DSA: STRUMENTI PER UNA DIDATTICA INCLUSIVA
Queste parole rivelano l’intimo bisogno del bambino: “Aiutami a fare da solo”.
M. Montessori
La dislessia è un disturbo che si evidenzia nella difficoltà di apprendimento della lettura, della
scrittura e del calcolo. Essa si manifesta con l’inizio della scolarizzazione, nonostante un’istruzione idonea,
un adeguato funzionamento intellettivo generale, un’integrità neurosensoriale, un ambiente socioculturale
sano. Nel soggetto con dislessia l’automatizzazione dell’identificazione della parola non si sviluppa o si
sviluppa in maniera incompleta e con grande difficoltà (la lettura avviene lettera per lettera, con frequenti
errori per anticipazioni errate).
Il DSA (disturbo specifico di apprendimento) si esprime con caratteristiche diverse nel corso dell’età
evolutiva e nelle tappe dell’apprendimento scolastico. In base alla casistica si distinguono generalmente tre
condizioni cliniche:
-
dislessia, cioè la difficoltà che riguarda la capacità di lettura (decodifica del testo);
-
disortografia, disturbo nella scrittura intesa come abilità di codifica dei fonemi in grafemi e
competenza ortografica;
-
disgrafia, che si manifesta come difficoltà a riprodurre i segni alfanumerici (competenza grafomotoria).
Nello specifico, le difficoltà linguistiche che si riscontrano con maggiore frequenza riguardano:
-
scrivere in maniera corretta, prestando attenzione alle doppie e alla punteggiatura e senza sostituire
lettere con grafia simile (p/b/d/g/q, a/o, e/a) o con suono simile (t/d, r/l, d/b, v/f);
-
imparare l’ordine alfabetico, il che comporta un lessico limitato;
-
ricordare suoni e parole, percepire i dettagli, raggiungere l’automatismo, padroneggiare il codice
scritto;
-
ricordare date, epoche storiche, nomi geografici;
-
riconoscere le caratteristiche morfologiche della lingua ed esprimere verbalmente il pensiero.
I soggetti con DSA, inoltre, possono incontrare ostacoli nell’apprendimento delle lingue straniere, in
particolare per quanto concerne la relativa scrittura, e il 60% di essi è anche discalculico, ossia evidenzia
difficoltà nella comprensione dei numeri e delle operazioni di calcolo a causa dei problemi nel
riconoscimento di termini, simboli e concetti nel loro significato lessicale prima ancora che matematico.
I DSA, presenti tra la popolazione italiana in età evolutiva in una percentuale compresa tra 2.5 e 3.5,
sono spesso riconosciuti tardivamente, sottovalutati o confusi con altri disturbi, circostanza che ostacola il
recupero dei soggetti sia a livello individuale che sociale. In una società fortemente incentrata sulle abilità di
lettura e scrittura - a scuola le conoscenze si veicolano principalmente attraverso i libri di testo - la dislessia
può ripercuotersi negativamente sulla vita psichica e relazionale, pregiudicando il livello di autostima a causa
delle frequenti frustrazioni. Nei soggetti con disturbi specifici di apprendimento matura sovente l’errata
convinzione di essere meno intelligenti dei coetanei che leggono, scrivono e memorizzano senza particolari
problemi e, di conseguenza, aumentano disagio e sofferenza. Tutto ciò può rivelarsi psicologicamente
devastante: pertanto, aiutare, comprendere e sostenere queste persone rappresenta una questione di assoluta
priorità. Gli alunni con DSA vanno messi in condizione di poter migliorare le proprie abilità di lettura e
scrittura e di provare il piacere di apprendere, così come è indispensabile che essi siano consapevoli che la
loro è soltanto una peculiarità, non un deficit: basti pensare che il più grande genio dell’età moderna, Albert
Einstein, era dislessico! Di lui si sa che imparò a parlare in ritardo e fu in grado di leggere soltanto a 9 anni.
A scuola il suo punto debole era la memoria, un problema che non lo abbandonò neanche quando diventò
uno scienziato famoso, al punto che a un giornalista, sbalordito per il fatto che non sapesse a memoria
neppure il proprio numero di telefono, Einstein rispose che il suo cervello era troppo prezioso per occuparlo
a memorizzare numeri che potevano trovarsi su un’agenda. Ma la lista dei dislessici “famosi” è lunga: nomi
come Carlo Magno, Isaac Newton, Leonardo da Vinci, Galileo, Napoleone, Picasso, Tom Cruise ne sono
solo una piccola parte.
