uso medicale del ciclotrone

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA
FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE NATURALI
CORSO DI LAUREA IN FISICA
USO MEDICALE DEL CICLOTRONE
Il ciclotrone al L.E.N.A.
e la produzione di radioisotopi
presso l’Università degli Studi di Pavia
e gli Spedali Civili di Brescia
Relazione per la Laurea di
Michele Gabusi
Relatore
Chiar.mo Prof. A. Piazzoli
Correlatori
D ott. D . Alloni
D ott. M. Prata
Dipartimento di Fisica Nucleare e Teorica
Anno Accademico 2007/08
Indice
Prefazione
III
1 Introduzione
1
1.1
La situazione tra gli anni Venti e Trenta . . . . . . . . . . . . . . .
1
1.2
Acceleratori risonanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2
1.3
Il ciclotrone di Lawrence . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2
1.4
Principi di funzionamento del ciclotrone . . . . . . . . . . . . . . .
3
1.4.1
La dinamica della particella accelerata . . . . . . . . . . . .
3
1.4.2
Studio della fase del campo accelerante . . . . . . . . . . . .
5
1.4.3
La focalizzazione del fascio . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7
1.4.4
Il limite relativistico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10
1.5
I sincrociclotroni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
11
1.6
I ciclotroni isocroni a gradiente alternato . . . . . . . . . . . . . . .
11
1.7
Ciclotroni superconduttori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12
1.8
Ciclotroni per la produzione di radioisotopi . . . . . . . . . . . . . .
13
1.9
Il decadimento β . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
14
1.9.1
Il decadimento β +
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
14
1.9.2
L’annichilazione del positrone . . . . . . . . . . . . . . . . .
14
1.9.3
Altri decadimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
16
1.10 Attività, Attività specifica e Yield . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
17
2 Il Ciclotrone del L.E.N.A.
2.1
2.2
19
Presentazione e finalità della struttura . . . . . . . . . . . . . . . .
19
2.1.1
Descrizione dell’impianto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
20
2.1.2
Condizioni di sicurezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
21
Il ciclotrone IBA Cyclone 18/9 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
22
2.2.1
Caratteristiche della macchina . . . . . . . . . . . . . . . . .
22
2.2.2
Caratteristiche del fascio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
23
I
II
2.2.3
Il sistema di iniezione degli ioni . . . . . . . . . . . . . . . .
25
2.2.4
La struttura del campo magnetico . . . . . . . . . . . . . . .
27
2.2.5
Il sistema di radiofrequenza . . . . . . . . . . . . . . . . . .
29
2.2.6
Il sistema di vuoto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
29
2.2.7
Il sistema di raffreddamento . . . . . . . . . . . . . . . . . .
30
2.2.8
L’estrazione del fascio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
30
2.2.9
Il sistema Dual-Beam . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
31
2.2.10 I target . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
32
3 Scenari di impiego in campo sanitario
3.1
3.2
3.3
35
La realtà ospedaliera di Brescia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
35
3.1.1
Il Centro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
35
3.1.2
Il ciclotrone PETtrace . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
37
La produzione di radioisotopi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
39
3.2.1
I parametri produttivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
39
3.2.2
Fluoro-18 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
39
3.2.3
Carbonio-11 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
41
3.2.4
Azoto-13 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
41
3.2.5
Target solidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
43
La sintesi del radiofarmaco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
43
3.3.1
I dispositivi per la sintesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
43
3.3.2
Impiego del radiofarmaco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
44
3.3.3
Controlli di qualità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
45
3.3.4
La siringa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
46
Conclusioni
47
Bibliografia
49
Prefazione
Il ciclotrone è uno degli strumenti che ha contribuito all’innovazione delle tecniche diagnostiche per immagini in ambito sanitario: mediante l’irraggiamento di
bersagli con fasci di particelle accelerate, esso consente di produrre radionuclidi
β + -emettitori che, successivamente legati mediante sintesi ad una molecola facilmente assimilabile dall’organismo, permettono di effettuare l’esame diagnostico
tramite PET (Positron Emission Tomography).
In questo contesto, il ciclotrone installato presso il L.E.N.A. (Laboratorio Energia
Nucleare Applicata) rappresenta per l’Università degli Studi di Pavia un potente
strumento di ricerca e di supporto ai vicini Centri PET che non siano provvisti di
un sistema interno per la produzione di radionuclidi.
Esistono anche strutture in cui il ciclotrone è già parte integrante dell’ambiente
ospedaliero: il Centro PET degli Spedali Civili di Brescia ne costituisce un esempio.
Lo scopo di questo lavoro è quello di offrire una panoramica degli strumenti e
delle fasi che caratterizzano la produzione del radioisotopo, con cenni al processo
di sintesi del radiofarmaco necessario per l’esame PET.
Vengono dunque analizzate le due realtà di Pavia, dove il radioisotopo viene prodotto, e di Brescia, dove esso viene anche sintetizzato e somministrato in forma finale
di radiofarmaco prima che il paziente si sottoponga all’esame diagnostico.
Nel primo capitolo, dopo una rapida panoramica sull’evoluzione storica degli
acceleratori di particelle circolari, si analizzano i principi fisici di base di funzionamento del ciclotrone. Vengono inoltre descritti il meccanismo di decadimento β +
(caratteristico dei radioisotopi più comunemente usati nella diagnostica PET) e
il processo di annichilazione elettrone-positrone (a seguito del quale si generano i
fotoni che consentono la localizzazione delle zone in cui si è concentrato il radiofarmaco). Successivamente vengono fornite le definizioni dei principali parametri
fisici che caratterizzano il processo di produzione mediante ciclotrone.
Nel secondo capitolo si passano quindi in rassegna le caratteristiche e le prinIII
IV
cipali modalità di impiego del ciclotrone IBA Cyclone 18/9, in grado di accelerare
ioni H− all’energia di 18 MeV.
Segue una descrizione della struttura del L.E.N.A. destinata ad ospitare il ciclotrone e dei locali destinati alla preparazione ed al confezionamento dei radionuclidi.
Nel terzo capitolo si dà infine una sintetica descrizione della struttura che ospita il Centro PET degli Spedali Civili di Brescia e si fornisce una panoramica
delle caratteristiche principali del ciclotrone utilizzato, un GE PETtrace da 16.5
MeV per l’accelerazione di ioni negativi. Dopo una rassegna delle reazioni nucleari
sfruttate per produrre il radioisotopo, il Capitolo si conclude con cenni al processo
di sintesi del radiofarmaco, illustrandone in particolare le finalità di impiego e i
requisiti per la somministrabilità ai pazienti.
Capitolo 1
Introduzione
1.1
La situazione tra gli anni Venti e Trenta
La corsa alla produzione di macchine in grado di accelerare ioni ad energie superiori al MeV inizia a cavallo tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta,
quando l’esigenza di esplorare in profondità la struttura dei nuclei e la radioattività
rivelano l’inadeguatezza degli acceleratori operanti a tensioni elettriche inferiori a
1 MV, fino ad allora sfruttati con successo soprattutto a scopo di ricerca o nella
produzione di raggi X.
In questi anni vengono perfezionati progetti già esistenti come il “moltiplicatore
di tensione”, sviluppato nei primi anni Venti e successivamente messo a punto da
Cockroft e Walton nel 1932, e vedono la luce i primi generatori elettrostatici come
quello di Van de Graaf, in grado di portare cariche elettriche fino a un potenziale di
20 MV. Si trattava tuttavia di dispositivi soggetti a limitazioni consistenti. L’acceleratore di Cockroft e Walton, che ebbe un grande successo per la sua versatilità
ed espandibilità, era alimentato a partire da un potenziale alternato, poi raddrizzato da una serie di condensatori in parallelo e diodi, e consentiva di raggiungere
tensioni soltanto di poco superiore al MV. Con N condensatori ed N raddrizzatori,
si ottenenva una moltiplicazione del potenziale originale pari ad N.
Oggi un acceleratore di Cockroft e Walton è conservato al Museo dell’Elettronica
presso l’Università di Pavia.
L’acceleratore di Van de Graaf era costituito da due condensatori sferici, sulle quali
venivano trasportate le cariche mediante una cinghia azionata da un motore, e tra
le quali si stabilivano differenze di potenziale nell’ordine del MV. Le limitazioni
maggiori erano imposte dall’effetto corona e dalla rottura del dielettrico: la non
facile scelta di materiali isolanti che consentissero di prevenire scariche distruttive,
aveva conseguenze importanti sulla soldità meccanica e strutturale della macchina.
Van de Graaf ebbe comunque il merito di aprire la strada all’impiego degli acceleratori elettrostatici: nel 1958 avrebbe messo a punto anche il Tandem, in grado
di accelerare particelle cariche per mezzo di una differenza di potenziale doppia
rispetto ai limiti elettrostatici classici. In questo dispositivo gli ioni H2− , venivano
inizialmente accelerati verso un elettrodo a potenziale positivo, successivamente
1
2
privati di due elettroni e quindi ulteriormente accelerati da un campo uguale al
precedente, ma di segno opposto.
Oggi, acceleratori simili vengono ancora impiegati per scopi di ricerca nei laboratori
INFN di Legnaro e nei Laboratori Nazionali del Sud.
1.2
Acceleratori risonanti
E’ in questo contesto che nel 1925 nasce per la prima volta in Svezia l’idea di
costruire un acceleratore lineare a radiofrequenza, il cui progetto fu sostanzialmente
l’antenato di tutti gli acceleratori fondati sul principio di risonanza. La macchina,
portata a compimento nel 1928 da Wideröe, era costituita da tre cilindri coassiali
disgiunti, a ciascuno dei quali era applicato un potenziale ∆V opposto rispetto
a quello del tratto adiacente. In questo modo la particella veniva accelerata dal
primo cilindro e, durante il tempo di transito all’interno di esso, il potenziale
veniva invertito in modo che essa, rimergendo dalla cavità, trovasse nuovamente un
campo accelerante. Con basse tensioni, la particella guadagnava progressivamente
quantità di energia pari a e∆V ad ogni passaggio tra gli elettrodi.
1.3
Il ciclotrone di Lawrence
Fu proprio ispirandosi agli studi di Wideröe che nel 1930 Ernest O. Lawrence
(Figura 1.3) concepı̀ l’idea di costruire un acceleratore risonante di ioni che non
facesse uso di tensioni elettriche particolarmente elevate. Gli ioni si muovevano
Figura 1.1: Ernest O. Lawrence e il suo ciclotrone da 4”.
1. Introduzione
3
lungo traiettorie semicircolari in un campo magnetico (approssimativamente uniforme), attraversando avanti e indietro due elettrodi in risonanza con un campo
elettrico oscillante. Dallo studio delle equazioni del moto Lawrence ricavò che la
frequenza di rivoluzione νc (frequenza di ciclotrone) di una particella di carica q in
un campo magnetico B (supposto costante), di modulo B, era pari a
νc =
qB
2πm
(1.1)
ovvero non dipendeva dalla sua velocità, ma soltanto dal campo magnetico applicato (considerando il rapporto q/m costante, effettivamente mantenuto per basse
energie della particella, non essendo presenti effetti relativistici). La risonanza era
pertanto facilmente realizzabile a patto di sincronizzare la frequenza di ciclotrone
con quella del potenziale oscillante.
La prima verifica sperimentale del principio di risonanza è documentata all’interno della tesi di dottorato di M.S. Livingstone, datata 14 aprile 1931. Il primo
ciclotrone, avente un diametro di soli quattro pollici, disponeva di un potenziale
di 2000 V, mentre la frequenza poteva essere variata aggiustando il numero degli
avvolgimenti di una induttanza. Come previsto, gli ioni, portati ad una energia
di circa 80 keV raccolti in un collettore, davano dei picchi di corrente ben definiti
in corrispondenza di alcune ben definite frequenze (Figura 1.2). Cosı̀, pochi mesi
dopo che Cockroft e Walton osservarono la prima disintegrazione di un nucleo di
Litio usando protoni da 400 keV, Lawrence e Livingston realizzarono le prime disintegrazioni nucleari su diversi target con i nuovi ciclotroni da 1 MeV.
