UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE NATURALI CORSO DI LAUREA IN FISICA USO MEDICALE DEL CICLOTRONE Il ciclotrone al L.E.N.A. e la produzione di radioisotopi presso l’Università degli Studi di Pavia e gli Spedali Civili di Brescia Relazione per la Laurea di Michele Gabusi Relatore Chiar.mo Prof. A. Piazzoli Correlatori D ott. D . Alloni D ott. M. Prata Dipartimento di Fisica Nucleare e Teorica Anno Accademico 2007/08 Indice Prefazione III 1 Introduzione 1 1.1 La situazione tra gli anni Venti e Trenta . . . . . . . . . . . . . . . 1 1.2 Acceleratori risonanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 1.3 Il ciclotrone di Lawrence . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 1.4 Principi di funzionamento del ciclotrone . . . . . . . . . . . . . . . 3 1.4.1 La dinamica della particella accelerata . . . . . . . . . . . . 3 1.4.2 Studio della fase del campo accelerante . . . . . . . . . . . . 5 1.4.3 La focalizzazione del fascio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 1.4.4 Il limite relativistico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 1.5 I sincrociclotroni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 1.6 I ciclotroni isocroni a gradiente alternato . . . . . . . . . . . . . . . 11 1.7 Ciclotroni superconduttori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 1.8 Ciclotroni per la produzione di radioisotopi . . . . . . . . . . . . . . 13 1.9 Il decadimento β . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 1.9.1 Il decadimento β + . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 1.9.2 L’annichilazione del positrone . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 1.9.3 Altri decadimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 1.10 Attività, Attività specifica e Yield . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 2 Il Ciclotrone del L.E.N.A. 2.1 2.2 19 Presentazione e finalità della struttura . . . . . . . . . . . . . . . . 19 2.1.1 Descrizione dell’impianto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 2.1.2 Condizioni di sicurezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 Il ciclotrone IBA Cyclone 18/9 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 2.2.1 Caratteristiche della macchina . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 2.2.2 Caratteristiche del fascio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 I II 2.2.3 Il sistema di iniezione degli ioni . . . . . . . . . . . . . . . . 25 2.2.4 La struttura del campo magnetico . . . . . . . . . . . . . . . 27 2.2.5 Il sistema di radiofrequenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 2.2.6 Il sistema di vuoto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 2.2.7 Il sistema di raffreddamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 2.2.8 L’estrazione del fascio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 2.2.9 Il sistema Dual-Beam . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 2.2.10 I target . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 3 Scenari di impiego in campo sanitario 3.1 3.2 3.3 35 La realtà ospedaliera di Brescia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 3.1.1 Il Centro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 3.1.2 Il ciclotrone PETtrace . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 La produzione di radioisotopi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 3.2.1 I parametri produttivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 3.2.2 Fluoro-18 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 3.2.3 Carbonio-11 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 3.2.4 Azoto-13 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 3.2.5 Target solidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 La sintesi del radiofarmaco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 3.3.1 I dispositivi per la sintesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 3.3.2 Impiego del radiofarmaco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 3.3.3 Controlli di qualità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 3.3.4 La siringa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 Conclusioni 47 Bibliografia 49 Prefazione Il ciclotrone è uno degli strumenti che ha contribuito all’innovazione delle tecniche diagnostiche per immagini in ambito sanitario: mediante l’irraggiamento di bersagli con fasci di particelle accelerate, esso consente di produrre radionuclidi β + -emettitori che, successivamente legati mediante sintesi ad una molecola facilmente assimilabile dall’organismo, permettono di effettuare l’esame diagnostico tramite PET (Positron Emission Tomography). In questo contesto, il ciclotrone installato presso il L.E.N.A. (Laboratorio Energia Nucleare Applicata) rappresenta per l’Università degli Studi di Pavia un potente strumento di ricerca e di supporto ai vicini Centri PET che non siano provvisti di un sistema interno per la produzione di radionuclidi. Esistono anche strutture in cui il ciclotrone è già parte integrante dell’ambiente ospedaliero: il Centro PET degli Spedali Civili di Brescia ne costituisce un esempio. Lo scopo di questo lavoro è quello di offrire una panoramica degli strumenti e delle fasi che caratterizzano la produzione del radioisotopo, con cenni al processo di sintesi del radiofarmaco necessario per l’esame PET. Vengono dunque analizzate le due realtà di Pavia, dove il radioisotopo viene prodotto, e di Brescia, dove esso viene anche sintetizzato e somministrato in forma finale di radiofarmaco prima che il paziente si sottoponga all’esame diagnostico. Nel primo capitolo, dopo una rapida panoramica sull’evoluzione storica degli acceleratori di particelle circolari, si analizzano i principi fisici di base di funzionamento del ciclotrone. Vengono inoltre descritti il meccanismo di decadimento β + (caratteristico dei radioisotopi più comunemente usati nella diagnostica PET) e il processo di annichilazione elettrone-positrone (a seguito del quale si generano i fotoni che consentono la localizzazione delle zone in cui si è concentrato il radiofarmaco). Successivamente vengono fornite le definizioni dei principali parametri fisici che caratterizzano il processo di produzione mediante ciclotrone. Nel secondo capitolo si passano quindi in rassegna le caratteristiche e le prinIII IV cipali modalità di impiego del ciclotrone IBA Cyclone 18/9, in grado di accelerare ioni H− all’energia di 18 MeV. Segue una descrizione della struttura del L.E.N.A. destinata ad ospitare il ciclotrone e dei locali destinati alla preparazione ed al confezionamento dei radionuclidi. Nel terzo capitolo si dà infine una sintetica descrizione della struttura che ospita il Centro PET degli Spedali Civili di Brescia e si fornisce una panoramica delle caratteristiche principali del ciclotrone utilizzato, un GE PETtrace da 16.5 MeV per l’accelerazione di ioni negativi. Dopo una rassegna delle reazioni nucleari sfruttate per produrre il radioisotopo, il Capitolo si conclude con cenni al processo di sintesi del radiofarmaco, illustrandone in particolare le finalità di impiego e i requisiti per la somministrabilità ai pazienti. Capitolo 1 Introduzione 1.1 La situazione tra gli anni Venti e Trenta La corsa alla produzione di macchine in grado di accelerare ioni ad energie superiori al MeV inizia a cavallo tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta, quando l’esigenza di esplorare in profondità la struttura dei nuclei e la radioattività rivelano l’inadeguatezza degli acceleratori operanti a tensioni elettriche inferiori a 1 MV, fino ad allora sfruttati con successo soprattutto a scopo di ricerca o nella produzione di raggi X. In questi anni vengono perfezionati progetti già esistenti come il “moltiplicatore di tensione”, sviluppato nei primi anni Venti e successivamente messo a punto da Cockroft e Walton nel 1932, e vedono la luce i primi generatori elettrostatici come quello di Van de Graaf, in grado di portare cariche elettriche fino a un potenziale di 20 MV. Si trattava tuttavia di dispositivi soggetti a limitazioni consistenti. L’acceleratore di Cockroft e Walton, che ebbe un grande successo per la sua versatilità ed espandibilità, era alimentato a partire da un potenziale alternato, poi raddrizzato da una serie di condensatori in parallelo e diodi, e consentiva di raggiungere tensioni soltanto di poco superiore al MV. Con N condensatori ed N raddrizzatori, si ottenenva una moltiplicazione del potenziale originale pari ad N. Oggi un acceleratore di Cockroft e Walton è conservato al Museo dell’Elettronica presso l’Università di Pavia. L’acceleratore di Van de Graaf era costituito da due condensatori sferici, sulle quali venivano trasportate le cariche mediante una cinghia azionata da un motore, e tra le quali si stabilivano differenze di potenziale nell’ordine del MV. Le limitazioni maggiori erano imposte dall’effetto corona e dalla rottura del dielettrico: la non facile scelta di materiali isolanti che consentissero di prevenire scariche distruttive, aveva conseguenze importanti sulla soldità meccanica e strutturale della macchina. Van de Graaf ebbe comunque il merito di aprire la strada all’impiego degli acceleratori elettrostatici: nel 1958 avrebbe messo a punto anche il Tandem, in grado di accelerare particelle cariche per mezzo di una differenza di potenziale doppia rispetto ai limiti elettrostatici classici. In questo dispositivo gli ioni H2− , venivano inizialmente accelerati verso un elettrodo a potenziale positivo, successivamente 1 2 privati di due elettroni e quindi ulteriormente accelerati da un campo uguale al precedente, ma di segno opposto. Oggi, acceleratori simili vengono ancora impiegati per scopi di ricerca nei laboratori INFN di Legnaro e nei Laboratori Nazionali del Sud. 1.2 Acceleratori risonanti E’ in questo contesto che nel 1925 nasce per la prima volta in Svezia l’idea di costruire un acceleratore lineare a radiofrequenza, il cui progetto fu sostanzialmente l’antenato di tutti gli acceleratori fondati sul principio di risonanza. La macchina, portata a compimento nel 1928 da Wideröe, era costituita da tre cilindri coassiali disgiunti, a ciascuno dei quali era applicato un potenziale ∆V opposto rispetto a quello del tratto adiacente. In questo modo la particella veniva accelerata dal primo cilindro e, durante il tempo di transito all’interno di esso, il potenziale veniva invertito in modo che essa, rimergendo dalla cavità, trovasse nuovamente un campo accelerante. Con basse tensioni, la particella guadagnava progressivamente quantità di energia pari a e∆V ad ogni passaggio tra gli elettrodi. 1.3 Il ciclotrone di Lawrence Fu proprio ispirandosi agli studi di Wideröe che nel 1930 Ernest O. Lawrence (Figura 1.3) concepı̀ l’idea di costruire un acceleratore risonante di ioni che non facesse uso di tensioni elettriche particolarmente elevate. Gli ioni si muovevano Figura 1.1: Ernest O. Lawrence e il suo ciclotrone da 4”. 