Di qui la necessità di una didattica inclusiva, che, come insegna Maria Montessori, rappresenta il mezzo più
efficace per condurre il soggetto con bisogni speciali ad acquisire fiducia nella sua crescente capacità di
agire, capire, relazionarsi. Una didattica antropocentrica, in grado di valorizzare e di sviluppare le
potenzialità di apprendimento di tutti gli alunni, compresi quelli con disturbi di apprendimento, i quali
possiedono risorse cognitive non inferiori agli altri, ma semplicemente percorrono “strade diverse” per
giungere allo stesso obiettivo.
L’entrata in vigore della legge sulla dislessia, la n. 170/2010 - Nuove norme in materia di disturbi
specifici di apprendimento in ambito scolastico - e l’approvazione, nel luglio 2011, del Decreto attuativo che
ne esplicita le indicazioni riguardo alle modalità di formazione dei docenti e dei dirigenti scolastici,
comportano l’obbligo per la scuola di introdurre strumenti compensativi e misure dispensative con la
finalità di realizzare percorsi di apprendimento personalizzati per studenti con DSA. Gli strumenti
compensativi includono mezzi alternativi di apprendimento e possono avvalersi di tecnologie informatiche
(calcolatrice, registratore, libri digitali, ecc.), mentre le misure dispensative esonerano l’alunno con dislessia
dallo svolgere alcune prestazioni particolarmente difficoltose e non essenziali ai fini alla qualità
dell’apprendimento (non è utile, ad esempio, far leggere un lungo brano, in quanto, a causa del disturbo, la
prestazione nella lettura non migliora). In quest’ottica, prestando attenzione a non creare percorsi
ingiustificatamente facilitati, può rivelarsi utile anche concedere allo studente un tempo aggiuntivo (il 30% in
più è considerato una quota ragionevole) per svolgere una prova, che compensi quello richiesto dalla
decodifica di un testo, o di poter svolgere la medesima operando su un contenuto ridotto ma ugualmente
significativo (testi facilitati). Tali proposte operative si fondano sul criterio della fruibilità: non si tratta di
rendere un testo meno denso dal punto di vista cognitivo, bensì di renderlo maggiormente comprensibile
eliminando parti non essenziali.
In osservanza della normativa vigente, che prevede, inoltre, una “forma mista” per libri di testo, le case
editrici si impegnano a fornire ai docenti, agli allievi e alle famiglie un supporto digitale sul quale i volumi
adottati sono disponibili sotto forma di sfoglialibro: ciascuna pagina, in formato PDF, può essere letta al
computer intervenendo con lo zoom, pulsanti grafici che consentono di evidenziare, cancellare, annotare,
ascoltare, aggiungere mappe, tabelle e altri strumenti operativi, allo scopo di agevolare il processo di
insegnamento-apprendimento. L’elaborazione attiva del materiale didattico risponde in modo efficace
all’esigenza di un’autonomia nello studio.
TESTO
IDENTITÀ: LAVORI IN CORSO…
Uno dei passaggi più importanti dell’adolescenza consiste nel distacco dalla famiglia nell’affermazione
della propria individualità attraverso modi di agire e di pensare che riflettono il mondo personale. Tale
processo si estende anche alle pratiche di consumo (che riguardano il look, il cibo, la musica, la tecnologia,
ecc.), nelle quali gli adolescenti scorgono una possibilità di costruzione creativa della propria identità.
Guardiamo un gruppo di adolescenti che escono da un liceo. Ogni ragazzo e ogni ragazza portano i
capelli secondo un proprio stile: capelli rasati sulla nuca, capelli lunghi che scendono sulle spalle, capelli
corti a spazzola, treccine che hanno richiesto ore e ore di paziente lavoro. Ma le differenze e i tratti
identificativi non si limitano a questo, perché i visi sono spesso segnati da orecchini di forme diverse, che a
volte tempestano i lobi delle orecchie o si incastonano nel naso. Il corpo ugualmente si presenta in modo
diverso, c’è ad esempio il ragazzo che si è fatto un tatuaggio sul polso, una piccola ancora, un delfino oppure
una farfalla, che in qualche caso segna parti nascoste del corpo che conosce solo lui e la sua ragazza. Anche
gli abiti riflettono queste diversità e la stessa esasperata ricerca di trovare una propria fisionomia e una
propria identità. Infatti, il corpo, durante questo periodo della vita, ha il compito di fornire il senso
dell’identità non solo ai propri occhi, ma anche di fronte agli altri.
