Filosofia dell`amore in Agostino e Rosmini

LA FILOSOFIA DELL’AMORE IN AGOSTINO E ROSMINI 1
Mario Cioffi
1. Anzitutto una nota preliminare: con Agostino, per la prima volta nella storia del pensiero,
l’indagine filosofica cessa di essere puramente oggettiva, speculazione per se stessa, ma si salda al
suo autore e ai suoi problemi personali. Per l’Ipponense ciò che è da indagare è l’uomo Agostino,
con le sue inquietudini e crisi, la sua ragione, la sua ricerca, la sua redenzione. Consapevole di
essere un problema a se stesso, egli intesse le sue Confessiones, una dichiarazione pubblica, uno
svelarsi con assoluta sincerità (confiteri), uno scrutare e scavare impietosamente dentro di sé, nel
proprio intimo, un mettere a nudo l’anima, fino a scoprire il lato più vero della propria umanità
nell’incontro con Cristo. L’opera, in cui il convertito di Tagaste colloquia con Dio e narra agli
uomini la sua vita e il suo percorso filosofico, compendia tutta la condizione umana, segnata dalla
fragilità unita a motivi di speranza.
Una volta denudata la propria anima, Agostino può iniziare il dialogo con Dio, dal tono
confidenziale ed umile del figlio che parla al Padre da cui attende la felicità. Egli non tiene niente
per sé, ma lascia a noi tutto ciò che ha cercato e conquistato per se stesso, e in particolare la
coscienza e la cultura dell’umano, tra i suoi lasciti più preziosi. Consapevole di <<essere diventato
per se stesso un grande enigma>> (Conf., IV, 4), Agostino aveva finalmente scoperto, nell’abissale
profondità del male, una luce che rischiara e genera una vita nuova. Egli sente di dover confessare a
tutti la sua miseria perché sovrabbondi la grazia 2.
Per l’Ipponate il senso filosofico del cristianesimo sta nella ricerca della felicità eterna, che
egli fonda sull’incarnazione del Verbo e sulla nostra elevazione a figli di Dio. Con il suo
eudemonismo cristiano egli intende dare una risposta al continuo stato di necessità che grava
sull’umanità decaduta, riabilitandola e proiettandola in un orizzonte di speranza. Cristo dà senso a
tutta l’esistenza, ed ogni vicenda umana, con le sue luci e le sue ombre, è l’occasione per
incontrarlo ed aprirsi al suo dono di salvezza. In Agostino i fondamentali concetti teologici si
intrecciano alle inquietudini e ai dubbi, al bisogno di amore e felicità dell’uomo che nella sua
finitezza muove verso il solo Essere che può esaudirlo 3. Il santo Dottore confessa di non voler
conoscere altro che l’anima e Dio, l’uomo interiore nella verità della sua natura e l’Essere che ci ha
tratti dal non essere all’essere, e che nella sua trascendenza e normatività ci fa conoscere la verità
dell’io 4.
La nota dominante nel pensiero dell’Ipponate è dunque l’interiorizzazione della ricerca
filosofica, radicata nelle Sacre Scritture e che si avvale, oltre che delle dottrine della prima
Patristica, anche di elementi del pensiero greco e latino. Ogni iniziativa è abbandonata a Dio, anche
1
Conferenza del ciclo Convegni di Santo Spirito – Temi di antropologia agostiniana. Firenze, 24 marzo 2015.
<<Signore, voglio confessarmi a te in modo che gli uomini mi sentano. Essi si fidano, poiché la carità apre le loro
orecchie ad ascoltarmi. Ora però tu, medico mio interiore, dimmi cosa guadagno da ciò (…). Questo è il frutto delle mie
confessioni, non quello che fui, ma quello che sono, ed io lo confesso non solo alla tua presenza con segreta esultanza e
tremore, con segreto sconforto e speranza, ma anche alle orecchie dei figli degli uomini credenti>> (Ib., X, 3, 4).
3
<<Tardi ti ho amata, o bellezza antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri dentro di me e io ero fuori, e lì ti
cercavo; deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Tu eri con me, ma io non ero con te. Tu mi chiamasti,
e ora anelo a te; mi toccasti, e ora ardo di desiderio verso la tua pace. O amore che sempre ardi e mai ti estingui, o
carità, o mio Dio, infiammami! Dammi ciò che comandi, e comanda ciò che vuoi>> (Ib., X, 27, 29).
4
<<Entrerò nel mio talamo e ti canterò un canto d’amore, tra i gemiti inenarrabili del mio pellegrinaggio, al ricordo di
Gerusalemme, con il cuore levato a lei, Gerusalemme patria mia, Gerusalemme madre mia, e a te, suo re, sua luce (…).
Che io non me ne allontani, fino al giorno in cui raccoglierai dalla dissipazione e dalla deformità di questa vita tutto il
mio essere, riportandolo alla pace di lei, mia amatissima madre, dove sono le primizie dello spirito, e tu mi conformerai
ad essa e mi confermerai lì in eterno, mio Dio, misericordia mia>> (Ib., XII, 16).
2
1
la propria ricerca, la quale trova nella ragione il necessario rigore ma non è esigenza di sola ragione:
l’uomo può cercare Dio e rapportarsi a lui solo in virtù della grazia che illumina l’intelletto e
beatifica la volontà, e può amarlo solo perché Dio lo ama: <<Dio è la sola nostra possibilità>>
(Soliloquia, II,1).
Agostino adatta platonismo e neoplatonismo alla visione cristiana attraverso la nozione di un
Dio creatore e luce dell’anima, e sostituisce la propria dottrina dell’illuminazione a quella platonica
della reminiscenza. Platone, definito da Clemente Alessandrino “il “Mosè atticizzante”, aveva
riconosciuto la spiritualità e l’unità di Dio, ma non era giunto ad adorarlo. I filosofi neoplatonici, i
cui libri, specie quelli di Plotino, avevano influito nella conversione di Agostino, avevano intravisto
il fine dell’uomo nella patria celeste, ma non avevano saputo indicare la via che vi conduce, ossia il
Verbo incarnato da essi ostinatamente ignorato (Cfr. Conf., VII, 9). Tutti i platonici e neoplatonici
<<avevano pensato che si dovessero onorare numerosi dei>> (De civitate Dei, VIII, 12).
La nascita della filosofia di Agostino può essere collocata nell’anno 389, quando, nello
scrivere il dialogo De magistro, balenò alla sua mente la teoria dell’illuminazione interiore.
Volendo reagire alle conclusioni scettiche della filosofia greca, egli parte dal fatto incontestabile
che ogni creatura è mutevole e priva di universalità e necessità. La grazia, dono gratuito e
soprannaturale di Dio, imprime nella mente umana le verità eterne e i principi certi universali,
necessari e immutabili, indispensabili per la fondazione del sapere scientifico. Attraverso le leggi
universali e necessarie del pensiero, elargite dalla grazia illuminante, il “Platone cristiano” può
superare il dubbio scettico che rendeva impossibile la certezza e la conoscenza.
Nel De magistro l’Ipponate espone e dimostra la dottrina centrale del suo sistema,
l’illuminazione divina, che pone in Cristo, il Maestro invocato da Platone a sciogliere gli enimmi, la
fonte delle verità eterne e fa di lui il maestro interiore di ogni uomo: <<Ille autem qui consulitur,
docet, qui interiore homine abitare dictus est Christus, id est incommutabilis Dei Virtus atque
sempiterna Sapientia>> (De magistro, XI, n. 38). La nota fondamentale del pensiero di Agostino è
dunque la presenza in noi di Dio, <<interior intimo meo et superior summo meo>> (Conf., III, 6).