1. Introduzione 3 lungo traiettorie semicircolari in un campo magnetico (approssimativamente uniforme), attraversando avanti e indietro due elettrodi in risonanza con un campo elettrico oscillante. Dallo studio delle equazioni del moto Lawrence ricavò che la frequenza di rivoluzione νc (frequenza di ciclotrone) di una particella di carica q in un campo magnetico B (supposto costante), di modulo B, era pari a νc = qB 2πm (1.1) ovvero non dipendeva dalla sua velocità, ma soltanto dal campo magnetico applicato (considerando il rapporto q/m costante, effettivamente mantenuto per basse energie della particella, non essendo presenti effetti relativistici). La risonanza era pertanto facilmente realizzabile a patto di sincronizzare la frequenza di ciclotrone con quella del potenziale oscillante. La prima verifica sperimentale del principio di risonanza è documentata all’interno della tesi di dottorato di M.S. Livingstone, datata 14 aprile 1931. Il primo ciclotrone, avente un diametro di soli quattro pollici, disponeva di un potenziale di 2000 V, mentre la frequenza poteva essere variata aggiustando il numero degli avvolgimenti di una induttanza. Come previsto, gli ioni, portati ad una energia di circa 80 keV raccolti in un collettore, davano dei picchi di corrente ben definiti in corrispondenza di alcune ben definite frequenze (Figura 1.2). Cosı̀, pochi mesi dopo che Cockroft e Walton osservarono la prima disintegrazione di un nucleo di Litio usando protoni da 400 keV, Lawrence e Livingston realizzarono le prime disintegrazioni nucleari su diversi target con i nuovi ciclotroni da 1 MeV. Il successo di queste macchine fu dovuto al fatto che, oltre ad accelerare particelle cariche, esse consentivano di ottenere fasci di neutroni ad alta energia sufficientemente intensi per essere impiegati anche in ambito santario. Il primo ciclotrone da 16 MeV per applicazioni mediche fu messo a punto nel 1939 al campus dell’Università della California [1]. Lo stesso anno Lawrence fu insignito del Premio Nobel per la Fisica. 1.4 1.4.1 Principi di funzionamento del ciclotrone La dinamica della particella accelerata In una descrizione semplificata un ciclotrone può essere pensato come un dispositivo in cui un pacchetto di ioni di carica q viene iniettato da una sorgente (si veda il paragrafo 2.2.3) tra due elettrodi metallici cavi chiamati dees , contenuti in una camera ad alto vuoto (< di 10−6 mbar), ai quali è applicato il potenziale oscillante V (Figura 1.3). Questi elettrodi sono a loro volta inseriti fra le espansioni polari di un elettromagnete. Le particelle, attraversando il gap tra gli elettrodi acquistano pertanto una energia cinetica ∆E pari a: ∆E = q∆V (1.2) 4 Figura 1.2: Dal grafico sono evidenti delle risonanze in corrispondenza a ben definiti valori di B, a cui corrispondono, secondo la (1.1), valori ben definiti di νc . Aumentando il campo magnetico varia la frequenza di ciclotrone (1.1), e quindi i massimi della corrente in uscita) [1]. e, a causa del campo magnetico, sono soggetti alla forza di Lorentz r 2q∆V F = qv × B con v= m Tale forza agisce ortogonalmente alla direzione di moto. Pertanto le equazioni del moto m0 (r̈ − rθ˙2 ) = −qrθ̇B0 (1.3) m0 (θ̈ + 2(ṙθ̇)) = q ṙB0 m0 z̈ = 0 (1.4) (1.5) sono quelle di una particella con velocità v, che si muove sul piano x-y lungo una traiettoria circolare di raggio p r= (1.6) qB dove p è il momento lineare della particella. Poiché ad ogni emiciclo le particelle guadagnano una energia fissa ∆E, è facile verificare che in realtà esse si muovono lungo una spirale il cui passo ∆r varia, come ∆r 1 2m ∆E da cui ∝ (1.7) ∆r = √ ∆E r 2EqB 1. Introduzione 5 Figura 1.3: Struttura semplificata di un ciclotrone. Ad ogni attraversamento delle due dees , la radiofrequenza inverte la polarità in modo che gli ioni acquistino nuovamente una energia ∆E. Partendo dall’equazione (1.1), indicata con νrf la frequenza del potenziale oscillante (mantenuta fissa), si trova che la condizione di risonanza è soddisfatta se è verificata νrf = hνc h=1,2,3,... (1.8) dove h è il numero dell’armonica, che ha un ruolo fondamentale nel determinare la geometria interna del ciclotrone. Valori tipici per la frequenza di ciclotrone sono νc = 15.245 MHz/T per i protoni e νc = 27.993 GHz/T per gli elettroni. Quando il pacchetto di particelle raggiunge l’energia voluta, che corrisponde ad un’orbita ben definita di raggio Rest (detto raggio di estrazione), il fascio viene deviato dal sistema di estrazione e inviato contro un bersaglio (nel quale avrà luogo la reazione nucleare desiderata). 1.4.2 Studio della fase del campo accelerante Supponiamo che il ciclotrone sia formato da due dees e due dummy dees (elettrodi a massa) (Figura 1.4). Presa una particella di riferimento, se il ciclotrone lavora sulla prima armonica (Figura 1.5), le due dees lavorano in opposizione di fase (∆φ = π), e la tensione si annulla quando tale particella raggiunge il centro di ciascuna dee. In questo caso, ad ogni ciclo ci possono essere particelle in un solo gap alla volta, e il bunch (pacchetto di particelle) è sfasato di π/4 con il potenziale (ovvero di un angolo pari all’apertura di ciascuna dee). 6 Figura 1.4: Disposizione delle due dees a 90◦ [6]. Lavorando in seconda armonica (Figura 1.6) i due elettrodi oscillano in fase. In questo caso possono essere accelerati due bunch alla volta, e quindi la frequenza del fascio estratto è pari alla radiofrequenza e non c’è sfasamento tra il potenziale e l’angolo azimutale di una particella di riferimento. Infine, in terza armonica (Figura 1.7), poiché può essere accelerato un solo bunch alla volta, la frequenza del fascio estratto è pari ad un terzo della frequenza accelerante. Le dees lavorano in opposizione di fase, e la tensione accelerante è pari a V0 sin(π/4). Indicando con ∆E l’energia guadagnata ad ogni giro, e con qV l’energia della particella all’istante di estrazione, si può facilmente dimostrare che ∆E hθ = 4 sin qV 2 e 1 φottimale = (π − hθ) 2 (1.9) ovvero, il massimo guadagno si può ottenere se il potenziale accelerante si annulla nel mezzo di ciascuna dee. Il fattore quattro davanti al seno è pari al numero di gap di accelerazione. Infine, poiché il bunch di ioni possiede una distribuzione azimutale oltre che radiale, se una particella in fase φ con il potenziale guadagna una energia ∆E1 , una qualsiasi altra particella avente fase φ + φ0 avrà un guadagno di energia ∆E2 6= ∆E1 . In queste condizioni la differenza di fase tra le particelle tende ad aumentare ad ogni accelerazione, provocando uno sparpagliamento radiale del fascio. Per evitare questo fenomeno, è possibile aggiungere una componente di terza armonica (flat topping) al potenziale sinusoidale, in modo da conferire una forma rettangolare alla tensione (Figura 1.8), accelerando con la medesima fase un numero maggiore di particelle. 1. Introduzione 7 Figura 1.5: Fase dell’accelerazione sulla prima armonica [6]. 1.4.3 La focalizzazione del fascio Nel ragionamento teorico fino ad ora esposto non si tiene però conto di una serie di problemi pratici. Anzitutto il fascio non giace realmente sul piano mediano, ma in un inviluppo tridimensionale tra le due dees . Ad ogni ciclo, inoltre, viene iniettato un nuovo bunch di ioni fra gli elettrodi, che, dopo poche rivoluzioni, tende a fondersi con il fascio già parzialmente accelerato, dando origine ad una distribuzione radiale continua di carica. Bisogna inoltre tenere conto che l’intensità del fascio in fase di accelerazione diminuisce progressivamente per la dispersione di ioni contro le pareti delle dees . A maggior ragione, se il campo magnetico fosse effettivamente verticale ed uniforme il fascio non subirebbe deflessione verticale, non sarebbe focalizzato, ed eventuali componenti verticali della velocità disperderebbero gran parte degli ioni da accelerare. La traiettoria delle particelle, soprattutto a bassa energia, infatti è sensibile alle perturbazioni, generate ad esempio dagli urti con eventuali particelle residue nella camera a vuoto o dalle disomogeneità dei campi elettrici, dovute alle capacità parassite presenti in prossimità delle discontinuità tra le dees . Da tutti questi problemi nasce la necessità di focalizzare efficacemente il fascio di particelle. La strategia adottata inizialmente fu allora quella di diminuire l’intensità del campo magnetico lungo la direzione radiale, in modo da sfruttare l’effetto di fringing (Figura 1.9) e usufruire delle componenti verticali della forza di Lorentz. La 8 Figura 1.6: Fase dell’accelerazione sulla seconda armonica [6]. Figura 1.7: fase dell’accelerazione sulla terza armonica [6]. componente verticale del campo veniva fatta decrescere secondo la legge µ Bz = B0 r0 r ¶n µ ' B0 ∆r 1−n r0 ¶ (1.10) dove B0 è il campo a una distanza r0 dal centro e B è il campo al raggio r, e l’approssimazione è resa possibile dal fatto che n < 1. Dalle equazioni di Maxwell risulta che la componente radiale e quella lungo z sono legate dalla relazione ∂Br ∂Bz = ∂r ∂z (1.11) dove Bz = B̂z . Si può dimostrare che sulle particelle accelerate agiscono forze di richiamo sia in 1. Introduzione 9 Figura 1.8: Andamento del potenziale secondo il principio del flat topping e aggiunta della terza armonica [6]. Figura 1.9: L’effetto focalizzante delle linee di campo [1]. direzione assiale che radiale, date rispettivamente da d (mż) = −nmω 2 z dt d (m∆ṙ) = −mω 2 (1 − n)∆r dt (1.12) (1.13) dove ω = v/r0 e ∆r rappresenta l’escursione radiale della particella dall’orbita di equilibrio. Il fascio è dunque soggetto anche a delle oscillazioni libere (oscillazioni di betatrone) intorno a un’orbita di equilibrio. In particolare, se n < 1, la componente centrifuga della forza mv 2 /r e quella centripeta eBz (r)v si bilanciano ad una distanza r0 dal centro, ed hanno un andamento simile a quello mostrato in Figura 1.10. Le oscillazioni di betatrone in genere prendono avvio nelle prime fasi di accelerazione, e sono proporzionali a T −n con 0.25 ≤ n ≤ 0.5. dove con T è indicata l’energia cinetica della particella. 10 Figura 1.10: Andamento della forza centrifuga e della forza centripeta; con Req è indicato il raggio dell’orbita di equilibrio [1]. 1.4.4 Il limite relativistico Secondo una regola empirica [6], il ciclotrone cosı̀ come era stato inizialmente concepito può essere utilizzato fino ad energie pari all’1% della massa a riposo (per i protoni ∼ 10 MeV). Oltre questo limite dovrebbero essere impiegati acceleratori isocroni oppure a radiofrequenze variabili. In effetti le relazioni fino ad ora trovate, relative alla dinamica delle particelle di un fascio, sono state ottenute supponendo trascurabile qualsiasi correzione relativistica della massa e partendo dall’assunzione che νc sia indipendendente dall’energia cinetica acquisita dalla particella. Riscrivendo le equazioni in termini dei parametri γ e β, dati dalle relazioni β= v c 1 γ=p 1 − β2 (1.14) si ottengono le nuove espressioni per il raggio della traiettoria descritta dalla particella e per la frequenza di ciclotrone mγv r= (1.15) qB qB (1.16) νc = 2πmγ Dalle equazioni (1.15) e (1.16) segue che, ad alta energia, la condizione (1.8) diventa νrf = hνc (v) (1.17) Per mantenere valida la condizione di risonanza con un potenziale oscillante a frequenza fissa e ad ogni orbita r, è necessario agire accrescendo l’intensità del campo magnetico che assume una forma del tipo sµ ¶ β2 (1.18) 1+ B(r) = B0 γ(r) ovvero B(r) = B0 1 − β2 1. Introduzione 11 poiché β dipende dal rapporto q/m segue la relazione ³q´ ω β = r = B0 r (1.19) c m nei ciclotroni isocroni (a radiofrequenza fissa) la correzione da applicare al campo magnetico dipende dalla natura della particella da accelerare. Dalle relazioni p p = T (2m + T ) (espressione relativistica) (1.20) √ p = 2mT (espressione non relativistica) (1.21) ottenute supponendo di porre c = 1 e h = 2π, e indicando con T l’energia cinetica di una particella di massa m0 , si calcola facilmente che nei ciclotroni comunemente utilizzati per la produzione di radioisotopi, in cui i protoni (mp ' 938 MeV) vengono accelerati ad energie prossime ai 20 MeV, la correzione da applicare al momento lineare delle particelle si aggira intorno allo 0.5 %. Fu proprio per ovviare ai problemi imposti dai limiti relativistici che parallelamente ai ciclotroni iscroni fu sviluppata, a partire dal 1945, una generazione di ciclotroni a frequenza variabile detti sincrociclotroni. 