Il successo di queste macchine fu dovuto al fatto che, oltre ad accelerare particelle
cariche, esse consentivano di ottenere fasci di neutroni ad alta energia sufficientemente intensi per essere impiegati anche in ambito santario. Il primo ciclotrone da
16 MeV per applicazioni mediche fu messo a punto nel 1939 al campus dell’Università della California [1].
Lo stesso anno Lawrence fu insignito del Premio Nobel per la Fisica.
1.4
1.4.1
Principi di funzionamento del ciclotrone
La dinamica della particella accelerata
In una descrizione semplificata un ciclotrone può essere pensato come un dispositivo in cui un pacchetto di ioni di carica q viene iniettato da una sorgente (si veda
il paragrafo 2.2.3) tra due elettrodi metallici cavi chiamati dees , contenuti in una
camera ad alto vuoto (< di 10−6 mbar), ai quali è applicato il potenziale oscillante
V (Figura 1.3). Questi elettrodi sono a loro volta inseriti fra le espansioni polari
di un elettromagnete.
Le particelle, attraversando il gap tra gli elettrodi acquistano pertanto una
energia cinetica ∆E pari a:
∆E = q∆V
(1.2)
4
Figura 1.2: Dal grafico sono evidenti delle risonanze in corrispondenza a ben definiti
valori di B, a cui corrispondono, secondo la (1.1), valori ben definiti di νc . Aumentando il
campo magnetico varia la frequenza di ciclotrone (1.1), e quindi i massimi della corrente
in uscita) [1].
e, a causa del campo magnetico, sono soggetti alla forza di Lorentz
r
2q∆V
F = qv × B
con
v=
m
Tale forza agisce ortogonalmente alla direzione di moto. Pertanto le equazioni del
moto
m0 (r̈ − rθ˙2 ) = −qrθ̇B0
(1.3)
m0 (θ̈ + 2(ṙθ̇)) = q ṙB0
m0 z̈ = 0
(1.4)
(1.5)
sono quelle di una particella con velocità v, che si muove sul piano x-y lungo una
traiettoria circolare di raggio
p
r=
(1.6)
qB
dove p è il momento lineare della particella. Poiché ad ogni emiciclo le particelle
guadagnano una energia fissa ∆E, è facile verificare che in realtà esse si muovono
lungo una spirale il cui passo ∆r varia, come
∆r
1
2m
∆E
da cui
∝
(1.7)
∆r = √
∆E
r
2EqB
1. Introduzione
5
Figura 1.3: Struttura semplificata di un ciclotrone.
Ad ogni attraversamento delle due dees , la radiofrequenza inverte la polarità in
modo che gli ioni acquistino nuovamente una energia ∆E. Partendo dall’equazione
(1.1), indicata con νrf la frequenza del potenziale oscillante (mantenuta fissa), si
trova che la condizione di risonanza è soddisfatta se è verificata
νrf = hνc
h=1,2,3,...
(1.8)
dove h è il numero dell’armonica, che ha un ruolo fondamentale nel determinare la
geometria interna del ciclotrone. Valori tipici per la frequenza di ciclotrone sono
νc = 15.245 MHz/T per i protoni e νc = 27.993 GHz/T per gli elettroni.
Quando il pacchetto di particelle raggiunge l’energia voluta, che corrisponde ad
un’orbita ben definita di raggio Rest (detto raggio di estrazione), il fascio viene
deviato dal sistema di estrazione e inviato contro un bersaglio (nel quale avrà
luogo la reazione nucleare desiderata).
1.4.2
Studio della fase del campo accelerante
Supponiamo che il ciclotrone sia formato da due dees e due dummy dees (elettrodi
a massa) (Figura 1.4).
Presa una particella di riferimento, se il ciclotrone lavora sulla prima armonica
(Figura 1.5), le due dees lavorano in opposizione di fase (∆φ = π), e la tensione
si annulla quando tale particella raggiunge il centro di ciascuna dee. In questo
caso, ad ogni ciclo ci possono essere particelle in un solo gap alla volta, e il bunch
(pacchetto di particelle) è sfasato di π/4 con il potenziale (ovvero di un angolo pari
all’apertura di ciascuna dee).
6
Figura 1.4: Disposizione delle due dees a 90◦ [6].
Lavorando in seconda armonica (Figura 1.6) i due elettrodi oscillano in fase.
In questo caso possono essere accelerati due bunch alla volta, e quindi la frequenza
del fascio estratto è pari alla radiofrequenza e non c’è sfasamento tra il potenziale
e l’angolo azimutale di una particella di riferimento.
Infine, in terza armonica (Figura 1.7), poiché può essere accelerato un solo bunch
alla volta, la frequenza del fascio estratto è pari ad un terzo della frequenza accelerante. Le dees lavorano in opposizione di fase, e la tensione accelerante è pari
a V0 sin(π/4). Indicando con ∆E l’energia guadagnata ad ogni giro, e con qV
l’energia della particella all’istante di estrazione, si può facilmente dimostrare che
∆E
hθ
= 4 sin
qV
2
e
1
φottimale = (π − hθ)
2
(1.9)
ovvero, il massimo guadagno si può ottenere se il potenziale accelerante si annulla
nel mezzo di ciascuna dee. Il fattore quattro davanti al seno è pari al numero di
gap di accelerazione. Infine, poiché il bunch di ioni possiede una distribuzione azimutale oltre che radiale, se una particella in fase φ con il potenziale guadagna una
energia ∆E1 , una qualsiasi altra particella avente fase φ + φ0 avrà un guadagno
di energia ∆E2 6= ∆E1 . In queste condizioni la differenza di fase tra le particelle
tende ad aumentare ad ogni accelerazione, provocando uno sparpagliamento radiale del fascio.
Per evitare questo fenomeno, è possibile aggiungere una componente di terza armonica (flat topping) al potenziale sinusoidale, in modo da conferire una forma rettangolare alla tensione (Figura 1.8), accelerando con la medesima fase un numero
maggiore di particelle.
1. Introduzione
7
Figura 1.5: Fase dell’accelerazione sulla prima armonica [6].
1.4.3
La focalizzazione del fascio
Nel ragionamento teorico fino ad ora esposto non si tiene però conto di una serie
di problemi pratici.
Anzitutto il fascio non giace realmente sul piano mediano, ma in un inviluppo
tridimensionale tra le due dees . Ad ogni ciclo, inoltre, viene iniettato un nuovo
bunch di ioni fra gli elettrodi, che, dopo poche rivoluzioni, tende a fondersi con
il fascio già parzialmente accelerato, dando origine ad una distribuzione radiale
continua di carica.
Bisogna inoltre tenere conto che l’intensità del fascio in fase di accelerazione
diminuisce progressivamente per la dispersione di ioni contro le pareti delle dees . A
maggior ragione, se il campo magnetico fosse effettivamente verticale ed uniforme
il fascio non subirebbe deflessione verticale, non sarebbe focalizzato, ed eventuali
componenti verticali della velocità disperderebbero gran parte degli ioni da accelerare. La traiettoria delle particelle, soprattutto a bassa energia, infatti è sensibile
alle perturbazioni, generate ad esempio dagli urti con eventuali particelle residue
nella camera a vuoto o dalle disomogeneità dei campi elettrici, dovute alle capacità
parassite presenti in prossimità delle discontinuità tra le dees .
Da tutti questi problemi nasce la necessità di focalizzare efficacemente il fascio di
particelle.
La strategia adottata inizialmente fu allora quella di diminuire l’intensità del campo magnetico lungo la direzione radiale, in modo da sfruttare l’effetto di fringing (Figura 1.9) e usufruire delle componenti verticali della forza di Lorentz. La
8
Figura 1.6: Fase dell’accelerazione sulla seconda armonica [6].
Figura 1.7: fase dell’accelerazione sulla terza armonica [6].
componente verticale del campo veniva fatta decrescere secondo la legge
µ
Bz = B0
r0
r
¶n
µ
' B0
∆r
1−n
r0
¶
(1.10)
dove B0 è il campo a una distanza r0 dal centro e B è il campo al raggio r, e
l’approssimazione è resa possibile dal fatto che n < 1. Dalle equazioni di Maxwell
risulta che la componente radiale e quella lungo z sono legate dalla relazione
∂Br
∂Bz
=
∂r
∂z
(1.11)
dove Bz = B̂z .
Si può dimostrare che sulle particelle accelerate agiscono forze di richiamo sia in
1. Introduzione
9
Figura 1.8: Andamento del potenziale secondo il principio del flat topping e aggiunta
della terza armonica [6].
Figura 1.9: L’effetto focalizzante delle linee di campo [1].
direzione assiale che radiale, date rispettivamente da
d
(mż) = −nmω 2 z
dt
d
(m∆ṙ) = −mω 2 (1 − n)∆r
dt
(1.12)
(1.13)
dove ω = v/r0 e ∆r rappresenta l’escursione radiale della particella dall’orbita di
equilibrio. Il fascio è dunque soggetto anche a delle oscillazioni libere (oscillazioni
di betatrone) intorno a un’orbita di equilibrio. In particolare, se n < 1, la componente centrifuga della forza mv 2 /r e quella centripeta eBz (r)v si bilanciano ad
una distanza r0 dal centro, ed hanno un andamento simile a quello mostrato in
Figura 1.10. Le oscillazioni di betatrone in genere prendono avvio nelle prime fasi
di accelerazione, e sono proporzionali a T −n con 0.25 ≤ n ≤ 0.5. dove con T è
indicata l’energia cinetica della particella.
10
Figura 1.10: Andamento della forza centrifuga e della forza centripeta; con Req è
indicato il raggio dell’orbita di equilibrio [1].
1.4.4
Il limite relativistico
Secondo una regola empirica [6], il ciclotrone cosı̀ come era stato inizialmente concepito può essere utilizzato fino ad energie pari all’1% della massa a riposo (per i
protoni ∼ 10 MeV). Oltre questo limite dovrebbero essere impiegati acceleratori
isocroni oppure a radiofrequenze variabili. In effetti le relazioni fino ad ora trovate,
relative alla dinamica delle particelle di un fascio, sono state ottenute supponendo
trascurabile qualsiasi correzione relativistica della massa e partendo dall’assunzione che νc sia indipendendente dall’energia cinetica acquisita dalla particella.
Riscrivendo le equazioni in termini dei parametri γ e β, dati dalle relazioni
β=
v
c
1
γ=p
1 − β2
(1.14)
si ottengono le nuove espressioni per il raggio della traiettoria descritta dalla
particella e per la frequenza di ciclotrone
mγv
r=
(1.15)
qB
qB
(1.16)
νc =
2πmγ
Dalle equazioni (1.15) e (1.16) segue che, ad alta energia, la condizione (1.8) diventa
νrf = hνc (v)
(1.17)
Per mantenere valida la condizione di risonanza con un potenziale oscillante a
frequenza fissa e ad ogni orbita r, è necessario agire accrescendo l’intensità del
campo magnetico che assume una forma del tipo
sµ
¶
β2
(1.18)
1+
B(r) = B0 γ(r)
ovvero
B(r) = B0
1 − β2
1. Introduzione
11
poiché β dipende dal rapporto q/m segue la relazione
³q´
ω
β = r = B0
r
(1.19)
c
m
nei ciclotroni isocroni (a radiofrequenza fissa) la correzione da applicare al campo
magnetico dipende dalla natura della particella da accelerare.