Essendo immutabile, la verità non può essere prodotta dall’anima raziocinante, la quale può solo
mettersi alla ricerca del Dio immutabile e fonte dell’immutabilità, quel Dio-Verità che è allo stesso
tempo dentro e sopra di noi: <<Noli foras ire; in te ipsum redi; in interiore homine habitat veritas;
et si tuam naturam mutabilem inveneris, trascende et te ipsum>> (De vera religione, XXXIX, 72,
154). L’illuminazione interiore è la luce che si rivela e spazza via il dubbio, apre l’uomo alla
conoscenza e lo introduce nell’intimità stessa di Dio 5.
Vinto lo scetticismo (<<Si fallor, sum>>: De civitate Dei, XI, 25), superati gli ostacoli posti
dalle dottrine manichee (materialismo e ontologicità del male) e quelli derivanti dalle fattezze
umane del Dio del Vecchio Testamento, Agostino si converte al cristianesimo, passo al quale non si
sarebbe deciso se non fosse stato capace di addurne le ragioni filosofiche. La sua sintesi del
pensiero cristiano è uno dei pilastri della filosofia del medioevo, tanto da delinearne la forma mentis
segnata dall’esemplarismo (ogni essere è la realizzazione di un’idea del perfetto esemplare che è
Dio) e dal volontarismo (primato della volontà sull’intelletto), due correnti comuni a tutta la scuola
agostiniana, francescana e scotista.
Il credito goduto per tutta l’età di mezzo ha fatto dell’agostinismo la filosofia della Chiesa
sino al secolo XIII, identificandosi di fatto con la scuola francescana e scotista. Esso ha influenzato
l’umanesimo, il rinascimento e il pensiero moderno e contemporaneo: innatismo di Cartesio,
occasionalismo di Malebranche, misticismo di Berkeley, storicismo di Vico, armonia prestabilita di
5
<<Invogliato così a rientrare in me stesso, discesi nella mia interiorità, da te guidato, e lo potei perché tu mi aiutasti.
Vi entrai, e vidi con l’occhio della mia anima, quale che fosse, al di sopra dello stesso occhio dell’anima mia, al di sopra
della mia mente, una luce immutabile (…). Chi ha conosciuto la verità, sa cos’è, e chi la conosce conosce l’eternità.
L’amore la conosce. O eterna verità e vero amore e amata eternità! Tu sei il mio Dio, a te giorno e notte sospiro>>
(Conf., VII, 10).
2
Leibniz, apriorismo di Kant, innatismo di Rosmini, ontologismo di Gioberti e tutte le correnti dello
spiritualismo contemporaneo ruotano nell’orbita di Platone e Agostino. Sul pensatore di Tagaste si
fonda gran parte della coscienza dell’Europa e dell’intero Occidente. Per vie diverse, dirette ed
indirette, egli arriva fino a noi.
Con la sua dottrina e la sua umiltà, la sconfinata carità, le levature vertiginose della sua
anima, il vescovo di Ippona ha ispirato figure come Cartesio e Leibniz, Lutero e Pascal. Ed anche il
Petrarca, il più gentile dei poeti, che nel Secretum “confessa” il suo intimo tormento e le sue
preoccupazioni, dialoga con Agostino e lo assume a modello per la sua riflessione. Fare del poeta
solo il riscopritore dei classici e l’antesignano della modernità è riduttivo e fa perdere il senso
profondo della sua meditazione, che è un sommesso colloquio con la propria anima, nel quale si
rinviene l’eco profonda, l’onda lunga della memoria del suo ispiratore e maestro.
La nullità della creatura di fronte a Dio, motivo sotteso e spesso affiorante, è la ragione
profonda che oppone il misticismo filosofico di Agostino al naturalismo aristotelico. La grazia è a
base della natura, la fede è a base della ragione: credo ut intelligam (De libero arbitrio, II, 2),
l’aforisma col quale il Dottore della grazia tende ad assorbire il naturale nel soprannaturale, e che
sarà poi ripreso e reso celebre da Anselmo d’Aosta. La fede è a base della ragione, ma fonda ed
erige essa stessa un pensiero razionale dimostrativamente valido. Per uno spirito logicamente
strutturato come quello di Agostino <<nulla è la fede se non è pensata>> (De fide, spe et caritate,
7). L’indagine filosofica è fede nella rivelazione; l’azione è grazia concessa da Dio, e a mezzo della
ragione illuminata dalla grazia il filosofo dell’interiorità o trascendenza interiore vuole dimostrare
l’an sit del mistero trinitario, ma si ferma davanti al quomodo sit, che resta inaccessibile. Fede e
ragione convivono armonicamente senza confondersi, senza frattura tra l’uomo di chiesa e il
pensatore 6.
La grazia, che è a fondamento della scienza, dona all’anima l’immortalità che non spetta di
diritto, ma è elargita per la felicità eterna. Essa è l’unica fonte della felicità, salva dall’abisso del
nulla, dalla corruzione e dall’errore, cancella il male che è non essere, defectus boni, e che nasce
dalla finitezza (male metafisico) e dalla libera volontà dell’uomo (male morale). Per grazia Cristo
rivela la sua divinità, prende su di sé la condizione umana e i peccati degli uomini e concede il suo
perdono gratuito. La concretezza di un Dio-uomo che si fa come noi per farci come lui apporta quel
supplemento di umanità necessario anche per costruire quel “nuovo umanesimo” di cui oggi si parla
e di cui si sente il bisogno, un umanesimo che non solo valorizzi l’uomo, ma lo metta a contatto con
Dio attraverso il Figlio incarnato, perché solo in Cristo egli acquista quella dignità infinita che lo
innalza sopra le altre creature 7.
6
Il razionalismo teologico di Sant’Agostino è pienamente compatibile con la dottrina cattolica, in quanto la ragione
naturale è illuminata e diretta dal soprannaturale. E’ interessante notare come Rosmini metta in esergo al suo Il
razionalismo teologico la seguente frase dell’Ipponate: <<Jam dic evidenter quod latenter sentis, quoniam satis prodis
tua disputatione quod sentis>> (S. Aug., Op. Imperf. contra Jul., II, XXX). Cfr. A. ROSMINI, Il razionalismo
teologico, a cura di G. Lorizio, Città Nuova, Roma 1992, p. 34. Cfr. anche G. LORIZIO, Eschaton e storia nel pensiero
di Antonio Rosmini, EPUG–Morcelliana, Roma-Brescia 1988.
7
L’umanesimo di cui parlo non è quello di una mera prospettiva filosofica che mette al centro l’uomo come misura di
ogni cosa, né l’antropocentrismo come inizio della modernità, viste che prescindono dalla trascendenza e finiscono per
impoverire l’uomo chiudendolo nel circolo della sua finitezza. Sto parlando di un umanesimo che vive dentro la lettura
agostiniana della contingenza, una lettura che non schiaccia l’uomo, né lo avvilisce sotto il peso del limite, ma gli dà
motivi di speranza e lo arricchisce di senso (da dove vengo, dove vado, qual è il mio destino?), facendone un uomo di
domanda, ricerca, invocazione e attesa, un umanesimo che ci impegna a calarci nella profondità del nostro io, fino a
scoprire che siamo amati da un Amore infinito e trasformante. Cristo, l’archetipo dell’uomo e esemplare perfetto, si è
fatto carne perché nel suo volto umano l’uomo possa riconoscere il proprio volto fatto ad immagine di quello divino,
segno e simbolo della congiunzione, per partecipazione e analogia, dell’uomo col Dio personale. Nato col cristianesimo,
il concetto di persona è una nuova dimensione dell’uomo che non trova riscontro nella cultura pagana, che riduceva la
persona alla nozione fittizia e ludica di maschera teatrale. L’idea di persona è la pietra angolare su cui si fonda la
costruzione dell’Europa.