1.5 I sincrociclotroni L’esigenza di raggiungere energie sempre più elevate, soprattutto dopo la scoperta del neutrone e del muone, spinse a ricercare nuove soluzioni per superare i limiti imposti dai ciclotroni classici e da quelli isocroni, legati principalmente alla focalizzazione del fascio. In un sincrociclotrone, all’aumentare dell’energia delle particelle, decresce la frequenza di oscillazione del campo accelerante, per conservare la risonanza con la frequenza di ciclotrone inversamente proporzionale a β. Questo consente sostanzialmente di raggiungere energie più elevate senza problemi di focalizzazione, ma impone intensità di fascio minori, in quanto un sincrociclotrone può accelerare soltanto un bunch di ioni alla volta. La radiofrequenza e il potenziale variano in fase con le particelle accelerate, dando come risultato un fascio pulsato. L’energia massima raggiunta in un sincrociclotrone da un fascio di protoni è dell’ordine di 1 GeV, ma, ad oggi, la tecnologia legata ai ciclotroni a frequenza variabile è in fase di abbandono. 1.6 I ciclotroni isocroni a gradiente alternato Poiché l’incremento del campo magnetico lungo la direzione radiale ha un effetto defocalizzante, per tenere conto delle correzioni relativistiche ed assicurare allo stesso tempo una maggiore focalizzazione del fascio nei ciclotroni isocroni si fa dipendere il campo magnetico, oltre che dal raggio, dalla componente azimutale θ. La traiettoria, che a parità di momento rimane un’orbita chiusa, è più o meno circolare, a seconda della struttura azimutale del campo B(R, θ). 12 Figura 1.11: Schema di un ciclotrone a gradiente di campo magnetico alternato: nelle zone più chiare (valley) il campo è meno intenso che altrove. La variazione di gradiente assicura una buona focalizzazione del fascio e consente di variare radialmente il campo per compensare l’aumento di massa relativistico e mantenere l’isocronismo [6]. 1.7 Ciclotroni superconduttori Dopo una prima fase di scetticismo sulla possibilità che venissero impiegati con profitto, i ciclotroni a magneti superconduttori entrarono in circolazione a partire dagli anni Ottanta. I maggiori vantaggi derivanti dal loro utilizzo sono legati alla maneggevolezza, alla possibilità di creare campi magentici molto intensi e al ridotto consumo energetico. A parità di energia finale della particella accelerata, essi arrivavano ad essere 15 volte più leggeri rispetto ai ciclotroni tradizionali; questo risultò decisivo per il loro successo nell’ambito della ricerca legata agli ioni pesanti. Il primo ciclotrone, entrato in funzione nel 1982 e con un’energia di 500 MeV, aveva un raggio di estrazione di soli 67 cm e il peso dei suoi magneti era di 100 tonnellate. Il campo magnetico prodotto da un superconduttore inoltre può essere maggiore di 6 Tesla, superando le limitazioni imposte dalla saturazione del ferro (2 Tesla). Questo consente di raggiungere in poco spazio energie elevate, a scapito però della semplicità di estrazione del fascio da una singola orbita: in particolare per avere una buona separazione fra traiettorie successive, è necessario l’impiego di potenziali elevati, fino a superare il MV/ciclo. Il successo principale dei ciclotroni superconduttori tuttavia è derivato dal loro impiego in ambito medico. All’Harper Hospital di Detroit si riesce ad ottenere un fascio secondario di neutroni per la terapia neutronica tramite un dispositivo da 50 MeV con un raggio di estrazione di soli 30 cm, le cui ridotte dimensioni consentono persino di farlo ruotare intorno al paziente. Un ciclotrone superconduttore è oggi in uso anche presso la struttura INFN dei Laboratori Nazionali del Sud. 1. Introduzione 1.8 13 Ciclotroni per la produzione di radioisotopi L’avvento dei ciclotroni a gradiente di campo magnetico alternato (AVF: Azimuthally Varying Field ) e l’abbattimento dei costi di produzione, ha consentito la diffusione dei ciclotroni come acceleratori versatili, utilizzabili in diversi campi di ricerca tra cui la radiochimica, la produzione di radioisotopi per la PET (Positron Emission Tomography) ed anche in ambito medico per la radioterapia. Si tratta di dispositivi compatti, in grado di accelerare ioni (tipicamente idrogeno e deuterio) tra i 10 e 18 MeV e dotati di più bersagli simultaneamente irraggiabili. Poiché questi dispositivi per il loro largo impiego sono collocati in prossimità di ospedali, strutture universitarie e centri di ricerca, richiedono importanti misure di sicurezza e di schermatura, la cui attuazione rappresenta una delle fasi più importanti nell’installazione di questi dispositivi. In Italia la maggior parte dei ciclotroni impiegati in ambito medico sono prodotti da IBA (Ion Beam Applications) e GE (General Electrics). Figura 1.12: Il ciclotrone IBA Cyclone 18/9 (a sinistra) e il GE PETTrace 10 (a destra) per la produzione di radioisotopi (Rielaborazione da [15], [21]). 14 1.9 Il decadimento β 1.9.1 Il decadimento β + I ciclotroni destinati al supporto della diagnostica per immagini tramite PET, producono isotopi radioattivi β + emettitori (ad esempio 18 F , 13 N , 15 O, 11 C). Il decadimento β + è uno dei possibili processi di decadimento che rientrano sotto il nome di decadimento β e consiste nella variazione di una unità del numero atomico (Z), mantenendo inalterato il numero di massa (A). Schematicamente (Z, A) −→ (Z − 1, A) Durante il decadimento avviene l’emissione di un positrone e+ (l’antiparticella dell’elettrone, avente la sua stessa massa ma carica opposta) e di un neutrino elettronico (νe ), particella neutra ed avente massa a riposo quasi nulla (oggi si stima che sia inferiore a 2 eV). Il decadimento β + è un decadimento a tre corpi caratterizzato dalla reazione p −→ n + e+ + νe E’ proprio l’esistenza del neutrino, ipotizzata da Wolfgang Pauli nel 1930 sulla base del principio di conservazione dell’energia e del momento angolare e confermata soltanto cinquant’anni dopo, che consente di dare un’interpretazione al fatto che lo spettro di emissione dei positroni è continuo (Figura 1.14). Poichè la massa a riposo del protone è inferiore rispetto a quella del neutrone, questo tipo di decadimento può avvenire soltanto fra nucleoni appartenenti a stati legati: il bilancio energetico è dato dalla somma tra l’energia associata alla massa del protone e a quella di legame con il nucleo. Le energie si distribuiscono in modo disuguale e casuale sui tre prodotti di decadimento. Indicando con me la massa del positrone, con Mf e con vf rispettivamente la massa e la velocità del nucleo figlio, è evidente che l’energia massima Tmax assorbita dal nucleo figlio: Tmax = m2e ve2 M vf2 β 2 me c2 = γ2 + + = 2 2Mf 1 − β 2 2Mf c2 (1.22) è in genere trascurabile (circa 100 eV). La maggior parte dell’energia dunque viene spartita tra il neutrino e il positrone e varia entro un range di valori il cui limite superiore, dell’ordine del MeV, è detto endpoint, raggiunto solo nel caso in cui il positrone trasporti con sé tutta l’energia disponibile nella reazione. L’energia media con cui i positroni vengono emessi (in corrispondenza del picco dello spettro di emissione) si aggira invece intorno ad un terzo dell’energia massima. 1.9.2 L’annichilazione del positrone Quando il positrone viene emesso nella materia il suo libero cammino medio l, ovvero la distanza media percorsa prima dell’urto con un’altra particella, è piuttosto breve (nel caso di particelle emesse da radionuclidi all’interno corpo umano, 1. Introduzione 15 Figura 1.13: Rappresentazione schematica dell’annichilazione elettrone-positrone [3]. l è dell’ordine del decimo di millimetro). Esso infatti perde la sua energia interagendo anelasticamente con gli elettroni del tessuto fino a legarsi con uno di essi dando origine ad uno stato di positronio. Il positronio ha una vita media dell’ordine dei 10−10 s, trascorsa la quale le due particelle annichilano: le masse vengono convertite in energia elettromagnetica, rilasciata come fotoni ad alta energia. Al momento dell’annichilazione positrone ed elettrone possono essere considerati a riposo: pertanto, per la conservazione del momento, i due fotoni emessi hanno rispettivamente una energia pari a: 1 1 E = hν = (Ee− + Ee+ ) = (me− c2 + me+ c2 ) 2 2 (1.23) dove con m è indicata la massa delle particelle in gioco, e con ν la frequenza del raggio gamma. In realtà sono possibili anche processi di annichilazione con l’emissione di più di due fotoni che, intervenendo solo nello 0.003% dei casi, risultano del tutto trascurabili. Il fatto che il fotone sia cosı̀ energetico è estremamente utile in ambito diagnostico: anzitutto, esso supera facilmente lo spessore dei tessuti e può essere perciò rivelato esternamente; in secondo luogo, la retta che congiunge i punti di rivelazione delle particelle emesse passa per il punto di annichilazione (collimazione elettronica), praticamente coincidente con il punto in cui il positrone è stato emesso. Questo consente di localizzare gli atomi β + -emettitori distribuiti nei tessuti, misurando simultaneamente la coppia di fotoni di annichilazione. L’insieme delle traiettorie di annichilazione permette di ricostruire una immagine tridimensionale del volume in cui si è accumulato il radioisotopo. 16 Avendo i fotoni emessi una energia sempre molto prossima ai 511 keV, è possibile costruire apparecchiature ottimizzate a rilevare fotoni di energia fissa. Il loro conteggio misura l’attività della sorgente di positroni all’interno del paziente su diversi piani trasversali, dopo aver tenuto conto dei possibili effetti di attenuazione da parte dei tessuti. Sfruttando questo principio vengono costruiti gli scanner PET. Con la misura di un numero di interazioni compresa tra 106 − 109 , è possibile ricostruire un’immagine tridimensionale della distribuzione della radioattività in un corpo, con una precisione di localizzazione delle singole sorgenti pari a 5-7 mm. 1.9.3 Altri decadimenti Il decadimento β + è solo uno dei tre processi che caratterizzano la famiglia del decadimento β. Nel decadimento β − un neutrone decade in un positrone e in un antineutrino elettronico (A, Z) −→ (A, Z + 1) n −→ p + e− + ν¯e L’eccesso di massa del neutrone sul protone consente al processo di verificarsi anche in stati di nucleone libero. Il terzo tipo di reazione previsto dal decadimento β è la cattura elettronica (EC): p + e− −→ n + νe dove un elettrone delle shell interne viene assorbito, provocando la conversione di un protone in un neutrone, accompagnata dall’emissione di un neutrino elettronico. Dal punto di vista dinamico sono poche le differenza tra i due decadimenti β − e β + : in entrambi i casi sono conservati il numero barionico, leptonico e l’energia del sistema. Le due curve tratteggiate in Figura 1.14 rappresentano lo spettro energetico di elettoni e positroni, che, quando vengono emessi, risentono rispettivamente dell’attrazione e della repulsione dovute alla carica nucleare. Per questo, la curva di emissione dei positroni (per cui la correzione coulombiana all’energia è positiva) risulta traslata verso destra, mentre quella degli elettroni (per cui la correzione coulombiana è negativa) verso sinistra. L’endpoint per entrambi i decadimenti resta ovviamente invariato. Il decadimento β in genere può essere accompagnato da decadimenti di natura differente: poichè il nucleo prodotto dalla reazione si trova in uno stato eccitato, per diseccitarsi può emettere gamma o elettroni di conversione (esplusi, generalmente, dalla shell K). Anche in seguito al riarrangiamento della shell per cattura elettronica, possono essere espulsi elettroni Auger o raggi X, non trascurabili in particolare negli studi dosimetrici. 