Dalle relazioni
p
p = T (2m + T )
(espressione relativistica)
(1.20)
√
p = 2mT
(espressione non relativistica)
(1.21)
ottenute supponendo di porre c = 1 e h = 2π, e indicando con T l’energia cinetica
di una particella di massa m0 , si calcola facilmente che nei ciclotroni comunemente utilizzati per la produzione di radioisotopi, in cui i protoni (mp ' 938 MeV)
vengono accelerati ad energie prossime ai 20 MeV, la correzione da applicare al
momento lineare delle particelle si aggira intorno allo 0.5 %.
Fu proprio per ovviare ai problemi imposti dai limiti relativistici che parallelamente
ai ciclotroni iscroni fu sviluppata, a partire dal 1945, una generazione di ciclotroni
a frequenza variabile detti sincrociclotroni.
1.5
I sincrociclotroni
L’esigenza di raggiungere energie sempre più elevate, soprattutto dopo la scoperta
del neutrone e del muone, spinse a ricercare nuove soluzioni per superare i limiti
imposti dai ciclotroni classici e da quelli isocroni, legati principalmente alla focalizzazione del fascio.
In un sincrociclotrone, all’aumentare dell’energia delle particelle, decresce la frequenza di oscillazione del campo accelerante, per conservare la risonanza con la frequenza di ciclotrone inversamente proporzionale a β. Questo consente sostanzialmente di raggiungere energie più elevate senza problemi di focalizzazione, ma impone intensità di fascio minori, in quanto un sincrociclotrone può accelerare soltanto un bunch di ioni alla volta. La radiofrequenza e il potenziale variano in fase con
le particelle accelerate, dando come risultato un fascio pulsato.
L’energia massima raggiunta in un sincrociclotrone da un fascio di protoni è dell’ordine di 1 GeV, ma, ad oggi, la tecnologia legata ai ciclotroni a frequenza variabile
è in fase di abbandono.
1.6
I ciclotroni isocroni a gradiente alternato
Poiché l’incremento del campo magnetico lungo la direzione radiale ha un effetto
defocalizzante, per tenere conto delle correzioni relativistiche ed assicurare allo
stesso tempo una maggiore focalizzazione del fascio nei ciclotroni isocroni si fa
dipendere il campo magnetico, oltre che dal raggio, dalla componente azimutale
θ. La traiettoria, che a parità di momento rimane un’orbita chiusa, è più o meno
circolare, a seconda della struttura azimutale del campo B(R, θ).
12
Figura 1.11: Schema di un ciclotrone a gradiente di campo magnetico alternato: nelle
zone più chiare (valley) il campo è meno intenso che altrove. La variazione di gradiente
assicura una buona focalizzazione del fascio e consente di variare radialmente il campo
per compensare l’aumento di massa relativistico e mantenere l’isocronismo [6].
1.7
Ciclotroni superconduttori
Dopo una prima fase di scetticismo sulla possibilità che venissero impiegati con
profitto, i ciclotroni a magneti superconduttori entrarono in circolazione a partire
dagli anni Ottanta.
I maggiori vantaggi derivanti dal loro utilizzo sono legati alla maneggevolezza, alla
possibilità di creare campi magentici molto intensi e al ridotto consumo energetico.
A parità di energia finale della particella accelerata, essi arrivavano ad essere 15
volte più leggeri rispetto ai ciclotroni tradizionali; questo risultò decisivo per il
loro successo nell’ambito della ricerca legata agli ioni pesanti. Il primo ciclotrone,
entrato in funzione nel 1982 e con un’energia di 500 MeV, aveva un raggio di
estrazione di soli 67 cm e il peso dei suoi magneti era di 100 tonnellate.
Il campo magnetico prodotto da un superconduttore inoltre può essere maggiore
di 6 Tesla, superando le limitazioni imposte dalla saturazione del ferro (2 Tesla).
Questo consente di raggiungere in poco spazio energie elevate, a scapito però della
semplicità di estrazione del fascio da una singola orbita: in particolare per avere
una buona separazione fra traiettorie successive, è necessario l’impiego di potenziali
elevati, fino a superare il MV/ciclo.
Il successo principale dei ciclotroni superconduttori tuttavia è derivato dal loro
impiego in ambito medico. All’Harper Hospital di Detroit si riesce ad ottenere un
fascio secondario di neutroni per la terapia neutronica tramite un dispositivo da 50
MeV con un raggio di estrazione di soli 30 cm, le cui ridotte dimensioni consentono
persino di farlo ruotare intorno al paziente.
Un ciclotrone superconduttore è oggi in uso anche presso la struttura INFN dei
Laboratori Nazionali del Sud.
1. Introduzione
1.8
13
Ciclotroni per la produzione di radioisotopi
L’avvento dei ciclotroni a gradiente di campo magnetico alternato (AVF: Azimuthally Varying Field ) e l’abbattimento dei costi di produzione, ha consentito la
diffusione dei ciclotroni come acceleratori versatili, utilizzabili in diversi campi di
ricerca tra cui la radiochimica, la produzione di radioisotopi per la PET (Positron
Emission Tomography) ed anche in ambito medico per la radioterapia. Si tratta di
dispositivi compatti, in grado di accelerare ioni (tipicamente idrogeno e deuterio)
tra i 10 e 18 MeV e dotati di più bersagli simultaneamente irraggiabili. Poiché
questi dispositivi per il loro largo impiego sono collocati in prossimità di ospedali,
strutture universitarie e centri di ricerca, richiedono importanti misure di sicurezza
e di schermatura, la cui attuazione rappresenta una delle fasi più importanti nell’installazione di questi dispositivi. In Italia la maggior parte dei ciclotroni impiegati
in ambito medico sono prodotti da IBA (Ion Beam Applications) e GE (General
Electrics).
Figura 1.12: Il ciclotrone IBA Cyclone 18/9 (a sinistra) e il GE PETTrace 10 (a destra)
per la produzione di radioisotopi (Rielaborazione da [15], [21]).
14
1.9
Il decadimento β
1.9.1
Il decadimento β +
I ciclotroni destinati al supporto della diagnostica per immagini tramite PET,
producono isotopi radioattivi β + emettitori (ad esempio 18 F , 13 N , 15 O, 11 C).
Il decadimento β + è uno dei possibili processi di decadimento che rientrano sotto il
nome di decadimento β e consiste nella variazione di una unità del numero atomico
(Z), mantenendo inalterato il numero di massa (A). Schematicamente
(Z, A) −→ (Z − 1, A)
Durante il decadimento avviene l’emissione di un positrone e+ (l’antiparticella
dell’elettrone, avente la sua stessa massa ma carica opposta) e di un neutrino
elettronico (νe ), particella neutra ed avente massa a riposo quasi nulla (oggi si
stima che sia inferiore a 2 eV). Il decadimento β + è un decadimento a tre corpi
caratterizzato dalla reazione
p −→ n + e+ + νe
E’ proprio l’esistenza del neutrino, ipotizzata da Wolfgang Pauli nel 1930 sulla base
del principio di conservazione dell’energia e del momento angolare e confermata
soltanto cinquant’anni dopo, che consente di dare un’interpretazione al fatto che
lo spettro di emissione dei positroni è continuo (Figura 1.14).
Poichè la massa a riposo del protone è inferiore rispetto a quella del neutrone,
questo tipo di decadimento può avvenire soltanto fra nucleoni appartenenti a stati
legati: il bilancio energetico è dato dalla somma tra l’energia associata alla massa
del protone e a quella di legame con il nucleo. Le energie si distribuiscono in modo
disuguale e casuale sui tre prodotti di decadimento. Indicando con me la massa
del positrone, con Mf e con vf rispettivamente la massa e la velocità del nucleo
figlio, è evidente che l’energia massima Tmax assorbita dal nucleo figlio:
Tmax =
m2e ve2
M vf2
β 2 me c2
= γ2 + + =
2
2Mf
1 − β 2 2Mf c2
(1.22)
è in genere trascurabile (circa 100 eV).
La maggior parte dell’energia dunque viene spartita tra il neutrino e il positrone e
varia entro un range di valori il cui limite superiore, dell’ordine del MeV, è detto
endpoint, raggiunto solo nel caso in cui il positrone trasporti con sé tutta l’energia
disponibile nella reazione. L’energia media con cui i positroni vengono emessi (in
corrispondenza del picco dello spettro di emissione) si aggira invece intorno ad un
terzo dell’energia massima.
1.9.2
L’annichilazione del positrone
Quando il positrone viene emesso nella materia il suo libero cammino medio l,
ovvero la distanza media percorsa prima dell’urto con un’altra particella, è piuttosto breve (nel caso di particelle emesse da radionuclidi all’interno corpo umano,
1. Introduzione
15
Figura 1.13: Rappresentazione schematica dell’annichilazione elettrone-positrone [3].
l è dell’ordine del decimo di millimetro). Esso infatti perde la sua energia interagendo anelasticamente con gli elettroni del tessuto fino a legarsi con uno di essi
dando origine ad uno stato di positronio. Il positronio ha una vita media dell’ordine dei 10−10 s, trascorsa la quale le due particelle annichilano: le masse vengono
convertite in energia elettromagnetica, rilasciata come fotoni ad alta energia. Al
momento dell’annichilazione positrone ed elettrone possono essere considerati a
riposo: pertanto, per la conservazione del momento, i due fotoni emessi hanno
rispettivamente una energia pari a:
1
1
E = hν = (Ee− + Ee+ ) = (me− c2 + me+ c2 )
2
2
(1.23)
dove con m è indicata la massa delle particelle in gioco, e con ν la frequenza del
raggio gamma. In realtà sono possibili anche processi di annichilazione con l’emissione di più di due fotoni che, intervenendo solo nello 0.003% dei casi, risultano
del tutto trascurabili.
Il fatto che il fotone sia cosı̀ energetico è estremamente utile in ambito diagnostico:
anzitutto, esso supera facilmente lo spessore dei tessuti e può essere perciò rivelato
esternamente; in secondo luogo, la retta che congiunge i punti di rivelazione delle
particelle emesse passa per il punto di annichilazione (collimazione elettronica),
praticamente coincidente con il punto in cui il positrone è stato emesso. Questo
consente di localizzare gli atomi β + -emettitori distribuiti nei tessuti, misurando
simultaneamente la coppia di fotoni di annichilazione. L’insieme delle traiettorie
di annichilazione permette di ricostruire una immagine tridimensionale del volume
in cui si è accumulato il radioisotopo.
16
Avendo i fotoni emessi una energia sempre molto prossima ai 511 keV, è possibile costruire apparecchiature ottimizzate a rilevare fotoni di energia fissa. Il loro
conteggio misura l’attività della sorgente di positroni all’interno del paziente su
diversi piani trasversali, dopo aver tenuto conto dei possibili effetti di attenuazione
da parte dei tessuti. Sfruttando questo principio vengono costruiti gli scanner
PET. Con la misura di un numero di interazioni compresa tra 106 − 109 , è possibile ricostruire un’immagine tridimensionale della distribuzione della radioattività
in un corpo, con una precisione di localizzazione delle singole sorgenti pari a 5-7
mm.
1.9.3
Altri decadimenti
Il decadimento β + è solo uno dei tre processi che caratterizzano la famiglia del
decadimento β. Nel decadimento β − un neutrone decade in un positrone e in un
antineutrino elettronico
(A, Z) −→ (A, Z + 1)
n −→ p + e− + ν¯e
L’eccesso di massa del neutrone sul protone consente al processo di verificarsi anche
in stati di nucleone libero.
Il terzo tipo di reazione previsto dal decadimento β è la cattura elettronica (EC):
p + e− −→ n + νe
dove un elettrone delle shell interne viene assorbito, provocando la conversione di
un protone in un neutrone, accompagnata dall’emissione di un neutrino elettronico.