Con l’ingresso nell’adolescenza il ragazzo e la ragazza vengono a perdere il corpo che li aveva
accompagnati nel corso della loro infanzia e che li aveva aiutati a mantenere la propria identità pur
trovandosi in luoghi e in situazioni diverse. Il colore e la foggia dei capelli, l’espressione facciale, la forma
del corpo e i vestiti, in passato comprati dai genitori, li avevano aiutati a riconoscersi, una sorta di carta
d’identità che aveva consentito di presentarsi anche agli occhi degli altri. Ma con l’adolescenza tutto questo
viene meno. Cambiano i tratti della faccia, il naso comincia a crescere, così il corpo che improvvisamente si
sviluppa fino quasi a raggiungere in altezza i genitori. Come nel racconto di Kafka La metamorfosi,
l’adolescente si sveglia una mattina, si guarda allo specchio e non riesce più a riconoscersi. «Chi è quel viso
che vedo allo specchio? Non può essere il mio», si dice in questo momento ogni adolescente, passando ore e
ore a scrutarsi, quasi per accettare la nuova realtà che si è determinata in lui. E il corpo che cambia gli si
ripropone in vari modi, una forte tensione fisica, come se non fosse più in grado di manovrare il corpo. Inizia
a questo punto il lungo lavoro di appropriazione del nuovo corpo, fino ad accogliere nell’immagine di sé le
trasformazioni corporee e sessuali.
Si tratta di veri e propri rituali con cui l’adolescente afferma il suo controllo sul corpo: vuole tagliarsi
i capelli come vuole lui, rifiutando quanto gli chiedono i genitori. Non vuole più mettere i vestiti comprati
dai genitori e inizia una lotta senza quartiere per poter decidere sul modo di vestirsi. Se accettasse il parere
dei genitori ritornerebbe nella posizione di quando era bambino, quando i genitori decidevano per lui
trattando il suo corpo come un’estensione di loro stessi. Questi rituali corporei servono ad accettare e ad
appropriarsi del proprio corpo adulto. Il taglio dei capelli, gli orecchini, i tatuaggi, i famosi giubbotti
“bomber” appartengono tutti al linguaggio degli adolescenti e rappresentano dei segnali rivolti in primo
luogo al gruppo dei coetanei. E in questo modo gli adolescenti condividono le trasformazioni e i turbamenti
legati al proprio corpo sentendosi rassicurati di non essere più soli di fronte a questi cambiamenti.
Da La Repubblica, 9 giugno 1995, di M. Ammaniti
GUIDA ALLA LETTURA
IDENTITÀ: LAVORI IN CORSO…
ARTICOLO DEL QUOTIDIANO LA REPUBBLICA, 9 GIUGNO 1995
SCRITTO DA M. AMMANITI
ARGOMENTO
LA
RICERCA
PER GLI
DELL’IDENTITÀ
ADOLESCENTI. IL
PERSONALE
CORPO, I
È
MOLTO
CAPELLI, I
IMPORTANTE
VESTITI, I TATUAGGI
PER GLI ADOLESCENTI SONO UN MODO PER ESPRIMERE L’IDENTITÀ.
I PROTAGONISTI, IL LUOGO
IL GIORNALISTA DESCRIVE UN GRUPPO DI ADOLESCENTI
ALL’USCITA DI SCUOLA. IL LUOGO È ALL’ESTERNO DI UN
LICEO.
IL TEMPO
AL GIORNO D’OGGI.
ADOLESCENTI: GIOVANI TRA I 12 E I 18 ANNI CHE
SI
TROVANO
NELLA
FASE
DELLA
CRESCITA
CARATTERIZZATA DA TRASFORMAZIONI FISICHE E
PSICOLOGICHE.
IDENTITÀ:
L’INSIEME
DELLE
CARATTERISTICHE
CHE DISTINGUONO UNA PERSONA DA TUTTE LE ALTRE.
SVILUPPO
GUARDIAMO UN GRUPPO DI ADOLESCENTI
CHE ESCONO DA UN LICEO. OGNI RAGAZZO E
OGNI RAGAZZA PORTA I CAPELLI SECONDO
UN
PROPRIO
STILE:
RASATI,
LUNGHI,
A SPAZZOLA, CON LE TRECCINE. HANNO
ORECCHINI SUI LOBI DEGLI ORECCHI OPPURE
AL NASO. QUALCUNO HA UN TATUAGGIO:
UN’ANCORA, UN DELFINO, UNA FARFALLA O
ALTRE FORME, IN PARTI DEL CORPO CHE
CONOSCE SOLO LUI. ANCHE IL MODO DI
VESTIRE È DIVERSO PERCHÉ RISPECCHIA LA
PERSONALITÀ
DI
OGNUNO.
