Campi ciclotomici e geometria combinatoria

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI
Dottorato di Ricerca in Matematica
XX Ciclo – A.A. 2006/2007
Settore Scientifico-Disciplinare:
MAT/03 – Geometria
Tesi di Dottorato
Campi ciclotomici
e geometria
combinatoria
Candidato:
Vincenzo GIORDANO
Supervisore della tesi:
Prof. G. KORCHMÁROS
Coordinatore del Dottorato di Ricerca:
Prof. L. LOPEZ
3
“In questa atmosfera in cui la carne si corrompe, in cui i corpi si disfano
per l’umidità, in cui tutto marcisce; in questa atmosfera che, per eccesso di vita, affretta la morte, mi sono aggrappato a esseri immateriali, a
entità ideali che né il caldo soffocante né l’umidità potevano corrompere. All’esuberanza informe contro la quale nulla si può fare, ho voluto
contrapporre il rigore controllato. Per resistere a quel delirio di materie
destinate a perire, mi sono immerso nella purezza immobile del cristallo.
Si sono mai viste definizioni matematiche imputridire su due piedi, teoremi liquefarsi, ragionamenti ammuffire, assiomi finire divorati dai vermi?
Ho scelto la matematica, e non soltanto perché è stata la materia nella
quale mi ero formato in origine. Ti verrà da ridere, ma è stato in quelle
circostanze, in cui ne andava della mia incolumità fisica, che mi sono
reso conto del fatto che la matematica è imputrescibile. Per sfuggire alla
pregnanza del reale che mi soffocava, ho dovuto fare appello a una pura
attività dello spirito...”
da Il Teorema del pappagallo Denis Guedj
Indice
Ringraziamenti
7
Prefazione
8
1 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri
1.1 Campi di numeri e anelli di interi . . . . . . . . . . . .
1.2 Fattorizzazione prima in anelli di interi . . . . . . . . .
1.3 Gruppo di decomposizione di un ideale primo in un
ciclotomico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.4 Teorema della ‘discesa di campo’ . . . . . . . . . . . .
. . . . .
. . . . .
campo
. . . . .
. . . . .
2 Strutture combinatorie finite
2.1 Disegni . . . . . . . . . . . . .
2.2 Il teorema di Minkowski . . . .
2.3 Insiemi di differenze . . . . . .
2.4 Disegni e matrici di Hadamard
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3 Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria
Combinatoria
3.1 Caratteri di gruppi abeliani finiti . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.2 Teorema dei moltiplicatori per insiemi di differenze relativi abeliani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.3 Limitazione dell’esponente di Schmidt . . . . . . . . . . . . . .
11
11
20
31
37
55
55
66
71
75
81
81
93
98
4 Insiemi di differenze affini
103
4.1 Piani affini ciclici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103
4.2 Somme di Gauss e somme di Eisenstein su campi finiti . . . . . 118
4.3 Piani affini abeliani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126
6
Bibliografia
INDICE
156
Ringraziamenti
Il primo ringraziamento va al Prof. G. Korchmaros per avermi costantemente seguito e guidato lungo tutto lo svolgersi del lavoro e per la fiducia che ha
sempre riposto in me. Desidero poi ringraziare il Prof. A. Mori dell’Università
di Torino, per i suoi consigli preziosi, e i Proff. V. Abatangelo e B. Larato
per l’aiuto e il supporto che mi hanno offerto nel mio lavoro. Infine, il ringraziamento più sentito alla mia famiglia, per il suo continuo incoraggiamento e
supporto. Dedico questa tesi a mio padre.
8
Ringraziamenti
Prefazione
Un approccio efficace allo studio degli insiemi di differenze di un gruppo finito
G consiste nel tradurre la loro definizione in un’equazione nell’anello gruppale
intero Z[G] e nell’analizzare tale equazione applicando la teoria dei caratteri
lineari complessi. Utilizzando nozioni e risultati classici di Teoria Algebrica dei
Numeri, in riferimento soprattutto ai campi ciclotomici, è cosı̀ possibile pervenire, in modo molto elegante, a numerosi risultati di Geometria Combinatoria
(risultati di non-esistenza, teoremi sui moltiplicatori) e provare, almeno in parte, alcune congetture profonde, quale la ben nota congettura sulle matrici di
Hadamard circolanti.
Il lavoro che ha inaugurato le ricerche in questo ambito, è quello di Turyn
(1965) [20], in cui viene introdotto il concetto basilare di auto-coniugio.
Contributi notevoli in questa direzione sono dati, in particolare, nei lavori di
Yamamoto (1963) [21] e di Mann (1965) [16]; l’idea di applicare tale approccio
ai piani proiettivi ciclici, è stata sviluppata nel lavoro fondamentale di Hall
(1947) [8].
Obiettivo di questa tesi, è di mostrare concretamente la potenza e l’eleganza
di tale approccio nell’affrontare problemi di Geometria Combinatoria.
Nel primo capitolo della tesi, vengono descritti alcuni risultati preliminari di
Teoria Algebrica dei Numeri; viene descritta in modo completo e dettagliato
la struttura del gruppo di decomposizione di un ideale primo in un campo
ciclotomico, che svolge un ruolo di fondamentale importanza nella tesi. Viene
enunciato e dimostrato il teorema della “discesa di campo” (“field descent”); la dimostrazione dipende essenzialmente da alcuni lemmi sugli ordini
moltiplicativi che si possono ricavare da risultati più generali esposti nel volume di Jacobson [12]. Per la completezza dell’esposizione, si è preferito fornire
la dimostrazione di tali lemmi.
Nel secondo capitolo, sono introdotte le strutture combinatorie finite, oggetto
di studio della tesi: i disegni, le matrici di Hadamard, i piani affini e proiettivi
di ordine finito e gli insiemi di differenze.
10
Prefazione
Il terzo capitolo è dedicato ad alcune applicazioni alla Geometria Combinatoria dei risultati presentati nel primo capitolo. Due risultati centrali sono il
teorema sui moltiplicatori di insiemi di differenze relativi abeliani e la limitazione dell’esponente di Schmidt [19]. Quest’ultima consente di dimostrare la
validità della congettura sulle matrici di Hadamard circolanti, sotto una certa
ipotesi non molto stringente relativa agli ordini di tali matrici.
Nel quarto capitolo si studiano i cosiddetti insiemi di differenze affini,
cosı̀ chiamati poichè danno origine a piani affini. Hoffman ha studiato i piani affini ciclici nel suo celebre articolo del 1952 [9]. Nella presente tesi,
si dà una dimostrazione più esplicita del Teorema 3.1 di Hoffman, fornendo
anche la dimostrazione dei lemmi preliminari da lui solo citati. Utilizzando
un teorema sui moltiplicatori provato nel terzo capitolo, si ottiene una generalizzazione del Teorema 3.1 di [9]. Facendo uso anche di considerazioni di
carattere geometrico, vengono provati alcuni teoremi sugli insiemi di differenze affini abeliani e, in particolare, su ovali invarianti rispetto al gruppo dei
moltiplicatori. Mediante un modello ciclico del piano affine classico AG(2, q),
con q e (q +1)/2 dispari, un opportuno insieme di (q +3)/2 punti di una conica
viene esteso ad un (q + 7)/2-arco con l’aggiunta di due punti impropri esterni
alla conica medesima. La tesi si conclude con la descrizione di una variante
non-abeliana generale del test di Mann per insiemi di differenze divisibili,
dovuta ad Arasu-Jungnickel-Pott [3] e di un teorema di Arasu-Pott [5] che dà
luogo ad alcuni risultati di non-esistenza.
Capitolo 1
Risultati preliminari di Teoria
Algebrica dei Numeri
1.1
Campi di numeri e anelli di interi
In questa sezione si elencano risultati standard di Teoria Algebrica dei Numeri.
Per le dimostrazioni, in gran parte omesse, si rimanda ai testi Number Fields
di D.A.Marcus [17] e A Classical Introduction to Modern Number Theory di
K.Ireland e M.Rosen [11].
Definizione 1.1.1 Un numero complesso α si dice un numero algebrico se è
zero di un polinomio non nullo a coefficienti interi. Si dice un intero algebrico
se è zero di un polinomio monico a coefficienti interi.
Proposizione 1.1.2 Un numero razionale r ∈ Q è un intero algebrico se e
solo se r ∈ Z.
Proposizione 1.1.3 L’insieme di tutti i numeri algebrici è un campo.
Proposizione 1.1.4 L’insieme di tutti gli interi algebrici è un anello che sarà
denotato con A.
Definizione 1.1.5 Un sottocampo K di C è detto un campo di numeri (algebrici) se esso è una estensione finita di Q. L’anello R = A ∩ K è detto l’anello
degli interi (algebrici) in K.
Osservazione 1.1.6 Nel seguito per ideale si intenderà sempre ideale non
nullo.
12
Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri
Lemma 1.1.7 Sia β ∈ K, R = A ∩ K, con K un campo di numeri. Esiste un
intero b ∈ Z, b 6= 0, tale che bβ ∈ R.
Proposizione 1.1.8 Ogni ideale I di R contiene una base di K su Q.
In questa sezione K e L sono sottocampi di C, K ⊆ L, L estensione finita
di K, [L : K] = n, n > 1.
Teorema 1.1.9 (Teorema dell’elemento primitivo) Esiste α ∈ L tale che
L = K(α).
Teorema 1.1.10 Sia σ : K → C un monomorfismo. Allora esistono esattamente n monomorfismi distinti (o immersioni) σi : L → C(i = 1, . . . , n) che
estendono σ.
Corollario 1.1.11 Con le stesse notazioni precedenti, esistono esattamente n
monomorfismi σi : L → C (i = 1, . . . , n) che fissano elemento per elemento
K (cioè tali che σi (a) = a, ∀a ∈ K, ∀i).
Ha senso, quindi, la seguente:
Definizione 1.1.12 Sia K un campo di numeri, [K : Q] = n. Siano
σ1 , σ2 , . . . , σn i monomorfismi di K in C che fissano Q. Per ogni α ∈ K,
si ponga
T (α) = σ1 (α) + σ2 (α) + · · · + σn (α)
N (α) = σ1 (α) · σ2 (α) · · · σn (α)
T (α) è detta traccia di α, N (α) norma di α.
Proposizione 1.1.13 ∀α ∈ K, T (α) ∈ Q e N (α) ∈ Q. Se α ∈ R, allora
T (α) ∈ Z e N (α) ∈ Z.
