Fra Giacomo - Parte introduttiva al gruppo relativo all`esame

6. Gv 1,13 (LA QUESTIONE DEI “SANGUI”)
Alunni: Fra Giacomo D’Orta, Lahiru Meegodage, Sr. Dani Chakkunkal o.p. R. Iembo e M. Iaccarino, Antonietta
Vitale, Carlo Mazzella
Gv 1,12-13
12
A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel
suo nome, 13i quali, non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono
stati generati.
1. LA QUESTIONE DEL PLURALE “I QUALI”
Sembra che “i quali” (al plurale) non fosse l’unica versione conosciuta nei primi periodi della storia
della Chiesa; in effetti vi erano anche alcune fonti che riportavano “il quale” (al singolare, in
riferimento al “nome” del versetto 12), e ciò sarebbe stato un argomento a favore del concepimento
verginale del Signore.
Oltre alle fonti che verranno descritte nel resto del presente lavoro, eccone alcune che presentano il
singolare “il quale”: GIUSTINO (Apologetica); IPPOLITO (in una sua citazione); il Codex Veronensis;
il Lezionario di Toledo; le versioni siriache.
Il Libro di Enoch (apocrifo): qui si rimprovera agli angeli che si sono uniti alle donne secondo Gn
6,1-4: “Nel sangue delle donne vi siete contaminati e nel sangue della carne avete generato e nel
sangue degli uomini avete bramato”. La lezione al singolare, che conosce questa tradizione
giudaica, vuole mostrare che Gesù non fu concepito come i giganti a partire dagli angeli decaduti,
ma da Dio (in riferimento all’Annunciazione).
Tuttavia, l’uso del plurale è comunque antico, perciò possiamo escludere che si tratti di una
innovazione tardiva. I testimoni di questa versione saranno citati nel presente lavoro.
A detta di Schnakenburg, per motivi interni al testo, il plurale sarebbe da preferirsi in quanto il
singolare sembrerebbe escludere addirittura la partecipazione umana (e poi, perché dopo c’è una
affermazione sull’incarnazione – v. 14 – ).
La versione al singolare si spiegherebbe per affermare la concezione verginale di Gesù, contro gli
«ebioniti», che negano la divinità di Gesù.
La parola «ebioniti» è una traslitterazione del termine ebraico Evionim, che significa poveri. Questo
termine si incontra, per la prima volta in Ireneo, senza però che questi ne dia un significato preciso.
Origene ed Eusebio sostenevano che il nome di questa eresia derivava dalla limitatezza della loro
intelligenza, o dalla povertà della Legge a cui si riferivano, o dalla povertà della loro comprensione
di Cristo.
Secondo Ireneo di Lione, le dottrine di questa setta erano simili a quelle di Cerinto e di Carpocrate.
Cerinto secondo Ireneo fu contemporaneo di Giovanni. Essi negavano la divinità e la nascita
verginale di Cristo e predicavano l’osservanza della Legge giudaica.
Eusebio di Cesarea scriveva: «Gli antichi li chiamavano molto appropriatamente Ebioniti, perché
avevano opinioni povere concernenti Cristo. Poiché essi lo consideravano un uomo semplice e
comune, che è stato giustificato solo a causa della sua superiore virtù e che era il frutto di una
relazione fra Maria e un uomo».
2. LA QUESTIONE DEI «SANGUI» NEI PRIMI SECOLI
a) Tertulliano è uno dei più originali e più personali scrittori latini ecclesiastici prima di Agostino.
Lui non rivela particolare simpatia per la persona della madre di Gesù in quanto tale, indubbiamente
manifesta un estremo interesse per la funzione da lei svolta nel mistero del Dio incarnato. Egli
insiste sulla vera maternità di Maria, allo scopo di allontanare ogni ombra di dubbio a proposito
dell’umanità reale e autentica del Figlio suo.
Il concepimento di Gesù nel seno di Maria, pur essendo un concepimento reale, non è avvenuto
tuttavia secondo le norme della natura. Tertulliano sottolinea il carattere verginale di questa
concezione in chiaro:
«Colui che già era il Figlio di Dio, generato dal seme di Dio Padre, cioè dallo Spirito, volendo
diventare anche Figlio dell’uomo, ha deciso di assumere una carne dalla carne dell’uomo, ma senza
seme umano. Colui che possedeva il seme di Dio non aveva bisogno del seme dell’uomo. Come
dunque prima della sua nascita dalla Vergine egli aveva Dio per Padre, senza avere una madre, così
dopo esser nato dalla Vergine, egli ebbe una donna per madre, senza avere alcun padre terreno. In
breve: egli è un uomo che possiede la divinità, giacché è una carne umana che possiede lo Spirito di
Dio. È carne generata senza seme umano; è spirito generato dal seme di Dio».
