Alberto Savinio Loterie clandestine, 1948 Matita su carta Cm 28,8x24, Alberto Savinio Loterie clandestine, 1948 Disegno preparatorio e tre varianti litografiche Bibl: Dino Prandi, Incisori occasionali dell’800 e ‘900 italiano (Catalogo 176 della Libreria Antiquaria Prandi, Reggio Emilia 1979, cat. n. 5, pp. 60-61 Maurizio Fagiolo, Daniela Fonti, Pia Vivarelli, Alberto Savinio, cat. mostra Roma 1978, cat. 149 abcdPia Vivarelli, Alberto Savinio - Catalogo generale, Milano 1996 cat. n. 1;2;3;11 (1948), pp. 347, 365 Come riportato nel volume di Dino Prandi, Andrea de Chirico (Alberto Savinio) eseguì complessivamente sedici litografie e quattro acqueforti realizzate tra la fine degli anni venti e la metà degli anni quaranta durante il momento più intenso e prolifico dell’editoria di lusso illustrata d’oltralpe che aveva rivoluzionato la vecchia concezione di libro d’artista legato alla professionalità di incisori e illustratori di mestiere, sostituendo ad essi le tavole di pittori e scultori, i cosiddetti Peintre-Graveur, prestati alle tecniche di riproduzione grafica: si pensi a Picasso impegnato con le Metamorfosi di Ovidio, Rouault con le Fleurs du mal, lo stesso fratello di Savinio con il Mystère laic di Cocteau o Picabia con Les Champs magnetiques di Breton e Soupault. Certamente in Italia questo nuovo modo di concepire l’illustrazione era stato inaugurato dal volume Il sole a picco di Vincenzo Cardarelli (1929) accompagnato dalle acqueforti di Morandi, ma certo a Savinio non mancarono gli stimoli visivi direttamente visti in Francia. Seppure Savinio avesse dunque avuto modo di apprezzare di prima persona e ammirare la fioritura delle edizioni illustrate d’oltralpe, con ogni probabilità la spinta a dedicarsi a questa particolare tecnica grafica fu data da Velso Mucci, poeta, bibliofilo, editore e critico musicale de «Il Selvaggio» di Mino Maccari. La prima litografia conosciuta di Savinio reca la data del 1927, ma l’inizio di una vera e propria attività grafica data al 1944 quando proprio Velso Mucci commissionò a Savinio una litografia per la sua ambiziosa opera editoriale: il Concilium Lithographicum. L’opera era infatti composta da quindici fascicoli, tirati da Gino Alessandrini tra il 1944 e il 1947, in ciascuno dei quali una litografia d’artista si accompagnava al facsimile di una pagina manoscritta di un poeta o scrittore. Alberto Savinio costituiva l’unica eccezione, insieme a Filippo De Pisis, coincidendo nei due casi l’artista e il letterato. Savinio infatti realizzò I miei genitori, raffigurazione del padre e della madre ibridati con le poltrone su cui sedevano – secondo un interesse verso la fusione di personaggi e mobili che l’artista aveva sviluppato proprio in quegli anni – le cui ombre erano costituite da fitti calligrammi alla maniera di Apollinaire (Il Concilium Litographicum fu poi ristampato nel 1970 da Duilio Rossoni per una collana curata da Dino Prandi). Velso Mucci è anche il committente delle tre prove litografiche e del disegno preparatorio in esame, ponendosi dunque come il vero motore per tutta l’attività litografica di Savinio, rapporto consolidato negli anni come testimoniato dal ritratto di Mucci realizzato a tempera nel 1950. Tra le litografie, quella che reca la tiratura 1/5 è la prova definitiva che sarà poi tirata in ottantanove esemplari numerati e firmati ed inseriti nel volumetto di Bruno Barilli, Lotterie clandestine (a cura di Velso Mucci, Éditions de l’Hommage, Roma 1948) - Savinio realizzò un ritratto a matita di Barilli nello stesso anno - che conteneva inoltre litografie di de Chirico e Mino Maccari. Un secondo esemplare fu tirato