Algebra al triennio

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L’anello dei polinomi
Algebra fra tradizione e rinnovamento
Aprile 2000
Michele Impedovo
Per quanto riguarda un approfondimento sulle strutture algebriche, è di fondamentale importanza
l’analisi, dal punto di vista dell’algebra astratta, dell'anello dei polinomi nell'indeterminata x, a
coefficienti in un campo.
L'analisi di questa struttura conduce in modo naturale al problema della risolubilità delle equazioni
algebriche, alla necessità di costruire un campo algebricamente chiuso (cioè che contiene tutte le
radici di un polinomio a coefficienti nel campo stesso), alla definizione quindi del campo C dei
numeri complessi, e infine al teorema fondamentale dell'algebra e alla sua interpretazione
geometrica: un polinomio (x) a coefficienti in R definisce una funzione y=(x), il cui grafico ha
proprietà che sono strettamente legate al numero di radici (eventualmente coincidenti) del
polinomio. Tuttavia il polinomio (x) (aspetto sintattico) e la funzione y=(x) (aspetto semantico)
sono oggetti differenti, e come tali vanno trattati; per esempio, cosa rispondere alla domanda: è vera
la seguente uguaglianza?
x2  1
 x 1
x 1
Dal punto di vista delle funzioni l'uguaglianza è falsa. La funzione y= (x21)/(x1) non è uguale alla
funzione y=x+1 (la prima ha un punto di discontinuità); dal punto di vista dei polinomi
l'uguaglianza è vera, poiché (x+1)(x1)=x21.
È buona norma (troppo spesso ignorata dai libri di testo) dichiarare sempre il campo dei coefficienti
del polinomio; un polinomio può avere caratteristiche differenti a seconda del campo a cui si
pensano appartenere i suoi coefficienti. Per esempio, il polinomio x2+1 non è scomponibile né in Q
né in R, ma è scomponibile in C:
x2+1 = (xi)(x+i)
e anche in Z5:
(x+2)(x+3)=x2+5x+6=x2+1.
Molti risultati interessanti, come il Teorema di Ruffini e il teorema di identità dei polinomi, si
possono facilmente ottenere in generale, cioè per polinomi a coefficienti in un campo qualsiasi.
Il problema delle equazioni algebriche non viene solitamente affrontato in modo unitario: dopo le
equazioni di secondo grado spesso c'è il vuoto, e gli alunni non sanno se esistano formule risolutive
per ogni grado. Il teorema di Ruffini-Abel, secondo cui non è possibile esprimere le soluzioni di una
generica equazione di grado superiore al quarto come funzioni algebriche dei coefficienti, è un
esempio molto importante di teorema negativo: la storia della matematica è strettamente legata a
quei teoremi che sanciscono l'impossibilità di risolvere un dato problema con dati strumenti. Lo
stesso teorema di Pitagora è di questo tipo: non è possibile esprimere la lunghezza dell'ipotenusa
mediante una funzione razionale delle lunghezze dei cateti.
1. L'aspetto sintattico
Siamo abituati a pensare alla lettera x come un simbolo che sta al posto di numeri; per esempio
diciamo che x2 5x+6 è uguale a 0 se x è uguale a 3. Il polinomio è visto in questo caso come una
funzione:
x  x 2  5x  6 .
Assumiamo ora un nuovo punto di vista, più astratto.
DEFINIZIONE. Sia (A,+,) un campo. Un’espressione del tipo
a(x) = anxn + an-1 +  + a1x +a0
con aiA, nN, an0, prende il nome di polinomio (nella lettera x) a coefficienti in A; il numero
naturale n è il grado del polinomio, indicato con deg[a(x)]; gli elementi ai di A sono i coefficienti
del polinomio; il coefficiente an prende il nome di coefficiente direttivo del polinomio; se an=1
(unità di A) allora il polinomio si dice monico; il coefficiente a0 è il termine noto del polinomio.
Identifichiamo un polinomio di grado 0 semplicemente con un elemento di A.
Dalla definizione risulta che due polinomi sono uguali se hanno lo stesso grado e, per ogni xi, gli
stessi coefficienti.
OSSERVAZIONE. Nella definizione si è supposto che l'insieme A dei coefficienti sia un campo (Q,
R, C, Zp). La scelta della struttura algebrica A è arbitraria, purché in A siano definite due operazioni
commutative: possiamo considerare polinomi su anelli come Z e Zn, oppure su N, che non è gruppo
né rispetto alla somma, né rispetto al prodotto. L'ipotesi forte che A sia un campo permette di
ottenere alcuni risultati importanti che non sono generalizzabili a strutture più deboli.
Consideriamo ora l'insieme di tutti i polinomi in x a coefficienti in un campo A. Indichiamo questo
insieme con il simbolo A[x].
Q[x], R[x], C[x] sono insiemi infiniti: esistono infiniti polinomi per ogni grado i. Se invece
consideriamo polinomi a coefficienti in Zp, allora esiste solo un numero finito di polinomi di grado
i; per esempio in Z2 gli unici polinomi di secondo grado sono i seguenti:
x2 + x +1,
x2 + x,
x2 +1,
x2 .
