Capitolo 3 Roma in età imperiale

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Roma in età imperiale
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1. Le lotte per il potere dopo la morte di Cesare
1.1 Marco Antonio
Morto Cesare (44 a.C.), che fra gli altri poteri assommava in sé anche quello di console, il magistrato più alto in carica è il secondo console, Marco Antonio, il quale, per
evitare ulteriori violenze a Roma, conferma tutti i provvedimenti di Cesare, ma nello
stesso tempo concede l’amnistia ai congiurati, dopodiché, per consolidare la propria
posizione, ottiene per plebiscito popolare che il governo della Gallia cisalpina sia tolto
a Decimo Bruto, che ne era già stato investito dal Senato, e affidato a lui.
La situazione muta rapidamente quando viene letto il testamento di Cesare: infatti,
dal documento si apprende non solo che egli lascia parte dei propri beni ai concittadini,
ma, cosa assai più importante, che adotta come figlio e nomina suo erede principale il
giovane Caio Ottavio, di soli 17 anni, da qui in avanti Caio Giulio Cesare Ottaviano,
avendo preso, secondo le usanze dell’epoca, il nome del padre putativo, seguito dalla
designazione della famiglia di provenienza.
Raccolto attorno a sé un esercito personale di veterani, Ottaviano parte subito alla
volta della Gallia cisalpina, dirigendosi a Modena, dove Decimo Bruto è assediato da
Antonio, il quale, nel 43 a.C., viene costretto a togliere l’assedio alla città e a rifugiarsi
nella Gallia narbonese, dove lo attende il fido generale M. Emilio Lepido. Ottaviano,
rimasto unico comandante dell’esercito, reclama allora il consolato, ma per tutta risposta
il Senato rafforza il ruolo degli uccisori di Cesare, affidando a Bruto e Cassio l’incarico
di propretori delle province orientali, mentre Antonio e Lepido vengono dichiarati nemici pubblici di Roma. Ottaviano, alla testa delle sue legioni, decide quindi di marciare
sull’Urbe e, convocati i comizi, si fa eleggere console (43 a.C.).
1.2 Il secondo triumvirato e la battaglia di Filippi
Nella sua nuova carica Ottaviano, per contrastare l’oligarchia senatoria, si riavvicina
ad Antonio e Lepido: nel novembre del 43 a.C., infatti, i tre si incontrano a Bologna e
stringono un accordo che poco dopo viene ratificato con la costituzione del secondo
triumvirato, in virtù del quale si fanno attribuire un imperium proconsolare di durata
quinquennale e ottengono pieni poteri per riorganizzare l’intero ordinamento dello Stato.
Inoltre, si liberano facilmente dei nemici politici emanando nuove liste di proscrizione
(a seguito delle quali perde la vita, fra gli altri, Cicerone, acerrimo nemico di Antonio),
per poi affrontare le forze riunite in Oriente agli ordini di Bruto e Cassio, che, dopo
essere stati sconfitti a Filippi, in Macedonia (ottobre 42 a.C.), si suicidano per non
cadere nelle mani dei vincitori. Dopo la vittoria i triumviri procedono alla definizione
delle rispettive zone d’influenza: Ottaviano riceve la Spagna, Antonio l’Oriente e la Gallia
transalpina, Lepido l’Africa, mentre l’Italia rimane territorio comune.
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2. Il principato di Ottaviano
Dopo Filippi Ottaviano riceve l’ulteriore incarico di tornare in Italia per distribuire le
terre ai veterani, ma giunto a Roma deve anche reprimere una rivolta popolare capeggiata da Lucio Antonio, console per l’anno 41 a.C. e fratello di Marco Antonio. Dopo
qualche anno i triumviri affrontano e sconfiggono Sesto Pompeo (figlio di Pompeo
Magno e nemico dei cesariani), che aveva sotto il suo controllo la Sicilia (37 a.C.). In
quella occasione Ottaviano riesce a conquistare il favore dell’esercito di Lepido (che
viene estromesso dal potere e confinato presso il monte Circeo), per cui può assumere
il controllo dell’Africa (36 a.C.).
A questo punto Ottaviano non deve fare altro che sbarazzarsi di Antonio, che intanto
in Oriente ha sposato la regina d’Egitto, Cleopatra, il matrimonio con la quale viene visto
a Roma come un tradimento. Alla fine i due contendenti si affrontano nella battaglia
di Azio, in Grecia (31 a.C.), dopo la quale Antonio e Cleopatra, duramente sconfitti,
riparano ad Alessandria d’Egitto, dove l’anno successivo, mentre la città è assediata dai
romani, si tolgono la vita. Ottaviano costituisce allora l’Egitto come provincia e torna
a Roma per celebrarvi tre trionfi come inizio di una nuova era di pace: la Pax augusta.
In effetti con la battaglia di Azio si chiude il lungo e sanguinoso periodo delle guerre civili. Il vincitore,
Ottaviano, si impegna in un’opera di ricostruzione materiale e morale che richiede un notevole dispendio
di energie. Per Roma, ormai capitale del Mediterraneo, si apre una nuova pagina di storia all’insegna della
pace interna, ma inizia anche un nuovo regime, sostanzialmente monarchico.