Dal punto di vista dinamico sono poche le differenza tra i due decadimenti β − e β + :
in entrambi i casi sono conservati il numero barionico, leptonico e l’energia del sistema. Le due curve tratteggiate in Figura 1.14 rappresentano lo spettro energetico
di elettoni e positroni, che, quando vengono emessi, risentono rispettivamente dell’attrazione e della repulsione dovute alla carica nucleare. Per questo, la curva di
emissione dei positroni (per cui la correzione coulombiana all’energia è positiva)
risulta traslata verso destra, mentre quella degli elettroni (per cui la correzione
coulombiana è negativa) verso sinistra. L’endpoint per entrambi i decadimenti
resta ovviamente invariato.
Il decadimento β in genere può essere accompagnato da decadimenti di natura
differente: poichè il nucleo prodotto dalla reazione si trova in uno stato eccitato,
per diseccitarsi può emettere gamma o elettroni di conversione (esplusi, generalmente, dalla shell K). Anche in seguito al riarrangiamento della shell per cattura
elettronica, possono essere espulsi elettroni Auger o raggi X, non trascurabili in
particolare negli studi dosimetrici.
1. Introduzione
17
Spettro della distribuzione dell’energia delle particelle β − e β +
(Rielaborazione da [5]).
Figura 1.14:
1.10
Attività, Attività specifica e Yield
L’attività di una sostanza radioattiva si definisce come
A(t) =
dN (t)
= λN (t) = λN0 e−λt
dt
(1.24)
dove con N(t) è indicato il numero di nuclei presenti all’istante t e con λ la costante
di decadimento. Nella pratica si usano spesso i concetti di vita media, pari all’inverso della costante di decadimento, e il tempo di dimezzamento T1/2 , definito
come il tempo medio dopo il quale l’attività inziale si è dimezzata. La vita media
τ si calcola a partire da T1/2 secondo la relazione
τ=
T1/2
ln 2
(1.25)
L’attività di un nuclide si misura in Bequerel (1 Bq = 1 disintegrazione/s),
unità di misura del Sistema Internazionale, oppure in Curie (1 Ci= 3.7 ×1010 Bq).
L’attività è una grandezza caratteristica di ogni nuclide radioattivo, ma può essere
anche indotta mediante irraggiamento di un nucleo stabile con particelle neutre o
cariche: in tal caso essa si calcola, a partire dall’equazione:
A(t) = Inσ(1 − e−λt )
(1.26)
dove con I si indica l’intensità del fascio (numero di particelle per unità di superficie per unità di tempo), con n il numero di nuclei nel bersaglio, con σ la sezione
d’urto della reazione in gioco e con t il tempo di irraggiamento. Dopo un tempo pari a 4-5 τ , il fattore tra parentesi (fattore di saturazione) diventa prossimo
all’unità e A(t) si avvicina al cosiddetto “valore di saturazione”, ovvero l’attività
massima che il processo di produzione può raggiungere mediante bombardamento.
Pertanto anche la produzione di radioisotopi in un ciclotrone, in cui un target di
18
nuclidi stabili viene irraggiato mediante un fascio di protoni, segue una legge di
saturazione esponenziale.
Nel grafico sottostante è riportato l’andamento dell’attività indotta in un nuclide
sottoposto ad un fascio di particelle in funzione della durata dell’esposizione. Essa
cresce esponenzialmente fino a raggiungere il valore di saturazione Asat = Inσ.
Figura 1.15: Andamento dell’attività di una sostanza, normalizzata al valore di saturazione, in funzione del tempo di irraggiamento, espresso in funzione del numero delle
emivite τ (Rielaborazione da [4]).
Si definisce invece attività specifica l’attività di un nuclide per unità di massa,
che si calcola come
Inσ
(1 − e−λt )
(1.27)
As (t) =
m
Essa è un parametro di notevole importanza nella classificazione e nell’individuazione di radionuclidi che, legati a molecole più complesse facilmente assimilabili da
strutture biolgiche, vengono sfruttati come traccianti all’interno di tessuti viventi.
Un radionuclide con un’alta attività specifica consente generalmente un migliore
tracciamento del radiofarmaco, esponendo tuttavia a dosi di radiazione maggiori
l’organismo in esame.
A partire dall’attività di saturazione Asat si definisce lo Yield, o resa di produzione,
dato da:
·
¸
mCi
Asat
=
(1.28)
Y =
I
µA
Lo Yield è quindi il rapporto tra l’attività di saturazione e il valore della corrente
che consente di raggiungerla.
Capitolo 2
Il Ciclotrone del L.E.N.A.
2.1
Presentazione e finalità della struttura
Il ciclotrone IBA Cyclone 18/9 è un dispositivo per l’accelerazione di ioni H − e
D− situato presso il Laboratorio Energia Nucleare Applicata (L.E.N.A.) dell’Università degli Studi di Pavia. Fondato nel 1965, e facente parte del Centro Servizi
Interdipartimentale (C.S.I.) dell’Ateneo, il L.E.N.A. nacque con l’obiettivo di consentire l’utilizzo di apparecchiature sperimentali non solo al personale docente e
ricercatore dell’Università, ma anche a utenti pubblici e privati, per scopi didattici
e di ricerca.
Tra gli strumenti messi a disposizione c’è il reattore nucleare TRIGA (Training
Research Isotopes General Atomics) MARK II da 250 kW, destinato alla ricerca
in particolare nel campo dell’analisi per attivazione neutronica di materiali, e il
ciclotrone IBA Cyclone 18/9, installato in un bunker sotterraneo all’interno di una
struttura indipendente dagli edifici circostanti e posto alla distanza di almeno 30
m da ogni altro insediamento civile.
Inaugurato il 9 luglio 2007, il ciclotrone del L.E.N.A. si pone come attività principale la produzione e il confezionamento di radioisotopi beta emettitori (18 F e 13 N)
destinati all’impiego in strutture sanitarie e ospedaliere, nell’ambito della diagnostica per immagini con la PET. Il radioisotopo, prodotto con il ciclotrone viene
poi trasferito e confezionato all’interno di una cella di manipolazione collocata nel
laboratorio di radiochimica per poi essere successivamente trasportato nei laboratori radiofarmaceutici per la sintesi del radiofarmaco, ovvero di una molecola che
svolge la funzione di tracciante una volta assimilata da una struttura biologica.
Il ciclotrone si presta quindi ad assumere la funzione di produttore e fornitore di
radioisotopi per la PET installata presso il Policlinico S.Matteo, che dista dalla
struttura di produzione circa 200 m. Esiste un progetto di collegamento pneumatico tra l’area del ciclotrone e la radiofarmacia della struttura ospedaliera: questa
soluzione consentirebbe una riduzione drastica dei tempi di trasporto e una minore
esposizione per gli operatori addetti al confezionamento e alla consegna. L’installazione del ciclotrone rientra comunque in un progetto a più ampio respiro, che
dovrebbe consentire l’impiego della macchina anche a scopo didattico, per corsi e
19
20
master universitari dedicati agli acceleratori di particelle e per studi di radiobiologia. Il ciclotrone è infatti predisposto per l’installazione di due linee di estrazione
di fasci secondari, sfruttabili per lo studio dell’interazione dei protoni/deutoni con
il tessuto biologico e, a scopo di ricerca, su target liquidi e solidi.
2.1.1
Descrizione dell’impianto
La struttura destinata ad ospitare il ciclotrone e a soddisfare le necessità legate
alla produzione di radioisotopi può essere suddivisa in quattro aree
• il bunker (in cui è posizionato il ciclotrone)
• la sala controllo
• il laboratorio per il confezionamento dei radioisotopi
• ulteriori locali tecnici
All’intera struttura si può accedere solo con un badge, in dotazione agli operatori, che consente anche l’accesso alla sala di controllo e al laboratorio di
radiochimica.
L’impianto si articola su tre piani, in comunicazione tramite una scala. Al
bunker del ciclotrone, alla sala controllo, al laboratorio di confezionamento e al
locale per la decontaminazione si accede dal corridoio principale. Il locale tecnico
posto al piano superiore e vi si accede attraverso un cancelletto interno che, in
condizioni di irraggiamento, impedisce agli operatori l’accesso alla sala stessa e che
in caso di effrazione spegnerebbe il fascio.
Al piano inferiore si trovano il bunker e la sala controllo. Quest’ultima si articola
a sua volta in due aree, una adibita all’alloggiamento del sistema di accensione e
della radiofrequenza, i generatori di tensione per gli elettrodi ed un’altra in cui
sono collocate le consolle per il monitoraggio del ciclotrone, da cui gli operatori
seguono le fasi dell’irraggiamento. L’apertura dell’accesso al bunker del ciclotrone
impedisce l’accensione del fascio: un dispositivo di sicurezza termina l’irraggiamento automaticamente in caso di apertura, anche di emergenza.
La saletta di decontaminazione, adiacente al laboratorio di radiochimica, è collocata al piano intermedio. Essa mette a disposizione un lavandino ed una doccia i cui
scarichi vengono immagazzinati in una vasca di raccolta, che consenta il decadimento completo degli elementi attivati prima dello svuotamento autorizzato solo
dopo un campionamento e l’analisi mediante spettrometria.
Nel laboratorio di radiochimica vengono invece trasferiti i radioisotopi prodotti,
tramite capillari passanti fra le pareti che convogliano il prodotto in fiale (vials)
adatte al contenimento del radionuclide. Il locale è adibito alle sole operazioni di
• misurazione dell’attività del radioisotopo prodotto.
• spostamento della vial tramite un sistema di trasferimento che trasferisca
la vial contenente il radioisotopo in un contenitore schermato in piombo
adeguato al trasporto del radionuclide.
2. Il Ciclotrone del L.E.N.A.
21
• chiusura del recipiente e sigillamento per successivo trasferimento nelle strutture che ne facciano richiesta.
L’alloggiamento della cella è schermato da uno strato in piombo spesso circa 75
mm e da due ante in piombo che, in aggiunta ad uno schermo di plexiglas, separano l’ambiente esterno dall’interno della cella. La manipolazione delle vials avviene
tramite delle telepinze e un monitor collegato ad una telecamera interna, che consente la visualizzazione del processo di confezionamento ad ante chiuse.
Le celle sono inoltre dotate di un sistema di ventilazione filtrato, che impedisce la
dispersione di vapori radioattivi nel locale. In caso di superamento della soglia di
radioattività preimpostata (ad esempio nel caso di rottura di una vials) il sistema
di ventilazione si interrompe fino al completo decadimento dei prodotti radioattivi
all’interno della cella impedendo il rilascio in ambiente.
2.1.2
Condizioni di sicurezza
L’intero impianto è sottoposto ad una lieve depressione (che varia dai 100 Pa, misurati nel bunker del ciclotrone, ai 25 Pa nel locale di decontaminazione), necessaria
a garantire il confinamento di eventuale gas attivato all’interno del bunker stesso. L’attivazione dell’aria è causata dal campo neutronico prodotto dalle reazioni
nucleari in fase di irraggiamento (gli elementi più facilmente attivabili sono l’14 N,
l’16 O e l’40 Ar): in condizioni normali per gli operatori il problema è praticamente
trascurabile, a patto di lasciar trascorrere un intervallo di tempo adeguato necessario al decadimento dei prodotti attivati e a far entrare in funzione l’impianto di
ventilazione a grande portata prima di accedere al bunker. Prima di accedere al
bunker è tuttavia necessario attendere almeno 6 ore, per consentire la dispersione
di gas radioattivo in atmosfera nel rispetto dei limiti imposti dalla legge. In condizioni normali cautelativamente l’impianto di ventilazione a grande portata può
essere avviato solo dopo 6 ore dallo spegnimento del fascio. L’attività residua in
queste condizioni si attesta intorno alle poche decine di bequerel.
