Programma - Università degli Studi di Palermo

Programma Spais 2013
12/07/2013
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Programma di SPAIS 2013
Lun 22
mar-23
Mer 24
Gio 25
Ven 26
9.00
Lo Coco
Nicolai
Pessa2
Milardi
10.00
Mulè
Serio
Tomasello
Rochat
Pellegri
Pessa1
Gembillo
Ting
Sab 27
Tavola rotonda DSA
11.00
11.30
12.30
Chiusura e saluti
13.00
PRANZO
14.00
15.00
Registrazione
16.00
Apertura
Poster
Arecchi
Pellegri
17.00
18.00
Programma sociale
lab ting1 lab ting2
19.00
20.00
20.30
21.30
CENA
Dei
Elenco docenti
Fortunato Tito Arecchi, Dipartimento di Fisica, Università di Firenze e INO-CNR, [email protected]
Caos , Percezione e Linguaggio: dinamica dei processi cognitivi
Il nome di Caos deterministico è stato attribuito al fatto che il modello matematico di un sistema fisico, anche se
apparentemente semplice perché consiste di poche equazioni, non garantisce una soluzione che preveda il futuro
remoto, in quanto l’informazione si “consuma” al passare del tempo e va rimpiazzata da nuova informazione. Il tempo
entro cui il grosso dell’informazione si perde dipende dal sistema: nel caso del sistema solare, esso è attorno al
milione di anni (è perciò che il sistema solare ci appare stabile) ma nel caso degli impulsi elettrici (detti spikes) con cui i
neuroni del cervello comunicano fra di loro, è solo 2 millesimi di secondo.
Qui occorre distinguere fra due tipi di caos: un caos geometrico, per cui il punto rappresentativo di un evento si scosta
da una traiettoria “ semplice” ed esegue figure non prevedibili ( il cosiddetto “effetto farfalla”dei modelli
meteorologici) e un caos temporale per cui una forma stereotipata (un impulso di forma fissa) si ripete a tempi
imprevedibili .Questo secondo tipo è detto “caos omoclinico” perché consiste nel ritorno di un punto alla stessa
posizione ( come la lancetta dei secondi dell’orologio che ritorna ogni minuto alle 12) ma se ne diparte con tempi non
uguali l’uno all’altro.
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Un vivente si mantiene con successo perché all’arrivo di uno stimolo sensorio reagisce con una adeguata risposta
motoria. In un monocellulare si tratta di un riflesso (le ciglia del paramecio stimolato da un segnale chimico o
luminoso), in un animale con cervello, il codice dello stimolo viene confrontato con il codice di memorie pregresse e
ne consegue una “interpretazione”, cioè una percezione.
Ma perché ciò avvenga, occorre sincronizzare le spikes di folle di neuroni, perché si adeguino allo stesso codice (la
sincronizzazione si raggiunge quando ad esempio una folla batte le mani all’unisono). Ciò richiede un certo numero di
millisecondi (qualche centinaio, fino a 1 secondo), ben oltre i 2 millisecondi entro cui il caos cancella l’informazione di
una spike.
La sincronizzazione si configura dunque come un “controllo del caos”; senza di questo , saremmo condannati a non
“capire” niente del mondo che ci circonda.
Se ora passiamo a noi umani, qui c’è una novità legata al linguaggio, per cui la coppia “stimolo-memoria” della
percezione diventa la coppia “1° brano-2° brano” di un testo linguistico (letterario, musicale ecc) e al posto della
risposta motoria qui abbiamo un “giudizio” cioè decidiamo sulla concordanza dei significati del 2° brano in base ai
significati del 1° brano.
L’esplorazione dei possibili significati del 1° brano, per scegliere quelli che più si conformino al 2°, corrisponde a
prospettarsi diverse sequenze di spikes fino a scegliere quella che assicura la migliore sincronizzazione.