• Le cariche di Ottaviano
Pur essendo rimasto unico padrone del campo, Ottaviano si mantiene formalmente
fedele all’ordinamento repubblicano e cerca di conservare buoni rapporti col Senato,
dal quale riceve, nel 28 a.C., il titolo di princeps senatus («primo tra i senatori», da cui
il nome di «principato» dato al suo governo), cioè l’incarico di presiedere la massima
assemblea romana e, l’anno seguente, quello di augustus («augusto», «sublime», «innalzato al di sopra degli altri»). Inoltre gli viene definitivamente confermato l’appellativo
di imperator («capo dell’esercito»), che ha già assunto nel 40 a.C., dopodiché nel 23 a.C.
gli viene attribuita anche la potestà tribunizia che, rinnovata di anno in anno, oltre
a conferirgli l’inviolabilità, gli consente di convocare il Senato, porre il veto alle sue
deliberazioni, far votare le leggi e, in definitiva, influenzare tutti gli affari di politica
interna. Tuttavia, la carica che gli spiana definitivamente la strada per il conseguimento del potere assoluto è l’imperium proconsolare, cioè il comando sulle province e, di
conseguenza, anche sulle forze armate che in esse risiedono. Valore sostanzialmente
onorifico hanno invece i titoli, conferitigli successivamente, di padre della patria e
pontefice massimo.
• Il riordinamento amministrativo
Per una più agile amministrazione della complessa realtà cittadina ed extraurbana
di Roma, Ottaviano divide territorialmente la capitale in 14 circondari e istituisce tre
nuove cariche per il governo locale della città:
— il prefetto urbano che, scelto tra i senatori, ha il comando della guarnigione di
Roma, con cui deve assicurare l’ordine pubblico in città e intorno ad essa per un
raggio di 100 miglia;
— il prefetto dei vigili, incaricato di sovrintendere a compiti di polizia, vigilanza notturna e spegnimento degli incendi;
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— il prefetto dell’annona, deputato a provvedere all’approvvigionamento e alla distribuzione gratuita di grano ai cittadini romani nullatenenti.
Il bacino da cui Augusto attinge i suoi collaboratori più stretti è il Senato, che, riportato a 600 membri (come in epoca sillana), continua a costituire la classe dirigente
dello Stato.
Ottaviano procede anche ad una riorganizzazione territoriale dell’Italia, che viene
divisa in 11 regioni.
Inoltre, la vastità dei territori sottomessi da Roma lo induce a dividere le province mediante la distinzione tra province imperiali, sottoposte al diretto controllo
dell’imperatore e governate da luogotenenti di nomina imperiale (Spagna tarragonese,
Gallia, Siria, nonché l’Egitto, considerato patrimonio personale di Augusto), e province
senatorie, lasciate appunto al controllo del Senato. Mentre le prime versano i tributi
direttamente alla cassa personale dell’imperatore (fiscus), le altre li versano all’erario,
il tesoro dello Stato. Per rendere più agevoli le comunicazioni tra Roma e le province
vengono creati, altresì, una fitta rete stradale e un efficientissimo servizio postale.
• La riforma militare e la politica estera
Oltre a sviluppare il criterio del reclutamento volontario (già introdotto da Mario), che
conferisce all’apparato militare una veste ancora più professionale, Augusto introduce
l’importante innovazione dell’esercito a carattere permanente, cosicché i marinai
devono impegnarsi per 26 anni di “ferma”, i fanti per 20 e i cavalieri per 10; inoltre,
per pagare l’indennità ai veterani, viene creato un apposito istituto finanziario, l’erario
militare. Compare, infine, una nuova figura di rilievo, quella del prefetto del pretorio,
che comanda appunto i pretoriani, soldati scelti con il compito di proteggere il principe e
prevenire o soffocare sul nascere ogni tentativo di rivolta, i quali, col passare del tempo,
assumeranno un ruolo così importante da imporre la loro volontà agli stessi imperatori.
In politica estera Augusto conduce azioni essenzialmente difensive: pacifica la
Spagna, affidando la repressione delle rivolte in atto a suo genero, Vipsanio Agrippa
(20-19 a.C.); ricompone temporaneamente, con un’abile azione diplomatica, la difficile
vertenza con i parti; interviene “preventivamente” contro i camunni della Valcamonica
e contro i salassi, la tribù che controllava i principali valichi alpini, nel cui territorio
viene fondata la colonia militare di Augusta Praetoria (Aosta). Ben più ostico si rivela lo
scontro con i germani che premono alle frontiere settentrionali, contro i quali Augusto
invia suo figlio adottivo, Druso, che si spinge fino al fiume Elba, dopodiché, alla sua
morte, il comando delle legioni passa al fratello Tiberio, che si impegna a stabilizzare le
frontiere del Reno. Tali conquiste vengono però vanificate dalla ribellione dei cherusci,
i quali, capeggiati da Arminio, fanno strage delle legioni romane cadute in un’imboscata nella foresta di Teutoburgo (9 d.C.). La sconfitta sarà poi vendicata da Tiberio e
da suo nipote Germanico (figlio di Druso), finché lo stesso Augusto ordinerà il ritiro
delle legioni dalla riva sinistra del Reno per evitare un’inutile guerra di logoramento.
• Lo splendore dell’età augustea
Il lungo periodo di pace dà presto i suoi frutti, tanto che l’età di Augusto è da considerarsi certamente la più splendida e “creativa” dell’intera storia romana.
Rifioriscono i commerci e le attività economiche, ma nello stesso tempo l’imperatore invita tutti i sudditi al rispetto delle virtù civili, del sentimento religioso e familiare, dell’austerità dei costumi: insomma al
recupero di quei valori che avevano fatto la grandezza di Roma e che si erano lentamente dispersi. In qualità
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di pontifex maximus, egli si dedica a una vera e propria restaurazione religiosa, attuando una riforma che
farà del culto degli dèi un utile strumento di governo. Pertanto, da un lato rafforza il ruolo dei sacerdoti,
ripristina culti dimenticati e riedifica i templi andati distrutti durante le guerre civili; dall’altro introduce il
culto del genius (spirito protettore) del sovrano e istituisce la nuova festività dei Ludi saeculares, nei quali
viene solennemente esaltata la dea Roma.