Dimostrazione. Sia α ∈ K e p(X) il polinomio minimo di α su Q,
deg(p(X)) = d. Chiaramente d | n, dal momento che [K : Q] = [K : Q(α)] ·
[Q(α) : Q] e [Q(α) : Q] = d. Dunque [K : Q(α)] = nd . Se t(α) e n(α) sono
rispettivamente, la somma e il prodotto dei d coniugati di α, allora è facile
vedere che
n
T (α) = t(α)
d
n
N (α) = n(α) d
1.1 Campi di numeri e anelli di interi
13
Per le formule di Viète, applicate al polinomio p(X) ∈ Q[X], si ha che t(α) ∈ Q
e n(α) ∈ Q. Dunque , anche T (α) e N (α) sono numeri razionali. Se α ∈ R,
allora p(X) ∈ Z[X] e quindi t(α) e n(α) sono interi. Pertanto T (α) e N (α)
sono interi. Definizione 1.1.14 Sia K un campo di numeri di grado n su Q. Siano
σ1 , σ2 , . . . , σn gli n monomorfismi di K in C che fissano Q. Per ogni n-upla
di elementi α1 , α2 , . . . , αn ∈ K, si definisce discriminante di α1 , α2 , . . . , αn il
seguente numero
∆(α1 , α2 , . . . , αn ) = [det(σi (αj ))]2
Proposizione 1.1.15 ∆(α1 , . . . , αn ) = det(T (αi αj ))
Corollario 1.1.16 ∆(α1 , . . . , αn ) ∈ Q e se αi ∈ R ∀i = 1, 2, . . . , n allora si
ha ∆(α1 , . . . , αn ) ∈ Z.
Proposizione 1.1.17 ∆(α1 , . . . , αn ) = 0 se e solo se α1 , . . . , αn sono
linearmente dipendenti su Q.
Teorema 1.1.18 Sia (G, +) un gruppo abeliano libero di rango n e H un
sottogruppo di G. Allora H è un gruppo abeliano libero di rango m, con m 6 n.
Lemma 1.1.19 Sia K un campo di numeri di grado n su Q, R = A ∩
K, {α1 , . . . , αn } una base di K su Q formata da interi algebrici, e sia ∆ =
∆(α1 , . . . , αn ). Allora:
∆R ⊆ Zα1 + Zα2 + · · · + Zαn
Dimostrazione. Sia w ∈ R. Allora w si esprime in un solo modo come:
w = r1 α1 + r2 α2 + · · · + rn αn
con
ri ∈ Q
(1.1)
Applicando ad ambo i membri della (1.1) la i-esima immersione σi si ha:
σi (w) = r1 σi (α1 ) + r2 σi (α2 ) + · · · + rn σi (αn )
∀i = 1, . . . , n
Per la regola di Cramer applicata al seguente sistema:

σ1 (α1 )r1 + σ1 (α2 )r2 + · · · + σ1 (αn )rn = σ1 (w)



 σ2 (α1 )r1 + σ2 (α2 )r2 + · · · + σ2 (αn )rn = σ2 (w)
..

.



σn (α1 )r1 + σn (α2 )r2 + · · · + σn (αn )rn = σn (w)
14
Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri
γ
si ha che rj = δj ∀ j = 1, . . . , n con δ 2 = ∆. Chiaramente δ e γj sono interi
algebrici (δ soddisfa l’equazione X 2 − ∆ = 0 ). Per la Prop. 1.1.4 δγj è un
intero algebrico. Dunque, poichè ∆rj = δγj , risulta ∆rj ∈ A ∩ Q = Z (Prop.
1.1.2). Allora posto mj = ∆rj , chiaramente ∆w = m1 α1 + · · · + mn αn . Corollario 1.1.20 L’anello R degli interi di un campo di numeri K di grado
n è un gruppo abeliano libero di rango n.
Dimostrazione. È una immediata conseguenza del Teor. 1.1.18 e del
Lemma 1.1.19 poichè
Zα1 + Zα2 + · · · + Zαn ⊆ R ⊆ Zα1 /∆ + Zα2 /∆ + · · · + Zαn /∆
.
Definizione 1.1.21 Si definisce base intera del campo di numeri K, ogni base
{α1 , . . . , αn } di K su Q formata da interi algebrici tale che
R = Zα1 + Zα2 + · · · Zαn
.
Proposizione 1.1.22 Se {α1 , . . . , αn } e {β1 , . . . , βn } sono due basi intere di
K, allora ∆(α1 , . . . , αn ) = ∆(β1 , . . . , βn ).
Definizione 1.1.23 Si chiama discriminante di un campo di numeri K, il
discriminante di una sua base intera {α1 , . . . , αn }.
disc(K) = ∆(α1 , . . . , αn )
Proposizione 1.1.24 Sia K un campo di numeri di grado n su Q. Sia K =
Q(θ), p(X) il polinomio minimo di θ su Q. Allora {1, θ, . . . , θn−1 } è una base
di K su Q che ha discriminante dato da:
∆(1, θ, . . . , θn−1 ) = (−1)
n(n−1)
2
N (p0 (θ))
dove p0 (X) è la derivata formale di p(X).
2πi
Sia m > 0 un intero positivo, ξm = e m una radice primitiva m-esima
dell’unità in C. Il campo Q(ξm ) è detto l’m-esimo campo ciclotomico. I primi
due campi ciclotomici coincidono con Q. Quindi nel seguito si supporrà in
generale che m > 3. Inoltre ϕ denota la funzione di Eulero e ϕ(m) è il numero
degli elementi dell’insieme:
{k ∈ Z|1 6 k 6 m, (k, m) = 1}
1.1 Campi di numeri e anelli di interi
15
Teorema 1.1.25 L’anello degli interi di Q(ξm ) è Z[ξm ].
Definizione 1.1.26 Il polinomio
Φm (X) =
m
Y
a
(X − ξm
)
a=1
(a,m)=1
è detto l’m-esimo polinomio ciclotomico.
Teorema 1.1.27 Φm (X) ha coefficienti interi ed è irriducibile in Q[X].
ϕ(m)−1
Corollario 1.1.28 [Q(ξm ) : Q] = ϕ(m) e {1, ξm , . . . , ξm
intera di Q(ξm ) su Q.
} è una base
Definizione 1.1.29 Siano K ed L sottocampi di C, K ⊆ L e [L : K] = n. Si
dice che L è normale su K (o che L è un’estensione di Galois di K) se ∀α ∈ L
tutti i coniugati di α su K (cioè gli zeri del polinomio minimo di α su K) sono
ancora elementi di L.
Teorema 1.1.30 L è normale su K se e solo se ogni immersione di L in
C che fissa elemento per elemento K è effettivamente un automorfismo di L;
equivalentemente, il gruppo di Galois di L su K, Gal(L/K) ha ordine [L : K].
Per la definizione di gruppo di Galois, si veda il Teor. 1.1.40.
Teorema 1.1.31 Q(ξm ) è un’estensione normale di Q e
t
Gal(Q(ξm )/Q) = {σ : Q(ξm ) → Q(ξm )|σ(ξm ) = ξm
, 1 6 t 6 m, (t, m) = 1}
Lemma 1.1.32 Si ha che:
ϕ(m)−1
disc(Q(ξm )) = ∆(1, ξm , . . . , ξm
) | mϕ(m)
Dimostrazione. Per il Teor. 1.1.27 Φm (X) è il polinomio minimo di ξm
su Q. In virtù della Prop. 1.1.24 si ha che:
ϕ(m)−1
∆(1, ξm , . . . , ξm
) = (−1)
ϕ(m)(ϕ(m)−1)
2
N (Φ0m (ξm ))
cioè
ϕ(m)−1
N (Φ0m (ξm )) = ±∆(1, ξm , . . . , ξm
)
16
Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri
D’altra parte
X m − 1 = Φm (X)g(X),
g(X) ∈ Z[X]
Derivando si ha che:
mX m−1 = Φ0m (X)g(X) + Φm (X)g 0 (X)
Sostituendo ξm a X si ha:
m−1
mξm
= Φ0m (ξm )g(ξm )
e moltiplicando ambo i membri per ξm si ha che:
m = Φ0m (ξm )ξm g(ξm )
Passando alle norme (ricordando che la norma è moltiplicativa)
N (m) = N (Φ0m (ξm ))N (ξm g(ξm ))
cioè
ϕ(m)−1
mϕ(m) = ±∆(1, ξm , . . . , ξm
)N (ξm g(ξm ))
L’asserto segue dal fatto che ξm g(ξm ) ∈ Z[ξm ] = A ∩ Q(ξm ) (Teor. 1.1.25) e
quindi N (ξm g(ξm )) ∈ Z (Prop. 1.1.13). Lemma 1.1.33 Si supponga che p sia un numero primo tale che p - m e sia
n un intero positivo tale che
pn ≡ 1 (mod m)
Allora ∀w ∈ Z[ξm ] si ha che:
n
wp ≡ w (mod (p))
dove (p) = pZ[ξm ].
P
p
i
Dimostrazione. Sia w = m−1
i=0 ci ξm un intero ciclotomico. Poichè ci ≡
ci ( mod p) (Piccolo Teorema di Fermat) si ha che:
p
m−1
X
w =(
i=0
i p
ci ξm
)
≡
m−1
X
i=0
ip
cpi ξm
≡
m−1
X
i=0
ip
ci ξm
(mod (p))
1.1 Campi di numeri e anelli di interi
17
(si è fatto uso, nella catena di congruenze, della formula della potenza
multinomiale e del fatto che p | kp , ∀k = 1, . . . , p − 1). In ultima analisi,
p
w ≡
m−1
X
ip
ci ξm
(mod (p))
i=0
Ripetendo questo
processo n volte e utilizzando il fatto che pn ≡ 1 (mod m)
pn
implica che ξm = ξm , si ha l’asserto. Osservazione 1.1.34 Nella dimostrazione del Lemma 1.1.33 si è fatto implicitamente uso del Teor. 1.1.25. Tuttavia, utilizzando il Lemma 1.1.19, si
può dimostrare il Lemma 1.1.33 evitando il Teor. 1.1.25 (si veda K.Ireland
M.Rosen A Classical Introduction to Modern Number Theory [11]).
Particolarmente utile risulterà nel seguito, il seguente lemma dovuto a
Kronecker.
Lemma 1.1.35 (Lemma di Kronecker) Se un intero algebrico ha modulo
uguale a 1 insieme a tutti i suoi coniugati, allora esso è una radice dell’unità.
Dimostrazione. Sia α ∈ C un intero algebrico, K = Q(α) [K : Q] = n.
Siano σ1 , . . . , σn : K → C le n immersioni di K in C che fissano Q. Per ipotesi
|σi (α)| = 1, ∀i = 1, . . . , n (α ∈ R, dove R è l’anello degli interi di K). Il
polinomio minimo di α su Q è dato da:
n
Y
f (X) =
(X − σi (α))
i=1
f (X) ∈ Z[X] dato che α è intero. Sia
f (X) = X n + an−1 X n−1 + · · · + a1 X + a0
Per l’ipotesi del lemma, ∀k = 0, . . . , n − 1 |ak | 6
formule di Viète per cui, posto σi (α) = αi si ha:
n
k
ai ∈ Z
. Questo segue dalle
an−1 = −(α1 + α2 + · · · + αn )
an−2 = α1 α2 + α1 α3 + · · · + α1 αn + α2 α3 + · · · + αn−1 αn
an−3 = −(α1 α2 α3 + α1 α2 α4 + · · · + αn−2 αn−1 αn )
18
Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri
..
