85 Lezione 4 La sacramentalità del matrimonio e della famiglia 1. La famiglia nel disegno divino del principio. A) La storia del bell’Amore. La famiglia possiede «dal principio», cioè dall’esordio stesso della storia dell’uomo, una dimensione sacramentale, quale segno di una realtà trascendente e misterica. Occorre non ridurre la famiglia alla categoria degli «affari» umani profani e mondani. Essendo una realtà terrestre, la famiglia custodisce una realtà che non è semplicemente umana, ma divina: il bell’amore170. Benché la storia del bell’amore – si può leggere in una nota pagina della Lettera alle famiglie – «prenda inizio dall’Annunciazione, in quelle mirabili parole che l’angelo ha rivolto a Maria, chiamata a diventare la Madre del Figlio di Dio», si può dire anche che essa «è iniziata, in un certo senso, con la prima coppia umana, con Adamo ed Eva. La tentazione a cui esse cedettero ed il conseguente peccato originale non li privò completamente della capacità del bell’amore»171. 170 MD 23: «Se l’essere umano – uomo e donna – è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, Dio può parlare di sé per bocca del profeta servendosi del linguaggio che è per essenza umano: nel citato testo di Isaia (Is 54, 4-8.10), “umana” è l’espressione dell’amore di Dio, ma l’amore stesso è divino. Essendo amore di Dio, esso ha un carattere sponsale propriamente divino, anche se espresso con l’analogia dell’amore dell’uomo verso la donna». 171 LF 20. 86 Che la famiglia sia un «istituto naturale» non deve essere inteso perciò come se si trattasse di qualcosa di scialbo, profano o chiuso ad altre istanze soprannaturali. Il bell’amore, la cui storia inizia in certo senso con la prima coppia umana, è sempre un amore divino partecipato dagli uomini, una realtà trascendente, soprannaturale. Perciò la famiglia non è stata da noi studiata da una prospettiva per così dire «orizzontale», ma abbiamo voluto sottolineare che siamo dinanzi un diritto che emana da una comunità di persone che è stata chiamata a svolgere lungo i secoli la missione di significare e custodire il mistero del bell’amore. Anche se per il cristiano, infatti, è possibile parlare nell’uomo di un piano naturale e di un altro soprannaturale è, tuttavia, molto meglio distinguere un ordine della creazione e un ordine della redenzione172. Tale distinzione è reale, poiché il disegno divino «del principio» fu guastato dalla prima coppia umana. Cristo non venne «a condannare il primo Adamo e la prima Eva, ma a redimerli; viene a rinnovare ciò che nell’uomo è dono di Dio, quanto in lui è eternamente buono e bello e che costituisce il substrato del bell’amore. La storia del bell’amore è, in certo senso, la storia della salvezza dell’uomo»173. Non sarebbe sicuramente possibile distinguere l’ordine della creazione da quello della redenzione, qualora non ci fosse stato il peccato dei nostri primi padri. L’uomo era stato creato in Cristo dalle origini della creazione174. Era stato creato per amore e chiamato all’amore175. Dopo il peccato, Dio è rimasto fedele a se stesso e ha inviato il suo unico Figlio, che diventò un uomo, nato da donna. L’incarnazione del Figlio Unigenito di Dio si sarebbe avverata anche nel caso in cui non ci fosse stato il peccato di Adamo ed Eva, benché allora non si sarebbe trattato di un’incarnazione redentrice. Dopo di essi, invece, l’incarnazione, vita, morte e risurrezione di Cristo sono redentrici. Cristo porta a compimento il disegno salvifico «dal principio» – dalla creazione – e lo fa assumendo la natura umana. Ecco perché dopo l’incarnazione di Cristo la «verità del principio» e la «natura caduta» («durezza dei cuori», Mt 19, 8) sono due elementi che il canonista deve tener sempre presenti nel costruire un Diritto di famiglia. 172 La possibilità di distinguere un ordine naturale da un altro soprannaturale trova fondamento nella gratuità della grazia o della soprannatura. Ciononostante, non si può parlare di una natura allo stato puro, isolata o separata dalla grazia. Questa è stata la pretesa del iusnaturalismo razionalista: il voler raggiungere una piena conoscenza razionale della natura umana, prescindendo dai dati della rivelazione cristiana. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, 280 ci insegna, invece, che «la creazione è il fondamento di tutti i progetti salvifici di Dio, l’inizio della storia della salvezza, che culmina in Cristo. Inversamente, il Mistero di Cristo è la luce decisiva sul mistero della creazione: rivela il fine in vista del quale “in principio, Dio creò il cielo e la terra” (Gn 1,1): dalle origini, Dio pensava alla gloria della nuova creazione in Cristo». Anche se «possibile», non ci consta che sia esistita la «natura pura»; anzi Dio ci mostra l’unità del suo disegno salvifico, in cui si intrecciano armonicamente la libertà umana e la grazia, la natura e la soprannatura. In questo senso è meglio parlare dell’ordine della creazione, perché questi elementi appaiono così uniti. Questo tema è ben sviluppato da ORTIZ, M.A., Sacramento y forma del matrimonio, Eunsa, Pamplona 1995, p. 19-23, 50-53. 173 LF 20. 174 GS 22: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» 175 Cfr. FC 11. 87 La famiglia di fondazione matrimoniale176 è già «dal principio» il «sacramento primordiale» della salvezza177, il cammino più scorrevole178 che è stato offerto agli uomini di tutti i tempi e di tutte le culture per vivere e partecipare del mistero nascosto in Gesù Cristo, lo sposo dell’umanità redenta. Dopo la «caduta» essa non ha perso questa sua missione primordiale: «anche se gravemente sconvolto, l’ordine della creazione permane. Per guarire le ferite del peccato, l’uomo e la donna hanno bisogno dell’aiuto della grazia che Dio, nella sua infinita misericordia, non ha loro mai rifiutato. Senza questo aiuto l’uomo e la donna non possono giungere a realizzare l’unione delle loro vite, in vista della quale Dio li ha creati “all’inizio”»179. Questo aiuto, di cui parla il Catechismo della Chiesa, non è altro, dunque, che il «matrimonio-sacramento primordiale» nel quale l’uomo e la donna possono realizzare «l’unione delle loro vite». L’istituto naturale del matrimonio (e di conseguenza la famiglia, che è costruita su di esso) ha subito dal punto di vista sociale grandi ferite, fino al punto che – come è stato visto nella lezione precedente – in nessuna cultura (nemmeno in quella ebraica) erano state pienamente riconosciute e difese le sue proprietà essenziali: si erano affermate la poligamia, il ripudio, così come leggi lesive della dignità della donna, ecc. Tuttavia, occorre segnalare che il matrimonio non ha mai smesso di essere cammino di santificazione, anzi esso è stato «dal principio» uno strumento prediletto da Dio per aiutare l’uomo a «vincere il ripiegamento su di sé, l’egoismo, la ricerca del proprio piacere, e ad aprirsi all’altro, all’aiuto vicendevole, al dono di sé»180. B) Il «grande mistero» e la sacramentalità della famiglia. L’espressione «grande mistero» appartiene alla lettera di san Paolo agli efesini, che è comunemente considerata la carta magna della sacramentalità del matrimonio: 176 GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti al Simposio «L’espressione canonica della famiglia fondata sul matrimonio dinanzi al Terzo Millennio», in L’Osservatore Romano, 4 novembre 1994, p. 9, n. 2: «La famiglia fondata sul matrimonio rappresenta la prima e principale via per conoscere e salvaguardare la verità e la dignità dell’uomo». 177 LIGIER , L., Il matrimonio, questioni teologiche e pastorali, Città Nuova Editrice, Roma 1988, p. 26: «Come sacramento primordiale, il matrimonio è sin dall’antichità e nel Nuovo Testamento il segno di tutta l’economia di amore, in cui la Santissima Trinità – il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo – hanno espresso il loro amore creaturale e redentore per l’umanità, prima del peccato e dopo la caduta». Si veda anche MIRALLES, A., Il matrimonio, cit., p. 150-153. 178 CHALMETA, G., Etica especial, cit., p. 124. 179 CCC 1608. 180 CCC 1609. 88 «Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola” (Gn. 2, 24). Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa» (Ef. 5, 29-32). Questo brano della lettera paolina è stato spesso interpretato in riferimento al sacramento cristiano del matrimonio181, tuttavia si fa sempre più strada l’opinione secondo cui l’espressione «grande mistero» debba essere riferita alla «una carne sola», vale a dire alla istituzione originaria del matrimonio. Più recentemente ancora essa è messa in relazione anche con la sacramentalità della famiglia, in modo tale che viene rafforzato il collegamento del «grande mistero» sia con la famiglia, sia con la Chiesa: «Non si può, pertanto, comprendere la Chiesa come Corpo mistico di Cristo, come segno dell’Alleanza dell’uomo con Dio in Cristo, come sacramento universale di salvezza, senza riferirsi al “grande mistero”, congiunto alla creazione dell’uomo maschio e femmina ed alla vocazione di entrambi all’amore coniugale, alla paternità e alla maternità. Non esiste il “grande mistero” che è la Chiesa e l’umanità in Cristo, senza il “grande mistero” espresso nell’essere “una sola carne” (cf. Gn. 2, 24; Ef 5, 31-32), cioè nella realtà del matrimonio e della famiglia. La famiglia stessa è il grande mistero di Dio. Come “Chiesa domestica” essa è la sposa di Cristo. La Chiesa universale, e in essa ogni Chiesa particolare, si rivela più immediatamente come sposa di Cristo nella “chiesa domestica” e nell’amore in essa vissuto: amore coniugale, amore paterno e materno, amore fraterno, amore di una comunità di persone e di generazioni»182. Questa profonda riflessione del Romano Pontefice ci servirà per analizzare in cosa consista la sacramentalità originaria del matrimonio e della famiglia, in rapporto col grande mistero: 1) La sacramentalità primordiale del matrimonio. Arrivati a questo punto occorre chiedersi: è dunque lecito parlare del «sacramento del matrimonio» quando ci riferiamo all’istituzione originaria del matrimonio e alle sue vicende storiche? In certo senso, la risposta deve essere 181 GIOVANNI P AOLO II, Uomo e donna lo creò, catechesi sull’amore umano, Città Nuova Editrice, Libreria Editrice Vaticana, Roma 19852, p. 377-379. L’espressione «sacramentum hoc» del testo paolino, secondo l’opinione oggi dominante tra gli esegeti «non rinvia a Christum et Ecclesiam, bensì all’erunt duo in carne una che precede...» (LIGIER , L., Il matrimonio..., cit., p. 29). Si può trovare in queste pagine (p. 27-30) un riassunto delle diverse posizioni interpretative del brano paolino. L’autore, tuttavia, ritiene che «trattandosi in Ef 5, 31-32 del coniugio istituito dal Creatore alle origini, non è detto che sia un “sacramento” secondo l’interpretazione di Trento, cioè segno e causa della grazia santificante» (p. 30). Per una maggiore informazione dal punto di vista esegetico si veda FLECKENSTEIN, K., «Questo mistero è grande», il matrimonio in Ef 5, 21-33, Città Nuova, Roma 1996. 182 LF 19. 