Qui interviene un elemento nuovo, cioè la coscienza di se stesso: colui che sceglie il significato del 1° brano deve
essere consapevole di essere lo stesso cui si presenta il 2°-.Questa coscienza è ben distinta dalla semplice
consapevolezza di essere esposti a un certo stimolo da cui nasce la percezione e la corrispondente risposta motoria in
un animale.
Nella esplorazione di procedure linguistiche, piuttosto che risolvere modelli di reti di neuroni accoppiati da
sincronizzazione, si ricorre a una spiegazione olistica, che tratti il problema da un punto di vista unitario.
Precisamente, nei processi percettivi, si ricorre alla “inferenza di Bayes”; essa presuppone l’esistenza di algoritmi
appropriati nella memoria. E’ una strategia rapida ma che vale solo per un mondo semplice.
Per contro in presenza della “complessità”, gli algoritmi preesistenti non sono applicabili e occorre costruirne “ad hoc”
di nuovi. Si mostra come la “inferenza di Bayes inversa” permetta la costruzione di nuovi algoritmi.
Nella lettura di un testo (letterario,musicale, pittorico) il nuovo algoritmo connette i brani del testo , interpretando il
successivo in termini del precedente. Nella esplorazione cognitiva del mondo, l’algoritmo che interpreta situazioni
diverse ma legate da un filo comune (analogia) è il “concetto” che ha perciò un base ontologica e non è una pura
invenzione mentale.
Luigi Dei, Dipartimento di Chimica "Ugo Schiff", Università di Firenze, [email protected]
Da Schubert a De André: i misteri della voce in musica
Lo spettacolo per voce recitante, multimedia e musica cantata, è una sorta di favola in cui il narratore – la voce
recitante interpretata dall’autore –, avvalendosi delle immagini di una presentazione multimediale e ricorrendo a
registrazioni audio o video, accompagna il pubblico in un percorso affascinante fra le caratteristiche fisiologiche della
voce e le sue applicazioni al canto, avventurandosi anche nei meandri delle interazioni fra la voce in musica e le nostre
percezioni neurofisiologiche. Il percorso della pièce è, in breve, il seguente. La canzone, l’aria d’opera, il Lied, insomma
la voce in musica, quale stimolo culturale produce rilascio di dopamina al pari di stimoli biologici pre-culturali quali
fame, sesso, paura: questo l’esito di uno studio di scienziati canadesi pubblicato nel 2011 su Nature Neuroscience. La
"voce cantata" è strumento musicale di straordinaria complessità scientifica, potentissimo marchingegno umano per
suscitare immaginazione: le parole cantate, esprimendo il loro valore semantico, generano tuttavia non una, bensì
centinaia di idee e mettono in stato di allerta ed eccitazione tutto il nostro essere. Lo spettacolo illustra gli aspetti
scientifici della voce cantata, ma al contempo cerca di penetrare il mistero psicologico che sta dietro alla percezione
delle parole cantate, le quali, senza il potere seducente della musica, sarebbero spesso assolutamente insignificanti,
talvolta obsolete, quasi sempre totalmente prive di fascino. In una sorta di abbecedario della canzone dalla A
dell’amore che viene e che va di De André, fino all’ultima lettera dell’alfabeto che conclude, dando la Gute Nacht, lo
Schubertiano “viaggio d’inverno” per i sentieri della voce in musica, la pièce analizza i misteri della voce cantata,
quella educata e ben formata dei cantanti lirici, così come quelle dei cantautori, dei cantanti di musica leggera, delle
rock- e pop-star, dei jazzisti.
Giuseppe Gembillo, Dipartimento di Scienze Umane e Sociali, Università di Messina,
[email protected]
L’albero della Conoscenza
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Daniele Lo Coco, U.O. di Neurologia, , Dipartimento di Neuroscienze, Ospedale civico ARNAS,
Palermo, [email protected]
Organizzazione strutturale e funzionale del sistema nervoso centrale
Danilo Milardi, Istituto di Biostrutture e Bioimmagini, Consiglio Nazionale delle Ricerche ,
[email protected]
Misfolding e aggregazione delle proteine: le basi chimiche della neurodegenerazione.