3
<<Il Dio nascosto che si fece vedere uomo tra gli uomini>> (Serm., 293, 5) promuove la
nostra umanità, ci ricrea ad immagine della sua umanità, imprime in noi i tratti della sua umanità.
L’umanesimo nasce e vive con Cristo: nessun vero umanesimo è possibile senza attingerlo
dall’umanità di Cristo, il Dio incarnato <<immenso nella natura divina, piccolo nella natura di
servo>> (Ib., 187, 1). Solo nel mistero del Verbo incarnato si può capire quello dell’uomo: Cristo,
nuovo Adamo e uomo perfetto, infonde in lui la vita, gli rivela la sua vocazione, essere lode di Dio
e partecipe della sua grazia, accende la sua speranza e dirige il suo cammino al compimento della
sua umanità.
All’ingegno acutissimo Agostino univa un’infinita capacità di amare. Il suo pensiero è vita
vissuta, e in lui, più che il filosofo e il santo, sentiamo il fratello della nostra umanità. Egli è un
compendio di umanità, un vero e proprio patrimonio di umanità. La sua passionalità, fatta di
debolezza e di peccato, scandisce il ritmo quotidiano dell’uomo che nella sua miseria e fragilità
cerca motivi di speranza: <<O Signore, dammi ciò che amo; perché io amo, e anche questo me lo
desti tu. Non abbandonare i tuoi doni, non disprezzare questo tuo filo d’erba assetato>> (Conf., XI,
2).
L’uomo è nulla di fronte a Dio, che è l’Essere che lo fa esistere, la Verità che si rivela e
parla all’uomo e dà legge alla sua ragione: <<O Dio, la tua legge è verità: tu sei la verità>> (Ib., IV,
9). Dio è l’Amore per essenza, l’Amore che ci chiama ad amare. Egli nulla ci deve, i suoi doni sono
assolutamente gratuiti, e davanti a lui noi siamo mendicanti che possono solo invocarlo e
ringraziarlo, e cantargli l’inno di lode e di amore 8.
Agostino esprime la sete di felicità dell’uomo, il desiderio di una vita infinitamente felice
che ognuno porta dentro di sé: <<Come non si vuole non esistere, così non si vuole non essere
felici. E non si può essere felici se non si esiste>> (De civitate Dei, XI, 26) 9. E’ la filosofia
dell’amore, il canto dell’amore, della gioia e della gratitudine a Dio di chi dissolve se stesso nella
divina carità, l’esaltazione dell’amore esploso e diffuso nel miracolo della creazione che rende
possibile l’atto della perfetta carità, l’amare i nemici. L’uomo è ciò che egli ama: <<Ama, e fa ciò
che vuoi: sia che taccia, taci per amore; sia che parli, parla per amore; sia che corregga, correggi per
amore; sia che perdoni, perdona per amore>> (Ep. Jo. ad Parthos, tr. VII, 8) 10. Amare è volere il
bene, ogni bene, solo il bene; è osservare i comandamenti, soprattutto quello della carità, secondo la
volontà divina. Chi non ama il Bene assoluto, in realtà non ama, può solo simulare di amare. Il
destino dell’uomo è amare e la sua speranza poggia sull’amore di Dio rivelato e donato in Cristo:
<<Sospiravo, e tu mi udivi; vacillavo, e tu mi guidavi; camminavo per la via larga del mondo, e tu
non mi abbandonavi>> (Conf., VI, 5).
Il grande convertito aveva fatto la più radicale e definitiva scoperta: il figlio di Dio e
dell’uomo aveva liberamente scelto per amore di farsi uomo di sofferenza e di dolori, solidale con
tutta l’umanità, aveva voluto condividere la nostra umanità, si era incarnato nella fragilità per
guarirla e restituire all’uomo i mezzi soprannaturali della salvezza. La sofferenza trova la sua
risposta unicamente nell’incarnazione e morte di Cristo, supremo e irrevocabile atto di amore e
solidarietà, totalmente gratuito e misericordioso, che aspetta solo di essere accolto. Cristo si fa
crocifiggere, povero e nudo, per morire d’amore, pane spezzato e vino versato per amore dell’uomo,
vittima di espiazione per i suoi peccati. La sua morte di croce è la manifestazione totale e definitiva
dell’amore, abbraccio di misericordia infinita all’intera umanità. Cristo è la garanzia della verità
8
<<Ti invoco, Dio mio, misericordia mia, che mi creasti e non ti dimenticasti di me. Ti invoco, vieni nella mia anima
che tu predisponi ad accoglierti grazie al desiderio da te inspirato: ora non abbandonarmi mentre ti invoco. Prima ancora
che io esistessi, tu eri ma io non ero, e ora esisto, grazie alla tua bontà. Nessun diritto avevo ad essere, né potevo esserti
di aiuto. Tu mi hai creato, e mi hai creato solo perché volevi farmi felice. Mi hai fatto dono dell’esistenza e di poter
essere infinitamente felice>> (Ib., XIII, 1).
9
<<Delectatio quippe quasi pondus est animae>> (De musica, 6, 11.29).
10
<<Ogni uomo è tale quale è il suo amore. Ami la terra? Sarai terra. Ami Dio? Che dirò? Sarai Dio? Non oso dirlo, ma
ascoltiamo la sua Scrittura che dice: Siate dèi e figli dell’Altissimo>> (Ep. Jo. ad Parthos, tr. III, 14).
4
dell’amore, l’unica via che porta a Dio, il solo che può dare consistenza e stabilità: <<Et stabo et
solidabor in te, in forma mea, veritate tua>> (Ib., XI, 30).
Non ci può essere amore se non per la verità e nella verità: solo amando si conosce la verità,
fuori dalla verità non c’è carità e fuori dalla carità non c’è verità: <<Non intratur in veritatem nisi
per caritatem>> (Contra Faustum, XLI, 32, 18). Se si ama Dio, si ama l’amore, ma non si può
amare Dio senza amare gli altri uomini 11. Amare ogni altro uomo è come amare Dio stesso, che
ama con la tenerezza del Padre, e stolto è l’uomo che si dà pena esageratamente per tutte le cose
umane: <<O dementiam nescientem diligere homines humaniter!>> (Conf, IV, 7).
Cristo è il Verbo che si fa carne per salvare l’uomo, è l’Amore Crocifisso che attira a sé.
Nell’impulso infinito della carità la Parola inconoscibile si è incarnata, è diventata Parola visibile
che solleva alla conoscenza, al colloquio ed alla comunione vitale con Dio. L’amore si manifesta
nello Spirito Santo, luce di verità e fuoco di carità: lo Spirito di Dio, che aleggia immutabile sulle
realtà mutevoli, sussiste col Padre e il Figlio nell’amore che avvolge l’eterna vita divina. Nel
mistero trinitario, vincolo di unità ed immagine di solidarietà, il Padre, il Figlio e lo Spirito sono
l’Amante, l’Amato e l’Amore, ciascuno dei quali è se stesso, e tuttavia si compenetra negli altri in
uno slancio inesauribile di amore che nasce eternamente dal Padre e al Padre eternamente ritorna:
<<Se vedi la carità, tu vedi la Trinità>> (De Trinitate, VIII, 8,12).
