atene e gerusalemme

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ATENE E GERUSALEMME
PENSIERO ANTICO E PALEOCRISTIANO

Direttore
Giuseppe G
Università Vita–Salute San Raffaele di Milano
Comitato scientifico
Werner B
Ludwig–Maximilians–Universität München
Elisabetta C
Università di Cagliari
Maurizio M
Università di Macerata
Roberto R
Università Cattolica di Milano
Comitato redazionale
Vito L
Università Vita–Salute San Raffaele di Milano
ATENE E GERUSALEMME
PENSIERO ANTICO E PALEOCRISTIANO
La civiltà europea occidentale è nata dall’incontro e dalla fusione
di due sorgenti originariamente distinte, la cultura ellenica e
la cultura ebraica, con le rispettive punte di diamante, ossia la
filosofia greca e la religione biblica. L’avvento di Gesù Cristo,
presentato nei Vangeli contemporaneamente come il Lógos
dei Greci che si è fatto uomo e il Messia degli Ebrei che ha
compiuto le profezie, segnò il momento culmine dell’incontro
delle due civiltà in una nuova prospettiva. Il Cristianesimo delle
origini, nelle grandi figure dei Padri della Chiesa ha svolto il
compito di fondere insieme le due diverse radici in una nuova
sintesi, facendo in modo tale che l’uomo occidentale senta
ormai di appartenere contemporaneamente ad “Atene” e a
“Gerusalemme”.
Edoardo Dallari
Il pòlemos dell’ordine
Platone e Agostino: èros e libido dominandi
Presentazione di
Giuseppe Girgenti
Copyright © MMXV
ARACNE editrice int.le S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Quarto Negroni, 
 Ariccia (RM)
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: febbraio 
Ai miei genitori,
ai quali devo tutto
Indice

Presentazione
di Giuseppe Girgenti

Introduzione

Capitolo I
Sulla teologia politica nel mondo antico
.. Eraclito e il pòlemos,  – .. Pòlis e pòlemos,  – .. Libido
dominandi e Verità,  – .. Il progetto platonico,  – .. Dalla
Grecia a Roma,  – .. Varrone e Cicerone: tra tradizione e
rinnovamento,  – .. Augusto e la rivoluzione cristiana,  –
.. Agostino: la critica della civiltà romana, .

Capitolo II
Metafisica del Bene e politica dell’unità
.. L’ente platonico,  – .. La linea della conoscenza,  –
.. Il mito della caverna,  – .. Èros,  – .. Il Dio platonico: il
Bene,  – .. La città giusta: dall’anima alla pòlis,  – .. Èros
filosofo ed Èros tiranno,  – .. Il paradigma in cielo, .

Capitolo III
Ontologia trinitaria e provvidenza nella storia
.. Agostino platonico,  – .. Deus–Trinitas,  – .. Il dono
d’amore,  – .. Civitas caritatis,  – .. Pace e storia,  –
.. Caritas impossibile, .

Bibliografia

Presentazione
di G G
Questo saggio di Edoardo Dallari è nato come tesi di laurea
triennale, discussa nel settembre  presso la Facoltà di Filosofia dell’Università “Vita–Salute San Raffaele” di Milano, sotto
la mia direzione e con la controrelazione di Francesco Valagussa; è stata valutata con il massimo dei voti e la lode, ed ora,
per i suoi indubbi meriti, viene pubblicata a buona ragione in
questa collana “Atene e Gerusalemme”, ove la parte di Atene
è soprattutto di Platone e la parte di Gerusalemme — della
Gerusalemme celeste — è soprattutto di Agostino.
Il tema del pòlemos nella ricerca di un possibile ordinamento
giusto della pòlis è certamente uno dei gangli vitali attorno
a cui si è sviluppata la riflessione filosofico–politica sin dagli
albori della Grecità, e il riferimento a Eraclito è d’obbligo;
tuttavia, l’originalità del contributo di Edoardo Dallari sta nel
gettare un ponte tra la “teologia politica” greca, che trova il suo
compimento più potente nella Politeia di Platone, e la “teologia
politica” cristiana, a partire dall’annuncio evangelico del Regno
fino alla definitiva sintesi agostiniana della Civitas Dei, che è al
contempo il più perfetto compendio del tramonto del mondo
greco–latino e dell’aurora del cristianesimo medievale.
Teologia significa, per noi, riflessione sulla pensabilità ontologica
del Principio assoluto, sull’archè degli enti, e quindi pròte philosophìa:
per questo motivo protologia henologica platonica e teologia della
Rivelazione agostiniana rientrano nello stesso orizzonte di senso,
seppur la filosofia si pensi come discorso scientifico, e quindi come
parola su Dio, di contro alla teologia strettamente intesa, che implica
un’esegesi interpretativa di un testo rivelato, il quale possiede una