Sotto Augusto, e poi durante tutto il I secolo d.C., Roma diventa una città monumentale, ma l’imperatore
non si limita ad abbellirla, bensì ne avvia lo sviluppo urbanistico e il rinnovamento edilizio con l’elaborazione
di un ordinato piano regolatore. Tra le costruzioni più importanti sono da citare il Pantheon (poi ricostruito
dall’imperatore Adriano), il Teatro di Marcello, l’Augusteum e l’imponente Ara pacis Augustae, l’altare che nel
13 a.C. il Senato dedica all’imperatore per celebrarne il ritorno dalla Gallia.
Nella sua opera di ristrutturazione Augusto si avvale della collaborazione di Mecenate, suo amico e
consigliere politico, il quale si distingue soprattutto per l’appoggio dato ad artisti e letterati (mecenatismo).
Proprio nell’ambito della letteratura, che si presta ad essere un ottimo veicolo per procacciare il consenso,
emergono autori di straordinario talento: Virgilio, che nell’Eneide rievoca la leggendaria epopea di Roma,
consacrando, nello stesso tempo, l’origine divina di Augusto; Orazio, che nel Carmen saeculare e nelle Odi
celebra la grandezza dell’Urbe; Ovidio, che pure conclude la sua opera principale, le Metamorfosi, con l’apoteosi di Augusto; senza dimenticare Tito Livio, lo storico che, nei 142 libri dell’opera Ab urbe condita (Dalla
fondazione di Roma), narra la storia di Roma dalle origini alla morte di Claudio Druso (9 a.C.).
Infine, negli ultimi anni del suo regno, Augusto designa come proprio erede al trono
il figliastro Tiberio, il quale verrà poi accettato con il pieno consenso del Senato alla
morte dell’imperatore, che avviene nel 14 d.C. a Nola, in Campania, durante un viaggio.
3. Gli imperatori della dinastia giulio-claudia
Il primo successore di Augusto, Tiberio, è l’iniziatore della dinastia giulio-claudia
(14-68 d.C.), con cui si afferma il principio dell’ereditarietà dell’impero, in virtù del
quale la successione al trono avviene per eredità nell’ambito della stessa famiglia. In
effetti tale criterio regola il passaggio dei poteri monarchici durante tutto il I secolo d.C.
per gli imperatori appartenenti sia alla dinastia giulio-claudia che alla dinastia flavia,
così denominate dalle rispettive gentes di provenienza.
3.1 Tiberio (14-37)
Salito al trono nel 14 d.C., all’età di 56 anni, Tiberio decreta, in pratica, la scomparsa
del ruolo politico del popolo, poiché non solo abbandona gradualmente la convocazione
delle assemblee legislative, ma soprattutto affida al Senato la nomina dei magistrati,
prerogativa da sempre appartenuta ai comizi popolari, che da questo momento in poi
si limiteranno semplicemente a ratificare per acclamazione la nomina dei funzionari.
Egli tenta di rafforzare l’economia tagliando le spese inutili o eccessive, colpendo gli
abusi dei governatori nelle province e creando una banca nazionale che venga incontro
agli interessi degli agricoltori, mentre in politica estera segue con decisione la strada
della prudenza, evitando guerre espansionistiche e preferendo sempre, ogni volta che
ciò sia possibile, la soluzione diplomatica a quella delle armi. Negli ultimi anni di regno pensa di ritirarsi nella sua bellissima villa di Capri, lasciando a Roma, come suo
luogotenente, Seiano, il prefetto del pretorio, che tuttavia, dopo aver fatto avvelenare
il figlio di Tiberio, Druso, trama un complotto ai danni dello stesso imperatore, che
dunque è costretto a tornare nell’Urbe, dove reprime la congiura nel sangue (31). Poi
regna ancora per sei anni, finché muore nel 37, ormai settantottenne.
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3.2 Caligola (37-41)
Tiberio lascia eredi alla pari suo nipote Tiberio Gemello e Caio (figlio di Germanico), soprannominato Caligola per via delle calzature militari (caligae) che portava già
da bambino, quando andava al seguito del padre. Alla fine la scelta cade su Caligola, il
quale, salito al potere nell’anno 37, conquista il favore popolare grazie agli abbondanti
donativi, all’abolizione di alcuni tributi, all’aumento del soldo dei militari e all’organizzazione di grandiosi spettacoli pubblici, ragion per cui finisce per dissanguare le casse
dello Stato. A un certo punto la sua condotta subisce un brusco cambiamento dovuto
anche, a quanto pare, a disturbi psichici che ne sconvolgono l’equilibrio. Preso da
manie di grandezza, introduce il cerimoniale, tipicamente orientale, della proskinesis
(un atto di omaggio al sovrano, di tradizione mesopotamica, consistente in un bacio,
simbolo della pace, inviato sulla punta delle dita e accompagnato dalla genuflessione),
imposta regolarmente a tutti coloro ai quali dà udienza. Inoltre, fra le altre stranezze,
fa decapitare molte statue di divinità per sostituirvi la propria testa, dopodiché ordina
l’uccisione di numerosi cittadini facoltosi per poterne incamerare le ricchezze, finché,
dopo soli quattro anni di regno, odiato da tutti, cade vittima di una congiura organizzata
dal tribuno del pretorio Cassio Cherea (41).
3.3 Claudio (41-54)
Dopo l’eliminazione di Caligola la successione si presenta difficile, finché i pretoriani
impongono l’investitura di Claudio (fratello di Germanico e zio di Caligola), che si distingue sia per le riforme in campo amministrativo, creando la figura dei liberti-funzionari
(ai quali affida la direzione dei vari uffici in cui ripartisce l’amministrazione statale),
sia per l’attenzione riservata al rinnovamento edilizio della città, con una serie di opere
pubbliche comprendenti la bonifica del lago Fucino, la costruzione del porto di Ostia e
la realizzazione di due nuovi acquedotti, l’Aqua Claudia e l’Anio novus. Durante il suo
impero Roma estende anche i propri territori provinciali: in particolare, la Britannia
viene ridotta a provincia nel 43, mentre altre due nuove province vengono istituite in
Africa, dove si procede all’annessione della Mauritania (odierno Marocco).
