«Cristo mediatore e pienezza dell`intera rivelazione» (DV 2)

Treviso, 20 ottobre 2011
Incontro del Prado
«Cristo mediatore e pienezza dell’intera rivelazione» (DV 2)
La ‘revisione di vita’ secondo lo stile di Gesù
Introduzione
1. La revisione di vita del pastore nell’orizzonte della coscienza storica del cristianesimo;
2. La revisione di vita come ad uno ‘stare sotto’ il primato della Parola, ovvero sotto la guida dello Spirito
Santo che parla nelle Scritture, norma normans non normata;
3. L’evento cristologico come rivelazione: per una fenomenologia di Gesù a procedere dalla Scrittura.
1. L’autocomunicazione ospitale: lo stile di Dio che si rivela nella santità relazionale di Gesù
DV 2 (passim): Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua
volontà (cf. Ef. 1, 9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito santo hanno
accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura (cf., Ef. 2, 18; 2 Pt. 1, 4). Con questa rivelazione infatti
Dio invisibile cf. Col 1, 15; 1 Tim. 1, 17) nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici (cf. Es. 33, 11;
Gv. 15, 14-15) e si intrattiene con essi (cf. Bar. 3, 38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sè. Questa
economia della rivelazione avviene con eventi e parole intimamente connessi tra loro, in modo che le opere,
compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle
parole, e le parole dichiarano le opere e chiariscono il mistero in esse contenuto. La profonda verità, poi, su Dio e
sulla salvezza degli uomini, per mezzo di questa rivelazione risplende a noi nel Cristo, il quale è insieme il
mediatore e la pienezza di tutta la rivelazione.
1.1. L’evento dell’autorivelazione di Dio come storia per mezzo di Cristo: accesso alla comunione trinitaria
e pienezza dell’umano (l’«umanizzazione» dell’uomo in Cristo);
1.2. l’«economia» della rivelazione: la storia umana ‘letta’ con gli occhi del Dio-che-salva;
1.3. Gestis verbisque: l’assoluta concordanza tra agire e parola in Gesù come stile evangelico che provoca
ed interpella la vita del presbitero, chiamato a ripresentare esistenzialmente la carità di Cristo buon
pastore;
2. L ’umano assunto dal Padre nel Figlio per mezzo dello Spirito
GS 22 (passim): In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. […] Con
l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con
mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è
fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato. […] Soffrendo per noi non solo ci ha dato
l'esempio perché seguiamo le sue orme, ma ci ha anche aperta la strada; mentre noi la percorriamo, la vita e la
morte vengono santificate e acquistano nuovo significato. […]. Il cristiano certamente è assillato dalla necessità e
dal dovere di combattere contro il male attraverso molte tribolazioni, e di subire la morte; ma associato al
mistero pasquale e assimilato alla morte di Cristo, andrà incontro alla risurrezione confortato dalla speranza. E
ciò non vale solamente per i cristiani ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora
invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una
sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel
modo che Dio conosce, col mistero pasquale. *…+. Per Cristo e in Cristo riceve luce quell'enigma del dolore e della
morte, che al di fuori del suo vangelo ci opprime. Cristo è risorto, distruggendo la morte con la sua morte, e ci ha
donato la vita, affinché, figli nel Figlio, esclamiamo nello Spirito: Abba, Padre!
2.1. Il mistero dell’uomo trova piena luce nel mistero di Cristo: la correlazione costitutiva nell’antropologia
cristiana (l’antropologia fondamentale implicata nella cristologia);
2.2. La Chiesa come sacramento dell’umanità pienamente realizzata;
2.3. Lo stile testimoniale (ecclesiale) del presbitero come cifra della sua credibilità esistenziale.
1
Treviso, 20 ottobre 2011
Incontro del Prado
«Cristo mediatore e pienezza dell’intera rivelazione» (DV 2)
La ‘revisione di vita’ secondo lo stile di Gesù
Introduzione
Attraverso lo spazio di questa breve comunicazione mi è stato chiesto di introdurre il tema della
revisione di vita del pastore collocandolo sullo sfondo della riscoperta conciliare del primato della
parola di Dio, sancito da Dei Verbum e ribadito dall’esortazione apostolica Verbum Domini (cfr. VD 6).