In generale il numero di polinomi di grado n a coefficienti in un campo Zp è pn (p1).
In ogni caso, poiché sono infiniti i gradi possibili di un polinomio, l'insieme di tutti i polinomi a
coefficienti in un campo (anche se finito) è sempre infinito.
Da un punto di vista astratto, un polinomio di grado n è univocamente determinato dalla lista dei
suoi n+1 coefficienti. In effetti potremmo abbreviare la scrittura
anxn + an-1 +  + a1x +a0
semplicemente con la lista
(a0, a1, , an-1, an).
Risulta utile, nelle definizioni di somma e prodotto di polinomi, assumere che i coefficienti di un
polinomio di grado n siano in realtà infiniti, e siano nulli dal posto n+1 in poi:
x2 5x+6 = (6, 5, 1, 0, 0, 0, )
Se rappresentiamo un polinomio mediante la sequenza ordinata dei suoi coefficienti, possiamo
facilmente definire le operazioni di addizione e moltiplicazione tra due polinomi.
SOMMA. Siano a(x)=(a0, a1, , an-1, an, 0, 0, ) e b(x)=(b0, b1, , bm-1, bm, 0, 0, ) due polinomi
a coefficienti in un campo A. Definiamo il polinomio somma di a(x) e b(x) nel seguente modo:
a(x)+b(x) = (a0+b0, a1+b1, a2+b2,  ).
Poiché A è un campo, e quindi in particolare un gruppo abeliano rispetto alla somma, i coefficienti
ai+bi sono ancora elementi di A, quindi il polinomio somma è ancora un polinomio a coefficienti in
A:
a(x), b(x) A[x]  a(x)+b(x)A[x].
Inoltre risulta
deg[a(x)+b(x)]  max{deg[a(x)], deg[b(x)]}.
Infatti se fosse deg[a(x)]=deg[b(x)]=k, potrebbe risultare ak= bk, e il polinomio somma si
ridurrebbe di grado.
L'elemento neutro della somma in A[x] è il polinomio 0, elemento neutro di (A,+).
L'opposto del polinomio
a(x) = (a0, a1, , an-1, an, 0, 0, )
è il polinomio
a(x) = (a0, a1, , an-1, an, 0, 0, )
i cui coefficienti sono gli opposti dei coefficienti di a(x).
Ne concludiamo che (A[x],+) è un gruppo abeliano.
La definizione di prodotto di polinomi è più complessa. Partiamo da un esempio:
(x3 2x2 +3x4)(x2 +5x6).
Il risultato è un polinomio di 5° grado (3+2), ottenuto moltiplicando ogni termine del primo
polinomio per ogni termine del secondo polinomio: in tutto 12 termini. Di questi prodotti, uno solo
determina il termine noto, ed è il prodotto dei termini noti: (4)(6)=24. I termini di primo grado
sono il risultato di due distinti prodotti:
(3x)(6)
e
(4)(5x),
la cui somma è 38x. I termini di secondo grado sono tre:
(2x2)(6), (3x)(5x),
(4)(x2),
la cui somma è 23x2.
Si noterà che il termine di grado i-esimo ha come coefficiente la somma dei prodotti dei coefficienti
di gradi h e k tali che h+k=i.
Possiamo ora generalizzare:
PRODOTTO. Siano a(x)=(a0, a1, , an-1, an, 0, 0, ) e b(x)=(b0, b1, , bm-1, bm, 0, 0, ) di gradi
rispettivi n e m due polinomi a coefficienti in un campo A. Chiamiamo polinomio prodotto di a(x) e
b(x) il polinomio a(x)·b(x) di grado n+m definito nel seguente modo:
a(x)·b(x) = (a0b0, a1b0+a0b1, a2b0 + a1b1 + a0b2, ,  ahbk , )
h  k i
In particolare il coefficiente direttivo del prodotto è uguale al prodotto dei coefficienti direttivi dei
fattori (gli altri prodotti sono nulli), e il termine noto è uguale al prodotto dei termini noti.
Poiché A è un campo, il prodotto di due polinomi di A[x] è ancora un polinomio di A[x], e ha per
grado la somma dei gradi dei fattori.
OSSERVAZIONE. Questo non è più vero se consideriamo polinomi a coefficienti in un anello con
divisori dello zero; per esempio, in Z6[x] risulta
(3x+1)·(2x+5) = 6x2+17x+5 = 5x+5,
cioè il prodotto di due polinomi di primo grado è ancora un polinomio di primo grado.
Se A è un campo risulta a(x)·b(x) = 0 se e solo se a(x)=0, oppure b(x)=0.
L'elemento neutro del prodotto è il polinomio 1, l'unità di A.
La moltiplicazione tra polinomi è associativa, e vale la proprietà distributiva del prodotto rispetto
alla somma.
Non esiste in A[x] l'inverso di alcun polinomio di grado maggiore di 0: se infatti a(x) ha grado n>0,
non esiste alcun polinomio b(x) tale che
a(x)·b(x) = 1,
dato che il grado di a(x)·b(x) è certamente maggiore di 0.