Presentazione
valenza religiosa e di fede, e che di conseguenza si presenta come
parola di Dio su cui il pensiero umano discorre (cit. intro, ).
Per tenere insieme filosofia e politica, cioè per dare un ordine possibilmente giusto all’umana convivenza segnata irrimediabilmente dal conflitto, l’esito è necessariamente tragico
e teologico; tragico, perché l’agathòn che solo può fondare la
dikaiosýne della città è strutturalmente sottratto alla possibilità umana di un’adeguata ripresentazione; teologico, perché il
medesimo “Bene” (o “Buono”), a partire da Platone va a sostituire definitivamente ogni rappresentazione antropomorfica
del divino e della sua necessaria, eppure sfuggente, parousìa nel
mondano.
Per questa ragione, la ricerca del Bene, chiaramente in Platone — ma si potrebbe retrodatare la riflessione ad Esiodo —,
deve fare i conti con l’èros, forza psichica (dèmone, dio esso
stesso?) che spinge il singolo al possesso del Bene tramite la
sua manifestazione fisica nel kalòs, e forza ontologica nel suo
essere il kallìstos syndesmòs, il più bello dei legami, per stare
all’espressione platonica del Timeo.
L’oggetto d’amore è kalòs kai agathòs, è beatitudo, eudaimonìa, non
l’amante, che è sempre mancante di ciò cui anela. Èros non è né
bello né buono, non è né sapiente né ignorante: non è “scienziato”,
ma è un metaxù tra il sapere e la parvenza, allo stesso modo in cui
si dà l’orthè doxa. È un demone, non un dio, ma partecipa dell’immortalità degli dèi, tanto quanto fa esperienza della morte umana:
egli è il legame, il syndesmòs che tiene unito il tutto, grazie a cui
l’uomo può tentare di assimilarsi al divino, tentare di avvicinarsi nel
sapere noetico al nòesis noèseos, il pensiero di pensiero. L’amore è
mediazione relazionante, ha la potenza di ermeneùein, interpretare: è
energia che spinge alla concettualizzazione dell’ente (cit. ,).
Dallari si muove con competenza tra Platone e Agostino,
nella convinzione — bene argomentata — che la Repubblica
platonica funga da idea regolativa della “città terrena”, vivendo nella quale il pellegrino potrà giungere alla “città di Dio”.
Qui viene posto in essere il collegamento tra l’idea platonica
Presentazione

dell’èros týrannos, fondamento psicologico della tirannide, nella
penetrante analisi sviluppata nel libro IX della Repubblica, e la
nozione agostiniana di libido dominandi, variante concretissima
dell’amor sui che, a partire dal libro XIV della Civitas Dei, sarà
identificato con il fondamento psicologico della città terrena.
Ma che cos’è l’èros týrannos per Platone, e che cosa è la libido
dominandi per Agostino?
Per rispondere alla prima domanda — come giustamente
nota Dallari nel cap. ,– — occorre tenere presente che in
Platone l’èros si dice in molti modi, almeno tanti quanti sono
i discorsi sull’amore nel Simposio, e in questa sede ci interessa soprattutto la relazione tra l’èros philòsophos, insegnato da
Diotima al giovane Socrate, e l’èros týrannos della Repubblica.
In termini generali, la differenza tra le due forme di amore
può essere ricondotta alla relazione tra la parte più elevata della
psychè — il logikòn — e la sua parte passionale più istintuale
— l’epithymìa; quando l’anima razionale, alleata con il thymòs,
riesce a dominare gli impulsi dell’anima concupiscibile, indirizzandoli armoniosamente verso una tensione al Bello vissuta
con sophrosýne, allora èros sarà filosofo, e sarà in grado di condurre l’anima attraverso i vari gradini ascendenti della climax
erotica fino alla visione folgorante del Bello in sé — termine
della scala d’amore nel Simposio, idea immacolata che sta su un
piedistallo insieme alla temperanza nel Fedro; se, al contrario,
la parte istintuale — anche in questo caso alleata della parte
irascibile — prende il sopravvento, costringendo la ragione a
“giustificare” ogni eccesso di desiderio e di azione conseguente,
allora èros sarà týrannos, dapprima nella sfrenatezza dei sogni,
e infine anche nella veglia; e, da sveglio, il giovane tiranno
non avrà più alcuno scrupolo né alcun freno a mettere in atto
ogni turpe passione che prima praticava solo in sogno; se poi,
per malaugurata sorte, il giovane tiranno prenderà nei fatti il
potere, allora non potrà che proiettare fuori di sé, nella pòlis
ormai degenerata in tirannide, tutto il suo disordine morale.
Da questo punto di vista, è abbastanza chiaro che quando Platone parla di una “città interiore”, ordinata o disordinata che sia,