Cerco di dare un contributo in questa direzione tentando di presentare una possibile interpretazione
della cristologia fondamentale contenuta in Dei Verbum 2 [EV 1/873+ e dell’antropologia
fondamentale di Gaudium et Spes 22 [EV 1/1385].
Ho usato il termine «riscoperta» del primato della Parola, perché di fatto Dei Verbum ha sancito la
fine di una lunga stagione nella storia della Chiesa e della teologia caratterizzato dal
«controversismo», cioè dalla contrapposizione tra due fonti della rivelazione (Scrittura e
Tradizione)1. Il superamento è stato realizzato grazie all’assunzione della prospettiva unitaria (la
rivelazione come unica fonte) nell’orizzonte di un unico principio teologale: l’azione dello Spirito
Santo, inviato dal Crocifisso risorto, mediatore definitivo e pienezza della rivelazione. La Bibbia è
l’espressione della fede ecclesiale nella rivelazione attestata nelle Scritture. Sottolineo la centralità
di questo principio perché quando parliamo di ‘sguardo contemplativo’ del discepolo di Cristo che
riconosce il primato di Dio che si rivela nella storia e parla in ogni kairòs della storia dobbiamo
sempre aggiungere: sotto l’azione e la guida dello Spirito Santo. Ritroviamo questa dinamica in
un’icona biblica molto bella: il dialogo tra il diacono Filippo e l’eunuco della regina di Candace che
legge senza capire il libro del profeta Isaia (cfr. At 8,26-40). Filippo è inviato dallo Spirito Santo (At
8,29) per guidare nella lettura un pagano che legge la Scrittura: Udito che leggeva il profeta Isaia, gli
disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Egli rispose: «E come potrei capire, se nessuno mi guida?»
(At 8,30-31). A me pare che questa scena ci aiuti a comprendere che non possiamo interpretare la
storia e comprendere le Scritture senza la guida dello Spirito e della testimonianza ecclesiale2.
Per approfondire questo principio teologale propongo di accostare due testi conciliari (DV 2 e GS
22) che mettono bene in luce questa consapevolezza riscoperta da parte della Chiesa, cioè la
consapevolezza che è lo Spirito Santo ad introdurci nella comprensione del mistero pasquale
attestato nelle Scritture, mistero che dischiude all’uomo il senso ultimo della sua stessa esistenza.
Propongo questa rilettura nel contesto dell’apertura del 50° anniversario dell’apertura del Concilio
Vaticano II (1962-1965) e nel solco tracciato dopo il Sinodo sulla Parola di Dio con l’esortazione
apostolica Verbum Domini. Si potrebbe pensare allo strumento della ‘revisione di vita’ come ad uno
‘stare sotto’ la Parola di Dio, norma normans non normata: la fedeltà alla Parola come criterio di
discernimento (cfr. Verbum Domini 78-80) e di verifica o revisione della propria vita. Revisione di vita
1
Cfr. M. EPIS, Il rilievo sistematico del primato della Scrittura, in ATI, Teologia dalla Scrittura. Attestazione e
interpretazioni, Glossa, Milano 2011, 47-73.
2
«Non si può dimenticare che la stessa Scrittura è storicamente l’espressione della originaria coscienza ecclesiale del
mistero, e per questo norma non normata; certo, espressione e quindi mediazione imprescindibile, ma non identificabile
con il mistero stesso, sebbene la Scrittura debba essere riconosciuta come ispirata da Dio, il quale mediante quella
raccolta di testi ha voluto comunicare la verità necessaria alla nostra salvezza (G. CANOBBIO, La Scrittura anima della
teologia, in Quaderni teologici del Seminario di Brescia, Morcelliana, Brescia 2008, 131). Per l’esposizione del principio
cristologico, pneumatologico ed ecclesiologico dell’ermeneutica biblica cfr. R. MAIOLINI, «Il credente legge ed interpreta la
Scrittura nella fede della Chiesa» (EB, 1468). Una questione teologico-fondamentale prima che ermeneutica, in ivi, 77105.