I testi mariani di Tertulliano rimasero ignorati, perché alla fine, con l’intenzione di meglio
dimostrare la realtà della carne di Cristo, egli giunge a negare la verginità perpetua di Maria, nega
anche la verginità di Maria in partu e post partum.
b) Sant’Ambrogio era il primo Padre della Chiesa a chiamarla «sancta Maria» e «sancta virgo» e
sottolinea con vari argomenti la convenienza, anzi la necessita della verginità in partu.
c) Sant’Agostino, pur lo riferendo il v. 13 al plurale, relativamente, dunque, alla rigenerazione dei
credenti e non alla concezione verginale del Verbo, si sofferma sul plurale i «sangui».
I figli degli uomini nascono dalla carne e dal sangue, dalla volontà dell’uomo e dall’amplesso
coniugale. E i figli di Dio, come nascono? Non per via di sangue, dice l’evangelista, cioè non dal
sangue dell’uomo e della donna. In latino non esiste «sangue» al plurale, ma siccome in greco c’è il
plurale, il traduttore ha preferito conservare il plurale sanguinibus.
3. DAI COMMENTATORI MODERNI
ZEVINI (Vangelo secondo Giovanni, Città Nuova, Roma) menziona le due possibilità.
L’interpretazione al singolare è da preferirsi, secondo alcuni1, sia perché la più antica, sia per l’uso
dell’aoristo indicativo, che riguarda sempre la generazione di Gesù, sia perché più conforme allo
stile e alla dottrina giovannea (1 Gv 5,18); essa menziona chiaramente la nascita verginale di Gesù:
il Verbo è stato generato da Dio stesso e non da fattori umani.Questa generazione nel tempo di
Gesù, del tutto particolare, è un segno per l’evangelista che egli è Figlio di Dio e che Dio è suo
Padre (2,16; 5,17.43; 6,32-40; 8,19.38.49.54 ecc.). Dunue la generazione eterna e temporale del
Figlio di Dio è oggetto della Fede di coloro che lo hanno accolto credendo nel suo nome e perciò
sono diventati figli di Dio.
Qui si riassume la fede cristiana: Gesù ha una generazione eterna che si prolunga nel tempo per
mezzo della concezione verginale nel seno di Maria. Si tratta, cioè, della generazione temporale di
Cristo, il Verbo incarnato, e non della generazione dei cristiani, sostenuta da coloro che ritengono
più autentica la versione al plurale, che riguarda la generazione spirituale degli uomini. Coloro che
hanno prestato fede al Cristo, sono diventati figli di Dio mediante una nascita che non è opera di
generazione naturale, né di istinto sessuale o di volontà dell’uomo; essi vengono da Dio stesso. A
questa vita si è generati con la fede2.
Per BROWN (Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, Cittadella, Assisi), le testimonianze
testuali a favore della lettura al plurale sono schiaccianti, dato che non un solo manoscritto greco
sostiene il singolare. Il singolare “colui che fu generato” è applicato a Gesù solo da un certo numeri
di Padri (Giustino?, Ireneo, Tertulliano (a partire dal IV sec. il testo riporterà sempre la versione al
plurale) e da qualche scritto primitivo (Liber Comicus, Epistula Apostolorum). Sulla base di queste
prove piuttosto scarse il singolare è stato sostenuto da un buon numero di studiosi: Boismard, Blass,
Burney, Dupont, Zahn e altri.
1
2
Cf. VELLANICKAL, The Divine Sonship.
Cf. SCHANACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni; SEGALLA, La volontà di Dio e dell’uomo in Giovanni.
La testiminianza patristica a favore del singolare è difficila da valutare, perché può darsi che il testo
sia semplicemente sottoposto ad un adattamento a Gesù allo scopo di sostenere la nascita verginale
e rafforzare il senso cristologico della pericope contro gli gnostici. Si può immaginare un
argomento a fortiori: se è vero che i cristiani non sono generati dal sangue, né da desiderio carnale,
ecc…, quanto più vero era ciò per Gesù. Anche la testimonianza latina presenta dei trabocchetti,
perché il latino qui è sia singolare che plurale e la differenza tra qui natus est e qui nati sunt è
soltanto nel verbo.
