Eshkol Rafaeli - David Bernstein - Jeffrey Young Schema Therapy FONDAMENTI DI BASE E DIFFERENZA DELLA TERAPIA COGNITIVA Eshkol Rafaeli - David Bernstein - Jeffrey Young Schema Therapy FONDAMENTI DI BASE E DIFFERENZA DELLA TERAPIA COGNITIVA © Istituto di Scienze Cognitive Editore, 2013 ISBN 978-88-97386-05-6 A cura di Dott. Alessandro Carmelita Traduzione Daniela Massarani Progetto grafico e impaginazione Grafimedia comunicazione, Sassari Copertina Carolina Cartabia Stampa LegoDigit s.r.l. - Lavis (TN) Titolo originale “Schema Therapy, Distinctive Features”, © 2011 Eshkol Rafaeli, David P. Bernstein and Jeffrey Young Istituto di Scienze Cognitive Srl Piazzale Segni, 1 07100 Sassari www.istitutodiscienzecognitive.com www.isceditore.it [email protected] Schema Therapy La Schema Therapy coniuga tecniche della Terapia Cognitivo Comportamentale con elementi caratteristici delle terapie interpersonali, esperienziali e psicodinamiche con l’obiettivo di aiutare persone che hanno problemi psicologici di lunga durata, inclusi i disturbi della personalità e la depressione cronica. La Schema Therapy si basa sul presupposto che varie condizioni cognitive negative derivino da esperienze passate e quindi propone modelli che mettono in discussione e modificano i pensieri e i comportamenti disfunzionali con lo scopo di innescare il cambiamento. In questo volume Eshkol Rafaeli, David Bernstein e Jeffrey Young –pionieri della Schema Therapy– rivelano le 30 caratteristiche fondamentali della Schema Therapy e spiegano l’ambito di applicazione di questo approccio nel contesto delle terapie cognitivo comportamentali. Il volume, suddiviso in due sezioni - Aspetti Teorici e Aspetti Pratici - rappresenta un’introduzione per tutti coloro che non conoscono questo approccio terapeutico e nel contempo offre, a coloro che ne hanno già fatto esperienza, una spiegazione degli aspetti che lo differenziano dalle altre terapie cognitivo comportamentali. - Eshkol Rafaeli, psicologo clinico specializzato in Terapia Cognitivo Comportamentale e in Schema Therapy, è professore associato presso la Bar-Ilan University, Israele. - David P. Bernstein è professore associato della facoltà di Psicologia della Maastricht University, Paesi Bassi. - Jeffrey Young è il fondatore e direttore del Cognitive Therapy Center di New York e del Connecticut oltre che dello Schema Therapy Institute di New York. La Terapia Cognitivo Comportamentale (Cognitive Behavior Therapy, CBT) ha un ruolo di rilievo nel processo di avvicinamento alla pratica evidence-based grazie ad una diffusione sempre più frequente in ambito clinico. Tuttavia non esiste un approccio universale alla Terapia Cognitivo Comportamentale e spesso sono i clinici stessi a parlare di una prima, seconda e persino terza ondata di approcci terapeutici che fanno riferimento a questo modello. Questa collana offre delle guide accessibili e chiare alle diverse metodologie della Terapia Cognitivo Comportamentale spiegando le caratteristiche principali di ogni approccio. L’editore della serie Windy Dryden riesce con successo ad avvicinare esperti di ogni singola disciplina per delineare i 30 aspetti principali dell’approccio in oggetto mettendone in luce le caratteristiche tecniche e pratiche. La Collana Aspetti Fondamentali delle Terapie Cognitivo Comportamentali rappresenta una lettura fondamentale per psicoterapeuti, esperti di counselling e psicologi di ogni orientamento che desiderano comprendere più in profondità i nuovi approcci cognitivo comportamentali e seguire l’evoluzione di quelli già esistenti. Altri volumi della serie: - Acceptance and Commitment Therapy by Paul E. Flaxman, J.T. Blackledge and Frank Bond - Beck’s Cognitive Therapy by Frank Wills - Behavioral Activation by Jonathan Kanter, Andrew M. Busch and Laura C. Rusch - Compassion Focused Therapy by Paul Gilbert - Constructivist Psychotherapy by Robert A. Neimeyer - Dialectical Behaviour Therapy by Michaela A. Swales and Heidi L. Heard - Metacognitive Therapy by Peter Fisher and Adrian Wells - Mindfulness-Based Cognitive Therapy by Rebecca Crane - Rational Emotive Behaviour Therapy by Windy Dryden - Schema Therapy by Eshkol Rafaeli, David P. Bernstein and Jeffrey Young Per ulteriori