.
a0 = (−1)n α1 α2 · · · αn
Pertanto
|an−1 | = |α1 + α2 + · · · + αn | 6 |α1 | + |α2 | + · · · + |αn | = n =
n
n−1
|an−2 | 6 |α1 |·|α2 |+|α1 |·|α3 |+· · ·+|αn−1 |·|αn | = (n−1)+(n−2)+· · ·+1 =
n
n−2
..
.
|a0 | = |α1 · · · αn | = 1 =
n
0
Dunque α è zero di un polinomio di grado n avente coefficienti che sono interi
limitati. Polinomi siffatti sono chiaramente in numero finito, e quindi sono
tali anche i rispettivi zeri. Per ogni h > 1 si ha che αh ∈ R, e |σi (αh )| =
1 ∀i = 1, . . . , n. Quindi anche αh soddisfa le ipotesi del lemma, e pertanto
è zero di un polinomio di grado n avente coefficienti interi soggetti alle stesse
limitazioni di f (X). Poichè gli zeri di tali polinomi sono in numero finito,
segue che ∃h, k > 0, h 6= k, tali che αh = αk , e pertanto αh−k = 1 (supposto
h > k). Corollario 1.1.36 Sia w ∈ Z[ξm ] un intero ciclotomico di modulo uguale a
1. Allora w è una radice dell’unità in C.
Dimostrazione. Per il lemma di Kronecker, è sufficiente far vedere che
tutti i coniugati di w hanno modulo unitario, cioè che ∀σ ∈ Gal(Q(ξm )/Q) :
|σ(w)| = 1. Per il Teor. 1.1.31 Gal(Q(ξm )/Q) è un gruppo abeliano. ∀t ∈
Z, (t, m) = 1 si denoti con σt l’automorfismo di Galois di Q(ξm ) che a ξm
t . Allora w w̄ = |w|2 = 1. Sia σ ∈ Gal(Q(ξ )/Q),
associa ξm
σ(ww) =
m
σ(1) = 1. Pertanto σ(w)σ(w) = 1 cioè σ(w)σ(σ−1 (w)) = 1. Ne segue che
σ(w)σ−1 (σ(w)) = 1 cioè σ(w)σ(w) = 1 = |σ(w)|2 . Quindi |σ(w)| = 1. Lemma 1.1.37 Sia p un numero primo, (p, m) = 1. Sia τ ∈ Gal(Q(ξm )/Q)
l’automorfismo di Frobenius, cioè l’automorfismo di Galois che a ξm associa
p
ξm
. Allora, per ogni intero ciclotomico w si ha che: τ (w) ≡ wp (mod (p)).
1.1 Campi di numeri e anelli di interi
19
Pm−1 i
Dimostrazione. Sia w =
= 0, . . . , m −
i=0 ci ξm . Osservato che ∀i
Pm−1
p
i )p ≡
1
c ≡ c (mod p) (Piccolo Teorema di Fermat) e che ( i=0 ci ξm
Pm−1i p ipi
i=0 ci ξm (mod (p)) per la formula della potenza multinomiale, si ha che:
τ (w) =
m−1
X
i=0
ip
ci ξm
≡
m−1
X
m−1
X
ip
cpi ξm
≡(
i=0
i p
ci ξm
) = wp (mod (p))
i=0
Questo completa la dimostrazione. Osservazione 1.1.38 Mantenendo le stesse notazioni, la congruenza del
Lemma 1.1.37 può essere iterata. Essa, infatti, vale per ogni intero ciclotomico,
e quindi anche per τ (w). Ne segue che:
τ (τ (w)) ≡ (τ (w))p (mod (p))
2
τ (w) ≡ wp ( mod (p)) ⇒ (τ (w))p ≡ wp (mod (p))
Dunque
2
τ (τ (w)) ≡ wp (mod (p))
Ripetendo tale processo, si ha che, in generale:
j
τ j (w) ≡ wp (mod (p)),
∀j > 0
Lemma 1.1.39 Sia p un numero primo e sia a > 1 un intero. Allora:
Φpa (X) = X (p−1)p
a−1
a−1
+ X (p−2)p
a−1
+ · · · + Xp
a−1
+ 1.
a−1
a−1
Dimostrazione. Sia f (X) = X (p−1)p
+ X (p−2)p
+ · · · + Xp
+ 1.
p−1
p−2
Si ha che f (ξpa ) = 0 poichè ξp + ξp + · · · + ξp + 1 = 0. Quindi Φpa (X)
divide f (X) in Q[X], perchè Φpa è il polinomio minimo di ξpa su Q. Poichè
Φpa è monico e ha grado ϕ(pa ) = pa−1 (p − 1), ne segue che f (X) = Φpa (X).
Si conclude questo paragrafo, ricordando il Teorema fondamentale della Teoria di Galois per sottocampi di C (detto anche Teorema della
Corrispondenza di Galois).
Teorema 1.1.40 (Teorema Fondamentale della Teoria di Galois) Siano L e K sottocampi di C, L sia una estensione finita normale di K con
[L : K] = n. Il gruppo di Galois di L su K è definito da:
Gal(L/K) := {σ : L → L| σ automorfismo, σ|K = idK }.
20
Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri
Se H è un sottogruppo di Gal(L/K), si definisce campo fisso di H, l’insieme:
LH := {α ∈ L| σ(α) = α, ∀σ ∈ H}.
Si denoti con F l’insieme
F := {F campo | K ⊆ F ⊆ L}
e con G l’insieme
G := {H | H gruppo, H ⊆ Gal(L/K)}.
Sia φ : F → G l’applicazione definita da:
φ(F) := Gal(L/F)
e ψ : G → F l’applicazione definita da:
ψ(H) := LH .
Allora, φ e ψ sono una l’inversa dell’altra. Inoltre, se F è un elemento
dell’insieme F
[F : K] = (Gal(L/K) : Gal(L/F)).
Teorema 1.1.41 Siano L, K ed E sottocampi di C. L sia una estensione
normale di K ed E una estensione arbitraria di K. Allora, il campo composito
EL, definito come il più piccolo sottocampo di C contenente E e L (e che
consiste delle somme finite α1 β1 + · · · + αr βr con αi ∈ E e βi ∈ L), è una
estensione normale di E e
Gal(EL/E) ∼
= Gal(L/E ∩ L).
In particolare, [EL : E] = [L : E ∩ L].
1.2
Fattorizzazione prima in anelli di interi
Definizione 1.2.1 Un dominio di integrità con unità R è detto un dominio
di Dedekind se:
1. Ogni ideale di R è finitamente generato;
2. Ogni ideale primo non nullo di R è massimale;
1.2 Fattorizzazione prima in anelli di interi
21
3. R è integralmente chiuso nel suo campo dei quozienti K.
Osservazione 1.2.2 L’ultima condizione della Def. 1.2.1 equivale a dire che
se α/β ∈ K è zero di qualche polinomio monico a coefficienti in R, allora
α/β ∈ R, cioè β|α in R.
Sussiste il seguente:
Teorema 1.2.3 Ogni anello di interi è un dominio di Dedekind.
Proposizione 1.2.4 (legge di cancellazione) Se A, B e C sono ideali in
un dominio di Dedekind R, e AB = AC, allora B = C.
Proposizione 1.2.5 Se A e B sono ideali di un dominio di Dedekind R,
allora A|B (cioè esiste un ideale C tale che B = AC) se e solo se A ⊇ B.
Teorema 1.2.6 In un dominio di Dedekind R ogni ideale (non nullo) proprio
è rappresentabile in modo unico come prodotto di ideali primi.
Corollario 1.2.7 Gli ideali propri di un anello di interi R si possono
rappresentare in modo unico come prodotto di ideali primi.
Osservazione 1.2.8 Sia R un anello di interi, P un ideale primo di R. La
catena discendente P ⊇ P 2 ⊇ P 3 ⊇ · · · è propria perchè se P i = P i+1 per
qualche i, allora RP i = P P i , e quindi per la Prop.1.2.4 P = R. Ciò è assurdo.
La seguente proposizione è nota come Teorema Cinese dei Resti per anelli
e costituisce una generalizzazione del noto teorema cinese dei resti sui sistemi
di congruenze lineari in Z.
Proposizione 1.2.9 Sia R un anello commutativo con unità.T Siano
IQ
∀i, j, i 6= j. Sia I = ni=1 Ii =
1 , I2 , . . . , In ideali di R tali che Ii +Ij = R,
n
i=1 Ii . Allora l’applicazione:
ψ : R/I →
n
Y
R/Ii
i=1
x + I 7→ (x + I1 , x + I2 , . . . , x + In )
è un isomorfismo di anelli.
22
Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri
Lemma 1.2.10 Sia R un anello di interi, I un ideale di R. Allora I ∩Z 6= (0).
Dimostrazione. Per l’Oss. 1.1.6, I 6= (0), dunque ∃α ∈ I, α 6= 0. Poichè
α è un intero algebrico ∃p(X) ∈ Z[X] polinomio non nullo monico irriducibile
in Q[X]
p(X) = X m + am−1 X m−1 + · · · + a1 X + a0
tale che p(α) = 0. Allora a0 = −αm − am−1 αm−1 − · · · − a1 α ∈ I ∩ Z, e
chiaramente a0 6= 0, per la irriducibilità di p(X). Proposizione 1.2.11 Sia R un anello di interi. Allora per ogni ideale I di
R, l’anello quoziente R/I è finito.
Dimostrazione. Per il Lemma 1.2.10, ∃a ∈ I ∩Z, a 6= 0 (si prenda a > 0).
Sia (a) = aR l’ideale principale generato da a in R. L’applicazione di R/(a) in
R/I che a x + (a) associa x + I, è chiaramente surgettiva. Pertanto la finitezza
di R/I segue dalla finitezza di R/(a). Si proverà, ora, che |R/(a)| = an , ove
n = [K : Q] e K è il campo di numeri di cui R è l’anello degli interi. Sia
{ω1 , . . . , ωn } una base intera di K. Pertanto R = Zω1 + Zω2 + · · · Zωn . Sia
S={
n
X
γi ωi |γi ∈ Z,
0 6 γi < a,
i = 1, . . . , n}.
i=1
È facile provare che S costituisce un insieme di rappresentanti di laterali
distinti di R/(a). Da ciò segue l’asserto. Definizione 1.2.12 Sia R un anello di interi, I un ideale di R. Si definisce
norma di I la cardinalità di R/I e si denota con N (I).
