Il Diabete Che cos’è il diabete? Il diabete mellito è una delle malattie metaboliche più diffuse. E’ una patologia cronica caratterizzata da anomalie del metabolismo di carboidrati, proteine e lipidi. Si tratta di una condizione in cui l’organismo, nel suo insieme, non può trarre beneficio dagli alimenti, nonostante questi siano regolarmente ingeriti e digeriti. Il diabete è dunque un disturbo dell’utilizzazione del nutrimento da parte dell’organismo, causato dalla carenza della secrezione e/o dall’azione dell’insulina, che determina due conseguenze: 1) Non potendo i nutrienti raggiungere due importanti distretti, i muscoli ed il tessuto adiposo, questi utilizzano altri nutrienti a scopo energetico. 2) I nutrienti non utilizzati si accumulano nel sangue. In particolare, il glucosio, aumenta a livello tale da non poter essere riassorbito dai reni e quindi passa nelle urine insieme a notevoli quantità d’acqua. Il diabete mellito, dal greco “dià-baino”(passare attraverso), comprende un gruppo di patologie geneticamente e clinicamente eterogenee nelle quali l’intolleranza al glucosio è il denominatore comune. Oggi il termine è tuttora valido in quanto serve a distinguere questo diabete da un'altra malattia detta diabete insipido, anche se quando si parla semplicemente di diabete s'intende il diabete mellito. Nonostante il diabete influisca sul metabolismo di tutti i substrati per fare diagnosi ci si riferisce alle anomalie della glicemia. Classificazione del paziente diabetico e problematiche educative Poiché la sindrome diabetica comprende numerose malattie che differiscono per patogenesi, storia naturale e risposta al trattamento, è di vitale importanza una classificazione dei pazienti e dei criteri diagnostici, che sia comunemente accettata da tutti gli operatori sanitari. Nel luglio 1997 l’American Diabetes Association ha pubblicato i nuovi criteri diagnostici e classificativi, necessari per rispecchiare l’evoluzione delle conoscenze negli anni intercorsi dall’ultima classificazione e per correggere il frequente impiego scorretto della vecchia terminologia, che si basava sul tipo di trattamento più che sulla patogenesi. La nuova classificazione del diabete mellito è riportata nella tabella 1. Classificazione proposta dall'ADA (American Diabetes Association) Tipo 1 Tipo 2 Diabete Mellito Gestazionale (GDM) Altri tipi specifici di diabete Alterata Omeostasi Glicemica (IGH) Distruzione delle cellule B, di solito porta ad una insulinodeficienza assoluta. Ha due forme: Diabete Mellito Immuno-Mediato (Immune-Mediated Diabetes Mellitus): Risulta da una distruzione mediata autoimmune delle beta cellule del pancreas. Diabete Mellito Idiopatico (Idiopathic Diabetes Mellitus): Riferito a forme della malattia che non hanno eziologia conosciuta. Può variare da insulino-resistenza predominante con una insulino-deficienza relativa ad una insulino-deficienza predominante con qualche insulino resistenza. Intolleranza al glucosio in gravidanza. Diabete causato da altre eziologie identificabili. 1. Difetti genetici della funzione delle cellule beta (p.e., MODY 1, 2) 2. Difetti genetici dell'azione dell'insulina 3. Disturbi del pancreas esocrino (p.e., cancro del pancreas, cisti fibrosa, pancreatite) 4. Endocrinopatie (p.e., di Cushing) 5. 5. Indotto da farmaci o agenti chimici (p.e., steroidi) 6. Infezione (p.e., rubella, Coxsackie, CMV) 7. 7. Forme non comuni di diabete immuno-correlato 8. Altre sindromi genetiche Stato metabolico intermedio tra omeostasi glicemica normale e diabete. Fattore di rischio per il diabete e malattie cardiovascolari. Alterata Glicemia a Digiuno (IFG: Impaired Fasting Glucose) Glicemia a digiuno superiore alla norma, ma non patologica. Alterata Tolleranza al Glucosio (IGT: Impaired Glucose Tolerance) Glicemia superiore alla norma, ma non patologica, a seguito delle somministrazioni di 75grammi di glucosio. (tabella 1) Le sostanziali differenze che intercorrono fra i vari tipi di diabete concernono sia le differenze di tipo anatomo-funzionale sia soprattutto i diversi tipi d’interventi da applicare ai differenti pazienti. Prima fra quest’ultimi è la differenza di terapia somministrata: infatti il paziente di tipo 1 seguirà