informazioni sulla collana è possibile consultare il sito: www.routledgementalhealth.com/cbt-distinctive-features INDICE Introduzione Pag. 11 Parte 1 Aspetti teorici 1. Bisogni Emotivi Primari 2. Formazione degli schemi maladattivi come reazione ai bisogni non soddisfatti 3. Classificazione degli schemi maladattivi precoci 4. Stili di coping e risposte 5. Stili di coping: la resa 6. Stili di coping: l’evitamento 7. Stili di coping: l’ipercompensazione 8. I mode come stati (la distinzione tra stato e tratto) 9. Il nucleo della patologia: il mode del Bambino Vulnerabile 10. I mode del Bambino Arrabbiato e del Bambino Impulsivo 11. I mode di coping maladattivi 12. I mode del Genitore interiorizzato 13. I mode sani: l’Adulto Sano, il Bambino Felice 14. Reparenting limitato 15. Confronto empatico 15 19 25 33 39 41 45 49 51 55 59 63 67 71 75 Parte 2 Aspetti PRATIci 16. La fase di Assessment: colloquio di anamnesi, questionari per la valutazione degli schemi e automonitoraggio 17. Fase di Assessment: le tecniche immaginative guidate 79 85 18. Fase di Assessment: comportamenti che emergono in seduta e relazione terapeutica 19. Psicoeducazione sul modello degli schemi e dei mode e uso della scheda di concettualizzazione del caso 20. Strumenti pratici 1: le tecniche relazionali 21. Strumenti pratici 2: le tecniche cognitive 22. Strumenti pratici 3: le tecniche focalizzate sulle emozioni 23. Strumenti pratici 4: le tecniche comportamentali di rottura dei pattern 24. Dialoghi tra i mode e tecniche immaginative 25. Aspetti specifici della terapia con i pazienti che presentano un disturbo borderline di personalità 26. Aspetti specifici della terapia con il disturbo narcisistico di personalità e il disturbo antisociale di personalità 27. Aspetti specifici della terapia con le coppie 28. Interazioni tra Schema Therapy per disturbi di Asse II e CBT per disturbi di Asse I 29. La relazione terapeutica: il reparenting limitato 30. Gli schemi del terapeuta 89 93 97 101 107 111 115 119 127 133 139 143 147 Introduzione La Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT) ha sviluppato una forte identità come denominazione generale sotto cui rientrano tutti i trattamenti evidence-based e limitati nel tempo per i disturbi di Asse I. In realtà i diversi modelli Cognitivo Comportamentali cominciano ad assumere una posizione di grande rilievo anche per il trattamento dei disturbi di personalità e per altre problematiche di lungo termine nell’ambito relazionale e emotivo. Uno dei modelli predominanti in questo contesto è la Schema Therapy, introdotta per la prima volta da Young (1990) e di recente elaborata da Young e colleghi (Young, Klosko & Weishaar, 2003). La Schema Therapy è un approccio integrativo che unisce elementi che fanno riferimento alla terapia cognitiva (e, più in generale, alla terapia cognitivo comportamentale), alle teorie dell’attaccamento e delle relazioni oggettuali, alla Gestalt Therapy e alle terapie esperienziali. Questo volume intende presentare le caratteristiche che differenziano la Schema Therapy all’interno del più ampio contesto cognitivo comportamentale. Come spiegheremo nei capitoli iniziali, vi sono numerose differenze specifiche sia teoriche che pratiche, ma ci pare doveroso puntualizzare in questa sede alcune distinzioni più generali. In primo luogo, diversamente dagli approcci cognitivo comportamentali più tradizionali, la Schema Therapy si occupa esplicitamente dello sviluppo (eziologia) dei sintomi attuali e non solo dei fattori che stanno alla base. In secondo luogo, questo approccio pone l’accento sulla relazione paziente-terapeuta e, all’interno della stessa, offre un’esperienza emotiva correttiva e un confronto di tipo empatico. In terzo luogo, la Schema Therapy definisce chiaramente l’obiettivo cui aspira il terapeuta: aiutare i pazienti a comprendere i propri bisogni emotivi primari e apprendere delle modalità per soddisfarli in modo adattivo; questo presuppone la necessità di modificare pattern cognitivi, emotivi, relazionali e comportamentali che esistono da molto tempo. 