N (I) = |R/I|
Proposizione 1.2.13 Sia R un anello di interi, I e J due ideali di R. Allora:
N (IJ) = N (I)N (J)
Inoltre, se a ∈ R, a 6= 0 e (a) è l’ideale principale generato da a in R, allora:
N ((a)) = |N (a)|
1.2 Fattorizzazione prima in anelli di interi
23
Siano K e L due campi di numeri, K ⊆ L, R ed S i rispettivi anelli degli
interi, cioè R = A ∩ K ed S = A ∩ L. P sia un ideale primo di R, Q un ideale
primo di S. Con P S si denota l’ideale di S:
PS = {
r
X
αi βi |r > 1,
αi ∈ P,
βi ∈ S}
i=1
Sussiste la seguente:
Proposizione 1.2.14 Siano K, L, R, S, P e Q definiti come sopra. Allora
le seguenti condizioni sono equivalenti:
1. Q | P S
2. P S ⊆ Q
3. P ⊆ Q
4. Q ∩ R = P
5. Q ∩ K = P .
Definizione 1.2.15 Quando si verifica una delle cinque condizioni (e quindi
tutte e cinque) della Prop. 1.2.14, si dice che Q giace su P .
Proposizione 1.2.16 Ogni ideale primo Q di S giace su un unico ideale primo P di R. Per ogni ideale primo P di R esiste almeno un ideale primo Q di
S che giace su P , e siffatti ideali primi sono in numero finito.
Definizione 1.2.17 Siano K, L, R, S, P e Q definiti come sopra. Allora, se
Qe è l’esatta potenza di Q che divide P S, l’intero positivo e è detto l’indice di
ramificazione di Q su P ed è denotato con:
e = e(Q|P ).
P e Q sono ideali primi (non nulli)e quindi massimali in R ed S. Pertanto
R/P e S/Q sono campi finiti (Prop. 1.2.11) detti campi residui associati a P e
Q. È facile vedere R/P come sottocampo di S/Q. Dunque S/Q è un’estensione
finita di R/P . Il grado di tale estensione f = [S/Q : R/P ] è detto grado di
inerzia di Q su P ed è denotato con:
f = f (Q|P ).
24
Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri
Lemma 1.2.18 Siano R ⊆ S ⊆ T tre anelli di interi, e P ⊆ Q ⊆ U tre ideali
primi di R, S e T rispettivamente. Allora:
e(U |P ) = e(U |Q)e(Q|P )
f (U |P ) = f (U |Q)f (Q|P )
Osservazione 1.2.19 Sia K un campo di numeri, R il suo anello degli interi,
P un ideale primo di R, tale che P ∩ Z = pZ. In tal caso, si dirà che P giace su
p invece di dire che P giace su (p) = pZ. Si chiamerà indice di ramificazione
di P , l’intero e = e(P |p), e grado (di inerzia) di P , l’intero f = f (P |p). In tal
caso |R/P | = pf .
Definizione 1.2.20 Sia p un numero primo, K un campo di numeri di grado
n su Q, R il suo anello di interi. Per il Cor. 1.2.7 l’ideale (p) = pR si
rappresenta in modo unico come prodotto di ideali primi.
e
(p) = P1e1 P2e2 · · · Pg g ,
ei > 1,
∀i = 1, . . . , g.
Se per qualche i = 1, . . . , g risulta ei > 1, si dice che p ramifica in K o in R.
Sussiste il seguente, profondo:
Teorema 1.2.21 Sia p un numero primo. Allora p ramifica in K se e solo se
p divide il discriminante di K.
Teorema 1.2.22 Sia p un numero primo, K un campo di numeri di grado n
e
su Q, R = A ∩ K. Sia (p) = P1e1 P2e2 · · · Pg g . ∀i = 1, . . . , g sia fi il grado di
Pi , fi = fi (Pi |p). Allora:
g
X
ei fi = n.
i=1
Dimostrazione. Si osservi preliminarmente che se I e J sono due ideali
primi distinti di R, allora I+J = R (si dice che I e J sono relativamente primi).
Infatti I 6= J implica che ∃α ∈ I, α ∈
/ J. Si ha dunque l’inclusione propria
J ⊂ I+J. D’altra parte J è un ideale massimale (R è un dominio di Dedekind),
per cui I + J = R. Più in generale ∀m, n interi positivi I n + J m = R. Infatti,
basta provare che 1 ∈ I n + J m , e ciò segue facilmente dal fatto che 1 ∈ I + J,
e dunque 1 = α + β con α ∈ I e β ∈ J. Elevando α + β ad una opportuna
potenza, si ha che 1 ∈ I n + J m . Ne segue che ∀i, j ∈ {1, . . . , g}, i 6= j
e
Piei + Pj j = R
1.2 Fattorizzazione prima in anelli di interi
25
Q
Per il Teorema Cinese dei Resti R/(p) è isomorfo a gi=1 R/Piei . Ora |R/(p)| =
pn (si veda la dimostrazione della Prop. 1.2.11). ∀i = 1, . . . , g risulta |R/Pi | =
pfi = N (Pi ) e per la proprietà moltiplicativa della norma (Prop. 1.2.13) si ha
che |R/Piei | = N (Piei ) = (N (Pi ))ei = pei fi . Quindi
n
p =
g
Y
pei fi = p
Pg
i=1 ei fi
i=1
da cui n = e1 f1 + e2 f2 + · · · + eg fg . Particolarmente interessante è la fattorizzazione in ideali primi di un numero primo p in un campo di numeri K che sia una estensione di Galois di
Q (come in effetti si verifica nel caso dei campi ciclotomici). In tal caso, se
G denota il gruppo di Galois di K su Q , σ ∈ G e I è un ideale di R con
R = A ∩ K, allora σ(K) = K, σ(R) = R, ed è facile verificare che σ(I) è ancora
un ideale. Ancora, R/I ' σ(R)/σ(I) = R/σ(I). Pertanto, ciò mostra che se P
è un ideale primo di R, anche σ(P ) lo è. In particolare se P giace su p, anche
σ(P ) è un ideale primo di R che giace su p. Si ha il seguente fondamentale:
Teorema 1.2.23 Sia p un numero primo e sia K un campo di numeri, estensione di Galois di Q, [K : Q] = n, R = A ∩ K. Siano P e P 0 due ideali primi
di R che giacciono su p. Allora ∃σ ∈ G tale che σ(P ) = P 0 .
Dimostrazione. Si supponga per assurdo che ∀σ ∈ G : σ(P ) 6= P 0 . Se
G = {σ1 , . . . , σn } con σ1 = idK , allora ∀i = 1, . . . , n : σi (P ) 6= P 0 . σi (P )
e P 0 sono ideali primi distinti (giacenti su p) e per quanto provato nel Teor.
1.2.22
P 0 + σi (P ) = R
Dunque, P 0 è relativamente
primo a ciascun σi (P ) e ciò implica che P 0 è
Tn
relativamente primo a i=1 σi (P ), cioè
P 0 + σ1 (P ) ∩ σ2 (P ) ∩ · · · ∩ σn (P ) = R
Per il Teorema Cinese dei Resti, ∃α ∈ R tale che:
α ≡ 0 (mod P 0 )
α ≡ 1 (mod σ1 (P ) ∩ σ2 (P ) ∩ · · · ∩ σn (P )).
α è un intero algebrico, e quindi, per la Prop.
1.1.13 N (α)
ασ2 (α) · · · σn (α) ∈ Z. α ∈ P 0 ⇒ N (α) ∈ P 0 . In ultima analisi,
N (α) ∈ Z ∩ P 0 = pZ = P ∩ Z ⊆ P ⇒ N (α) ∈ P
=
26
Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri
D’altra parte, essendo P un ideale primo,
σ1 (α)σ2 (α) · · · σn (α) ∈ P ⇒ ∃j ∈ {1, . . . , n}
tale che σj (α) ∈ P.
Cioè α ∈ σj−1 (P ) e ciò è assurdo perchè, se cosı̀ fosse, da
α ≡ 0 (mod σj−1 (P )) α ≡ 1 (mod σj−1 (P ))
seguirebbe che 1 ∈ σj−1 (P ). Chiaramente questo non è possibile perchè σj−1 (P )
è un ideale primo, e pertanto proprio. Si è ora in grado di enunciare e dimostrare il seguente:
Teorema 1.2.24 Sia K/Q una estensione di Galois. Sia p un numero primo
e
e (p) = P1e1 P2e2 · · · Pg g la sua fattorizzazione prima in R = A ∩ K. Allora
e1 = e2 = . . . = eg ed f1 = f2 = . . . = fg . Se e ed f denotano, rispettivamente,
questi valori comuni, allora ef g = n, ove [K : Q] = n.
Dimostrazione. Sia i ∈ {1, . . . , g} fissato. Per il Teor. 1.2.23 esiste
un automorfismo di Galois σ ∈ G tale che σ(P1 ) = Pi . Poichè R/P1 '
σ(R)/σ(P1 ) = R/Pi si ha che f1 = fi . Quindi tutti i gradi (di inerzia) fi sono
uguali. Si applichi ora σ ad ambo i membri dell’uguaglianza:
e
(p) = P1e1 P2e2 · · · Pg g
(1.2)
Poichè p ∈ Z, è chiaro che σ((p)) = (p), cioè
(p) = (σ(P1 ))e1 (σ(P2 ))e2 · · · (σ(Pg ))eg
(1.3)
Nel prodotto (1.3) Pi ha esponente e1 . Nel prodotto (1.2) Pi ha esponente ei .
Dall’unicità della fattorizzazione prima (Cor. 1.2.7) segue che e1P
= ei , e quindi
tutti gli indici di ramificazione ei sono uguali. Infine, poichè gi=1 ei fi = n
(Teor. 1.2.22) si ha immediatamente che ef g = n. Si possono ora applicare i risultati della precedente sezione ai campi
ciclotomici. Si comincia con il seguente fondamentale:
Teorema 1.2.25 Sia p un numero primo, a > 1 un intero positivo. Allora
in Z[ξpa ], l’unico ideale primo che giaccia su p è l’ideale principale generato
dall’elemento 1 − ξpa , P = (1 − ξpa ) = (1 − ξpa )Z[ξpa ]. Inoltre
pZ[ξpa ] = (p) = (1 − ξpa )ϕ(p
a)
1.2 Fattorizzazione prima in anelli di interi
27
Dimostrazione. Sia j un intero tale che, 1 < j 6 pa − 1 e (j, p) = 1. Sia
t un intero soluzione della seguente congruenza:
jt ≡ 1 (mod pa )
(esistente perchè (j, p) = (j, pa ) = 1). Si definisca u =
1−ξpj a
1−ξpa .