Poco fortunata, invece, la vita privata di Claudio, che dopo aver divorziato dalle
prime due mogli sposa la dissoluta Messalina, la quale, però, dopo aver tramato contro l’imperatore, finisce uccisa per mano di un liberto, con il consenso del marito. La
nuova moglie di Claudio diventa Agrippina (figlia di Germanico), che da un precedente
matrimonio aveva avuto un figlio, L. Domizio Enobarbo, al quale cerca a tutti i costi
di assicurare la successione. A tal fine riesce a farlo adottare da Claudio con i nomi
di Nerone Claudio Druso Germanico Cesare, dopodiché, temendo che l’imperatore
possa avere dei ripensamenti a favore di Britannico, nato dalle nozze con Messalina,
fa avvelenare il marito (54) e subito dopo, con l’appoggio dei pretoriani, ottiene che
venga proclamato imperatore Nerone, l’elezione del quale viene confermata dal Senato.
3.4 Nerone (54-68)
I primi tempi del regno di Nerone, salito al trono a soli 17 anni, sono caratterizzati
dalla positiva influenza di Afranio Burro, il prefetto del pretorio “alleato” di Agrippina, e
di Lucio Anneo Seneca, il filosofo precettore dell’imperatore. Le cose cambiano quando
Agrippina, che si sente emarginata dal potere, minaccia di appoggiare le rivendicazioni
al trono da parte di Britannico (fratellastro di Nerone), il quale viene immediatamente
eliminato, anche se ciò non attenua lo scontro tra madre e figlio, che tocca l’apice quando
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Nerone, forse anche su istigazione dei propri consiglieri e della moglie Poppea, ordina
a due sicari di uccidere Agrippina (59). Da qui in avanti il suo comportamento diverrà
sempre più spietato e crudele.
Nel 67 si reca in Grecia, dove partecipa ai giochi atletici riportando (ovviamente) la vittoria assoluta in
tutte le specialità. Nello stesso tempo reprime nel sangue ogni tentativo di rivolta: nel 60 tocca ai britanni, nel
63 invia il generale Domizio Corbulone a sconfiggere i parti (63), mentre fra il 66 e il 73 affida a Tito Flavio
Vespasiano il compito di soffocare, sempre in Oriente, l’insurrezione degli ebrei.
Nel frattempo Roma è quotidianamente teatro di processi per lesa maestà, con
conseguenti condanne alla pena capitale. Nel 62, alla morte di Burro, diventa prefetto
del pretorio Ofonio Tigellino, che istiga l’imperatore a compiere altre atrocità. Nel 64,
quando un violento incendio, divampato improvvisamente, distrugge interi quartieri
della città, si sparge la voce che l’autore del disastro sia Nerone, il quale, per difendersi,
ne addossa la colpa ai cristiani, scatenando così una vera e propria persecuzione che
annovera, fra le altre vittime, gli apostoli Pietro e Paolo.
Contro Nerone si organizzano allora varie congiure, la più famosa delle quali è la
congiura dei Pisoni (65), così detta dal nome dell’organizzatore, l’aristocratico Calpurnio Pisone, che tuttavia fallisce, con conseguente massacro dei congiurati (alla congiura
avrebbero aderito anche Seneca, il poeta Lucano e lo scrittore Petronio). Tre anni dopo
insorgono le province occidentali, che su istigazione di un loro governatore, Caio Giulio Vindice, proclamano principe Sulpicio Galba. Anche in questo caso l’imperatore
pensa di poter domare la rivolta mettendo a morte Vindice, ma Galba riesce a passare
in Italia e a marciare verso Roma col suo esercito. Abbandonato da tutti, Nerone tenta
la fuga, ma quando capisce di non avere più scampo si suicida (68).
4. Gli imperatori della dinastia flavia
Alla morte di Nerone l’impero piomba nel caos. Galba, acclamato imperatore dalle
sue legioni, viene ucciso dopo pochi mesi dai pretoriani che eleggono al suo posto
Marco Salvio Otone (gennaio 69), mentre le legioni stanziate in Germania acclamano
imperatore il loro comandante, Aulo Vitellio, cosicché i due pretendenti si scontrano
presso Cremona (aprile 69), dove prevale Vitellio, che dunque comincia a governare.
Anche il suo regno, però, dura pochissimo tempo, perché le truppe stanziate in Giudea
proclamano imperatore il loro comandante, Tito Flavio Vespasiano, dalla parte del
quale passano gran parte delle legioni romane e gli stessi soldati di Vitellio, che infatti
viene assassinato il 20 dicembre del 69, sicché il giorno seguente Vespasiano ottiene il
riconoscimento del senato.
4.1 Vespasiano (69-79)
Tito Flavio Vespasiano ottiene il consenso del Senato e del popolo attraverso la lex
de imperio Vespasiani, un mandato con cui viene autorizzato a compiere qualsiasi atto
nell’interesse dello Stato, in forza del quale provvede anzitutto a restaurare la disciplina
militare e a risanare le finanze statali. Nello stesso tempo dispone anche la realizzazione di importanti opere pubbliche, fra cui l’imponente Anfiteatro Flavio (detto Colosseo
da una colossale statua di Nerone che sorgeva nei pressi), che sarà poi completato dal
figlio Tito.
Rientrato a Roma per la proclamazione imperiale mentre era impegnato nella guerra
giudaica, aveva lasciato al figlio Tito il compito di espugnare Gerusalemme, occupata
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nell’anno 70 (a ricordo dell’impresa sarà più tardi eretto, sotto Domiziano, lo splendido
Arco di Tito nel Foro romano). Vespasiano stesso conduce poi le vittoriose spedizioni sui
confini del Reno e del Danubio, dove viene fortificato il sistema difensivo, e in Britannia,
dove affida il comando dell’impresa a Giulio Agricola, suocero dello storico latino Tacito.