89 affermativa183; in un altro senso, però, è preferibile riservare l’espressione «sacramento» per riferirla al matrimonio celebrato tra cristiani. Si rende comunque necessario chiarire i due concetti fin qui usati: «mistero» e «sacramento». Il Romano Pontefice nella sua catechesi sull’amore umano distingueva così questi due concetti: «”Sacramento” non è sinonimo di “mistero”. Il mistero infatti rimane “occulto” – nascosto in Dio stesso – cosicché anche dopo la sua proclamazione (ossia rivelazione) non cessa di chiamarsi “mistero”, e viene anche predicato come mistero. Il sacramento presuppone la rivelazione del mistero e presuppone anche la sua accettazione mediante la fede, da parte dell’uomo. Tuttavia esso è ad un tempo qualcosa di più che la proclamazione del mistero e l’accettazione di esso mediante la fede. Il sacramento consiste nel “manifestare” quel mistero in un segno che serve non solo a proclamare il mistero, ma anche ad attuarlo nell’uomo. Il sacramento è segno visibile ed efficace della grazia. Per suo mezzo si attua nell’uomo quel mistero nascosto dalla eternità in Dio, di cui parla, subito all’inizio, la Lettera agli Effesini (cf. Ef 1, 9) – mistero della chiamata alla santità, da parte di Dio, dell’uomo in Cristo, e mistero della sua predestinazione a divenirne figlio adottivo»184. Ciò che accomuna il matrimonio cristiano con quello vissuto dagli uomini secondo il disegno di Dio stabilito nei loro corpi è essere il «grande mistero» dell’amore divino partecipato dagli uomini. In ambedue i casi i coniugi diventano «una carne» e attraverso la fedeltà a questa loro nuova identità (di coniugi e di genitori) partecipano realmente del mistero di Cristo e della Chiesa185. Ciò che distingue il matrimonio cristiano dalle unioni matrimoniali dei non battezzati non è tanto ciò che sono «in sé» – il «grande mistero» – bensì il fatto che il matrimonio cristiano aggiunga il carattere netto e specifico di «sacramento», vale a dire «l’essere segno sensibile ed efficace della grazia». Dopo la caduta dei primi padri, la sacramentalità del matrimonio e della famiglia è stata profondamente guastata in modo tale che la santità matrimoniale e familiare presenta più l’aspetto di «mistero» che di «sacramento», e cioè è rimasto gravemente sconvolto nella sua dimensione di «segno»186: 183 Nell’enciclica Arcanum di Leone XIII si legge, infatti: «Quodcirca Innocentius III (X.4.19.8) et Honorius III (X.1.36.11) decessores Nostri, non iniuria nec temere affirmare potuerunt apud fideles et infideles exsistere Sacramentum coniugii» (ASS 12, 1879-80, p. 388 ss.). 184 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna..., cit., p. 363-364. In nota, si può trovare una stupenda sintesi storica sul modo come siano stati usati questi due concetti nella Sacra Scrittura e nella Tradizione della Chiesa. 185 Né il matrimonio cristiano né quello «primordiale» sarebbero sacramenti se non fossero essi «ordinati a Cristo»; tuttavia, e anche vero che « non esiste il “grande mistero” che è la Chiesa e l’umanità in Cristo, senza il “grande mistero” espresso nell’essere “una sola carne” (Cfr. Gn. 2, 24; Ef 5, 31-32), cioè nella realtà del matrimonio e della famiglia. La famiglia stessa è il grande mistero di Dio» (LF 19). 186 Per la evoluzione storica di questi due concetti, nella tradizione canonica, si veda la collana di studi col titolo: El matrimonio: misterio y signo: SALDÓN, E., Desde el siglo I a S. Agustín, Eunsa, Pamplona 1971; RINCÓN , T., Siglos IX al XIII., Eunsa, Pamplona 1974; TEJERO, E., Siglos XIV-XVI, Eunsa, Pamplona 1971; MUÑOZ GARCÍA, J.F., Siglos XVII-XVIII, Eunsa, Pamplona 1982; RUFFINI, 90 — Dal punto di vista sociale, infatti, le leggi e la prassi matrimoniale delle diverse culture, sia di quelle antiche che di quelle non cristiane, non rispecchiano «il grande mistero», e talvolta lo nascondono ed oscurano. Più indifese saranno le proprietà essenziali del matrimonio – l’unità e l’indissolubilità – e più facilmente oscurato potrà risultare il «grande mistero» che sottintende la storia della salvezza, quale chiamata vocazionale della stragrande maggioranza degli uomini e delle donne. Così che non sia appena possibile trovare nell’istituto matrimoniale un «segno capace di rendere visibile ciò che è invisibile: lo spirituale e il divino»187. — Dal punto di vista personale, il fatto che il mistero sia nascosto – non proclamato – impedisce a molte persone di scoprire e di essere consapevoli del fatto che, siccome la sacramentalità del matrimonio e della famiglia è radicata nella «sacramentalità del corpo», ogni uomo ed ogni donna che si amano l’uno l’altro secondo il disegno originario di Dio e sono fedeli al bell’amore che li unisce attuano nel mondo la santità: gli atti veramente coniugali santificano gli sposi, nella misura in cui essi sono espressione autentica del dono della persona188. Per ciò, è possibile affermare che il matrimonio (non quale istituzione sociale, ma come realtà vissuta dagli uomini e dalle donne concreti e nella misura in cui veramente la hanno vissuta) «sia rimasto quale piattaforma dell’attuazione degli eterni disegni di Dio, secondo i quali il sacramento della creazione aveva avvicinato gli uomini e li aveva preparati al sacramento della redenzione, introducendoli nella dimensione dell’opera della salvezza»189. 2) La sacramentalità della famiglia. «La famiglia stessa è il grande mistero di Dio»190. Siccome matrimonio e famiglia sono realtà che, in certo senso, non possono separarsi – il matrimonio è una realtà familiare e la famiglia si costruisce sul matrimonio – si può affermare che tutto ciò che è stato detto per l’istituto matrimoniale, così come disegnato da E., “Misterion” e “Sacramentum”: la sacramentalità negli scritti dei Padri e nei testi liturgici primitivi, EDB, Bologna 1987. 187 GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna..., cit., p. 91. 188 Ibidem: «L’innocenza originaria, collegata all’esperienza del significato sponsale del corpo, è la stessa santità che permette all’uomo di esprimersi profondamente col proprio corpo, e ciò, appunto, mediante il “dono sincero” di se stesso. La coscienza del dono condiziona, in questo caso, “il sacramento del corpo”: l’uomo si sente, nel suo corpo di maschio o di femmina, soggetto di santità». Queste parole, è vero, si riferiscono alla sacramentalità del corpo nello stato d’innocenza originaria, nel quale «l’uomo, mediante la sua corporeità, la sua mascolinità e femminilità, diventa segno visibile dell’economia della Verità e dell’Amore, che ha la sorgente in Dio stesso e che fu rivelata già nel mistero della creazione» (Ibidem). Tuttavia, questa capacità di santificare, anche se indebolita dal peccato, non è venuta a meno: attraverso l’ethos dell’amore coniugale gli sposi sono capaci di superare la tentazione della concupiscenza e di fare sì che i loro corpi siano strumenti di santità: «Il corpo, nella sua mascolinità e femminilità, è “dal principio” chiamato a diventare la manifestazione dello spirito. Lo diviene anche mediante l’unione coniugale dell’uomo e della donna, quando si uniscono in modo da formare “una sola carne”» (Ib., p. 187). 189 GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna..., cit., p. 377. Giovanni Paolo II dice queste parole in forma di domanda, alla quale, però, risponde in modo affermativo. 190 LF 19. 91 Dio nell’ordine della creazione, possa essere riferito anche alla famiglia. Da questa prospettiva, infatti, non è infrequente che la definizione di matrimonio serva anche per la famiglia191 o che l’espressione “grande mistero” sia anche riferita alla comunità familiare come si legge nel testo con cui iniziamo questo paragrafo. Da un altro punto di vista, e cioè dal momento in cui distinguiamo il matrimonio e la famiglia come realtà separate, sembra opportuno parlare della sacramentalità della famiglia in modo simile a come si parla della sacramentalità della Chiesa, e cioè «in senso analogico, e non identico rispetto a ciò che intendiamo quando ci riferiamo ai sette sacramenti amministrati dalla Chiesa per istituzione di Cristo»192. In questo senso, infatti, si può dire che tanto la famiglia (nell’ordine della Creazione) come la Chiesa (nell’ordine della redenzione) sono sacramenti universali della salvezza. La famiglia è il grande mistero, in quanto riferito all’unione di Cristo con la Chiesa; la Chiesa è anche essa famiglia, la famiglia dei figli di Dio. C) Conseguenze canoniche della sacramentalità primordiale del matrimonio e della famiglia. Il canonista deve tener sempre presente che né il matrimonio né la famiglia devono la loro sacramentalità all’azione degli uomini, al riconoscimento ecclesiale o sociale, ma sono in sé manifestazione del «grande mistero». Ciò si traduce, in chiave giuridica, in tre importanti conseguenze per il Diritto canonico: 1) La Chiesa estende la sua giurisdizione su tutta l’umanità, senza limiti di spazio e di tempo. In forza della sacramentalità primordiale ogni «matrimonio legittimo»193 appartiene, come è stato detto, al disegno divino della salvezza. Ogni matrimonio, inoltre, è intrinsecamente chiamato a diventare sacramento cristiano, come conseguenza dell’ordinazione universale dell’umanità alla Chiesa194. Ciononostante, non va dimenticato che la Chiesa ha una dimensione visibile che viene attualizzata mediante il battesimo. Proprio per ciò, la potestà di 191 Si veda supra lezione 1. 192 GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna..., cit., p. 365. Cfr. LG 1. 193 Per «matrimonio legittimo» si intende solitamente l’unione matrimoniale celebrata da persone non battezzate, secondo la legge civile loro propria. 194 Come vedremo più avanti, quando due sposi «infedeli» si battezzano, il loro vincolo diventa ipso facto sacramento della Nuova Alleanza, senza necessità di ripetere nessun rito o cerimonia. 92 giurisdizione della Chiesa – divisa nella triplice funzione legislativa, amministrativa e giudiziaria – suppone un «punto di connessione» tra la persona che chiede il giudizio giurisdizionale e la Chiesa. La giurisdizione della Chiesa sul matrimonio e la famiglia trova, quindi, il suo fondamento195 nella sacramentalità originaria di queste due istituzioni naturali196 e nella loro concreta ordinabilità alla Chiesa. L’affermare la giurisdizione della Chiesa sui matrimoni di coloro che non sono stati battezzati non è una intromissione intollerabile negli affari sociali, come capiterebbe se qualsiasi Stato avesse la bizzarria di dichiararsi munito di una giurisdizione universale. Per affermare la giurisdizione, infatti, occorre che ci sia un «punto di connessione» tra l’ordinamento di cui si tratti e l’oggetto del giudizio giurisdizionale. Si potrebbe, infatti, pensare che la Chiesa estende più del dovuto il suo ambito di competenza nel giudicare sui matrimoni dei non battezzati, che non sono «personae in Ecclesia» (can. 96). La Chiesa, infatti, deve talvolta giudicare la realtà matrimoniale e familiare di persone non battezzate nella Chiesa Cattolica197. In questi casi, però, esiste il doppio fondamento di cui parlavamo sopra: da una parte, la sacramentalità originaria del matrimonio; dall’altra, l’esistenza di un punto di connessione tra queste persone e l’ordinamento canonico. Dove non esista tale punto di connessione, occorrerà ammettere l’esistenza di una relazione di tipo «magisteriale» tra la Chiesa e quelle persone che, senza essere in modo alcuno visibilmente collegate con Essa, chiedono un suo servizio giurisdizionale relativo alla loro situazione coniugale. Anche in questi casi la Chiesa può giudicare sui matrimoni degli infedeli in ragione della materia, res sacra, intimamente collegata con la vocazione universale alla santità. Non si tratta di un’intromissione intollerabile né di una manifestazione di prepotenza, poiché la 195 Per una ottima esposizione delle diverse posizioni dottrinali circa il fondamento della giurisdizione della Chiesa si veda HERVADA, J., El Derecho del pueblo de Dios, cit., p. 264-273. L’autore sostiene che la sacramentalità primordiale del matrimonio è il fondamento più convincente dell’universalità della giurisdizione della Chiesa, anche se essa è di fatto limitata alle persone che sono visibilmente collegate in qualche modo con la Chiesa. 