Allora:
u = ξpj−1
+ ξpj−2
+ · · · + ξpa + 1 ∈ Z[ξpa ]
a
a
u−1 =
1 − ξp a
1 − ξpj a
=
1 − ξpjta
1 − ξpj a
j(t−1)
= ξp a
j(t−2)
+ ξp a
+ · · · + ξpj a + 1 ∈ Z[ξpa ]
Allora u ∈ Z[ξpa ] è invertibile in Z[ξpa ] e 1 − ξpa e 1 − ξpj a sono due elementi
associati di Z[ξpa ]. Essi, pertanto, generano lo stesso ideale in Z[ξpa ]. Dunque,
∀j intero, 1 < j 6 pa − 1 e (j, p) = 1 in Z[ξpa ] si ha:
(1 − ξpa ) = (1 − ξpj a )
(1.4)
Per definizione,
Φpa (X) =
a −1
pY
(X − ξpj a )
j=1
(j,p)=1
Combinando questo con il Lemma 1.1.39 si ha che:
a −1
pY
p = Φpa (1) =
(1 − ξpj a )
j=1
(j,p)=1
Dalla (1.4), segue che
(p) = (1 − ξpa )ϕ(p
a)
Questo completa la dimostrazione. Proposizione 1.2.26 Sia m > 0 un intero positivo, p un numero primo
(p, m) = 1e sia P un ideale primo di Z[ξm ] che giace su p. Allora i laterali
m−1
1, ξm , . . . , ξm
in
Z[ξm ]/P
sono tutti distinti. Se, inoltre, f denota il grado (di inerzia) di P , allora
pf ≡ 1 ( mod m).
28
Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri
Dimostrazione. ∀w ∈ Z[ξm ] si denoti con w = w + P il corrispondente
laterale nel campo finito Z[ξm ]/P . Dividendo per X − 1 entrambi i membri
della seguente identità
Xm − 1 =
m−1
Y
j
(X − ξm
)
j=0
si ha che:
1 + X + · · · + X m−1 =
m−1
Y
j
(X − ξm
)
j=1
Si ponga X = 1 in questa identità. Si trova che
m=
m−1
Y
j
(1 − ξm
)
j=1
da cui, passando ai laterali si ottiene:
m=
m−1
Y
j
(1 − ξm
)
j=1
j
Poichè m 6= 0, segue che ξm
6= 1 ∀j = 1, . . . , m − 1 e pertanto
i 6= ξ j
ξm
m
∀i, j = 0, 1, . . . , m − 1
i 6= j
i
Gli elementi { ξm
| 0 6 i 6 m − 1 } formano un sottogruppo di ordine
m del gruppo moltiplicativo di Z[ξm ]/P . Quindi m | pf − 1, essendo l’ordine
dell’ultimo gruppo pari proprio a pf − 1. Proposizione 1.2.27 Sia p un numero primo, m > 0, p - m. Allora p non
ramifica in Q(ξm ).
Dimostrazione. Per il Teor. 1.2.21, se per assurdo p ramificasse in
Q(ξm ) allora p dovrebbe dividere il discriminante di Q(ξm ). D’altra parte,
in virtù del Lemma 1.1.32 disc(Q(ξm )) | mϕ(m) . Allora, p dovrebbe dividere
m, contraddicendo l’ipotesi fatta su p. Definizione 1.2.28 Siano a, n ∈ Z tali che n > 0 e (a, n) = 1. Si chiama ordine (moltiplicativo) di a (modulo n) (e si scrive ordn (a) oppure semplicemente
on (a)) il più piccolo intero positivo k per cui risulti
ak ≡ 1 (mod n)
1.2 Fattorizzazione prima in anelli di interi
29
Osservazione 1.2.29 È opportuno sottolineare che tale definizione ha senso
se e soltanto se (a, n) = 1. Infatti, se (a, n) 6= 1, la congruenza
aX ≡ 1 (mod n)
non è risolubile e quindi nessun intero positivo k soddisfa la congruenza della
Def. 1.2.28. Viceversa, se (a, n) = 1 l’asserto è immediata conseguenza del
Teorema di Eulero-Fermat(Teor. 1.4.2).
Teorema 1.2.30 Sia p un numero primo, m > 0, p - m. Sia f = om (p).
Allora, nell’anello degli interi ciclotomici Z[ξm ] si ha che:
(p) = P1 P2 · · · Pg
ove ciascun ideale primo Pi ha grado f e g = ϕ(m)/f .
Dimostrazione. È noto che in Z[ξm ] si ha che:
(p) = (P1 P2 · · · Pg )e
con Pi ideali primi distinti aventi tutti lo stesso grado e lo stesso indice di
ramificazione e (Teor. 1.1.31 e Teor. 1.2.24). Sia f1 il grado di P1 . Poichè
f
Z[ξm ]/P1 è un campo finito (di ordine pf1 ) si ha che ∀w ∈ Z[ξm ] : wp 1 = w,
cioè
f1
∀w ∈ Z[ξm ] : wp ≡ w (mod P1 )
e f1 è il più piccolo intero positivo con questa proprietà. Per il Lemma 1.1.33,
poichè pf ≡ 1 (mod m) :
∀w ∈ Z[ξm ] :
f
wp ≡ w (mod (p))
e quindi, poichè (p) ⊆ P1 , risulta che:
∀w ∈ Z[ξm ] :
f
wp ≡ w ( mod P1 ).
Ne segue che f1 6 f . D’altra parte, per la Prop. 1.2.26, pf1 ≡ 1 ( mod m). Per
la Def. 1.2.28 di ordine (moltiplicativo) segue che f 6 f1 . Pertanto f = f1 ,
e quindi tutti gli ideali primi Pi giacenti su p hanno grado f . Per la Prop.
1.2.27 risulta e = 1, e sempre per il Teor. 1.2.24 risulta che ef g = ϕ(m), da
cui g = ϕ(m)/f . Questo completa la dimostrazione. Si conclude con il seguente fondamentale:
30
Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri
Teorema 1.2.31 Sia p un numero primo, m = pa m0 , con a > 1, m0 > 2 e
(p, m0 ) = 1. Allora, in Z[ξm ] si ha la seguente fattorizzazione prima:
pZ[ξm ] = (p) = (Q1 Q2 · · · Qg )e
dove e = ϕ(pa ), f = om0 (p), g = ϕ(m0 )/f e Qi sono ideali primi distinti di
Z[ξm ] aventi tutti lo stesso grado f su p.
Dimostrazione. Si vede come p si fattorizza in ciascuno dei campi ciclotomici Q(ξpa ) e Q(ξm0 ). Il risultato per Q(ξm ), allora, seguirà facilmente. Per
il Teor. 1.2.25, in Z[ξpa ] si ha che:
a
pZ[ξpa ] = (1 − ξpa )ϕ(p ) Z[ξpa ]
Per il Teor.1.2.30, in Z[ξm0 ] si ha che:
pZ[ξm0 ] = P1 P2 · · · Pg
dove i Pi sono ideali primi distinti di Z[ξm0 ] aventi tutti lo stesso grado f =
om0 (p), e gf = ϕ(m0 ). Si fissino Q1 , . . . , Qg ideali primi di Z[ξm ] giacenti su
P1 , . . . , Pg rispettivamente (tali Qi esistono per la Prop. 1.2.16). Ne segue
immediatamente che ∀i = 1, . . . , g, Qi giace su p, e quindi anche su (1 −
ξpa )Z[ξpa ], poichè quest’ultimo è l’unico ideale primo di Z[ξpa ] giacente su p
(Teor. 1.2.25). Si ha, in definitiva, la seguente situazione, ∀i = 1, . . . , g
pZ ⊆ (1 − ξpa )Z[ξpa ] ⊆ Qi
(1.5)
pZ ⊆ Pi ⊆ Qi
(1.6)
In virtù del Lemma 1.2.18 applicato alla (1.5) e alla (1.6) si deduce che:
e(Qi |p) > e((1 − ξpa )|p) = ϕ(pa )
(1.7)
f (Qi |p) > f (Pi |p) = f
(1.8)
Inoltre, gf = ϕ(m0 ) ⇒ ϕ(pa )f g = ϕ(m). Il Teor. 1.2.24 applicato alla
fattorizzazione di p in Z[ξm ] implica che i Qi sono i soli ideali primi distinti
di Z[ξm ] che giacciono su p e che le disuguaglianze (1.7) e (1.8) sono in realtà
delle uguaglianze. A conclusione di questo paragrafo appare opportuno riassumere i Teor.
1.2.25, 1.2.30 e 1.2.31, nel seguente, unico:
1.3 Gruppo di decomposizione di un ideale primo in un campo
ciclotomico
31
Teorema 1.2.32 Sia p un numero primo, m > 0 un intero positivo, m =
pa m0 , con a > 0, m0 > 1 e (p, m0 ) = 1. Allora, in Z[ξm ] si ha che:
(p) = (P1 P2 · · · Pg )ϕ(p
a)
dove P1 , P2 . . . Pg sono ideali primi distinti di Z[ξm ], aventi lo stesso grado f
con f = om0 (p) e g = ϕ(m0 )/f .
1.3
Gruppo di decomposizione di un ideale primo
in un campo ciclotomico
Definizione 1.3.1 Sia m > 0 un intero positivo, G = Gal(Q(ξm )/Q) il gruppo di Galois del campo ciclotomico Q(ξm ). Sia P un ideale primo di Z[ξm ].
Si dice gruppo di decomposizione di P (e si denota con DP ) il sottogruppo di
G definito da:
DP = {σ ∈ G|σ(P ) = P }.
Al fine di determinare la cardinalità di DP , si premettono alcune definizioni
e un lemma elementare della teoria dei gruppi.
Definizione 1.3.2 Sia X un insieme finito, (G, ·) un gruppo finito. Si dice
azione di G su X un’applicazione ∗ : G × X → X tale che:
1. g1 ∗ (g2 ∗ a) = (g1 g2 ) ∗ a,
2. 1 ∗ a = a,
∀g1 , g2 ∈ G, ∀a ∈ X
∀a ∈ X (1 denota l’elemento neutro di G).
Se a ∈ X, si chiama G-orbita di a (e si denota con OG (a)), il sottoinsieme di
X definito da:
OG (a) = {g ∗ a|g ∈ G}
Si chiama stabilizzatore di a in G (e si denota con Staba (G)), il sottogruppo
di G definito da:
Staba (G) = {g ∈ G|g ∗ a = a}.
Sussiste il seguente:
Lemma 1.3.3 (formula dell’orbita) Sia (G, ·) un gruppo finito che agisce
su un insieme finito X. Sia a ∈ X. Allora:
|OG (a)| = (G : Staba (G))
32
Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri
Definizione 1.3.4 Sia (G, ·) un gruppo finito che agisce su un insieme finito
X. Si dice che G agisce transitivamente su X se:
∀a, b ∈ X
∃g ∈ G
t.c.
b = g ∗ a.
Si dice che G agisce regolarmente su X se:
∀a, b ∈ X
∃|g ∈ G
t.c.
b = g ∗ a.
Osservazione 1.3.5 Sia p un numero primo, m > 0, m = pa m0 , a > 0,
m0 > 1, (p, m0 ) = 1, P un ideale primo di Z[ξm ], giacente su p, G il gruppo
di Galois di Q(ξm ) (su Q). Sia X l’insieme degli ideali primi di Z[ξm ] che
giacciono su p. Per il Teor. 1.2.32, |X| = g, g = ϕ(m0 )/f , f = om0 (p) . Per il
Teor. 1.2.23 applicato al campo ciclotomico Q(ξm ), estensione di Galois di Q
(Teor. 1.1.31), G agisce transitivamente su X. Pertanto l’orbita di P coincide
con X.