11 La prima parte di questo volume (capitoli 1-15) mette in luce il modello teorico adottato dagli esperti di Schema Therapy. Questo modello dedica grande attenzione ai bisogni emotivi primari e universali (capitolo 1) e sostiene che gli schemi maladattivi (capitoli 2 e 3) emergono quando questi bisogni non sono soddisfatti. Riconosce inoltre l’esistenza di tre stili di coping maladattivi generali: resa, evitamento e ipercompensazione (presentati nel capitolo 4 e spiegati più dettagliatamente nei capitoli 5-7). Negli ultimi 15 anni l’evoluzione della Schema Therapy ha portato a definire un ulteriore concetto, quello di mode, che è diventato fondamentale nel lavoro terapeutico. Il concetto viene dapprima spiegato in modo generale (capitolo 8) per poi mettere in luce i principali tipi di mode che si incontrano nella pratica clinica (capitoli 9-13). La parte teorica del libro si chiude con una discussione degli interventi terapeutici fondamentali della Schema Therapy: il reparenting limitato e il confronto empatico (capitolo 14-15). Nella seconda metà del libro (capitoli 16-30) gli autori esaminano gli aspetti applicativi della Schema Therapy, partendo, come la terapia stessa, dalla fase di assessment (capitoli 16-18) per arrivare alla concettualizzazione del caso che viene presentata al paziente e che fornisce la guida per lo svolgimento della terapia (capitolo 19). Si passa poi ad una revisione dei quattro strumenti fondamentali di cui il terapeuta dispone, ovvero tecniche relazionali, cognitive, comportamentali e basate sulle emozioni (capitoli 20-23), e alla presentazione di indicazioni specifiche per il lavoro con i mode (capitolo 24). I capitoli successivi (25-27) analizzano l’uso della Schema Therapy con particolari gruppi di pazienti (soggetti con personalità borderline, narcisistica e antisociale, ma anche per le coppie che si trovano ad affrontare problematiche relazionali). Il capitolo 28 si concentra sull’interazione tra Schema Therapy (per patologie di lungo corso) e altre tecniche cognitivo comportamentali e evidence-based (per disturbi o sintomi più acuti relativi all’Asse I). Il capitolo 29 ritorna sul concetto di reparenting limitato, analizzandolo da un punto di vista pratico. Il capitolo 30 mette in luce come durante la terapia sia fondamentale tenere in considerazione gli schemi e gli stili di coping del terapeuta stesso, dato che durante il trattamento entrano in contatto con i bisogni, gli schemi, gli stili di coping e i mode del paziente. L’ultimo capitolo sottolinea un’ulteriore caratteristica che differenzia la Schema Therapy, in particolare se messa a confronto con altri approcci per la cura dei disturbi di personalità o per problemi relazionali di lunga durata: la Schema Therapy si caratterizza come un approccio umano ed empatico che mostra una profonda comprensione per il paziente. Il presupposto fondamentale è che ognuno di noi ha bisogni, schemi, stili di coping e mode, ma nei pazienti che si rivolgono ad un terapeuta, questi aspetti sono più evidenti e meno flessibili. 12 PARTE 1 ASPETTI TEORICI 1 Bisogni Emotivi Primari La Schema Therapy parte dal riconoscimento di una serie di bisogni emotivi universali, tra cui i bisogni di sicurezza, stabilità, accudimento e accettazione, di autonomia, competenza e senso di identità, di sentirsi liberi di esprimere i propri bisogni e le proprie emozioni, di spontaneità e di gioco e, infine, di vivere in un mondo con limiti realistici che favoriscano lo sviluppo dell’autocontrollo. Ogni persona ha dei bisogni emotivi e, in particolare, siamo convinti che ognuno di noi abbia proprio questi bisogni specifici. Tuttavia, le persone possono distinguersi per la forza con cui sentono questi particolari bisogni – alcuni, a causa del proprio temperamento, avvertono in modo più deciso il bisogno di spontaneità ed espressione creativa, altri potrebbero invece essere particolarmente predisposti a ricercare l’accudimento. Ma a prescindere da queste differenze individuali esiste un’universalità secondo cui fondamentalmente ognuno di noi ha, almeno in parte, tutti questi bisogni. I bisogni emotivi esistono sin dalla prima infanzia e la maggior parte di essi raggiunge il proprio apice proprio in questo periodo. Ad esempio, il bisogno di sicurezza e stabilità, che in realtà dura tutta la vita, ha implicazioni più profonde quando il soggetto è più vulnerabile