Gli unici elementi di A[x] che possiedono inverso rispetto al prodotto (cioè gli elementi invertibili di
A[x]) sono i polinomi non nulli di grado 0, cioè gli elementi di A diversi da 0.
Da quanto esposto risulta che l'insieme dei polinomi (A[x],+,) a coefficienti in un campo A è un
anello commutativo, dotato di unità, e privo di divisori dello zero.
A[x] non è però un campo, dato che non esiste l'inverso di un polinomio; quindi in A[x] non è
possibile in generale l'operazione di divisione.
OSSERVAZIONE. In modo analogo alla costruzione del campo Q a partire dall'anello Z si
costruisce il campo delle frazioni algebriche a partire dall'anello dei polinomi. L'inverso di un
polinomio a(x), che si indica con la scrittura
1
a( x)
non è un polinomio, e prende il nome di frazione algebrica (nella lettera x). Nell'insieme di tutte le
frazioni algebriche, cioè l'insieme di tutte le espressioni del tipo
a( x)
,
b( x )
dove a(x), b(x)A[x], b(x)0 si introduce la relazione di equivalenza
a( x)
c( x )

se e solo se a(x)·d(x) = b(x)·c(x);
b( x )
d ( x)
l'insieme delle classi di equivalenza così ottenuto è un campo rispetto alle usuali operazioni di
somma e prodotto:
a( x)
c( x )
a ( x ) · d ( x )  b ( x ) · c( x )


b( x ) d ( x )
b( x ) · d ( x )
a ( x ) c( x )
a ( x ) · c( x )
·

b( x ) d ( x )
b( x ) · d ( x )
Esistono interessanti analogie tra l'anello degli interi Z e l'anello dei polinomi su un campo A. Come
in Z, anche in A[x] è possibile definire le operazioni "div" e "mod", cioè è possibile definire una
divisione con resto, e quindi applicare l'algoritmo euclideo (per esempio per il calcolo del MCD tra
polinomi).
Sia (A,+,) un campo.
TEOREMA. Per ogni a(x),b(x)A[x], b(x)0, esistono due polinomi q(x),r(x)A[x] tali che
a(x) = q(x)b(x)+r(x)
con deg[r(x)]<deg[b(x)]. Inoltre q(x) e r(x) sono unici.
Dimostrazione. Fissato il polinomio b(x), dimostriamo la prima parte del teorema per induzione sul
grado di a(x). Se deg[a(x)]<deg[b(x)], allora
q(x)=0, e
r(x)=a(x):
a(x) = 0·b(x)+a(x)
e il teorema è dimostrato. Sia ora deg[a(x)]deg[b(x)]. Supponiamo che il teorema sia vero se
deg[a(x)]<n, e dimostriamolo vero se deg[a(x)]=n. Siano
a(x) = anxn + +a1x+a0
b(x) = bmxm + +b1x+b0
con a(x),b(x)Q[x], e nm.
Il quoziente tra i due monomi di grado massimo di a(x) e b(x) è il monomio
an n  m
x ,
bm
Consideriamo il polinomio
a
1)
a '( x )  a ( x )  n x nm  b( x ) .
bm
Risulta deg[a'(x)]<deg[a(x)], poiché la sottrazione annulla il termine di grado massimo di a(x);
quindi per a'(x) vale l'ipotesi induttiva, cioè esistono due opportuni polinomi q0(x) , r0(x) tali che
a'(x) = q0(x) b(x)+r0(x)
con deg[r0(x)]<deg[b(x)]. Quindi, dalla 1) otteniamo:
an nm
x  b( x )
bm
a
= q0(x) b(x)+r0(x) + n x n  m·b(x)
bm
a(x) = a '( x ) 


a
= q0 ( x)  n x nm   b( x)  r0 ( x)
bm


cioè
a(x) = q(x)b(x)+r(x)
con q(x)=q0(x) +(an /bm )xn-m, e r(x)=r0(x) .
La coppia di polinomi q(x), r(x) è unica. Se fosse
a(x) = q(x)b(x)+r(x)
a(x) = q'(x)b(x)+r'(x)
con deg[r(x)]<deg[b(x)], deg[r'(x)]<deg[b(x)], allora
q(x)b(x)+r(x) = q'(x)b(x)+r'(x)
[q(x)q'(x)]·b(x) = r'(x)r(x)
Se fosse q(x)q'(x) il polinomio a primo membro avrebbe grado maggiore o uguale al grado di b(x),
impossibile, dato che il polinomio a secondo membro ha grado minore del grado di b; quindi
q(x)=q'(x), q(x)q'(x)=0, e di conseguenza r(x)=r'(x).
OSSERVAZIONE. L'ipotesi che i coefficienti dei polinomi appartengano ad un campo è giustificata
dal fatto che la dimostrazione del precedente teorema richiede che sia eseguibile la divisione tra i
coefficienti an e bm, e quindi esista l'inverso rispetto al prodotto di un coefficiente diverso da 0.
