«Uscire» per … incontrare. Lo stile pastorale della Chiesa dalla

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«Uscire» per … incontrare.
Lo stile pastorale della Chiesa dalla Gaudium et spes a papa Francesco
PIERO SCHIAVAZZI, giornalista vaticanista
La Chiesa in tempesta, per una pesca abbondante
Dieci anni fa all’Università Cattolica di Buenos Aires avevo invitato, per conto del governo italiano,
e nell’ambito di un ciclo di conferenze che organizzavo per la Farnesina in occasione del 25°
anniversario del pontificato di Giovanni Paolo II, il cardinale Jorge Mario Bergoglio a tenere una
conferenza sul tema: Duc in altum. Lo presentai dicendo: «Eminenza, le ho chiesto di parlare del
tema duc in altum perché siamo sulle rive dell’oceano; questa città porta il nome di Buenos Aires;
ci faccia sentire il buon vento, quale vento può spirare da questo continente inquieto dell’America
Latina nelle rive della Chiesa del terzo millennio». E lui disse che la scena della storia è il lago di
Genezareth: non dobbiamo avere paura, si alzerà il vento, e non sarà un buon vento. Si alzeranno
venti di tempesta, ma non dobbiamo essere pessimisti, perché il lago di Genezareth, con la barca di
Pietro (senza pensare che di lì a pochi anni sarebbe stato chiamato lui a fare il nocchiero di quella
barca), ci riserva una pesca abbondante, a condizione che remi, remi con forza. Duc in altum quindi:
poi aggiunse che non basta prendere il largo, ma dobbiamo anche andare in profondità. Andare in
profondità significa renderci conto che la Chiesa è operaia, che la Chiesa è lavoratrice. E il lavoro
della Chiesa è la pastorale: e questo lavoro deve essere quello di creare comunità. Come facciamo a
raggiungere quello che è il nostro scopo, il nostro target, che è la comunione? cioè lo stadio più
elevato che si possa immaginare di consorzio umano, la comunione? Il lavoro, disse, di noi preti è
l’eucaristia: per fare comunione, per trasformare il mondo in comunione occorre trasformarlo
sull’altare. Ma come facciamo a trasformare il mondo in comunione, disse sempre il card.
Bergoglio, se mancano i presupposti della comunità, se la gente pensa che la società sia una giungla
dove il legame sociale è un imbroglio, se viene meno nel profondo dell’immaginario collettivo la
convinzione che lo stare insieme può essere positivo e non finalizzato necessariamente
all’imbroglio?
L’Evangeli gaudium dice che il dono principale che la Chiesa oggi può fare al mondo è la capacità
di sintesi. Era profetico, in questo senso, l’altro documento che nell’intervento di quest’oggi ho
rispolverato, la Gaudium et spes. Essa intravede il pericolo che in un mondo che va verso la iperspecializzazione di ogni singola scienza poi si perda la capacità di visione unitaria, la capacità di
sintesi. Lo dice Paolo VI, lo dicono i padri conciliari, però con grande, enorme ottimismo.
Le tattiche di gioco, da Benedetto a Francesco
In queste giornate di campionato mondiale di calcio, aprendo un qualunque giornale, anche non di
calcio, vedrete che tutti parlando di calcio. Si potrebbe usare e spendere questa metafora per dire
che c’è una profondissima continuità tra Benedetto e Francesco. Se andiamo a vedere, non solo
Lumen fidei, ma anche in Evangeli gaudium c’è continuità teologica. È come quando guardi una
partita di calcio: le regole del calcio, da un mondiale all’altro, non sono cambiate. La dottrina non è
cambiata, quindi è coerente dire che c’è continuità teologica. Pare che le regole siano cambiate, ma
il fuori gioco è sempre il fuori gioco; non è cambiata la classifica, la classificazione dei peccati; le
regole sono quelle, però è cambiato il gioco; da parte di chi vede dal di dentro, da parte del teologo
ci si accorge che la Chiesa è sempre la stessa, perché le regole non sono cambiate. Il fuori gioco c’è
ancora; non è stato introdotto il time out, ma le regole sono quelle. Certo, ci si accorge se è
cambiato l’allenatore, se è cambiato il gioco, e da un gioco sulla difensiva si è passato ad uno
offensivo. Così vedi tutta un’altra partita, e così la vede il mondo, ma in questo che io dissento.