prevalentemente una terapia insulinica, il paziente di tipo 2 potrebbe seguire una terapia esclusivamente dietetica, ipoglicemizzanti orali da soli, associati o sostituiti dall’insulina, secondo lo stato di compenso metabolico. In relazione a questo avremo sicuramente la necessità di fornire ai differenti pazienti dei supporti informativi completamenti diversi: come bisogna somministrarsi l’insulina, per il tipo 1, come bisogna scambiare gli equivalenti nell’alimentazione, in entrambi i tipi di diabete. Altro parametro da tenere in considerazione è sicuramente quello relativo alle complicanze: per esempio parleremo di microangiopatia diabetica prevalentemente per il tipo 1, di obesità e rischio coronario nel tipo 2; parleremo ad entrambi del coma iperglicemico ed ipoglicemico. Da ciò emerge quanto fondamentale sia una corretta classificazione in modo da permettere agli operatori che la metteranno in pratica, di poter programmare delle strategie educative d’intervento differenti a seconda del tipo di paziente da trattare. Attività fisica e diabete I benefici dell’attività fisica per i soggetti diabetici sono notevoli: il compenso glicemico, il profilo lipidemico ed il benessere generale migliorano con un’attività regolare che abbia almeno la frequenza di 3 volte la settimana. Per quanto riguarda in specifico i soggetti obesi si consigliano almeno 5 sedute settimanali. Idealmente l’attività dovrebbe essere sia aerobica sia isometrica. L’attività fisica, in particolare quella sportiva, è uno degli elementi fondamentali per il buon controllo del diabete. Non va quindi vista come un evento particolare, bensì usuale nella vita del soggetto diabetico. Può però accadere che un paziente non sia abituato a sforzi fisici particolari, oppure che debba affrontare impegni agonistici che richiedono un impegno fisico straordinario. Il corretto comportamento sarà di fornire all’organismo l’apporto di glucosio necessario ad affrontare lo sforzo fisico a cui va incontro. Negli altri casi è bene seguire i suggerimenti di seguito riportati: Supporto alimentare per sforzi brevi: GLICEMIA Supporto alimentare ALIMENTO (mg%) (gr. di glucidi) (Equivalenti.) Pane (1/2 eq.); Frutta (1 eq.); <100 10 - 15 Latticini (1 eq.) 100 Non necessario Non necessario Supporto alimentare per sforzi protratti e intensità moderata: Glicemia Supporto alimentare Alimento (mg%) (gr. di glucidi) (Equivalenti) Subito 25 – 50, poi 10 1 panino al prosciutto + <100 – 15 prima di ogni ora 1 eq. Di frutta o latte successiva ogni ora successiva 10 – 15 prima di ogni Da 100 a 170 1 eq. Di frutta o latte ora di attività Subito niente, poi 10 – 1 eq. Di frutta o latte 15 prima di ogni ora prima di ogni ora successiva successiva Da 250 a 300 (chetonuria assente) Subito niente, poi 10 – 15 prima di ogni ora successiva 1 eq. Di frutta o latte prima di ogni ora successiva Da 250 a 300 (chetonuria presente) Non iniziare l’attività Non iniziare l’attività Da 170 a 250 Supporto alimentare per sforzi protratti e intensità elevata: Glicemia (mg%) <100 Da 100 a 170 Da 170 a 250 Da 250 a 300 (chetonuria assente) Da 250 a 300 (chetonuria presente) Supporto alimentare (gr. di glucidi) Alimento (Equivalenti) 1 panino al prosciutto + 50 prima di ogni ora di 1 eq. di frutta + 1 eq. di attività latte 25 – 50 prima di ogni 1 panino al prosciutto + ora di attività 1 eq. di frutta o latte 1 eq. di frutta o latte Subito 10 – 15, poi 25 subito; 1 panino al – 50 prima di ogni ora prosciutto + 1 eq. di successiva frutta o latte prima di ogni ora successiva 1 panino al prosciutto + Subito niente, poi 25 – 1 eq. di frutta o latte 50 prima di ogni ora prima di ogni ora successiva successiva Non iniziare l’attività Non iniziare l’attività Prima di intraprendere un programma di attività agonistica o non agonistica ma a lungo termine sottoporsi agli esami da sforzo. Evitare l’iniezione dell’insulina subito prima dell’attività sportiva nelle zone più soggette a sforzo: l’afflusso maggiore del sangue provoca un assorbimento maggiore d’insulina. Dopo sforzi fisici di notevole intensità è bene misurare la glicemia anche subito dopo l’attività fisica. Il punto cardine dell’educazione al diabete La dietoterapia La