Alla fine del 1901 il giovane neuropatologo tedesco Alois Alzheimer iniziò a studiare la complessa sintomatologia di
Auguste D. una signora di 51 anni che presentava disorientamento, allucinazioni e perdita di memoria. E’ il primo caso
conclamato di “demenza senile”, patologia in seguito universalmente definita come Morbo di Alzheimer. Una delle
principali peculiarità di questa patologia fu individuata dallo stesso Alzheimer nel 1906: un’analisi al microscopio dei
tessuti neuronali del malato mise in evidenza alcune placche dette amiloidi per la loro proprietà simile a quella
dell'amido di reagire con lo iodio. Il principale componente di questi aggregati fibrillari risultò essere una proteina (βamiloide) contraddistinta da una caratteristica conformazione. Ben presto si scoprì che molte altre patologie
neurodegenerative legate all’invecchiamento, come ad esempio il morbo di Parkinson, sono caratterizzate
dall'accumulo di una specifica proteina nei neuroni con conseguente alterazione del tessuto nervoso (proteinopatie).
Ad oggi tuttavia, nonostante la notevole mobilitazione di risorse destinate alla ricerca, queste malattie rimangono
incurabili. Ciò crea enorme allarme sociale specialmente in quelle aree come l’Europa dove è previsto un progressivo
aumento dell’età media della popolazione in un prossimo futuro. Non sappiamo ancora quale sia il miglior modo di
affrontare lo studio di queste malattie, ma certamente non è possibile prescindere dalla piena comprensione di quei
meccanismi che, a livello molecolare, giocano un ruolo nello sviluppo di queste patologie. Alcune questioni cruciali, in
particolare, restano ancora non del tutto chiarite: i) in quale modo una proteina perde improvvisamente le sue
normali caratteristiche strutturali/funzionali e si trasforma in un agente neurotossico? ii) Quali fattori promuovono
questo processo? iii) Quali caratteristiche chimiche deve avere un potenziale farmaco per interferire con questi
meccanismi? iv) Esistono dei metodi per la diagnosi precoce della patologia? Nel corso del seminario verrà presentata
una breve rassegna dei mezzi di cui la Chimica dispone per affrontare queste incognite.
Flavia Mulè, Dipartimento di Scienze Biologiche, Chimiche e Farmaceutiche, Università di Palermo,
[email protected]
Messaggi elettrici e chimici nella fisiologia del sistema nervoso
Il sistema nervoso ha la funzione di acquisire, coordinare e comunicare informazioni riguardanti sia l’ambiente interno
dell’organismo che quello esterno. Per realizzare questo compito, i neuroni hanno elaborato un sistema sofisticato per
generare segnali elettrici e segnali chimici. Un tipo di segnale elettrico, il potenziale d’azione, che consiste in una
rapida variazione del potenziale di membrana negativo a riposo, consente alle informazioni di viaggiare per tutta la
lunghezza di una cellula nervosa. La sua genesi può essere spiegata sulla base della permeabilità selettiva delle cellule
nervose ai diversi ioni e della normale distribuzione di questi ioni ai due lati della membrana cellulare. Altri tipi di
segnali, sia elettrici che chimici, si generano in corrispondenza delle connessioni sinaptiche tra le cellule nervose. Le
sinapsi rendono possibile la trasmissione delle informazioni mettendo in reciproco collegamento i neuroni che
formano circuiti dai quali dipende l’elaborazione nervosa. Questi due tipi di meccanismi di comunicazione – i
potenziali d’azione ed i segnali sinaptici – sono alla base di tutte le straordinarie capacità, proprie dell’encefalo, di
percepire, interpretare ed infine reagire agli stimoli.
