01/01/17 Parrocchia S. Gregorio Barbarigo Foglio n. 574 – OTTAVA DEL NATALE Milano Pastori e Magi ci aiutano a riconoscere Gesù re della storia Nel profondo silenzio notturno i pastori, che vegliavano le loro greggi nelle campagne dei dintorni, ne ricevettero il primo annunzio: «Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce» (Lc 2,9). Presi da grande stupore, si misero in ascolto della voce angelica che li rassicurava: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia [...] oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» (Lc 2,10-12). E subito una schiera di angeli intona il canto di pace tra cielo e terra, l’inno di lode che dà voce allo stupore angelico per il mistero dell’incarnazione: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2,14). Dio ama fino all’eccesso di mandare il suo Figlio a caricarsi sulle spalle la pecorella smarrita, l’umanità, e riportarla nei verdi pascoli del cielo. La gloria di Dio è venuta a splendere sulla terra, perché l’uomo vivente è la gloria di Dio, come dice sant’Ireneo. E solo con Gesù, la vita è veramente viva, perché Egli scende dal cielo portando il perdono di Dio, scende — dice san Bernardo — come un sacchetto pieno di misericordia e di pace; un sacchetto per ora ancora chiuso e stretto in fasce, ma che un giorno si lascerà trafiggere, per diffondere il suo dono. La gloria divina è scesa sulla terra e ha il volto di un bambino che piange, che ha fame e freddo, che chiede amore. All’annunzio dell’angelo, subito, senza frapporre indugi, i pastori si mettono in cammino per andare a vederlo. Essi, abituati a contemplare il mistero della vita nella natura, nel loro stesso gregge, oltre che nelle loro famiglie, sono particolarmente sensibili al richiamo di un evento di nascita, ancor prima di conoscerne il soprannaturale valore. Non vanno alla grotta per semplice curiosità, ma come sospinti dall’amore alla vita e anche per genuina solidarietà. Portano, infatti, a quei poveri genitori pellegrini un po’ di quello che costituisce il loro abituale, sobrio nutrimento: pane, latte, formaggio, e naturalmente anche la calda lana delle loro pecore: tutto quello che sanno essere necessario a un bambino appena nato e ai suoi genitori rifugiati in una capanna. La loro contemplazione non si esaurisce in uno sguardo compiaciuto e in parole di congratulazione, ma si concretizza in premurosa vicinanza, in una sincera empatia... Poveri, sono intimamente sospinti verso la povera capanna nella quale, però, si è fatta presente la Povertà del Figlio di Dio, povertà più arricchente delle ricchezze del mondo. La contemplazione dei pastori è tutta stupore carico di una indicibile gioia che li inonda nell’intimo, come se la culla —la povera mangiatoria della stalla — fosse una sorgente inesauribile di luce e di amore. Tutto è estremamente semplice, eppure c’è attorno a quella umilissima scena familiare un’atmosfera di fascinoso mistero, lo scambio di doni tra poveri, la circolazione di un bene e di una incontenibile gioia. Colmati di stupore per quanto vedono — eppure è solo un bambino avvolto in fasce! — i pastori, oltre a offrire pane e latte a quei poveri pellegrini, diventano i primi annunziatori della buona notizia: «Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano» (Lc 2,18): la notizia si diffondeva, la gioia inondava i cuori, la vita cominciava a cambiare, perché c’era una speranza nuova, la speranza di quel Salvatore che era l’Atteso dell’umanità per un’era di giustizia, di amore e di pace. Ed ecco che anche alcuni saggi dell’Oriente, scrutatori dei segni del cosmo e della storia, ricevono attraverso la contemplazione degli astri la rivelazione della nascita del Messia atteso. Essi vedono splendere nel cielo una nuova stella più luminosa delle altre e seguendone il corso raggiungono il luogo dove è nato il Messia annunziato dagli antichi vari, il Re dei re: Colui che ha la suprema autorevolezza sul mondo e sulla storia dell’umanità. Anch’essi come Abramo, partono dalle loro lontane terre guidati dalla stella della fede; il lungo viaggio impone sacrifici, ma la fede illumina il loro cammino. Nei tre Magi venuti da lontane regioni si è voluto vedere, sin dai primi secoli del cristianesimo, la chiamata di tutte le genti alla salvezza. Vengono così abbattute tutte le frontiere dell’esclusivismo nazionalistico: il Dio d’Israele, nato uomo dalla stirpe di David, nato a Betlemme di Giuda, si manifesta Dio e Salvatore di tutti gli abitanti della terra e diventa il primo cittadino di un popolo nuovo da lui costituito e stabilito — per legge d’amore — nell’unità. Il Vangelo secondo Matteo narra come i Magi vengono dalle loro lontane terre portando a Gesù, al Re dei re, i loro doni: oro, incenso e mirra. L’oro indica la divinità, l’incenso il sacerdozio e il culto, la mirra preannunzia già la Passione. Dobbiamo allora domandarci: che cosa possiamo portare noi al Signore oggi? Ciascuno può portare la fede, l’amore e la partecipazione al mistero della croce, cioè la comunione di vita con Lui. E inoltre può portare ai fratelli il bene spirituale ricevuto dal Verbo incarnato. La stella guidava i Magi alla grotta del neonato Re dei re; ognuno di noi è chiamato a diventare guida per i suoi fratelli verso l’incontro con Cristo Redentore. Questo comporta impegnarsi in una vita di autentica santità, splendente come gli astri nel cielo notturno del mondo sempre insidiato dalle tenebre del male. I pastori di Betlemme come i Magi venuti dall’Oriente si fecero evangelizzatori portando a tutti la “notizia” della nascita del Salvatore, di «ciò che avevano visto e toccato» (cf. lGv 1). Ancora oggi essere cristiani significa fare in modo che il Signore si manifesti a tutti attraverso la nostra testimonianza. Ciascuno ha la responsabilità di non tenere nascosta la luce, di non «metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti» — come dice il Vangelo (cf. Mt 5,15) — e tutti possano camminare nella luce, nello splendore della verità e dell’amore. La domanda esistenziale più profonda, quella riguardante il senso del nostro esistere e il nostro eterno destino, trova nell’evento dell’Epifania una risposta che dissipa le più fitte tenebre del dubbio e dell’angoscia. La stella della fede brilla per tutti: bisogna guardarla e lasciarsi guidare. Così fecero i Magi, i quali, dopo aver trovato e adorato il Bambino nato a Betlemme, tornarono nei loro paesi e portarono a tutti un messaggio pieno di speranza e di gioia: «Èapparso sulla terra Colui che è la Luce, Dio stesso». Questo evento della storia della salvezza ci interroga dunque sulla nostra fede, meglio sul nostro “cammino” di fede, sulla nostra adesione vitale alla Persona di Gesù, che si rivela a noi e ci invita a seguirlo, a camminare alla sua luce. Come i Magi, anche noi oggi siamo chiamati a una radicale “conversione” che inizia con il cambiare direzione al nostro sguardo interiore per acquisire la capacità di guardare oltre il ristretto orizzonte delle nostre piccole occupazioni e preoccupazioni e veder brillare nel cielo la “stella” che dà il giusto orientamento al cammino della vita. Ma come poterla discernere tra le tante stelle artificiali che con la loro luce abbagliante portano fuori strada? I Magi, pur con tutta la loro sapienza, per non rischiare di sbagliare su una questione così importante ebbero l’umiltà di chiedere: «Dov’è il re dei Giudei che è nato?». La stella che essi avevano visto nel suo sorgere e che li aveva spinti a partire, a un certo punto era infatti scomparsa dalla loro vista. Attraverso la Sacra Scrittura giunse la risposta, che permise loro di proseguire il viaggio e di giungere alla mèta tanto desiderata: vedere Gesù e adorarlo. Anche noi, come i Magi, siamo sempre esposti al rischio dell’oscurità, delle tenebre, del dubbio, ma la Parola ci è donata come guida: «Lampada per i miei passi è la tua Parola, / luce sul mio cammino» (Sal 119,105). La storia dei Magi può diventare la nostra storia. Chi riconosce Gesù come luce? Chi ha il cuore puro: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio». È importante, allora, ascoltare la Parola con un impegno di conversione sempre più profondo, con il desiderio di essere sempre più purificati e semplificati, per vedere tutto con lo sguardo della fede: vedendo, contemplare con stupore e contemplando lodare, amare, annunziare. Anna Maria Cànopi madre badessa del monastero di Orta San Giulio (No) Domenica 1 gennaio 2016 S. MESSE 18 (vigilia) S. Messa di fine anno giorno 10-11,30-18 50ª Giornata Mondiale per la Pace. Ferie natalizie: S. Messa ore 9 Venerdì 6 gennaio Solennità S. MESSE 18 (vigilia) 10-11,30-18 DOMENICA 08/01/17: Battesimo del Signore