Solo in caso di incidente e durante la fase di irraggiamento il sistema di ventilazione
chiude tutte le saracinesche, fornendo un debole ricambio di aria per garantire una
depressione che impedisca comunque la fuoriuscita di effluenti aereiformi radioattivi.
Le schermature di calcestruzzo, necessarie per garantire l’incolumità del personale, garantiscono agli operatori in tutti i locali dell’area una dose inferiore a 0.50
mSv/anno, valore calcolato in base al tempo di occupazione stimato di ogni area.
Tali schermature hanno il compito di attenuare il campo di radiazione gamma e
di neutroni prodotti durante l’attività del ciclotrone. In particolare, il calcolo di
tutte le schermature viene effettuato in base alla reazione nucleare
18
O(p,n)18 F
che è anche quella più intensamente sfruttata.
In tabella sono riportati gli spessori delle pareti del bunker e dei locali circostanti:
22
Corridoio antistante la porta di ingresso
Sala controllo
Pareti esterne
Soffitto
Pavimento
200 cm
210 cm
180 cm
150 cm
50 cm
Uno spessore di 204 cm per le pareti del bunker è sufficiente per garantire agli
operatori l’esposizione ad una dose non superiore agli 0.5 µSv/h.
Per non interrompere la continuità della schermatura, la porta d’accesso al locale
del ciclotrone è costruita in modo da sovrapporsi allo stipite, per evitare fughe
di radiazioni dall’intercapedine tra il muro e la porta stessa. Essa è formata da
una cassaforma in acciaio, all’interno della quale è stata versata una colata di
calcestruzzo. Montata su un sistema di ruote metalliche, essa può scorrere trasversalmente, ed essere aperta in caso di emergenza sia dall’esterno che dall’interno del
bunker. Perché essa possa essere chiusa, è necessario premere in sequenza quattro pulsanti, disposti su ciascuna parete perimetrale del bunker, e successivamente
procedere alla chiusura con un pulsante esterno. La procedura obbliga gli operatori
a spostarsi intorno alla macchina, assicurandosi che nessuno rimanga all’interno
del bunker prima dell’attivazione del fascio.
In realtà la chiusura della porta di accesso al bunker del ciclotrone è solo uno
dei requisiti di sicurezza che consentono l’accensione del fascio. Le condizioni che
permettono l’accensione del ciclotrone (magneti, radiofrequenza, fascio) sono:
• chiusura della porta di accesso del ciclotrone
• funzionamento degli interruttori di emergenza
• valore regolare della radioattività al camino
• funzionamento del sistema di ventilazione
• funzionamento del sistema di antincendio
Se una sola delle condizioni non è verificata, non si può dare avvio al processo di
accelerazione delle particelle.
2.2
2.2.1
Il ciclotrone IBA Cyclone 18/9
Caratteristiche della macchina
La tabella che segue riporta le principali caratteristiche del Cyclone 18/9
2. Il Ciclotrone del L.E.N.A.
23
Peso
25 tonnellate
Dimensioni (diametro × altezza) 2 × 2.2 m
Campo magnetico medio
1.35 T
Potenza assorbita dagli
< 15 kW
elettromagneti
Potenza massima assorbita
< 45 kW
(durante l’irraggiamento)
Numero porte per i target
Corrente massima garantita
al target
2.2.2
8
40 µA per i deutoni
100 µA per i protoni
Caratteristiche del fascio
Il ciclotrone IBA Cyclone 18/9 accelera ioni negativi di idrogeno e deuterio (H − e
D− ), dando luogo a reazioni (p,n), (p,α) e (d,n), necessarie per produrre radioisotopi quali ad esempio 18 F, 11 C, 13 N e 15 O.
L’uso di ioni negativi facilita notevolmente l’estrazione del fascio: le particelle
vengono deviate contro un bersaglio sfruttando semplicemente un sottile foglio di
grafite (stripping foil ), che trasforma gli ioni negativi in cariche positive, strappando i due elettroni ad H − e D− .
Per contro, il livello di vuoto nella camera di accelerazione deve essere più alto
rispetto a quello creato in ciclotroni a ioni positivi, per evitare interazioni elettroniche con eventuali molecole di gas residue nella camera di accelerazione. Essendo
fisso il raggio di estrazione del fascio e il campo magnetico ed essendo il momento
lineare massimo pmax raggiungibile dalle particelle, dato dalla relazione (1.6)
pmax = qBRmax
è possibile calcolare l’energia di estrazione di protoni e deutoni:
Ep =
p2max
2mp
Ed '
p2max
2 × 2mp
(2.1)
La massa del deutone, essendo pari (circa) al doppio di quella del protone, dimezza l’energia disponibile per l’estrazione dei nuclei di deuterio. Il Cyclone 18/9 in
effetti garantisce una energia di estrazione di 18 MeV per i protoni e di 9 MeV per
i deutoni.
In Figura (3.4), (3.6), (3.8) sono riportati gli andamenti della sezione d’urto delle
reazioni 18 O(p,n)18 F, 16 O(p, α)13 N e 14 N(p, α)11 C.
Le risonanze più marcate caratterizzano solo l’intervallo tra i 5 e i 10 MeV (a
18 MeV la sezione d’urto è di 40.3 mb, mentre a 5 MeV il valore sperimentale è di
500 mb). Tuttavia, a parità di corrente, fasci ad alta energia garantiscono una resa
maggiore e quindi attività molto più elevate a fine irraggiamento, requisito necessario per la produzione su larga scala e per l’esportazione del prodotto. In Figura
2.1 è riportato l’andamento dello yield (resa) espresso in GBq/C della reazione
18
O(p,n)18 F in funzione dell’energia del proiettile.
24
Figura 2.1: Yield del 18 F calcolato a partire dai valori sperimentali della sezione d’urto
[7].
L’energia del fascio va naturalmente rapportata alla struttura dei target: in
condizioni ottimali essa dovrebbe essere rilasciata interamente sul bersaglio, minimizzando eventuali perdite di corrente. Pertanto, la penetrazione delle particelle
dovrebbe essere tale da rilasciare la massima energia in prossimità del centro del
target.
E’ stata eseguita una simulazione con il software SRIM 2008, per studiare le traiettorie di un fascio di protoni da 18 MeV su un bersaglio di H218 O. Quest’ultimo è
stato realizzato sovrapponendo uno strato di Havar da 65 µm e uno strato di H218 O,
che simulano rispettivamente le finestre del target esposte al fascio e il volume irraggiato (lo strato di elio gassoso fra gli spessori di havar per il raffreddamento
delle finestre è stato trascurato).
In Figura 2.2 è riportata la curva di Bragg per protoni in acqua arricchita,
mentre in Figura 2.3 sono state riportate le proiezioni longitudinali e trasversali
delle traiettorie seguite dai protoni (dispersione del fascio).
Nelle simulazioni il range delle particelle non supera mai i 10 mm in profondità,
distanza che dovrebbe coincidere con il centro del target. Dalla proiezione trasversale delle traiettorie emerge inoltre che la maggioranza delle particelle tipicamente
non hanno un range superiore al cm. Il volume effettivamente irraggiato pertanto
non coincide con il volume totale, ma con una porzione di esso che varia tra il
70% e il 90% di esso. Se dunque la qualità di un irraggiamento dipende dall’attività indotta nel target, e quindi dal numero di atomi coinvolti nella reazione, in
fase di progettazione è l’energia degli ioni che determina le dimensioni e la forma
del bersaglio. Una riduzione della dispersione delle particelle e quindi una buona
performance di produzione tuttavia può essere ottenuta soltanto con una buona
2. Il Ciclotrone del L.E.N.A.
25
Figura 2.2: Curva di Bragg di un fascio di 105 protoni con una energia di 18 MeV in
un target di H218 O, ottenuta con SRIM 2008 [23].
focalizzazione del fascio che viene ricercata dagli operatori del ciclotrone durante
l’accensione.
2.2.3
Il sistema di iniezione degli ioni
L’iniezione degli ioni rappresenta un momento estremamente delicato nel complesso processo di bombardamento. La sorgente di ioni deve iniettare H − in modo da
minimizzare le oscillazioni del fascio e quindi la componente verticale della velocità
delle particelle, che potrebbe contribuire a disperderle contro i poli del magnete.
Gli ioni devono essere deposti nella zona centrale del piano mediano, in modo da
sfruttare al meglio la superficie di accelerazione. Inoltre, la sorgente deve essere
configurata in modo da poter generare rapidamente H − o D− a seconda delle esigenze di irraggiamento.
Il Cyclone 18/9 è predisposto con due sorgenti di ioni (ion sources), collocate ortogonalmente rispetto al piano di accelerazione degli ioni, e fissate all’interno delle
due “valli” sprovviste degli elettrodi di accelerazione. Le sorgenti sono dedicate
all’iniezione rispettivamente di idrogeno (H2 ) o deuterio (D2 ). Il gas riempie lo
spazio compreso tra i due catodi, fra i quali si crea un arco elettrico che può arrivare ai 500 mA. La scarica elettrica tra i catodi spezza i legami tra le molecole,
generando tre diverse popolazioni di ioni, tra cui gli ioni negativi H − , che estratti dal particolare campo elettrico generato in prossimità della sorgente stessa,
fuoriescono da una fessura (slit). Una volta immessi fra le espansioni polari del
magnete, avviene il processo di accelerazione.
Il fatto che le sorgenti di H − e D− siano distinte riduce il tempo necessario per
passare da un fascio di deutoni ad uno di protoni, non essendo necessario eliminare
26
Figura 2.3: Vista longitudinale e trasversale di un fascio di protoni da 18 MeV su un
target di H218 O. Il bersaglio è stato costruito sovrapponendo prima uno strato di Havar
di 65 µm e poi uno di H218 O.
il gas residuo nella sorgente.
Prima di effettuare l’irraggiamento, tipicamente si procede alla misurazione dei
parametri del fascio (ad es. corrente) attraverso un dispositivo (popup), collocato
in prossimità della sorgente, che intercetta il fascio prima che esso raggiunga il
2. Il Ciclotrone del L.E.N.A.
27
Figura 2.4: A sinistra: Immagine di un particolare della sorgente di ioni del IBA Cyclone
18/9. A destra: Schema semplificato del processo di formazione degli ioni all’interno della
sorgente (Rielaborazione da [10]).
sistema di estrazione. La sua funzione è di monitorare la corrente effettivamente
erogata dalla sorgente, consentendo cosı̀, ad esempio, di verificare indirettamente
anche lo stato dei catodi. Naturalmente l’intensità della corrente, controllata dagli
operatori, viene regolata a seconda della reazione desiderata e del tipo di target.
Essendo la produzione di radioisotopi limitata per ora a 13 N e 18 F, che richiedono
rispettivamente reazioni di tipo (p, α) e (p, n), a Pavia la sorgente di deuterio non
viene al momento utilizzata.
2.2.4
La struttura del campo magnetico
La conformazione del campo magnetico e il posizionamento delle dees sono aspetti
fondamentali nella progettazione di un ciclotrone in quanto consentono la focalizzazione del fascio (determinandone la forma e quindi l’intensita`), possono ridurre
la dispersione degli ioni e minimizzare effetti indesiderati come le perdite di corrente dovute, ad esempio, a capacità parassite tra le dees.
Inoltre poiché i ciclotroni “compatti” trovano naturale applicazione negli ospedali,
è fondamentale che il ciclotrone abbia un campo magnetico esterno poco intenso,
per non interferire con apparecchiature quali scanner per risonanze magnetiche,
tubi catodici, ecc. Il profilo di intensità del campo magnetico esterno del Cyclone
18/9 non ha simmetria sferica, ma garantisce valori inferiori ai 5 Gauss oltre il
metro di distanza sul piano di accelerazione (che, per scelta del costruttore è orizzontale).