La bellezza immutabile della Trinità, la bellezza antica e sempre nuova che Agostino
cercava, è l’Amore crocifisso che trasforma e svela un orizzonte senza confini. Nell’unità
dell’anima nella sua triplice forma (essere, sapere, volere) si rispecchia l’unità della divina trinità:
<<Io infatti esisto, conosco e voglio. Sono in quanto so e voglio, so di essere e di volere, voglio
essere e conoscere>> (Conf., XIII, 11). Per il santo Dottore la ricerca di Dio non è fatta solo di pura
ragione, ma risponde soprattutto a un bisogno di amore. La fede stessa poggia su un atto d’amore,
un atto d’amore perfetto che è la suprema bellezza della storia. Al primato della sapienza proprio
della filosofia greca subentra quello dell’amore, la caritas ordinata, l’ordo amoris, l’amore di ogni
ente secondo la relativa dignità ontologica, che sa distinguere quello che è da godere come fine
(frui) e quello da usare come mezzo per raggiungere i fini (uti). Si può amare solo il Bene, solo
l’Amore, solo la Verità: <<solo Deo fruendum>> (De doctrina christiana, I, 22, 20).
La legge eterna di Dio, la legge unica e universale che è la legge naturale <<scritta nel cuore
degli uomini, tanto che neppure l’iniquità può cancellare>> (Conf., II, 4), è la stessa <<ratio divina
vel voluntas Dei ordinem naturalem conservari iubens>> (Contra Faustum, XXII, 27). Essa si
rivela nella natura umana come una gravitazione e una nostalgia delle origini, un <<pondus
voluntatis et amoris>> (De civitate Dei, XI, 16) che indirizza l’uomo secondo l’ordine naturale
degli enti, dato fin dalla creazione dalla sapienza ordinatrice di Dio: <<Hoc naturalis ordo
praescribit; ita Deus hominem condidit>> (Ib, XIX, 15).
All’uomo si presenta l’alternativa fondamentale: vivere secondo lo spirito o vivere secondo
la carne, aut caritas aut cupiditas, e ognuno può scorgere nella propria coscienza da che parte sta.
Chi liberamente sposa la causa di Dio, è cittadino della civitas Dei e guadagna la felicità eterna,
nonostante l’opposizione dei malvagi, seguaci di Satana, che appartengono alla civitas diaboli 12.
Nell’ordine temporale le due città si mescolano e confondono, ma l’esito finale sarà la vittoria della
città di Dio che avrà il compimento nella Gerusalemme celeste, là dove <<riposeremo e vedremo,
vedremo e ameremo, ameremo e loderemo. Ecce quod erit in fine sine fine>> (Ib., 22, 30.5).
11
<<Se amerai il fratello che tu vedi, potrai contemporaneamente vedere Dio perché vedrai la carità stessa, e Dio abita
nella carità>> (Ib., tr.V, 7).
12
<<Due amori fecero due città: l’amore di sé portato fino al disprezzo di Dio genera la città terrena; l’amore di Dio
portato fino al disprezzo di sé genera la città celeste (…). I cittadini della città terrena sono affetti da una stolta
cupidigia di dominio che li induce a soggiogare gli altri; i cittadini della città celeste si offrono l’uno all’altro in servizio
con spirito di carità>> (Ib., XIV, 28).
5
La condizione umana, se umilmente riconosciuta, accettata e vissuta nell’amore, è la via per
il definitivo riscatto dal dolore e dall’angoscia, che l’uomo, un mendicante di senso, può solo
invocare. La luce della grazia aiuta a discernere quello che l’uomo è e quello che è destinato ad
essere, partecipare alla vita beata della comunione trinitaria. Dio ha infuso nel cuore umano una
così profonda nostalgia di sé che l’uomo ha pace solo quando lo trova: <<Tu ci hai creati per te, e
inquieto è il nostro cuore fino a che non riposi in te>> (Conf., I, 1). Dove c’è la carità c’è la pace e
dove c’è l’umiltà c’è la carità, e dopo il travaglio dell’esistenza gli uomini anelano alla pace infinita
della vita eterna 13. Ogni cosa è spinta dal suo peso e tende al proprio luogo: <<pondus meum amor
meus; eo feror, quocumque feror>>, e noi, infiammati e innalzati dal tuo dono, o Dio, <<andiamo
verso l’alto, verso la pace di Gerusalemme, dove vorremmo rimanere per sempre>> (Ib., XIII, 9).
Come ogni vero filosofo, anche Agostino sfocia nella mistica e giunge a contemplare
quell’Uno e Trino che aveva prima negato, poi sospirato ed infine trovato e amato 14. La sete di Dio
e la felicità eterna sono il senso ultimo della ricerca dell’uomo di Tagaste, una ricerca che, dopo il
tempo dell’inquietudine e della prova, si compie nell’incontro con Cristo: <<O Signore, in questo si
è manifestato il tuo amore per me: che sei venuto in questo mondo per donarmi la vita>> (1Gv, 3,
16).
2. Il pensiero del beato Rosmini è fortemente legato a quello di Sant’Agostino. L’idea
dell’essere è l’agostiniano lume della ragione, l’una e l’altro radicati nella tradizione platonica. La
priorità ed oggettività essenziale e il carattere formale dell’idea che si manifesta alla mente –
quest’ultimo se correttamente assunto nell’accezione platonico-agostiniana anziché in quella
kantiana - pongono il Roveretano nella tradizione italica e cristiana dell’interiorità, che è lo spazio
privilegiato dove la verità si rivela. L’essere ideale congenitamente presente all’intelletto
corrisponde all’agostiniana forma della verità, il lume naturale della mente umana. Per Agostino e
Rosmini la verità che l’uomo conosce è un’immagine dell’increata Verità 15.
13
Nell’autunno del 387 Agostino e la madre Monica si trovavano ad Ostia in attesa di imbarcarsi per l’Africa, e
discorrevano sulla fede da lui ormai conquistata. Uno di questi colloqui, definito dalla posterità l’estasi di Ostia,
rappresenta una delle pagine più sublimi della letteratura di tutti i tempi: <<Se in un uomo tace il tumulto della carne,
tace ogni immagine della terra, dell’acqua e dell’aria, tacciono i cieli, e tace l’anima oltrepassando se stessa e non più
pensando a se stessa, tacciono i sogni e le immagini, tace completamente in lui ogni parola, ogni simbolo, e tutto ciò che
è transeunte. Se uno le ascoltasse, tutte queste cose direbbero: “non ci siamo fatte da noi, ma ci ha fatte colui che
permane in eterno” e, detto ciò, tacciono ormai perché tendono l’orecchio verso colui che le ha fatte, e parla ormai lui
solo, non attraverso esse, ma da se stesso, cosicché udiamo la sua parola non più tramite una lingua di carne, una voce
d’angelo, il tuono di una nube, né per enigma, ma in se stessa, e ascoltiamo, senza più tutte queste cose, la Parola stessa
che in tutte queste cose amiamo, proprio come ora oltrepassiamo noi stessi e con rapido pensiero attingiamo la sapienza
eterna, che permane al di sopra di tutto (…). Questo dicevo, anche se non in questo modo e con tali parole. Ma tu sai,
Signore, che quel giorno, mentre parlavamo così e il mondo, con tutte le sue attrattive, si sviliva ai nostri occhi di fronte
a quelle parole, ella disse: “Figlio, per quanto mi concerne, nulla ormai mi diletta in questa vita. Non so cosa io faccia
ancora qui e perché ancora sia qui, essendosi ormai adempiuta la speranza che avevo riposto in questo mondo. Vi era un
solo motivo, infatti, per il quale volevo prolungare ancora un poco la mia esistenza terrena: vedere te cristiano cattolico
prima della mia morte. E il mio Dio mi ha concesso ciò in sovrabbondanza, perché, disprezzata ormai la felicità terrena,
ti vedo addirittura suo servo. Che cosa faccio qui?”>> (Conf., IX, 10). La familiarità col santo Dottore suggerisce a
Rosmini le seguenti parole, ispirate a questo colloquio tra Agostino e Monica, scritte in occasione della morte della
madre per comunicare la notizia all’amico Avogadro: <<Sono rimasto privo della madre a questo mondo. Una ragione
in più per anteporre il cielo alla terra>> (A. ROSMINI, Epistolario completo, Pane, Casale Monferrato 1887-94, VIII,
65).
