce, assume altri
farmaci che hanno lo stesso effetto. Tra questi la ticlopidina è la più diffusa. Da qualche tempo
anche il Clopidogrel viene usato con una certa frequenza; ma le indicazioni a questo farmaco sono
specifiche e non può rappresentare un semplice sostituto dell’aspirina.
Beta bloccanti: i più diffusi sono atenololo, metoprololo, bisoprololo, carvedilolo, nebivololo ecc.
La loro funzione è quella di rallentare i battiti cardiaci e far consumare meno energia al cuore anche
e soprattutto in condizione di stress. Un cuore che consuma meno energia è un cuore che ha bisogno
di meno sangue per funzionare, quindi anche una coronaria malata può essere in grado di soddisfare
esigenze ridotte di sangue. Uno dei meccanismi attraverso cui, questi farmaci, riducono il lavoro del
cuore è quello di abbassare la frequenza cardiaca. Un altro beneficio apportato da questi farmaci è
di tenere bassa la pressione sanguigna, al fine di far lavorare meno il cuore. Visto il meccanismo di
azione di questi farmaci è implicito che anch’essi, come tutta la terapia cardiologica, vanno assunti
quotidianamente.
Nitrati: i più diffusi sono nitroglicerina, isosorbide mononitrato o dinitrato ecc. da assumersi sia per
os che in cerotti. La loro funzione è dilatare le coronarie consentendo un maggior flusso di sangue
in caso di stenosi coronarica dovuta all’aterosclerosi. Sfortunatamente questi farmaci danno
assuefazione è quindi indispensabile rispettare le indicazioni del medico su come assumerli. Se si
assumono per os vanno rispettati gli orari, se si applica il cerotto bisogna ricordarsi di toglierlo
all’orario stabilito e applicare il nuovo cerotto dopo un intervallo libero di 6-8 ore.
ACE inibitori: i più comuni sono enalapril, ramipril, perindopril, quinalapril ecc. La loro funzione è
più complessa. Un cuore che ha avuto un infarto è un cuore che ha una cicatrice. La presenza di tale
cicatrice può contribuire a deformare il ventricolo. Un ventricolo deformato è un ventricolo che
funziona peggio rispetto ad uno stesso ventricolo con l’infarto, ma non deformato. Questi farmaci
contrastano la deformazione del cuore e ne migliorano la funzione. Per tale motivo non tutti pazienti
che hanno avuto un infarto assumono gli ACE inibitori, ma solo quelli che presentano specifiche
caratteristiche che il medico indagherà e definirà. Anche questi farmaci hanno un effetto riducente
la pressione sanguigna, aiutano l’attività cardiaca anche attraverso questo meccanismo.
Statine: le più comuni sono simvastatina, pravastatina, atorvastatina, rosuvastatina ecc.. Come
sappiamo avere il colesterolo alto, soprattutto quello cosiddetto cattivo – il colesterolo LDL –
favorisce l’avanzata dell’aterosclerosi che può manifestarsi con la malattia coronarica. Ridurre il
colesterolo osservando una corretta igiene alimentare dovrebbe essere l’obiettivo di ognuno di noi e
di un cardiopatico in particolare. Laddove però la sola dieta non è in grado di contrastare gli alti
livelli di colesterolo bisogna ricorrere a questi farmaci la cui funzione è ridurre la produzione di
colesterolo da parte del fegato, con conseguente riduzione dei livelli nel sangue del colesterolo. In
aggiunta, le statine hanno dimostrato di avere un effetto protettivo diretto sulle coronarie, tanto da
ridurre l’incidenza di angina e infarto, anche in persone che non avevano il colesterolo alto. Se un
cardiopatico ha in terapia una statina non deve preoccuparsi se un giorno dimentica di assumerla, il
loro effetto farmacologico è cronico e la mancata assunzione di una dose non comporta problemi
particolari.
Calcio Antagonisti: i più comuni sono amlodipina, nifedipina, verapamil, diltiazem ecc. Il loro
effetto benefico nel cardiopatico si svolge attraverso due vie principali, da un lato contribuiscono a
tenere dilatate le coronarie favorendo il flusso di sangue, dall’altro abbassano la pressione
sanguigna e riducono lo sforzo che il cuore fa per pompare il sangue attraverso l’aorta. Solo il
verapamil ed il diltiazem sono anche in grado di abbassare la frequenza cardiaca.
Diuretici: i più comuni sono furosemide, torasemide, idroclortiazide ecc.. Il loro effetto consiste
nell’aumentare la quantità di urina prodotta e quindi ridurre il volume di sangue circolante. Ciò
determina tre effetti principali: impedire un accumulo eccessivo di acqua nei vasi, che si traduce in
un minor sforzo del cuore che quindi deve pompare un volume inferiore di sangue; impedire un
accumulo eccessivo di acqua nei tessuti, in particolare nei polmoni; ridurre la pressione arteriosa e
quindi, ancora una volta, lo sforzo del cuore. Non tutti i pazienti che sono stati colpiti da un infarto
hanno bisogno del diuretico. La prescrizione di questi farmaci è valutata dal medico in funzione di
parametri differenti da paziente a paziente.
Antiaritmici: i più comuni sono l’amiodarone, il propafenone, il sotalolo, la flecainide ecc. Solo
pazienti che hanno una malattia aritmica già prima dell’infarto o un elevato rischio aritmico quale
conseguenza dell’infarto, assumono farmaci di questo tipo. Negli altri casi questi non sono indicati.
Riepilogo: Chi ha avuto un infarto è, nella maggior parte dei casi, colpito da una malattia che si
chiama cardiopatia ischemica. Questa malattia è cronica, cioè dura tutta la vita. E’ una malattia da
cui non si guarisce mai completamente. La terapia a cui si è sottoposti non ha quindi la capacità di
eliminare questa malattia, ma solo di fermarne o di rallentarne molto l’evoluzione. Anche gli
interventi quali l’angioplastica o i by pass coronarici non guariscono dalla malattia, ma rimuovono
solo situazioni particolarmente pericolose. Per questo motivo il cardiopatico, che è solo un malato
cronico e non un invalido, deve impegnarsi per migliorare profondamente la sua situazione e
contribuire fortemente al successo della terapia assunta. La terapia farmacologica da sola, senza
cioè il supporto del paziente stesso, è molto meno efficace. Laddove aiutata attraverso l’abolizione
totale del fumo, una alimentazione varia che privilegi le fibre, una attività fisica regolare (anche
semplici passeggiate), la riduzione del peso corporeo, è in grado di garantire risultati eccellenti.
Tanto più le due strategie, quella terapeutica farmacologica e quella dell’igiene di vita, viaggiano
insieme tanto più brillanti saranno i risultati.
Raccomandazioni: Mai apportare modifiche alla terapia cardiologica da soli. Anche quando si è
convinti che un certo farmaco stia dando effetti collaterali sgradevoli o sia del tutto inutile
assumerlo, rivolgersi sempre prima al medico spiegando le proprie ragioni e seguendo i suoi
consigli.
Seguire i consigli terapeutici di parenti o amici, anche se sono essi stessi cardiopatici, è quanto di
più sbagliato ed a volte pericoloso si possa fare. Ogni paziente è una caso a sé, con mille
sfaccettature personali; pertanto, ogni confronto con altri pazienti è del tutto sbagliato e non và
praticato.
L’unico confronto che va perseguito è quello col proprio medico di fiducia.