Presentazione
fa riferimento a questo, vale a dire al rapporto equilibrato o
squilibrato tra la ragione e le passioni.
Gerhard Krüger, in un fortunato saggio sul Simposio (Einsicht
und Leidenschaft. Das Wesen des platonischen Denkens) ha individuato proprio nel rapporto tra ragione e passione l’essenza del
pensiero platonico, riletto dal punto di vista gnoseologico ed
assiologico; possiamo aggiungere che questo rapporto di per
sé conflittuale — pòlemos interiore, lotta con se stesso — diventa anche l’essenza del pensiero “politico” platonico, se è vero
che l’èros philosophòs sta a fondamento della possibile, e non
utopica, città ideale retta dai filosofi, così come l’èros týrannos
sta a fondamento dell’ultima e peggiore degenerazione delle
costituzioni storiche della Grecia, secondo l’ordine ricostruito
da Platone nel libro VIII della Repubblica.
Un accenno al duplice èros, uno volgare e uno celeste, compare
nel Simposio già nel discorso di Pausania, per spiegare la duplicità
di Afrodite: il mito esiodeo di parla di un’Afrodite Urania — figlia
del Cielo, e priva di madre — verso cui si indirizza l’amore celeste (che da Pausania, nel suo sofistico tentativo di giustificazione
dell’omofilia ateniese, identifica con l’amore esclusivamente maschile), e che sta alla base dell’ordinamento “democraticamente”
buono della pòlis; e poi c’è anche un’Afrodite Pandemia — figlia
di Zeus e di Dione, quindi più giovane e nata da un padre e da
una madre — verso cui si indirizza ogni amore terreno volto alla
riproduzione e quindi alla costituzione della famiglia; è chiaro che
nel discorso di Pausania l’aspetto teologico è ridotto a puro orpello mitologico funzionale al suo discorso sofistico–politico sulle
concrete leggi delle singole poleis riguardanti i rapporti d’amore
nelle loro molteplici forme, ma è altrettanto evidente che nell’intelaiatura del dialogo platonico la duplice direzione dell’èros
— terrestre o celeste — viene ripresa per articolare la metàbasis eis àllo gènos, cioè il passaggio a un’ulteriorità soprasomatica,
ovvero dalla paidogonìa dell’amore somatico alla paiderastìa rettamente intesa dell’amore psichico, che nella Repubblica si compie
altresì come possibile passaggio, in un’auspicabile metabolé, dalla
tirannide reale alla città ideale.
Presentazione