o impotente. La salute dal punto di vista psicologico è la capacità di riuscire a soddisfare i propri bisogni in modo adattivo. L’obiettivo principale dello sviluppo infantile consiste nel riuscire a soddisfare i bisogni primari del bambino; il compito principale di una genitorialità o di un’educazione efficace è aiutare il bambino a soddisfare tali bisogni, mentre lo scopo principale della Schema Therapy è quello di aiutare il paziente adulto a soddisfare i propri bisogni, anche quando questi bisogni non sono stati soddisfatti nel passato. Oltre a questi bisogni universali, la Schema Therapy riconosce l’esistenza di bisogni che emergono nell’età adulta (ad esempio, il bisogno di lavorare e di interessarsi agli altri). Anche questi bisogni sono importanti per la salute psicologica, sebbene solitamente non rappresentino gli aspetti centrali della terapia. Di fatto è possibile ipotizzare che quando i bisogni emotivi primari (e precoci) sono 15 soddisfatti in maniera adeguata, il paziente è in grado di gestire in modo positivo anche l’emergere di ulteriori bisogni. La Schema Therapy affonda le sue radici nella Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT) (questo aspetto già evidenziato nell’introduzione, verrà comunque ripreso nel capitolo 28), ma quest’ultima solitamente non prende in considerazione i bisogni primari. Qualora qualche bisogno venga evocato durante la terapia cognitiva, accade sempre in modo specifico quando il paziente o il terapeuta li identificano. Alcuni approcci cognitivo comportamentali in realtà negano l’importanza dei bisogni primari, raggruppandoli nella categoria dei costrutti rigidi che è meglio evitare. Questo è un aspetto che differenzia la Schema Therapy da altri approcci cognitivo comportamentali e rappresenta un buon esempio di come questo modello riesca ad integrare punti di vista utili che fanno riferimento ad altri orientamenti (in questo caso gli approcci basati sulle emozioni, le teorie dell’attaccamento e quelle dinamiche). In realtà, i bisogni sono stati al centro delle prime teorie cliniche (ad esempio, la teoria del controllo/scelta: Glasser, 1969; la gerarchia dei bisogni: Maslow, 1962) e cominciano ad ottenere una certa attenzione nelle ricerche più recenti relative alla psicologia della personalità, e a quella sociale e dello sviluppo (ad esempio il bisogno di appartenenza di Baumeister e Leary (1995) o il lavoro più ampio della teoria dell’autodeterminazione sui bisogni universali di autonomia, competenza, e relazione (Deci & Ryan, 2000)). I bisogni, specialmente quelli di accudimento, calore e sicurezza, ricoprono un ruolo fondamentale anche nella teoria dell’attaccamento. Negli ultimi cinquant’anni questo modello teorico ha rappresentato un approccio fondamentale allo studio dello sviluppo umano, a partire dalle sorprendenti osservazioni di John Bowlby, secondo cui i fenomeni osservati dagli etologi (come Lorenz e Harlow) hanno implicazioni dirette per lo sviluppo infantile e più in generale per quello sociale ed emotivo degli esseri umani. Come dimostrato da decenni di ricerche su uomini e primati, un attaccamento sicuro nella prima infanzia rappresenta un aspetto fondamentale per molti processi adattivi che avverranno successivamente: con una “base sicura” il bambino è in grado di sviluppare curiosità ed esplorazione, la capacità di auto consolarsi e regolarsi e infine la capacità di formare relazioni intime. La teoria e la ricerca sull’attaccamento rappresentano una fonte di grande influenza per la Schema Therapy. I concetti formulati da Bowlby e Ainsworth (ma anche quelle di altri autori della British Object Relations School1, in particolare di 1 16 Scuola Britannica delle Relazioni Oggettuali n.d.T Margaret Mahler e Donald Winnicot) sono una delle tre colonne portanti su cui si fonda la Schema Therapy e quella che spiega in modo più chiaro il concetto di bisogno. (Le altre due colonne portanti di cui parleremo successivamente sono la terapia cognitivo comportamentale e gli approcci esperienziali e basati sulle emozioni). Alcuni degli approcci teorici che considerano in modo più esaustivo il concetto di bisogni (tra cui anche il modello gerarchico di Maslow e la teoria