2
come reinterpretazione continua della propria vita alla luce della Parola, che è Cristo, accolta sotto la
guida dello Spirito Santo e come modo per rimanere nel dialogo d’amore con Cristo3.
A questo punto possiamo precisare, almeno in via introduttiva, in che senso va intesa
l’affermazione secondo la quale la coscienza del cristianesimo è storica. Non lo è certamente in
senso astratto e nemmeno in senso ideologico. Non è ‘storica’ perché riconosciamo la storicità dei
vangeli, ma perché la storia è figura della libertà interpellata dalla Pasqua. Il rilievo della storia nel
cristianesimo va inteso in chiave teologale: Dio è capace di relazionarsi con l’altro da sé (l’uomo)
assumendo questa relazione come condizione della sua manifestazione. La figura di questa
relazione è la libertà, cioè l’atto di affidamento: la fede è l’atto grazie al quale ad-viene la rivelazione,
al punto che «la rivelazione non esisterebbe senza l’atto che la riceve»4, cioè senza l’atto
dell’affidamento e credente. Decisivo diventa perciò scoprire quale tipo di relazione (quale storicità,
quale volto di Dio) emerge dalla rivelazione al punto da interpellare la libertà e la fede dell’uomo.
Certamente la spiritualità diocesana elaborata da A. Chevrier presenta un’attenzione al versante
cristologico, elaborando una spiritualità dell’incarnazione del Verbo, cioè uno sguardo attento al
Gesù dei Vangeli. Ma quale volto di Dio emerge dalle narrazioni evangeliche? Diciamo subito: il volto
di una santità finalmente accessibile, accostabile, diversamente dalla santità rituale e cultuale
omaggiata nel tempio di Gerusalemme. Gesù si è fatto prossimo a tutti, rivelando il volto umano di
Dio, «umanizzando» il volto di Dio. In questo senso parliamo di una ‘rivelazione ospitale’, cioè di un
evento capace di ospitare (nel senso di: assumere) l’umano come figura dell’autocomunicazione di
Dio. In termini patristici si tratta di pensare la rivelazione cristologica nel quadro dell’antropologia
cristiana: «la gloria di Dio è l’uomo vivente» (Ireneo).
A livello metodologico, il tentativo proposto con queste brevi note corrisponde ad una precisa
interpretazione del rapporto tra Scrittura e teologia: propongo di fare una lettura teologica del testo
per fare teologia a partire dalla Scrittura ed in ascolto della Scrittura. Non una teologia della Parola o
della storia, ma una teologia dalla Parola. Più precisamente dalla Scrittura, che è la Parola attestata.
1. L’autocomunicazione ospitale: lo stile di Dio che si rivela nella santità relazionale di Gesù
DV 2 (passim): Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e far conoscere il
mistero della sua volontà (cf. Ef. 1, 9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo
fatto carne, nello Spirito santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina
natura (cf., Ef. 2, 18; 2 Pt. 1, 4). Con questa rivelazione infatti Dio invisibile cf. Col 1, 15; 1 Tim.
1, 17) nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici (cf. Es. 33, 11; Gv. 15, 14-15) e
si intrattiene con essi (cf. Bar. 3, 38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sè. Questa
economia della rivelazione avviene con eventi e parole intimamente connessi tra loro, in
modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la
dottrina e le realtà significate dalle parole, e le parole dichiarano le opere e chiariscono il
mistero in esse contenuto. La profonda verità, poi, su Dio e sulla salvezza degli uomini, per
mezzo di questa rivelazione risplende a noi nel Cristo, il quale è insieme il mediatore e la
pienezza di tutta la rivelazione.
Il primo elemento da evidenziare di questo testo è l’assoluta gratuità (plaquit Deo) dell’iniziativa
di Dio. L’evento dell’autocomunicazione di Dio Padre mediante il Figlio nello Spirito Santo consente
all’uomo di accedere alla misura costitutiva della sua umanità (essere posto nella relazione
trinitaria). In Cristo l’uomo ha finalmente accesso alla sua originaria identità di figlio grazie alla
capacità da parte di Dio di ‘ospitare l’umano’.
3
4
cfr. DIOCESI DI TREVISO, Mi ami tu più di costoro? Regola di vita del presbitero diocesano, San Liberale, Treviso 2008, 4.