1. Introduzione 17 Spettro della distribuzione dell’energia delle particelle β − e β + (Rielaborazione da [5]). Figura 1.14: 1.10 Attività, Attività specifica e Yield L’attività di una sostanza radioattiva si definisce come A(t) = dN (t) = λN (t) = λN0 e−λt dt (1.24) dove con N(t) è indicato il numero di nuclei presenti all’istante t e con λ la costante di decadimento. Nella pratica si usano spesso i concetti di vita media, pari all’inverso della costante di decadimento, e il tempo di dimezzamento T1/2 , definito come il tempo medio dopo il quale l’attività inziale si è dimezzata. La vita media τ si calcola a partire da T1/2 secondo la relazione τ= T1/2 ln 2 (1.25) L’attività di un nuclide si misura in Bequerel (1 Bq = 1 disintegrazione/s), unità di misura del Sistema Internazionale, oppure in Curie (1 Ci= 3.7 ×1010 Bq). L’attività è una grandezza caratteristica di ogni nuclide radioattivo, ma può essere anche indotta mediante irraggiamento di un nucleo stabile con particelle neutre o cariche: in tal caso essa si calcola, a partire dall’equazione: A(t) = Inσ(1 − e−λt ) (1.26) dove con I si indica l’intensità del fascio (numero di particelle per unità di superficie per unità di tempo), con n il numero di nuclei nel bersaglio, con σ la sezione d’urto della reazione in gioco e con t il tempo di irraggiamento. Dopo un tempo pari a 4-5 τ , il fattore tra parentesi (fattore di saturazione) diventa prossimo all’unità e A(t) si avvicina al cosiddetto “valore di saturazione”, ovvero l’attività massima che il processo di produzione può raggiungere mediante bombardamento. Pertanto anche la produzione di radioisotopi in un ciclotrone, in cui un target di 18 nuclidi stabili viene irraggiato mediante un fascio di protoni, segue una legge di saturazione esponenziale. Nel grafico sottostante è riportato l’andamento dell’attività indotta in un nuclide sottoposto ad un fascio di particelle in funzione della durata dell’esposizione. Essa cresce esponenzialmente fino a raggiungere il valore di saturazione Asat = Inσ. Figura 1.15: Andamento dell’attività di una sostanza, normalizzata al valore di saturazione, in funzione del tempo di irraggiamento, espresso in funzione del numero delle emivite τ (Rielaborazione da [4]). Si definisce invece attività specifica l’attività di un nuclide per unità di massa, che si calcola come Inσ (1 − e−λt ) (1.27) As (t) = m Essa è un parametro di notevole importanza nella classificazione e nell’individuazione di radionuclidi che, legati a molecole più complesse facilmente assimilabili da strutture biolgiche, vengono sfruttati come traccianti all’interno di tessuti viventi. Un radionuclide con un’alta attività specifica consente generalmente un migliore tracciamento del radiofarmaco, esponendo tuttavia a dosi di radiazione maggiori l’organismo in esame. A partire dall’attività di saturazione Asat si definisce lo Yield, o resa di produzione, dato da: · ¸ mCi Asat = (1.28) Y = I µA Lo Yield è quindi il rapporto tra l’attività di saturazione e il valore della corrente che consente di raggiungerla. Capitolo 2 Il Ciclotrone del L.E.N.A. 2.1 Presentazione e finalità della struttura Il ciclotrone IBA Cyclone 18/9 è un dispositivo per l’accelerazione di ioni H − e D− situato presso il Laboratorio Energia Nucleare Applicata (L.E.N.A.) dell’Università degli Studi di Pavia. Fondato nel 1965, e facente parte del Centro Servizi Interdipartimentale (C.S.I.) dell’Ateneo, il L.E.N.A. nacque con l’obiettivo di consentire l’utilizzo di apparecchiature sperimentali non solo al personale docente e ricercatore dell’Università, ma anche a utenti pubblici e privati, per scopi didattici e di ricerca. Tra gli strumenti messi a disposizione c’è il reattore nucleare TRIGA (Training Research Isotopes General Atomics) MARK II da 250 kW, destinato alla ricerca in particolare nel campo dell’analisi per attivazione neutronica di materiali, e il ciclotrone IBA Cyclone 18/9, installato in un bunker sotterraneo all’interno di una struttura indipendente dagli edifici circostanti e posto alla distanza di almeno 30 m da ogni altro insediamento civile. Inaugurato il 9 luglio 2007, il ciclotrone del L.E.N.A. si pone come attività principale la produzione e il confezionamento di radioisotopi beta emettitori (18 F e 13 N) destinati all’impiego in strutture sanitarie e ospedaliere, nell’ambito della diagnostica per immagini con la PET. Il radioisotopo, prodotto con il ciclotrone viene poi trasferito e confezionato all’interno di una cella di manipolazione collocata nel laboratorio di radiochimica per poi essere successivamente trasportato nei laboratori radiofarmaceutici per la sintesi del radiofarmaco, ovvero di una molecola che svolge la funzione di tracciante una volta assimilata da una struttura biologica. Il ciclotrone si presta quindi ad assumere la funzione di produttore e fornitore di radioisotopi per la PET installata presso il Policlinico S.Matteo, che dista dalla struttura di produzione circa 200 m. Esiste un progetto di collegamento pneumatico tra l’area del ciclotrone e la radiofarmacia della struttura ospedaliera: questa soluzione consentirebbe una riduzione drastica dei tempi di trasporto e una minore esposizione per gli operatori addetti al confezionamento e alla consegna. L’installazione del ciclotrone rientra comunque in un progetto a più ampio respiro, che dovrebbe consentire l’impiego della macchina anche a scopo didattico, per corsi e 19 20 master universitari dedicati agli acceleratori di particelle e per studi di radiobiologia. Il ciclotrone è infatti predisposto per l’installazione di due linee di estrazione di fasci secondari, sfruttabili per lo studio dell’interazione dei protoni/deutoni con il tessuto biologico e, a scopo di ricerca, su target liquidi e solidi. 2.1.1 Descrizione dell’impianto La struttura destinata ad ospitare il ciclotrone e a soddisfare le necessità legate alla produzione di radioisotopi può essere suddivisa in quattro aree • il bunker (in cui è posizionato il ciclotrone) • la sala controllo • il laboratorio per il confezionamento dei radioisotopi • ulteriori locali tecnici All’intera struttura si può accedere solo con un badge, in dotazione agli operatori, che consente anche l’accesso alla sala di controllo e al laboratorio di radiochimica. L’impianto si articola su tre piani, in comunicazione tramite una scala. Al bunker del ciclotrone, alla sala controllo, al laboratorio di confezionamento e al locale per la decontaminazione si accede dal corridoio principale. Il locale tecnico posto al piano superiore e vi si accede attraverso un cancelletto interno che, in condizioni di irraggiamento, impedisce agli operatori l’accesso alla sala stessa e che in caso di effrazione spegnerebbe il fascio. Al piano inferiore si trovano il bunker e la sala controllo. Quest’ultima si articola a sua volta in due aree, una adibita all’alloggiamento del sistema di accensione e della radiofrequenza, i generatori di tensione per gli elettrodi ed un’altra in cui sono collocate le consolle per il monitoraggio del ciclotrone, da cui gli operatori seguono le fasi dell’irraggiamento. L’apertura dell’accesso al bunker del ciclotrone impedisce l’accensione del fascio: un dispositivo di sicurezza termina l’irraggiamento automaticamente in caso di apertura, anche di emergenza. La saletta di decontaminazione, adiacente al laboratorio di radiochimica, è collocata al piano intermedio. Essa mette a disposizione un lavandino ed una doccia i cui scarichi vengono immagazzinati in una vasca di raccolta, che consenta il decadimento completo degli elementi attivati prima dello svuotamento autorizzato solo dopo un campionamento e l’analisi mediante spettrometria. Nel laboratorio di radiochimica vengono invece trasferiti i radioisotopi prodotti, tramite capillari passanti fra le pareti che convogliano il prodotto in fiale (vials) adatte al contenimento del radionuclide. Il locale è adibito alle sole operazioni di • misurazione dell’attività del radioisotopo prodotto. • spostamento della vial tramite un sistema di trasferimento che trasferisca la vial contenente il radioisotopo in un contenitore schermato in piombo adeguato al trasporto del radionuclide. 2. Il Ciclotrone del L.E.N.A. 21 • chiusura del recipiente e sigillamento per successivo trasferimento nelle strutture che ne facciano richiesta. L’alloggiamento della cella è schermato da uno strato in piombo spesso circa 75 mm e da due ante in piombo che, in aggiunta ad uno schermo di plexiglas, separano l’ambiente esterno dall’interno della cella. La manipolazione delle vials avviene tramite delle telepinze e un monitor collegato ad una telecamera interna, che consente la visualizzazione del processo di confezionamento ad ante chiuse. Le celle sono inoltre dotate di un sistema di ventilazione filtrato, che impedisce la dispersione di vapori radioattivi nel locale. In caso di superamento della soglia di radioattività preimpostata (ad esempio nel caso di rottura di una vials) il sistema di ventilazione si interrompe fino al completo decadimento dei prodotti radioattivi all’interno della cella impedendo il rilascio in ambiente. 