196 Siccome esse sono anche sociali, la Chiesa può in linea di massima lasciare la regolamentazione di esse alla società civile. Così, ad esempio, la Chiesa ha rispettato per secoli (fino al Concilio di Trento) gli usi nuziali sociali tenendoli per validi per i fedeli cattolici, senza esigere dei propri requisiti di validità; inoltre, ancora oggi è vigente la norma secondo la quale «i figli, che sono stati adottati a norma della legge civile, sono ritenuti figli di colui o di coloro che li hanno adottati» (Canone 110 CIC). La remissione all’Ordinamento civile non è, comunque, assoluta e si deve considerare implicita la clausola secondo la quale sono eccettuate le disposizioni contrarie al Diritto divino. Anche il canone 1692 § 2 CIC stabilisce, riferendosi ai processi di separazione coniugale manente vincolo, che «dove la decisione ecclesiastica non ottiene effetti civili o si preveda una sentenza civile non contraria al diritto divino, il Vescovo della diocesi dove dimorano i coniugi, ponderate le peculiari circostanze, potrà concedere licenza di ricorrere al tribunale civile». Invece, l’articolo 55 del Decreto generale di 5 novembre 1990 della C.E.I. stabilisce che «Di norma le cause di separazione tra i coniugi siano trattate avanti la autorità giudiziaria civile, fatto salvo in ogni caso il diritto dei fedeli di accedere alla giurisdizione ecclesiastica...». I rapporti tra l’ordinamento canonico e quello statuale possono essere molto vari, dipendendo anche dalla compatibilità delle leggi civili con il diritto naturale. 197 Ci sono due istituzione canoniche che riguardano il matrimonio di persone non battezzate: lo scioglimento del matrimonio in favore della fede (cc. 1143-1150 CIC) e l’impedimento di disparità di culto (c. 1086). 93 potestà di giurisdizione della Chiesa ha carattere ministeriale, di servizio alle anime e alle coscienze. In questi casi, il suo è un giudizio autoritativo che non deve tradursi per forza in una decisione di potestà esecutoria. Basterebbe, infatti, che coloro cui serve tale giudizio chiedano questo servizio alla Chiesa, anche se non sono battezzati. 2) Il nocciolo della sacramentalità (il mistero) è comune al matrimonio cristiano e a quello naturale198. Inoltre, la considerazione della sacramentalità primordiale del matrimonio aiuterà il canonista a valutare nella giusta misura che «il sacramento del matrimonio – come si afferma in FC 68 – ha questo di specifico fra tutti gli altri: di essere il sacramento di una realtà che già esiste nell’economia della creazione, di essere lo stesso patto coniugale istituito dal Creatore “al principio”»199. Anche quando il canonista è dinanzi al matrimonio cristiano (celebrato tra due battezzati) la sacramentalità primordiale è presente ed agisce anche se la fede dei coniugi sia molto imperfetta200. 3) La famiglia è società sovrana, sia all’interno della comunità nazionale ed internazionale, sia all’interno della Chiesa-comunità. Il nº 17 della LF, tutto intero dedicato a studiare i rapporti tra la famiglia e la società, sottolinea con gran forza che la famiglia è una «società sovrana»201 e non esita ad affermare che ciò che l’istituzione familiare attende dalla società è «prima di tutto di essere riconosciuta nella sua identità e accettata nella sua soggettività sociale»202. 198 Questo argomento sarà più attentamente analizzato nel prossimo paragrafo, quando esamineremo il sacramento cristiano. 199 FC 68. Fermo restante, logicamente, la centralità di Cristo e cioè che il matrimonio è mistero perché partecipa dell’unione di Cristo con la Chiesa. 200 GIOVANNI PAOLO II, Allocutio ad Romanae Rotae Auditores, 30 gennaio 2003, n. 8: «L'importanza della sacramentalità del matrimonio, e la necessità della fede per conoscere e vivere pienamente tale dimensione, potrebbe anche dar luogo ad alcuni equivoci, sia in sede di ammissione alle nozze che di giudizio sulla loro validità. La Chiesa non rifiuta la celebrazione delle nozze a chi è bene dispositus, anche se imperfettamente preparato dal punto di vista soprannaturale, purché abbia la retta intenzione di sposarsi secondo la realtà naturale della coniugalità. Non si può infatti configurare, accanto al matrimonio naturale, un altro modello di matrimonio cristiano con specifici requisiti soprannaturali». 201 LF 17: «Come comunità di amore e di vita, la famiglia è una realtà sociale saldamente radicata e, in modo tutto proprio, una società sovrana, anche se condizionata sotto vari aspetti. L’affermazione della sovranità dell’istituzione-famiglia e la constatazione dei suoi molteplici condizionamenti inducono a parlare dei diritti della famiglia. Al riguardo la Santa Sede ha pubblicato nel 1983 la Carta dei Diritti della Famiglia, che conserva anche ora tutta la sua attualità». Per un commento puntuale e suggestivo del concetto di «sovranità» applicato alla famiglia si veda VILADRICH, P.J., La famiglia «sovrana»..., cit. 202 Ibidem. 94 Ad ogni modo, la sovranità della famiglia non esaurisce la sua efficacia nell’ambito secolare, ma si manifesta anche nell’Ordinamento canonico203, La considerazione di tale sovranità dovrebbe anzitutto fare sì che si radicasse la consapevolezza che se la Chiesa ha giurisdizione su ogni famiglia è perché «la famiglia è la prima e la più importante via della Chiesa»204. Ciò significa che questa si riconosce al servizio di quella ed intende la giurisdizione non come strumento di controllo e di potere, ma quale servizio. Questa consapevolezza deve avere anche conseguenze canoniche, in modo simile a come la consapevolezza dei diritti dei fedeli, ed in particolare del fedele laico, diedero luogo ad una intensa fioritura di studi canonistici205. 2. Il matrimonio, sacramento della Nuova Alleanza. Dal secolo XII la Chiesa ha più volte esplicitato che il matrimonio costituisce uno dei sette sacramenti della Nuova Alleanza206. Tali esplicitazioni sono state dovute alla necessità di affermare la sacramentalità del matrimonio di fronte a coloro che la negavano. 203 Per una valutazione del Diritto di famiglia nella più recente letteratura canonistica si veda ARRIETA, J.I., La posizione giuridica della famiglia nell'Ordinamento canonico, in Ius Ecclesiae 7 (1995), p. 551-560; BIANCHI, P., Il “diritto di famiglia” della Chiesa, in Quaderni di Diritto Ecclesiale 7 (1994), p. 285-299; CASTAÑO, J.F., Il diritto di famiglia nella Chiesa, in Angelicum 67(1990) p. 153-184; ERRAZURIZ M., C.J., La rilevanza canonica della sacramentalità del matrimonio e della sua dimensione familiare, in Ius Ecclesiae 7 (1995), p. 561-572; VILADRICH, P.J., La famiglia «sovrana»..., cit.; VANZETTO, T., Il diritto della famiglia nella Chiesa: la famiglia in quanto soggetto ecclesiale, in Quaderni di Diritto Ecclesiale 7 (1994), p. 300-321. Ancora presenta una grande attualità lo studio di VILADRICH, P.J., Matrimonio e sistema matrimoniale della Chiesa. Riflessioni sulla missione del Diritto matrimoniale canonico nella società attuale, in Quaderni dello Studio Rotale I (1987), p. 21-41. 204 LF 2. Ricordiamo che tale potestà – che presuppone il carattere sacro della famiglia – è solo esercitabile se essa è in connessione con l’ordinamento canonico. 205 VILADRICH, P.J., Matrimonio e sistema matrimoniale..., cit., p. 39-41. 206 I più importanti interventi magisteriali in questo senso sono stati il Concilio Laterano IV (1215), in cui si riconosce che gli sposati possono salvarsi (DENZINGER , H.–SCHÖNMETZER, A., (a cura di), Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, Herder, Barcelona-Freiburg Br.-Roma 197636, 802; d’ora in poi useremo le sigle DS, seguite dal nº di cui si tratti), nella bolla Esultate Deo (decreto agli Armeni orientali) del Concilio di Firenze (DS, 1310, 1327) ed anzitutto il Concilio di Trento (Sessione VII canon 1 De sacramentis in genere, in DS 1601, Sessio XXIV, can. 1 de sacramento matrimonii, in DS 1801). Cfr. MIRALLES, A., Il matrimonio, cit., p. 128-130. 95 A) Il patto coniugale celebrato tra battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento. (can. 1055 § 1 CIC 1983). Dopo tutto ciò che è stato detto in precedenza si potrà capire facilmente che l’espressione usata dal legislatore nel canone 1055 § 1 CIC non va intesa nel senso che il matrimonio sia passato dalla categoria degli affari umani, profani, intramondani, a quella dignità propria delle cose sacre, soprannaturali. Non è questioni di livelli, poiché il matrimonio naturale è sempre il «grande mistero», ed appartiene appieno all’ordine soprannaturale: ci vuole la grazia divina per contrarlo e occorre anche la grazia per essere fedele al dono di sé che i nubendi si sono fatti vicendevolmente207. Tuttavia, l’espressione codiciale ha una grande forza, poiché sottolinea il fatto che Cristo abbia voluto annoverare il matrimonio tra quei sette sacramenti da Lui istituiti, che sgorgano dalla sacramentalità della Chiesa: «Si può dire che la sacramentalità della Chiesa è costituita da tutti i sacramenti per mezzo dei quali essa compie la sua missione santificatrice»208. Da questa espressione usata dal Legislatore e densa di contenuto, noi vorremo soffermarci su tre idee: 1) Ciò che Cristo ha «elevato» è lo stesso matrimonio-mistero, affidando alla Chiesa la precisazione del segno. «Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi»209. L’azione di Dio non si produce senza il concorso libero dei nubendi, ministri del sacramento210, poiché sono loro due mediante il consenso coniugale che 207 Cfr. FC 68. 208 GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna..., cit., p. 365. Il Papa aggiunge, dopo di aver sottolineato la centralità del battesimo e dell’eucaristia, che «bisogna infine dire che la sacramentalità della Chiesa rimane in un particolare rapporto con il matrimonio: il sacramento più antico» (Ibidem). 209 Mt 19, 6. 