dietoterapia costituisce una sorta di processo di scambio d’idee, di domande e di collaborazione che s’instaura fra i pazienti e l’equipe medica. Ciò rappresenta un elemento importante nella pianificazione del trattamento dei pazienti diabetici, dall’apporto calorico al tipo di trattamento da seguire, le abitudine alimentari, ecc.. Per alcuni il trattamento dietetico e l’attività fisica, costituiscono gli unici mezzi d’intervento per il controllo delle eventuali anomalie metaboliche associate al diabete; più di tutti questo riguarda maggiormente i diabetici di tipo 2. Gli obbiettivi dell’intervento dietetico nel diabete di tipo 2 sono: Mantenere la glicemia a livelli quasi normali. Normalizzare l’assetto lipidico. Stabilizzare il proprio peso corporeo entro certi range d’accettabilità. La maggiore difficoltà nell’attuare questo tipo d’interventi consiste proprio nell’eterogeneità del diabete. Infatti, non esiste una singola modificazione alimentare che possa darci insieme tutti gli obiettivi prefissati per tutti i pazienti osservati. La diversità tra un paziente e l’altro, il tipo di terapia seguita, la capacità stessa di apprendere ed elaborare le informazioni percepite, costituiscono le maggiori difficoltà nell’educare i soggetti diabetici. Saranno i parametri metabolici quelli che ci forniranno i risultati relativi al nostro successo o insuccesso dietetico, infatti, i valori di HBA1C, della glicemia misurata domiciliarmente, mediante glucoreflettometro, confermeranno o invalideranno la nostra strategia d’intervento. Spesso e volentieri vi sono degli ostacoli che inducono in errore i pazienti, per esempio: Un paziente particolarmente emotivo è portato ad iperalimentarsi; Consumare frequentemente i pasti fuori di casa e quindi scarso controllo del peso degli alimenti; Rammarico nei confronti dei soggetti non diabetici che spinge i pazienti a desiderare un periodo di libertà e quindi abbandono della dieta; Altro fattore, spesso non considerato, è la mancanza di un sostegno morale da parte dei familiari, così il soggetto si sente abbandonato a se stesso in questo difficoltoso percorso. Come già anticipato, notevole importanza assume il controllo del peso corporeo, come definizione pratica relativa al rischio per la salute viene utilizzato l’indice di massa corporea (BMI). Questo viene calcolato come peso (Kg) / altezza (m2), le U. S. Dietary Guidelines for American hanno definito come peso ideale un BMI = 19 – 25, un BMI >27 definizione di obesità, un BMI >30 obesità pericolosa per la salute. Poiché il peso corporeo condiziona l’insulino-resistenza, il fabbisogno insulinico ed il conseguente controllo glicemico, un adeguato apporto calorico giornaliero è complementare alla pianificazione alimentare. Tuttavia se il soggetto ha un BMI normale non necessita di una modificazione sostanziale dell’apporto calorico. Un’anamnesi del peso però è utile per identificare se il controllo del peso costituisce un problema o no; quindi l’impiego di dietary recall delle 24 ore o di 3 giorni é utile per valutare l’apporto calorico e le abitudini alimentari. Questa valutazione permetterà inoltre di poter quantizzare il consumo di grassi, carboidrati e proteine, la ripartizione dei pasti e degli spuntini. Circa il 10 – 20% dei pazienti con diabete di tipo 2 hanno un BMI normale e possono quindi non avere la necessità di modificare il proprio apporto calorico. Poiché tali pazienti hanno trovato un modo per equilibrare la quantità di calorie da assumere ed il consumo energetico, il punto della discussione nei loro confronti sarà indirizzato sul contenuto di carboidrati della dieta, sulla suddivisione di quest’ultimi tra pasti principali e spuntini. A differenza di questo tipo di pazienti circa l’80 – 90% dei diabetici di tipo 2 sono obesi, quindi la perdita di peso sarà uno degli obbiettivi principali. La riduzione dell’introito calorico che porta ad una diminuzione del peso corporeo di circa il 10 – 15%, migliora la sensibilità all’insulina e la captazione di glucosio, riduce la secrezione insulinica e la produzione epatica di glucosio. Per ottenere una diminuzione del peso corporeo grandi vantaggi si raggiungono mediante un’adeguata restrizione calorica, da