2.1.2 Condizioni di sicurezza L’intero impianto è sottoposto ad una lieve depressione (che varia dai 100 Pa, misurati nel bunker del ciclotrone, ai 25 Pa nel locale di decontaminazione), necessaria a garantire il confinamento di eventuale gas attivato all’interno del bunker stesso. L’attivazione dell’aria è causata dal campo neutronico prodotto dalle reazioni nucleari in fase di irraggiamento (gli elementi più facilmente attivabili sono l’14 N, l’16 O e l’40 Ar): in condizioni normali per gli operatori il problema è praticamente trascurabile, a patto di lasciar trascorrere un intervallo di tempo adeguato necessario al decadimento dei prodotti attivati e a far entrare in funzione l’impianto di ventilazione a grande portata prima di accedere al bunker. Prima di accedere al bunker è tuttavia necessario attendere almeno 6 ore, per consentire la dispersione di gas radioattivo in atmosfera nel rispetto dei limiti imposti dalla legge. In condizioni normali cautelativamente l’impianto di ventilazione a grande portata può essere avviato solo dopo 6 ore dallo spegnimento del fascio. L’attività residua in queste condizioni si attesta intorno alle poche decine di bequerel. Solo in caso di incidente e durante la fase di irraggiamento il sistema di ventilazione chiude tutte le saracinesche, fornendo un debole ricambio di aria per garantire una depressione che impedisca comunque la fuoriuscita di effluenti aereiformi radioattivi. Le schermature di calcestruzzo, necessarie per garantire l’incolumità del personale, garantiscono agli operatori in tutti i locali dell’area una dose inferiore a 0.50 mSv/anno, valore calcolato in base al tempo di occupazione stimato di ogni area. Tali schermature hanno il compito di attenuare il campo di radiazione gamma e di neutroni prodotti durante l’attività del ciclotrone. In particolare, il calcolo di tutte le schermature viene effettuato in base alla reazione nucleare 18 O(p,n)18 F che è anche quella più intensamente sfruttata. In tabella sono riportati gli spessori delle pareti del bunker e dei locali circostanti: 22 Corridoio antistante la porta di ingresso Sala controllo Pareti esterne Soffitto Pavimento 200 cm 210 cm 180 cm 150 cm 50 cm Uno spessore di 204 cm per le pareti del bunker è sufficiente per garantire agli operatori l’esposizione ad una dose non superiore agli 0.5 µSv/h. Per non interrompere la continuità della schermatura, la porta d’accesso al locale del ciclotrone è costruita in modo da sovrapporsi allo stipite, per evitare fughe di radiazioni dall’intercapedine tra il muro e la porta stessa. Essa è formata da una cassaforma in acciaio, all’interno della quale è stata versata una colata di calcestruzzo. Montata su un sistema di ruote metalliche, essa può scorrere trasversalmente, ed essere aperta in caso di emergenza sia dall’esterno che dall’interno del bunker. Perché essa possa essere chiusa, è necessario premere in sequenza quattro pulsanti, disposti su ciascuna parete perimetrale del bunker, e successivamente procedere alla chiusura con un pulsante esterno. La procedura obbliga gli operatori a spostarsi intorno alla macchina, assicurandosi che nessuno rimanga all’interno del bunker prima dell’attivazione del fascio. In realtà la chiusura della porta di accesso al bunker del ciclotrone è solo uno dei requisiti di sicurezza che consentono l’accensione del fascio. Le condizioni che permettono l’accensione del ciclotrone (magneti, radiofrequenza, fascio) sono: • chiusura della porta di accesso del ciclotrone • funzionamento degli interruttori di emergenza • valore regolare della radioattività al camino • funzionamento del sistema di ventilazione • funzionamento del sistema di antincendio Se una sola delle condizioni non è verificata, non si può dare avvio al processo di accelerazione delle particelle. 2.2 2.2.1 Il ciclotrone IBA Cyclone 18/9 Caratteristiche della macchina La tabella che segue riporta le principali caratteristiche del Cyclone 18/9 2. Il Ciclotrone del L.E.N.A. 23 Peso 25 tonnellate Dimensioni (diametro × altezza) 2 × 2.2 m Campo magnetico medio 1.35 T Potenza assorbita dagli < 15 kW elettromagneti Potenza massima assorbita < 45 kW (durante l’irraggiamento) Numero porte per i target Corrente massima garantita al target 2.2.2 8 40 µA per i deutoni 100 µA per i protoni Caratteristiche del fascio Il ciclotrone IBA Cyclone 18/9 accelera ioni negativi di idrogeno e deuterio (H − e D− ), dando luogo a reazioni (p,n), (p,α) e (d,n), necessarie per produrre radioisotopi quali ad esempio 18 F, 11 C, 13 N e 15 O. L’uso di ioni negativi facilita notevolmente l’estrazione del fascio: le particelle vengono deviate contro un bersaglio sfruttando semplicemente un sottile foglio di grafite (stripping foil ), che trasforma gli ioni negativi in cariche positive, strappando i due elettroni ad H − e D− . Per contro, il livello di vuoto nella camera di accelerazione deve essere più alto rispetto a quello creato in ciclotroni a ioni positivi, per evitare interazioni elettroniche con eventuali molecole di gas residue nella camera di accelerazione. Essendo fisso il raggio di estrazione del fascio e il campo magnetico ed essendo il momento lineare massimo pmax raggiungibile dalle particelle, dato dalla relazione (1.6) pmax = qBRmax è possibile calcolare l’energia di estrazione di protoni e deutoni: Ep = p2max 2mp Ed ' p2max 2 × 2mp (2.1) La massa del deutone, essendo pari (circa) al doppio di quella del protone, dimezza l’energia disponibile per l’estrazione dei nuclei di deuterio. Il Cyclone 18/9 in effetti garantisce una energia di estrazione di 18 MeV per i protoni e di 9 MeV per i deutoni. In Figura (3.4), (3.6), (3.8) sono riportati gli andamenti della sezione d’urto delle reazioni 18 O(p,n)18 F, 16 O(p, α)13 N e 14 N(p, α)11 C. Le risonanze più marcate caratterizzano solo l’intervallo tra i 5 e i 10 MeV (a 18 MeV la sezione d’urto è di 40.3 mb, mentre a 5 MeV il valore sperimentale è di 500 mb). Tuttavia, a parità di corrente, fasci ad alta energia garantiscono una resa maggiore e quindi attività molto più elevate a fine irraggiamento, requisito necessario per la produzione su larga scala e per l’esportazione del prodotto. In Figura 2.1 è riportato l’andamento dello yield (resa) espresso in GBq/C della reazione 18 O(p,n)18 F in funzione dell’energia del proiettile. 24 Figura 2.1: Yield del 18 F calcolato a partire dai valori sperimentali della sezione d’urto [7]. L’energia del fascio va naturalmente rapportata alla struttura dei target: in condizioni ottimali essa dovrebbe essere rilasciata interamente sul bersaglio, minimizzando eventuali perdite di corrente. Pertanto, la penetrazione delle particelle dovrebbe essere tale da rilasciare la massima energia in prossimità del centro del target. E’ stata eseguita una simulazione con il software SRIM 2008, per studiare le traiettorie di un fascio di protoni da 18 MeV su un bersaglio di H218 O. Quest’ultimo è stato realizzato sovrapponendo uno strato di Havar da 65 µm e uno strato di H218 O, che simulano rispettivamente le finestre del target esposte al fascio e il volume irraggiato (lo strato di elio gassoso fra gli spessori di havar per il raffreddamento delle finestre è stato trascurato). In Figura 2.2 è riportata la curva di Bragg per protoni in acqua arricchita, mentre in Figura 2.3 sono state riportate le proiezioni longitudinali e trasversali delle traiettorie seguite dai protoni (dispersione del fascio). Nelle simulazioni il range delle particelle non supera mai i 10 mm in profondità, distanza che dovrebbe coincidere con il centro del target. Dalla proiezione trasversale delle traiettorie emerge inoltre che la maggioranza delle particelle tipicamente non hanno un range superiore al cm. Il volume effettivamente irraggiato pertanto non coincide con il volume totale, ma con una porzione di esso che varia tra il 70% e il 90% di esso. Se dunque la qualità di un irraggiamento dipende dall’attività indotta nel target, e quindi dal numero di atomi coinvolti nella reazione, in fase di progettazione è l’energia degli ioni che determina le dimensioni e la forma del bersaglio. Una riduzione della dispersione delle particelle e quindi una buona performance di produzione tuttavia può essere ottenuta soltanto con una buona 2. Il Ciclotrone del L.E.N.A. 25 Figura 2.2: Curva di Bragg di un fascio di 105 protoni con una energia di 18 MeV in un target di H218 O, ottenuta con SRIM 2008 [23]. focalizzazione del fascio che viene ricercata dagli operatori del ciclotrone durante l’accensione. 2.2.3 Il sistema di iniezione degli ioni L’iniezione degli ioni rappresenta un momento estremamente delicato nel complesso processo di bombardamento. La sorgente di ioni deve iniettare H − in modo da minimizzare le oscillazioni del fascio e quindi la componente verticale della velocità delle particelle, che potrebbe contribuire a disperderle contro i poli del magnete. Gli ioni devono essere deposti nella zona centrale del piano mediano, in modo da sfruttare al meglio la superficie di accelerazione. Inoltre, la sorgente deve essere configurata in modo da poter generare rapidamente H − o D− a seconda delle esigenze di irraggiamento. Il Cyclone 18/9 è predisposto con due sorgenti di ioni (ion sources), collocate ortogonalmente rispetto al piano di accelerazione degli ioni, e fissate all’interno delle due “valli” sprovviste degli elettrodi di accelerazione. Le sorgenti sono dedicate all’iniezione rispettivamente di idrogeno (H2 ) o deuterio (D2 ). Il gas riempie lo spazio compreso tra i due catodi, fra i quali si crea un arco elettrico che può arrivare ai 500 mA. La scarica elettrica tra i catodi spezza i legami tra le molecole, generando tre diverse popolazioni di ioni, tra cui gli ioni negativi H − , che estratti dal particolare campo elettrico generato in prossimità della sorgente stessa, fuoriescono da una fessura (slit). Una volta immessi fra le espansioni polari del magnete, avviene il processo di accelerazione. Il fatto che le sorgenti di H − e D− siano distinte riduce il tempo necessario per passare da un fascio di deutoni ad uno di protoni, non essendo necessario eliminare 26 Figura 2.3: Vista longitudinale e trasversale di un fascio di protoni da 18 MeV su un target di H218 O. Il bersaglio è stato costruito sovrapponendo prima uno strato di Havar di 65 µm e poi uno di H218 O. il gas residuo nella sorgente. Prima di effettuare l’irraggiamento, tipicamente si procede alla misurazione dei parametri del fascio (ad es. corrente) attraverso un dispositivo (popup), collocato in prossimità della sorgente, che intercetta il fascio prima che esso raggiunga il 2. Il Ciclotrone del L.E.N.A. 27 Figura 2.4: A sinistra: Immagine di un particolare della sorgente di ioni del IBA Cyclone 18/9. A destra: Schema semplificato del processo di formazione degli ioni all’interno della sorgente (Rielaborazione da [10]). sistema di estrazione. La sua funzione è di monitorare la corrente effettivamente erogata dalla sorgente, consentendo cosı̀, ad esempio, di verificare indirettamente anche lo stato dei catodi. Naturalmente l’intensità della corrente, controllata dagli operatori, viene regolata a seconda della reazione desiderata e del tipo di target. Essendo la produzione di radioisotopi limitata per ora a 13 N e 18 F, che richiedono rispettivamente reazioni di tipo (p, α) e (p, n), a Pavia la sorgente di deuterio non viene al momento utilizzata. 2.2.4 La struttura del campo magnetico La conformazione del campo magnetico e il posizionamento delle dees sono aspetti fondamentali nella progettazione di un ciclotrone in quanto consentono la focalizzazione del fascio (determinandone la forma e quindi l’intensita`), possono ridurre la dispersione degli ioni e minimizzare effetti indesiderati come le perdite di corrente dovute, ad esempio, a capacità parassite tra le dees. Inoltre poiché i ciclotroni “compatti” trovano naturale applicazione negli ospedali, è fondamentale che il ciclotrone abbia un campo magnetico esterno poco intenso, per non interferire con apparecchiature quali scanner per risonanze magnetiche, tubi catodici, ecc. Il profilo di intensità del campo magnetico esterno del Cyclone 18/9 non ha simmetria sferica, ma garantisce valori inferiori ai 5 Gauss oltre il metro di distanza sul piano di accelerazione (che, per scelta del costruttore è orizzontale). 