210 Su questo punto esiste un certo divario tra la tradizione orientale non cattolica e quella cattolica, soprattuto la latina. La teologia sacramentale latina ha sempre sostenuto che i ministri del matrimonio sono gli stessi coniugi; invece, «secondo la dottrina delle Chiese orientali non cattoliche il ministro del matrimonio sacramento (...) è il sacerdote. Il sacramento come azione di Cristo e la Chiesa può avverarsi soltanto attraverso il sacerdote (presbitero o vescovo) che compie il rito nuziale» (PRADER, J., La forma di celebrazione del matrimonio, in AA.VV., Il matrimonio nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1994, p. 288). Il Catechismo della Chiesa Cattolica ha voluto in qualche modo prendere in considerazione la tradizione orientale, senza dire, però, che il ministro sia il sacerdote: «Secondo la tradizione latina sono gli sposi, come ministri della grazia di Cristo, a conferirsi mutuamente il sacramento del Matrimonio esprimendo davanti alla Chiesa il loro consenso. Nelle tradizioni delle Chiese orientali, i sacerdoti, vescovi o presbiteri, sono testimoni del reciproco consenso scambiato tra gli sposi ma anche la loro benedizione è necessaria per la validità del sacramento» (CCC 1623 n.v.). Il canone 828 § 2 CCEO (equivalente al canone 1108 CIC) segnala che «si intende qui come rito sacro l’intervento del sacerdote assistente e benedicente». La benedizione del sacerdote, per i fedeli 96 conferiscono vicendevolmente il sacramento. Il patto e il vincolo coniugali sono, quindi, ciò che Cristo ha assunto211. Tuttavia, la determinazione di ciò in cui consista il patto, gli elementi e i requisiti per la sua validità giuridica sono affidati alla Chiesa. Essa, a sua volta, può anche assumere gli ordinamenti sociali o, anche – attendendo le circostanze storiche e culturali – può creare nuovi requisiti di diritto positivo212 o dichiararne altri come appartenenti al diritto naturale213. Comunque sia, il sacramento non è altro che lo stesso «segno socialeecclesiale», vale a dire, le nozze (o quei riti che in ogni momento storico sono vigenti nella società in cui vivono i battezzati e che la Chiesa ammette come tali) e il vincolo che nasce dal consenso coniugale. — Il «sacramentum tantum» (sacramento o segno soltanto) sarebbe il patto coniugale valido214. — La «res et sacramentum» (realtà e segno) sarebbe il vincolo, poiché esso, da una parte, è «res» quale effetto stabile causato dai contraenti mediante il loro consenso, e da un’altra, è il segno sacramentale per antonomasia poiché è permanente mentre sono in vita i coniugi. Il vincolo, infatti, è il sacramento del matrimonio dum permanet215 perché significa ciò che realmente produce: la grazia di cui hanno bisogno gli sposi per essere fedeli al loro patto di amore. — «Res tantum» (solo effetto) è la grazia sacramentale significata ed effettivamente causata dal vincolo. Questa grazia si chiama «contenta» perché è realmente contenuta ed effettivamente prodotta dal segno sacramentale. Accanto ad essa spicca però la res non contenta e cioè la realtà soggetti al CCEO, è dunque un requisito di validità, integrante la forma ordinaria di celebrazione. 211 ERRÁZURIZ, C.J., El matrimonio como realidad jurídica natural y sacramental, in Folia Theologica 5 (1994), 32. 212 Paradigma di tali impedimenti matrimoniali, in senso largo, è l’esigenza della cosiddetta forma canonica per la validità della celebrazione matrimoniale dei battezzati: consiste nella necessità che i nubendi esprimano il loro consenso dinanzi a un testimone qualificato (ministro sacro) e due testimoni comuni, che lo ricevono nel nome della Chiesa. Tale forma canonica fu stabilita nel Concilio di Trento per la prima volta, nel decreto Tametsi. Sui problemi relativi al rapporto tra forma e sacramentalità torneremo più avanti. 213 Si pensi, ad esempio, alla difesa della libertà di sposare degli schiavi quale ius connubii naturale (in questo caso, la Chiesa contribuì alla soppressione di un impedimento ingiusto). Il Diritto canonico ha ritenuto che alcuni difetti del consenso (impedimenti in senso lato) sono ostativi e cioè impediscono la validità del vincolo: così, ad esempio, l’incapacità consensuale, l’errore sulla persona, certi casi gravi di metus, ecc. 214 E’ opportuno ricordare che il patto coniugale, da una parte, è inserito nel contesto più ampio delle nozze, e da un’altra parte è costituito da diversi elementi «significanti» come sono la manifestazione del consenso e l’atto consumativo del matrimonio. Torneremo più avanti su questi due estremi. 215 La parola «alleanza» (foedus, in latino) può, infatti, essere intesa tanto come patto che come relazione o vincolo. Cfr. BAÑARES, J.I., Commento al canone 1055, in Comentario exegético..., cit., p. 1041; LO CASTRO, G., Tre studi sul matrimonio, cit., p. 5-40. 97 soltanto significata – ma non causata – dal vincolo coniugale: l’unione tra Cristo e la Chiesa216. 2) Che Cristo «elevi» il matrimonio alla dignità di sacramento tra battezzati comporta che questo nuovo segno partecipa efficacemente delle proprietà dell’unione di Cristo e la Chiesa ed è segno del dono di Cristo come Sposo ai coniugi cristiani. «Egli vuole e dona l’indissolubilità matrimoniale come frutto, segno ed esigenza dell’amore assolutamente fedele che Dio ha per l’uomo e che il Signore Gesù vive verso la sua Chiesa»217. Cristo impegna se stesso non soltanto con la Chiesa, sua sposa, ne tanto meno solo con ciascuno dei fedeli battezzati (in ragione del battesimo) ma impegna se stesso con un nuovo titolo con ogni coppia coniugata, in modo tale che «può essere affermato con rigore dei termini che per ciascun sposo Cristo è suo coniuge»218. Si capisce la profondità dell’espressione «bonum sacramenti» usata da Sant’Agostino come riferita ad ogni matrimonio, ma in modo tutto specifico al matrimonio cristiano: Cristo promette la sua grazia ai fedeli cristiani affinché possano essere fedeli alla loro vocazione il che, qui, coincide con l’essere fedeli alla loro nuova identità di coniugi e di genitori. «Per ciò – continua dicendo Viladrich – il matrimonio sacramento costituisce una via specifica nell’edificazione della Chiesa (c. 226), perché è stato incorporato come tale nell’economia della salvezza. La sua indissolubilità è segno dell’indefettibile amore dello Sposo divino e dell’indeclinabile efficacia del potere redentore di Cristo-Sposo che, sotto ogni circostanza favorevole o difficile della vita matrimoniale, riconosce la co-identità dello sposo cristiano rispetto di Lui, vale a dire, l’essere “Suo coniuge”»219. 216 Una buona esposizione di questa dottrina sacramentale si può trovare in HERVADA, J., El Derecho del pueblo de Dios...., cit., p. 148-158. 217 FC 20. 218 VILADRICH, P.J., Commento al canone 1099, in Comentario exegético..., cit., p. 1308. Quest’idea è anche sviluppata dall’autore nel commento al canone 1101, dove sostiene: «In ragione del battesimo i coniugi cristiani sono Cristiconformati nella filiazione divina, che è il possesso dell’identità di origine in Dio Padre. Quando essi contraggono matrimonio come figli di Dio in Cristo, gli sposi ricevono, nel loro essere o identità di coniugi, il dono irreversibile di Cristo-Sposo e la partecipazione, in quanto genitori, nella genealogia (procreazione ed educazione) dei figli di Dio» (p. 1367). Cfr. anche FLECKENSTEIN , K., «Questo mistero..., cit., p. 162-169. 219 VILADRICH, P.J., Commento al canone 1101..., cit. p. 1367. Ciò logicamente non significa che Cristo prometta la felicità coniugale ai fedeli cristiani, ma la sua grazia per poter essere fedeli agli impegni matrimoniali in ogni circostanza o peripezia, per assurda e difficile che possa sembrare allo sguardo umano. Nella FC 20 si può leggere, infatti, una lode a «tutte quelle numerose coppie che, pur incontrando non lievi difficoltà, conservano e sviluppano il bene dell’indissolubilità: assolvono così, in modo umile e coraggioso, il compito loro affidato di essere nel mondo un “segno” – un piccolo e prezioso segno, talvolta sottoposto anche a tentazione, ma sempre rinnovato – dell’instancabile fedeltà con cui Dio e Gesù Cristo amano tutti gli uomini ed ogni uomo. Ma è doveroso anche riconoscere il valore della testimonianza di quei coniugi che, pur essendo stati abbandonati dal partner, con la forza della fede e della speranza cristiana non sono passati ad una nuova unione: anche questi coniugi dànno un’autentica testimonianza di fedeltà, di cui il mondo oggi ha grande bisogno. Per tali motivi devono essere incoraggiati e aiutati dai pastori e dai fedeli della Chiesa». 98 Parte importante di questo impegno è la certezza con cui il sacramento opera, poiché – presupposta la volontà veramente coniugale – il matrimonio è per virtù del battesimo dei due coniugi ed ex opere operato sacramento della nuova Alleanza. Si richiede dunque: che ci sia una volontà veramente matrimoniale: «La decisione dunque dell’uomo e della donna di sposarsi secondo questo disegno divino, la decisione cioè di impegnare nel loro irrevocabile consenso coniugale tutta la loro vita in un amore indissolubile ed in una fedeltà incondizionata, implica realmente, anche se non in modo pienamente consapevole, un atteggiamento di profonda obbedienza alla volontà di Dio che non può darsi senza la sua grazia. Essi sono già, pertanto, inseriti in un vero e proprio cammino di salvezza, che la celebrazione del sacramento e l’immediata preparazione alla medesima possono completare e portare a termine, data la rettitudine della loro intenzione»220. Tale requisito è conseguenza del fatto che proprio il «mistero» del matrimonio è ciò che è assunto da Cristo. — — che loro due siano stati precedentemente battezzati. Nella stessa esortazione pastorale FC si può infatti leggere: «Mediante il battesimo, l’uomo e la donna sono definitivamente inseriti nella Nuova ed Eterna Alleanza, nell’Alleanza sponsale di Cristo con la Chiesa. Ed è in ragione di questo indistruttibile inserimento che l’intima comunità di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore, viene elevata e assunta alla carità sponsale di Cristo, sostenuta ed arricchita dalla sua forza redentrice»221. Non si richiede, invece: — né uno speciale grado di fede nei nubendi: Occorre ribadire che per «volontà matrimoniale» si deve intendere la retta intenzione per cui ciascuno dei nubendi «dà se stesso» e riceve l’altro. Questa volontà non è – non può esserlo – qualcosa di piatto, anzi «implica realmente, anche se non in modo pienamente consapevole, un atteggiamento di profonda obbedienza alla volontà di Dio, che non può darsi senza la sua grazia»222. Anche se tale obbedienza non va confusa con la fede teologale, non le risulta nemmeno estranea223 fino al punto che la FC 68 ritiene che essa sia 220 FC 68. Si ricordi quanto è stato detto nel paragrafo precedente sulla sacramentalità primordiale. 221 FC 13. Cfr. ERRÁZURIZ, C.J., Il battesimo degli adulti come diritto e come causa di effetti giuridico-canonici, in Ius Ecclesiae 2 (1990), p. 16-21. Sulla sacramentalità del matrimonio dei non battezzati e di quello contratto con dispensa dell’impedimento di disparità di culto, torneremo più avanti. 222 FC 68. 