28
Lo studio della distanza fra le espansioni polari è un punto importante nella
costruzione di un ciclotrone e spesso è il risultato di un compresso tra due condizioni estreme.
Un piccolo gap comporta
• possibili accoppiamenti capacitivi tra le dees e il poli (e quindi maggiore
consumo energetico in fase di accelerazione);
• un basso numero di spire (a parità di intensità del campo magnetico);
• raggio delle espansioni polari ridotto;
Un grande gap comporta:
• spazio per il posizionamento di sottosistemi
• semplice pompaggio per creazione del vuoto
• campi magnetici relativamente bassi
Il compromesso è stato risolto da IBA con il sistema “Deep Valley”, creando nel
Cyclone 18/9 quattro settori e quattro valli, con un gap di 3 e 120 cm rispettivamente dall’espansione polare superiore. Le quattro valli ospitano i sottosistemi: le
dees (aventi una ampiezza di 30◦ ), i flap (inserti mobili che consentono di variare
radialmente l’intensità del campo magnetico) e le sorgenti di ioni. Questo consente
di ottimizzare lo spazio disponibile, evitando di aumentare la distanza tra i poli
per alloggiare gli elettrodi e riducendo anche i consumi energetici (le bobine assorbono una potenza inferiore a 15 kW). Questa strategia consente di ottenere anche
basse impedenze capacitive, forti gradienti di campo magnetico e quindi una buona
focalizzazione del fascio. Nella tabella seguente sono riportati i valori effettivi del
campo magnetico:
Campo sotto i settori
Campo nelle valli
Campo medio
1.90 T
0.35 T
1.30 T
Ridurre la potenza assorbita significa ridurre anche la dissipazione termica, e
quindi le esigenze sul sistema di raffreddamento. Inoltre il fatto che tali strutture
siano ribassate rispetto al piano dell’orbita, dovrebbe conferire alle componenti
una maggior stabilità meccanica e protezione da evenutali dispersioni di particelle
durante l’accelerazione.
2. Il Ciclotrone del L.E.N.A.
29
Figura 2.5: Intensità del campo magnetico in un Cyclone 18/9: l’immagine di sinistra
riporta il campo sperimentato da un protone, quella di destra il campo sperimentato
da un deutone. Nel secondo caso i flap vengono sfruttati per incrementare la variazione
radiale del campo magnetico, conservando l’isocronismo nonostante raddoppi la massa
delle particelle accelerate (Rielaborazione da [9]).
2.2.5
Il sistema di radiofrequenza
Il campo elettrico generato dalle dees e pilotato da un sistema a radiofrequenza,
estrae gli ioni dalla sorgente e li accelera prima che colpiscano i bersagli. Il campo
elettrico viene prodotto da un cristallo in un generatore da 32 kW, accoppiato
induttivamente alla cavità risonante del ciclotrone, che produce un campo oscillante
ad una frequenza di circa 42 MHz, fissa per i deutoni e per i protoni.
La polarità delle dees, collocate in due settori opposti, ma saldate fra loro, oscilla
in fase. Questo fa sı̀ che l’accelerazione avvenga solo sulla seconda (per i protoni)
e sulla quarta (per i deutoni) armonica.
La gestione della radiofrequenza è gestita da un operatore tramite un dispositivo
di controllo (rack ) o automaticamente dal computer.
2.2.6
Il sistema di vuoto
Affinché possa essere accelerato con facilità un fascio di particelle, è necessario
minimizzare il numero delle molecole residue nella cavità di accelerazione, la cui
presenza è causa di indesiderate perturbazioni alle traiettorie e fenomeni di scattering, che oltre a causare la diminuzione dell’intensità del fascio possono attivare
le componenti della macchina. Per questo motivo è richiesta una pressione massima di 10−6 mbar all’interno della cavità in cui vengono accelerate le particelle.
Lo “svuotamento” della camera di accelerazione è un processo che dura circa due
ore, per mezzo di quattro pompe a vuoto collegate alla cavità di accelerazione del
ciclotrone e monitorate dall’operatore mediante il software di gestione.
30
2.2.7
Il sistema di raffreddamento
Il sistema di raffreddamento asporta il calore prodotto:
• dal ciclotrone
• dal sistema di alimentazione
• dal sistema dei bersagli
L’acqua viene fatta circolare attraverso i condotti di raffreddamento della macchina da una pompa e successivamente attraverso uno scambiatore di calore. Essa
è poi incanalata verso una colonna di deionizzazione, che riduce la presenza di
ioni e quindi rischi di correnti parassite tra le componenti della macchina, nonché
l’attivazione dell’acqua stessa.
Il sistema di raffredamento è sotto il controllo dell’operatore per mezzo di un terminale e tramite un controller nella “Power supply room”, che consente di impostare
la temperatura di riferimento e mantenerla entro livelli prefissati.
Un interruzione di acqua fredda o una conducibilità dell’acqua troppo elevata
vengono immediatamente segnalati, prima dell’interruzione dell’irraggiamento.
2.2.8
L’estrazione del fascio
Quando il fascio raggiunge il raggio di estrazione deve essere deviato contro il
bersaglio desiderato. Nei ciclotroni a ioni negativi il sistema di estrazione si compone essenzialmente di due parti: lo stripper ed il collimatore. Il fascio di ioni
negativi incide su uno stripper, una lamina in carbonio spessa 2 µm che strappa
i due elettroni da H − e D− , invertendo il segno delle cariche delle particelle del
fascio e consentendo al campo magnetico di guidare i protoni o i deutoni contro
il target. La sezione del fascio che raggiunge il bersaglio, e quindi la corrente,
variano invece a seconda del numero e della posizione delle particelle trasmesse dal
collimatore (Figura 2.7).
La posizione del fascio può essere modificata variando l’intensità del campo magnetico: questo consente di variare la corrente I incidente sugli stripper, che può
assumere pertanto valori molto diversi da quelli registrati dalla sonda popup in
fase di iniezione. In particolare si definisce efficenza di trasmissione R il rapporto
Istripper
R=
Ipopup
Supponendo che gli ioni ruotino in senso orario, una volta privati degli elettroni,
essi vengono accelerati in senso antiorario da una forza di uguale intensità e portate
su una traiettoria speculare a quella precendente, lasciando la zona occupata dal
campo magnetico.
Sul Cyclone 18/9 una coppia di stripping foils è posizionata su 8 caroselli rotanti
(uno per ogni target), che intercettano il fascio prima che colpisca il bersaglio. Si
definisce efficienza di estrazione F il rapporto:
Itarget
F =
Istripper
2. Il Ciclotrone del L.E.N.A.
31
Figura 2.6: Sistema di estrazione del fascio attraverso il carosello di stripping foils. In
pianta sono indicate anche le due dees, la sorgente di ioni, i flap (insert), il beam scrubber
e le posizioni dei target (Rielaborazione da [14]).
In un irraggiamento tipico per la produzione di 13 N, l’efficienza di trasmissione è
stata registrata intorno al 58%, mentre l’efficienza di estrazione intorno al 75% per
13
N e a 90% per 18 F. Le correnti di ioni massime garantite sul bersaglio sono di
100 µA per i protoni e 40 µA per i deutoni.
La semplicità del sistema e l’efficienza di estrazione (circa il 100% degli ioni trasmessi dal collimatore colpisce il target) vanno tuttavia a discapito del calore dissipato
dalle componenti (che a causa delle alte temperature sono soggette ad una rapida
usura), con la parziale riflessione del raggio (e quindi con una diminuzione della corrente) e con la possibile attivazione dei pezzi che compongono il sistema di
estrazione.
2.2.9
Il sistema Dual-Beam
Quando il ciclotrone è impiegato per la produzione di radionuclidi per la PET, soprattutto se destinati a Centri PET distanti dal Centro di produzione, è necessario
confezionare volumi di prodotto che mantengano un livello di attività tale da poter
essere sfruttato per qualche ora.
Poiché l’attività indotta in un target satura nel tempo secondo la legge (1.24), se
dopo T1/2 essa raggiunge il valore A(T1/2 ) = 1/2Asat , trascorso un tempo pari a
due emivite l’attività del radionuclide sarà pari a A(2T1/2 ) ' 0.75 × Asat . In effetti,
solo dopo 5-6 emivite il radioisotopo raggiungerà (asintoticamente) il valore Asat .
32
Volume target
1 ml a 22 µA
1 ml a 22 µA
Attività (EOB*)
1600 mCi (59.2 GBq)
2600 mCi (96.2 GBq)
Durata irraggiamento
T = 60 minuti
T = 120 minuti
*End of Beam
Nella pratica, per ottenere elevati livelli di attività, non è conveniente effettuare un irraggiamento di durata superiore al tempo di dimezzamento del nuclide,
in quanto dopo un intervallo pari a T1/2 l’attività indotta per unità di tempo
diminuisce rapidamente. Il sistema Dual-Beam, presente sul Cyclone 18/9, consente ai sistemi di estrazione di intercettare il fascio in proporzione variabile (dal
10 al 90 %). Questo consentirebbe di irraggiare due target di uguale volume simultaneamente, in modo da raggiungere, nello stesso intervallo di tempo, un livello
di attività doppio rispetto a quello di una produzione singola. In realtà si ha una
diminuzione del 10% dello yield: questo perché in modalità dual beam il fascio
perde la sua focalizzazione. La sezione del fascio estratto dipende infatti anche
dallo stadio di accelerazione delle particelle: il fatto che le particelle vengano intercettate e parzialmente trasmesse, oltre a dar luogo ad una riflessione parziale
del fascio e potenziali oscillazioni, genera una differenza di fase fra le particelle estratte sul primo e sul secondo target. Ne consegue una deformazione della sezione
incidente e dunque una defocalizzazione del fascio.
I volumi irraggiati e la corrente incidente su ciascuno di essi in dual beam restano
uguali a quelli usati in produzione singola, pertanto la corrente trasportata dal fascio deve raddoppiare: questo consente anche di raddoppiare il volume del liquido
irraggiato, senza alterare la quantità di calore dissipato da ciascun bersaglio.
2.2.10
I target
La scelta di IBA è stata quella di produrre ciclotroni aventi un piano di accelerazione orizzontale: questo permette di distribuire i bersagli lungo il perimetro del
ciclotrone, consentendo all’operatore in fase di manutenzione di lavorare separatamente su ciascuno di essi e riducendo cosı̀ l’esposizione dovuta alla presenza degli
altri target attivati dai precedenti irraggiamenti, schermati dalla struttura stessa
della macchina.
Le porte su cui montare differenti bersagli a seconda del volume e della reazione
desiderata sono otto. Il materiale di cui è formato il corpo del target, lo spessore
della finestra esposta al fascio, il volume irraggiato e le dimensioni esterne variano
a seconda del radioisotopo che si desidera produrre. Per uno stesso radioisotopo
in particolare, vengono forniti target di diverse capacità, a seconda delle necessità
di produzione (un centro PET produce un volume di radionuclidi nettamente superiore ad un centro di ricerca, a causa dell’elevata richiesta per usi interni o per
l’esportazione).
Le case costruttrici di ciclotroni quindi forniscono target con caratteristiche profondamente differenti che, oltre ad adeguarsi alle specifiche tecniche dei ciclotroni
2. Il Ciclotrone del L.E.N.A.
33
utilizzati (dimensioni, energia del fascio ecc.), devono tenere conto delle esigenze
dell’utente finale.
Un target consiste sostanzialmente di una struttura metallica di forma cilindrica
alloggiata in una delle “porte” della macchina, ed esposta all’estremità in contatto
con il ciclotrone al fascio di ioni positivi. Esso è costruito per resistere alle elevate
pressioni che si sviluppano in fase di irraggiamento nel corpo del target, legate
all’innalzamento di temperatura causato dagli urti con le particelle del fascio.