Tre argomenti sembrano decisamente a favore del plurale :
- entrambi gli antichi papiri di Bodmer leggono il plurale;
- i testi nel processo di trasmissione tendono a diventare sempre più, non già meno, cristologici. Si
può supporre che la tradizione degli scribi su così larga scala avrebbe attenuato un prezioso
riferimento alla nascita verginale di Gesù se il singolare fosse stato la lezione originale?
- Giovanni e 1 Giovanni non descrivono mai Gesù come nato da Dio (1 Gv 5,18 è dubbio); ma
parlano così di quelli che seguono Gesù (3,3-8; 1 Gv 3,9; 4,7; 5,1-4; 5,18a). Recentemente Schmid
ha esaminato il problema a fondo, giungendo al risultato di optare per il plurale, così come fanno
Barrett, Bultmann, Lightfoot, Wikenhauser e altri.
L’unico argomento contro il plurale è il rapporto del v. 13 con 12b. Boismard si domanda come può
la parola dare il potere agli uomini di diventare figli di Dio se essi erano già nati da Dio. Ma questo
significa imporre una logica troppo rigorosa alla sequenza. Il versetto 13 spiega che cosa si intende
per figli di Dio; spiega che quelli che accolsero Gesù furono quelli che erano dati a Gesù dal Padre
(6,37.65); essi non erano quelli generati dal basso ma quelli generati dall’alto (3,31).
Il plurale si addice meglio, per Brown, anche alle parole che seguono il pronome relativo:
- generati : sebbene questo verbo possa significare “nati” (come da un principio femminile) l’idea
di azione espressa da “generati” è evidentemente più adatta. In 1 Gv 3,9 è nominato il seme di Dio.
- non da sangue : la parola corrispondente a “sangue” è plurale. Ciò è strano su uno sfondo di
mentalità ebraica, dove il plurale di “sangue” significa spargimento di sangue. Bernard pensa a uno
sfondo di fisiologia greca, dove si pensava che l’embrione fosse fatto del sangue della madre e del
seme del padre. In questa interpretazione le tre negazioni del versetto escludono rispettivamente la
donna, la sensualità e l’uomo. Una tale interpretazione esclude ogni utilizzazione del testo per
provare la nascita verginale di Gesù.
Altri pensano che si debba considerare il “sangue” di 13b e la “carne” di 13c come un’unità, la
“carne e sangue” degli ebrei, equivalente a “uomo” (Mt 16,17; 1 Cor 15,50). Questa spiegazione è
esclusa dal fatto che “sangue” è un plurale, e dall’ordine “sangue, carne”; inoltre 13c parla non della
“carne” ma del desiderio della carne”. Boismard accenna alla possibilità che “sangue” sia un modo
più elevato di parlare del seme. Tale eufemismo sembra improbabile dal momento che negli scritti
giovannei non c’è esitazione a parlare di seme (1Gv 3,9).
- né da desiderio carnale : letteralmente “desiderio della carne”. La parola “desiderio” è omessa in
alcuni manoscritti etiopici e in alcuni Padri, forse per meglio conformare il testo alla formula “carne
e sangue” menzionata sopra. Thelema, “voglia, desiderio”, appare per “sensualità” in alcuni dei
papiri greci di questo periodo.
“Carne” qui non è un principio malvagio opposto a Dio. Si tratta, piuttosto, della sfera del naturale,
dell’impotente, del superficiale, contrapposto a “spirito”, che è la sfera del celeste e del reale (3,6;
6,63; 8,15).
- né dal desiderio di uomo : l’uomo era considerato come l’agente principale nella generazione;
qualcuno considerava il ruolo della donna come non più di quello di un vaso per l’embrione. Questa
proposizione è omessa nel ms. Vaticano 17 e in alcuni Padri. Boismard pensa che la ridondanza in
queste proposizioni e il dato dell’omissione dell’una o dell’altra indichino il fatto che si tratta di una
fusione di letture alternative.