28 Lo studio della distanza fra le espansioni polari è un punto importante nella costruzione di un ciclotrone e spesso è il risultato di un compresso tra due condizioni estreme. Un piccolo gap comporta • possibili accoppiamenti capacitivi tra le dees e il poli (e quindi maggiore consumo energetico in fase di accelerazione); • un basso numero di spire (a parità di intensità del campo magnetico); • raggio delle espansioni polari ridotto; Un grande gap comporta: • spazio per il posizionamento di sottosistemi • semplice pompaggio per creazione del vuoto • campi magnetici relativamente bassi Il compromesso è stato risolto da IBA con il sistema “Deep Valley”, creando nel Cyclone 18/9 quattro settori e quattro valli, con un gap di 3 e 120 cm rispettivamente dall’espansione polare superiore. Le quattro valli ospitano i sottosistemi: le dees (aventi una ampiezza di 30◦ ), i flap (inserti mobili che consentono di variare radialmente l’intensità del campo magnetico) e le sorgenti di ioni. Questo consente di ottimizzare lo spazio disponibile, evitando di aumentare la distanza tra i poli per alloggiare gli elettrodi e riducendo anche i consumi energetici (le bobine assorbono una potenza inferiore a 15 kW). Questa strategia consente di ottenere anche basse impedenze capacitive, forti gradienti di campo magnetico e quindi una buona focalizzazione del fascio. Nella tabella seguente sono riportati i valori effettivi del campo magnetico: Campo sotto i settori Campo nelle valli Campo medio 1.90 T 0.35 T 1.30 T Ridurre la potenza assorbita significa ridurre anche la dissipazione termica, e quindi le esigenze sul sistema di raffreddamento. Inoltre il fatto che tali strutture siano ribassate rispetto al piano dell’orbita, dovrebbe conferire alle componenti una maggior stabilità meccanica e protezione da evenutali dispersioni di particelle durante l’accelerazione. 2. Il Ciclotrone del L.E.N.A. 29 Figura 2.5: Intensità del campo magnetico in un Cyclone 18/9: l’immagine di sinistra riporta il campo sperimentato da un protone, quella di destra il campo sperimentato da un deutone. Nel secondo caso i flap vengono sfruttati per incrementare la variazione radiale del campo magnetico, conservando l’isocronismo nonostante raddoppi la massa delle particelle accelerate (Rielaborazione da [9]). 2.2.5 Il sistema di radiofrequenza Il campo elettrico generato dalle dees e pilotato da un sistema a radiofrequenza, estrae gli ioni dalla sorgente e li accelera prima che colpiscano i bersagli. Il campo elettrico viene prodotto da un cristallo in un generatore da 32 kW, accoppiato induttivamente alla cavità risonante del ciclotrone, che produce un campo oscillante ad una frequenza di circa 42 MHz, fissa per i deutoni e per i protoni. La polarità delle dees, collocate in due settori opposti, ma saldate fra loro, oscilla in fase. Questo fa sı̀ che l’accelerazione avvenga solo sulla seconda (per i protoni) e sulla quarta (per i deutoni) armonica. La gestione della radiofrequenza è gestita da un operatore tramite un dispositivo di controllo (rack ) o automaticamente dal computer. 2.2.6 Il sistema di vuoto Affinché possa essere accelerato con facilità un fascio di particelle, è necessario minimizzare il numero delle molecole residue nella cavità di accelerazione, la cui presenza è causa di indesiderate perturbazioni alle traiettorie e fenomeni di scattering, che oltre a causare la diminuzione dell’intensità del fascio possono attivare le componenti della macchina. Per questo motivo è richiesta una pressione massima di 10−6 mbar all’interno della cavità in cui vengono accelerate le particelle. Lo “svuotamento” della camera di accelerazione è un processo che dura circa due ore, per mezzo di quattro pompe a vuoto collegate alla cavità di accelerazione del ciclotrone e monitorate dall’operatore mediante il software di gestione. 30 2.2.7 Il sistema di raffreddamento Il sistema di raffreddamento asporta il calore prodotto: • dal ciclotrone • dal sistema di alimentazione • dal sistema dei bersagli L’acqua viene fatta circolare attraverso i condotti di raffreddamento della macchina da una pompa e successivamente attraverso uno scambiatore di calore. Essa è poi incanalata verso una colonna di deionizzazione, che riduce la presenza di ioni e quindi rischi di correnti parassite tra le componenti della macchina, nonché l’attivazione dell’acqua stessa. Il sistema di raffredamento è sotto il controllo dell’operatore per mezzo di un terminale e tramite un controller nella “Power supply room”, che consente di impostare la temperatura di riferimento e mantenerla entro livelli prefissati. Un interruzione di acqua fredda o una conducibilità dell’acqua troppo elevata vengono immediatamente segnalati, prima dell’interruzione dell’irraggiamento. 2.2.8 L’estrazione del fascio Quando il fascio raggiunge il raggio di estrazione deve essere deviato contro il bersaglio desiderato. Nei ciclotroni a ioni negativi il sistema di estrazione si compone essenzialmente di due parti: lo stripper ed il collimatore. Il fascio di ioni negativi incide su uno stripper, una lamina in carbonio spessa 2 µm che strappa i due elettroni da H − e D− , invertendo il segno delle cariche delle particelle del fascio e consentendo al campo magnetico di guidare i protoni o i deutoni contro il target. La sezione del fascio che raggiunge il bersaglio, e quindi la corrente, variano invece a seconda del numero e della posizione delle particelle trasmesse dal collimatore (Figura 2.7). La posizione del fascio può essere modificata variando l’intensità del campo magnetico: questo consente di variare la corrente I incidente sugli stripper, che può assumere pertanto valori molto diversi da quelli registrati dalla sonda popup in fase di iniezione. In particolare si definisce efficenza di trasmissione R il rapporto Istripper R= Ipopup Supponendo che gli ioni ruotino in senso orario, una volta privati degli elettroni, essi vengono accelerati in senso antiorario da una forza di uguale intensità e portate su una traiettoria speculare a quella precendente, lasciando la zona occupata dal campo magnetico. Sul Cyclone 18/9 una coppia di stripping foils è posizionata su 8 caroselli rotanti (uno per ogni target), che intercettano il fascio prima che colpisca il bersaglio. Si definisce efficienza di estrazione F il rapporto: Itarget F = Istripper 2. Il Ciclotrone del L.E.N.A. 31 Figura 2.6: Sistema di estrazione del fascio attraverso il carosello di stripping foils. In pianta sono indicate anche le due dees, la sorgente di ioni, i flap (insert), il beam scrubber e le posizioni dei target (Rielaborazione da [14]). In un irraggiamento tipico per la produzione di 13 N, l’efficienza di trasmissione è stata registrata intorno al 58%, mentre l’efficienza di estrazione intorno al 75% per 13 N e a 90% per 18 F. Le correnti di ioni massime garantite sul bersaglio sono di 100 µA per i protoni e 40 µA per i deutoni. La semplicità del sistema e l’efficienza di estrazione (circa il 100% degli ioni trasmessi dal collimatore colpisce il target) vanno tuttavia a discapito del calore dissipato dalle componenti (che a causa delle alte temperature sono soggette ad una rapida usura), con la parziale riflessione del raggio (e quindi con una diminuzione della corrente) e con la possibile attivazione dei pezzi che compongono il sistema di estrazione. 2.2.9 Il sistema Dual-Beam Quando il ciclotrone è impiegato per la produzione di radionuclidi per la PET, soprattutto se destinati a Centri PET distanti dal Centro di produzione, è necessario confezionare volumi di prodotto che mantengano un livello di attività tale da poter essere sfruttato per qualche ora. Poiché l’attività indotta in un target satura nel tempo secondo la legge (1.24), se dopo T1/2 essa raggiunge il valore A(T1/2 ) = 1/2Asat , trascorso un tempo pari a due emivite l’attività del radionuclide sarà pari a A(2T1/2 ) ' 0.75 × Asat . In effetti, solo dopo 5-6 emivite il radioisotopo raggiungerà (asintoticamente) il valore Asat . 32 Volume target 1 ml a 22 µA 1 ml a 22 µA Attività (EOB*) 1600 mCi (59.2 GBq) 2600 mCi (96.2 GBq) Durata irraggiamento T = 60 minuti T = 120 minuti *End of Beam Nella pratica, per ottenere elevati livelli di attività, non è conveniente effettuare un irraggiamento di durata superiore al tempo di dimezzamento del nuclide, in quanto dopo un intervallo pari a T1/2 l’attività indotta per unità di tempo diminuisce rapidamente. Il sistema Dual-Beam, presente sul Cyclone 18/9, consente ai sistemi di estrazione di intercettare il fascio in proporzione variabile (dal 10 al 90 %). Questo consentirebbe di irraggiare due target di uguale volume simultaneamente, in modo da raggiungere, nello stesso intervallo di tempo, un livello di attività doppio rispetto a quello di una produzione singola. In realtà si ha una diminuzione del 10% dello yield: questo perché in modalità dual beam il fascio perde la sua focalizzazione. La sezione del fascio estratto dipende infatti anche dallo stadio di accelerazione delle particelle: il fatto che le particelle vengano intercettate e parzialmente trasmesse, oltre a dar luogo ad una riflessione parziale del fascio e potenziali oscillazioni, genera una differenza di fase fra le particelle estratte sul primo e sul secondo target. Ne consegue una deformazione della sezione incidente e dunque una defocalizzazione del fascio. I volumi irraggiati e la corrente incidente su ciascuno di essi in dual beam restano uguali a quelli usati in produzione singola, pertanto la corrente trasportata dal fascio deve raddoppiare: questo consente anche di raddoppiare il volume del liquido irraggiato, senza alterare la quantità di calore dissipato da ciascun bersaglio. 2.2.10 I target La scelta di IBA è stata quella di produrre ciclotroni aventi un piano di accelerazione orizzontale: questo permette di distribuire i bersagli lungo il perimetro del ciclotrone, consentendo all’operatore in fase di manutenzione di lavorare separatamente su ciascuno di essi e riducendo cosı̀ l’esposizione dovuta alla presenza degli altri target attivati dai precedenti irraggiamenti, schermati dalla struttura stessa della macchina. Le porte su cui montare differenti bersagli a seconda del volume e della reazione desiderata sono otto. Il materiale di cui è formato il corpo del target, lo spessore della finestra esposta al fascio, il volume irraggiato e le dimensioni esterne variano a seconda del radioisotopo che si desidera produrre. Per uno stesso radioisotopo in particolare, vengono forniti target di diverse capacità, a seconda delle necessità di produzione (un centro PET produce un volume di radionuclidi nettamente superiore ad un centro di ricerca, a causa dell’elevata richiesta per usi interni o per l’esportazione). Le case costruttrici di ciclotroni quindi forniscono target con caratteristiche profondamente differenti che, oltre ad adeguarsi alle specifiche tecniche dei ciclotroni 2. Il Ciclotrone del L.E.N.A. 33 utilizzati (dimensioni, energia del fascio ecc.), devono tenere conto delle esigenze dell’utente finale. Un target consiste sostanzialmente di una struttura metallica di forma cilindrica alloggiata in una delle “porte” della macchina, ed esposta all’estremità in contatto con il ciclotrone al fascio di ioni positivi. Esso è costruito per resistere alle elevate pressioni che si sviluppano in fase di irraggiamento nel corpo del target, legate all’innalzamento di temperatura causato dagli urti con le particelle del fascio. Gli ioni positivi attraversano due finestre, in alluminio o Havar (una lega formata da nichel, cobalto, titanio, tungsteno, alluminio e cromo), che isolano il corpo del target dalla cavità a vuoto, e