una modesta attività fisica, dalla modificazione del comportamento alimentare e da un sostegno psicosociale. La predisposizione genetica all’obesità, una possibile compromissione della regolazione metabolica e dell’appetito, possono influenzare sulla capacità del soggetto a perdere peso mediante questa terapia. In generale si è osservato che la massa grassa corporea aumenta con l’aumentare dell’età; è ancora da stabile se sia dovuto ad un effetto dell’invecchiamento o ad una diminuzione delle masse muscolari per mancanza d’esercizio. Il grasso corporeo localizzato nella parte superiore del corpo aumenta il rischio di andare incontro a diabete, malattie cardiovascolari ed ipertensione, utile nella diagnostica è il WHR (Weist to Hip Ratio), in altre parole il rapporto tra la circonferenza della vita e dei fianchi, che quando superiore ad 1, per l’uomo, e 0.8, per la donna, indica un elevato rischio di mortalità per malattie cardiovascolari. Bisogna prima informare i pazienti nella suddivisione dell’introito calorico anche nei diversi nutrienti, proteine, carboidrati e grassi. Le raccomandazioni per l’apporto proteico negli RDA (fabbisogno razionale giornaliero) è di 0.8 g/Kg di peso corporeo /die per gli adulti. Per quanto riguarda i lipidi le anomalie osservate, frequenti nel diabete di tipo 2, sono influenzate dal contenuto in grassi della dieta come pure dal peso corporeo, da fattori genetici, dall’attività fisica e dal compenso glicemico. L’ipertrigliceridemia e una bassa colesterolemia HDL sono le più frequenti anomalie lipidiche nel diabete di tipo 2, che costituiscono un fattore di rischio per malattie cardiovascolari (parecchi studi hanno dimostrato che si ottiene un miglioramento della trigliceridemia con un apporto inferiore al 30 – 35% di grassi delle calorie totali). Poiché l’apporto di grassi saturi dovrebbe comprendere meno del 10% delle calorie totali ed i grassi polinsaturi fino al 10%, qualsiasi incremento delle calorie derivanti dai grassi dovrebbe derivare dai grassi monoinsaturi. L’apporto di colesterolo dovrebbe essere limitato a meno di 300 mg/die. Per quanto riguarda l’apporto di carboidrati, si dovrebbero personalizzare i tipi e le quantità che dovrebbero essere fornite in funzione delle principali anomalie metaboliche che si cerca di migliorare. Comunque, i carboidrati dovranno mantenersi entro il 55 – 60% delle calorie totali. Per controllare se la dieta sarà indirizzata verso la direzione giusta si dovranno valutare periodicamente i valori delle glicemie giornaliere e l’HBA1C, ed inoltre i valori di trigliceridemia e colesterolemia. La ricerca clinica che studia l’impatto degli alimenti contenenti carboidrati sulla risposta glicemica ha dimostrato che esistono alcune differenze tra i carboidrati. Tradizionalmente si riteneva che gli amidi ed i cereali producessero una risposta glicemica inferiore rispetto agli alimenti contenenti zuccheri, come frutta e dolci. La ricerca ha invece dimostrato che: le catene più lunghe di glucosio presenti nei carboidrati complessi, come gli amidi, non necessariamente determinano una curva glicemica più piatta rispetto ai carboidrati semplici riscontrati negli zuccheri. I fattori come la lavorazione, la preparazione e la velocità di digestione influenzano la risposta glicemica ad un alimento specifico. Dal punto di vista clinico, il fattore più importante alla risposta glicemica è il contenuto complessivo di carboidrati presenti nella dieta; mentre grassi e proteine danno un contributo nel rallentare la velocità di digestione e di assorbimento dei carboidrati spostando la curva di risposta verso destra. Ne consegue che, stabilita la quantità di idrati di carbonio da fornire, questi dovrebbero essere ripartiti fra pasti principali e spuntini, in modo da ottenere risposte glicemiche ottimali. Altro fattore importante sono le fibre, forma non digeribile di carboidrati, che contribuiscono a creare volume e sembrano rallentare la digestione e l’assorbimento dei carboidrati. Le fibre solubili, come quelle ritrovate nella crusca d’avena e nei legumi, possono smorzare la risposta glicemica, post-prandiale e ridurre la colesterolemia. Al contrario le fibre non solubili, come