Un cervello nella vasca Nel romanzo di fantascienza Gray Matters, scritto da W. Hjortsberg, si parla di “cervellomorfi”, cervelli umani che vivono e pensano immersi in un acquario di vetro. L’immagine è stata più volte ripresa, ad esempio da S. Lem nel 1977, ma soprattutto da H. Putnam ( Ragione, verità e storia, Il saggiatore, Milano 1985), testo che contiene il saggio “Cervelli nella vasca”, (edizione originale 1981). Anche testi di ingegneria informatica l’hanno spesso ripresa: si veda ad es. Russelle e Norvig in uso nelle facoltà di ingegneria Usa e europee. D’altra parte già nel 1914 Raymond Roussel aveva cominciato a scrivere Locus Solus, un’opera che verrà poi rappresentata nel 1922. In essa il cervello di Danton, immerso in una vasca di liquido fisiologico, è in grado di parlare ma non di interagire con il mondo circostante. I problemi filosofici che questa immagine ha creato sono stati molteplici. Ci accorgeremmo di essere in una tale condizione? Potremmo distinguere reale da virtuale? Il “cervello nella vasca” potrebbe sviluppare i suoi modelli di ragionamento in assenza di esperienze corporee? Oppure in assenza di esperienze sociali? Un filosofo della politica come Nozik ha immaginato qualcosa di simile con la sua macchina della realtà. È evidente che l’appagamento totale dei nostri desideri ha dei risvolti personali (si veda a questo proposito la filmografia) sia politici (è il caso di Nozik ma, di nuovo, di situazioni esplorate dal cinema, come la trilogia di Matrix. Proponiamo una selezione di testi in proposito. Tale selezione può essere ampliato riportando i passaggi più significativi delle opere che qui sono solo citate. ( Russell, J, Stuart e Norvig, Peter, Intelligenza Artificiale. Un approccio moderno, Utet Libreria, Torino 1998 (ed. orig. 1995) p. 887-888 Che rapporto esiste tra la nostra percezione del mondo e il mondo stesso? Ne sappiamo qualcosa, abbiamo una qualche informazione sul mondo che ci è “esterno” oppure non possiamo andare oltre la verosimiglianza che a volte ci offrono i sogni? Un ben noto esperimento mentale cerca di esplorare questa impervia strada, quello del “cervello nella vasca”: un cervello che non ha un corpo e non ha effettivamente nessun rapporto con il mondo fisico. In che termini si pone il problema dell’”ancoraggio”alla realtà? In che misura le nostre convinzioni sono legate alla nostra esperienza del mondo? Russell e Norvig introducono in questo testo la questione della rappresentazione interna, cioè la credenza che le cose stiano effettivamente in un certo modo. Ci sono due punti di vista sul senso in cui una rappresentazione interna può avere un effettivo significato. Il primo, detto dei contenuto allargato, stabilisce che la rappresentazione interna si riferisce intrinsecamente ad alcuni aspetti del mondo esterno, ovvero che esiste un qualche collegamento tra la rappresentazione interna e il mondo esterno in virtù della natura stessa della rappresentazione. Ad esempio lo stato interno corrispondente alla convinzione che “questo hamburger è delizioso” si riferisce intrinsecamente al particolare hamburger che ‘riguarda”. Il secondo punto di vista, chiamato del contenuto stretto, afferma che non esiste alcuna tale connessione. L”hamburgheritudine” della convinzione è un aspetto intrinseco della convinzione così come posseduta dall ‘agente1. Possiamo distinguere tra i punti di vista considerando uno degli strumenti preferiti dai filosofi: quello del cervello nella vasca. Immaginate che il vostro cervello sia stato rimosso alla nascita dal vostro corpo e sia stato posto in una sofisticatissima vasca. La vasca nutre il vostro cervello, consentendogli di crescere e di svilupparsi. Allo stesso tempo, segnali elettronici vengono inviati al cervello da Si tratta in ogni caso di esempi in cui la corrispondenza delle credenze ha un valore fondamentale per l’intenzionalità della coscienza, vale a dire per la consapevolezza di stare facendo proprio quello che in effetti stiamo facendo. Nell’esempio citato relativo all’hamburger infatti solo l’esperienza diretta dell’hamburger può permettere di dire in modo sensato “desidero tantissimo un hamburger”. L’effettiva esperienza di cosa sia un hamburger rende possibile una opportuna “semantica causale”. 