Gli ioni positivi attraversano due finestre, in alluminio o Havar (una lega formata
da nichel, cobalto, titanio, tungsteno, alluminio e cromo), che isolano il corpo del
target dalla cavità a vuoto, e da uno strato di elio tra le due finestre per consentire
il raffreddamento. Le finestre di Havar hanno uno spessore variabile a seconda del
volume target e della corrente di fascio utilizzata. L’elio circola anche all’interno
di un circuito separato e a fine irraggiamento “spinge” il radioisotopo prodotto
attraverso i capillari diretti alla cella di radiochimica.
L’involucro interno del target che contiene il volume di H2 18 O può essere realizzato
in leghe o metalli differenti. Questi sono Argento, Titanio o Niobio (puri al 99.9%)
per i bersagli destinati alla produzione di Fluoro. L’Argento assicura una resa più
elevata del Titanio, 5 Ci (185 GBq) anziché 4 (148 GBq) dopo due ore di irraggiamento, mentre il Niobio, a parità di prestazioni con l’Argento, contrariamente
a quest’ultimo non rilascia particolato nel corpo del bersaglio.
I bersagli attualmente utilizzati, quelli in dotazione presso il ciclotrone di Pavia
per la produzione di 18 F sono due
Volume irraggiato
Corrente al bersaglio
Resa alla saturazione
Attività prodotta
Tempo di irraggiamento
Per la produzione di
13
Volume piccolo
Volume Grande
500 µl
1840 µl
15 µA
37.5 µA
194 mCi/µA (7.2 GBq/µA) 232 mCi/µA (8.6 GBq/µA)
900 mCi (33.3 GBq)
4.82 Ci (178 GBq)
60 min
128 min
N si sfrutta invece un target in alluminio
Volume irraggiato
Corrente al bersaglio
Attività prodotta
Tempo di irraggiamento
1.6 ml
20 µA
300 mCi (11 GBq)
10 min
34
Figura 2.7: Struttura di un bersaglio IBA: in verde e in giallo sono riportate le componenti del collimatore (Estratto da: IBA - System Description Manual; Cyclone 18/9
H16 881273002-F1, December-2007, Pavia)
Capitolo 3
Scenari di impiego in campo
sanitario
In un’ottica di impiego dei radionuclidi in ambito sanitario, finalizzato alla diagnostica per immagini, la produzione del radioisotopo rappresenta il primo passo
di un processo che prosegue con la sintesi del radiofarmaco, i controlli di qualità
e che termina con la somministrazione del radiofarmaco al paziente e la scansione
di quest’ultimo tramite PET (Positron Emission Tomography).
3.1
3.1.1
La realtà ospedaliera di Brescia
Il Centro
Agli Spedali Civili di Brescia esiste un Centro avviato da tre anni ma ancora in
evoluzione, in cui lo sfruttamento del ciclotrone è integrato nel contesto dell’azienda
ospedaliera.
Allestito a partire dall’anno 2003 su una superficie di circa 4000 m2 nel contesto del
reparto di Medicina Nucleare, il Centro si pone come obiettivo quello di supportare
il funzionamento di un tomografo PET interno all’Ospedale, e rifornire una serie
di vicini centri PET (Bergamo, Cremona, Vicenza e nelle previsioni Mantova e
Treviglio).
Per il fatto di essere inserito all’interno di una struttura ospedaliera preesistente,
il Centro è stato concepito in modo da poter dialogare nel modo più efficiente
possibile con la medicina nucleare, rispettandone la conformazione e le necessità,
nonostante i vincoli imposti dalle norme di sicurezza.
Il Centro si articola in tre aree interrate distinte ma collegate da un sistema di
corridoi differenziati
• L’Area del Ciclotrone
• L’Area della Radiofarmacia
• L’Area di Diagnostica PET
35
36
Figura 3.1: Scavo per la costruzione del Centro PET. In primo piano il bunker del
ciclotrone, con le pareti in calcestruzzo spesse 2 m.
Ciascuna delle tre zone assolve ad una specifica funzione.
L’Area Ciclotrone si articola in tre locali: la sala di controllo, una sala per l’elettronica (power supply room) e il bunker del ciclotrone vero e proprio circondato da
mura perimetrali in calcestruzzo, dello spessore di circa 2 metri. Ad esso si accede
tramite una porta a cuneo in calcestruzzo che, per la sua conformazione, impedisce
la dispersione di radiazioni e di sostanze attivate.
Nel bunker è collocato un ciclotrone General Electrics PETtrace da 16.5 MeV la
cui operatività viene monitorata remotamente dalla sala controllo, dove è collocata la consolle dei comandi. Il generatore di radiofrequenza e di campo magnetico,
l’impianto di raffreddamento e di gestione del vuoto sono collocati nei locali per
l’elettronica.
Il bunker del ciclotrone si trova in posizione adiacente all’Area della Radiofarmacia
dove viene marcato e confezionato il radiofarmaco. Un sistema di capillari schermati collega i quattro bersagli attualmente in uso del ciclotrone alle celle di sintesi
del radiofarmaco in radiofarmacia. Qui avviene la marcatura del radioisotopo, ossia la trasformazione del nuclide radioattivo prodotto all’interno dei bersagli del
ciclotrone nella molecola chimica di interesse per l’applicazione medica. Successivamente viene confezionata la siringa per la somministrazione del tracciante ai
pazienti in attesa.
Nell’Area della Radiofarmacia principalmente avviene come ricordato la sintesi,
la marcatura e il frazionamento dei radiofarmaci. In quest’area si trova anche il
laboratorio per il controllo qualità, ossia l’area dedicala alla verifica delle caratteristiche finali del radiofarmaco e della sua somministrabilità al paziente.
L’Area di Diagnostica PET copre invece l’area compresa tra il Ciclotrone e la Ra-
3. Scenari di impiego in campo sanitario
37
diofarmacia, ed è accessibile ai pazienti della medicina nucleare. Qui si trovano
due sale per ospitare i tomografi PET. Ciascuna di esse, delimitata da pareti in
calcestruzzo è separata dalla consolle di controllo da un vetro piombato, che consente la supervisione dall’esterno e allo stesso tempo la protezione degli operatori.
Nell’area di diagnostica si trovano anche le sale per la somministrazione del farmaco ai pazienti, che nel periodo di attesa tra l’iniezione dei traccianti e l’esecuzione
della tomografia, vengono fatti sostare in una “sala di attesa calda”.
Figura 3.2: Un particolare della pianta del Centro PET di Brescia: in giallo è evidenziata
l’area Ciclotrone, in verde la Radiofarmacia e in azzurro le sale adibite alla tomografia
PET. Intorno a queste si articola una rete di corridoi e locali per il personale, per il
controllo della qualità e per lo stoccaggio delle sostanze, radioattive e non, prima della
produzione.
3.1.2
Il ciclotrone PETtrace
Il ciclotrone installato a Brescia è un PETTrace da 16.5 MeV isocrono a variazione
azimutale di campo magnetico, prodotto da General Eletrics ed entrato in funzione
nel marzo 2005 dopo un periodo di installazione e verifica durato circa 4-5 mesi.
Essendo una macchina destinata alla produzione in ambiente ospedaliero, esso
accelera ioni(H − e D− ) ad energia fissa. Le caratteristiche generali del ciclotrone
sono
• piano di accelerazione verticale
• campo magnetico conformato in settori spiralizzati (Figura 3.3), e angolo
delle dees pari a 75◦ .
38
• bersagli ravvicinati (attualmente in uso: 2 per la produzione di Fluoro-18,
uno per la produzione di Carbonio-11, ed uno per la produzione di Azoto-13)
• singola sorgente di ioni (attualmente in uso solo per l’accelerazione di H − )
posizionata al centro della camera a vuoto
• accelerazione dei protoni sulla prima armonica e dei deutoni sulla seconda
(∼ 27 MHz)
• carosello di estrazione a 6 foils
• corrente garantita: 80 µA per i protoni, 40 µA per i deutoni
• attività ottenibile dopo 1 ora di irraggiamento (dual beam) di un target da
0.8 ml: 5000 mCi (185 GBq)
Figura 3.3: La forma dei settori è spiralizzata: si può dimostrare che maggiore è l’angolo
tra la tangente al settore e la direzione del raggio, maggiore è la focalizzazione. Tale
effetto aumenta con la distanza dal centro, ove cresce la necessità di focalizzare il fascio
(Rielaborazione da [20], [21]).
L’irraggiamento prevede una fase iniziale di ottimizzazione dei parametri produttivi, la verifica del posizionamento dei caroselli di estrazione, del campo magnetico e della radiofrequenza. Alcuni parametri sono soggetti a modifiche continue
anche durante l’irraggiamento.
In regime di produzione la macchina lavora in modalità dual beam: il fascio è
indirizzato su due bersagli simultaneamente, consentendo il raddoppio della produzione rispetto ad un target singolo per ogni sessione di irraggiamento.
La richiesta di attività, interna ed esterna, e il tipo di radionuclide modulano i
ritmi di produzione: tipicamente si effettuano 2-3 cicli di produzione notturni per
il 18 F e un ciclo per il 11 C in mattinata. Spesso accade che ai precedenti si debba
aggiungere un nuovo ciclo di produzione di 18 F nella tarda mattinata.
3. Scenari di impiego in campo sanitario
39
Ancora oggi sfruttato per meno della metà dei limiti produttivi imposti dalle direttive di impiego, il ciclotrone si presta a supportare possibili prospettive di ampliamento delle strutture adibite alla PET, anche in caso di installazione di nuovi
tomografi all’interno dell’Ospedale stesso.
3.2
3.2.1
La produzione di radioisotopi
I parametri produttivi
In un Centro finalizzato alla produzione per uso interno ed esportazione, l’automatizzazione della produzione è indispensabile per raggiungere quotidianamente gli
obiettivi preposti. La gestione e l’ottimizzazione dei parametri che influenzano la
produzione sono controllati da un software, preconfigurato dagli operatori, che ne
mantiene i valori entro gli intervalli voluti. I parametri che determinano gli aspetti
qualitativi della produzione sono elencati di seguito.
Parametro
Tempo di preparazione
Tensione e corrente tra i catodi della sorgente di ioni
Flusso di gas nella camera a vuoto
Tensione delle dees (1 e 2)
Corrente di bobina (dei magneti)
Corrente sui collimatore
Corrente sui foil
Corrente sul target
Pressione interna nella camera a vuoto
(In fase di irraggiamento)
Pressione del target
Pressione dell’elio di raffreddamento
Tempo di irraggiamento
Tempo di trasferimento alla radiochimica
3.2.2
Valore tipico
∼ 6 minuti
∼ 150-200 mA, ∼ 800-1200 V
5 cm3 /min
∼ 35 kV , ∼ 37.4 kV
443 A
≤ 2.0 µA
∼ 40-44 µA
36-40 µA
∼ 1.2 × 10−5 mbar
∼ 30 bar
∼ 3 bar
∼ 60 − 90 min
∼ 3 min
Fluoro-18
Il 18 F è l’isotopo prodotto con maggiore abbondanza, per il suo largo impiego come
tracciante.
Esso ha un tempo di dimezzamento di 110 minuti e viene prodotto a partire
dalla reazione
18
O(p,n)18 F
bombardando un target in argento raffreddato ad elio liquido ed acqua con un
fascio di protoni da 16.5 MeV. In regime di produzione avviene il bombardamento
simultaneo di due target (in modalità dual beam). La qualità della soluzione di
40
Figura 3.4: Sezione d’urto della reazione
18 O(p,α)18 F.
I punti rappresentano i dati
sperimentali, la linea continua rappresenta il fit suggerito. In verde e in rosso sono
indicate rispettivamente l’energia dei protoni di un GE PETtrace e un IBA Cyclone
18/9 (Rielaborazione da [7]).