dell’attaccamento) conferiscono ad alcuni bisogni uno stato privilegiato – considerandoli come bisogni di base. Ad esempio, la teoria dell’attaccamento sostiene che la mancata soddisfazione del bisogno di sicurezza impedirà la soddisfazione futura di altri bisogni. La Schema Therapy evita di individuare una possibile “gerarchia” o un gradiente di importanza dei bisogni ma, al contrario, considera tutti i bisogni primari come essenziali e universali, specialmente nella vita degli adulti. Infine un ultimo aspetto relativo ai bisogni come elemento caratterizzante della Schema Therapy: educare il paziente a comprendere i bisogni in generale e in particolare quelli non soddisfatti (ma anche quelli soddisfatti) può costituire di per sé un intervento terapeutico molto profondo. Comprendere (come accade a molti nostri pazienti) che è normale avere dei bisogni - e che questo non significa essere egoisti - e sapere che l’obiettivo della terapia è di aiutarli a soddisfare questi bisogni, offre un nuovo sguardo privo di giudizi sul passato e una nuova prospettiva più ottimistica per il futuro. 17 2 Formazione degli schemi maladattivi come reazione ai bisogni non soddisfatti Il concetto che dà il nome alla Schema Therapy è ovviamente quello di schema, parola di origine greca (σχημα) che si riferisce ad una struttura o contesto organizzativo che aiuta a creare ordine in un insieme complesso di stimoli o esperienze. Il concetto di schema ha una lunga storia in diversi ambiti, tra cui la filosofia, l’informatica, la teoria degli insiemi e la pedagogia, giusto per citarne alcuni. In psicologia questo costrutto ha fatto la sua comparsa in ambito cognitivo/evolutivo per poi farsi strada nell’ambito della terapia cognitiva (Beck, 1972). Nella ricerca in ambito cognitivo evolutivo, il concetto di schema si riferisce a dei pattern che vengono sovrapposti alla realtà o all’esperienza vissuta per aiutare il soggetto a spiegarla, a mediarne la percezione e a guidarne le risposte. Uno schema è una rappresentazione astratta delle caratteristiche specifiche di un evento, una sorta di sintesi dei suoi elementi più salienti. Nell’ambito della psicologia cognitiva, uno schema può anche essere inteso come un piano cognitivo astratto che serve da guida per l’interpretazione delle informazioni e la risoluzione dei problemi. Questo significa che una persona potrebbe avere uno schema per la comprensione di una frase o uno schema culturale per interpretare un mito. Il termine “schema” in psicologia è comunemente associato a Piaget (1955, ad esempio), che spiegò in modo dettagliato l’esistenza degli schemi nelle diverse fasi dello sviluppo cognitivo del bambino, e a Bartlett (1932) che è stato il primo ad utilizzare questo termine e a dimostrare il ruolo degli schemi nell’apprendimento di nuove informazioni e nel recupero dei ricordi. Spostandosi dalla psicologia cognitiva alla terapia cognitiva, Beck parla di schemi nei suoi primi scritti (1972, ad esempio). In realtà, l’idea che nella vita di ognuno di noi esistano degli schemi, o dei principi organizzativi superiori, che agiscono da guida per dare senso alla realtà in cui viviamo, si ritrova in molti approcci terapeutici di stampo cognitivo o di altra derivazione. Molti teorici sono d’accordo nel sostenere che gli schemi si formano nella fase iniziale della vita, ma continuano ad essere elaborati e creati per tutto il corso dell’esistenza. Un 19 altro aspetto comune a molti approcci è l’idea che gli schemi, che magari hanno contribuito a spiegare in modo preciso delle esperienze precoci, vengano chiamati in causa anche in situazioni della vita adulta in cui in realtà non dovrebbero essere applicati. Questo è esattamente l’ipotesi formulata dagli psicologi cognitivi e dello sviluppo: gli schemi agirebbero in modo da mantenere un senso di coerenza cognitiva. In realtà gli schemi agiscono come scorciatoie che ci portano rapidamente verso ciò che pensiamo che probabilmente sia vero e ci consentono così di evitare di elaborare attentamente ogni evento che ci troviamo di fronte. In alcuni casi, gli schemi sono piuttosto efficaci nell’aiutarci ad ottenere una comprensione abbastanza adeguata della situazione, mentre in altri casi, sono in grado di offrire