da uno strato di elio tra le due finestre per consentire il raffreddamento. Le finestre di Havar hanno uno spessore variabile a seconda del volume target e della corrente di fascio utilizzata. L’elio circola anche all’interno di un circuito separato e a fine irraggiamento “spinge” il radioisotopo prodotto attraverso i capillari diretti alla cella di radiochimica. L’involucro interno del target che contiene il volume di H2 18 O può essere realizzato in leghe o metalli differenti. Questi sono Argento, Titanio o Niobio (puri al 99.9%) per i bersagli destinati alla produzione di Fluoro. L’Argento assicura una resa più elevata del Titanio, 5 Ci (185 GBq) anziché 4 (148 GBq) dopo due ore di irraggiamento, mentre il Niobio, a parità di prestazioni con l’Argento, contrariamente a quest’ultimo non rilascia particolato nel corpo del bersaglio. I bersagli attualmente utilizzati, quelli in dotazione presso il ciclotrone di Pavia per la produzione di 18 F sono due Volume irraggiato Corrente al bersaglio Resa alla saturazione Attività prodotta Tempo di irraggiamento Per la produzione di 13 Volume piccolo Volume Grande 500 µl 1840 µl 15 µA 37.5 µA 194 mCi/µA (7.2 GBq/µA) 232 mCi/µA (8.6 GBq/µA) 900 mCi (33.3 GBq) 4.82 Ci (178 GBq) 60 min 128 min N si sfrutta invece un target in alluminio Volume irraggiato Corrente al bersaglio Attività prodotta Tempo di irraggiamento 1.6 ml 20 µA 300 mCi (11 GBq) 10 min 34 Figura 2.7: Struttura di un bersaglio IBA: in verde e in giallo sono riportate le componenti del collimatore (Estratto da: IBA - System Description Manual; Cyclone 18/9 H16 881273002-F1, December-2007, Pavia) Capitolo 3 Scenari di impiego in campo sanitario In un’ottica di impiego dei radionuclidi in ambito sanitario, finalizzato alla diagnostica per immagini, la produzione del radioisotopo rappresenta il primo passo di un processo che prosegue con la sintesi del radiofarmaco, i controlli di qualità e che termina con la somministrazione del radiofarmaco al paziente e la scansione di quest’ultimo tramite PET (Positron Emission Tomography). 3.1 3.1.1 La realtà ospedaliera di Brescia Il Centro Agli Spedali Civili di Brescia esiste un Centro avviato da tre anni ma ancora in evoluzione, in cui lo sfruttamento del ciclotrone è integrato nel contesto dell’azienda ospedaliera. Allestito a partire dall’anno 2003 su una superficie di circa 4000 m2 nel contesto del reparto di Medicina Nucleare, il Centro si pone come obiettivo quello di supportare il funzionamento di un tomografo PET interno all’Ospedale, e rifornire una serie di vicini centri PET (Bergamo, Cremona, Vicenza e nelle previsioni Mantova e Treviglio). Per il fatto di essere inserito all’interno di una struttura ospedaliera preesistente, il Centro è stato concepito in modo da poter dialogare nel modo più efficiente possibile con la medicina nucleare, rispettandone la conformazione e le necessità, nonostante i vincoli imposti dalle norme di sicurezza. Il Centro si articola in tre aree interrate distinte ma collegate da un sistema di corridoi differenziati • L’Area del Ciclotrone • L’Area della Radiofarmacia • L’Area di Diagnostica PET 35 36 Figura 3.1: Scavo per la costruzione del Centro PET. In primo piano il bunker del ciclotrone, con le pareti in calcestruzzo spesse 2 m. Ciascuna delle tre zone assolve ad una specifica funzione. L’Area Ciclotrone si articola in tre locali: la sala di controllo, una sala per l’elettronica (power supply room) e il bunker del ciclotrone vero e proprio circondato da mura perimetrali in calcestruzzo, dello spessore di circa 2 metri. Ad esso si accede tramite una porta a cuneo in calcestruzzo che, per la sua conformazione, impedisce la dispersione di radiazioni e di sostanze attivate. Nel bunker è collocato un ciclotrone General Electrics PETtrace da 16.5 MeV la cui operatività viene monitorata remotamente dalla sala controllo, dove è collocata la consolle dei comandi. Il generatore di radiofrequenza e di campo magnetico, l’impianto di raffreddamento e di gestione del vuoto sono collocati nei locali per l’elettronica. Il bunker del ciclotrone si trova in posizione adiacente all’Area della Radiofarmacia dove viene marcato e confezionato il radiofarmaco. Un sistema di capillari schermati collega i quattro bersagli attualmente in uso del ciclotrone alle celle di sintesi del radiofarmaco in radiofarmacia. Qui avviene la marcatura del radioisotopo, ossia la trasformazione del nuclide radioattivo prodotto all’interno dei bersagli del ciclotrone nella molecola chimica di interesse per l’applicazione medica. Successivamente viene confezionata la siringa per la somministrazione del tracciante ai pazienti in attesa. Nell’Area della Radiofarmacia principalmente avviene come ricordato la sintesi, la marcatura e il frazionamento dei radiofarmaci. In quest’area si trova anche il laboratorio per il controllo qualità, ossia l’area dedicala alla verifica delle caratteristiche finali del radiofarmaco e della sua somministrabilità al paziente. L’Area di Diagnostica PET copre invece l’area compresa tra il Ciclotrone e la Ra- 3. Scenari di impiego in campo sanitario 37 diofarmacia, ed è accessibile ai pazienti della medicina nucleare. Qui si trovano due sale per ospitare i tomografi PET. Ciascuna di esse, delimitata da pareti in calcestruzzo è separata dalla consolle di controllo da un vetro piombato, che consente la supervisione dall’esterno e allo stesso tempo la protezione degli operatori. Nell’area di diagnostica si trovano anche le sale per la somministrazione del farmaco ai pazienti, che nel periodo di attesa tra l’iniezione dei traccianti e l’esecuzione della tomografia, vengono fatti sostare in una “sala di attesa calda”. Figura 3.2: Un particolare della pianta del Centro PET di Brescia: in giallo è evidenziata l’area Ciclotrone, in verde la Radiofarmacia e in azzurro le sale adibite alla tomografia PET. Intorno a queste si articola una rete di corridoi e locali per il personale, per il controllo della qualità e per lo stoccaggio delle sostanze, radioattive e non, prima della produzione. 3.1.2 Il ciclotrone PETtrace Il ciclotrone installato a Brescia è un PETTrace da 16.5 MeV isocrono a variazione azimutale di campo magnetico, prodotto da General Eletrics ed entrato in funzione nel marzo 2005 dopo un periodo di installazione e verifica durato circa 4-5 mesi. Essendo una macchina destinata alla produzione in ambiente ospedaliero, esso accelera ioni(H − e D− ) ad energia fissa. Le caratteristiche generali del ciclotrone sono • piano di accelerazione verticale • campo magnetico conformato in settori spiralizzati (Figura 3.3), e angolo delle dees pari a 75◦ . 38 • bersagli ravvicinati (attualmente in uso: 2 per la produzione di Fluoro-18, uno per la produzione di Carbonio-11, ed uno per la produzione di Azoto-13) • singola sorgente di ioni (attualmente in uso solo per l’accelerazione di H − ) posizionata al centro della camera a vuoto • accelerazione dei protoni sulla prima armonica e dei deutoni sulla seconda (∼ 27 MHz) • carosello di estrazione a 6 foils • corrente garantita: 80 µA per i protoni, 40 µA per i deutoni • attività ottenibile dopo 1 ora di irraggiamento (dual beam) di un target da 0.8 ml: 5000 mCi (185 GBq) Figura 3.3: La forma dei settori è spiralizzata: si può dimostrare che maggiore è l’angolo tra la tangente al settore e la direzione del raggio, maggiore è la focalizzazione. Tale effetto aumenta con la distanza dal centro, ove cresce la necessità di focalizzare il fascio (Rielaborazione da [20], [21]). L’irraggiamento prevede una fase iniziale di ottimizzazione dei parametri produttivi, la verifica del posizionamento dei caroselli di estrazione, del campo magnetico e della radiofrequenza. Alcuni parametri sono soggetti a modifiche continue anche durante l’irraggiamento. In regime di produzione la macchina lavora in modalità dual beam: il fascio è indirizzato su due bersagli simultaneamente, consentendo il raddoppio della produzione rispetto ad un target singolo per ogni sessione di irraggiamento. La richiesta di attività, interna ed esterna, e il tipo di radionuclide modulano i ritmi di produzione: tipicamente si effettuano 2-3 cicli di produzione notturni per il 18 F e un ciclo per il 11 C in mattinata. Spesso accade che ai precedenti si debba aggiungere un nuovo ciclo di produzione di 18 F nella tarda mattinata. 3. Scenari di impiego in campo sanitario 39 Ancora oggi sfruttato per meno della metà dei limiti produttivi imposti dalle direttive di impiego, il ciclotrone si presta a supportare possibili prospettive di ampliamento delle strutture adibite alla PET, anche in caso di installazione di nuovi tomografi all’interno dell’Ospedale stesso. 3.2 3.2.1 La produzione di radioisotopi I parametri produttivi In un Centro finalizzato alla produzione per uso interno ed esportazione, l’automatizzazione della produzione è indispensabile per raggiungere quotidianamente gli obiettivi preposti. La gestione e l’ottimizzazione dei parametri che influenzano la produzione sono controllati da un software, preconfigurato dagli operatori, che ne mantiene i valori entro gli intervalli voluti. I parametri che determinano gli aspetti qualitativi della produzione sono elencati di seguito. Parametro Tempo di preparazione Tensione e corrente tra i catodi della sorgente di ioni Flusso di gas nella camera a vuoto Tensione delle dees (1 e 2) Corrente di bobina (dei magneti) Corrente sui collimatore Corrente sui foil Corrente sul target Pressione interna nella camera a vuoto (In fase di irraggiamento) Pressione del target Pressione dell’elio di raffreddamento Tempo di irraggiamento Tempo di trasferimento alla radiochimica 3.2.2 Valore tipico ∼ 6 minuti ∼ 150-200 mA, ∼ 800-1200 V 5 cm3 /min ∼ 35 kV , ∼ 37.4 kV 443 A ≤ 2.0 µA ∼ 40-44 µA 36-40 µA ∼ 1.2 × 10−5 mbar ∼ 30 bar ∼ 3 bar ∼ 60 − 90 min ∼ 3 min Fluoro-18 Il 18 F è l’isotopo prodotto con maggiore abbondanza, per il suo largo impiego come tracciante. Esso ha un tempo di dimezzamento di 110 minuti e viene prodotto a partire dalla reazione 18 O(p,n)18 F bombardando un target in argento raffreddato ad elio liquido ed acqua con un fascio di protoni da 16.5 MeV. In regime di produzione avviene il bombardamento simultaneo di due target (in modalità dual beam). La qualità della soluzione di 40 Figura 3.4: Sezione d’urto della reazione 18 O(p,α)18 F. I punti rappresentano i dati sperimentali, la linea continua rappresenta il fit suggerito. In verde e in rosso sono indicate rispettivamente l’energia dei protoni di un GE PETtrace e un IBA Cyclone 18/9 (Rielaborazione da [7]). H2 18 O usata nei bersagli (arricchimento 18 O > 95%) è indispensabile per evitare la formazione di azoto radioattivo con la reazione: 16 O(p,α)13 N La presenza di 13 N interagisce infatti con il processo di sintesi del 18 F in 18 F-FDG. Figura 3.5: Produzione mensile di 18 F presso il Centro PET di Brescia (in GBq). I simboli individuano l’inizio del periodo di fornitura ai centri di Bergamo, Vicenza e Cremona [21]. 