Così come in Z è possibile parlare di numeri primi e numeri composti, anche nell'anello dei
polinomi su un campo A è possibile dare una definizione di polinomi primi (irriducibili) e composti
(riducibili).
DEFINIZIONE. Sia (A,+,) un campo. Un polinomio p(x)A[x] di grado n>0 si dice riducibile (o
scomponibile) se esistono due polinomi d1(x) e d2(x), entrambi di grado minore di n tali che
p(x) = d1(x)·d2(x).
Un polinomio che non sia riducibile si dice irriducibile (oppure primo).
È essenziale che entrambi i polinomi d1(x) e d2(x) siano di grado minore di n, altrimenti qualunque
polinomio sarebbe riducibile, perché lo si può sempre scomporre nel prodotto di un polinomio di
grado 0 e un polinomio di grado n. Per esempio
2 5
5
x2+1 =   x 2   ,
5 2
2
2
mentre x +1 è un polinomio irriducibile sia in Q[x] che in R[x].
Vogliamo sottolineare ancora una volta che la definizione di riducibilità non è assoluta, ma è
relativa al campo dei coefficienti; non ha senso in generale l'affermazione "p(x) è irriducibile", ma
occorre precisare "p(x) è irriducibile in A[x]".
OSSERVAZIONE. Se A è un campo, e K un sottocampo di A (un sottoinsieme di A che è a sua
volta un campo), allora K[x] è un sottoanello di A[x], e ogni polinomio a coefficienti in K si può
pensare come polinomio a coefficienti in A (in particolare ogni polinomio a coefficienti in Q è un
polinomio a coefficienti in R). Se un polinomio p(x) è riducibile in K[x], allora è ovviamente
riducibile anche in A[x], dato che KA, mentre non è vero il viceversa: x22 è riducibile in R[x] ma
non in Q[x]; di conseguenza se un polinomio è irriducibile in A[x], allora p(x) è irriducibile anche in
K[x] (e naturalmente non è vero il viceversa).
ESEMPI
 Il polinomio x32 è irriducibile in Q[x], ma è riducibile in R[x]: infatti è divisibile per
x3 2 .
 Il polinomio x2+5 è irriducibile in R[x] (e in Q[x]), ma è riducibile in Z7[x]:
(x+4)·(x+3) = x2+7x+12 = x2+5.
 Il polinomio x2+1 è irriducibile in Z3[x] e in R[x], ma è riducibile in Z5[x]:
(x+2)·(x+3) = x2+5x+6 = x2+1.
 I polinomi xn1 sono sempre riducibili in Q[x] (e in R[x]); infatti per ogni n>1 risulta
xn1 = (x1)·(xn-1+xn-2+  +x+1).
 I polinomi di primo grado ax+b sono sempre irriducibili qualunque sia il campo dei
coefficienti, dato che non possono essere espressi dal prodotto di due polinomi di grado 0.
 Gli unici polinomi irriducibili in R[x] sono i polinomi di primo grado ax+b e i polinomi di
secondo grado ax2+bx+c con b24ac negativo.
 Gli unici polinomi irriducibili in C[x]


I polinomi irriducibili hanno, nella fattorizzazione dei polinomi, lo stesso ruolo che i numeri primi
hanno nella fattorizzazione dei numeri interi.
Se un polinomio è riducibile in A[x], allora, come abbiamo già osservato, la sua fattorizzazione non
è unica; se
p(x) = a(x)·b(x)
e se kA, k0, allora
p(x) = [k·a(x)]·[k-1·b(x)].
Per esempio, in Q[x] il polinomio x21 ammette la fattorizzazione (x+1)(x1), ma nulla vieta di
scrivere
1
1
1
x2 1 = 2· (x+1)(x1) = (2x+2)  x  
2
2
2
Tuttavia le due fattorizzazioni sono "sostanzialmente" uguali, nel senso che differiscono soltanto
per una costante di Q, nello stesso modo in cui le fattorizzazioni di 6: (+2)(+3), e (2)(3) sono
sostanzialmente uguali in Z.
Vale infatti il seguente teorema.
TEOREMA. Sia A un campo, e p(x) un polinomio riducibile di A[x]. Esiste ed è unica (a meno
dell'ordine dei fattori) la scomposizione di p(x) nel prodotto
p(x) = k·a1(x)·a2(x)· ·an(x)
dove k è il coefficiente direttivo di p(x) e gli ai(x) sono polinomi monici e irriducibili di A[x].
ESEMPIO. In Z5[x] il polinomio 2x2+3 si scompone in vari modi nel prodotto di due polinomi di
primo grado; per esempio
2x2+3 = (2x+3)(x+1) = (3x+2)(4x+4) = (2x+2)(x+4),
ma è unica la scomposizione nel prodotto del coefficiente direttivo 2 e di polinomi monici:
2x2+3 = 2(x+1)(x+4).
ESEMPIO. In Q[x] il polinomio 6x25x+1=(3x1)(2x1) si scompone in un unico modo nel
prodotto di 6 e di due fattori lineari:
1 
1

6x25x+1 = 6  x   x   .