Se noi leggiamo i due documenti che stanno a quarantanove anni di distanza l’uno dall’altro (la
Gaudium et spes è dell’Immacolata del 1965 e l’Evangeli gaudium è del 2014) notiamo una
continuità teologica, ma anche una differenza di contesto, di cornice, di sensibilità, di cultura
profondissima. La Gaudium et spes comincia come un trattato di psicologia dell’età evolutiva,
mentre Evangeli gaudium è un trattato di psicologia clinica, di psichiatria clinica. Gaudium et spes
comincia dicendo: le gioie e le speranze, poi al terzo e quarto posto vengono le tristezze e le
angosce. Anche quelle la Chiesa fa proprie, ma comincia dicendo che il mondo è fatto di gioie e di
speranze. C’è una percezione positiva di questo mondo degli anni sessanta, ma è l’atteggiamento
psicologico che avevamo tutti noi giovani nella stagione del concilio. In quegli anni io ero un
giovane catechista di una parrocchia romana, e questa era la percezione, una percezione, se non
illuminista, comunque illuminata. Una Chiesa che cioè percepiva di sé di una nuova Pentecoste, e
guardava al mondo con un giudizio profondamente positivo. Gaudium et spes vede le antinomie
(termine delicato), vede questo pericolo, ma non parla di una civiltà alla deriva, vede il rischio delle
deviazioni e delle devianze. Dice che l’umanità sta andando verso l’unità (non parla di
globalizzazione: il primo papa a introdurre questo termine non sarà neanche Giovanni Paolo II, ma
Benedetto XVI in un suo documento), e quindi interpreta quella che è l’aspirazione profonda di
Dio: l’unità della famiglia umana. E questa è percezione positiva: un’adolescente che si sta
sviluppando, un corpo che cresce e del quale la Chiesa si candida ad essere l’anima. Questo è il
concilio, segno di unità dell’intero genere umano, quindi una visione positiva. Il mondo sta
diventando, dice Gaudium et spes, più autonomo e più responsabile; questo documento legge il
progresso in corso negli anni sessanta, nonostante il mondo spaccato in due dal comunismo, tempo
in cui la Chiesa si candida a dialogare anche con coloro che la perseguitano. Quindi è estremamente
positiva la chose politique, per contestualizzarla anche diplomaticamente. La prima pagina di
Evangeli gaudium si apre dicendo che il mondo soffre perché è triste; Benedetto aveva detto che il
mondo soffre per mancanza di pensiero. Vedete quindi i due giochi: da una parte un papa che
avverte che il nemico è un concetto: il relativismo. Lo dice nell’omelia pro eligendo pontifice, al
Vaticano, sottolineando che il mondo soffre per mancanza di pensiero, del relativismo, per cui la
piccola barca di Pietro in gran tempesta viene sballottata dai venti di dottrina. È molto significativa
questa cosa, perché i cardinali votano (certo, ispirati, per chi ci crede, dal Paraclito) su un
programma di un uomo che, secondo loro, interpreta in quel momento le necessità di navigazione in
gran tempesta della barca di Pietro, in cui il nemico è il concetto, il relativismo, e quindi si tratta di
salvare una minoranza di menti illuminate che possano guidare la Chiesa e vincere questa partita
con il relativismo. Ratzinger, per tanti aspetti, è un pontefice ancora inesplorato: il suo è stato un
pontificato giocato sulla difensiva.