da Roberto Bulla e ne esiste un esemplare (1/8) con dedica alla moglie di Mucci, Dora Broussard, conosciuta attraverso Maccari: «A Dora Mucci il Suo Savinio». In questo esemplare la texture del cielo è molto più complessa e al posto dell’occhio appare una piccola forma a spirale. Simile a questa è la terza litografia, dalla grafia più insistita e pesante, stampata sempre da Bulla in otto esemplari, di cui uno riporta la dedica «A Velso Mucci il Suo Amico Savinio», la stessa riportata sul disegno originario. In questo caso la forma spiralica ha dei raggi come un sole. Le prove, tirate al torchio da Igino Alessandrini, varianti della definitiva furono «eseguiti sulla stessa matrice in pietra e tirati in pochissimi esemplari» (Prandi, op. cit. 1979, p. 60), otto per la precisione come riportato in calce nei fogli. Data la scarsità di esperienza come litografo di Savinio, è invece opportuno ipotizzare che l’artista abbia realizzato l’opera su tre differenti carte da trasporto ricalcando la composizione dal disegno originale e cancellando e sostituendo le parti che non lo soddisfacevano sulla stessa carta in quanto non è possibile cancellare e riprendere il disegno sulla pietra. Soltanto in un secondo tempo l’artista avrebbe scelto la versione definitiva da affidare allo stampatore per la tiratura ufficiale. Il disegno preparatorio, che riporta la dedica «A Velso Mucci il suo amico Savinio. Roma, gennaio 1948», raffigura un uomo seduto, contro uno sfondo di architetture dalle forme irregolari nel tipico stile dell’artista, con la testa girata di centottanta gradi in modo da mostrare i capelli e nascondere il viso. L’opera ricorda l’illustrazione, realizzata in litografia sempre nel 1948, per il volume di Bino Sanminiatelli, I fratelli incantati, in cui un uomo seduto di spalle guarda l’apparizione di un viso davanti a sé. Il tema dell’uomo senza volto, o con la testa girata di centottanta gradi, è un motivo frequente nel Surrealismo e con ogni probabilità Savinio prese spunto per il suo disegno dall’opera La Reproduction Interdite di René Magritte. Anche il motivo dell’occhio nel cielo potrebbe essere stato influenzato da Magritte e precisamente da La Faux Miroir. Tuttavia si può constatare che il motivo dell’occhio, così come la variante circolare composta da piccoli cerchi concentrici, appare in numerose opere pittoriche di Savinio degli anni 1944-1945 (ad esempio Il riposo di Hermaphrodito, Mademoiselle Centaure, Creta, Monumento a Dio) tutte opere esposte alla Libreria La Margherita nella grande mostra del 1945. Proprio Savinio rivelò la sua ossessione per «l’Occhio di Dio», figura archetipica del suo immaginario, e legata a memorie infantili in territorio greco (A. Savinio, Scatola Sonora, Milano 1955, pp.62-63). A proposito invece della piccola forma ad anelli concentrici presente in Torna la Dea nel suo tempio, del 1944, scrive lo stesso Savinio: «Quanto al pianeta in alto a destra nel cielo, non sono riuscito ad appurare se esso è nato dal ricordo della pitagorica Antiterra o dal sentimento deposto nel mio animo dall’irradiamento del Corpo Nero segnalato da Planck» (Alberto Savinio, Savinio si commenta, in «Domus» n.229, 1948, p. 34). E d’altra parte anche Mucci stesso rifletteva su sole e occhio: «Un giorno verrà che i fisici scopriranno che la sorgente della luce è l’occhio umano: il Sole, questo vecchio bestione, senza l’occhio umano che, di uomo in uomo e di momento in momento d’ogni singolo uomo, lo illumina, sarebbe un tizzone spento, ma neanche, un pezzo di carbone, ma neanche, niente» (Velso Mucci, Le carte di un italiano dell’11, Roma 1963, p.75). Francesco Parisi