Emanuele Nicolai, S.D.N., Istituto di Diagnostica Nucleare, Napoli, [email protected]
Imaging morfofunzionale in neurologia
Eliano Pessa, Dipartimento di Studi Umanistici, Università di Pavia, [email protected]
Prima Lezione : I più semplici modelli matematici del sistema nervoso
In questa lezione si passano in rassegna alcuni dei modelli più semplici del funzionamento di una rete neuronale,
focalizzandosi sui meccanismi basilari di apprendimento sia supervisionato che non supervisionato. Vengono
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analizzate le soluzioni finora proposte ai problemi fondamentali che affliggono questi modelli di rete, quali il dilemma
plasticità-stabilità, l’interferenza catastrofica, il binding problem e il grounding problem. Particolare attenzione viene
dedicata alla plausibilità psicologica di questi modelli, visti come descrittori del funzionamento del sistema cognitivo
umano o animale. L’esposizione viene arricchita dalla presentazione di implementazioni software di specifici modelli di
rete.
Seconda Lezione : I modelli realistici del funzionamento del sistema nervoso
In questa lezione si prendono in esame i modelli più sofisticati di ‘spiking neurons’, in grado di render conto di vari
aspetti del comportamento dei neuroni biologici. Questo permette di affrontare in modo più accurato il problema del
rapporto tra i comportamenti locali dei singoli neuroni e il funzionamento globale di una rete. Allo studio di tali aspetti
si aggiungono alcune nozioni sul ruolo della struttura topologica delle reti nel vincolare le leggi di funzionamento dei
singoli neuroni e sulla dipendenza di queste leggi dalle strutture esistenti all’interno delle cellule neuronali. In
quest’ultimo ambito viene data particolare rilevanza al citoscheletro e ai modelli che ne descrivono la dinamica.
Magali J. Rochat, Dipartimento di Neuroscienze, Università di Parma, [email protected]
Dalla scoperta dei neuroni specchio all’intersoggettività: implicazioni teoriche ed applicazioni
cliniche
La scoperta dell’esistenza di un sistema specchio nell’essere umano costituisce certamente una delle scoperte più
intriganti fatte nel corso degli ultimi anni nell’ambito delle Neuroscienze.
Il meccanismo specchio è un processo cerebrale che stabilisce una relazione diretta tra l'osservazione di un'azione
eseguita e la rappresentazione di questa stessa azione nella corteccia motoria di chi la osserva. Grazie a questo
meccanismo, l'azione dell'altro viene immediatamente riconosciuta e la sua esperienza motoria risuona in noi senza
bisogno di ulteriori mediazioni cognitive. E’ stato recentemente confermato che diverse specie di animali condividono
questo meccanismo e che esso non si limita alla semplice comprensione delle azioni percepite ma che è anche
implicato nella comprensione dell’intenzione motoria che guida l’azione osservata così come nella risonanza con le
sensazioni (il tatto, il dolore) e le emozioni (il disgusto) che accompagnano l’esperienza degli altri.
L’esistenza di un meccanismo cerebrale che ci metta automaticamente in risonanza con l’esperienza motoria,
emotiva, sensoriale ed intenzionale altrui, permette quindi di superare la nozione dell’esperienza umana come
fondamentalmente solipsistica, dimostrando invece come l’empatia (intesa in senso lato) sia fondamentalmente
radicata nella fisiologia del nostro cervello.
Citando Vittorio Gallese (2007) “La consonanza intenzionale generata dai processi di simulazione incarnata è
consustanziale al rapporto di reciprocità dinamica che sempre s’instaura tra il polo soggettivo e quello oggettivo della
relazione interpersonale. L’intersoggettività diviene così “ontologicamente” il fondamento della condizione umana”.