OG (P ) = {σ(P )|σ ∈ G} = X
Il gruppo di decomposizione di P coincide con lo stabilizzatore di P :
DP = StabP (G) = {σ ∈ G|σ(P ) = P }
In virtù della formula dell’orbita (Lemma 1.3.3) si ha che:
|OG (P )| = (G : DP )
da cui segue che:
g = |G|/|DP |.
Pertanto, la cardinalità di DP è data da:
|DP | = ϕ(m)/g = ϕ(pa )om0 (p).
(1.9)
Se m = pa , a > 1, e pertanto m0 = 1, dalla (1.9) segue che:
|DP | = ϕ(pa ) = ϕ(m)
Segue che DP = G, cioè ogni automorfismo di Galois di Q(ξm ) fissa P . Nel
caso in cui p - m, e quindi a = 0, |DP | = om (p) e sussiste il seguente:
Teorema 1.3.6 Sia p un numero primo, (p, m) = 1 e sia τ l’automorfismo
p
di Frobenius di Q(ξm ) che a ξm associa ξm
. Sia P un ideale primo di Z[ξm ]
che giace su p, e sia f = om (p). Allora il gruppo di decomposizione DP di P
è ciclico di ordine f e ammette τ come generatore.
1.3 Gruppo di decomposizione di un ideale primo in un campo
ciclotomico
33
Dimostrazione. Che τ abbia ordine f segue immediatamente dalla definizione di ordine moltiplicativo di p modulo m. Sia ora j un intero tale che
0 6 j 6 f − 1. Per l’Oss. 1.1.38 si ha che:
∀w ∈ Z[ξm ] :
j
τ j (w) ≡ wp (mod (p)),
((p) = pZ[ξm ])
j
Se w ∈ P , allora wp ∈ P , e osservato che (p) ⊆ P , segue che τ j (w) ∈ P .
Dunque, τ j (P ) ⊆ P . D’altra parte, τ j (P ) è un ideale primo (non nullo)
di Z[ξm ], e quindi è massimale. Quindi τ j (P ) = P . Questo completa la
dimostrazione. Si può, a questo punto, considerare il caso generale, in cui m = pa m0 , con
0
m > 2, a > 1, (p, m0 ) = 1.
Teorema 1.3.7 Sia p un numero primo, m = pa m0 , (p, m0 ) = 1, a > 1,
m0 > 1. Sia P un ideale primo di Z[ξm ] che giace su p. Sia σ ∈ Gal(Q(ξm )/Q)
un automorfismo di Galois di Q(ξm ) tale che:
j
p
σ(ξm0 ) = ξm
0
con 0 6 j 6 f − 1, ove f = om0 (p). Allora σ(P ) = P .
Dimostrazione. Per quanto provato nel corso della dimostrazione del
Teor. 1.2.25
p=
a −1
pY
(1 − ξpj a ),
(1 − ξpa )Z[ξm ] = (1 − ξpi a )Z[ξm ]
(1.10)
j=1
(j,p)=1
per ogni i,
1 < i 6 pa − 1,
(i, p) = 1. Quindi in Z[ξm ] si ha:
pZ[ξm ] = (p) = (1 − ξpa )ϕ(p
a)
a
= (1 − ξpa )ϕ(p ) Z[ξm ].
(1.11)
j
Per l’Oss. 1.1.38 ∀A ∈ Z[ξm0 ] : σ(A) ≡ Ap (mod (p)) ove (p) = pZ[ξm0 ].
Osservato che pZ[ξm0 ] ⊆ pZ[ξm ] ⊆ P , si ha che:
∀A ∈ Z[ξm0 ]
j
σ(A) ≡ Ap (mod P ).
(1.12)
Dalla (1.11) segue che P è un ideale primo che contiene (divide) l’ideale (1 −
a
ξpa )ϕ(p ) e quindi P contiene (1 − ξpa ).
(1 − ξpa )Z[ξm ] ⊆ P
34
Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri
Allora ∀X ∈ Z[ξm ]: (1−ξpa )X ∈ P . In particolare 1−ξpa ∈ P , (1−ξpa )ξpa ∈ P
cioè ξpa − ξp2a ∈ P e quindi (1 − ξpa ) + (ξpa − ξp2a ) ∈ P cioè 1 − ξp2a ∈ P .
Procedendo allo stesso modo, si vede che 1 − ξpl a ∈ P ∀l > 0. Si è cosı̀
dimostrato che:
∀l > 0 ξpl a ≡ 1 (mod P ).
(1.13)
Dalla (1.13) e dal fatto che ∀i > 0, σ(ξpi a ) = ξpl a per qualche l > 0 segue
immediatamente che:
σ(ξpi a ) ≡ 1 (mod P ).
∀i > 0
(1.14)
Si noti che ogni intero 0 6 k 6 m − 1 ammette una rappresentazione della
forma k = sm0 +tpa con s, t ∈ Z. Infatti, (pa , m0 ) = 1 implica che, per l’identità
di Bézout, esistono a, b ∈ Z tali che am0 +P
bpa = 1 e pertanto k = kam0 + kbpa .
m−1
k
Quindi ogni elemento y ∈ Z[ξm ], y =
k=0 ak ξm può essere scritto nella
forma:
a −1
pX
y=
Ai ξpi a con Ai ∈ Z[ξm0 ]
i=0
k = ξ s ξ t ). Tenuto conto di (1.12),
( sia k fissato, 0 6 k 6 m − 1, allora ξm
pa m0
(1.13) e (1.14), si ha che ∀y ∈ Z[ξm ] risulta:
σ(y) =
a −1
pX
(1.14)
σ(Ai )σ(ξpi a ) ≡
i=0
a −1
pX
= σ(
i=0
(1.12)
a −1
pX
Ai ) ≡ (
a −1
pX
σ(Ai ) =
i=0
Ai )
i=0
pj (1.13)
≡ (
a −1
pX
j
j
Ai ξpi a )p = y p (mod P ).
i=0
pj
j
Pertanto, ∀y ∈ Z[ξm ]: σ(y) ≡ y ( mod P ). Se si assume y ∈ P , allora y p ∈ P
e pertanto σ(y) ∈ P . Dunque σ(P ) ⊆ P . Poichè P e σ(P ) sono ideali primi
(non nulli) e quindi massimali di Z[ξm ], risulta σ(P ) = P . Osservazione 1.3.8 Se si vede l’automorfismo σ del Teor. 1.3.7 come elemento del gruppo di Galois Gal(Q(ξm0 )/Q), cioè come automorfismo di Q(ξm0 ),
per il Teor. 1.1.10, tale σ si estende a ϕ(pa ) = [Q(ξm ) : Q(ξm0 )] automorfismi
di Q(ξm ). Poichè 0 6 j 6 om0 (p) − 1, gli automorfismi di Q(ξm ) del tipo σ del
Teor. 1.3.7 sono in tutto in numero pari a ϕ(pa )om0 (p). E tale è proprio la
cardinalità del gruppo di decomposizione di P ( (1.9) dell’Oss. 1.3.5).
1.3 Gruppo di decomposizione di un ideale primo in un campo
ciclotomico
35
Alla luce di tutto ciò che precede, si può concludere con il seguente fondamentale teorema che caratterizza completamente il gruppo di decomposizione
di un ideale primo in un campo ciclotomico, e che riassume tutti i risultati
delle precedenti sezioni.
Teorema 1.3.9 Sia p un numero primo, m > 0 un intero positivo, m = pa m0 ,
(p, m0 ) = 1, a > 0, m0 > 1. Sia f = om0 (p), g = ϕ(m0 )/f , P1 , P2 , . . . , Pg siano
gli ideali primi distinti di Z[ξm ] che giacciono su p. Allora:
t
DP1 = DP2 = . . . = DPg = {σ ∈ G|σ(ξm ) = ξm
,
t ≡ pj (mod m0 )
j > 0}
(dove G = Gal(Q(ξm )/Q))
Osservazione 1.3.10 Sia I un ideale (non nullo) proprio di Z[ξm ]. Si supponga che Pj1 , . . . , Pjn siano gli ideali primi distinti di Z[ξm ] che giacciono su
p (Pj1 ∩ Z = Pj2 ∩ Z = . . . = Pjn ∩ Z = pZ) e che compaiono nella fattorizzazione prima di I, con indici (rispettivamente) e1 , e2 , . . . , en (ei > 1). Sia infine
σ ∈ Gal(Q(ξm )/Q) un automorfismo di Galois del campo ciclotomico Q(ξm )
che fissa l’ideale I (σ(I) = I). Allora si presentano due possibilità (per il Teor.
1.3.9):
1. ∀i = 1, . . . , n
σ(Pji ) = Pji
2. ∀i = 1, . . . , n
σ(Pji ) 6= Pji
Nel caso (2), σ permuta gli ideali primi Pj1 , . . . , Pjn (in generale σ trasforma
un ideale primo su p in un altro che giace ancora su p ). Inoltre, poichè σ fissa
I (per la unicità della fattorizzazione prima degli ideali in anelli di interi),
dovrà necessariamente verificarsi quanto segue:
Pje11 Pje22 · · · Pjenn = (Ph1 · · · Phs )c (Pk1 · · · Pkr )d · · · (Pt1 · · · Ptv )l
con
σ(Ph1 · · · Phs ) = Ph1 · · · Phs
σ(Pk1 · · · Pkr ) = Pk1 · · · Pkr
..
.
σ(Pt1 · · · Ptv ) = Pt1 · · · Ptv
Osservazione 1.3.11 Si consideri l’ideale I + (ph ) = M CD(I, (ph )) (p
numero primo, h > 1) in Z[ξm ]. Si presentano due casi:
36
Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri
1. Nessun ideale primo che giace su p compare nella fattorizzazione prima
di I e pertanto I + (ph ) = Z[ξm ];
2. I e (ph ) non sono relativamente primi, e in tal caso, se Pj1 , . . . , Pjn sono
gli ideali primi distinti di Z[ξm ] che giacciono su p e che compaiono nella
fattorizzazione prima di I, con indici (rispettivamente) e1 , e2 , . . . , en si
ha che:
I + (ph ) = Pjr11 Pjr22 · · · Pjrnn
j1 , . . . , jn ∈ {1, . . . , g}
dove
(ph ) = (P1 P2 · · · Pg )hϕ(p
a)
(si veda il Teor. 1.2.32 per le notazioni) e
r1 = min{hϕ(pa ), e1 }
..
.
rn = min{hϕ(pa ), en }.
Lemma 1.3.12 Se σ ∈ Gal(Q(ξm )/Q) fissa l’ideale I, allora σ fissa anche
l’ideale J = I + (ph ) per ogni numero primo p e per ogni intero positivo h > 1.