Qualche anno fa feci il paragone di Ratzinger appena eletto definendolo il Beckenbauer della
Chiesa. Evocavo la metafora della più bella finale di coppa del mondo, quella del 5 luglio del 1974,
dove si incontrarono la Germania di Beckenbauer e l’Olanda di Cruif. Due modelli di gioco: da una
parte l’Olanda che rinnega i ruoli fissi, dall’altra parte c’è Beckenbauer, c’è una Chiesa che gioca
un pontificato nella propria metà campo, e poi ci sorprende con i suoi lanci lunghi alla
Beckenbauer, che spiazza la difesa avversaria. E che cosa è il relativismo se non la rinuncia ai ruoli
fissi?! dove tutto è intercambiabile?! Questo è il relativismo; che cos’è il gioco all’olandese (il
relativismo è un demonio affascinante)? Il lancio lungo delle dimissioni è la più grande riforma
della Chiesa del post-concilio, la più grande riforma dopo il concilio Vaticano II, la più grande
riforma della costituzione materiale della Chiesa. Ma ci sono anche dei lanci lunghi teologici
formidabili del card. Ratzinger, rimasti inesplorati, e questo peserà davanti a Dio nel Giudizio
universale in termini di responsabilità da parte di chi gli è stato accanto, che ha in qualche modo
oscurato la luminosità del suo pontificato, attirando l’attenzione dell’opinione pubblica su altri
aspetti meno nobili della Chiesa. Pensate a Deus caritas est e a quanto sia stata poco letta. Nessun
papa si è mai spinto tanto a dare un giudizio virtuoso dell’eros. Pochissimo sento parlare di quel
passaggio dove Benedetto XVI definisce l’eros come spinta divina che ti porta verso il divino fuori
da te stesso. Ratzinger ha delle riserve di pensiero sorprendenti, rimaste inesplorate.
Quando il papa è andato alla piana di Sibari si è fermato nella parrocchia di don Lazzaro
Spallanzani e si è inginocchiato sull’uscio della canonica dove la sera del 2 marzo è stato ucciso a
sprangate. Don Lazzaro Spallanzani, e tanti preti, non hanno la fortuna che l’uscio, la soglia della
loro canonica, della loro Chiesa sia un cortile dei gentili. Questi sono privilegi riservati alle belle
Chiese del centro storico delle città; lì hai l’intellettuale che ti aspetta, lì hai l’Eugenio Scalfari della
situazione che ti aspetta per parlare con te dei massimi principi, che ti aspetta per parlare con te
della Summa del pensiero. La maggior parte dei preti ha il rischio dello sbandato del quartiere che ti
aspetta per estorcerti una somma, altro che per parlare della Summa. La maggior parte dei preti
rischia il romeno che ti prede a sprangate. Galantino ha rilasciato un’intervista a Paolo Rodari di
Repubblica dove dice come sono cambiati i viaggi del papa: prima erano istituzionali, adesso sono
solo pastorali. Guardiamo ai tre viaggi italiani significativi, viaggi tematici: Lampedusa, Cassano
allo Jonio, la piana di Sibari. Bergoglio non ha nessun complesso di inferiorità nei confronti delle
ideologie profane: quale era il problema della teologia della liberazione? che assumeva il lessico
marxiano, ne scontava un complesso di sudditanza. La teologia sudamericana della liberazione, che
Woityla prima, e Bergoglio oggi, rinnegano, scontava un complesso di inferiorità nei confronti del
marxismo. Bergoglio non avverte nessuna inferiorità; ritiene che la Bibbia sia superiore anche in
termini di lotta, se volete anche di lotta di classe, e quindi usa come una clava i testi della Bibbia,
dove non c’è nessun Marx che riesce ad avere una forza, anche dialettica, come «dov’è tuo
fratello?» di Lampedusa.
Una Chiesa che gioca nell’altra metà campo
Fatta quindi questa metafora con Bergoglio, siamo passati a un pontificato che ha tutto giocato nella
metà campo avversaria. Cosa ha fatto Bergoglio se non rimettere in movimento una Chiesa che era
bloccata? portarla nell’altra metà campo. Questa è una cosa straordinaria, che a me sorprende da
giornalista, ma che è sotto gli occhi di tutti e che noi abbiamo vissuto. Se voi oggi leggete
qualunque giornale, nelle pagine sportive la prima cosa che vi dicono dell’Uruguay è che è una
squadra ostica perché non fa giocare; questa è la definizione classica, che da sempre si usa.