Nel corso del mio intervento, passerò in rassegna alcuni degli esperimenti fondamentali che hanno dimostrato
l’esistenza dei neuroni specchio nel macaco e che hanno successivamente confermato la presenza di un meccanismo
specchio equivalente nell'essere umano. Spiegherò come questo meccanismo appare ampiamente coinvolto in diversi
aspetti della cognizione sociale, ossia nella comprensione delle azioni e nell’anticipazione del loro scopo, nei processi
di imitazione e di comunicazione e nella possibilità di mettersi letteralmente nei panni di un terzo che sta provando
determinate emozioni o sensazioni.
Concluderò passando in rassegna gli ultimi sviluppi della Teoria dei neuroni specchio nell’ambito della psicopatologia,
ossia quando l’incapacità di vedere l’altro come uno simile a sé compromette la possibilità di condividerne
l’esperienza.
Giovanni Pellegri, Università della Svizzera Italiana, Lugano, [email protected]
Cervello, percezione e coscienza
Miliardi di cellule nervose concorrono al funzionamento della sorgente dei nostri pensieri: il nostro cervello. Il ricordo,
la conoscenza, la riflessione, il sogno, la logica e il linguaggio, che sono il fondamento della nostra natura di esseri
umani, poggiano su una struttura molle, fatta di carne. Persino la nostra capacità di percepire la realtà attraverso i
sensi dipende dalla complessa struttura del nostro cervello: immagini, profumi, suoni e gusti si ritrovano così a
danzare fra i nostri neuroni, restituendoci una « visione ricostruita » del mondo. Ma com’è possibile che la materia
veda, senta, ami, parli? Come possono le scariche dei neuroni dare origine a sensazioni e pensieri soggettivi? E se noi
siamo guidati da processi neurochimici, se le nostre intenzioni sono iscritte nelle nostre connessioni neuronali, come
possiamo essere quello che siamo? Se le nostre scelte e i nostri pensieri scaturiscono da precisi meccanismi
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molecolari, che cosa resta della nostra libertà? Le più recenti scoperte delle neuroscienze rimettono quindi in
discussione alcuni dei capisaldi del nostro ‘modo di pensare noi stessi’ e della nostra cultura. Ponendo al centro della
riflessione il rapporto mente-cervello, l’incontro intende mostrare come il nostro cervello percepisca il mondo, le
semplificazioni che adotta e come da queste informazioni si possa arrivare ad affrontare il tema della coscienza.
L’incontro sarà giocoso e interattivo - in modo da fornire spunti utili per gli insegnanti – senza tuttavia mai rinunciare
alle riflessioni di fondo sulla nostra natura.
Giocando con il proprio cervello
Verranno proposti alcuni semplici esperimenti per parlare di percezione, memoria, patologie cerebrali, intelligenze,
neuroni specchio, elettroencefalogramma e delle interazioni macchina – cervello. Alla fine, giocando e
sperimentando, riemerge prepotentemente la domanda sulla nostra natura: com’è possibile che quel pezzo di
materia – il cervello – possa parlare, amare, vedere e avere coscienza di noi stessi che parliamo, amiamo e vediamo e
riconosciamo il mondo ? Chi siamo?