Al fine di assicurare la trasmissione dinastica del trono, l’imperatore associa al governo il figlio Tito, cosicché quando, dopo dieci anni di regno, Vespasiano muore (79),
il potere passa automaticamente all’erede designato.
4.2 Tito (79-81)
Asceso al trono nell’anno 79, Tito è stroncato da un’improvvisa malattia dopo soli due
anni di regno, peraltro funestati da una serie di sventure: un nuovo incendio di Roma,
una grave epidemia di peste, ma soprattutto l’eruzione del Vesuvio (79), che distrugge
le città di Ercolano, Pompei e Stabia, provocando la morte di migliaia di persone.
È possibile avere un’idea della drammaticità dell’evento dal racconto che ne ha fatto Plinio il giovane,
nipote dell’omonimo naturalista che perse la vita proprio nell’incauto tentativo di osservare troppo da vicino
lo straordinario fenomeno naturale.
4.3 Domiziano (81-96)
A Tito succede il fratello, Tito Flavio Domiziano, il quale, all’atto dell’assunzione
dei poteri, si presenta come nuovo imperatore davanti ai pretoriani prima ancora che
al Senato, mostrando così di voler instaurare un regime assolutistico. Lo stesso titolo di
dominus et deus, da lui preteso al momento della nomina, evoca una forma di governo
vicina alla monarchia assoluta di tipo orientale e abbastanza lontana dal principato
augusteo, nel quale si stabiliva un compromesso, almeno formale, tra la volontà del
princeps e quella del Senato.
In campo militare, assieme all’assoggettamento della Britannia meridionale, compiuto da Giulio Agricola, Domiziano conduce in prima persona la vittoriosa spedizione
contro i catti, una popolazione germanica che minacciava la sicurezza dei confini sul
Reno, sul territorio dei quali viene intrapresa la costruzione di una linea fortificata, il
cosiddetto limes germanicus, che, portato a compimento dai suoi successori, costituirà
per circa due secoli uno dei più importanti baluardi a difesa dalle invasioni germaniche. Meno brillante è l’esito della lotta contro i daci, stanziati nei territori dell’odierna
Romania, che serve solo a contenere, almeno temporaneamente, la pressione di quella
popolazione sulle province danubiane.
Negli ultimi anni di regno, a fronte di un’opposizione senatoria sempre più agguerrita
e insidiosa, Domiziano instaura un vero e proprio “regime del terrore”, che si concretizza non solo nelle numerose condanne a morte e confische di beni che colpiscono tutti
gli avversari del principe, ma anche in spietate repressioni religiose che, mascherate
dall’intento di voler difendere il culto tradizionale, si trasformano in terribili persecuzioni
ai danni soprattutto dei cristiani, ma anche dei giudei e, in generale, di tutti i seguaci
di un qualsiasi credo straniero. Inoltre vengono scacciati da Roma numerosi esponenti
della cultura greca, nel timore che le teorie da essi professate possano minare la base
ideologica del regime assolutistico.
Infine, nell’anno 96, Domiziano, ormai inviso a tutti, resta vittima di una congiura,
alla quale probabilmente partecipa anche sua moglie, l’imperatrice Domizia Longina.
Poco dopo il Senato ne decreta la damnatio memoriae, cioè la cancellazione del nome
dagli atti pubblici.
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Libro II - Storia d’Italia
5. La cultura nella Roma del I secolo d.C.
Nel periodo che va da Augusto a Domiziano si manifesta una straordinaria diffusione della cultura in tutto l’impero, dove, nei territori conquistati, sorgono nuove città e
quelle antiche si trasformano in grandi metropoli (Alessandria, Antiochia, Cartagine),
mentre in Occidente è Roma che emerge come maggiore centro culturale.
Nelle città pullulano le scuole, istituzioni private dotate di un maestro unico, le quali coprono tutti i
gradi dell’istruzione, anche se per i livelli superiori (filosofia, medicina, retorica) bisogna recarsi ad Atene o
in altri centri specializzati.
All’interno dell’impero sono due le lingue più diffuse: il greco, usato soprattutto nelle province orientali,
e il latino, usato in quelle occidentali, sicché si sviluppano due letterature, quella greca e quella latina. La
prima, che comincia a fiorire verso la fine del I secolo d.C., ha uno dei suoi maggiori esponenti in Plutarco,
il geniale biografo dei più grandi personaggi greci e romani. Insieme a lui vanno ricordati Lucio Anneo Seneca (precettore di Nerone), il poeta epico Lucano, il poeta satirico Persio, Petronio (autore del Satyricon),
ma anche geografi e naturalisti come Plinio il vecchio e Plinio il giovane. Sono di questo periodo, altresì, i
primi trattati tecnici, come il De architectura di Vitruvio e il De re rustica di Columella.
In ambito artistico si sviluppano soprattutto l’architettura e la statuaria monumentale. Tra i palazzi più
belli c’è la Domus aurea voluta da Nerone, straordinariamente abbellita con stucchi e dipinti
Oltre al culto dell’imperatore, introdotto da Augusto e imposto dai suoi successori, trovano spazio a
Roma nuove religioni che meglio si prestano al bisogno di spiritualità, ovvero di fede autentica, non legata
all’esteriorità dei riti ufficiali. Si tratta del culto di Iside, dell’ebraismo e, soprattutto, del cristianesimo, che,
proveniente dalla Palestina, si diffonde rapidamente anche tra le classi più elevate, pur essendo fortemente
osteggiato dal potere che ne teme la forza eversiva, per cui tenta di reprimerlo, in particolare con Nerone e
Domiziano, mediante feroci persecuzioni.
