Un uomo vale per quello che è Il confine luogo di

10 la Settimana
speciale
domenica 27 luglio 2014
LXVIII Festa del Teatro a San Miniato
Il confine luogo di incontro e di scoperta positiva
Successo dell’opera “Finis Terrae”
Testo di Gianni Clementi e regia di Antonio Calenda
Ormai dal lontano
1946 la piazza di San
Miniato - con quel colore sanguigno, intenso e
vivo della facciata della
Cattedrale e dei palazzi fa da cornice alle rappresentazioni del Dramma
Popolare di San Miniato.
Una iniziativa culturale
questa di grande spessore, sia per il tenore delle
opere messe in cartello in
questi anni, sia per la bravura di registi ed artisti
di primo piano incaricati
delle rappresentazioni.
Quest’anno si è registrata una novità nel
calendario: si è deciso di
non ricorrere ad un’opera di repertorio, ma si è
voluto mettere in scena
una
rappresentazione
che avesse un legame
forte con l’attualità. Per
questo - in un tempo
piuttosto breve - è stato realizzato, grazie alla
maturità artistica ed alla
perizia letteraria dell’autore, Gianni Clementi, un
testo teatrale costruito e
voluto proprio per questa
edizione dal titolo “Finis
Terrae” .
Si è voluto portare
in scena il quotidiano
dramma degli sbarchi di
profughi in Sicilia. Ecco
Un uomo vale
per quello che è
“Finis terrae” affronta con un’angolatura originale il fatto degli sbarchi a Lampedusa e lo delinea come l’incontro scontro tra due mentalità e
due civiltà differenti, quella italiana ed europea e
quella africana.
Sul sito web ufficiale della Fondazione Istituto
Dramma Popolare di San Miniato viene così descritta la logica della scelta teatrale di “Finis terrae”: «Si tratta di un apologo sulla povertà, sul destino degli ultimi della terra, perseguitati, forzati alla migrazione sulle nostre coste,
dove troveranno però una
realtà corrotta dalla superficialità e dalla cultura del
benessere e del consumo.
Una realtà in cui un
uomo vale per quanto possiede e non per ciò che è,
e dove nella dilagante indifferenza e nella costante
insoddisfazione sta andando perduto il senso della
responsabilità e della compassione.
In questo gorgo buio
del nostro presente indaga
Finis Terrae, intrecciando –
com’è dono della scrittura
di Clementi e come vuole la
concezione di Calenda – accesa denuncia e leggerezza
dei toni, echi danteschi a
profili di personaggi che ci
appaiono vivi, potenti nella loro verità.
Antonio Calenda sceglie la drammaturgia di un
autore contemporaneo di notevole interesse e – nei ruoli dei protagonisti – due interpreti di comprovato talento e in profonda sintonia come Nicola Pistoia e Paolo
Triestino, per affrontare, fra onirismo e lancinante verità, temi contemporanei.
Ciò assumendo il teatro a luogo che da sempre trova
il suo senso più profondo nella rappresentazione delle
ingiustizie epocali, nella riflessione sulle oscurità e sui
contrasti del mondo: ed il mondo attuale ci chiama con
urgenza – basti pensare alle recenti parole e ai molti richiami di Papa Francesco – a prendere coscienza della
situazione dei diversi, degli ultimi che chiedono riabilitazione e dignità umana. Argomenti estremi e delicati
che lo spettacolo saprà toccare attraverso il senso d’ironia e una malinconia esistenziale alta e placata».
Nella foto il Regista Antonio Calenda
che così il teatro si è fatto
in questo caso interprete
di una realtà con la quale ci incontriamo tutti i
giorni.
Noi conosciamo il fenomeno attraverso i giornali e i notiziari televisivi
e ci sentiamo impotenti
di fronte a questa massa
di persone che cercano
libertà e dignità in viaggi dove ignobili figure di
scafisti sfruttano questo
desiderio per avere denaro e pongono di fatto
a repentaglio della vita
centinaia di persone. Uomini, donne e bambini
periscono ogni giorno
perché i viaggi sono fatti su carrette del mare o
su gommoni; uomini e
donne sono stipati in tutti i modi su questi mezzi
inaffidabili.