223 Vale la pena trascribere il testo di SOLOV’ËV, V., Il significato dell’amore, La Casa di Matriona, Milano 1988, p. 91-92: «L’esistenza di un amore autentico si fonda innanzitutto sulla fede. Il significato fondamentale dell’amore consiste, come abbiamo già mostrato, nel riconoscere il valore assoluto dell’essere altrui. Ma nella sua esistenza empirica, soggetta alla percezione sensibile e reale, questo essere non ha un valore assoluto: esso è imperfetto per quanto riguarda la sua dignità e transeunte per quanto riguarda la sua esistenza. Possiamo quindi attribuirgli un valore assoluto in forza di una fede che è fondamento di ciò che speriamo e prove delle cose che non 99 sufficiente affinché i nubendi cattolici non siano respinti e non si rifiuti loro la celebrazione delle nozze224. «Non si deve dimenticare –continua dicendo FC 68– che questi fidanzati, in forza del loro battesimo, sono realmente già inseriti nell’Alleanza sponsale di Cristo con la Chiesa e che, per la loro retta intenzione, hanno accolto il progetto di Dio sul matrimonio e, quindi, almeno implicitamente acconsentono a ciò che la Chiesa intende fare quando celebra il matrimonio»225 — né una volontà intenta verso la sacramentalità: Per costituire il matrimonio non c’è necessità di un nuovo atto di volontà che sia rivolto alla sacramentalità, diverso da quello che costituisce il vincolo. Basta che i contraenti, essendo battezzati, abbiano «volontà matrimoniale», cioè decidano costituire la relazione coniugale che fa loro diventare coniugi, affinché il vincolo da loro costituito sia necessariamente «segno dell’unione di Cristo e la Chiesa»226. vediamo. Ma che c’entra la fede nel nostro caso? Che significa propriamente credere nel valore assoluto, e per ciò stesso infinito, di un determinato essere individuale? Affermare che esso in sé e in quanto tale, nella sua particolarità e nel suo isolamento, ha un valore assoluto, sarebbe assurdo e addirittura sacrilego. È ben vero che la parola “adorazione” è molto usata nella sfera delle relazioni amorose, ma è altretanto certo che in questo ambito anche la parola “follia” ha un suo uso legittimo. Quindi, in ossequio alle leggi della logica, che proibiscono di identificare delle definizioni contraddittorie, e in omaggio anche al comandamento della vera religione, che vieta l’idolatria, quando parliamo di fede nell’oggetto del nostro amore dobbiamo intendere l’affermazione di questo oggetto come qualcosa che esiste in Dio e che solo in questo senso acquista un valore infinito. Ovviamente questo atteggiamento nei confronti dell’altro, che ce lo fa porre come transcendente e che lo traspone mentalmente nella sfera della Divinità, presuppone un analogo atteggiamento verso se stessi, un’analoga trasposizione e affermazione di sé nella sfera assoluta. Io posso riconoscere il valore assoluto di una data persona o aver fede in essa (senza di che è impossibile un amore autentico) solo se la affermo in Dio e quindi solo se credo in Dio stesso come in me come essere che ha in Dio il proprio centro focale e la propria radice». 224 Anche dal punto di vista oggettivo, segnala MIRALLES, A., Il matrimonio..., cit., p. 154: «Inoltre, poiché manifesta il reciproco dono di sé di due cristiani, esprime oggettivamente il mistero sponsale tra Cristo e la Chiesa al quale appartengono, in quanto battezzati, e che assume in sé l’unione che stabiliscono. Costituisce perciò espressione della fede della Chiesa, la quale è sempre fede viva». La problematica pratica che comporterebbe lo stabilire ulteriori criteri di ammissione alla celebrazione ecclesiale va studiata in un altra lezione, riguardante la celebrazione del matrimonio. 225 FC 68. La volontà dei nubendi deve intendere la creazione del «segno» in cui consiste il sacramento, ma questo «segno» non va confuso con la forma liturgica, come ha precisato ORTIZ, M.A., Sacramento..., cit., p. 33-34: «Occorre tener presente, infatti, che l’intenzione sacramentale deve fare riferimento a ciò che la Chiesa intende come sacramento del matrimonio: se intende che esso è ogni matrimonio valido tra battezzati, basterà allora l’intenzione di celebrare un matrimonio valido. In questo senso, l’intenzione matrimoniale che tende ad unire due battezzati è sempre specificamente sacramentale, se si tiene conto che il consenso matrimoniale costituisce il nocciolo essenziale del segno sacramentale». 226 A molti sembra ingiustificato che gli sposi possano produrre l’efficacia sacramentale propria del matrimonio anche quando essi hanno uno stile di vita indegna di un cristiano o non vogliono minimamente produrre tali efetti. Si tratterebbe per loro di residui di una concezione magica della sacramentalità, di un voler portare l’efficacia ex opere operato fino al parossismo. A ciò si deve rispondere che talvolta questi atteggiamenti possono certamente rientrare in alcuno dei capi di nullità del matrimonio, che saranno esaminati più avanti; altre volte tali comportamenti non intaccheranno forse la validità del matrimonio, ma costituiranno una offesa – forse inconsapevole o incolpevole – all’unione coniugale da loro originata e al Creatore. Comunque sia, ciò che è il segno sacramentale non è la vita né la testimonianza degli sposi, ma il vincolo. Più 100 Siccome il segno del sacramento del matrimonio è il vincolo coniugale – quale relazione familiare che unisce l’uomo e la donna – c’è infatti una coincidenza radicale tra l’oggetto del consenso e il segno sacramentale: ciò che vogliono i nubendi è costituire la coniugalità, ed essa in quanto vincolo indissolubile (cioè in quanto parte della loro co-identitá personale) è il segno della mutua appartenenza (non solo significata ma anche efficace) e della loro co-identità con Cristo-Sposo. Il segno sacramentale non è né la vita coniugale, né la testimonianza cristiana dei coniugi, né la comunione di vita e di amore, ma la relazione coniugale o coniugalità, che è alla base della comunione di persone e sulla quale si costituisce la loro identità di sposi (assunta da Cristo, che diventa loro Coniuge in un nuovo titolo)227. 3) Perché il matrimonio possa essere segno efficace è anche necessario che la Chiesa-Sposa custodisca il dono che Cristo-Sposo offre ai coniugi cristiani. Abbiamo sostenuto precedentemente che tra gli effetti della caduta di Adamo ed Eva c’è stato lo sconvolgimento del matrimonio-mistero, anzitutto nella sua dimensione sociale. Siccome il matrimonio comporta un impegno reciproco degli sposi, non è indifferente che la società lo riconosca o meno. Per la «durezza dei cuori», le proprietà essenziali del matrimonio – benché fossero esigenze intrinseche della dignità della persona coniugata – non potevano essere esatte da Dio dal momento che le società non erano in grado di coglierne la loro razionalità. La «verità del principio» cui si riferisce Gesù nel suo dialogo con i farisei suscita nei suoi discepoli un profondo stupore228 che genererà nelle successive generazioni di cristiani la necessità di cogliere il precetto del loro Maestro229 e di custodirlo, impiegando a questo scopo, gli strumenti culturali e giuridici a loro disposizione. Due momenti di questa difesa di natura giuridica sono stati, nel primo millennio, argomenti che inducono a difendere la tradizionale posizione della Chiesa in questa materia si trovano nell’intero nº 68 della FC e nel citato Discorso alla Rota Romana del 2003. 227 Una buona analisi dell’amore coniugale e del consorzio di vita può trovarsi in LO CASTRO, G., Tre studi..., cit., p. 34. Per una critica puntuale alla dottrina che pone il segno sacramentale nella comunità di vita, quale realtà dinamica ed esistenziale, si veda ORTIZ, M.A., Sacramento..., cit., p. 34-35, 37-38. 228 Alla base di questo stupore c’è, senza dubbio, la difficoltà e la novità di ciò che Gesù propone – «se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi» (Mt 19, 10) – ma anche la meraviglia di fronte al significato che subito si attribuisce alla novità del precetto di Gesù. Lo stupore che l’uomo sente dinanzi la «verità del principio» non è diverso dallo stupore cui si riferisce Giovanni Paolo II nella sua prima enciclica Redemptor hominis, 10: «In realtà, quel profondo stupore riguardo al valore ed alla dignità dell’uomo si chiama Vangelo, cioè la Buona Novella. Si chiama anche cristianesimo. Questo stupore giustifica la missione della Chiesa nel mondo, anche, e forse più ancora, “nel mondo contemporaneo”. Questo stupore, ed insieme persuasione e certezza, che nella sua profonda radice è la certezza della fede, ma che in modo nascosto e misterioso vivifica ogni aspetto dell’umanesimo autentico, è strettamente collegato a Cristo». Cf., al riguardo, ALZATE, P., Fundamentación jurídica..., cit., p. 23-33; SCOLA, A., Questioni di antropologia teologica, Ares, Milano 1996, p. 39-40. 229 L’indissolubilità è per la Chiesa di tutti i tempi un precetto giuridico. Cfr. BASEVI, C., E saranno una sola carne, Ares, Milano 1993, p. 10-18. 101 la proibizione delle seconde nozze finché sono in vita i coniugi e, con grande precisione a partire dal secolo XII, la determinazione del «vincolo» quale impedimento dirimente che renderebbe inabili gli sposi per poter contrarre nuove nozze eo manente230. Il principio dell’indissolubilità accolto dalla Chiesa è stato il grande motore del Diritto matrimoniale canonico, la spinta che ha portato canonisti e teologi a determinare cosa sono il patto e il vincolo coniugali, quando inizia il vincolo e quando esso è assolutamente indissolubile, cosa significa l’indissolubilità, quale differenza c’è tra cause di nullità (il matrimonio non c’è, perché è nullo il patto coniugale) e cause di scioglimento del vincolo coniugale (il matrimonio c’è ma può essere sciolto in taluni casi), ecc. Si tratta di monumenti culturali, contributi della Chiesa alla civiltà, che derivano dalla fedeltà con cui la Chiesa Sposa riconosce lo stretto legame esistente tra il sacramento del matrimonio e se stessa come Sposa. Questo legame – che ancora deve essere approfondito nei prossimi paragrafi – ispira tutta la normativa della Chiesa riguardante la pastorale familiare nei casi difficili, in particolare nelle cosiddette situazione irregolari231. In concreto, nel caso dei divorziati risposati e dopo aver esortato la comunità cristiana la carità verso questi fedeli232, la FC afferma decisamente: «La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia»233. E’ evidente che se la Chiesa non fosse fedele a questo impegno dinanzi il suo Sposo, il matrimonio cristiano perderebbe in grande misura la sua capacità di significare (manifestare, attuare e rivelare) il grande mistero, l’unione cioè di Cristo e la sua Chiesa. Tale consapevolezza è alla base di decisioni pastorali che la Chiesa ha preso negli ultimi decenni per evitare la crescente secolarizzazione del matrimonio nel mondo occidentale, come quella, ad esempio, di mantenere in vigore la forma canonica di celebrazione del matrimonio cristiano. 230 Si veda ALZATE, P., Fundamentación jurídica..., cit., p. 56-90. 231 FC 80-85. La difesa dell’indissolubilità, lungi da essere indifferenza pastorale, costituisce un dovere di tutti, a cominciare dai coniugi che hanno ricevuto il sacramento, e di tutta la ChiesaSposa. 232 FC 84: «Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l’intera comunità di fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati della Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza». 233 Ibidem. Sul rapporto tra il sacramento del matrimonio e quello dell’Eucaristia torneremo più avanti. 