L’Uruguay è una squadra rognosa, una squadra che fa un gioco duro, che non ti fa giocare, che ti
toglie gli spazi. Cosa succedeva alla Chiesa prima di Bergoglio? Qualsiasi cosa i vescovi dicessero
era ingerenza, non ti facevano giocare. Avevi il mondo che ti faceva fallo. È una squadra fallosa
l’Uruguay, è una squadra dura, rispetto agli argentini e agli altri cugini sudamericani nobili che
invece fanno un gioco brioso. La Repubblica orientale dell’Uruguay ha il simbolo massonico nella
bandiera. Voi sapete che quando passate il Rio della Plata si abbattono le percentuali di frequenza
alla messa di Buenos Aires. In Uruguay chiedetelo ai vescovi, ai preti dell’Uruguay; tu hai la
percezione immediata di stare in una società secolarizzata, ti sembra di stare in Europa. Voi sapete
che quando andò Woityla ci fu una grossa discussione in Parlamento perché c’era buona parte del
Parlamento che era contraria che si erigesse una Chiesa, una croce. È straordinario questo
rovesciamento di fronte, in senso calcistico, questa inversione di campo e di tendenza. Oggi
abbiamo il paradosso opposto: tutti quelli che prima accusavano la Chiesa di ingerirsi nella società,
adesso ingeriscono loro nella vita della Chiesa. Prima la Chiesa non poteva dire allo Stato, alla
società terrena come si doveva organizzare; oggi tutti, anche gli atei, anche coloro che sono
disinteressati, dicono alla Chiesa come deve reimpostare le sue regole. Abbiamo avuto laici
professi, atei professi che pensano gioiosamente di poter dire alla Chiesa cosa deve fare e dove deve
arrivare. Cosa completamente ribaltata. La Chiesa prima non poteva dire alla società civile dove e
cosa doveva fare; era confinata all’ambito strettamente privato.
L’ospedale del papa
L’immagine dell’ospedale da campo è un manuale sanitario: noi invece pensiamo che sia una
immagine, una metafora che il papa usa all’Angelus per essere simpatico.
Psichiatria - Per Bergoglio il mondo è schizofrenico, il mondo è impazzito, è triste, e dove la gioia
del vangelo è ne il rimedio, l’antidoto. Ma quando si prende l’antidoto vuol dire che la diagnosi è
fortemente negativa: ma la diagnosi è ottimistica, la prospettiva del papa è quella di dare ragione
della speranza che è in noi: questo è il compito petrino fondamentale. Ratzinger aveva la percezione
che il nemico fosse un concetto, e quindi una generazione di palleggiatori di vescovi dai piedi
buoni, di vescovi teologi. Sembrava il centrocampo: se uno va a guardare l’intelligentia degli otto
anni ratzingeriani sembra il centrocampo di Prandelli, che ha mandato in campo nelle prime due
partite un centrocampo di tutti registi (Veratti, Pirlo, Thiago Motta). Tutti registi, e non c’erano
incursori. In questo convegno tra i relatori abbiamo due vescovi che geneticamente sono diversi:
uno arriva da Oristano, ed è il vescovo regista messo lì per tanti palleggiatori. Ma qual è il loro
compito? Tenere palla; c’è una filosofia di gioco che oggi è stata rinnegata, che è quella del
controllo di palla. La Chiesa non deve perdere palla nel confronto con il relativismo; deve tenere la
palla. Guai se ci fanno gol: controllo della palla, anche se non segniamo. Pazienza, non facciamo
gol. Teniamo palla: se c’è un convegno rischioso non ci andiamo, giochiamo in casa, giochiamo tra
le mura di casa, e poi invece arriva il vescovo terzino, sulle fasce, Zuppi, che parte da lontano, dalle
periferie di Roma. Del resto Bergoglio adesso fa Messi, ma in Argentina invece faceva una vita da
mediano; adesso fa la mezz’ala di punta, il regista. La sua è stata una vita da mediano, era il grande
oppositore che tuonava contro il regime. Sapete che alle sue omelie non c’andavano più i presidenti:
all’omelia, al Te Deum della festa nazionale lui gli elencava puntualmente tutte le cose che in
Argentina non funzionavano. È vero che lui è un papa popolarissimo, ma se andate a leggere
Evangeli gaudium la proposta del vangelo ha comunque dietro, nella penombra, il profilo della
croce. Per quanto cerchiamo di abbellirla, di illuminarla, ma comunque noi proponiamo al mondo
una croce. Questa è la vita da mediano, la vita dell’interdittore.