6. Gli imperatori del principato adottivo
Il secondo secolo di vita dell’impero, caratterizzato da una grande stabilità politica,
è noto anche come il periodo del principato adottivo, un principio di garanzia in virtù
del quale l’imperatore in carica sceglie il successore al di fuori della propria famiglia
e, secondo il criterio della «scelta del migliore», tra le rappresentanze dei più potenti
ceti italiani e provinciali. Tale principio, elaborato dalla filosofia stoica, è pienamente
condiviso dal Senato, che spera, in tal modo, di evitare la degenerazione del principato
in monarchia assoluta.
6.1 Nerva (96-98)
Alla morte di Domiziano il Senato riesce ad imporre sul trono un proprio esponente,
M. Cocceio Nerva, che nel suo breve regno, durato appena due anni, allenta la pesante
pressione fiscale sui cittadini e cerca di alleviare la crisi agricola ricorrendo alla concessione di prestiti a basso interesse ai contadini e alla cosiddetta frumentazione, ossia alla
distribuzione gratuita di frumento alla plebe romana (un istituto che, introdotto fin dai
tempi di Caio Gracco, viene poi utilizzato anche in epoca imperiale per fini demagogici
e populistici). Ben presto, temendo un colpo di mano dei pretoriani, egli associa al potere M. Ulpio Traiano, governatore della Germania, dopo averlo adottato come figlio.
6.2 Traiano (98-117)
Nativo della Spagna, è il primo imperatore di origine provinciale, a dimostrazione
di come il baricentro dell’impero si vada gradualmente spostando dall’Italia verso le
province, che peraltro, in quanto a sviluppo economico e culturale, non sono da meno
rispetto alla capitale. Il suo operato raccoglie consensi sia presso il Senato, che gli
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conferisce il titolo di optimus princeps, sia presso i soldati, che ne apprezzano le doti
militari, mentre il vasto programma di edilizia pubblica da lui voluto gli concilia anche
il favore del popolo.
Poiché Roma necessita di nuovi territori per far fronte alla crisi economica, per
assicurarsi nuove masse di schiavi e per avere la possibilità di insediare coloni italici
nelle regioni sottomesse, Traiano conduce diverse guerre di conquista, che portano,
in particolare, all’assoggettamento della Dacia (l’attuale Romania, conquistata fra il
101-102 e il 105-106) e della penisola arabica fino ai margini della zona semidesertica,
entrambe costituite in province, così come tre nuove province (Armenia, Mesopotamia,
Siria) vengono istituite al di là dell’Eufrate, mentre un’altra spedizione contro i parti,
iniziata nel 114, non viene conclusa perché tre anni dopo, nel 117, l’imperatore viene
stroncato da una grave malattia a Schinunte.
6.3 Adriano (117-138)
Traiano adotta come successore Publio Elio Adriano, anch’egli originario della
Spagna: lo conduce a Roma in tenera età, provvede alla sua educazione e gli fa sposare
la nipote Vibia Sabina.
In politica estera il nuovo imperatore bada anzitutto a consolidare le frontiere dell’impero, per cui fa erigere in Britannia il Vallum Adriani, una grandiosa fortificazione che
attraversa la regione per 120 km da costa a costa; inoltre conduce una nuova, cruenta
repressione contro i giudei, al termine della quale Gerusalemme diventa una colonia
militare romana (135).
In campo amministrativo realizza varie riforme: accentua la romanizzazione
della burocrazia, sostituendo i liberti (in genere stranieri) con elementi appartenenti
all’ordine equestre; divide in quattro distretti amministrativi (governati ciascuno da
un rappresentante imperiale) l’Italia, che così viene equiparata alle province; provvede
a unificare la legislazione dell’impero sostituendo i numerosi editti pretori precedenti
con l’Edictum perpetuum, codificato nel 131 da Salvio Giuliano.
Durante il suo governo Adriano mostra una spiccata inclinazione per la cultura greca, come conferma
il suo lungo soggiorno ad Atene, dove cerca di far rivivere i fasti dell’età classica rivestendo egli stesso la
suprema magistratura, l’arcontato. La sua ammirazione per l’arte greca è evidente nell’architettura di Villa
Adriana, presso Tivoli, sua residenza preferita; allo stesso imperatore si deve, altresì, la costruzione a Roma
della Mole Adriana (oggi Castel Sant’Angelo).
6.4 Antonino Pio (138-161)
Il II secolo, considerato il periodo aureo della storia della Roma imperiale, è chiamato
anche l’età degli Antonini dal nome di Tito Elio Adriano Aurelio Antonino, al quale
il Senato attribuì l’appellativo di Pio per la sua condotta mite sia in politica interna che
nei rapporti con gli Stati confinanti. Adottato da Adriano pochi mesi prima di morire,
Antonino era nato da una ricca famiglia originaria di Nemausus (Nimes). Durante
il suo impero viene eretto in Britannia il Vallo di Antonino, poderosa costruzione
fortificata lunga 60 km, collocata più a nord di quella di Adriano, posta a difesa del
limes (1) romano. Accanto ai suoi provvedimenti in campo economico e sociale (come
quelli a favore degli orfani e degli schiavi) e al suo tentativo di moralizzazione della
(1) Limes: in origine era la striscia di terra su cui avanzava l’esercito romano in territorio nemico. In seguito il termine
indicò una strada militare munita di torri di avvistamento e fortificazioni. In epoca imperiale per limes si intendeva il confine
vero e proprio, naturale e artificiale, segnato da una barriera ininterrotta di fortificazioni.
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Libro II - Storia d’Italia
vita pubblica, va segnalata pure una maggiore tolleranza nei confronti delle religioni
orientali e dei cristiani. Muore a 75 anni, dopo aver designato come suo successore
Marco Aurelio.