1 una simulazione computerizzata di un mondo completamente immaginario, mentre i segnali motori provenienti dal cervello vengono intercettati e usati per modificare la simulazione in modo opportuno. Il cervello nella vasca è stato evocato in molte circostanze per risolvere questioni filosofiche. Il suo ruolo in questo caso consiste nel mostrare che il contenuto allargato non è consistente con il fisicalismo. Il cervello nella vasca può essere in uno stato del tutto identico a quello di una persona che stia effettivamente mangiando un hamburger, eppure in un caso questo hamburger esiste, nell’altro no. Persino nel primo caso, comunque, la credenza si riferisce all’hamburger reale solo agli occhi di una terza persona che abbia un accesso indipendente sia alla struttura interna del cervello che al mondo esterno che contiene l’hamburger. Il cervello di per sé non si riferisce all’hamburger. Il punto di vista del contenuto stretto va oltre la semplice teoria della corrispondenza. La credenza che l’hamburger sia delizioso ha una certa natura intrinseca — che ci sia qualcosa che corrisponda ad avere questa credenza. Entriamo a questo punto nel dominio dei qualia, o delle esperienze intrinseche (dalla parola latina che significa, approssimativamente, “cose analoghe”). La teoria della corrispondenza può rendere conto dei comportamenti verbali o discriminatori associati alle credenze “la luce è verde” e “la luce è rossa”, ad esempio. Ma non può distinguere tra le esperienze del rosso e del verde — cosa significhi vedere una cosa rossa rispetto a cosa significhi vederla verde. Sembra esserci un problema reale, qui, ma non uno che sembri portare a un’analisi comportamentale. Se le esperienze intrinseche legate alla visione del rosso e del verde fossero in qualche modo invertite, è ragionevole supporre che continueremmo a comportarci nello stesso modo ai semafori, ma sembra anche ragionevole asserire che le nostre vite sarebbero in qualche modo diverse2. Testo: occorre avere un corpo (Dreyfus, Una risposta ai miei critici, La fenice digitale. Come i computer stanno cambiando la filosofia, a cura di Terrel Ward Bynum e James H. Moor, Apogeo, Milano 2000, p 215.) Comprendere qualcosa è un fatto esclusivamente intellettuale, oppure ha a che fare con una complessità di riferimenti, compreso il possedere un corpo (o ancor di più l’essere in un corpo, l’essere un corpo, l’essere di un corpo)? Per Wittgenstein non si deve parlare di significato delle parole ma del loro uso, di modo che la loro caratteristica fondamentale è quella di essere strumenti. Per Dreyfus è importante avere esperienza del nostro tipo di corpo per dare senso al nostro mondo, anche da un punto di vista linguistico. Si ricordi a questo proposito che anche per autori come Searle l’unico mezzo fisico in grado di dar origine a una attività cosciente sono i neuroni. A dire la verità Searle non esclude in via di principio che anche altri supporti siano in grado di generare la coscienza, forse anche dei supporti basati sul silicio invece che sul carbonio. Resta il fatto che anche a suo parere l’elemento decisivo è la presenza di un corpo fisico. Se mai un “qualcosa” basato sul silicio, o su un altro elemento che non sia il neurone dovesse possedere una coscienza, raggiungerà questo risultato grazie al mezzo fisico di cui è fatto, non grazie al programma simbolico e computazionale implementato nel suo mezzo fisico. Se infatti si potesse al limite scoprire che il cervello funziona effettivamente secondo un programma di IA di tipo tradizionale, spostare un programma