DURANTE
L’ADOLESCENZA IL CORPO È UN MEZZO PER
COMUNICARE A SE STESSI E AGLI ALTRI LA
PROPRIA IDENTITÀ. NELL’ETÀ DELLO SVILUPPO
IL CORPO CAMBIA IN FRETTA E NON È FACILE
PER
GLI
ADOLESCENTI
ABITUARSI
A
UN’IMMAGINE DI SÉ DIVERSA DA QUELLA CHE
AVEVANO DA BAMBINI.
CONCLUSIONE
GLI ADOLESCENTI VOGLIONO TAGLIARSI I CAPELLI COME
PIACE A LORO E NON COME PIACE AI GENITORI,
VOGLIONO DECIDERE DA SOLI COME VESTIRSI E NON
VOGLIONO
PIÙ
METTERE
I
VESTITI
COMPRATI
DAI
GENITORI. GLI ADOLESCENTI RIFIUTANO IL PARERE DEI
GENITORI PERCHÉ NON VOGLIONO PIÙ ESSERE TRATTATI
COME BAMBINI.
TESTO
GENERAZIONE Q: LA MOLTITUDINE DEGLI “SPRECATI”
Thomas Friedman li ha ribattezzati «Generazione Q», cioè “quieta”. La tesi di fondo è che i ragazzi
cresciuti in questa società hanno perso, rispetto alle generazioni precedenti, la capacità di indignarsi.
Apatici e passivi, sono vittime di un profondo malessere che rimane tuttavia inespresso, privo della forza di
insorgere contro le storture del mondo.
NEW YORK - Dopo averli ribattezzati “la Generazione Q”, cioè “quieta” (ma in tono dispregiativo), il
leggendario columnist1 del New York Times, Thomas Friedman, chiama alle armi i ventenni di oggi. «Siete
troppo apatici, passivi e computerizzati, le rivoluzioni non si combattono nel mondo virtuale ma nelle piazze.
Fate come Martin Luther King 2e Bobby Kennedy 3e scoprite l’attivismo vecchia maniera».
L’editoriale, uno dei più letti sul sito dell’autorevole quotidiano, ha suscitato un intenso dibattito in
un’America dove solo il 32% dei quasi 27 milioni di potenziali elettori tra i 18 e i 24 anni si sono recati alle
urne alle ultime elezioni. Cioè, la metà della popolazione tra i 45 e i 64 anni e il 50% in meno rispetto ai
giovani americani che votarono nel 1972, all’apice della contestazione contro la guerra in Vietnam. Ma se
«votare è roba da vecchi», come recita cinicamente una T-shirt che va a ruba nella catena di negozi per
giovani metropolitani Urban Outfitters, Friedman non ci sta. «La nuova generazione di studenti universitari
mi lascia perplesso e insieme sorpreso», dice lo scrittore-editorialista. «Sorpreso perché è molto più ottimista
e idealista di quanto non dovrebbe essere. Perplesso perché è meno radicale e politicamente impegnata di
quando è tenuta ad essere». Il problema? «La Generazione Q passa troppo tempo online e ciò è un male per
sé e per il Paese». Dietro questo atteggiamento qualunquista4 si nasconde, infatti, un futuro potenzialmente
disastroso. «I membri della Generazione Q passeranno la loro intera vita da adulti a risollevarsi dal deficit
che noi, la “Generazione Avida” di George W. Bush, stiamo lasciandogli».
Una buona parte del biasimo spetta ai media. «Durante una recente visita alla sua università - incalza
Friedman - mia figlia mi ha chiesto che fine ha fatto la terrificante storia sui ghiacci artici che si sciolgono
per colpa dell’attività umana a un ritmo che nessuno avrebbe mai potuto presagire». Pubblicata lo scorso 2
ottobre sulla prima pagina del New York Times, l’allarmistica notizia da allora è letteralmente sparita dai
media. Ma se nessun candidato presidenziale si è preso la briga di incorporarla nei suoi proclami elettorali, la
colpa è, ancora una volta, degli under 24. Che se ne stanno seduti di fronte ai loro computer dalla mattina alla
sera, «invece di porre le domande più scomode agli aspiranti in corsa per la Casa Bianca».
1
Un giornalista che si occupa di una rubrica fissa, di lunghezza pari all’incirca a una colonna (editorialista).
2
Politico, pastore protestante e attivista statunitense, leader dei diritti civili e dell’uguaglianza, Martin Luther King
(1929-1968) si è sempre esposto in prima linea affinché fosse abbattuta nella società americana ogni sorta di
pregiudizio etnico. Fu assassinato a colpi d’arma da fuoco a Memphis, nel Tennessee, dove si era recato per prendere
parte a una marcia a favore degli spazzini della città (bianchi e neri), che erano in sciopero.