6.5 Marco Aurelio (161-180)
Appena salito al trono Marco Aurelio divide il titolo con Lucio Vero, suo fratello
adottivo, cosicché per la prima volta nella storia di Roma si hanno due imperatori al
potere, anche se in realtà il governo effettivo dello Stato rimarrà sempre nelle mani di
Marco Aurelio, conosciuto anche come l’«imperatore filosofo», perché autore di una
raccolta di pensieri vari ispirati alla filosofia stoica.
Malgrado questo appellativo, il suo principato si contraddistingue per le numerose
campagne militari condotte soprattutto a scopo difensivo, le più importanti delle quali
sono fondamentalmente due. La prima è quella che Lucio Vero combatte vittoriosamente
nel 163 contro il re dei parti Vologese III, che consente di riportare sotto il controllo di
Roma diverse province orientali di cui si erano impossessati i parti, fra cui l’Armenia e la
Mesopotamia. La seconda è quella guidata fra il 167 e il 175 dallo stesso Marco Aurelio
contro i quadi e i marcomanni, popoli barbarici di stirpe germanica che, dopo aver
oltrepassato la frontiera romano-danubiana, erano giunti a insediarsi fin nelle regioni
della Venetia (l’attuale Veneto) e di Aquileia.
Il principato di Marco Aurelio è funestato dalla terribile epidemia di peste che,
importata dalle legioni di ritorno dalla campagna contro i parti, si diffonde in tutto l’impero provocando la morte di circa metà della popolazione e dello stesso imperatore, che
lascia erede del regno il figlio Commodo (180), da lui associato al governo fin dal 176,
anche perché Lucio Vero era morto da tempo (169). In tal modo viene meno il principio
dell’adozione che per quasi un secolo aveva visto prevalere, almeno nei presupposti, il
criterio della «scelta del migliore» su quello della semplice trasmissione del potere di
padre in figlio; una scelta, quest’ultima, che tuttavia s’impone inevitabilmente quando,
come nel caso di Marco Aurelio, l’imperatore in carica ha una discendenza diretta.
6.6 Commodo (180-192)
Salito al potere all’età di 19 anni, Commodo riesce ad ingraziarsi il favore della plebe organizzando fastosi giochi circensi ed elargendo lauti donativi, mentre si dimostra
ostile e sospettoso verso i senatori, contro i quali emette numerose condanne a morte,
finché nel 192 cade vittima di una congiura. Sono però deluse le speranze senatorie
di ripristinare il principio adottivo nella successione imperiale: ogni rapporto con la
tradizione del principato, inaugurata da Augusto, è rotto per sempre, sicché nel secolo
successivo l’impero si trasformerà in una struttura assolutistica, militarizzata e dispotica.
7. La cultura nella Roma del II secolo d.C.
L’età degli Antonini coincide con il momento di maggiore espansione territoriale
dell’impero, mentre la pax romana, estesa a tutte le province, favorisce lo sviluppo
economico e sociale: dalla Gallia all’Africa (il “granaio dell’impero”), fino alle province
orientali, le quali, in virtù della ricchezza di materie prime e di manodopera, nonché
di un’antichissima tradizione artigianale e di una rete viaria particolarmente efficiente,
diventano il vero fulcro della vita economica dell’impero.
Capitolo 3 - Roma in età imperiale
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Gli storici moderni hanno dato il nome di impero umanistico al periodo che va dal regno di Adriano a
quello di Marco Aurelio, le cui radici vanno individuate nel particolare livello culturale della casa antonina.
Fra i massimi esponenti della letteratura del periodo occorre citare Apuleio (autore delle Metamorfosi o Asino
d’oro), Frontone (il retore precettore di Marco Aurelio), nonché esponenti della letteratura cristiana come
Lattanzio, Tertulliano, Agostino, le opere dei quali costituiscono un’arma di difesa della nuova dottrina
religiosa contro l’impero, che vede nel cristianesimo una minaccia ai fondamenti ideologici del proprio potere.
Nel settore artistico si punta ad ottenere soprattutto l’effetto prospettico, che raggiunge livelli notevoli
nei bassorilievi della Colonna traiana e della Colonna antonina.
Lo Stato s’interessa anche della promozione e diffusione della cultura, con contributi alle scuole pubbliche
e con l’istituzione di biblioteche, la maggiore delle quali è quella voluta da Traiano.
8. L’età dei Severi
8.1 Settimio Severo (193-211)
Dopo la morte di Commodo si scatena una vera e propria guerra civile per la successione fra i pretoriani e i soldati delle varie legioni, ognuna delle quali vorrebbe acclamare
un proprio imperatore, finché fra i vari pretendenti emerge Settimio Severo, di origine
africana, comandante delle legioni stanziate in Pannonia e in Illiria, il quale si distingue
per il notevole potenziamento dell’apparato militare e per l’attuazione di un regime fortemente assolutistico che privilegia il potere centrale a danno dell’autorità del Senato.
La società romana è divisa in due categorie: gli honestiores (la classe privilegiata
comprendente gli alti gradi dell’esercito, i senatori, i cavalieri, i grandi proprietari terrieri) e gli humiliores (i plebei), sebbene anche questi ultimi siano tenuti in una certa
considerazione poiché i legionari, nerbo dell’esercito, provengono proprio dai ceti meno
abbienti. Inoltre, tra i legionari prevalgono i non italici, ossia i provinciali, e cominciano
ad entrare anche numerosi germani, dando inizio al processo di barbarizzazione delle
legioni.
A favore dell’esercito viene istituita l’annona militare, in virtù della quale i proprietari
terrieri devono consegnare allo Stato una parte del raccolto agricolo per il vettovagliamento delle truppe. Gran parte del regno di Settimio Severo può essere dedicata, così,
alle campagne militari, che consentono di conquistare la capitale del regno dei parti e
di intraprendere una nuova spedizione in Britannia, dove l’imperatore muore nel 211.