Rosa Serio, Dipartimento di Scienze Biologiche, Chimiche e Farmaceutiche, Università di Palermo,
[email protected]
Basi biologiche della memoria e apprendimento
Secondo il neuroscienziato Larry Squire “Per apprendimento si intende il processo attraverso il quale un organismo
acquisisce nuove informazioni; la memoria è l’immagazzinamento di queste informazioni nel sistema nervoso centrale
in modo che possano essere successivamente utilizzate. In tal modo l’animale trae vantaggio dall’esperienze e il suo
comportamento futuro risulta più adatto all’ambiente in cui vive.” Le fasi principali nell'elaborazione della memoria
sono: la codificazione o l'elaborazione delle informazioni ricevute; l'immagazzinamento o la creazione di registrazioni
permanenti delle informazioni codificate ed il richiamo o il recupero delle informazioni immagazzinate, in risposta a
qualche sollecitazione. Il più diffuso criterio di classificazione della memoria si basa sulla durata della ritenzione del
ricordo, e identifica tre tipi distinti di memoria: memoria sensoriale (conserva le informazioni veicolate dagli organi di
senso che possono essere poi trasferite nella memoria a breve termine ); memoria a breve termine (conserva le
informazioni per la durata di alcuni minuti, si sviluppa come la memoria sensoriale tramite modificazioni transitorie
della connessione tra le cellule nervose ); memoria a lungo termine (conserva tutte le informazioni del nostro passato
e si realizza tramite modifiche più stabili della struttura neuronale ). La memoria a lungo termine può a sua volta
essere suddivisa in: memoria procedurale e memoria dichiarativa. La memoria procedurale riguarda soprattutto le
abilità motorie e fonetiche, che vengono apprese con il semplice esercizio e utilizzate inconsciamente, mentre la
memoria dichiarativa o esplicita riguarda le informazioni comunicabili e che vengono richiamate consciamente. Di
contro dimenticare è almeno importante quanto ricordare. Da un punto di vista fisiologico “l’oblio” è il processo che ci
permette di selezionare tra miliardi di esperienze quelle che sono più utili per la nostra sopravvivenza, storia
personale, cultura. Si potrebbe dire che “senza oblio la memoria sarebbe inutile”. Vi è generale consenso sul fatto
che tali processi avvengono a livello dei neuroni e delle loro connessioni: le sinapsi. Le sinapsi, che consentono ai
neuroni di organizzarsi in "reti" più o meno complesse, non sono solo in grado di trasmettere l'informazione, ma
anche di trasformarla e di memorizzarla. La plasticità sinaptica, definita come una modificazione duratura nell’efficacia
di una sinapsi, è oggi considerata la base cellulare della memoria e dell’apprendimento.
Teresa Ting, Dipartimenti Area Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, Università della Calabria,
[email protected]
Progettare una didattica delle scienze “brain-compatible”
Chi insegna è consapevole del fatto che ciò che insegniamo spesso non ha molto in comune con ciò che i nostri
studenti hanno imparato. Il rinnovamento degli stili educativi deve pertanto considerare non tanto quello che i docenti
insegnano, quanto il come apprendiamo. Se saremo in grado di usare le nostre conoscenze sul come gli individui
imparano allo scopo di cambiare il come gli insegnanti insegnano, senza dubbio saremo in grado di aumentare
l’efficacia dell’insegnamento. La sfida è pertanto duplice: da un lato bisogna rendere accessibili agli insegnanti i
risultati della ricerca su come si impara, dall’altro bisogna trovare il modo di aiutare gli insegnanti ad usare questa
informazione per modificare il loro approccio all’insegnamento. Piuttosto che affrontare queste due sfide
separatamente, possiamo considerare il fatto che l’apprendimento è reale e concreto solo in relazione alla sua
compatibilità con il funzionamento del cervello, cioè solo quando è “brain-compatible”. Esistono iniziative che
spingono nella direzione di rendere accessibili agli insegnanti i risultati della ricerca neuroscientifica
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sull’apprendimento (Understanding the Brain: The Birth of a Learning Science pubblicato dal Centre for Educational
Research and Innovation dell’OCSE nel 2007; il Centre for Neuroscience in Education della Cambridge University;
L’iniziativa Mind Brain and Education e l’omonima rivista della Harvard Graduate School of Education). Naturalmente
esistono molte conoscenze neuroscientifiche che non sono di alcun valore per gli insegnanti: sapere che l’ippocampo
(la struttura cerebrale attaccata dal morbo di Alzheimer) è responsabile del recupero delle informazioni
immagazzinate nella memoria di lungo termine non è di alcuna utilità ad insegnanti che non possono certo impiantare
elettrodi negli ippocampi dei loro studenti.