3 
2

2. L’aspetto semantico
Consideriamo in generale l'anello A[x] dei polinomi su un campo A, e un polinomio (x)A[x].
Abbiamo fino ad ora considerato un polinomio in modo astratto, indipendentemente dalla funzione
che esso rappresenta; è evidente che ogni polinomio
(x) = bnxn +  +b1x+b0
definisce una funzione da A in A: ad ogni elemento aA tale funzione associa l'elemento di A che si
ottiene sostituendo a al posto di x nel polinomio:
a bnan +  +b1a+b0 = (a).
Si presti attenzione al fatto che (x) e (a) sono elementi di insiemi differenti: mentre (x) è un
polinomio dell'anello A[x], (a) è un elemento del campo A.
DEFINIZIONE. Dato un polinomio (x) a coefficienti in un campo A, si chiama radice (o zero) di
(x) un elemento aA tale che
(a) = 0.
Quindi una radice di un polinomio (x) è una soluzione della equazione
(x)=0;
la ricerca delle radici di un polinomio è equivalente alla risoluzione di una equazione polinomiale.
ESEMPIO. In R[x] il polinomio x22x1 ammette le due radici
a1 = 1 2
a2 = 1+ 2 ,
mentre lo stesso polinomio non ammette alcuna radice in Q[x], né in Z5[x].
ESEMPIO. Il polinomio (x)=x5+x+1 in Z5 ammette come radice il numero 2:
(2)=0.
Il celebre teorema di Ruffini mette in relazione un polinomio (oggetto sintattico) con la funzione che
esso rappresenta (oggetto semantico).
TEOREMA di Ruffini. Sia (x) un polinomio a coefficienti in un campo A. Se (a)=0 (cioè se aA
è una radice di (x)), allora il polinomio di primo grado
xa
è un divisore di (x). Viceversa, se (xa) è un divisore di (x) allora (a)=0.
Dimostrazione. Per il teorema della divisione tra polinomi, esistono due polinomi q(x) e r(x) tali che
(x) = q(x)·(xa)+r(x)
con gr[r(x)]<1, quindi r(x) è un polinomio di grado 0, cioè un elemento r del campo A. Scriviamo
allora
(x) = q(x)·(xa)+r;
la precedente è una uguaglianza tra polinomi, e questo significa che i polinomi a primo e secondo
membro hanno lo stesso grado e gli stessi coefficienti. Sostituendo a al posto di x otteniamo invece
una uguaglianza tra elementi di A:
(a) = q(a)·(aa)+r = r.
Se a è una radice di (x), allora (a)=0, quindi r=0, e xa è di conseguenza un divisore di (x).
Viceversa, se (xa) è un divisore di (x) allora
(x) = (xa)·g(x)
da cui
(a) = (aa)·g(a) = 0.
cioè a è una radice di (x).
ESEMPIO. Sia (x)=x2+3 un polinomio di Z7[x]. Poiché 5 è una radice di (x), allora (x) è
divisibile per (x5), cioè per (x+2). Eseguendo la divisione otteniamo infatti
x2+3 = (x+2)·(x+5).
Una conseguenza immediata del teorema di Ruffini è la seguente: se un polinomio ammette una
radice, allora è riducibile: infatti se a è una radice del polinomio(x), allora (x) è divisibile per
(xa), (x)=(xa)·g(x), e (x) è riducibile.
Per esempio, in Z5[x], 2 è una radice del polinomio (x)=x5+x+1, quindi (x) è divisibile per
x2=x+3:
x5+x+1 = (x+3)·(x4+2x3+4x2+3x+2).
Tuttavia non è vero il viceversa: se un polinomio è riducibile, non è detto che ammetta radici nel
campo dei coefficienti. Per esempio, il polinomio x4+4 non ammette radici in Q (e neppure in R),
ma è riducibile:
x4+4 = (x22x 2)(x2+2x+2).
Vediamo altre importanti conseguenze del teorema di Ruffini.
TEOREMA fondamentale dell’algebra. Un polinomio non nullo (x) di grado n, a coefficienti in un
campo A, ammette, al più, n radici distinte.
Dimostrazione (per induzione). Se n=0 allora (x) è un elemento di A diverso da 0, quindi non
ammette alcuna radice. Supponiamo ora che il teorema sia vero per polinomi di grado minore di n, e
dimostriamolo per n. Sia (x) un polinomio di grado n, con r radici distinte
a1, a2, , ar;
dobbiamo dimostrare che rn. Poiché (ar)=0, per il teorema di Ruffini risulta
(x) = (xar)·g(x)
(uguaglianza tra polinomi) e g(x) ha grado n1. Per ogni ai, con i=1, 2, , r1, risulta (ai)=0, e
dunque
(ai) = (aiar)·g(ai) = 0
(uguaglianza tra elementi di A).
Poiché aiar, deve essere necessariamente g(ai)=0. Quindi il polinomio g(x) ammette r1 radici
distinte. Poiché il grado di g(x) è n1, per esso vale l'ipotesi induttiva: deve risultare r1n1,
quindi rn, come volevasi dimostrare.
OSSERVAZIONI.