8.2 Caracalla (211-217)
A Settimio Severo succede il figlio Caracalla (così soprannominato per via di un
particolare mantello di foggia barbarica che indossa abitualmente), che subito dà
prova di inaudita crudeltà: infatti, oltre a far uccidere il fratello Geta, che il padre gli
aveva associato al trono, fa strage di 20.000 dei suoi sostenitori, fra i quali il famoso
giureconsulto Papiniano. In politica interna egli emana nel 212 la cosiddetta Constitutio antoniniana (o Editto di Caracalla), che concede la cittadinanza romana a tutti gli
abitanti liberi dell’impero, per cui, a partire da questo momento, italici e provinciali
saranno effettivamente equiparati nel godimento dei diritti politici e civili. Caracalla,
al cui nome restano legate anche le grandiose Terme fatte costruire a Roma, viene poi
ucciso da un suo soldato nel corso di una spedizione contro i parti (217).
8.3 L’anarchia militare (235-284)
I successori di Caracalla, Macrino ed Eliogabalo, hanno entrambi vita breve e muoiono di morte violenta. Altrettanto avviene con Alessandro Severo (222-235) che, salito
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Libro II - Storia d’Italia
al trono a soli 14 anni, dimostra di essere dotato di saggezza ed equilibrio, finché viene
ucciso, assieme alla madre, da un suo stesso collaboratore. Con lui finisce la dinastia
dei Severi e comincia il periodo detto dell’anarchia militare, dal momento che sono i
soldati ad eleggere e deporre gli imperatori.
Fra gli altri può essere ricordato Decio (249-252), sotto il quale i cristiani subiscono una sanguinosa persecuzione su espresso ordine dell’imperatore. Alla sua morte,
avvenuta nel corso della guerra contro i goti, sale al trono Valeriano (253), che, dopo
aver associato al trono il figlio Gallieno, viene fatto prigioniero combattendo contro i
persiani in Oriente, sicché Gallieno resta solo a lottare contro le continue invasioni dei
barbari, che ormai attaccano l’impero su tutti i fronti.
Alla morte di Gallieno, avvenuta in seguito a una congiura nel 268, segue una serie
di “imperatori illirici” (così detti perché tutti provenienti dalla zona dei Balcani), fra
i quali si distingue la figura di Aureliano (270-275), il quale, a difesa dalle invasioni
barbariche che ormai minacciano da vicino la stessa Roma, fa cingere la città da un’imponente cerchia di mura (Mura aureliane), i cui resti sono visibili ancora oggi. Nel
275 una congiura militare elimina anche Aureliano, dopodiché i soldati continuano
a designare imperatori-fantoccio, finché dalla mischia emergerà, nel 284, un giovane
ufficiale, Diocleziano, anch’egli di origine dalmata.
9. La cultura nella Roma del III secolo d.C.
Nel III secolo d.C. si sviluppa a Roma il mecenatismo, che favorisce giuristi come
Papiniano e Ulpiano, storici come Dione Cassio, medici come Galeno. L’assolutismo
politico, invece, mette a tacere le libere voci dei letterati, che pertanto si dedicano allo
studio e all’imitazione delle opere del passato. Nello stesso tempo fioriscono le opere
religiose e i testi cristiani: in particolare si diffondono le opere degli apologeti o apologisti (che confutano le accuse rivolte al cristianesimo), le più famose delle quali sono
quelle di Tertulliano, Minucio Felice, Origene di Alessandria d’Egitto (che scrive
in lingua greca).
Nel III secolo si sviluppa anche, dopo l’epicureismo e lo stoicismo, l’ultima grande
filosofia del mondo antico, il neoplatonismo (così detto perché ha come fondamento la
filosofia platonica), il cui fondatore, nonché massimo esponente, è Plotino.
10. Il cristianesimo e l’impero
Sulla scia di quanto già iniziato nel II secolo d.C., anche nel secolo successivo risultano innumerevoli i riti, i culti, le tradizioni religiose che, soprattutto dall’Oriente,
penetrano nel mondo romano.
Diversamente dal pontifex romano, che si limita a svolgere il ruolo di custode della tradizione, i sacerdoti
di Cibele, Mitra, Baal, Iside hanno il potere di catturare l’attenzione dei fedeli col fascino esercitato dalle loro
cerimonie religiose, i misteri, così denominati perché soltanto coloro che li praticano ne possono conoscere i
segreti. Il fatto stesso che tali culti dilaghino nell’impero testimonia come la profonda crisi di questo periodo
non sia soltanto di natura politica ed economica, ma anche spirituale.
Se le altre religioni vengono sostanzialmente accettate dall’autorità imperiale, non
altrettanto avviene per il cristianesimo, la cui dottrina rigidamente monoteista rifiuta
il culto della persona dell’imperatore. Inoltre, i semplici precetti contenuti nell’insegnamento di Cristo stravolgono taluni principi solidamente radicati nella società del tempo,
Capitolo 3 - Roma in età imperiale
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come la supremazia dei forti sui deboli, il naturale diritto dei potenti ad avere privilegi,
la soggezione dei poveri. Ecco perché il cristianesimo produce grandi turbamenti nel
potere politico, che a sua volta reagisce con cruente persecuzioni, attuate in misura
crescente e proporzionale alla diffusione delle dottrine cristiane fra tutti gli strati della
popolazione, dai ceti meno abbienti a quelli più ricchi e potenti. Occorre riferirsi, in
particolare, a quella attuata da Decio nel 250, quando ai cristiani vengono imposte
l’abiura e la partecipazione ai culti pagani, con la condanna a morte di tutti coloro che
le rifiutano (le vittime vengono designate col nome di màrtiri, cioè «testimoni» della
fede). Anche Valeriano tenterà di sradicare il cristianesimo dall’impero (257-258), imponendo al clero cristiano di sacrificare agli dèi pagani e condannando a morte molti
neoadepti, ma senza riuscirvi.
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