Ortopedia - Il secondo reparto lo ha aperto il 27 luglio dell’anno scorso: ortopedia. I reparti li apre
man mano, nei suoi discorsi. Lui l’ha presa serissima la metafora dell’ospedale da campo, e se
dovessimo riassumere, rispondendo alla domanda che mi avete posto, su qual è lo stile pastorale
oggi della Chiesa, lo stile pastorale della Chiesa è quello dell’ospedale da campo. Il primo reparto è
psichiatria, il secondo è ortopedia. La Chiesa vede comporre, o quanto meno riuscire a ridurre una
frattura. La prima cosa che fai quando vai al pronto soccorso con un osso rotto, ti riducono
immediatamente la frattura manualmente. Bergoglio non aveva l’illusione di riavviare il processo
di pace incontrando e chiamando a pregare Perez e Abu Mazen l’8 giugno, ma di ridurre la frattura.
Quella è stata un’operazione di riduzione della frattura. L’anno scorso c’è stata la giornata della
gioventù in Brasile, a Copa Cabana. In quelle giornate ha incontrato anche i vescovi del Brasile, e
ha loro tenuto il discorso che è forse, ad oggi, il più importante del pontificato. È stato una sorta di
discorso programmatico, e se andate a rivedere quel discorso su internet c’è in controluce tutta
Evangeli gaudium. Lui comincia con la metafora del messaggio di Aparecida. Dice che Dio ci dona
un messaggio di ricomposizione, ci rivela in quella Madonna spezzata in due che esce dal fiume
Paraiba (in cui l’acqua è marrone, melmosa, in cui il fondo non si riesce a distingere) che noi
dobbiamo avere pazienza: il mondo sarà redento dalla pazienza di Dio (questa espressione l’aveva
usata anche Ratzinger). L’ortopedico Dio si rivela quindi nelle acque scure e profonde; Dio si rivela
un po’ per volta: della madonna spezzata prima esce fuori la testa, poi esce fuori il corpo. Nella
storia di Aparecida, i pescatori prima prendono la testa, poi appare il corpo di questa statuetta della
madonna che viene ricomposta. Dio si rivela un po’ per volta nelle acque profonde e scure.
Cardiologia - Siamo quindi venuti al terzo reparto: quello di Bergoglio è uno stile pastorale cuore a
cuore. Terzo reparto dell’ospedale da campo: cardiologia. Se ortopedia viene inaugurata in Brasile,
a novembre si affaccia all’Angelus con la famosa cardioaspirina, con la famosa misericordina, la
scatoletta, il Rosario. Se qualcuno di voi prende gli anticoagulanti saprà che la funzione
dell’anticoagulante è quella di dissolvere il coagulo, che in caso contrario bloccherebbe le arterie.
Le arterie del mondo sono bloccate. Bergoglio è un chimico, sa leggere le analisi, sa benissimo che
sui valori morali, come l’aborto, il sesso, sa benissimo che il tasso medio della moralità della
società è sballato. Se voi andate a Buenos Aires la cosa che sorprende è che vedi che vanno a
messa, che fanno la comunione coppie notoriamente omosessuali, e i preti non dicono niente. Lui sa
benissimo che i valori morali sono sballati, ma sa anche che a un malato grave non puoi certo
chiedere il colesterolo! Lui sa benissimo, leggendo le analisi di chi va in confessionale, che i valori
del colesterolo delle analisi del sangue di un malato grave sono sballati, ma sa altrettanto che c’è
una malattia molto più grave, e che questo è il momento di curare le ferite, in un approccio di
gradualità. Ecco il perché della comunicazione cuore a cuore. È il momento di raccontare le
meraviglie della salvezza.