In questo modo, abbiamo anche posto le basi per rispondere
alla seconda domanda, cioè che cosa intende Agostino per libido dominandi; l’etimo dell’espressione ci parla sia di libido, cioè
di pulsione sessuale, sia di dominio, cioè di volontà di potenza;
non è qui il caso di sostenere che Freud o Jung abbiano tenuto
presente necessariamente Agostino (per Platone non è neanche
il caso di dubitarne) nella loro analisi della psiche e dei suoi
impulsi primari, ma è certo che la trasposizione dell’èros týrannos alla libido (ovvero all’amor sui) e dell’èros philòsophos alla
caritas (ovvero all’amor Dei) è più che argomentata; tanto più
che la storia della degenerazione delle costituzioni greche dalla
aristocrazia — passando per la timocrazia, per l’oligarchia, per
la democrazia — fino alla tirannide, viene analogicamente recuperata da Agostino per illustrare la storia di Roma, fin dalla sua
fondazione da parte di Romolo, che attraversa fasi molto simili:
il regno, la repubblica retta originariamente da sentimenti di onore e gloria e poi corrottasi in desiderio di potere e di ricchezze,
fino all’impero, che Agostino interpreta come la più compiuta
delle tirannide, quantomeno fino all’epoca di Diocleziano. Nel
mio contributo su Atene e Gerusalemme ho cercato di mostrare
che l’esegesi allegorica che Filone di Alessandria propose delle
figure bibliche di Caino e Abele, il primo philautòs, amante di
sé e inviso a Dio, il secondo philotheòs, amante di Dio e a Lui
caro, è stata certamente la base su cui Agostino ha lavorato, sia
per riproporre il tema del fratricidio originario, sia per spiegare
che la prima città (Roma o Ninive che sia) viene fondata dal
fratricida, quindi nella violenza del sangue che grida vendetta.
Ecco quindi l’idea agostiniana di libido dominandi: Roma viene
fondata dopo un fratricidio e in seguito, per espandersi sia geograficamente sia biologicamente, ha strutturalmente bisogno
di ulteriori violenze, di cui il ratto delle Sabine rappresenta il
paradigma più significativo.
Ma se la volontà di potenza è la più radicale negazione
della caritas, in un certo senso, in quanto sua contraffazione
negativa, è pur sempre qualcosa ad essa somigliantissima e
contrario, così come per Platone il filosofo e il tiranno stanno

Presentazione
agli antipodi nella scala umana, eppure si attraggono fatalmente,
perché mirano allo stesso eìdos, iconicamente percepito dal
filosofo, cioè come immagine aperta e legata al suo modello
celeste, idolicamente frainteso dal tiranno, che nell’idolatria
di sé smarrisce qualsiasi riferimento a un modello ulteriore.
Eppure, secondo Agostino, quel modello ulteriore sopravvive
— anzi vive — proprio negli abissi della città terrena, incarnato
da tutte quelle figure bibliche che hanno in Abele il prototipo e
in Cristo il compimento.
In questo senso la Città di Dio è sia il platonico “paradigma
in Cielo” della città ideale da tenere presente come modello
del miglioramento sempre perfettibile della città terrena, ma è
anche sparsa concretamente sulla terra, essendo incarnata da
quei “cittadini del Cielo” che però abitano temporalmente sulla
terra, e che sono legati insieme da quella caritas, contropotenza
della libido dominandi.
L’uomo è stato sì creato di volontà buona, ma connaturale alla sua
sàrx è la libido: l’ira è la libidine del vendicarsi, l’avarizia è la libidine
di possedere ricchezze, la caparbietà è la libido di vincere a tutti i
costi, l’ostentazione di vantarsi. Sommo èros tiranno è la libido dominandi, fonte della tirannia politica espressione della schiavitù della
delectatio nell’uomo. La possibilità della civitas Dei nel saeculum è
data dalla capacità di ordinare il pòlemos tra libido e volontà, seguendo
il rectum iter aperto dall’esercizio delle virtù. La virtus è ordo amoris, la capacità di decidere nell’amore per l’amore del prossimo: le
virtù cardinali (saggezza, coraggio, temperanza e giustizia), di cui
Platone è il pensatore, si inverano in fede, speranza e carità, le virtù
teologali. La prassi realizzata nelle virtù teologali fonda la civitas
Dei, in cui l’atteggiamento di umile devozione e obbedienza è il
riconoscimento del dono di grazia in cui la vita del Cristo si esplica
— autentica essenza del Deus–Trinitas — di contro alla superbia e alla
ribelle trasgressione che informano la civitas hominis.
La provocatoria conclusione di Edoardo Dallari è che la concretezza dell’ordinamento–ordine della città risiede nel necessario anelito (èros) ad un’impossibile rappresentazione del Principio (nella sua totalità) nel saeculum, e che dunque la possibilità
Presentazione