14
<<Signore Dio, dacci la pace – tutto infatti è tuo dono - la pace del riposo, la pace del sabato, la pace senza tramonto.
Tutta questa realtà bellissima e ordinata, molto buona, avrà termine a conclusione del suo ciclo: ha avuto il suo mattino
e la sua sera. Il settimo giorno è invece senza sera e non conosce tramonto, perché lo hai santificato affinché rimanga in
eterno. Il tuo riposo nel settimo giorno, dopo la tua opera molto buona, che hai fatto rimanendo nella tua quiete, ci
preannuncia, secondo la parola del tuo libro, che anche noi, dopo le nostre opere molto buone perché donateci da te,
riposeremo in te nel sabato della vita eterna>> (Conf., XIII, 35, 36).
15
Per un profilo generale del pensiero rosminiano cfr. M. CIOFFI, Rosmini filosofo di frontiera, Città di Vita, Firenze
MMI.
6
L’abate trentino voleva restaurare la teologia e la filosofia cattolica recuperandole nei loro
fondamenti ontologici della metafisica platonico-cristiana di Sant’Agostino come ripensata da San
Tommaso. Rosmini stesso, descrivendo i caratteri della propria filosofia, ci dice che <<essa, in
sull’orme di sant’Agostino e di san Tommaso, tutte le sue meditazioni rivolge al gran fine di far
tornare indietro lo spirito umano da quella falsa strada, nella quale col peccato si mise>> 16. Mentre i
rapporti con l’Aquinate sono stati oggetto di ampio dibattito, quelli con l’Ipponate sono pacifici ed
indiscussi. Le indubbie radici agostiniane di Rosmini si intrecciano in realtà allo studio assiduo di
Tommaso, da lui letto prevalentemente in chiave di concordanza di elementi agostiniani e
aristotelici. Per lui l’aristotelismo di Tommaso non è chiuso alle influenze platoniche e
neoplatoniche mediate attraverso Agostino, definito esplicitamente dal Roveretano <<il maestro di
S. Tommaso>> 17. Dunque, Agostino maestro di Tommaso, e Tommaso, in quanto ispirato ad
Agostino, maestro di Rosmini.
Mentre la filosofia del suo tempo annegava nel sensismo e nel soggettivismo, il prete
filosofo voleva riaffermare il primato dell’essere sul conoscere e di Dio sull’uomo, superarando le
ambiguità kantiane con il recupero della tradizione patristica dell’essere come verità di tutte le cose
e fondamento originario dell’esistenza. Muovendosi lungo queste linee fondamentali, egli si accinse
al compito di erigere una sintesi aggiornata del pensiero cristiano, non senza prima investigare a
fondo il pensiero dominante del tempo, il criticismo e l’idealismo. Solo così, pensava Rosmini,
sarebbe stato possibile “aggiornare” le dottrine dei Padri e Dottori della Chiesa, le sole costruite su
basi oggettive. Solo arricchita col meglio della modernità la filosofia perenne e il sistema della
verità avrebbero potuto essere presentati, in termini credibili, agli uomini imbevuti di sensismo e
soggettivismo. Attraverso le immutabili verità di sempre, raccogliendo i frammenti di verità
presenti nei pensatori abbandonati a se stessi e utilizzando gli apporti positivi della cultura moderna,
Rosmini intendeva comporre la frattura tra tradizione e modernità, fede e ragione.
Per vincere il confronto col pensiero moderno e dare solide basi alla sua nuova enciclopedia
cattolica, egli ricorre ad Agostino e Tommaso come due accentuazioni della stessa tradizione
classica e cristiana, la via metafisica che va da Parmenide a Platone e fino ai due santi Dottori.
Sostenendo che la ragione ha in sé un elemento a priori oggettivo per essenza che permette di
raggiungere la verità, il Roveretano aveva presagito l’avvento del nichilismo in cui la filosofia si
sarebbe dissolta per opera della linea di pensiero che va da Cartesio ad Hegel, ammonendo a non
seguire Kant ed Hegel sul sentiero che avrebbe portato alla fine della filosofia. Reagendo al decreto
vericida di chi aveva sostenuto l’impossibilità di raggiungere la verità e così sancito la morte della
filosofia, Rosmini restaura la dignità dell’idea dopo il sonno dogmatico del sensismo e
dell’idealismo 18. Capovolgendo la concezione soggettivistica della conoscenza e recuperando
l’antico concetto della verità come fondamentale qualità dell’essere, egli raddrizza la filosofia e con
essa anche la morale e il diritto.
La verità che rende possibile la conoscenza e che è conosciuta dal soggetto è l’immagine
della Verità, data dall’idea dell’essere, che è la verità di tutte le cose, oggetto formale della mente e
forma oggettiva della verità. Mettendo l’idea a fondamento di ogni possibilità, anche del pensare,
Rosmini annienta il primato cartesiano del cogito e, collegandosi direttamente ad Agostino e alla
sua dottrina dell’illuminazione, giunge ad affermare che senza i principi formulati dall’Ipponate
<<non esisterebbe più la metafisica e per conseguente non esisterebbe più la filosofia>> 19.
16
A. ROSMINI, Introduzione alla filosofia, a cura di P.P. Ottonello, Città Nuova, Roma 1979, p. 201.
A. ROSMINI, Teodicea, a cura di U. Muratore, Città Nuova, Roma 1977, p. 544.
18
E lo fa <<in un’epoca in cui l’idea viene identificata con il concetto, l’essere con il reale, la logica con la metafisica
da parte di un idealismo che nella trascendentalità seppellisce l’eminenza e la dignità dell’idea>>: così M.F. SCIACCA,
I principi della metafisica rosminiana, in Atti del congresso internazionale di filosofia Antonio Rosmini (StresaRovereto 1955), a sua cura, Sansoni, Firenze 1957, p. 61.
19
A. ROSMINI, Epistolario completo, op. cit., X, p. 223.
17
7
Nell’uomo è presente l’imago Dei come fondamento ontologico della natura umana che
intuisce, conosce e vuole, inquieta per lo squilibrio tra il reale e l’ideale che rende incompleta la
scienza e impossibile all’uomo la perfetta virtù, e tuttavia orientata verso un destino soprannaturale
di felicità ed amore. Il pensiero di Rosmini è una filosofia agapica consacrata alla carità e
imprescindibilmente legata alla verità: Al freddo ascetismo della morale kantiana egli oppone la
felicità quale bene supremo dell’uomo: <<La percezione dell’essere assoluto è una congiunzione,
un possesso dell’essere assoluto, da cui procede la beatitudine, un godimento infinito>> 20. La sua
fondazione metafisica dell’etica non ha nulla in comune col formalismo kantiano: al dovere
Rosmini sostituisce l’amore, l’amore ordinato di Sant’Agostino (ordo amoris, ordinata dilectio):
l’amore dell’essere che scaturisce dalla riflessione sulla gerarchia ontologica degli enti diventa il
criterio oggettivo dell’etica. Il principio supremo della morale diventa pertanto quello di amare ogni
cosa secondo l’ordine dell’essere: <<Ama l’essere ovunque lo conosci, nell’ordine che egli presenta
alla tua intelligenza>> 21. Tale principio deriva chiaramente dalla formula agostiniana <<questa poi
è vera dilezione, che noi inerendo alla verità giustamente viviamo>> (De Trinitate, VIII, 7),
massima che dà piena luce all’altra, sempre di Agostino, che sulle orme di San Paolo (Rm, 13, 10)
afferma: <<caritas perfecta, perfecta justitia est>> (De natura et gratia, LXX, 84) 22.