CHR. THEOBALD, La rivelazione, EDB, Bologna 2009, 53.
3
Questa «economia» della rivelazione trova singolare esecuzione nella figura storica di Gesù,
ovvero nella sua umanità, che diventa la mediazione fondamentale di questo accesso. L’umanità di
Gesù è caratterizzata dall’assoluta concordanza tra la sua parola ed il suo agire. Gestis verbisque è
una formula che può essere interpretata come cifra dello stile evangelico di Gesù. Uno stile di
evangelizzazione (Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo:
Mc 1,15), che contempla l’incontro personale, riconoscendo la libertà adesione di fede come
condizione necessaria per il manifestarsi della grazia (Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te
come desideri: Mt 15,28)5. Nel dibattito teologico recente questa attenzione all’umanità di Gesù è
sollecitata dall’approccio narrativo ai testi biblici6. La santità propria di Gesù è una santità ospitale,
relazionale ed escatologico-messianica7.
È una santità ospitale, perché Gesù attraverso l’incontro personale istituisce la possibilità di una
relazione nuova con Dio, capace di ospitare ed accogliere la pluralità degli stili di vita (Gesù incontra
chiunque: pescatori, farisei, pubblicani, indemoniati, prostitute, adultere), scendendo in dialogo ed
invitando alla conversione (cfr. Mt 21,31).
È santità relazionale, nel senso che Gesù, mantenendo nascosta la propria identità messianica,
posticipa la questione della sua identità a favore dell’incontro personale con lui (Mt 7,24-30).
È una santità messianico-escatologica perché realizza un singolare gioco di relazioni, in cui Gesù
persevera nel suo atteggiamento ospitale fino a lasciarsi catturare, processare ed uccidere: come
«agnello senza macchia» (Ap 14,5) e «uomo dei dolori», «pecora muta di fronte ai suoi tosatori» (Is
53,7).
Questi brevi e rapidi cenni allo stile di Gesù provocano ed interpellano la vita del presbitero,
chiamato a ripresentare esistenzialmente, attraverso la sua concreta umanità, la carità di Cristo
servo sofferente e buon pastore. Gesù inaugura lo stile pastorale, cioè l’attenzione al soggetto nella
sua storicità, all’originario essere in situazione di ogni persona, che pertanto va accolta con grande
rispetto e discrezione8.
2. L ’umano assunto dal Padre nel Figlio per mezzo dello Spirito
GS 22 (passim): In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero
dell'uomo. […] Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo. Ha
lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha
amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in
tutto simile a noi fuorché nel peccato. […] Soffrendo per noi non solo ci ha dato l'esempio
perché seguiamo le sue orme, ma ci ha anche aperta la strada; mentre noi la percorriamo, la
vita e la morte vengono santificate e acquistano nuovo significato. […]. Il cristiano certamente
è assillato dalla necessità e dal dovere di combattere contro il male attraverso molte
tribolazioni, e di subire la morte; ma associato al mistero pasquale e assimilato alla morte di
Cristo, andrà incontro alla risurrezione confortato dalla speranza. E ciò non vale solamente
per i cristiani ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora
invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è
5
Cfr. E. BIANCHI, Educare alla fede come Gesù. Uno sguardo alla pedagogia evangelica, «La Rivista del Clero italiano»
11 (2010) 740-750. Un’esposizione del profilo teorico della fenomenologia di Gesù in chiave stilistica è rintracciabile in
S. DIDONÈ, L’interpretazione stilistica del cristianesimo nel pensiero di Christoph Theobald. Una proposta teologica, «Studia
Patavina» 57 (2010) 887-902. Il testo sintetizza la ricerca svolta in ID., L’interpretazione stilistica dell’identità cristiana. Il
contributo di Christoph Theobald nel dibattito teologico-fondamentale contemporaneo, Tesi di licenza discussa presso la
Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale il 10 giugno 2009 *testo non pubblicato].
6
Cfr. le cristologie di J. MOINGT, Dio che viene all’uomo, Queriniana, Brescia 2006 e di CHR. THEOBALD, Il cristianesimo
come stile. Un modo di fare teologia nella postmodernità, 1-2, EDB, Bologna 2009.