Dimostrazione. Se J = Z[ξm ], (caso (1) dell’Oss. 1.3.11), l’asserto è
ovvio (µ(Z[ξm ]) = Z[ξm ] ∀µ ∈ Gal(Q(ξm )/Q), poichè Q(ξm ) è un’estensione
di Galois di Q). Si consideri il caso non banale (2) dell’Oss. 1.3.11. In virtù
dell’Oss. 1.3.10, si presentano due possibilità. Se ∀i = 1, . . . , n σ(Pji ) = Pji ,
l’asserto è ovvio. Si consideri la seconda possibilità. In questo caso gli ideali
primi Pj1 , . . . , Pjn si possono raggruppare in modo che:
Pje11 Pje22 · · · Pjenn = (Ph1 · · · Phs )c (Pk1 · · · Pkr )d · · · (Pt1 · · · Ptv )l
con
σ(Ph1 · · · Phs ) = Ph1 · · · Phs
σ(Pk1 · · · Pkr ) = Pk1 · · · Pkr
..
.
σ(Pt1 · · · Ptv ) = Pt1 · · · Ptv
1.4 Teorema della ‘discesa di campo’
37
È chiaro che anche J = I + (ph ) si presenterà nella forma:
0
0
J = (Ph1 · · · Phs )c (Pk1 · · · Pkr )d · · · (Pt1 · · · Ptv )l
0
con
c0 = min{c, hϕ(pa )}
d0 = min{d, hϕ(pa )}
..
.
l0 = min{l, hϕ(pa )}.
Pertanto σ(J) = J. 1.4
Teorema della ‘discesa di campo’
In questa sezione vengono elencati alcuni risultati ben noti di teoria dei numeri
elementare ed alcuni lemmi relativi ai campi ciclotomici.
Lemma 1.4.1 (Lemma di Euclide) Siano a, b, c interi positivi, tali che
(a, b) = 1 e a | bc. Allora a | c.
Teorema 1.4.2 (Teorema di Eulero-Fermat) Siano a, n ∈ Z, n > 0. Se
(a, n) = 1, allora:
aϕ(n) ≡ 1 (mod n).
Corollario 1.4.3 (Piccolo Teorema di Fermat) Se p è un numero primo
e a è un intero tale che p - a,allora:
ap−1 ≡ 1 (mod p).
Lemma 1.4.4 Siano a, b, n interi, con n > 0. La congruenza
aX ≡ b (mod n)
ha soluzioni in Z se e solo se (a, n) | b.
Lemma 1.4.5 Siano a, b, v, n1 interi, con n1 > 0, d = (n1 , v), n2 := n1 /d.
Se va ≡ vb (mod n1 ) allora si ha che:
a ≡ b (mod n2 )
38
Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri
Lemma 1.4.6 Siano w, b, c interi positivi, (b, c) = 1. Allora se w | bc, si ha
che:
w = (w, b)(w, c)
Dimostrazione. Per l’identità di Bézout si ha che (w, b) = wx1 + by1 con
x1 , y1 ∈ Z; (w, c) = wx2 + cy2 con x2 , y2 ∈ Z. Quindi
(w, b)(w, c) = w(wx1 x2 + bx2 y1 + cx1 y2 ) + bcy1 y2
Ne segue che w | (w, b)(w, c). D’altra parte (b, c) = 1 e quindi sempre per
l’identità di Bézout esistono due interi x e y tali che bx + cy = 1 e quindi w =
wbx + wcy. Si noti che (w, b) | b e (w, c) | w cosı̀ che (w, b)(w, c) | wbx; anche
(w, b) | w e (w, c) | c cosı̀ che (w, b)(w, c) | wcy. Ne segue che (w, b)(w, c) | w.
Corollario 1.4.7 Se a, b, c sono interi positivi e (b, c) = 1 allora:
(a, b)(a, c) = (a, bc).
Dimostrazione. Posto d = (a, bc), d | bc e quindi per il Lemma 1.4.6
d = (d, b)(d, c) cioè
(a, bc) = ((a, bc), b)((a, bc), c)
Ma ((a, bc), b) = (a, b) e ((a, bc), c) = (a, c). Lemma 1.4.8 Sia m > 0 un intero positivo e p un numero primo. Allora:
ϕ(mp) = ϕ(m) ⇔ m
e0
dispari
e
p = 2.
Dimostrazione. Si dimostra l’implicazione ⇐. Se m = 1 e p = 2, ϕ(2) =
ϕ(1) = 1. Se m > 1, allora m = pc11 · · · pct t , pi 6= 2 ∀i = 1, . . . , t. Allora
mp = 2m = 2pc11 · · · pct t e quindi ϕ(mp) = ϕ(2pc11 · · · pct t ) = ϕ(2)ϕ(m) = ϕ(m).
Si prova ora l’altra implicazione ⇒. Se p | m, allora m = pc1 pc22 · · · pct t ci > 1
∀i = 1, . . . , t. Dunque mp = pc1 +1 pc22 · · · pct t . Ne segue che:
ϕ(mp) = pc1 (p − 1)pc22 −1 (p2 − 1) · · · pct t −1 (pt − 1) = pϕ(m) 6= ϕ(m)
Pertanto, se ϕ(mp) = ϕ(m), necessariamente p - m. Allora m = pc11 · · · pct t con
pi 6= p ∀i = 1, . . . , t, mp = ppc11 · · · pct t e ϕ(mp) = (p − 1)ϕ(m). Per ipotesi
ϕ(mp) = ϕ(m). Allora (p − 1)ϕ(m) = ϕ(m) cioè p − 1 = 1 cioè p = 2. Da ciò
segue che m deve essere dispari (2 - m). 1.4 Teorema della ‘discesa di campo’
39
Lemma 1.4.9 Siano m ed r due interi positivi, tali che m | r. Allora sono
equivalenti le seguenti condizioni:
1. ϕ(m) = ϕ(r)
2. m = r
oppure
m
e0
dispari
e
r = 2m.
Dimostrazione. (2) ⇒ (1). Trascurando il caso banale m = r, si supponga che m sia dispari, e che r = 2m. La (1) discende facilmente dalla
formula per la funzione ϕ di Eulero, dal momento che m = pc11 · · · pct t , pi 6= 2
∀i = 1, . . . , t, r = 2pc11 · · · pct t e dunque:
ϕ(r) = ϕ(pc11 · · · ptct )ϕ(2) = ϕ(m)
(1) ⇒ (2). Si supponga che m < r. Per ipotesi m | r, quindi r = mb
dove b > 1. Inoltre ϕ(m) = ϕ(mb). Se p è un divisore primo di b, allora
mp | mb e quindi ϕ(mp) | ϕ(mb) = ϕ(m). m | mp ⇒ ϕ(m) | ϕ(mp). In
definitiva ϕ(mp) = ϕ(m). In virtù del Lemma 1.4.8 m deve essere dispari e
p = 2. È chiaro che b/p non può contenere altri divisori primi, dato che ciò
contraddirebbe l’ipotesi ϕ(m) = ϕ(mb). Pertanto b = p = 2 e r = 2m. (si
osservi che se b = 2h necessariamente h = 1, perchè ϕ(mb) = ϕ(m)ϕ(b) =
ϕ(m)ϕ(2h ) = ϕ(m)2h−1 = ϕ(m) e quindi 2h−1 = 1 cioè h = 1). Osservazione 1.4.10 Nel corso della dimostrazione del lemma 1.4.9, si è
fatto uso della seguente implicazione:
m | n ⇒ ϕ(m) | ϕ(n)
che segue dalla formula per la funzione ϕ di Eulero. Infatti se n = pa11 · · · pat t ,
ai > 0, m | n equivale a dire che m = pb11 · · · pbt t , 0 6 bi 6 ai ∀i = 1, . . . , t.
Allora:
ϕ(n) = pa11 −1 (p1 − 1) · · · pat t −1 (pt − 1)
ϕ(m) = p1b1 −1 (p1 − 1) · · · pbt t −1 (pt − 1)
ove se bi = 0 manca il termine pbi i −1 . Chiaramente ϕ(m) | ϕ(n).
Proposizione 1.4.11 Sia m > 0 un intero positivo, ξm = e2πi/m . Se m
j
è pari, le sole radici di 1 in Q(ξm ) sono le m-esime radici di 1 (ξm
, j =
0, 1, . . . , m − 1). Se m è dispari, le sole radici di 1 in Q(ξm ) sono le 2m-esime
j
radici di 1 (±ξm
, j = 0, 1, . . . , m − 1).
40
Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri
Dimostrazione. Sia m pari. θ ∈ Q(ξm ) sia una radice di 1. Si supponga
km
che θ = e2πih/k con (h, k) = 1(θ = ξkh ). Sia r = mcm(k, m) = (k,m)
. Per
l’identità di Bézout (applicata due volte) esistono interi u, t, a e b tali che:
(k, m) = uk + tm
Pertanto:
ξr = e
2πi(k,m)
km
=e
1 = ah + bk
2πi(uk+tm)
km
u v
= ξm
θ
ove v = at. In definitiva si è provata l’esistenza di due interi u e v tali
u θ v . Quindi ξ ∈ Q(ξ ). Da ciò segue che Q(ξ ) ⊆ Q(ξ ) e
che ξr = ξm
r
m
r
m
quindi ϕ(r) 6 ϕ(m). D’altra parte m | r e pertanto ϕ(m) 6 ϕ(r). Dunque
ϕ(m) = ϕ(r). In virtù del Lemma 1.4.9, deve risultare necessariamente m = r
(essendo m pari). Pertanto k | m cioè m = ks per qualche intero s e:
θ=e
2πih
k
=e
2πihs
ks
=e
2πihs
m
hs
j
= ξm
= ξm
avendo posto j = hs. Sia ora m dispari. L’asserto segue dal fatto che in
tal caso Q(ξm ) = Q(ξ2m ). Infatti, m | 2m ⇒ Q(ξm ) ⊆ Q(ξ2m ). Occorre
provare l’altra inclusione Q(ξ2m ) ⊆ Q(ξm ), e per fare ciò basta dimostrare che
ξ2m ∈ Q(ξm ). Si osservi che:
m+1
ξ2m = −ξ2m
2πim
m+1
m ξ
= ξ2m
Infatti ξ2m
2m = e 2m ξ2m = −ξ2m . m + 1 è pari e quindi m + 1 = 2h
per qualche intero h. Dunque
2h
ξ2m = −ξ2m
= −e
2πi2h
2m
= −e
2πih
m
h
= −ξm
∈ Q(ξm )
Questo completa la dimostrazione. Lemma 1.4.12 Siano m, n > 0 interi positivi relativamente primi.
j k
j
supponga che ξm
ξn = 1. Allora ξm
= 1 e ξnk = 1.
Si
Dimostrazione. Si può sempre considerare 0 6 j < m e 0 6 k < n.
j k
ξm
ξn = e2πi(
nj+mk
)
mn
nj+mk
0
= ξmn
= 1 = ξmn
Ne segue che nj + mk ≡ 0 (mod mn) cioè nj + mk = smn con s > 0 intero
non negativo. Per le limitazioni imposte a j e k, si ha necessariamente s < 2.