Ecco che tra l’Europa
e i paesi del nord
Africa o del Medio Oriente si avverte la esistenza
di un confine: finisce la terra ed
inizia il mare; si
scopre qualcosa
che divide realtà
umane molto diverse e per questo
le sensazioni che
si registrano sono
molto differenti. Ecco appunto
“Finis terrae!”.
Don
Piero
Ciardella, Direttore artistico del
Dramma popolare, ha sottolineato in molti
modi durante la
presentazione dell’opera
alla stampa, il significato proprio di ogni confine che delimita sì realtà
diverse ma che può diventare - oltre il limite
della contrapposizione
e dell’esclusione - anche
il luogo più opportuno
del dialogo e dell’integrazione. Sul confine così
si confrontano mentalità
differenti. Ecco allora che
il confine stesso diviene
concreta opportunità.
Per spiegare la scelta di San Miniato di
quest’anno Don Ciardella ha richiamato sia il
dramma che si compie
ogni giorno, sia i forti richiami di Papa Francesco
che ha risvegliato dall’indifferenza e dal torpore
un’attenzione alla tragedia e all’ingiustizia che
si rinnova tutti i giorni
sulle coste di Lampedusa
e di altre sponde del Mediterraneo.
A sua volta l’autore
dell’opera ha impostato questo fatto con uno
schema per certi versi
nuovo ed atipico. Non si
è concentrato sulla nuda
cronaca dei fatti ma ha
posto in evidenza il formidabile contrasto che si
può scoprire tra la nostra
civiltà e quella che si affaccia alla riva dolorosa
degli sbarchi.
Due personaggi, due
contrabbandieri – uno
romano ed uno siciliano – aprono il discorso e
si rivelano con i loro discorsi come gli esponenti
di una società che vive o
sopravvive alla difficoltà
di ogni giorno con mezzi i più vari, senza alcun
senso di colpa e senza
scrupoli.
Nel sottofondo si avverte che questi sono portatori – un po’ sempliciotti – dei grandi valori del
cristianesimo così come
è vissuto qui. Il fatto è
ambientato nella notte di
Natale. Il pubblico ride
delle battute in romanesco e in siciliano, ma sottilmente l’autore delinea
con fantasia ed un dialogo vivace una fisionomia
che identifica qualcosa di
più grande dei personaggi: la nostra società attenta al consumo, al vivere
alla giornata, senza grandi sentimenti. In questo
quadro
volutamente
vuoto di vera coscienza e di autentici valori,
irrompe con una forza
traumatizzante il fatto
dell’approdo sulla spiaggia dove è ambientata la
scena, di un gruppo di
africani profughi in fuga
dalla loro terra. Questi
piano piano raccontando, piangendo, danzando e cantando, mostrano
la loro storia, il tragico
cammino di ingiustizia al
quale sono stati forzati.
Dal loro pianto, dalle melodie dei loro strumenti
si coglie una ricchezza di
umanità che affascina ed
interroga.
A questo punto siamo
consapevoli del valore di
queste popolazioni e della loro civiltà?
Già accogliere le persone come tali, con quella
loro identità che apre al
riconoscimento reciproco
è qualcosa di grande. Siamo nella notte di Natale;
si attende la nascita del
Bambinello.
La fede cristiana si libera dagli schemi di una
tradizione appassita e rivive con la sua potenza
risanatrice proprio nel
momento in cui tra persone ci si riconosce, ci si
stima e ci si ama. Quando il confine non è più
divisione, ma incontro;
quando la diversità non
genera paura o sospetto,
ma riconoscimento della
sacralità della persona e
la gioia di scoprire una
bellezza che non si poteva immaginare.
Continui applausi a
scena aperta in omaggio
all’opera magistralmente
condotta dal regista Antonio Calenda sul testo
di Gianni Clementi. Bravi gli artisti e suggestiva
la scenografia. Merito
non indifferente per la
riuscita delle spettacolo
è da assegnare al gruppo
di attori africani. Hanno
fatto capire molte cose
con il canto, la musica e
la danza.
Bruno Cappato