che fosse la copia perfetta del funzionamento del cervello stesso su di un altro supporto distruggerebbe la coscienza. Quello che possiamo fare, al massimo, è una simulazione dei processi cerebrali: ma una simulazione è cosa ben diversa dalla realtà: Searle fa presente che una simulazione al computer di una tempesta tropicale può essere computazionalmente perfetta, ma difficilmente ci lascerà bagnati. E facendo questo esempio fa irritare Russell e Norvig, che lo accusano di scegliere i suoi esempi con artefici retorici, volti a colpire l’immaginazione del lettore più che a farlo Dal punto di vista pratico poco cambierebbe se invertiamo i colori rosso e verde. Ma che cosa succede della nostra esperienza? Avremmo la stessa situazione? La teoria dei qualia si chiede a proposito degli stati mentali “A che cosa assomiglia?”. Nagel si chiede “che effetto fa essere un pipistrello?”. Non potremmo mai saperlo, perché se anche ne avessimo la possibilità sapremmo che effetto fa per noi essere un pipistrello. 2 pensare. Che succederebbe – si chiedono – se invece della simulazione della tempesta avesse scelto la simulazione di un videogioco? La simulazione di un videogioco non è forse anch’essa un videogioco? Come si vede, anche Russell e Norvig scelgono con cura i loro controesempi… [Collins] riprende l’affermazione di Wittgenstein per cui se anche i leoni sapessero parlare noi non potremmo comunque capirli3: “Se i leoni del circo parlassero tra di loro, probabilmente classificherebbero quella che noi chiamiamo sedia nel novero delle altre armi che essi vedono in mano al domatore, e non nel novero degli oggetti relativi al relax. Essi non farebbero sostanziali distinzioni tra bastoni e sedie, ed ecco perché il loro linguaggio a noi risulterebbe incomprensibile. Tuttavia ciò non significa che ogni entità che sappia riconoscere una sedia debba essere capace di sedervisi sopra. Così si confonderebbero le capacità di un individuo con la forma di vita del gruppo sociale in cui l’individuo è incorporato. Per poter riconoscere una sedia, un'entità deve soltanto condividere la forma di vita di coloro che possono sedervisi sopra.” […] Posso assicurare a Collins che siamo in grado di comprendere racconti concernenti sedie pur senza essere in grado di sederci su di esse. La domanda a mio avviso dovrebbe essere così riformulata: potremmo comprendere racconti concernenti sedie senza condividere una quantità di caratteristiche corporee degli altri membri della nostra società? La mia tesi è che si deve avere esperienza del nostro tipo di corpo per dare senso al nostro tipo di mondo, e dunque anche alle storie riguardanti il nostro mondo. Collins nega questa tesi. Egli […sostiene che] data la capacità di socializzazione linguistica, un individuo può arrivare a condividere una forma di vita pur senza avere un corpo o un’esperienza di situazioni fisiche che corrispondano a tale forma di vita. A mio avviso, anche stavolta il discorso di Collins deve essere capovolto. Possedere il tipo di corpi che possediamo è una condizione imprescindibile per l’incorporazione sociale in una società di esseri umani strutturati in modo similare4. Per rendersene conto, basta fare attenzione a ciò che Collins dà per scontato, ossia che la nostra forma di vita è da cima a fondo organizzata da e per esseri incarnati come noi, persone dotate di corpi che hanno un interno e un esterno, clic devono restare in equilibrio in un campo gravitazionale, che si muovono in avanti L’esempio mostra molto chiaramente come il significato delle parole faccia riferimento all’uso sociale che facciamo di esse. Si tenga presente che Wittgenstein nega la possibilità di un linguaggio privato: un sistema privato di nomi non potrebbe assolutamente funzionare come linguaggio. Se noi “usiamo” diversamente il mondo, la semplice traduzione fonetica del linguaggio non né sufficiente: quello che è differente e che rende impossibile la comprensione non è il diverso suono con cui nominiamo le cose, ma proprio la strutturazione complessiva delle cose nel mondo. Dreyfus non crede tuttavia che la differenza sia esclusivamente legata all’uso sociale del linguaggio: essa è dovuta primariamente a una diversa costituzione fisica dei soggetti. 