 Nel precedente teorema l'ipotesi che A sia un campo è necessaria. Per esempio il polinomio
x(x+1)(x+2)=x3+3x2+2x a coefficienti in Z6 è di 3° grado ma ammette come radici tutti gli
elementi di Z6, quindi ammette 6 radici distinte.
 Se un polinomio (x) di grado n ammette più di n radici, esso è il polinomio nullo, (x)=0, e
allora tutti gli elementi di A sono ovviamente radici di (x).
 Se due polinomi (x), g(x), al più di grado n, hanno lo stesso valore per n+1 elementi distinti di
A, allora coincidono. Infatti se fosse
(a1)=g(a1), (a2)=g(a2), , (an+1)=g(an+1)
allora il polinomio (x)g(x) ammetterebbe le n+1 radici a1, a2, , an+1; poiché (x)g(x) ha
grado al più uguale a n, esso coincide con il polinomio nullo, (x)g(x) = 0, e dunque (x)=g(x).
 Se un polinomio (x) di grado n, a coefficienti in un campo A,
 (x) = bnxn+ +b1x+b0,
ammette le n radici a1, a2, , an, allora
 (x) = bn(xa1)(xa2) (xan).
Una importante conseguenza del Teorema di Ruffini riguarda il problema del confronto tra il
polinomio (x) e la funzione (x).
Due polinomi (x) e g(x) sono uguali se hanno lo stesso grado e gli stessi coefficienti, cioè se sono
sintatticamente uguali, cioè ancora se sono lo stesso elemento di A[x]. Due funzioni, (x) e g(x),
sono uguali se hanno lo stesso dominio D, e per ogni aD risulta (a)=g(a).
Ci chiediamo: due polinomi (x), g(x)A[x] che siano uguali come funzioni, cioè per ogni aA
risulti (a)=g(a), sono uguali anche come polinomi? A questa domanda risponde il seguente
teorema, che è noto come teorema di identità dei polinomi.
TEOREMA. Se A è un campo con infiniti elementi, (x), g(x)A[x], allora (x) e g(x) sono uguali
come funzioni se e solo se sono uguali come polinomi.
Dimostrazione. È ovvio che se (x) e g(x) sono uguali come polinomi, allora sono uguali come
funzioni. Viceversa, se sono uguali come funzioni allora per ogni aA risulta
(a) = g(a)
e quindi il polinomio h(x)=(x)g(x) è tale che h(a)=0 per ogni elemento a di A, cioè ammette
infinite radici. D'altra parte, detto n il grado di h(x), le sue radici distinte non possono essere in
numero maggiore di n, e quindi h(x) è il polinomio nullo, e di conseguenza
(x)g(x) = 0
(x) = g(x),
cioè (x) e g(x) sono lo stesso polinomio.
Nella dimostrazione è essenziale che A abbia infiniti elementi. Il teorema non è vero in generale per
i polinomi su un campo finito.
Ecco un controesempio: consideriamo in Z5[x] i polinomi
(x) = x5+x3x+1,
g(x) = x3+1.
(x) e g(x) sono polinomi diversi. Tuttavia
(0) = g(0) = 1
(1) = g(1) = 2
(2) = g(2) = 4
(3) = g(3) = 3
(4) = g(4) = 0
cioè (x) e g(x) sono uguali come funzioni. Il controesempio è stato costruito applicando il teorema
di Fermat: per ogni x  0 (mod 5), x41 (mod 5), quindi
x5x0 (mod 5).
OSSERVAZIONE. I grafici di due distinte funzioni polinomiali qualsiasi, y=(x), y=g(x)R[x], non
si sovrappongono su nessun intervallo, dato che ad un intervallo appartengono infiniti numeri reali.
3. L'anello Q[x].
Assume particolare interesse, in matematica, l'anello Q[x] dei polinomi a coefficienti razionali.
Vogliamo occuparci, in particolare, del problema della irriducibilità di un polinomio in Q[x].
Cominciamo a dimostrare un risultato che ci permette di semplificare il problema: la riducibilità in
Q[x] è equivalente alla riducibilità in Z[x], e quindi studieremo più semplicemente polinomi a
coefficienti interi, anziché a coefficienti razionali.
Osserviamo innanzitutto che se g(x) è un polinomio a coefficienti razionali, e se m è il minimo
comune multiplo dei denominatori dei coefficienti, allora moltiplicando g(x) per m si ottiene un
polinomio (x) a coefficienti interi:
(x) = m·g(x).
Naturalmente g(x) è irriducibile in Q[x] se e solo se lo è (x), e quindi possiamo occuparci, anziché
di g(x), di (x).
Ma c'è di più: se un polinomio a coefficienti interi (x) è riducibile in Q[x], allora è fattorizzabile
nel prodotto di polinomi a coefficienti interi. Vale infatti il seguente teorema.
TEOREMA (di Gauss). Sia (x) un polinomio a coefficienti interi. Se (x) è riducibile in Q[x],
allora (x) è riducibile in Z(x), cioè: se (x) si fattorizza mediante polinomi a coefficienti razionali,
allora è possibile trovare una fattorizzazione di (x) mediante polinomi a coefficienti interi.