solo un quadro affrettato, impreciso e distorto. In entrambi i casi ci aiutano a mantenere un’immagine stabile di noi stessi e del nostro mondo, a prescindere dal fatto che questa immagine sia esatta o inesatta, adattiva o non adattiva. Ad una prima analisi, stabilità e prevedibilità sembrano essere caratteristiche positive e, di fatto, in alcuni casi lo sono. È stata individuata una tipologia di schemi – gli script mentali – che ci aiutano ad anticipare come ogni fase di un processo (ad esempio, la portata principale di un pasto) viene dopo un’altra (ad esempio, gli antipasti) permettendo al soggetto di gestire il fatto di trovarsi in un posto completamente nuovo (ad esempio un ristorante sconosciuto, anche uno in un paese straniero di cui non conosciamo la lingua) senza sentirsi disorientato. Anche in quei casi in cui gli schemi non sono completamente precisi, non devono necessariamente essere problematici. Ad esempio, esiste un’altra tipologia di schemi – denominati stereotipi di gruppo – che permette alle persone di provare rispetto verso una persona appena conosciuta o di presupporre che abbia capacità sorprendenti esclusivamente sulla base della sua razza, sesso, nazione di origine, ecc. Tuttavia, alcuni schemi – specialmente quelli acquisiti in seguito a esperienze infantili negative e correlati al sé e al mondo interpersonale – possono avere effetti negativi. Sono proprio gli schemi di questo tipo, che denominiamo schemi maladattivi precoci, l’obiettivo principale della Schema Therapy: essi sono alla base dei disturbi di personalità, delle difficoltà relazionali e di alcune patologie di Asse I. Young, Klosko and Weishaar (2003) hanno fornito la seguente definizione generale di uno schema maladattivo precoce: · un concetto o modello generale e pervasivo; · formato da ricordi, emozioni, cognizioni e sensazioni somatiche; · relativo a sé stessi o alle proprie relazioni con gli altri; 20 · formatosi durante l’infanzia o l’adolescenza; · elaborato durante tutto il corso della vita; · significativamente disfunzionale In altre parole, gli schemi maladattivi precoci sono modelli emotivi e cognitivi controproducenti che insorgono in una fase evolutiva precoce e si perpetuano per tutto il corso della vita. Secondo questa definizione, il comportamento di una persona non fa parte dello schema stesso, piuttosto si ritiene che i comportamenti maladattivi si sviluppino come reazioni logiche ad uno schema: i comportamenti sono guidati dagli schemi, ma non fanno parte degli schemi stessi. Molti comportamenti rispecchiano il modo in cui gestiamo gli schemi – e ne parleremo più approfonditamente quando parleremo degli stili di coping nei capitoli che vanno dal 4 al 7. Gli schemi maladattivi precoci (a cui d’ora in poi faremo riferimento semplicemente come schemi) emergono in seguito ad esperienze precoci negative – situazioni in cui i bisogni fondamentali di un bambino non sono assolutamente stati soddisfatti. La maggior parte dei bisogni fondamentali (ad esempio il bisogno di un attaccamento sicuro e stabile o il bisogno di accudimento) sono soddisfatti prevalentemente all’interno del nucleo famigliare del bambino. Per questo motivo solitamente sono proprio i problemi che insorgono all’interno della famiglia ad essere la causa principale degli schemi maladattivi precoci. Gli schemi che si sviluppano più precocemente e che sono più prossimi al nucleo fondamentale della persona solitamente hanno origine nel nucleo famigliare. In un certo senso le dinamiche che avvengono nella famiglia rappresento per il bambino la totalità delle dinamiche che avvengono nella prima infanzia. Quando i pazienti si ritrovano nella vita adulta in situazioni che attivano gli schemi maladattivi precoci, solitamente è come se rivivessero una situazione problematica emersa nell’infanzia con uno dei due genitori. Man mano che il bambino cresce ci sono altri ambiti sociali che diventano importanti, ad esempio il gruppo dei pari, la famiglia estesa, la scuola, i gruppi della comunità locale e il contesto culturale in cui la persona vive. Anche le esperienze negative in questi ambiti – ovvero quelle esperienze in cui i bisogni emotivi fondamentali non vengono soddisfatti – possono portare alla formazione degli schemi. Tuttavia, gli schemi che si formano in questo caso non sono così pervasivi o potenti come quelli che insorgono nelle prime fasi dello sviluppo all’interno del nucleo famigliare. Questo può essere dovuto alla natura dei bisogni fondamentali che il bambino esprime in famiglia, oppure alla durata maggiore del contatto tra il bambino e la famiglia d’origine (rispetto ai contatti con il gruppo dei pari, la scuola o il vicinato). 