H2 18 O usata nei bersagli (arricchimento 18 O > 95%) è indispensabile per evitare
la formazione di azoto radioattivo con la reazione:
16
O(p,α)13 N
La presenza di 13 N interagisce infatti con il processo di sintesi del 18 F in 18 F-FDG.
Figura 3.5: Produzione mensile di
18 F
presso il Centro PET di Brescia (in GBq). I
simboli individuano l’inizio del periodo di fornitura ai centri di Bergamo, Vicenza e
Cremona [21].
3. Scenari di impiego in campo sanitario
3.2.3
41
Carbonio-11
La produzione di 11 C (tempo di dimezzamento di 20.5 minuti) può essere effettuata
irraggiando atomi di Boro mediante le reazioni 11 B(p,n)11 C, 10 B(d,n)11 C, oppure
bombardando atomi di Azoto. In questa sede, verrà trattato solo la reazione sui
bersagli di azoto, che è la più comune ed è sfruttata per la produzione di Carbonio
anche presso il centro PET di Brescia
14
N(p,α)11 C
Circa 50 GBq di 11 C vengono prodotti irraggiando per 20 minuti un target gassoso da 78 ml contente una miscela di N2 e O2 (quest’ultimo presente con una
abbondanza 0.5%). Il carbonio si lega all’ossigeno presente, formando molecole di
e CO2 .
Alla fine del bombardamento la miscela di 11 CO2 viene trasportata direttamente
alla radiofarmacia per essere sintetizzata in 11 C-Cholina.
Figura 3.6: Sezione d’urto della reazione 14 N(p,α)11 C. I punti rappresentano i dati sperimentali, la linea continua rappresenta il fit suggerito. In verde e in rosso sono indicate
l’energia dei protoni con un GE PETtrace e un IBA Cyclone 18/9 (Rielaborazione da
[7]).
3.2.4
Azoto-13
L’Azoto-13 viene prodotto per essere usato nella forma chimica di
niaca), ed ha un tempo di dimezzamento di circa 10 minuti.
Esso generalmente viene prodotto sfruttando la reazione
13
NH3 (ammo-
42
Figura 3.7: Produzione mensile di
11 C
presso il Centro PET di Brescia (la produzione
è iniziata a febbraio 2007) [21].
16
O(p,α)13 N
ma lo stesso radionuclide può essere ottenuto bombardando metano o Al4 C3 con
nuclei di deuterio da 6-7 MeV tramite la reazione 12 C(d,n)13 N, o ancora tramite la
reazione 13 C(p,n)13 N.
Figura 3.8: Sezione d’urto della reazione 16 O(p,α)13 N. I punti rappresentano i dati sperimentali, la linea continua rappresenta il fit suggerito. In verde e in rosso sono indicate
l’energia dei protoni con un GE PETtrace e un IBA Cyclone 18/9 (Rielaborazione da
[7]).
3. Scenari di impiego in campo sanitario
43
Nel caso considerato dalla reazione sull’ossigeno un bersaglio contenente H2 O
viene esposto ad un fascio di protoni per 30 minuti, al termine dei quali si ottengono
circa 8 GBq di 13 N radioattivo.
3.2.5
Target solidi
I ciclotroni sono predisposti a lavorare anche con bersagli solidi, per produrre
reazioni come 124 Te(p,n)124 I, che in un prossimo futuro potranno essere impiegate
per produrre traccianti per tomografia PET, anche se di fatto ancora in fase di
perfezionamento.
I problemi principali nello sfruttamento di questi bersagli (detti anche “non convenzionali”) derivano dalla loro struttura, sensibilmente diversa (per produrre radiometalli quali 110 In o 60 Cu, si irraggiano rispettivamente foils da 50 µm o isotopi
metallici elettrodepositati), e da un differente sistema di raffreddamento.
Questo tipo di irraggiamento è caratterizzato da basse correnti (intorno ai 10 µA)
e da lunghi tempi di bombardamento (fino a 10 ore).
3.3
La sintesi del radiofarmaco
Ad irraggiamento concluso il contenuto del target viene inviato attraverso capillari
alle celle della Radiofarmacia, dove avviene la sintesi del radiofarmaco, successivamente i controlli di qualità e il frazionamento in dose adatte alla somministrazione.
3.3.1
I dispositivi per la sintesi
L’automazione dei processi di sintesi è un aspetto molto importante della sintesi,
in quanto sottrae il personale all’esposizione ai nuclidi (una produzione di fluoro
può raggiungere tranquillamente una attività di 110 GBq) ed ottimizza i processi
stessi nell’ottica di garantire qualità al prodotto finale.
Il modulo, ovvero il dispositivo che effettua la sintesi, è posizionato in celle di piombo aventi uno spessore di circa 70 mm, ed è controllato da un software che, oltre
a regolare gli step del processo, mantiene la pressione, gli intervalli di produzione
e il volume del farmaco prodotto entro i limiti previsti. Ogni modulo possiede un
display grafico, che consente di monitorare il processo, e successivamente stampare
un report per visualizzare le statistiche e l’attività del prodotto.
I moduli di sintesi presenti sono differenziati a seconda del tipo di radiofarmaco
prodotto: quattro sono destinati alla produzione e alla lavorazione di 18 F-FDG, e
due sono dedicati alla lavorazione dell’13 N-Ammonia e del 11 C-Colina. Una cella
è inoltre dedicata al frazionamento remoto ed automatizzato del 18 F-FDG in una
siringa schermata.
44
3.3.2
Impiego del radiofarmaco
Lo stesso radionuclide legato a molecole differenti, o radiofarmaco, presenta una
specifica capacità di interazione con i tessuti organici, e quindi adatto a specifici
impieghi con il tomografo PET. Alcuni esempi di impiego sono
•
18
•
18
F-Fluoruro di Sodio: sintesi di fluorodeossiglucosio e scintigrafia ossea.
F-Fluorodeossiglucosio: Impiegato nello studio del metabolismo nel tessuto
tumorale cerebrale e cardiaco: è il farmaco di maggior impiego attuale.
• 6-18 F-L-Fluorodopa: Studio delle funzioni legate alla produzione della dopamina (neurotrasmettitore) nel tessuto celebrale; diagnosi del morbo di
parkinson, depressione ecc.
•
18
•
13
F-Fluorotimina: Essendo una variante del nucleotide T, incorporato nel
DNA, consente una misura della proliferazione cellulare, e quindi è usata
nella diagnosi in vivo e nella caratterizzazione dei tumori umani.
N-Ammmonia: Studio dell’irrorazione dei tessuti miocardici e cerebrali.
Figura 3.9: Rappresentazione schematica del sistema di trasferimento del radioisotopo
dai target del ciclotrone alla radiochimica [21].
3. Scenari di impiego in campo sanitario
•
11
•
11
C-Colina: Studi del tessuto tumorale alla prostata.
•
11
C-Flumazenil: Caratterizzazione dei neuroricettori negli umani.
•
11
•
11
•
11
45
C-Sodio Acetato: Studio del consumo di ossigeno nel cuore (metabolismo
ossidativo).
C-Metilspiperone: Determinazione della densità di ricettori di dopamina
nei pazienti con disordini neurologici.
C-L-Metionina: Individuazione di diverse tipologie di anomalie legate al
consumo di amminoacidi da parte dell’organismo (trasporto, sintesi proteica
ecc.).
C-Raclopride: Individuazione di disturbi neurologici e psichiatrici (morbo
di Parkinson, schizofrenia ecc).
3.3.3
Controlli di qualità
Un radiofarmaco per poter essere sfruttato nell’uomo deve soddisfare una serie di
test farmaceutici stabiliti dalla normativa.
Ogni lotto di radiofarmaco deve perciò essere inoltre sottoposto a controlli di
qualità che ne assicurino la somministrabilità. Questi controlli consistono principalmente nel verificare la sterilità del farmaco (assenza di batteri o microorganismi
nella preparazione), la pirogenicità, , ovvero l’assenza di proteine e polisaccaridi,
e la tossicità, che può causare alerazioni delle funzioni di un organo e la morte
cellulare.
I test fisico-chimici hanno perciò la funzione di appurare
• l’aspetto del farmaco (torbidità, colore...), controllato visivamente.
• il pH, che dovrebbe attestarsi intorno a 7.4 (sono consentite fluttuazioni,
grazie alla tolleranza del sangue).
• l’isotonicità, ovvero la forza ionica di una soluzione, che può essere modificata
variando la concentrazione di elettroliti.
• la purezza radionuclidica, ossia la presenza solo in traccia di altri nuclidi
radioattivi nel campione
• la purezza chimica, cioè la frazione di radiofarmaco nella forma molecolare
desiderata: la presenza di molecole estranee può causare reazioni indesiderate
nel paziente e ridurre la qualità dell’esame PET.
46
Figura 3.10: Il modulo per il confezionamento delle siringhe e una cella per la sintesi
del radiofarmaco [21].
3.3.4
La siringa
La sintesi termina con il confezionamento del radiofarmaco in una siringa sterile,
che viene automaticamente introdotta in un portasiringa schermato. Quest’ultimo
è un contenitore di forma cilindrica circondato da uno strato di piombo o tungsteno di spessore variabile (dai 5 agli 8 mm), che consente al personale medico la
somministrazione al paziente in condizioni ottimale di sicurezza radiologica.
3. Scenari di impiego in campo sanitario
47
Conclusioni
Dopo essersi affermati come strumenti fondamentali per la ricerca di base, da più
di vent’anni i ciclotroni hanno assunto un ruolo chiave anche nell’ambito della
medicina nucleare. La produzione di radioisotopi per la diagnostica PET tramite
target convenzionali e non, è solo uno dei settori che hanno tratto maggior beneficio
dall’introduzione dei ciclotroni, offrendo interessanti prospettive per il futuro.
In questo scenario Pavia e Brescia confermano di essere due modelli per i nuovi
Centri PET, che nei prossimi anni troveranno larga diffusione in Italia e in Europa.
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W.A. Porter, S.A. Harrison, Software di simulazione SRIM 2008
Ringraziamenti
Questo lavoro è stato realizzato grazie ad una collaborazione tra l’Università degli
Studi di Pavia e gli Spedali Civili di Brescia.
Un mio profondo ringraziamento va dunque al Prof. Piazzoli, per avermi messo in
contatto con l’ambiente del L.E.N.A. e soprattutto per la fiducia che ha dimostrato
in me sostenendo questa iniziativa.
Ringrazio il prof. Feroldi, che mi ha dato l’opportunità di intraprendere questo
lavoro, per il tempo che mi ha dedicato, aiutandomi ad orientare le mie scelte e
trasmettendomi passione ed entusiasmo.
Sono estremamente riconoscente al Dott. Daniele Alloni e al Dott. Michele Prata
per l’attenzione con cui hanno seguito ogni fase del mio lavoro, per la competenza
e la scrupolosità con cui hanno fornito risposte ai miei dubbi e in particolare per
la simpatia con cui mi hanno accolto e seguito in questi mesi.
Un ringraziamento va al Dott. De Agostini per i suoi preziosi suggerimenti, per le
lunghe chiacchierate fatte insieme e per avermi permesso di assistere da vicino alla
realtà di un Centro PET.
Grazie ai miei familiari, senza i quali non sarei mai arrivato fin qui, per non avermi
mai fatto mancare il loro sostegno ed aver condiviso i miei “sfoghi” nei momenti
pi difficili.
Grazie a Margherita per tutto l’affetto che mi ha dimostrato, per avermi incoraggiato e compreso, e per tutti i momenti che abbiamo condiviso insieme durante
questi mesi.
Infine, un ringraziamento a tutti gli altri “compagni di viaggio” che sarebbe troppo
lungo elencare, ma che occupano un posto speciale nei miei ricordi.
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