Per Rosmini la filosofia non è solo scienza e contemplazione della verità, ma anche
chiarificazione dell’esistenza e luce al retto comportamento dell’uomo. Secondo una circolarità
virtuosa, l’etica si innesta nel sistema della verità e questa è indissolubilmente legata alla carità, che
è <<la forma ultima della moralità ed appartiene all’essenza divina>> 23. Questo fa sì che <<il
principio di tutta la morale cristiana è l’inabitazione di noi in Cristo e di Cristo in noi>> 24. La grazia
dà all’uomo una conoscenza nuova di Dio, gli comunica un nuovo modo di amarlo e gli conferisce
un amore soprannaturale, che è derivazione e partecipazione di quello divino, e permette
l’inoggettivazione in Dio <<che rende l’uomo deiforme>> 25. Se nell’umanità vi è un segno della
deiformità, ciò significa che Dio si è comunicato per grazia alla sua creatura congiungendosi
formalmente ad essa con un atto di ordine soprannaturale, dato che l’uomo non possiede per natura
quel segno.
L’incarnazione del Verbo ad opera dello Spirito Santo, che è l’Amore sussistente, determina
la <<sublimazione del causato o ente finito all’Infinito, ossia l’ordine soprannaturale inserito nel
creato, con che il creato è compiuto secondo l’eterno prestabilito disegno>> 26. Il Figlio Unigenito,
che assume la natura umana senza dismettere quella divina, rende l’uomo capace di intendere e
accogliere la comunicazione del suo Principio, che si immette in lui per opera di quella che il
filosofo e teologo roveretano chiama divina astrazione teosofica 27.
La Verità che è nell’uomo è anche principio di amore: il Principio è la Carità, l’Essere è la
Carità. Dio, <<il primo oggetto della Carità, è anche il primo amatore: ed Egli è anzi
essenzialmente carità: e un atto di questa essenziale carità è l’incarnazione di Cristo>> 28. Dio si
rivela nel Figlio che è l’incarnazione perfetta della perfetta Carità: non è possibile attingere
l’eternità senza vivere in Cristo, perché solo nell’Amore è la vita e <<chi non ama rimane nella
morte>> (Gv, 3, 14). Due coesistenti verità vivono dentro la stessa Carità: <<E’ una verità
indubitata che l’uomo rimane in Dio-Carità ed è pure una verità indubitata che Dio-Carità resta
20
A. ROSMINI, Principi della scienza morale, a cura di U. Muratore, Città Nuova, Roma 1990, p. 99.
Ib., p. 110.
22
Rosmini riporta le due formule agostiniane rispettivamente nei Principi appena citati (p. 422) e nella Filosofia del
diritto. Cfr. A. ROSMINI, Filosofia del diritto, a cura di R. Orecchia, Cedam, Padova, 1967-69, p. 139.
23
A. ROSMINI, Teosofia, a cura di S.F. Tadini, Bompiani, Milano 2011, pp. 1088-89.
24
A. ROSMINI, L’introduzione del vangelo secondo Giovanni commentata, a cura di S.F. Tadini, Città Nuova, Roma
2009, p. 334.
25
A. ROSMINI, Teosofia, op. cit., p. 966.
26
Ib., p. 1464.
27
Cfr. ib., pp. 1227-39.
28
A. ROSMINI, La Dottrina della Carità, Sodalitas, Domodossola 1943, p. 122.
21
8
distinto dall’uomo. Pure l’uno è nell’altro e l’uomo tutto in Dio (…): l’unione è perfetta, l’unione è
compiuta>> 29.
L’uomo, che conosce, riconosce e ama, è una realtà che non si accontenta delle pure
astrazioni: non può vivere senza amare 30. La sua volontà libera, costitutivamente atta ad amare, è
<<un atto d’amore, per la sua stessa essenza>> 31, un atto d’amore che dispiega la potenza di
eleggere il bene. Nata dalla Carità e dall’Amore, la creatura poté essere rigenerata dalla stessa
Carità e dallo stesso Amore e ricondotta dal nulla alla luce dell’essere, che seppellisce l’uomo
vecchio e riedifica l’uomo nuovo 32.
Dunque, Rosmini filosofo dell’essere o della verità, e del riconoscimento dell’essere o
carità, amore che è giustizia. Nell’essere come amore egli scopre il fondamento trascendente della
persona umana come esistenza morale. L’uomo è un sentimento vitale che tende all’essere 33, fino al
completo appagamento che si ha nella percezione del Verbo divino: <<quivi il desiderio riposa,
quivi l’uomo, in cotal modo, anche nella vita presente, si sazia>> 34. La tendenza all’essere, che è di
natura morale e si realizza per via intellettiva ed affettiva, corrisponde all’agostiniano pondus
hominis che sospinge verso la pace eterna di Dio. L’intelligenza porta all’amore, e l’amore porta
alla sapienza, che è sintesi di verità e amore 35: l’infinita virtualità dell’essere ideale è il germe posto
nell’uomo che fa nascere l’invocazione dell’Essere infinito, il Dio vivente 36.
La persona è il luogo privilegiato della dimora dell’essere triadico perché essa è reale,
intuisce l’ideale e tende incessantemente alla pienezza morale 37. L’uomo cerca una realtà infinita,
uno scibile infinito, un infinito amore: egli intuisce l’essere oggettivo e si congiunge per via
d’amore all’essere morale che è l’essere oggettivo in quanto amabile e amato da un soggetto reale, e
29
Ib., p. 127. <<Solo quando l’uomo, oltre che conoscere, ama l’essere nel suo ordine, ne ha il pieno possesso
spirituale, lo comprende veramente. Il conoscere è indifferente, il riconoscere vincola; chi conosce non sa ancora
veramente; chi riconosce sa profondamente, ama>>: così M.F. SCIACCA, La filosofia morale di Antonio Rosmini,
Marzorati, Milano 1960, p. 171. Sui rapporti Sciacca-Rosmini cfr. M. CIOFFI, Sciacca con Rosmini e oltre Rosmini, in
AA. VV., Sciacca: la filosofia dell’integralità, Atti del Congresso internazionale nel centenario della nascita di Sciacca,
Bocca di Magra 4-7 settembre 2008, a cura di P.P. Ottonello, Leo S. Olschki Editore, Firenze MMX.
30
<<L’uomo non aspira a puramente conoscere: vuole amare ciò che conosce. Anzi non vi ha compiuta cognizione che
non sia affettuosa: l’amore perfeziona il conoscimento e l’uomo che conoscendo ama, trova nell’ente amato il bene,
termine pieno di quell’atto di cui egli è potenza. Laonde si può convenientemente definir l’uomo “una potenza, l’ultimo
atto della quale è congiungersi all’Essere senza limiti per conoscimento amativo”. Questa tendenza, questo istinto
razionale e morale, detto da S. Agostino il peso dell’uomo, muove e guida tutto il suo sviluppamento>> (Teosofia, op.
cit., p. 269).
31
Ib., p. 1429.
32
<<La carità è un amore, pel quale l’uomo, dimenticando se stesso per i suoi simili, altro diletto non cerca a se
medesimo che quello di procacciar loro ogni bene, con ogni studio, fatica e patimento, sia questo bene corporale,
intellettuale o morale>> (Introduzione alla filosofia, op. cit., p. 188). Si tratta della “triplice carità” percorsa e attuata da
Rosmini, e segnata dall’impianto triadico e trinitario dell’intera sua filosofia. Rosmini, è stato scritto, <<è l’esempio
massimo nella contemporaneità dell’assoluta primazia, dell’assoluto dovere della carità trinitariamente perfetta>>: così
P.P. OTTONELLO, L’uomo equivoco, Marsilio, Venezia 2001, p. 134.
