Infezioni emergenti e riemergenti: tra rischi reali e catastrofismo | 1

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Infezioni emergenti e riemergenti: tra rischi reali e catastrofismo | 1
Enrico Tagliaferri
Studiare e sorvegliare le infezioni emergenti e riemergenti è doveroso, ma senza distogliere
attenzione e risorse dai maggiori problemi di salute.
Lancet ha recentemente dedicato un seminario al virus Chikungunya e
contemporaneamente la sezione americana dell’Organizzazione Mondiale della Sanità
(OMS) e il Centers for Diseases and Control and Prevention, l’organismo americano di
riferimento per la medicina preventiva, hanno pubblicato nuove linee guida sull’infezione,
nell’ipotesi di un’epidemia[1].
Si tratta di un rischio concreto o di catastrofismo?
L’infezione da virus Chikungunya è endemica in Asia e in Africa. Epidemie di rilievo
prima del 2000 erano rare, ma in seguito sono divenute più frequenti e si ritiene che il virus
possa essere mutato acquistando una maggior capacità di replicarsi nelle zanzare vettore e
quindi una maggior efficienza nella trasmissione[2,3]. Il virus Chikungunya è trasmesso
dalle zanzare Aedes aegypti , presente nelle regioni tropicali e subtropicali, e Aedes
albopictus, diffusa anche in aree temperate, come in Italia e negli USA. La malattia si
manifesta con febbre elevata, intensi dolori muscolari e articolari, cefalea, fotofobia ed
eruzione cutanea. Alcuni pazienti lamentano anche diarrea, vomito e dolore addominale e
nel corso di alcune epidemie fino ad un quarto dei casi ha avuto manifestazioni
neurologiche, principalmente encefalite e meningoencefalite[4]. I sintomi si risolvono in
genere in una o due settimane, ma i dolori articolari possono persistere per mesi e
anni[5-9]. La mortalità si aggira intorno all’1/1.000, più alta tra i bambini, gli anziani e i
pazienti con gravi malattie di base[10-15].
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Al di fuori dei tropici vengono di solito osservati casi di importazione, ma nel 2007
si è verificata un’epidemia in Italia, con 254 casi di trasmissione locale[16]. Dal 2006
al 2010 negli USA sono stati registrati 106 casi di infezione da Chikungunya virus in
viaggiatori provenienti da Africa e Asia[1]. Quello che gli esperti americani temono è che il
virus possa essere assunto dalle zanzare locali dando inizio ad una trasmissione autoctona,
come in Italia, magari su più larga scala.
Qualcosa del genere è successo con l’infezione da virus West Nile: nel 1999 a New
York, in maniera del tutto inaspettata, è scoppiata un’epidemia di encefalite con 59 casi e 7
morti[17]. Anche in Italia si registrano ormai periodicamente piccoli focolai epidemici di
infezione da West Nile virus: dal 2008 al 2010 sono stati osservati 29 casi[18] e nel 2011 14
casi con tre decessi[19].
Un’altra minaccia per gli esperti è rappresentata dal virus Dengue, l’infezione virale
trasmessa da vettori più diffusa nel mondo: circa metà della popolazione mondiale vive in
aree a rischio e l’OMS stima da 50 a 100 milioni di casi all’anno; negli ultimi anni il numero
di casi è aumentato e l’infezione si è estesa a nuove aree geografiche[20].
Si tratta quindi di malattie emergenti, cioè secondo la definizione dell’OMS malattie che in
una certa popolazione compaiono per la prima volta o che erano già presenti ma sono in
rapido aumento per numero di casi o diffusione geografica[21]. Una prima considerazione
viene spontanea: quando si parla di malattie emergenti si fa quasi sempre riferimento a
malattie sconosciute nei paesi ricchi, ma che gli abitanti dei quelli poveri conoscono
purtroppo molto bene.
Secondo alcune previsioni, i cambiamenti climatici che vengono attribuiti all’effetto serra,
potrebbero indurre la tropicalizzazione di aree temperate, la maggior diffusione di insetti
vettori e condizioni ideali per la diffusione di malattie considerate esclusive di paesi
esotici[22].