Dimostrazione. Abbiamo visto che se (x) è riducibile, allora è unica la sua fattorizzazione
(x) = k·c1(x)·c2(x)·  ·cn(x)
dove kQ, e i polinomi ci(x) sono irriducibili e monici, a coefficienti razionali. Siano m1, m2,  ,
mn, rispettivamente, il minimo comune multiplo dei denominatori dei coefficienti di c1(x), c2(x), 
cn(x), di modo che
m1·c1(x), m2·c2(x), , mn·cn(x)
siano polinomi a coefficienti interi. Poiché
k·c1(x)·c2(x)·  ·cn(x)
è un polinomio a coefficienti interi, allora k è un multiplo del prodotto dei minimi comuni multipli:
k = h·m1·m2·  ·mn
quindi
(x) = h·[m1·c1(x)]·[m2·c2(x)]·  ·[mn·cn(x)]
è una fattorizzazione di (x) mediante polinomi a coefficienti interi.
Il precedente teorema dice in sostanza che un polinomio è irriducibile in Z[x] se e solo se è
irriducibile in Q[x]. D'ora in avanti ci occupiamo quindi di polinomi a coefficienti interi.
Il seguente ben noto teorema permette di determinare tutti i fattori di primo grado di un polinomio a
coefficienti interi.
TEOREMA (delle radici razionali). Sia
(x) = anxn+ +a1x+a0
un polinomio a coefficienti interi. Se p/q è una radice razionale di (x), con MCD(p,q)=1, allora

p è un divisore del termine noto a0, e

q è un divisore del coefficiente direttivo an.
La conseguenza fondamentale di questo teorema è che possiamo, in un numero finito di tentativi,
determinare tutte le radici razionali di un polinomio a coefficienti interi: esse vanno cercate
nell'insieme (finito) delle frazioni p/q tali che p sia un divisore del termine noto, e q sia un divisore
del coefficiente direttivo.
OSSERVAZIONI.
 Il teorema delle radici razionali ci consente di determinare tutti i divisori di primo grado di un
polinomio (x)Z[x]; se (x) ammette una radice razionale p/q (e possiamo stabilirlo con un
numero finito di tentativi) allora è riducibile, perché è divisibile per (xp/q), e per il teorema di
Gauss è divisibile per (qxp).
 Se il coefficiente direttivo di un polinomio (x) a coefficienti interi è 1 (o 1), allora le radici
razionali di (x) possono essere solo numeri interi.
 Se un polinomio (x) di grado 2 o 3 non ammette radici razionali, allora è irriducibile in Q[x].
Infatti se fosse riducibile avrebbe necessariamente un fattore di primo grado, e quindi una radice
razionale.
 Il teorema delle radici razionali ci fornisce un criterio per stabilire la irrazionalità di un numero
reale.
ESEMPIO. Dimostrare che x= 2  3 è irrazionale. Risulta
x2 = 5+2 6
x2  5 = 2 6
x410x2+1 = 0.
Quindi il numero reale 2  3 è una radice del polinomio x410x2+1; ma le radici razionali
di questo polinomio potrebbero essere soltanto 1 e 1, quindi 2  3 è irrazionale.
I risultati precedenti ci consentono di riconoscere qualunque polinomio irriducibile di grado n3 in
Q[x]. Se n>3 il teorema sulle radici razionali non è sufficiente per riconoscere se un polinomio è
irriducibile. Infatti, come abbiamo già osservato, se (x) non ammette radici razionali, allora non è
detto che sia irriducibile.
ESEMPIO. Il polinomio
(x) = x46x2+8
potrebbe ammettere come radici razionali soltanto i numeri 1, 2, 4, 8, e nessuno di questi
annulla il polinomio (x). Tutto ciò che possiamo affermare è che: (x) è irriducibile, oppure si
scompone nel prodotto di due polinomi di secondo grado irriducibili, cioè certamente non ha fattori
lineari. Risulta infatti
x46x2+8 = (x22)(x23).
Esiste un algoritmo per stabilire se un polinomio (x)Z[x] è irriducibile?
Esiste una soluzione generale (un metodo di interpolazione è dovuto a Lagrange, e si presta ad un
lavoro molto interessante in aula di informatica), ma essa è abbastanza faticosa.
Vogliamo soltanto illustrare due criteri particolari di irriducibilità di un polinomio in Z[x] (e quindi
in Q[x]).
Il criterio basato sul teorema di Gauss.
Analizziamo un esempio particolare: (x)=x5+x+1. Possiamo subito controllare, con il teorema delle
radici razionali, che (x) non ha fattori lineari Quindi se (x) è riducibile può fattorizzarsi soltanto
come prodotto di un polinomio di 2° grado per uno di 3° grado:
(x) = (ax3+bx2+cx+d)·(ex2+fx+g)
e per il teorema di Gauss esiste una fattorizzazione di (x) per cui a, b, c, d, e, f, g sono interi.