7
Cfr. CHR. THEOBALD, Il cristianesimo come stile, 1, 36-90.
8
L’incarnazione di questo stile è esemplarmente riconoscibile nel modo di «vivere Nazaret» da parte di Charles de
Foucauld (1858-1916): cfr. P. SEQUERI, Charles de Foucauld. Il Vangelo viene da Nazaret, Vita e Pensiero, Milano 2010.
4
effettivamente una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito santo dia a tutti
la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale. *…+. Per
Cristo e in Cristo riceve luce quell'enigma del dolore e della morte, che al di fuori del suo
vangelo ci opprime. Cristo è risorto, distruggendo la morte con la sua morte, e ci ha donato la
vita, affinché, figli nel Figlio, esclamiamo nello Spirito: Abba, Padre!
La recezione di questo testo nel dibattito teologico è stata approfondita in relazione alla nuova
antropologia teologica nata in seguito al superamento dell’impostazione scolastica dei due piani
(natura e soprannaturale) e si rivela molto feconda. Il testo enuncia un principio fondamentale per
l’antropologia cristiana, da sempre presente nella tradizione patristica: il mistero dell’uomo trova
piena luce nel mistero di Cristo, perché Cristo è il compimento e l’attuazione definitiva (escatologica)
della libertà dell’uomo e della corrispettiva apertura alla ricerca di senso e di verità. La suggestiva
descrizione del mistero della condiscendenza divina (Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in
certo modo a ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con
volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo) richiama il mistero dell’admirabile commercium e la
cristologia di s. Bernardo e di M. Blondel: quod sciebat ab aeterno per diviniate, aliter didicit
experimento per carnem9. Gesù ha imparato il mestiere di vivere da uomo, fino a scendere
nell’abisso dello svuotamento della morte, per rivelare all’uomo la sua originaria vocazione alla
comunione con il Padre.
L’espressione caro cardo salutis esprime non semplicemente una celebrazione dell’umano in
alternativa al divino, ma l’assunzione dell’umano da parte di Dio: l’antropologia fondamentale
implicata nella cristologia rinvia alla correlazione costitutiva nell’antropologia cristiana tra la figura
storica, libera e definitiva del mistero di Dio rivelato in Gesù e la figura storica di ogni libertà
chiamata a realizzarsi come dono10. Un dono pasquale, cioè un dono possibile solo per la grazia dello
Spirito comunicata dal Crocifisso risorto.
Di questo mistero la Chiesa custodisce la testimonianza affidabile ed il convegno di Verona
(Testimoni di Gesù risorto speranza del mondo - 2006) ha ribadito questa direttrice testimoniale. In
particolare, lo stile testimoniale (ecclesiale) del presbitero è la cifra della sua credibilità esistenziale.
Egli è chiamato, insieme con tutta la Chiesa, a rispondere alla sfida della generazione dell’uomo
nuovo, che è l’uomo pasquale, l’uomo e la donna della risurrezione. Questo è lo specifico della
speranza cristiana.
Conclusione
Quando si parla del Concilio Vaticano II capita ancora di sentire praticata la distinzione tra
l’evento e i documenti, che apre la strada alla distinzione tra lo spirito del Concilio e la lettera dei
suoi testi. In questa distinzione viene affermato che il primo supera i secondi. Se si adotta questo
modo di pensare si resta in uno schema di pensiero separante e di contrapposizione. Vi invito invece
a rileggere i testi nella consapevolezza che lo spirito agisce non oltre, ma nella lettera. Se ci poniamo
in ascolto di questi testi possiamo riscoprire la forza delle intuizioni del Concilio. Attraverso queste
note ho cercato di collocare la pratica del ministero del prete diocesano nell’orizzonte evangelico del
discepolo chiamato ad amare chiunque con cuore di pastore.
d. Stefano Didonè
9
S. BERNARDO DI CHIARAVALLE, De gradibus humilitatis et superbiae, III, 6.10.12, citato in C. THEOBALD, Il cristianesimo
come stile, 225.
10
3
Cfr. F. G. BRAMBILLA, Antropologia teologica. Chi è l’uomo perché te ne curi?, Queriniana, Brescia 2009 , 121.
5