In questo senso, in Italia, un ruolo importante potrebbe essere quello di Aedes
albopictus, la cosiddetta “zanzara tigre”. Si ritiene che sia originaria delle foreste
tropicali del sud-est asiatico e che si sia gradualmente diffusa prima nelle regioni tropicali e
quindi, negli ultimi anni, negli USA, in America latina e in Europa. In Italia sarebbe arrivata
alla fine degli anni ’80 in carichi di copertoni usati provenienti dagli USA. Aedes albopictus
è in grado di trasmettere una pletora di infezioni virali (dengue, febbre gialla, encefalite di
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Saint Louis, Chikungunya, West Nile, encefalite giapponese, encefalite equina orientale,
Potosi, Cache valley, Sindbis, meningoencefalite turco-israeliana, Thahyna, febbre della Rift
Valley, Batai) e vermi (Dirofilaria repens e immitis). Per alcune di queste infezioni , ad
esempio West Nile e Dengue, è dimostrato che il virus viene trasmesso nella zanzara da una
generazione all’altra e nelle uova in stato di quiescenza sopravvive durante i mesi
invernali[23].
La storia dell’umanità è segnata dalle epidemie, basti pensare all’epidemia di peste della
metà del ‘300 in Europa o all’epidemia di influenza del 1918, la cosiddetta spagnola.
Flagelli, maledizioni, spauracchi entrati a far parte dell’immaginario collettivo,
abbondantemente sfruttati da cinema e letteratura; penso al filone catastrofista del cinema
hollywoodiano, ma su tutti al magistrale Nosferatu, di Werner Herzog, in cui il principe
Dracula interpretato da Klaus Kinsky approda a Wismar su una nave carica di ratti,
portando con sé la peste, che in poco tempo sconvolge la città.
L’uomo ha cercato di esorcizzare questa paura con la scienza, cercando di prevenire,
prevedere, riconoscere precocemente e contenere le epidemie. I progressi in questo campo
sono innegabili, clamorosi, ad esempio i vaccini. Tuttavia, anche in tempi recenti, non sono
mancate le polemiche sul lavoro dei cosiddetti esperti. Penso alla sopravvalutazione
delle epidemie di SARS, influenza aviaria e suina: in particolare in quest’ultimo
caso l’attenzione dei media, del mondo scientifico e dell’opinione pubblica e
soprattutto le risorse investite sono risultate sproporzionate rispetto all’effettiva
dimensione del problema, tanto che persino i vertici dell’OMS hanno ammesso di
aver sovrastimato il problema[24]. Ne hanno tratto profitto le case farmaceutiche
produttrici di vaccini e farmaci per l’influenza.
Naturalmente fare previsioni precise per fenomeni di tali dimensioni non è facile e qualsiasi
modello è fallibile. Inoltre è probabilmente meglio sovrastimare un rischio del genere
piuttosto che farsi cogliere impreparati. E non vi è dubbio che si deve continuare ad
investire nello studio e nella sorveglianza di malattie che rappresentano un pericolo
potenziale.
Ma non è questo il punto. Il punto è il senso delle proporzioni: non è etico distogliere
attenzione e risorse da problemi reali in favore di rischi ipotetici. I problemi più importanti
da risolvere restano le principali malattie infettive e l’epidemia strisciante delle malattie
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neoplastiche, metaboliche e cardiovascolari, attraverso il rafforzamento dei servizi sanitari
di base. In un contesto generale di crisi finanziaria, in cui le risorse destinate alla
cooperazione per lo sviluppo e la salute globale vanno riducendosi, l’allocazione delle
risorse deve rispettare criteri rigorosi di priorità. In questo senso al mondo scientifico spetta
fornire informazioni chiare sulla reale dimensione dei problemi e sulle soluzioni più efficaci,
ai media informare correttamente l’opinione pubblica, e a questa esercitare pressioni su
istituzioni e donatori perché mettano in atto politiche coerenti .
Enrico Tagliaferri, specialista in malattie infettive, Azienda Ospedaliera Pisana
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