3
Robert Francis Kennedy, chiamato Bob o, affettuosamente, Bobby (1925 - 1968), fratello di John Fitzgerald Kennedy
35° presidente degli Stati Uniti), fu un oppositore della guerra in Vietnam e convinto sostenitore dei diritti civili. Nel
1964 venne eletto al Senato e nel 1968 annunciò la propria candidatura alla presidenza degli Stati Uniti d’America
come candidato del partito democratico, in aperta contrapposizione con la politica del presidente uscente Lyndon
Baines Johnson. Morì in un attentato, all’indomani della sua vittoria nelle elezioni primarie di California e South
Dakota.
4
Per qualunquismo si intende un atteggiamento di disinteresse verso la politica e di prevenuto giudizio negativo nei
confronti delle istituzioni pubbliche.
Al termine del suo sfogo, che tradisce i suoi trascorsi di contestatore alla Brandeis University, negli anni ‘70,
Friedman indica però una via d’uscita, l’unica possibile: «L’America ha bisogno di una scossa di idealismo,
attivismo e indignazione. A questo sono sempre serviti i ventenni: per accendere il fuco nelle vene della
Nazione». La sua ricetta? «Mettete da parte le email, le petizioni online e i click del mouse e organizzatevi,
scendendo numerosissimi nelle piazze».
Anche lui propone, insomma, una sorta di «ritorno al futuro»: «Perché Martin Luther King e Robert
Kennedy non hanno cambiato il mondo chiedendo alla gente di sottoscrivere una crociata su Facebook o
scaricando piattaforme dal computer. L’attivismo può funzionare solo alla vecchia maniera perché la politica
virtuale è, appunto, soltanto quello. Virtuale».
Da Il Corriere della Sera, 11 ottobre 2007, di A. Farkas
GUIDA ALLA LETTURA
GENERAZIONE Q: LA MOLTITUDINE DEGLI “SPRECATI”
ARTICOLO DEL QUOTIDIANO IL CORRIERE DELLA SERA, 11 OTTOBRE 2007
SCRITTO DA A. FARKAS
ARGOMENTO
IL GIORNALISTA THOMAS FRIEDMAN CHIAMA I GIOVANI DI OGGI “GENERAZIONE
Q”. “Q” STA PER “QUIETA”: I GIOVANI SONO “QUIETI” NEL SENSO DI PIGRI E
INCAPACI DI LOTTARE CONTRO LE INGIUSTIZIE DEL MONDO.
I PROTAGONISTI, IL LUOGO
I GIOVANI DELLA SOCIETÀ AMERICANA.
IL TEMPO
AL GIORNO D’OGGI
EDITORIALISTA: UN GIORNALISTA CHE SCRIVE EDITORIALI,
CIOÈ ARTICOLI IN CUI SI ESPRIME UN’OPINIONE.
GENERAZIONE: L’INSIEME DELLE PERSONE CHE HANNO
LA STESSA ETÀ IN UN CERTO PERIODO STORICO.
SVILUPPO
IN
UN
ARTICOLO
AMERICANO
PUBBLICATO
NEW
EDITORIALISTA
YORK
SUL
TIMES,
THOMAS
GIORNALE
IL
FAMOSO
FRIEDMAN
CHIAMA
I GIOVANI DI OGGI “GENERAZIONE Q”, CIOÈ
“QUIETA”.
SECONDO FRIEDMAN, INFATTI, I RAGAZZI PASSANO
TROPPO TEMPO AL
SONO
AL
DIVENTATI
GIORNO
COMPUTER
PIGRI
D’OGGI,
E
E PER QUESTO
INCAPACI
IN
AMERICA,
DI
AGIRE.
SOLTANTO
IL 32 PER CENTO DEI GIOVANI VA A VOTARE: LA METÀ
RISPETTO
DI
AL
STUDENTI
1972.
NON
LA
NUOVA
PRENDE
IN
GENERAZIONE
CONSIDERAZIONE
LA POLITICA E QUESTO IN FUTURO CAUSERÀ DANNI.
CONCLUSIONE
FRIEDMAN
PROPONE
I GIOVANI DEVONO
UNA
DIVENTARE
CIOÈ DEVONO IMPEGNARSI
A
SOLUZIONE:
ATTIVISTI,
SOSTENERE
GLI IDEALI CON ENERGIA. I GIOVANI DEVONO
DIVENTARE CAPACI DI REAGIRE CONTRO LE
INGIUSTIZIE DELLA SOCIETÀ, DEVONO LASCIAR
PERDERE IL COMPUTER E
MONDO REALE.
IMPEGNARSI
NEL