3. Scenari di impiego in campo sanitario 3.2.3 41 Carbonio-11 La produzione di 11 C (tempo di dimezzamento di 20.5 minuti) può essere effettuata irraggiando atomi di Boro mediante le reazioni 11 B(p,n)11 C, 10 B(d,n)11 C, oppure bombardando atomi di Azoto. In questa sede, verrà trattato solo la reazione sui bersagli di azoto, che è la più comune ed è sfruttata per la produzione di Carbonio anche presso il centro PET di Brescia 14 N(p,α)11 C Circa 50 GBq di 11 C vengono prodotti irraggiando per 20 minuti un target gassoso da 78 ml contente una miscela di N2 e O2 (quest’ultimo presente con una abbondanza 0.5%). Il carbonio si lega all’ossigeno presente, formando molecole di e CO2 . Alla fine del bombardamento la miscela di 11 CO2 viene trasportata direttamente alla radiofarmacia per essere sintetizzata in 11 C-Cholina. Figura 3.6: Sezione d’urto della reazione 14 N(p,α)11 C. I punti rappresentano i dati sperimentali, la linea continua rappresenta il fit suggerito. In verde e in rosso sono indicate l’energia dei protoni con un GE PETtrace e un IBA Cyclone 18/9 (Rielaborazione da [7]). 3.2.4 Azoto-13 L’Azoto-13 viene prodotto per essere usato nella forma chimica di niaca), ed ha un tempo di dimezzamento di circa 10 minuti. Esso generalmente viene prodotto sfruttando la reazione 13 NH3 (ammo- 42 Figura 3.7: Produzione mensile di 11 C presso il Centro PET di Brescia (la produzione è iniziata a febbraio 2007) [21]. 16 O(p,α)13 N ma lo stesso radionuclide può essere ottenuto bombardando metano o Al4 C3 con nuclei di deuterio da 6-7 MeV tramite la reazione 12 C(d,n)13 N, o ancora tramite la reazione 13 C(p,n)13 N. Figura 3.8: Sezione d’urto della reazione 16 O(p,α)13 N. I punti rappresentano i dati sperimentali, la linea continua rappresenta il fit suggerito. In verde e in rosso sono indicate l’energia dei protoni con un GE PETtrace e un IBA Cyclone 18/9 (Rielaborazione da [7]). 3. Scenari di impiego in campo sanitario 43 Nel caso considerato dalla reazione sull’ossigeno un bersaglio contenente H2 O viene esposto ad un fascio di protoni per 30 minuti, al termine dei quali si ottengono circa 8 GBq di 13 N radioattivo. 3.2.5 Target solidi I ciclotroni sono predisposti a lavorare anche con bersagli solidi, per produrre reazioni come 124 Te(p,n)124 I, che in un prossimo futuro potranno essere impiegate per produrre traccianti per tomografia PET, anche se di fatto ancora in fase di perfezionamento. I problemi principali nello sfruttamento di questi bersagli (detti anche “non convenzionali”) derivano dalla loro struttura, sensibilmente diversa (per produrre radiometalli quali 110 In o 60 Cu, si irraggiano rispettivamente foils da 50 µm o isotopi metallici elettrodepositati), e da un differente sistema di raffreddamento. Questo tipo di irraggiamento è caratterizzato da basse correnti (intorno ai 10 µA) e da lunghi tempi di bombardamento (fino a 10 ore). 3.3 La sintesi del radiofarmaco Ad irraggiamento concluso il contenuto del target viene inviato attraverso capillari alle celle della Radiofarmacia, dove avviene la sintesi del radiofarmaco, successivamente i controlli di qualità e il frazionamento in dose adatte alla somministrazione. 3.3.1 I dispositivi per la sintesi L’automazione dei processi di sintesi è un aspetto molto importante della sintesi, in quanto sottrae il personale all’esposizione ai nuclidi (una produzione di fluoro può raggiungere tranquillamente una attività di 110 GBq) ed ottimizza i processi stessi nell’ottica di garantire qualità al prodotto finale. Il modulo, ovvero il dispositivo che effettua la sintesi, è posizionato in celle di piombo aventi uno spessore di circa 70 mm, ed è controllato da un software che, oltre a regolare gli step del processo, mantiene la pressione, gli intervalli di produzione e il volume del farmaco prodotto entro i limiti previsti. Ogni modulo possiede un display grafico, che consente di monitorare il processo, e successivamente stampare un report per visualizzare le statistiche e l’attività del prodotto. I moduli di sintesi presenti sono differenziati a seconda del tipo di radiofarmaco prodotto: quattro sono destinati alla produzione e alla lavorazione di 18 F-FDG, e due sono dedicati alla lavorazione dell’13 N-Ammonia e del 11 C-Colina. Una cella è inoltre dedicata al frazionamento remoto ed automatizzato del 18 F-FDG in una siringa schermata. 44 3.3.2 Impiego del radiofarmaco Lo stesso radionuclide legato a molecole differenti, o radiofarmaco, presenta una specifica capacità di interazione con i tessuti organici, e quindi adatto a specifici impieghi con il tomografo PET. Alcuni esempi di impiego sono • 18 • 18 F-Fluoruro di Sodio: sintesi di fluorodeossiglucosio e scintigrafia ossea. F-Fluorodeossiglucosio: Impiegato nello studio del metabolismo nel tessuto tumorale cerebrale e cardiaco: è il farmaco di maggior impiego attuale. • 6-18 F-L-Fluorodopa: Studio delle funzioni legate alla produzione della dopamina (neurotrasmettitore) nel tessuto celebrale; diagnosi del morbo di parkinson, depressione ecc. • 18 • 13 F-Fluorotimina: Essendo una variante del nucleotide T, incorporato nel DNA, consente una misura della proliferazione cellulare, e quindi è usata nella diagnosi in vivo e nella caratterizzazione dei tumori umani. N-Ammmonia: Studio dell’irrorazione dei tessuti miocardici e cerebrali. Figura 3.9: Rappresentazione schematica del sistema di trasferimento del radioisotopo dai target del ciclotrone alla radiochimica [21]. 3. Scenari di impiego in campo sanitario • 11 • 11 C-Colina: Studi del tessuto tumorale alla prostata. • 11 C-Flumazenil: Caratterizzazione dei neuroricettori negli umani. • 11 • 11 • 11 45 C-Sodio Acetato: Studio del consumo di ossigeno nel cuore (metabolismo ossidativo). C-Metilspiperone: Determinazione della densità di ricettori di dopamina nei pazienti con disordini neurologici. C-L-Metionina: Individuazione di diverse tipologie di anomalie legate al consumo di amminoacidi da parte dell’organismo (trasporto, sintesi proteica ecc.). C-Raclopride: Individuazione di disturbi neurologici e psichiatrici (morbo di Parkinson, schizofrenia ecc). 3.3.3 Controlli di qualità Un radiofarmaco per poter essere sfruttato nell’uomo deve soddisfare una serie di test farmaceutici stabiliti dalla normativa. Ogni lotto di radiofarmaco deve perciò essere inoltre sottoposto a controlli di qualità che ne assicurino la somministrabilità. Questi controlli consistono principalmente nel verificare la sterilità del farmaco (assenza di batteri o microorganismi nella preparazione), la pirogenicità, , ovvero l’assenza di proteine e polisaccaridi, e la tossicità, che può causare alerazioni delle funzioni di un organo e la morte cellulare. I test fisico-chimici hanno perciò la funzione di appurare • l’aspetto del farmaco (torbidità, colore...), controllato visivamente. • il pH, che dovrebbe attestarsi intorno a 7.4 (sono consentite fluttuazioni, grazie alla tolleranza del sangue). • l’isotonicità, ovvero la forza ionica di una soluzione, che può essere modificata variando la concentrazione di elettroliti. • la purezza radionuclidica, ossia la presenza solo in traccia di altri nuclidi radioattivi nel campione • la purezza chimica, cioè la frazione di radiofarmaco nella forma molecolare desiderata: la presenza di molecole estranee può causare reazioni indesiderate nel paziente e ridurre la qualità dell’esame PET. 46 Figura 3.10: Il modulo per il confezionamento delle siringhe e una cella per la sintesi del radiofarmaco [21]. 3.3.4 La siringa La sintesi termina con il confezionamento del radiofarmaco in una siringa sterile, che viene automaticamente introdotta in un portasiringa schermato. Quest’ultimo è un contenitore di forma cilindrica circondato da uno strato di piombo o tungsteno di spessore variabile (dai 5 agli 8 mm), che consente al personale medico la somministrazione al paziente in condizioni ottimale di sicurezza radiologica. 3. Scenari di impiego in campo sanitario 47 Conclusioni Dopo essersi affermati come strumenti fondamentali per la ricerca di base, da più di vent’anni i ciclotroni hanno assunto un ruolo chiave anche nell’ambito della medicina nucleare. La produzione di radioisotopi per la diagnostica PET tramite target convenzionali e non, è solo uno dei settori che hanno tratto maggior beneficio dall’introduzione dei ciclotroni, offrendo interessanti prospettive per il futuro. In questo scenario Pavia e Brescia confermano di essere due modelli per i nuovi Centri PET, che nei prossimi anni troveranno larga diffusione in Italia e in Europa. Bibliografia [1] M. S. Livingston, J.P. Blewett, Particle Accelerators, McGraw Hill Book Company, 1962 [2] J. 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Borio di Tigliole, M. Cagnazzo, M. Coniglio, G.Magrotti, S. Manera, A. Piazzoli, M. Prata, A. Salvini, G.Scian, The Cyclotron Facility at the Laboratory of Applied Nuclear Energy (L.E.N.A.) of the University of Pavia [14] K. Strijckmans, The isochronous cyclotron: developments, Pergamon, 20 Aprile 2001 principles and recent [15] IBA Molecular, Cyclone 18/9 - Moving ahead, delivering more 49 [16] GE Healthcare, PETtrace Techincal Specifications, GE Techincal Publications [17] GE Healthcare, PETtrace Radiotracer Production System - Technical data sheet, GE Technical Publications [18] Dott. S. Cazzoli, Relazione tecnica di radioprotezione sul profetto di un impianto di produzione di radioisotopi per uso medicale con ciclotrone Cyclone IBA 18/9, Università degli Studi di Pavia [19] M.Matarrese, Tecnologie dei target e moduli di sintesi, Scuola Superiore di Fisica in Medicina “P.Caldirola”, Imaging molecolare PET-SPECT: tecnologie e metodi, 14 - 16 novembre 2005 [20] A. Calanna, Studio del circuito magnetico di un ciclotrone medicale da 250 MeV, Università degli Studi di Catania [21] Diapositive sulla produzione di radioisotopi agli Spedali Civili di Brescia e presentazione del sistema produzione Ciclotrone-Radiofarmacia, fornite da dott. De Agostini [22] Tema Sinergie, Siringe Shield Mod.SSI Datasheet [23] J.F. Ziegler, M.D. Ziegler, J.P. Biersack, H.Paul, D.J. Marwick, G.A. Cuomo, W.A. Porter, S.A. Harrison, Software di simulazione SRIM 2008 Ringraziamenti Questo lavoro è stato realizzato grazie ad una collaborazione tra l’Università degli Studi di Pavia e gli Spedali Civili di Brescia. Un mio profondo ringraziamento va dunque al Prof. Piazzoli, per avermi messo in contatto con l’ambiente del L.E.N.A. e soprattutto per la fiducia che ha dimostrato in me sostenendo questa iniziativa. Ringrazio il prof. Feroldi, che mi ha dato l’opportunità di intraprendere questo lavoro, per il tempo che mi ha dedicato, aiutandomi ad orientare le mie scelte e trasmettendomi passione ed entusiasmo. Sono estremamente riconoscente al Dott. Daniele Alloni e al Dott. Michele Prata per l’attenzione con cui hanno seguito ogni fase del mio lavoro, per la competenza e la scrupolosità con cui hanno fornito risposte ai miei dubbi e in particolare per la simpatia con cui mi hanno accolto e seguito in questi mesi. Un ringraziamento va al Dott. De Agostini per i suoi preziosi suggerimenti, per le lunghe chiacchierate fatte insieme e per avermi permesso di assistere da vicino alla realtà di un Centro PET. Grazie ai miei familiari, senza i quali non sarei mai arrivato fin qui, per non avermi mai fatto mancare il loro sostegno ed aver condiviso i miei “sfoghi” nei momenti pi difficili. Grazie a Margherita per tutto l’affetto che mi ha dimostrato, per avermi incoraggiato e compreso, e per tutti i momenti che abbiamo condiviso insieme durante questi mesi. Infine, un ringraziamento a tutti gli altri “compagni di viaggio” che sarebbe troppo lungo elencare, ma che occupano un posto speciale nei miei ricordi.