Omeopatia - Il reparto più grave, il più rischioso che ha aperto è quello dell’omeopatia. Quello di
Bergoglio è un pontificato omeopatico, e proprio per questo è un pontificato a rischio. In quel
discorso ai vescovi del Brasile del 27 luglio, lui dice che la Chiesa è fondamentalmente la sua
Pasqua. La Pasqua di Bergoglio non si compie al Santo Sepolcro, non si compie la domenica
mattina. La Pasqua di Bergoglio, la resurrezione che lui auspica per il mondo e per la Chiesa si
compie ad Emmaus, a 11 km, o 7 miglia che dir si voglia, da Gerusalemme, nella locanda di
Emmaus. Questa è l’icona del suo pontificato: ai vescovi del Brasile dice che oggi serve una Chiesa
che sia in grado di intercettare il cammino di quanti sono scappati da Gerusalemme, di coloro ai
quali la Chiesa sembra troppo difficile e quindi si allontanano e rinunciano alla fede, oppure vanno
a cercare dei surrogati. Nella locanda bisogna intercettare il cammino di quelli che sono scappati
dalla Chiesa, che si sono allontanati, che hanno un passo frenetico e non sanno dove andare. Si
stanno allontanando, per loro l’importante è allontanarsi. I viandanti di Emmaus non sapevano dove
andare, si stavano allontanando perché tante voci da quella mattina si rincorrevano per dire che era
risorto: «Ma non è vero, chissà se è vero, chissà com’è, ci prenderanno a tutti adesso, il Sinedrio
scatena una seconda persecuzione!»; dunque si allontanano. Bisogna intercettare quel cammino,
scendere nell’oscurità e non pretendere di insegnare tutto. Ci riconosceranno alla locanda allo
spezzare del pane: per adesso ascoltiamoli e comprendiamoli. Non è la prima volta che la Chiesa lo
fa.
Adesso molti si scandalizzano e dicono che è un comunista, c’è chi dice che è un relativista.
Quando ti curi con l’omeopatia, assumi la malattia a piccole dosi; la Chiesa non è la prima volta che
lo fa. Quando Leone andò incontro ad Attila abbandonando la romanità, la civiltà classica,
lasciandosi la città alle spalle, di fronte c’era Attila, c’era la barbarie. La Chiesa si mescolò con i
barbari, e nel corso dei secoli inventò una nuova civiltà cristiana, quella che oggi, per definizione,
rimane la punta più alta, il Medio Evo della civiltà cristiana. La Chiesa la inventò andando incontro
ai barbari. Non è la prima volta quello che sta facendo Bergoglio e che ci sembra così sorprendente.
All’opposizione che incontra nella Chiesa e che gli dà un giorno del comunista, un giorno del
relativista, lui ci sorride. Una Chiesa quindi che assume a dosi omeopatiche la barbarie del
relativismo, in una partita aperta dove è difficile immaginare che si vinca a cappotto o a tavolino. Il
grande problema nei confronti della civiltà della comunicazione dei vescovi, dei preti, degli
ecclesiastici è che non si concedono ai media se non hanno la certezza di giocare in casa e di avere
un’atmosfera protetta, di giocare in ambiente protetto. Oggi però non si vince a tavolino; qualche
gol te lo fanno; l’importante è farne uno in più. Questo è il gioco verticale, questa è la
verticalizzazione, se no fai il gioco sulla difensiva.
Questo reparto omeopatico che Bergoglio ha aperto è il più rischioso del pontificato, ma non è la
prima volta che accade nella storia della Chiesa. La Chiesa in questo è maestra, e finora, assistita
dal suo Spirito divino, è sempre uscita vincitrice. E c’è un passaggio della Evangeli gaudium che
può sembrare baldanzoso e orgoglioso anche per un papa: non si va in battaglia se non si ha la
certezza di vincere, se non si ha la certezza del trionfo. Da parte di un papa può sembrare anche un
peccato di presunzione, ma è testuale, e questo ci deve dare speranza.
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