102 B) Le nozze cristiane, celebrazione del «grande mistero». La celebrazione del matrimonio e, da un altro lato, il divieto di celebrare seconde nozze mentre restino in vita i coniugi sono l’espressione più chiara della sacramentalità del matrimonio cristiano: non solo viene celebrato il matrimonio (attraverso i riti liturgici e sociali-festivi) ma anche risulta proibita una seconda o ulteriore celebrazione; vale a dire la celebrazione iniziale (in fieri) sussiste lungo la vita degli sposi (in facto esse) in modo tale che i fedeli cristiani, che hanno accolto il dono degli sposi quale segno del grande mistero234, non possono celebrare un’unione che sarebbe in contraddizione con ciò che era stato celebrato e festeggiato. Il vincolo coniugale diviene così un obbligo di tutta la comunità cristiana, incominciando dagli sposi, di “non celebrare” seconde nozze235. Da questa prospettiva, il vincolo comporta la sussistenza e attualità della celebrazione coniugale nel cuore della comunità cristiana236. La festa nuziale ha elementi festivi e liturgici, i quali appartengono rispettivamente a due dimensioni essenziali del coniugio – quella sociale e quella sacramentale –. Abbiamo già spiegato che senza il consenso degli sposi (patto coniugale) le cerimonie, i riti e i festeggiamenti sarebbero vuoti, perché essi non sono altro che «il riconoscimento» sociale ed ecclesiale di ciò che hanno creato i coniugi: la famiglia, prima cellula sociale e Chiesa domestica237. Questo riconoscimento (sociale ed ecclesiale al tempo stesso) è essenziale alle nozze: ciò che non è essenziale è lo strumento tecnico che si voglia usare. La Chiesa, dal Concilio di Trento fino ai nostri giorni, esige un requisito di validità della celebrazione del matrimonio che viene chiamato «forma» canonica: la necessità cioè che il consenso sia manifestato dinanzi due testimoni comuni e un testimone qualificato che riceve la manifestazione del consenso in nome della Chiesa238. Con questa norma la Chiesa vuole garantire l’esistenza di un minimo di 234 E’ molto nota l’intuizione splendida di BELLARMINO, R., De controversiis, III, De Matrimonio, controversia III, c. 6: «Il sacramento del matrimonio si può considerare in due modi: il primo mentre si celebra; il secondo mentre perdura dopo che è stato celebrato. Giacchè è un sacramento simile all’eucaristia, la quale è sacramento non solo mentre si fa, ma anche mentre perdura: perché, fin quando vivono i coniugi, la loro unione è sempre il sacramento di Cristo e della Chiesa». 235 Nel primo millennio, infatti, gli impedimenti matrimoniali erano intesi fondamentalmente come divieti di celebrare ulteriori nozze. Si veda, in questo senso, CARRERAS, J., Las bodas: sexo, fiesta y derecho, cit., p. 37-38. Più tardi, con i primi decretisti (s. XII), la dottrina canonica iniziò a distinguere con chiarezza gli impedimenti dirimenti (con effetti invalidanti) da quelli impedienti (che recavano l’illeicità dell’atto) e dalle cause di scioglimento del vincolo coniugale (come, ad esempio, la morte o la dispensa del matrimonio rato e non consumato). 236 Da ciò deriva l’obbligo di cui al can. 1069: «Prima della celebrazione di un matrimonio, tutti i fedeli sono tenuti all’obbligo di rivelare al parroco o all’Ordinario del luogo, gli impedimenti di cui fossero a conoscenza». Cfr. RINCON, T., Commento al canone 1069, in Comentario exegético..., cit., p. 1121-2. 237 CARRERAS, J., Las bodas..., cit., p. 38. 238 Il canone 1108 § 1 CIC prescrive ciò che si denomina «forma ordinaria»: «Sono validi 103 «socialità» e di «ecclesialità» delle nozze, anche se di pari passo si accettano delle eccezioni in cui la celebrazione viene fatta in modo «non ordinario» senza perciò essere invalida239. Comunque sia, occorre non confondere lo strumento tecnico usato dal legislatore canonico per garantire l’ecclesialità della celebrazione – esso appartiene al diritto positivo – dalla dimensione ecclesiale (e sociale) propriamente detta, poiché essa sì è essenziale240. La sacramentalità del matrimonio non dipende dal fatto che il matrimonio sia stato celebrato «in Chiesa» e con la benedizione del sacerdote. In tutti quei casi in cui esso viene celebrato validamente in forma «non ordinaria» – per esempio, perché si è dispensato dell’osservare la forma canonica – il matrimonio è di pari passo sacramento, come esamineremo subito nel paragrafo C)241. Abbiamo parlato di elementi festivi e sacri, perché essi si distinguono realmente. Tuttavia, occorre non dimenticare che nella stessa festa nuziale c’è un’implicita e forse inconsapevole accettazione della sacralità stessa del matrimonio-mistero. Ciò è opportuno agli effetti pastorali, per non escludere dalla celebrazione nuziale i nubendi cristiani che sembrano mossi più per motivi sociali che religiosi242. La continuità tra l’ordine della creazione e quello dalla redenzione è vista qui da una prospettiva sociale: la dimensione sacra è implicita in quella soltanto i matrimoni che si contraggono alla presenza dell’Ordinario del luogo o del parroco o del sacerdote oppure diacono delegato da uno di essi che sono assistenti, nonché alla presenza di due testimoni, conformemente, tuttavia, alle norme stabilite nei canoni seguenti, e salve le eccezioni di cui ai canoni 144, 1112, § 1, 1116 e 1127, §§ 2-3.» 239 Ad esempio, ciò è previsto dai can. 1116 e 1127 CIC. Cfr. su questa problematica ORTIZ, M.A., Sacramento y forma..., cit. passim. 240 Potrebbero infatti darsi situazioni di mancanza totale di ecclesialità con rispetto perlomeno esterno della forma canonica (si pensi ai matrimoni celebrati da chi ha escluso matrimonium ipsum i quali vanno dichiarati nulli) e, al contrario, celebrazioni nuziali che potrebbero essere state valide se non ci fosse stato l’inadempimento di uno dei requisiti formali previsti dal legislatore. Per evitare queste ultime situazioni il Codice di Diritto Canonico applica anche alle facoltà abituali l’istituto di supplenza di giurisdizione, attraverso il gioco di remissioni dei can. 1108 § 1, 144, 1111 CIC. 241 L’azione di Cristo è esercitata anche al di fuori dei concreti riti previsti: in questo senso, la liturgia matrimoniale può anche essere celebrata (con l’opportuna dispensa) dinanzi un’autorità civile: i ministri sono gli stessi coniugi. Usiamo l’espressione «celebrazione liturgica» nel senso largo con cui viene usata nel n. 1136 e ss. del Catechismo della Chiesa Cattolica. 242 Nella FC 68 si può infatti leggere: «È vero, d’altra parte, che, in alcuni territori motivi di carattere più sociale che non autenticamente religioso spingono i fidanzati a chiedere di sposarsi in Chiesa. La cosa non desta meraviglia. Il matrimonio, infatti, non è un avvenimento che riguarda solo chi si sposa. Esso è per sua stessa natura un fatto anche sociale, che impegna gli sposi davanti alla società. E da sempre la sua celebrazione è stata una festa, che unisce famiglie ed amici. Va da sé, dunque, che motivi sociali entrino, assieme a quelli personali, nella richiesta di sposarsi in chiesa. Tuttavia, non si deve dimenticare che questi fidanzati in forza del loro battesimo, sono realmente inseriti nell’Alleanza sponsale di Cristo con la Chiesa e che, per la loro retta intenzione, hanno accolto il progetto di Dio sul matrimonio e, quindi, almeno implicitamente, acconsentono a ciò che la Chiesa intende fare quando celebra il matrimonio. E, dunque, il solo fatto che in questa richiesta entrino anche motivi di carattere sociale non giustifica un eventuale rifiuto da parte dei pastori». 104 sociale, in modo simile a come l’accettazione del disegno originario di Dio da parte dei nubendi contiene un grado minimo di fede, sufficiente agli effetti della validità del sacramento. Nell’affermare che le nozze costituiscono il segno (sacramentum tantum) del matrimonio cristiano, non dobbiamo però dimenticare che all’interno di esse – che abbiamo definito come «quell’atto sociale e liturgico in cui viene celebrata l’unione dell’uomo e della donna, i quali mediante il patto coniugale diventano coniugi e costituiscono la prima relazione familiare»243 – si contengono una pluralità di elementi significanti: gli anelli (o fede nuziale), la «dexterarum coniunctio», il consenso, l’eucaristia, la bendezione del sacerdote sugli sposi, il talamo nuziale, ecc.244. C) Tra battezzati non può sussistere un valido contratto matrimoniale, che non sia per ciò stesso sacramento (can. 1055 § 2 CIC). Il § 2 del canone 1055 CIC afferma: «Pertanto, tra battezzati non può sussistere un valido contratto matrimoniale, che non sia per ciò stesso sacramento»245. 243 Si veda lezione 2, 1. 244 Noi abbiamo scelto una presentazione «misterica», mediante la quale cerchiamo di cogliere tutti gli elementi rilevanti dal punto di visto della sacramentalità. Da questa prospettiva, in fatti, si attribuisce meno importanza alla determinazione precisa della materia e della forma del sacramento. La teologia matrimoniale orientale, ad esempio, mostra come il rito dell’incoronazione abbia un valore teologico fondamentale, quello di essere l’epiclesi o preghiera con cui si chiede al Padre di fare scendere lo Spirito Santo. Su questo aspetto si vedano EUDOKIMOV, P., Il matrimonio, Roma 1967, p. 98; MARTINEZ PEQUÉ, M., El Espíritu Santo y el matrimonio a partir del Vaticano II, Roma 1991. Sulla problematica generale relativa alla determinazione della materia e della forma del sacramento del matrimonio e il superamento di prospettiva effettuato dopo il Concilio Vaticano II si veda ROCCHETTA, C., Il matrimonio come sacramento. «Status quaestionis». Prospettive teologiche, in Ricerche Teologiche 1 (1993), p. 14-21. Con carattere più storico e critico Cfr. GERARDI, R., I problemi della determinazione della struttura ilemorfica e del ministro nel sacramento del matrimonio, in Lateranum 54 (1988), p. 288-368. 245 La formulazione di questo principio è alle volte poco fortunata, poiché viene presentato come l’inseparabilità del contratto e del sacramento. Non si tratta tanto di «inseparabilità» perché questa è una parola che implicitamente fa riferimento a due «elementi» o «realtà» diverse che «devono essere insieme» e non conviene che siano separate. Cfr. BURKE, C., La sacramentalidad del matrimonio. Reflexiones teológicas, in Revista Española de Teología 53 (1993), p. 64. Si tratta invece di capire che ciò che è il matrimonio è anche sacramento, quando i due contraenti sono battezzati. Nel matrimonio sacramento confluiscono la dimensione sociale e quella ecclesiale, di identico modo che nel fedele cristiano convivono inscindibilmente la condizione di cittadino e quella di fedele. La formulazione del principio affermato nel canone 1055 § 2 ha una concreta origine storica, proprio all’inizio della secolarizzazione contemporanea del matrimonio. 105 1) Il matrimonio valido246 celebrato tra un coniuge battezzato e un altro non battezzato, secondo la dottrina comune, non è sacramento. Allo stesso modo che non può essere valido il matrimonio per un solo coniuge e nullo per l’altro – matrimonium non potest claudicare – , neanche esso può essere sacramento per uno e realtà «naturale» per l’altro. Il sacramento è il vincolo coniugale: perciò occorre che tutti e due i termini soggettivi del vincolo siano battezzati affinché esso possa essere «segno» dell’unione di Cristo con la Chiesa. Inoltre, siccome sono loro i ministri del sacramento lo sposo non battezzato non è capacitato, mancandogli il carattere battesimale. Le possibili perplessità dinanzi questo carattere meramente naturale del matrimonio celebrato da un cristiano possono superarsi nel pensare che tale unione coniugale è non solo valida – presupposta la dispensa dell’impedimento di disparità di culto – ma essa partecipa anche del mistero cristiano, data la sua capacità di significare e di attuare (in un modo che appartiene appunto al mistero) l’unione di Cristo e la Chiesa. Il fedele cristiano, quindi, non si vedrà privato della grazia di Cristo e sarà cammino di santificazione del suo coniuge. 2) Nel momento stesso in cui il coniuge non battezzato diviene cristiano attraverso il battesimo, il vincolo diventa specificamente sacramentale. Siccome il fondamento della sacramentalità del matrimonio radica nel battesimo dei coniugi e nell’essere il «grande mistero», proprio nel momento in cui entrambi i coniugi sono battezzati il vincolo diventa ipso facto sacramento della Nuova Alleanza, senza necessità di ripetere il rito. Ciò che è il segno del sacramento, infatti, è lo stesso vincolo coniugale; i ministri sono gli stessi coniugi. 