21 Abbiamo osservato quattro tipologie di esperienze precoci che facilitano l’origine degli schemi. La prima è la frustrazione dei bisogni che si verifica quando il bambino sperimenta “troppo poco di cose buone” e sviluppa degli schemi che rispecchiano le carenze vissute precocemente nell’ambiente di vita. Nel contesto di vita del bambino manca qualcosa di importante come la stabilità, la comprensione o l’amore e tale mancanza diventa una presenza permanente nella mente del bambino. Una seconda tipologia di esperienze precoci associata agli schemi è il trauma. In questo caso il bambino è soggetto a violenza e sviluppa degli schemi che rispecchiano la presenza del pericolo, del dolore o della minaccia. Il bisogno emotivo primario di sicurezza non è soddisfatto, al contrario viene direttamente messo in discussione causando spesso la formazione di schemi caratterizzati da sfiducia, ipervigilanza, ansia e impotenza. Una terza tipologia di esperienze presuppone che il bambino sperimenti invece “troppo di cose buone”, ovvero i genitori offrono al bambino in maniera eccessiva delle esperienze che in misura adeguata sarebbero positive. Con schemi di questo tipo il bambino non è quasi mai maltrattato ma al contrario viene viziato e assecondato in continuazione. I bisogni fondamentali di autonomia e scoperta dei limiti realistici non vengono soddisfatti, di conseguenza i genitori potrebbero essere eccessivamente coinvolti nella vita del bambino, proteggerlo esageratamente o dare al bambino un grado di libertà e autonomia eccessive e prive di limiti. Il quarto tipo di esperienza che può essere alla base dell’insorgenza degli schemi è l’interiorizzazione o l’identificazione selettiva con altri significativi. Il bambino si identifica in modo selettivo con i pensieri, le emozioni, le esperienze e i comportamenti di un adulto con cui ha un rapporto preferenziale (solitamente uno dei genitori) e poi li interiorizza. Questo processo può essere compreso anche sotto forma di modellamento - ovvero i genitori o altri adulti significativi offrono al bambino un modello di come stare al mondo. Alcune di queste identificazioni e interiorizzazioni possono diventare schemi quando l’apprendimento non riesce a soddisfare i bisogni emotivi primari del bambino che osserva l’adulto. Ad esempio, una bambina cresciuta da una madre eccessivamente ansiosa e ipercontrollante potrebbe non sperimentare direttamente alcuna carenza, trauma o elemento di eccessiva accondiscendenza ma impara che il mondo è pericoloso e non gestibile. In modo indiretto viene privata di una base sicura, non a causa di un legame debole tra genitore e figlio ma poiché la madre stessa è estremamente insicura. Vi sono poi altri fattori, oltre alle esperienze precoci, che possono avere un ruolo importante nella formazione degli schemi. Tra questi, il temperamen22 to emotivo del bambino e il contesto culturale in cui vive la famiglia. In ultima analisi gli schemi emergono dall’interazione del temperamento del bambino con il suo ambiente formativo. Tra le diverse fragilità dovute al temperamento si riscontrano un’elaborazione carente o distorta delle informazioni, una cattiva regolazione delle emozioni o comportamenti interpersonali non efficaci. Gli schemi possono emergere anche in soggetti che non presentano fragilità del temperamento qualora entrino in contatto con un ambiente famigliare particolarmente negativo o con circostanze esistenziali molto dure; tuttavia nel caso di temperamenti particolarmente fragili, anche un minimo influsso dell’ambiente può avere effetti devastanti. Gli schemi creano un senso di coerenza cognitiva rendendo la realtà più prevedibile (se non addirittura controllabile) e, dato che le persone desiderano una tale prevedibilità, gli