4 Collins sostiene che la comprensione ha bisogno dell’appartenenza a un insieme di riferimenti culturali, a una società. Egli ritiene che la sua posizione sia avvalorata da un celebre caso clinico riferito dal celebre medico Oliver Sacks: il caso Madeleine. Madeleine non solo era cieca, ma non poteva utilizzare la scrittura Braille, nè bastoni per ciechi, né molti degli ausili di cui normalmente usufruiscono i non vedenti. Secondo Collins quindi un caso così estremo dimostra che non è necessario avere un corpo fisico per comprendere ed entrare in empatia con il mondo, visto che a Madeleine era stato sufficiente ascoltare i libri che le venivano letti per acquisire molte competenze linguistiche e concettuali. Ma secondo Dreyfus tale conclusione è erronea, perché in realtà, sia pure a suo modo, Madeleine ha utilizzato il suo corpo per formarsi schemi concettuali: andava a gattoni, si manteneva in equilibrio, superava gli ostacoli, cercava la distanza giusta per dare calci oppure per ascoltare, insomma elaborava attraverso il suo corpo una logica ben diversa dalle conclusioni di Collins. Il quale è dell’idea che per addestrare un computer privo di corpo non è sufficiente farlo andare in giro per il mondo a incontrare le stesse situazioni fisiche che incontrano gli esseri umani. Occorre invece trovare i fattori che vengono coinvolti nella socializzazione. Collins giunge a scrivere con espressioni a dire il vero un po’ inquietanti che “se potessimo trovare i fattori implicati nel tipo di processi di socializzazione soggiacenti a un sistema come Madeleine (usiamo pure il termine ‘socializzabilita’), potremmo applicarli anche a un immobile contenitore”. Non sarebbe quindi necessario avere un corpo umano per una socializzazione di tipo umano. 3 molto più facilmente che all’indietro, che devono raggiungere oggetti attraversando lo spazio intermedio, superando gli ostacoli lungo il percorso eccetera 5. Nel computer non si trova incorporata alcuna pre-comprensione di come sia organizzato il nostro mondo e di come in esso ci si debba aggirare. E assolutamente improbabile che un computer riesca ad acquisire tutta la necessaria conoscenza di ciò che per noi è familiare e ovvio. Il progetto Cyc di Douglas Lenat6, mirato a dotare i computer di senso comune, fornisce una perfetta opportunità per riflettere sul mondo condiviso che normalmente diamo per scontato e sul modo in cui stanno le cose affinché le creature dotate della nostra forma corporea di vita possano apprendere ad adattarsi in modo intelligente, facendo apparire irrimediabilmente stupide, al confronto, le altre creature. […] Prendiamo la frase seguente: “Mary vide una cagnolina alla finestra. Mary la volle”7 (Lenat Feigenbaum, p. 200). Lenat si chiede: "Il pronome ‘la’ si riferisce alla cagnolina o alla finestra? E se avessimo detto: ‘Mary la sfondò’ o ‘Mary le si appiccicò con il nasino schiacciato su di essa’?” (ibidem). Si noti che la frase sembra fare appello alla nostra abilità di immaginare come ci comporteremmo in tale situazione, più che richiederci puramente la consultazione mentale di fatti relativi a cagnolini e finestre e alle presumibili reazioni di un tipico essere umano8. Ciò che è qui implicato è il nostro know-how circa il modo di L’esperienza del mondo resa possibile dal corpo si rivela preziosa anche in campo conoscitivo. Metafore, strutture di pensiero, connessioni logiche, ecc. hanno spesso radici in esperienze corporee fondamentali, acquisite dal bambino nella primissima età. I pedagogisti hanno spesso messo in evidenza il ruolo del percepire tattile, cinetico, muscolare: si pensi alle attività che svolgono i bambini nelle scuole d’infanzia. 