Possiamo impostare il sistema di 6 equazioni in 7 incognite in Z (in generale se il polinomio (x) è
di grado n si ha un sistema di n+1 equazioni in n+2 incognite):
ae = 1
af+be = 0
ag+bf+ce = 0
bg+cf+de = 0
cg+df = 1
dg = 1
Poiché le variabili sono intere, non è difficile risolvere questo sistema per tentativi: se ae=1, allora
a=e=1, oppure a=e= 1, e analogamente per d e g. Supponiamo a=e=d=g=1;
f+b = 0
1+bf+c = 0
b+cf+1 = 0
c+f = 1
dalla prima equazione otteniamo b= f, e dall'ultima c=1f; risulta
f2+f2 = 0
f21 = 0
Queste equazioni sono entrambe soddisfatte da f=1, e quindi il sistema ammette la soluzione: a=1,
b= 1, c=0, d=1, e=1, f=1, g=1; concludendo
(x) = (x3x2+1)·(x2+x+1);
poiché (x) è monico, la fattorizzazione è unica, e i fattori sono irriducibili.
ESEMPIO. Sia (x)=x4+x+1. Anche in questo caso (x) non ammette radici razionali, quindi se
fosse riducibile si fattorizzerebbe nel prodotto di due polinomi di 2° grado:
(x) = (ax2+bx+c)·(dx2+ex+f).
Impostiamo il sistema di 5 equazioni in 6 incognite:
ad = 1
ae+bd = 0
af+be+cd = 0
bf+ce = 1
cf = 1
Supponiamo a=e=c=f=1; otteniamo
bd = 1
b+d = 1
b = 0;
le tre equazioni sono incompatibili, dunque il sistema non ammette soluzioni nel caso a=e=c=f=1;
in modo analogo si verifica che il sistema non ammette soluzioni nemmeno nei casi
a = e = 1,
c=f=1
a = e = 1,
c = f = 1
a = e = 1,
c = f = 1.
Dunque il sistema è impossibile in Z, e di conseguenza il polinomio x4+x+1 è irriducibile in Z[x] (e
quindi in Q[x]).
Il criterio di irriducibilità in Zn[x].
Sia (x) un polinomio a coefficienti interi. Riduciamo tutti i coefficienti di (x) rispetto ad un
modulo n, ottenendo un polinomio n(x)Zn[x] (n deve essere primo con il coefficiente direttivo di
(x), perché altrimenti (x) e n(x) potrebbero avere grado differente, e quindi non sarebbero valide
le successive considerazioni).
Per esempio
(x) = x4+6x34x2+5x+7;
se n=2 otteniamo
2(x) = x4+x+1.
Se (x)=a(x)·b(x) in Z[x], allora, riducendo modulo n i coefficienti di (x), a(x) e b(x), continua a
valere l'uguaglianza n(x)=an(x)·bn(x) in Zn[x]: quindi se (x) è riducibile in Z[x], allora n(x) è
riducibile in Zn[x]. Di conseguenza:
Se n(x) è irriducibile in Zn[x], allora (x) è irriducibile in Z[x] (e quindi è irriducibile in Q[x]).
Un vantaggio che offre questo criterio è che in Zn[x] il numero di polinomi di grado h è finito,
quindi si presta ad essere tradotto in algoritmo.
ESEMPIO. Tornando all'esempio precedente: 2(x) = x4+x+1 non ha radici in Z2: 2(0)=1, 2(1)=1,
quindi può fattorizzarsi solo nel prodotto di due polinomi di 2° grado; i polinomi di 2° grado in
Z2[x] sono 4:
x2 + x +1,
x2 + x,
x2 +1,
x2 .
e si può rapidamente controllare che nessun prodotto di due di questi dà 2(x).
Un altro vantaggio è che in Zn l'applicazione del criterio di Gauss è ancora più semplice.
ESEMPIO. Sia (x)=2x4+3x38x2+6x+1. In Z3 risulta
3(x) = 2x4+x2+1,
e questo polinomio non ha radici in Z3: 3(0)=1, 3(1)=1, 3(2)=1, quindi 3(x) può fattorizzarsi solo
nel prodotto di due polinomi di 2° grado:
2x4+x2+1 = (ax2+bx+c)·(dx2+ex+f),
con a,b,c,d,e,fZ3. Svolgendo il prodotto e uguagliando i coefficienti:
ad = 2
ae+bd = 0
af+be+cd = 1
bf+ce = 0
cf = 1;
Poiché siamo in Z3 deve necessariamente risultare c=f=1, e a=1, d=2 (oppure a=2, d=1). Se a=1,
d=2 risulta
e+2b = 0
1+be+2 = 1
b+e = 0
Dalla prima e dalla terza equazione ricaviamo b=e=0, mentre la seconda è equivalente a be=1,
dunque il sistema è impossibile; se a=2, d=1 risulta
2e+b = 0
2+be+1 = 1
b+e = 0
e in modo analogo si ricava che il sistema è impossibile. Dunque 2x4+x2+1 è irriducibile in Z3[x], e
2x4+3x38x2+6x+1 è irriducibile in Z[x], e quindi in Q[x].
Bibliografia.
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