33
<<Chi non sente e non vive, non può vivere a se stesso, e chi non vive a se stesso non può intendere se stesso. Il
soggetto intelligente se stesso vive dunque a se stesso, ed è essenzialmente un sentimento. Ma il sentimento e la vita ha
questa proprietà essenziale d’esser piacevole, e però conosciuto che sia d’essere amabile>> (Teosofia, op cit., p. 812).
34
A. ROSMINI, Introduzione alla filosofia, op. cit., p. 157.
35
Cfr. M. CIOFFI, Il percorso rosminiano dall’intelligenza all’amore, in AA. VV., Antonio Rosmini: Verità, Ragione,
Fede, a cura di U. Muratore, Edizioni Rosminiane, Stresa 2009 (Atti del XVII Convegno Sacrense).
36
<<Tutto ciò che è reale ed intelligibile, è anche essenzialmente amabile, perché fu chiamato alla luce dell’essere dal
divino Yperagathòn. Nell’integrarsi dell’intelligenza dell’essere in amore dell’essere, come avviene in quell’“atto
intellettivo amoroso” che è l’atto morale, il mondo acquista l’impronta del valore. Quello che Fiche aveva chiamato
stupendamente il “materiale sensibile del Dovere” è per Rosmini, anche e prima ancora, il materiale sensibile
dell’Amore>>: così P. PRINI, Introduzione a Rosmini, Laterza, Roma-Bari 1997, p. 111.
37
<<Il circolo reale, intellettuale e morale dell’atto ontologico, costituente l’ente finito uomo, modellato e fondato nel
circolo uno e trino dell’essere assoluto, trova nel morale, cioè nella volontà che è un atto immanente di amore, la sua
chiusura o meglio la sua costituzione fondamentale e radicale>>: così C. BERGAMASCHI, L’essere morale nel
pensiero filosofico di Antonio Rosmini, La Quercia, Genova s. d., p. 89.
9
così avviene che nella essenziale volontà amorosa che è l’atto morale si celebra la circuminsessione
delle tre forme dell’essere. L’essere è per sé amabile e amato, e quindi il principio intellettivo ama il
proprio essere: questo atto è l’amore naturale di sé che ha necessariamente l’ente intellettivo, è il
principio dell’attività volontaria, e fa parte della forma morale, di cui l’uomo partecipa per natura 38.
L’essere si manifesta in triplice forma: come reale, come idea, come virtù, e <<ciascuna di
queste forme siccome in suo ultimo termine d’attuazione si riduce nell’infinito essere (…), ciascuna
delle tre forme conduce il pensiero allo stesso termine, all’identico essere infinito>> 39. Le tre forme
dell’essere derivano dall’antropologia agostiniana, nella quale, come abbiamo visto, la persona
umana è la sintesi vivente di essere, conoscenza e amore. Il fine dell’uomo e dell’universo sta
nell’amore: amando, l’uomo si apre a Dio e agli enti, si arricchisce della loro perfezione e ne gode,
ed è felice perché raggiunge il culmine della perfezione morale, l’unione con l’essere, nella quale
trova e riceve la propria felicità, il godimento del sommo bene. E l’uomo che giunge a godere della
pienezza dell’essere conquista la beatitudine, che è la perfetta unione con l’essere, pieno abbandono
all’essere, dove realizza il suo destino di infinito appagamento 40.
L’amore è tensione verso qualcosa, chi ama vuole essere una cosa sola con l’amato: non si
può concepire un amante senza supporre l’amato, né un amato senza l’amante. Negli atti imperfetti
d’amore dell’esperienza umana, si ravvisa lo sforzo dell’amante di trasformarsi nell’amato, come
attesta il Petrarca (<<e so in qual guisa l’amante nell’amato si trasformi>>). Ma nell’Essere infinito
l’atto d’amore non può non essere perfetto: l’amante deve aver preso la forma di amato, e <<se
dunque l’Amante è oggimai l’amato, il subietto medesimo deve sussistere come per sé Amato, che è
l’ultima attualità concepibile, e perfetta quiete, dell’essere>> 41.
L’ordo amoris nella sua oggettività è a base anche della Filosofia della politica e della
Filosofia del diritto di Rosmini, quest’ultima fine rispetto alla prima che è invece un semplice
mezzo 42. La Filosofia del diritto nasce strettamente legata a tutto il pensiero filosofico e religioso
dell’Autore, persuaso che alla base di ogni problematica politica e giuridica vi fossero
essenzialmente questioni morali e religiose. Il diritto, in quanto espressione dell’essere morale, è
strettamente legato all’etica, ed anzi è <<una parola della ragione morale>> 43. Pur derivando dal
dovere e sorto in seno alla morale, il diritto ha anche natura eudemonologica, e dunque è unità
sintetica di utilità e giustizia, piacere e dovere, che segnano il diritto e l’esistenza del diritto. In altre
parole, la forma morale dell’essere lega insieme ciò che è fisico (eudemonia) e ciò che è razionale
(giustizia) del diritto. La scienza del diritto sta nella relazione dell’eudemonologia e della morale, e
tra queste due realtà, questi due mondi, si muove la vita intima del diritto, quasi una segreta attività
metafisica 44.
38
<<Il soggetto, che conoscendo nell’oggetto che contiene l’essere, si compiace dell’essere, giunge con questo atto al
termine della sua perfezione, che è la perfetta unione con l’essere, e qui giace la virtù e la felicità. L’essere, in quanto è
amato, è la forma morale>> (Teosofia, op. cit., p. 1026).
39
A. ROSMINI, Introduzione alla filosofia, op. cit., p. 160.
40
<<L’essere intellettivo di natura sua è fatto per la pienezza dell’essere, per conoscere questa pienezza, e conoscendola
parteciparla, e partecipandola gustarla, e gustandola amarla, e amandola goderla>> (Principi della scienza morale, op.
cit., p. 177).
41
A. ROSMINI, Teosofia, op. cit., p. 1085.
42
Cfr. M. CIOFFI, Persona e diritto in Rosmini, Edizioni Rosminiane, Stresa 2005 e ID., Il diritto come giustizia e
amore nella filosofia di Rosmini, Edizioni Rosminiane, Stresa 2012, volumi entrambi nella collana “Biblioteca di studi
rosminiani” sotto gli auspici del Centro internazionale di studi rosminiani. Sul costituzionalismo rosminiano e relativa
dimensione fondativa della giustizia rinvio alla relazione da me svolta in Campidoglio nella seduta inaugurale del
convegno nazionale per i 60 anni della Costituzione della Repubblica italiana: M. CIOFFI, Figure di costituenti:
Antonio Rosmini, in AA. VV., Valori costituzionali, a cura di F. D’Agostino, Giuffrè, Milano 2010. Per i rapporti tra
politica e diritto cfr. M. CIOFFI, Persona, diritto e politica nel pensiero di A. Rosmini, in AA. VV., Le ali del pensiero:
Rosmini e oltre. Le sfide della modernità, a cura di E. Butturini e G. Canteri, Editrice Mazziana, Verona 2009.