6 Contrariamente a Collins, Lenat ritiene – con Dreyfus – che il corpo è indispensabile al senso comune. Tuttavia Dreyfus obietta che noi normalmente non ragioniamo sulle nostre capacità corporee, ma ragioniamo in termini di capacità corporee. È il senso del nostro corpo a guidare il ragionamento. Una macchina che svolge perfette inferenze logiche ma non ha un corpo giunge a conclusioni di una ragionevolezza non coincidente con quella degli uomini corporei. Il progetto CYC di cui si parla nel brano è stato iniziato nel 1984, con lo scopo di estrarre la conoscenza contenuta in qualche centinaio di articoli dell’Enciclopedia Britannica (ecco spiegata la sigla CYC). Successivamente il progetto si è sviluppato attorno al problema di come sviluppare inferenze. Esso parte dal presupposto che ci debba essere un certo numero di “agenti intelligenti”, competenti in un determinato campo, chiamato “microteoria”. Non ha molta importanza l’architettura generale del sistema, contrariamente alla posizione dell’IA simbolica. L’insieme delle microteorie costituisce la conoscenza comune, mentre la struttura semantica che dà il significato in generale alle espressioni linguistiche usate è chiamata ontologia comune. Quale sia l’importanza di avere una ontologia comune è emersa con prepotenza con l’avvento di Internet: occorre trovare un significato univoco condiviso da tutti se si vuole davvero sviluppare il commercio elettronico tra culture e società molto diverse. Nel 1993 è stato introdotto il programma Ontolingua, con lo scopo di tradurre la conoscenza da un tipo di rappresentazione all’altro. 7 Il testo inglese dice Mary saw a dog in the window. She wanted it. Sia dog che window hanno il genere neutro, e a entrambi può riferirsi il pronome it. 8 Dreyfus sostiene che un esempio di comportamento tipicamente umano e quindi non formalizzabile nel dare e ricevere regali. Una persona con normale sensibilità sa cogliere il momento opportuno, il regalo opportuno e il destinatario opportuno del regalo. Sa anche ricevere nel modo opportuno il regalo a seconda della situazione e di altre mille variabili, ciascuna con un peso differente in sé e in tempi differenti. [Esercizio: trovare le variabili del dare e ricevere regali]. Potremmo ampliare il ragionamento di Dreyfus: tutte le “abilità sociali” non sono esattamente formalizzabili. Esistono da sempre i manuali di “galateo”, in qualsiasi società e in qualsiasi classe sociale. Essi certamente danno delle norme (si pensi alla complessa etichetta delle monarchie, oppure a certe cerimonie religiose): quando si apre l’anno accademico la disposizione dei presidi di facoltà – per fare un esempio – segue precise regole di precedenza. Il grande antropologo Levy-Strauss si compiaceva della minuziosa regolamentazione delle cerimonie dell’Accademia degli Immortali di Francia. Tuttavia noi percepiamo come la semplice esecuzione dell’etichetta, sistematicamente e ciecamente applicata risulti mediocre. Percepiamo che esistono circostanze, magari limitatissime, ma decisive, in cui bisogna rompere l’etichetta, infrangere la norma. Può essere il Papa che si 5 muoversi nel mondo e di avvicinarsi a un oggetto che si trova al di là di una barriera9. Nel 1974 Nozick10 aveva immaginato una “macchina ideale”, in grado di farci vivere un mondo esattamente quale vorremmo che sia. Supponiamo che esista una macchina dell’esperienza capace di darci qualsiasi esperienza desideriamo. Un gruppo di neuropsicologi eccezionali si offre di stimolarci il cervello in modo da farci pensare e sentire come se stessimo scrivendo un grande romanzo, o stringessimo amicizie, o leggessimo un libro interessante. Per tutto il tempo galleggeremmo in una vasca, con elettrodi applicati al cervello. Resteremmo collegati a questa macchina per tutta la vita, pre-programmando le nostre esperienze? Per