Per MOLONEY (Il Vangelo di Giovanni, Ellenici, Leumann) nelle antiche tradizioni patristiche e nei
manoscritti greci in lettere minuscole si trova una certa giustificazione per una lettura al singolare
“quello che non è nato” (). Alcuni importanti esegeti vedono in questa lettura un
riferimento alla tradizione del concepimento verginale: ad es. LA POTTERIE, Il Parto verginale del
Verbo incarnato.La nostra traduzione segue la principale tradizione greca onciale e la maggioranza
degli studiosi nella lettura al plurale () riferita ai “bambini di Dio” per effetto
dell’iniziativa divina (J.W. PRYOR, Of the Virgin Birth)
- non da sangue : l’insolita forma al plurale “dai sangui” () deve essere probabilmente
intesa come la mescolanza del sangue femminile con quello maschile (Bernard, Commentary).
- da volere di uomo: questa traduzione apparentemente esclusivista (maschilista) rende bene il greco
, che rispecchia il mondo patriarcale del primo secolo nel quale il partner
maschile era considerato il promotore determinante del processo che portava alla nascita di un
bambino.
La figliolanza divina non può essere spiegata con l’esperienza o con la comprensione umana perché
non è il risultato di un’iniziativa umana. Gli antichi vedevano nella generazione di un bambino il
risultato della coagulazione meccanica del sangue della donna che si mescolava con il seme
maschile.
Ma i figli di Dio non nascono “dal sangue”. I figli vengono inoltre generati per effetto della
concupiscenza umana, ma i figli di Dio non nascono “dalla carne”. Ci sono momenti in cui i
genitori decidono che vogliono avere un bambino e si comportano di conseguenza, ma i figli di Dio
non nascono “dal volere di uomo”. I figli di Dio sono generati da Dio.
4. DUE POSSIBILI CONSEGUENZE DAL PLURALE “I SANGUI”
1. Ignace de la Potterie e la verginità di Maria in partu
Parte dall’ebraico damìm (“sangui”), presente in quattro testi dell’Antico Testamento, sempre in
relazione ai riti di purificazione della donna per mondarsi dall’impurità dei sangui delle regole o del
parto.
I testi sono Lv 12,5, Lv 12,7, Ez 16,6, Ez 16,9. Attraverso questi testi si evincerebbe che in Gv1,13
si allude alla verginità di Maria nel parto che sarebbe avvenuto senza effusione di sangue3
Nella tradizione ebraica si pensava che il Messia dovesse nascere senza arrecare dolori alla madre,
come appare nellaletteratura giudaica intertestamentaria. In Apocalisse di Baruc 73 ,1 .7 (fine I sec.)
si legge che “sparirà l’affanno quando dovranno dare alla luce il frutto del loro seno”.
Rabbi Abbahu (IV secolo) commenta così Is 66,7: “ha partorito prima che le venissero i dolori, ha
dato alla luce un maschio”.
De La Potterie4 per avvalorare la sua tesi della verginità in partu di Maria farà leva anche sul
versetto di Lc 1,35b, che ha quattro varianti interpretative:
1 - Il Santo che nascerà, sarà chiamato Figlio di Dio
2 - Ciò che nascerà Santo, sarà chiamato Figlio di Dio
3 - Ciò che nascerà sarà chiamato è Santo e Figlio di Dio
4 - Ciò che nascerà, sarà chiamato Santo, Figlio di Dio
Per l’esegeta francese prevale la seconda interpretazione, in cui la prima frase (ciò che nascerà
santo) è il soggetto della seconda che funge da predicato (sarà chiamato Figlio di Dio): essa
corrisponde alla vulgata “Quod nascetur sanctum,vocabitur Filius Dei”.
In 1,35b la natura di questa santità va ricercata a partire da Lv 17,26, ove la “santità” della nascita è
la “non contaminazione”, inclusa quella che deriva dal sangue sparso dal parto (Lv.12,2.5; 18,19)
Perciò De La Lotterie ritiene che la frase debba essere così parafrasata: “La potenza dell’altissimo,
3
4
I. DE LA POTTERIE , Maria nel mistero dell’alleanza, Genova 1988, pp. 119-121.
Verginità, in Nuovo Dizionario di Mariologia, a cura di S. DE FIORES e S. MEO, PAOLINE, ROMA 1985, pp. 1431-1450.
stenderà su di te la sua ombra, pertanto quello che (partorirai) nascerà Puro e immacolato , e perciò
verrà chiamato Figlio di Dio”.