3) Due battezzati non possono celebrare un matrimonio meramente naturale247. Dopo le considerazione fin qui fatte non ci dovrebbero essere problemi per capire perché due battezzati non possono «contrarre un matrimonio meramente naturale», cioè non sacramentale. La ragione principale è che non esiste in realtà questo tipo di matrimonio meramente naturale. Perciò, non si tratta tanto che sia loro vietata la celebrazione di un matrimonio naturale, ma si tratta piuttosto dell’impossibilità ontologica di farlo, poiché ogni matrimonio – nella misura in cui 246 Si presuppone la dispensa dell’impedimento dirimente di disparità di culto (can. 1086), nel caso il battezzato sia cattolico e tenuto ad osservare questa legge ecclesiastica. 247 Per maggiori approfondimenti sull’argomento si veda ORTIZ, M.A., Sacramento y forma..., cit., p. 112-126. 106 di vero matrimonio si parli – è il «grande mistero» ed appartiene all’ordine della grazia e non solo a quello della natura. Un altro problema è la possibilità che due cattolici possano celebrare matrimonio senza rispettare il requisito della forma canonica, poiché tale matrimonio o sarà nullo per difetto di forma248 o valido sia perché i soggetti non sono tenuti alla forma canonica249 sia perché essa è stata dispensata dall’autorità competente250. In ogni caso si rispetta il principio: se il matrimonio tra due battezzati è valido, esso è anche sacramento. Se i nubendi volessero ad ogni modo una unione coniugale sprovvista della sua dimensione sacramentale occorrerebbe poter discernere con maggiore precisione il processo di formazione della volontà matrimoniale. In linea di massima si deve presumere che in questi casi si tratta di ipotesi che non intaccano la validità del matrimonio; tuttavia, se si dimostrasse che in uno o entrambi i nubendi ci fosse un errore sulla dignità sacramentale che determinasse la volontà dei contraenti251 o che uno o entrambi i coniugi avessero escluso la dignità sacramentale252, non ci sarebbe matrimonio valido e, per tanto, neanche il sacramento. In altre parole, la volontà contraria alla sacramentalità non può fare sì che il matrimonio diventi una realtà diversa di quella che ha disegnato il Creatore (e che la Chiesa intende fare quando celebra il sacramento); se tale volontà fosse molto radicata, il risultato non sarebbe una situazione matrimoniale non sacramentale, ma un matrimonio nullo per difetto di consenso. 248 Anzi, alcuni parlano di radicale inesistenza dell’unione matrimoniale civile tra due battezzati, poiché non c’è necessità di chiedere nemmeno la nullità del matrimonio dinanzi un giudice ecclesiastico, ma bastano i normali accertamenti fatti dal parroco o sacerdote per determinare lo stato di libertà dei nubendi. Cfr. Pontifica Commissione per l’interpretazione Autentica del CIC, in AAS 76 (1984), p. 747. 249 Il canone 1117 CIC, infatti, segnala che se uno dei nubendi si è separato dalla Chiesa mediante un atto formale egli non sarà tenuto alla forma canonica. Il matrimonio contratto da lui dinanzi il ministro dello Stato potrebbe essere valido canonicamente, ma come si vede subito, esso sarebbe anche sacramento (nel caso l’altro coniuge fosse battezzato ed ugualmente non tenuto alla forma canonica). 250 La dispensa della forma canonica è, in linea di massima, riservata alla Santa Sede. Cfr. Pontifica Commissione per l’interpretazione Autentica del CIC, in AAS 77 (1985), p. 771. 251 Canone 1099 CIC. Cfr. STANKIEWICZ, A., L'errore di diritto nel consenso matrimoniale e la sua autonomia giuridica, in Periodica 83 (1994), p. 635-668; MARTIN DE AGAR , J.T., El error sobre las propiedades esenciales del matrimonio, in Ius Canonicum 35 (1995), p. 117-141; VILADRICH, P.J., Commento al canone 1099..., in Comentario exegético..., cit., p. 1314-1318. 252 Canone 1101 CIC. Si veda GROCHOLEWSKI, Z., L'esclusione della dignità sacramentale del matrimonio come capo autonomo di nullità matrimoniale, in Monitor Ecclesiasticus 31 (1996), p. 223-240. VILADRICH, P.J., op. ult. cit. 107 3. I diversi livelli di significazione sacramentale. Abbiamo visto in più occasioni come il concetto di «segno nuziale» è il perno su cui si articolano le dimensioni sociale e sacramentale del matrimonio cristiano. La Chiesa non può prescindere dal «segno» sociale: non può, ad esempio, ritenere che una coppia di conviventi costituiscano oggi un autentico matrimonio, quando neanche essi vogliono essere considerati così253. La coniugalità non è un fatto, ma una relazione giuridica creata dal consenso degli sposi, la quale è oggi il «segno» attraverso il quale possono i coniugi «riconoscere» se stessi (perlomeno prima facie) ed essere riconosciuti dalla società e dalla Chiesa. Alle volte questo «segno» può essere articolato – come di fatto è successo per tanti secoli nel mondo antico – e allora anche la Chiesa lo prende in considerazione così come si presenta nella società. L’approfondimento dottrinale – teologico e canonico – del significato sacramentale del matrimonio è stato intimamente legato all’evoluzione storica degli usi nuziali vissuti dai cristiani. Senza conoscere questi usi non è possibile neanche conoscere la normativa canonica che trova in essi il suo fondamento. Noi vorremo accennare due livelli di significazione sacramentale che hanno un diverso contesto culturale e che, pur appartenendo alla Storia, ci consentono però di capire la normativa canonica riguardante la sacramentalità del matrimonio cristiano. A) Il matrimonio rato e consumato, segno perfetto dell’unione di Cristo e della Chiesa. Il canone 1061 § 1 segnala che «il matrimonio valido tra battezzati si dice solamente rato, se non è stato consumato, rato e consumato se i coniugi hanno compiuto tra loro, in modo umano, l’atto per sé idoneo alla generazione della prole, al quale il matrimonio è ordinato per sua natura, e per il quale i coniugi divengono una sola carne». Abbiamo già studiato nella seconda lezione il 253 Una unione meramente civile contratta da due cattolici non è valido matrimonio canonico, ma pottrebbe essere convalidato dalla legittima autorità attraverso l’instituto della sanatio in radice (can. 1161-1165). Ciò, invece, non è oggi possibile nel caso dei conviventi (era stato invece possibile prima del Concilio di Trento, in un diverso contesto culturale). Questa differenza è notevole dal punto di vista pastorale: si legge, infatti, nella FC che «E’ sempre più diffuso il caso di cattolici che, per motivi ideologici e pratici, preferiscono contrarre il solo matrimonio civile, rifiutando o almeno rimandando quello religioso. La loro situazione non può equipararsi senz’altro a quella dei semplici conviventi senza alcun vincolo, in quanto vi si riscontra almeno un certo impegno a un preciso e probabilmente stabile stato di vita, anche se spesso non è estranea a questo passo la prospettiva di un eventuale divorzio» (il corsivo è nostro). 108 fondamento antropologico di questa norma che si riferisce specificamente al matrimonio «tra battezzati»254 vale a dire, al matrimonio cristiano. Non si può capire la normativa canonica255 attuale sul matrimonio rato e non consumato se non si prende sufficientemente in considerazione che nel mondo antico e fin nel Medioevo la celebrazione nuziale era celebrata in due fasi, che talvolta potevano essere distanti molti anni l’una dell’altra. Dopo una prima fase «sponsale» in cui l’uomo e la donna diventavano sponsi,256, attraverso dei riti precisi – dei quali la dexterarum coniunctio o unione delle mani destre con scambio della «fede nuziale» era il principale –, si celebrava la festa nuziale, nella quale tutta la comunità festeggiava il momento dell’incontro coniugale, in cui di solito la donna era portata in processione alla casa dello sposo (domum deductio)257. Mentre il primo patto era piuttosto una unione tra due famiglie, nella quale esse vincolavano due loro membri; nella festa nuziale, invece, si realizzava in modo personale l’unione effettiva degli sposi. Il patto coniugale, così come è oggi capito da noi, non coincideva esattamente con nessuna delle due fasi, ma piuttosto con la seconda: poiché, attraverso l’atto coniugale, gli sposi potevano dimostrarsi vicendevolmente la loro volontà coniugale258. Proprio per ciò, quando c’erano crisi coniugali nel periodo che intercorreva tra le due fasi, si poneva il problema del possibile scioglimento del vincolo che era stato originato negli sponsali. Si adduceva che questa possibilità non urtava il principio dell’indissolubilità del matrimonio dal momento che il segno nuziale non era completo: ciò che è segno dell’unione di Cristo con la Chiesa – si diceva – sarebbe fondamentalmente l’una caro, vale a dire, l’unione che si produce con l’amplesso sessuale. 254 Inconsciamente si tende a pensare che la consumazione coincida con la prima copula coniugale; tuttavia, siccome siamo nell’ambito sacramentale, si dice che abbia tale efficacia «consumativa» solo la prima copula coniugale realizzata quando tutti e due i coniugi sono battezzati. Sicché il matrimonio di due persone, dalle quali una fu per molto tempo non battezzato, può restare quale matrimonio rato e non consumato nel caso in cui, dopo il battesimo, gli sposi non si siano uniti coniugalmente. 255 La normativa canonica relativa al cosiddetto «matrimonio rato e non consumato» prende inizio nel secolo IX, in occasione della dottrina del vescovo di Reims (Incmaro): il matrimonio celebrato tra due persone che non si sono unite «carnalmente» per non incorrere in incesto (nella fattispecie erano o dicevano essere parenti consanguinei), potrebbe essere sciolto perché non sarebbe stato consumato né di conseguenza gli sposi sarebbero potuti diventare «una carne sola». (Come segnala LIGIER, L., Il matrimonio, cit., p. 87-88, la dottrina di Incmaro era nuova, anche se prendeva elementi teologici già esistenti). Tale dottrina ebbe risonanza nel Decreto di Graziano, e fu più tardi superata perché si ritenne più perfetta quella che attribuisce al consenso coniugale la causalità efficiente del vincolo coniugale, senza che per la sua costituzione fosse necessaria la copula coniugale. Ma essa continuò ad essere rilevante appunto agli effetti del rato e non consumato. 256 Essere sponso o sponsa era molto di più che essere fidanzato o promesso sposo. Agli effetti legali essi erano considerati come marito e moglie, vincolati giuridicamente, fino al punto che l’infedeltà coniugale era già ritenuta un adulterio ed andava punita come tale. 257 Questi riti potevano adottare elementi e forme diverse, ma per summa capita le diverse tradizioni nuziali si strutturavano su queste due fasi: si veda l’ottimo studio di DACQUINO, P., Storia del matrimonio cristiano alla luce della Bibbia, Ldc, Torino-Leumann 1984. 258 Su questa problematica si veda CARRERAS, J., Las bodas..., cit., p. 27-66. 