43
A. ROSMINI, Filosofia del diritto, op. cit., p. 469.
44
<<Di qui il carattere pieno e intrinseco, quasi di una soave e profonda tenerezza, che prende tutto il sistema delle
determinazioni della vita giuridica. E’ in ultima analisi una storia concreta della libertà, della persona come verità amore
10
La giustizia costituisce per Rosmini l’essenza del diritto, corrispondente al lume della
ragione, la verità evidente ed essenziale dell’essere che luce nella sua universalità. Egli pone la
suprema legge della giustizia nel riconoscimento pratico dell’essere, e questa legge, che è la
suprema legge morale, rivela l’essenza del diritto, che suppone l’attività di un soggetto intelligente,
dotato di libera volontà e capace di conoscere e riconoscere. La ricerca del principio del diritto non
può che partire dalla persona in quanto volontà e libertà essenziale, e nel manifestarsi di essa come
entità morale sta il principio del diritto 45. E ciò significa che il diritto si identifica con la persona
umana, la quale è dunque <<il diritto sussistente, l’essenza del diritto>> 46. Questa coincidenza,
affermata da Rosmini per la prima volta nella storia del pensiero filosofico e giuridico, manda la
persona e il diritto alla massima altezza sopra le potenze del mondo: così vogliono <<l’universale
giustizia e l’universale amore, che sono i potenti farmachi portati di cielo in terra dal maestro degli
uomini>> 47.
Morale e diritto spesso intraprendono cammini diversi, ma non possono interrompere il
collegamento al loro comune referente, ossia la persona, che è il principio del diritto ed essa stessa
libertà e diritto essenziale e sussistente. Se viene meno la persona, il diritto, che scaturisce dalla
legge oggettiva universale, perde ogni dimensione ontologica e metafisica. E se sganciato dall’etica
e non più retto dalla necessità morale, il diritto si riduce a mera forza e perde la sua dignità di entità
fondata sulla giustizia. Il diritto è cosa diversa dalla forza, spesso cosa opposta alla forza, e se
questa tenta di sopprimerlo, esso risalta allora in tutto il suo splendore: la negazione del diritto
mette in luce la genesi e il carattere ideale del diritto, quasi lampo di luce divina, filo di luce
teologica che illumina la giustizia e i problemi veri del diritto 48.
Conformemente al comune sentire dei secoli e dei popoli, Rosmini elegge a vera e autentica
espressione dell’essenza del diritto <<quella sentenza di Cicerone degna della luce dei tempi
cristiani, che “il fondamento del diritto si trova nell’inclinazione che noi abbiamo dalla natura
all’amore dei nostri simili”>> 49. Con moderna sensibilità, il Roveretano non esita a considerare i
singoli diritti dell’uomo come specificazioni dell’unico e fondamentale diritto alla felicità, che è la
sintesi di tutti i diritti. Come la persona è la sussistenza del diritto, così i diritti particolari derivano
dal diritto all’appagamento e alla felicità, un atto personale che costituisce <<il formale di ogni
speciale diritto>> 50.
e felicità. Solo per Rosmini il diritto è libertà, la vita dell’individuo liberamente e spontaneamente vissuta nella sua
sinfoniale e infinita complessità, nel suo bisogno di felicità, e nel suo bisogno di assoluto. A Kant Rosmini contrappone
l’amore come essenza dell’individuo anzi della ragione, a Hegel la individualità personale come essenza e fonte della
storia. Con tentativo nuovo nella storia del pensiero, Rosmini riporta il diritto, questa nuda e opaca necessità coattiva,
all’atto francescano di abbandono, che fa l’essenza dell’individualità personale»: così G. CAPOGRASSI, Il diritto
secondo Rosmini, in Opere, Giuffrè, Milano 1959, vol. IV, pp. 336-352, passim. L’insigne giurista aveva appena
osservato che tutta la meditazione di Rosmini sul diritto <<è dominata da una carità presente e vigile, che si
immedesima col suo pensiero, che è anzi il suo pensiero. Noi meditiamo invece senza carità>> (p. 325).
45
Dello specifico tema ho trattato nel saggio Principio e fondazione del diritto in Rosmini, in AA. VV., Natura fisica e
natura metafisica. Tensioni del Giusnaturalismo oggi, a cura dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, Edizioni
dell’Assemblea del Consiglio Regionale della Toscana, Firenze 2014, pp. 51-95.
46
A. ROSMINI, Filosofia del diritto, op. cit., p. 192.
47
Ib., p. 1616.
48
<<Quando la forza bruta opprime l’uomo che ha per sé il diritto, allora questi eccita un interesse straordinario di sé
negli altri uomini: il suo diritto pare che brilli da quel momento di uno splendore insolito: esso trionfa, perché si sottrae
all’azione della violenza come un’entità immortale, inaccessibile a tutta la potenza materiale che non giunge pur a
toccarlo, rimanendosi tutti i suoi sforzi esclusi da quella sfera alta e spirituale in cui abita il diritto>> (Ib., pp. 103-104).
49
Ib., p. 409. Nam haec nascuntur ex eo, quod natura propensi sumus ad diligendos homines, quod fundamentum juris
est (De legibus, I, XV). Rosmini annota: <<Con questa sentenza Cicerone tocca il vero principio del Diritto. Noi
l’abbiamo fatto consistere “nell’obbligo che hanno gli uomini di non cagionarci molestia”, il che farebbero se turbassero
la nostra libertà o la nostra proprietà. E quest’obbligo, che cosa è, se non un ramo del dovere di amare i nostri simili,
dovere impostoci dalla natura?>>.
50
A. ROSMINI, Filosofia della politica, a cura di S. Cotta, Rusconi, Milano 1985, p. 270.
11
Tutti i diritti, in ultima analisi, si riducono alla persona, che è il diritto umano sussistente, e
sono determinazioni del diritto alla verità, alla virtù e alla felicità che la persona incarna 51. I diritti
particolari non sono altro che il molteplice determinarsi dei tre diritti primari, e valgono solo in
quanto soddisfano i tre diritti supremi, che sono beni connaturali ad ogni uomo, propri della natura
umana e da godere in comunione tra gli uomini, beni identici, imminuibili ed indivisibili, di indole
essenzialmente comune a tutta l’umanità e mai di ragione privata ed esclusiva 52.
3. Gli essenziali cenni svolti mostrano l’affinità profonda, la sostanziale unità di intenti,
l’idem sentire di Agostino e Rosmini. Partiti dal lume naturale della ragione, dall’intelligenza,
approdano all’amore ordinato che è il precetto evangelico dell’amore di Dio e del prossimo. La
verità che rifulge alla mente e la costituisce intelligente, se voluta e amata come bene, diventa
sapienza e carità. In Dio, vertice ultimo della sapienza, si fondono verità e carità.
Come Agostino aveva assorbito la cultura classica dandole un’anima cristiana, come
Tommaso aveva assorbito la cultura medioevale avviando un rapporto dialogico col pensiero arabo
ed ebraico, così Rosmini riassume nel suo pensiero i fermenti sani della modernità, in feconda
continuità di intenti con entrambi i Maestri, nel solco dell’agostiniano ordo amoris e del
tommasiano bonum commune. La storia, che ha visto in Agostino il Platone cristiano e in Tommaso
l’Aristotele cristiano, vedrà in Rosmini il nuovo Agostino e il nuovo Tommaso.
51
Il principio personale è il principio stesso della proprietà, che è una connessione amorevole della persona con
l’essere, e precisamente <<un sentimento (un amore) che lega le cose alla persona>> (Filosofia del diritto, op. cit., p.
1166).
52
<<Quando l’uomo intuisce l’essere ideale, dicesi partecipe della verità; quando egli prende l’essere ideale per norma
dei suoi sentimenti e delle sue azioni, in quanto da sé dipendono, egli dicesi fornito di virtù; in quanto poi, condotto
dalla norma dell’essere ideale preso nella sua universalità, giunge ad amare e a godere della pienezza dell’essere, dicesi
beato. Verità, virtù, beatitudine sono dunque i tre termini dell’umana persona, o più tosto della persona in generale, ed i
fonti purissimi, da cui a lei scaturisce la sua eccellenza, la sua dignità e la sua supremazia. Da qui si ricava chiaramente
che ogni attentato volto a spogliare l’uomo della verità, o della virtù, o della felicità, è una lesione del diritto formale,
che è la persona>> (Ib., p. 201).
12