schemi possono essere molto duraturi: in un certo senso potremmo affermare che gli schemi lottano per sopravvivere. I nostri schemi rappresentano ciò che conosciamo della realtà e anche se ci creano sofferenza, lo fanno in un modo che conosciamo e che ci rassicura: per questo motivo ci sembrano assolutamente “corretti”. Da un punto di vista cognitivo gli schemi spostano la nostra attenzione su informazioni che sono in linea con lo schema stesso e fanno in modo che i nostri ricordi si inseriscano perfettamente nello schema. Dal punto di vista comportamentale ci portano ad essere attirati da certi eventi familiari. Questi processi cognitivi e comportamentali sono alla base del mantenimento degli schemi ovvero della loro capacità di ancorarsi saldamente alla nostra sensibilità, di influenzare ciò che pensiamo e sentiamo, il nostro modo di agire e di relazionarci agli altri; paradossalmente ci portano involontariamente a ricreare nella nostra vita adulta le condizioni che si sono verificate nell’infanzia e che si sono dimostrate causa di grande sofferenza. Gli schemi hanno radici nelle esperienze vissute nell’infanzia e nell’adolescenza e rispecchiano accuratamente l’atmosfera dell’ambiente primario in cui è vissuto il soggetto. Ad esempio, se un paziente racconta di essere cresciuto in una famiglia fredda e anaffettiva, solitamente ci sta raccontando qualcosa di vero, anche se probabilmente non riesce a comprendere perché i genitori avessero delle difficoltà a mostrare affetto o ad esprimere i sentimenti. Le supposizioni del paziente relative al comportamento dei genitori possono anche essere sbagliate, ma la sensazione di base relativa al clima emotivo e a come è stato trattato è quasi sempre corretta. Un aspetto da sottolineare è che l’ambiente in cui il bambino o l’adolescente vive le sue esperienze precoci solitamente è un contesto che il bambino non è in grado di influenzare; non è il bambino a creare quel particolare clima emotivo, ma ne subisce gli effetti dato che i suoi bisogni non trovano soddisfazione. 23 Nella vita adulta gli schemi diventano disfunzionali perché a) dal punto di vista cognitivo ed emotivo rendono potenzialmente dannose (anche quando in realtà non lo sono) tutte le situazioni nuove, anche quelle che sono profondamente diverse dalle esperienze precoci negative, e b) dal punto di vista comportamentale e interpersonale portano il soggetto a mantenere particolari tipologie di ambienti o relazioni anche quando sarebbero in grado di effettuare scelte diverse e vivere altri tipi di esperienze. Gli schemi precoci maladattivi e le modalità non adattive con cui i pazienti li affrontano spesso nascondono sintomi cronici sull’Asse I quali ansia, depressione, abuso di sostanze e disturbi psicosomatici. Talvolta possono anche essere alla base di sintomi cronici sull’Asse II quali dipendenza, evitamento, ricerca di attenzione e perfezionismo. Gli schemi sono tratti cognitivo affettivi e come tali sono multidimensionali: ogni dimensione si situa lungo un continuum di gravità e pervasività. Tanto più lo schema è grave, tanto più facilmente si attiva e tanto più intense sono le conseguenze che provoca. Ad esempio, se un soggetto è stato vittima di un abbandono grave e precoce o di continue esperienze invalidanti messe in atto da entrambi i genitori, gli schemi di Abbandono e Deprivazione Emotiva verranno probabilmente attivati in molte situazioni. Di conseguenza, sarà portato a pensare di venire rifiutato in molte occasioni, percepirà la possibilità di essere rifiutato anche quando non vi sono elementi comprovanti e reagirà intensamente a qualsiasi rifiuto a causa dello stress pervasivo e duraturo che gli crea. Al contrario se un soggetto ha sperimentato esperienze invalidanti relativamente minori che sono accadute in fasi successive dell’infanzia, sono state meno intense o messe in atto da un solo genitore o da alcuni (ma non tutti) i pari, gli schemi relativi saranno attivati meno facilmente e causeranno reazioni più moderate. Di conseguenza, solo eventi fortemente rilevanti (ad esempio le critiche o la mancanza di rispetto dimostrata da persone molto richiedenti dello stesso sesso del genitore invalidante) potranno attivare gli schemi. 24