quelle di frumento, di numerosi frutti e vegetali, hanno uno scarso impatto sulla glicemia e sulla colesterolemia, ma hanno una notevole azione sulla motilità intestinale. I pazienti diabetici dovrebbero assumere una quantità giornaliera di fibre che soddisfi o superi la raccomandazione dell’USDA di 25 gr/die. Frequentemente sono sostituiti come dolcificanti agli zuccheri semplici, cioè glucosio e saccarosio, il sorbitolo, il mannitolo ed il fruttosio. Ma il fruttosio contiene le stesse calorie del glucosio e del saccarosio (4 Kcal/gr), quindi non può essere utilizzato a piacere, soprattutto nelle diete ipocaloriche. Gli alcol-zuccheri sorbitolo e mannitolo possiedono soltanto 2-3 Kcal/gr, ma si ritrovano spesso nei prodotti dopo l’aggiunta supplementare di grassi. Essi possono determinare disturbi gastrointestinali, come meteorismo e diarrea, quando assunti in quantità superiori a 30 gr/die. I dolcificanti non calorici quali aspartame, saccarina ed acesulfame K hanno un potere dolcificante 200 volte superiore rispetto allo zucchero e sono utilizzati in quantità così ridotte da non influenzare l’apporto calorico. Tuttavia questi dolcificanti possono essere contenuti in alimenti fonti di carboidrati come per esempio il gelato, biscotti e budini; quindi questi alimenti devono essere inseriti nella dieta in modo adeguato. Infine, per quanto riguarda l’apporto di vitamine e sali minerali, attualmente non vi sono evidenti dimostrazioni di un aumentato fabbisogno, ma gli antiossidanti, come il beta-carotene, la vitamina E e la vitamina C, sono stati ritenuti potenzialmente utili nel ridurre il rischio di malattie cardiovascolari e di cataratta. Nella tabella 1 sono riportate sommariamente le raccomandazioni da seguire nella pianificazione della dietoterapia dei soggetti diabetici. CALORIE PROTEIENE GRASSI COLESTEROLO CARBOIDRATI Sufficienti a raggiungere e/o mantenere un peso corporeo ragionevole negli adulti, una crescita ed uno sviluppo normali negli adulti e negli adolescenti ed un’adeguata nutrizione durante la gravidanza e l’allattamento 10-20% delle calorie giornaliere Non oltre l’RDA per l’adulto (0.8 gr/Kg di peso corporeo) con segni di nefropatia Grassi saturi <10% delle calorie giornaliere, <7% con colesterolemia LDL elevata Grassi polinsaturi fino la 10% delle calorie totali I grassi rimanenti variano in funzione degli obiettivi del trattamento Circa il 30%, soggetti con peso ed assetto lipidico normale <30%, soggetti obesi e colesterolemia elevata 40%, soggetti con trigliceridemia elevata non responsiva alla riduzione dei grassi ed al calo ponderale In prevalenza grassi monoinsaturi <300 mg/die Differenza dopo il raggiungimento degli obiettivi per proteine e grassi La percentuale varia in funzione degli obiettivi del trattamento Il saccarosio non deve essere ridotto ma è un carboidrato da sostituire I dolcificanti calorici non offrono vantaggi rispetto al saccarosio e sono carboidrati da sostituire I dolcificanti non calorici approvati dall’FDA sono sicuri DOLCIFICANTI FIBRE 20 – 35 gr/die SODIO ALCOL <3 gr/die <2.4 gr/die in caso d’ipertensione da lieve a moderata Utilizzo moderato vale a dire <2 bevande alcoliche al giorno VITAMINE E MINERALI (tabella 1) Come nella popolazione normale Bibliografia Advances in Carbohydrate Chemistry and Biochemistry, http://glyco2.chem.ualberta.ca/MISC/advances.html Alberti KGMM: Home monitoring – a tool to prevent complications: giornale italiano di diabetologia, 1993 Aldo Maldonato: Il diabete istruzioni per l’uso, manuale per il paziente e la famiglia, dicembre 1995 American Diabetes Association: Standards of medical care of patients with diabetes mellitus (suppl. 1) S23-31, 1998; DCCT Research Group: Expanded role of dietitian in the Diabetes Control and Complications Trial: clinical practice 1993 Francesco Bandello, Massimo Porta: Giornale del medico febbraio 1999, anno XV, n°6, URL: http: //www.publinet.it/diabete; Harris MI, Hadden WC: International criteria for the diagnosis of diabetes and impaired glucose tolerance, 1985 Journal of American Dietetic Association, http://www.eatright.org/journal/ Kacerovsky G., Schoberberger R. 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