fugare il timore di perderci esperienze desiderabili, possiamo supporre che imprese d’affari abbiano esaminato esaurientemente le vite di molti altri individui. Possiamo scegliere dal loro vasto assortimento, selezionando le esperienze della nostra vita per, diciamo, i prossimi due anni. Al termine dei due anni passeremo dieci minuti o dieci ore fuori dalla vasca per selezionare le esperienze dei nostri prossimi due anni. Naturalmente, mentre siamo nella vasca non sappiamo di essere lì; penseremo che tutto sta accadendo realmente. Anche altri possono collegarsi alla macchina, quindi non c’è alcuna necessità di staccarsene per permettere loro di servirsene. (Ignoriamo problemi del tipo chi farà funzionare le macchine se tutti vi si collegano.) Ci collegheremo a questa macchina? Che altro può importarci se non come sentiamo le nostre vite dall’interno? Né dovremmo astenerci dal collegarci a causa dei pochi momenti di sconforto tra il momento in cui abbiamo deciso e il momento in cui ci colleghiamo. Cosa sono pochi momenti di sconforto a paragone di un’intera vita di beatitudine (se è questa quella che scegliamo) e perché poi provare sconforto se questa decisione è la migliore? Secondo Nozick noi non accetteremmo una situazione del genere. Noi vogliamo fare certe cose, non soltanto avere l’esperienza di farle. Vogliamo essere una persona con determinate caratteristiche, una persona che intende occuparsi di che cosa è e non semplicemente di come occupa il proprio tempo. Infine ci mancherebbe il contatto vero con una realtà più profonda (una discussione simile all’uso dei farmaci psicoattivi e alle droghe). È davvero così? Si tratta di un’aspirazione, di un dato di fatto, di una media statistica, di un progetto da realizzare? La consegna del cosiddetto “tempo libero” a un esercito di professionisti dell’intrattenimento sembrerebbe contraddire le parole di Nozick. inginocchia di fronte a un povero, può essere un’osservazione piccante rivolta a una signora in una cerimonia ingessata, ma tale possibilità esiste. Occorre però ben distinguere i tempi, percepire le emozioni, fiutare l’opportunità. Altrimenti si fa solo la figura dei cafoni, degli sprovveduti (mentre chi si limita a osservare inderogabilmente la regola fa la figura del mediocre). Oppure si pensi a delicate funzioni quali quelle dello psicologo, del consulente, ma anche del genitore o dell’insegnante. Lo psicologo segue certo delle regole nella sua professione: ma la differenza tra un mediocre psicologo e uno davvero bravo è proprio la capacità di percepire quando discostarsi dalla regola – ma lo psicologo che si crede bravo perché si discosta dalla regola e lo fa senza criterio non è un mediocre psicologo, è un disastro. Tornando a Dreyfus, si tratta di mettere in evidenza, a suo parere, che esiste un contesto “olistico” entro cui gli esseri umani funzionano, cioè una percezione globale, unitaria, che non può essere suddivisa in elementi computabili e formalizzabili. I suoi critici gli oppongono l’idea che tale contesto sia olistico nella percezione consapevole degli esseri umani, ma che sia in effetti scomponibile e analizzabile a livello più profondo. 9 Secondo taluni autori la stessa comprensione di verbi come “dovere” e “potere” si basa su di una esperienza fisica. Dapprima sperimentiamo ostacoli e forze di carattere fisico (un oggetto da spostare, la possibilità di afferrare qualcosa), e successivamente sviluppiamo, su questi modelli fisici, modelli di ragionamento mentale. Esiste un livello pre-concettuale degli schemi mentali. Il “cervello nella vasca” avrebbe potuto sviluppare i suoi modelli di ragionamento in assenza di esperienze corporee? Per Collins invece il corpo che conta non è tanto quello fisico, ma quello sociale (anch’esso comunque manca al computer). 10 Robert Nozick, Anarchia, stato e utopia : i fondamenti filosofici dello "Stato minimo", Le Monnier, Firenze1981.