2. Jean Galot e la verginità ante partum
Contro la precedente ipotesi J. Galot ritiene che Gv 1,13 affermi solo la verginità ante partum. I
“sangui” per lui sono quelli del padre e della madre, per cui Gesù non è nato dalla mescolanza dei
sangui del padre e della madre (Giuseppe e Maria ) ma è stato concepito per opera dello Spirito
Santo. J. Galot afferma ciò sottolineando il ruolo della particella ex che indica la provenienza
ossia
l’origine e non le modalità del parto.
In conclusione Galot afferma che Gv 1,13, come Mt e Lc, esprime solo la concezione verginale del
Verbo nel seno di Maria e non la nascita verginale.
6. LA NASCITA VERGINALE NELLE TESTIMONIANZE ANTICHE
Già antiche testimonianze della tradizione cristiana sostenevano che la vergine Maria diede alla luce
il verbo incarnato con un parto indolore e senza spargimento di sangue, a partire dal II secolo:
Protovangelo di Giacomo 19-20; Odi di Salomone 19, 6-10; IRENEO, Adversus Haereses IV, 33.11.
La nascita verginale richiama il fatto che “il neonato sarebbe uscito dal seno di Maria in maniera
tale da lasciare la sua verginità anatomicamente intatta (verginità in partu […]).
Ireneo di Lione, in particolare, nell’Adversus Haereses, “ha attinto anche da Giovanni la verità della
concezione verginale del Verbo”. Si serve di Gv 1,13, giudicandone ovvio il contenuto al singolare,
per dimostrarne l’unica Persona divina del Verbo incarnato e per confutare le opinioni di coloro che
ritenevano Gesù un semplice uomo, figlio di Giuseppe” (P. CIANI, S. Ireneo e il IV Vangelo).
“Solo per la luce che ci viene dal Padre, si può conoscere che Colui, che è nato non dalla volontà
della carne, né dalla volontà dell’uomo è il Cristo, Figlio di Dio” (Adv. Haer. 3,19,1).
“La concezione verginale è menzionata in relazione diretta alla unione ipostatica: Colui che è nato
verginalmente è il Figlio di Dio” (CIANI, op. cit.)
Nella Dimostrazione, poi, Ireneo cita il versetto giovanneo anche per illustrare come tutto ciò che
Gesù ha operato è stato anticipato dai profeti, cosicché possiamo chiaramente intravedere il Cristo.
“Ha fatto già notare tutti i riscontri tra la profezia di Giacobbe e la realtà degli avvenimenti,
operatisi in Cristo. Commenta ora le parole: «et in sanguine uvae pallium suum» (Gen 49,11).
Queste parole, osserva Ireneo, sono dette del sangue di Cristo. Ma quale ne è la relazione?
Ecco: come il sangue dell’uva non è fatto dall’uomo, ma da Dio, che lo produce per ricreare coloro
che lo bevono, così il sangue che il Cristo ha ricevuto nella sua Incarnazione, non viene dall’uomo
ma da Dio che l’ha formato”.
5. MARIA, L’AEIPARTHEOS (SEMPRE VERGINE): SIGNIFICATI TEOLOGICI
Lo sguardo della fede può scoprire, in connessione con l'insieme della Rivelazione, le ragioni
misteriose per le quali Dio, nel suo progetto salvifico, ha voluto che suo Figlio nascesse da una
Vergine.
1) La verginità di Maria manifesta l'iniziativa assoluta di Dio nell'incarnazione. Gesù come Padre
non ha che Dio.
2) Gesù, il nuovo Adamo, inaugura con il suo concepimento verginale la nuova nascita dei figli di
adozione nello Spirito Santo per la fede. «Come è possibile?» (Lc 1,34). La partecipazione alla vita
divina non proviene «da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio» (Gv 1,13).
L'accoglienza di questa vita è verginale perché è interamente donata all'uomo dallo Spirito.
3) Maria è Vergine perché la sua verginità è il segno della sua fede che non era alterata da nessun
dubbio e del suo totale abbandono alla volontà di Dio.
4) Maria è ad un tempo Vergine e Madre perché è la figura e la realizzazione più perfetta della
Chiesa: «La Chiesa [...] per mezzo della Parola di Dio accolta con fedeltà diventa essa pure Madre,
poiché con la predicazione e il Battesimo genera a una vita nuova e immortale i figli, concepiti ad
opera dello Spirito Santo e nati da Dio. Essa è pure la vergine che custodisce integra e pura la fede
data allo Sposo» (LG 65).