Esiste tuttavia un corpus di dati neuroscientifici che possono invece informare gli insegnanti ed aiutarli a modificare in
maniera sostenibile le loro prassi didattiche. Queste tre sessioni identificano non soltanto i risultati di ricerche
neuroscientifiche utili per gli insegnanti, ma presentano anche dei “materiali di apprendimento” delle Scienze che
sono stati formulati secondo la conoscenza di come il cervello apprende e i risultati, learning outcomes, ottenuti
dall’uso di questi materiali. Nelle sessioni si cercherà di sensibilizzare i partecipanti della scuola al fatto che, quando
insegnano, insegnano a cervelli. Mentre l’istruzione è una creazione moderna, progettata con il nobile proposito di
democratizzare la conoscenza, il cervello è una creazione dell’evoluzione, progettato con il semplice proposito della
sopravvivenza della specie: se il cervello ha la forma di una margherita, è inutile cercare di farci entrare una
enciclopedia di forma rettangolare.
1) Workshop: Un esempio
2) Lezione: Le neuroscienze e la didattica: un collegamento ancora troppo lontano o è tempo di una nuova scienza
dell’apprendimento?
3) Workshop: Analisi dell’esempio dal punto di visto neurobiologico.
Francesco Tomasello, Magnifico Rettore Università di Messina, Dipartimento di Neuroscienze,
[email protected]
Il presente ed il futuro delle Neuroscienze: che cosa è la connettività cerebrale?
TAVOLA ROTONDA
Disturbi Specifici dell'Apprendimento (DSA)
Coordina: Maria Luisa Altomonte, Direttore Generale USR Sicilia.
Intervengono
Patrizia Arrigo, Liceo socio-psicopedagogico Finocchiaro Aprile, Palermo, [email protected]
L’intervento mira a fare acquisire ai partecipanti un ventaglio di conoscenze, metodologie e di tecniche di tipo
didattico, a cui far riferimento nella quotidiana attività scolastica per l’elaborazione di interventi per gli alunni con
DSA.
Si affronteranno i seguenti argomenti :
 classificazioni dei Disturbi Specifici di Apprendimento ;
 quadro teorico e riferimenti normativi (legge 170/2010) ;
 rilevazione e diagnosi dei DSA ;
 gli strumenti compensativi e dispensativi ;
 modelli di piani personalizzati.
Maurizio Elia, Oasi Maria SS., Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, Troina (Enna),
[email protected]
La neurobiologia della dislessia
La dislessia è un disturbo specifico dell’apprendimento che interessa la capacità di leggere e scrivere in modo
corretto e fluente. Il deficit nucleare nella dislessia sembra essere caratterizzato da una compromissione nel
processamento fonologico.
Studi strutturali e funzionali condotti in soggetti con dislessia indicano la presenza di malformazioni in aree
cerebrali che corrispondono ai sistemi di lettura, ma anche l’incapacità di tali sistemi a funzionare appropriatamente
durante la lettura. I geni associati alla dislessia si sono dimostrati essere coinvolti nella migrazione neuronale e nella
guida assonale durante la formazione della corteccia. Nella neocorteccia cerebrale in sviluppo dei ratti, la perdita
locale di funzione di questi geni non solo determina una migrazione neuronale anomala e malformazioni neocorticali
ed ippocampali, ma anche deficit correlati al processamento uditivo e all’apprendimento.
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Nel suo insieme, la dislessia sembra essere un “continuum” con un disturbo di lettura spiegabile a differenti livelli
(genetico, biochimico, fisiologico, cognitivo). Inoltre, certi elementi di questi livelli (ad es., alcuni geni legati al disturbo,
ma anche alcune delle strutture neuronali il cui sviluppo è regolato da tali geni) appartengono simultaneamente a
livelli di altre abilità cognitive che danno luogo a disturbi di natura differente dalla dislessia quando sono
compromessi.