della caritas è sempre subordinata alla sua condizione di possibilità, ovvero quell’èros/aspirazione al Bene sempre esposto —
perché da essa nasce — alla caduta nella libido dominandi.
Giuseppe Girgenti
Libera Università “Vita–Salute San Raffaele”
Introduzione
Il piano di lavoro
Questo lavoro di ricerca intende interrogarsi sul rapporto che
in Occidente si intesse, fin dai suoi albori, tra le forme del pensare
e le forme del fare politico.
Se, come afferma Carl Schmitt , « tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati » , riferendosi alla concettualizzazione cristiana;
se, come intendiamo sostenere, l’Occidente nasce e matura
nella fusione di orizzonti tra il pensiero greco e quello giudaico,
entrambi sussunti, ovvero assunti e profondamente ripensati–
trasfigurati, nella concettualità cristiana; e se, seguendo le orme
di Arnold Toynbee , la cristianizzazione rappresenta la terza
fase di globalizzazione del mondo antico, che si innesta sulla
. Si fa riferimento in particolare a C. S, Politische Theologie. Vier Kapitel
zur Lehre von der Souveranitat, Munchen– Leipzig, Duncker & Humbolt, ; trad.
it: Teologia politica. Quattro capitoli sulla dottrina della sovranità, in C. S, Le
categorie del “politico”, G. Miglio e P. Schiera (a cura di), il Mulino, Bologna, .
Il motivo per cui riflettiamo attraverso il pensiero di Schmitt si limita a cogliere il
concetto di teologia politica, che indica l’indissolubile legame, fruttuoso nella storia
occidentale, tra l’ordine politico–sociale e l’ordine “divino”– metafisico: non intende
cioè essere un’analisi delle riflessioni schmittiane, ma procedere anteriormente
rispetto al punto di partenza del pensatore tedesco. Riteniamo infatti che, se « tutti
i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello Stato sono concetti teologici
secolarizzati », l’humus, su cui questa secolarizzazione è possibile che si sia realizzata,
sia composto dalle radici impiantate dal pensiero dei due più grandi teologi dell’antichità: Platone e Agostino, nelle opere dei quali intendiamo intravedere le ragioni
seminali della storia metafisico–politica dell’Occidente.
. Ivi, p..
. Si veda G. G, Atene e Gerusalemme. Una fusione di orizzonti, Il Prato,
Padova, .
. A.J. T, A Study of History, .voll, Oxford University Press, Oxford
–.


Introduzione
precedente ellenizzazione e successiva romanizzazione; allora, riteniamo sia possibile estendere l’idea di teologia politica
all’ambito della πόλις prima e dell’impero romano poi, fino
a giungere a quelle idee teologiche cristiane che in seguito
subiranno il processo di secolarizzazione.
Teologia significa, per noi, riflessione sulla pensabilità ontologica del Principio assoluto, sull’ἀρχή degli enti, e quindi
πρώτη φιλοσοφία : per questo motivo protologia henologica platonica e teologia della Rivelazione agostiniana rientrano nello stesso
orizzonte di senso, seppur la filosofia si pensi come discorso
scientifico, e quindi come parola su Dio, di contro alla teologia
strettamente intesa, che implica un’esegesi interpretativa di un
testo rivelato, il quale possiede una valenza religiosa e di fede,
e che di conseguenza si presenta come parola di Dio su cui il
pensiero umano discorre.
Platone ed Agostino assumono lo status di exempla esprimenti le forme spirituali del nostro mondo, le due anime che
intrecciandosi creano l’Occidente. Appariranno evidenti in seguito le dovute differenze, ma rendiamo esplicito fin da ora che
intendiamo mostrare come Agostino assuma in sé le istanze e i
problemi del pensiero platonico e li porti all’estremo delle loro
potenzialità, creando le basi concettuali su cui il nostro mondo
globalizzato prende vita.
Il nostro discorso prevede una iniziale caratterizzazione del
rapporto metafisica (alias teologia) — politica, che ci consentirà
di introdurre le due forme concettuali attorno cui si svilupperà
la nostra ricerca: πόλεμος, conflitto, e ordine, che Eraclito ci
aiuterà ad esplicitare. Seguirà una breve storia sintetica di come
la teologia politica si presenta nel mondo antico, dalla Grecia
fino a Roma, nel cui impero accade l’evento della nascita del
Cristo, sul quale riflette San Paolo. Il secondo e il terzo capitolo
affronteranno invece tematicamente le analogie che possono
essere individuate tra il pensiero platonico e quello agostiniano,
. A, Metafisica, XII,  b; si utilizza la seguente edizione: G. Reale
(a cura di), Bompiani, Milano, .
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