109 In questo modo, all’interno del matrimonio cristiano, con fondamento nella diversa significazione sacramentale degli elementi nuziali, si passò a distinguere due gradi di indissolubilità: — Il matrimonio rato (celebrato con il consenso) sarebbe segno dell’unione di Cristo e la Chiesa che si fa per la carità: in modo analogo a come l’anima si unisce con Cristo attraverso la carità, ma può perdere questa unione per mezzo del peccato mortale; così anche gli sposi si uniscono attraverso il consenso, ma la loro unione non è perfetta e si può sciogliere259. — Il matrimonio consumato, invece, sarebbe segno dell’unione di Cristo e la Chiesa attraverso l’incarnazione. Dal momento, infatti, in cui Gesù assunse la natura umana, l’umanità sarà sempre unita alla persona di Gesù in modo che tale unione è indissolubile. Questo sarebbe il grande mistero di cui parla san Paolo nella Lettera agli efesini 5, 32. L’una caro è segno dell’unità di natura per forza della quale Dio è diventato uomo e l’uomo è diventato figlio di Dio. Anche se dietro la terminologia giuridica – «rato», «consumato» – si sviluppò una dottrina teologica, la ragione per cui questa si impose fu di natura pratica. In effetti, nel secolo XII e malgrado avesse avuto il sopravvento la dottrina consensuale della scuola di Parigi – che attribuiva l’efficacia efficiente del vincolo al consenso degli sposi con parole di presente –, la dottrina teologica e canonica sviluppatasi sugli usi nuziali antichi ebbe anche un posto nel Corpus Iuris Canonici. Così, su questa dottrina medievale si stabilì il principio canonico dell’indissolubilità del matrimonio sacramento, che è arrivato fino ai nostri giorni: — «Il matrimonio rato e consumato non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte» (c. 1141 CIC) — «Il matrimonio non consumato fra battezzati o tra una parte battezzata e una non battezzata, per una giusta causa può essere sciolto dal Romano Pontefice, su richiesta di entrambe le parti o di una delle due, anche se l’altra fosse contraria» (c. 1142 CIC). L’ordinamento canonico può accogliere delle norme canoniche che appartengono a momenti storici diversi e che tendono a risolvere problemi pratici. La normativa appena esposta, però, ha un fondamento antropologico e per ciò è di permanente attualità: da un lato, l’atto coniugale non è indifferente nel valutare la qualità della relazione coniugale; dall’altro, la consumazione era un momento importante dal punto di vista sacramentale, anche perché la festa nuziale girava intorno a questo atto (la processione della sposa, la benedizione del talamo, ecc.). Dal momento in cui la festa nuziale si fa girare sulla manifestazione del consenso con parole di presente (il che più tardi verrebbe rafforzato con l’esigenza del requisito della forma canonica) la «consumazione» è un concetto privo del 259 Per esempio, l’incapacità di avere rapporti coniugali (impotenza copulativa) fu per parecchi secoli una causa di scioglimento del vincolo iniziato negli sponsali. Solo dopo il secolo XII essa diventò una causa di nullità del consenso stesso. 110 supporto sociale da cui proveniva. Anzi, per non pochi teologi e canonisti dei nostri giorni, essa sembra essere una conferma del cosiddetto «iuscorporalismo» o «biologismo»260. Tuttavia, chi qualifica «biologista» la copula coniugale con cui l’uomo e la donna si «conoscono» e dicono con il linguaggio del corpo ciò che prima avevano detto nel consenso dimostra di partecipare della visione della sessualità propria della cultura dominante oggi in Occidente, in cui essa difficilmente riesce a varcare la soglia della realtà biologica e sarebbe, perciò, avulsa da un significato interpersonale. B) La significazione cristologica ed ecclesiologica della copula coniugale. Proprio nel contesto culturale dei nostri giorni, in cui la sessualità sembra naufragare tra gli assalti del permissivismo etico e quelli del puritanesimo fino a pochi decenni fa dominante, spicca una spiegazione che attribuisce un valore sacramentale non solo alla prima copula coniugale – quella consumativa –, ma anche ad ogni atto coniugale con cui gli sposi ribadiscono il dono di se stessi. Il paradigma e il modello è sempre l’unione sponsale di Cristo e la Chiesa della quale partecipano gli sposi cristiani attraverso il sacramento del matrimonio. Ma questa partecipazione non si realizza soltanto nella celebrazione del matrimonio – nella quale il dono di sé degli sposi è segno del dono di Cristo alla Chiesa nella sua morte in croce – ma innanzitutto lungo la vita coniugale attraverso tutti gli atti di amore che realizzano gli sposi per mantenere viva ed accrescere la loro unione. Tra questi atti spicca l’atto coniugale, segno sacramentale di grande rilievo cristologico ed ecclesiologico. L’espressione paolina della lettera agli efesini consente di affermare che il sacramento del matrimonio e quello dell’Eucaristia si spiegano e illuminano a vicenda. Cristo è lo Sposo della Chiesa, ad Essa si é dato una volta per sempre morendo sulla croce e questo sacrificio viene rinnovato ogniqualvolta si celebra il sacrificio della Messa. In modo analogo, gli sposi cristiani rinnovano la donazione che fecero il giorno delle loro nozze (patto coniugale) mediante gli atti coniugali. Questi atti racchiudono, dunque, un carattare sacramentale: il matrimonio è sacramento «dum permanens» e, in modo del tutto particolare per gli sposi, anche quando si rinnova il dono di sé realizzato nel patto coniugale. 260 Si è proposto di usare il processo di dispensa di matrimonio rato e non consumato per risolvere molte delle situazione irregolari dei nostri giorni. Si tratterebbe di sostituire il concetto «biologista» medievale per un altro più confacente con la sensibilità moderna, che potrebbe essere denominato «consumazione esistenziale». Questa proposta non ha avuto nessun riscontro nel magistero della Chiesa. Per una critica di questa dottrina puntuale movendo da prospettive cristologiche, antropologiche e giuridiche si può vedere MIRALLES, A., Il matrimonio..., cit., p. 247248. 111 Per ciò non è esagerato affermare che la comunione eucaristica è significata specialmente attraverso gli atti veramente coniugali261; allo stesso tempo, «l’Eucaristia è la fonte stessa del matrimonio cristiano»262. Le precedenti affermazioni non solo confermano quanto è stato detto nel precedente paragrafo sulla significazione cristologica ed ecclesiologica del vincolo coniugale (gli sposi si appartengono vicendevolmente in una nuova identità, che adesso è anche identità cristiana per un nuovo titolo), ma ci consentono di affermare la centralità di ogni copula coniugale nell’insieme della sacramentalità del matrimonio e della famiglia. La copula coniugale, infatti, è l’atto in cui si trovano nell’unità tutte le identità familiari: gli sposi mettono in atto un gesto che non solo esprime il dono di sé, ma necessariamente la sua trascendenza ad un terzo; anzi, l’antropologia teologica insegna come la relazione filiale abbia (deve avere) il suo inizio in questo atto di amore coniugale. Siccome l’atto di cui parliamo è quello in cui gli sposi «manifestano» vicendevolmente la loro relazione (si dicono ciò che sono: coniugi, appunto) tale atto presenta la stessa struttura interna di essa. E allo stesso modo che le relazioni familiari fanno intrinseco riferimento a una terza persona, che si trova al margine della relazione; così, l’atto coniugale presenta una struttura oggettiva263 che è pienamente razionale quando è intesa sotto la luce della famiglia264. 261 MD 26: «Ci troviamo al centro stesso del Mistero pasquale, che rivela fino in fondo l’amore sponsale di Dio. Cristo è lo Sposo perché “ha datto se stesso”: il suo corpo è stato “dato”, il suo sangue è stato “versato” (Cfr. Lc 22, 19-20). In questo modo amò fino alla fine (Gv 13, 1). Il “dono sincero”, contenuto nel sacrificio della Croce, fa risaltare in modo definitivo il senso sponsale dell’amore di Dio. Cristo è lo Sposo della Chiesa come Redentore del mondo. L’Eucaristia è il sacramento della nostra redenzione. È il sacramento dello Sposo, della Sposa. L’Eucaristia rende presente e in modo sacramentale realizza di nuovo l’atto redentore di Cristo, che “crea” la Chiesa suo corpo. Con questo “corpo” Cristo è unito come lo sposo con la sposa. Tutto questo è unito nella Lettera agli Efesini. Nel “grande mistero” di Cristo e della Chiesa viene introdotta la perenne “unità dei due”, costituita sin dal “principio” tra uomo e donna». Grandi teologi a cui sembra essersi inspirato il Santo Padre in queste pagine della sua Lettera pastorale sono Von Balthasar ed Eudokimov. Per maggiori approfondimenti si veda GIULIODORI, C., Intelligenza teologica del maschile e del femminile (problemi e prospettive nella rilettura di von Balthasar e P. Evdokimov),, Roma 1991; HERBST , M.M., The Eucharistic Meaning of Marriage, in Anthropotes 10 (1994), p. 161-177. 262 FC 57. Dove si dice anche: «Il compito di santificazione della famiglia cristiana ha la sua prima radice nel battesimo e la sua massima espressione nell’Eucaristia, alla quale è intimamente legato il matrimonio cristiano. Il Concilio Vaticano II ha voluto richiamare la speciale relazione che esiste tra l’Eucaristia e il matrimonio, chiedendo che questo “in via ordinaria si celebri nella Messa” (LG 34): riscoprire e approfondire tale relazione è del tutto necessario, se si vogliono comprendere e vivere con maggior intensità le grazie e le responsabilità del matrimonio e della famiglia cristiana» 263 Movendo da un’altra prospettiva, il Papa Paolo VI, nell’Enciclica Humanae Vitae, 12 parlava della «connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo». Si sviluppa questa dottrina nella FC 32. 264 LF 12: «Al momento dell’atto coniugale, l’uomo e la donna sono chiamati a confermare in modo responsabile il reciproco dono che hanno fatto di sé nel patto matrimoniale. Ora, la logica del dono di sé all’altro in totalità comporta la potenziale apertura alla procreazione: il matrimonio è chiamato così a realizzarsi ancora più pienamente come famiglia. Certo, il dono reciproco dell’uomo e della donna non ha come fine solo la nascita dei figli, ma è in se stesso mutua comunione di amore e di vita. Sempre deve essere garantita l’intima verità di tale dono. “Intima” non è sinonimo di “soggettiva”. Significa piuttosto essenzialmente coerente con l’oggettiva verità di colui e di colei che si donano. La persona non può mai essere considerata un mezzo per 112 Nell’atto coniugale gli sposi devono avere presente il «bene dei coniugi»265, il quale è intrinsecamente aperto a quello della famiglia. Gli atti che avessero come scopo «manipolazioni ed alterazioni» della sessualità rifiutando quella potenziale apertura dell’atto coniugale alla fertilità sarebbero contrari al «bene dei coniugi»: tali atti incrinerebbero l’amore coniugale e attraverso di essi i coniugi stabilirebbero un linguaggio del corpo oggettivamente contraddittorio alla logica del dono sincero di sé. Il dire che il nocciolo della sacramentalità della famiglia si ritrova nella copula coniugale permette di stabilire meglio il nesso che unisce matrimonio e famiglia; famiglia e Chiesa; famiglia ed Eucaristia. Da questi nessi derivano, come abbiamo visto, le norme pastorali e canoniche riguardanti l’indissolubilità del matrimonio e la prassi di non consentire l’accesso all’Eucaristia a chi si trova in una situazione oggettivamente contraddittoria con quel sacramento. raggiungere uno scopo; mai, soprattutto, un mezzo di “godimento”. Essa è e dev’essere solo il fine di ogni atto. Soltanto allora l’azione corrisponde alla vera dignità della persona». 265 Si veda quanto è stato detto nella lezione 3, riguardo la struttura del vincolo coniugale. La copula matrimoniale deve rispecchiare la stessa struttura.