Infatti:
nj = smn−mk = m(sn−k) < mn(j < m) ⇒ sn−k < n ⇒ (s−1)n < k < n ⇒
1.4 Teorema della ‘discesa di campo’
41
⇒s−1<1⇔s<2
Pertanto s = 0 oppure s = 1. Se fosse s = 1, allora
nj + mk = mn ⇒ n | mk
(n, m) = 1 ⇒ n | k ⇒ k = 0
(se k 6= 0, si avrebbe n 6 k < n). Allora nj = mn e quindi j = m e ciò
contraddice l’ipotesi fatta su j. Dunque è necessariamente s = 0. Cioè:
nj + mk = 0 ⇒ nj = −mk ⇒ j 6 0 ⇒ j = 0
Analogamente si vede che k = 0. Osservazione 1.4.13 Il Lemma 1.4.12 si estende (per induzione) ad ogni
prodotto di un numero finito di radici di 1, di ordini a due a due coprimi.
Q
Osservazione 1.4.14 Sia m > 0, 0 6 j < m, m = ti=1 pci i . Allora esistono
u1j , u2j , . . . , utj interi tali che:
j
ξm
=
t
Y
u
ξpciji
i=1
i
Infatti supponendo t > 1 (per t = 1 l’asserto è banale), osservato che
(
t
Y
pckk ,
t
Y
pckk , . . . ,
t
Y
k=1
k=1
k=1
k6=1
k6=2
k6=t
pckk ) = 1
per l’identità di Bézout esistono t interi r1 , . . . , rt tali che
1 = r1
t
Y
pckk
+ · · · + rt
t
Y
k=1
k=1
k6=1
k6=t
pckk
Dunque
j = r1 j
t
Y
pckk + · · · + rt j
t
Y
k=1
k=1
k6=1
k6=t
pckk
Posto uij = ri j si ha facilmente l’asserto.
Teorema 1.4.15 Siano m,n > 0 interi positivi, d = (m, n). Allora:
Q(ξm ) ∩ Q(ξn ) = Q(ξd ).
42
Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri
Dimostrazione. Sia f = mn/d il minimo comune multiplo di m e n. Per
l’identità di Bézout, esistono due interi a e b tali che:
am + bn = d.
Ne segue che:
b
ξna ξm
= ξf .
Ciò implica che:
Q(ξf ) ⊆ Q(ξm )Q(ξn ).
Poichè chiaramente Q(ξm ) e Q(ξn ) sono contenuti in Q(ξf ) (in generale, se h
k/h
divide k allora Q(ξh ) ⊆ Q(ξk ) perchè ξh = ξk ), segue che:
Q(ξm )Q(ξn ) ⊆ Q(ξf ).
In ultima analisi, si è provato che:
Q(ξm )Q(ξn ) = Q(ξf ).
(1.15)
Poichè Q(ξd ) ⊆ Q(ξm ) e Q(ξd ) ⊆ Q(ξn ), si ha che:
Q(ξd ) ⊆ Q(ξm ) ∩ Q(ξn ).
(1.16)
Per il Teor. 1.1.41, risulta che:
[Q(ξm ) : (Q(ξm ) ∩ Q(ξn ))] = [Q(ξm )Q(ξn ) : Q(ξn )].
Tenuto conto della (1.15), si ha:
[Q(ξm ) : (Q(ξm ) ∩ Q(ξn ))] = [Q(ξf ) : Q(ξn )].
(1.17)
Per una proprietà elementare della funzione ϕ di Eulero ϕ(m)ϕ(n) = ϕ(f )ϕ(d).
Pertanto la (1.17) implica che:
[Q(ξm ) : (Q(ξm ) ∩ Q(ξn ))] = ϕ(f )/ϕ(n) = ϕ(m)/ϕ(d).
Quindi
[(Q(ξm ) ∩ Q(ξn )) : Q] = ϕ(d).
Poichè [Q(ξd ) : Q] = ϕ(d), la (1.18) e l’inclusione (1.16) implicano che:
Q(ξm ) ∩ Q(ξn ) = Q(ξd ).
Resta cosı̀ provato il teorema. (1.18)
1.4 Teorema della ‘discesa di campo’
43
Lemma 1.4.16 Siano a, b ∈ Z,t,v > 0 interi positivi relativamente primi tali
che:
a ≡ b (mod t)
a ≡ b (mod v)
Allora:
a ≡ b (mod tv)
Lemma 1.4.17 Se l > 1 è un intero positivo, a,b interi e p un numero primo,
allora:
a ≡ b (mod pl ) ⇒ ap ≡ bp (mod pl+1 )
Dimostrazione. Si può scrivere a = b + cpl con c intero. Quindi per la
formula del binomio:
p p−1 l
p
ap = (b + cpl )p = bp +
b cp + · · · +
bcp−1 pl(p−1) + cp plp
1
p−1
quindi
ap = bp + bp−1 cpl+1 + · · · + bcp−1 pl(p−1)+1 + cp plp
Al solito p | kp ∀k = 1, . . . , p − 1 e questo implica che:
p
2l+1
p p−2 2 2l
|
b c p
2
..
.
p(p−1)l+1 | bcp−1 pl(p−1)
Inoltre
2l + 1 > l + 1
3l + 1 > l + 1
..
.
(p − 1)l + 1 > l + 1
lp > l + 1
da cui la tesi. 44
Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri
Lemma 1.4.18 Siano a ∈ Z, p un numero primo, p > 3 e b un intero positivo
(b > 1). Allora ∀h > 0 risulta che:
h
(1 + apb )p ≡ 1 + apb+h (mod pb+h+1 ).
Dimostrazione. Si procede per induzione su h. Se h = 0 l’asserto è ovvio.
Si supponga ora che il lemma sia vero per qualche h > 0. Occorre dimostrare
che è vero per h + 1, cioè che:
(1 + apb )p
h+1
≡ 1 + apb+h+1 (mod pb+h+2 ).
(1.19)
Per l’ipotesi induttiva
h
(1 + apb )p ≡ 1 + apb+h (mod pb+h+1 ).
(1.20)
Applicando il Lemma 1.4.17 alla (1.20) (elevando alla p-esima potenza) si ha:
(1 + apb )p
h+1
≡ (1 + apb+h )p (mod pb+h+2 ).
(1.21)
Per la formula del binomio si ha:
p 2 2(b+h)
b+h p
b+h+1
a p
+· · ·+ap−1 p(p−1)(b+h)+1 +ap p(b+h)p .
(1+ap ) = 1+ap
+
2
Poichè p | kp ∀k = 1, . . . , p − 1 si ha:
p 2 2(b+h)
2(b+h)+1
p
|
a p
2
p 3 3(b+h)
3(b+h)+1
p
|
a p
3
..
.
p(p−1)(b+h)+1 | ap−1 p(p−1)(b+h)+1
Osservato che:
2(b + h) + 1 > b + h + 2
3(b + h) + 1 > b + h + 2
..
.
(p − 1)(b + h) + 1 > b + h + 2
1.4 Teorema della ‘discesa di campo’
45
p(b + h) > b + h + 2
si deduce che
(1 + apb+h )p ≡ 1 + apb+h+1 (mod pb+h+2 )
Per transitività la tesi segue dalla (1.21). Un lemma analogo vale per p = 2, con l’eccezione che, in tal caso, occorre
supporre b > 2 (frequentemente in teoria dei numeri 2 è trattato in modo
differente), come si vede nel seguente:
Lemma 1.4.19 Siano a ∈ Z e b > 2 interi. Allora ∀h > 0 risulta che:
h
(1 + a2b )2 ≡ 1 + a2b+h (mod 2b+h+1 ).
Dimostrazione. Si procece anche qui per induzione su h. Per h = 0
l’asserto è banale. Si supponga che sia vero per qualche h > 0. Si dimostra
che esso è vero anche per h + 1, cioè che:
h+1
(1 + a2b )2
≡ 1 + a2b+h+1 (mod 2b+h+2 ).
(1.22)
Per l’ipotesi induttiva
h
(1 + a2b )2 ≡ 1 + a2b+h (mod 2b+h+1 ).
(1.23)
Applicando il Lemma 1.4.17 alla (1.23) (elevando al quadrato) si ha:
h+1
(1 + a2b )2
≡ (1 + a2b+h )2 (mod 2b+h+2 ).
(1.24)
Poichè 2(b + h) > b + h + 2 (si ricordi che b > 2) si ha che:
(1 + a2b+h )2 ≡ 1 + a2b+h+1 (mod 2b+h+2 )
La tesi segue pertanto dalla (1.24) per transitività. Lemma 1.4.20 Sia p > 3 un numero primo, a ∈ Z tale che p - a, b > 1 un
intero positivo. Allora ∀h > 0 risulta che:
opb+h (1 + apb ) = ph .
Dimostrazione. Si procede per induzione su h. Per h = 0 l’asserto è
ovvio. Si supponga vero il lemma per qualche h > 0. Si dimostra che lo è
anche per h + 1, cioè che:
opb+h+1 (1 + apb ) = ph+1
46
Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri
Per l’ipotesi induttiva
h
(1 + apb )p ≡ 1 (mod pb+h )
Applicando a tale congruenza il Lemma 1.4.17 si ha:
(1 + apb )p
h+1
≡ 1 (mod pb+h+1 )
Pertanto opb+h+1 (1 + apb ) | ph+1 . Per dimostrare l’asserto, basta provare che
h
(1 + apb )p 6≡ 1 (mod pb+h+1 )
h
In effetti, per il Lemma 1.4.18, (1 + apb )p ≡ 1 + apb+h (mod pb+h+1 ). Se fosse
h
(1 + apb )p ≡ 1 (mod pb+h+1 ) allora si avrebbe che apb+h ≡ 0 (mod pb+h+1 ) cioè
pb+h+1 | apb+h . Ma (pb+h+1 , a) = 1 (dato che p - a). Pertanto (Lemma 1.4.1)
pb+h+1 | pb+h e ciò è assurdo. Lemma 1.4.21 Sia b > 2, a ∈ Z tale che 2 - a. Allora ∀h > 0 risulta che:
o2b+h (1 + a2b ) = 2h .
Dimostrazione. Si procede per induzione su h. Per h = 0 l’asserto è
ovvio. Si supponga vero il lemma per qualche h > 0. Si dimostra che lo è
anche per h + 1, cioè che:
o2b+h+1 (1 + a2b ) = 2h+1
Per l’ipotesi induttiva
h
(1 + a2b )2 ≡ 1 (mod 2b+h )
Applicando a tale congruenza il Lemma 1.4.17 si ha:
h+1
(1 + a2b )2
≡ 1 (mod 2b+h+1 ).
Dunque, come già fatto nel Lemma 1.4.20, o2b+h+1 (1 + a2b ) | 2h+1 , e per
dimostrare l’asserto, basta provare che
h
(1 + a2b )2 6≡ 1 (mod 2b+h+1 )
h
Per il Lemma 1.4.19, (1 + a2b )2 ≡ 1 + a2b+h (mod 2b+h+1 ). Pertanto se fosse
h
(1+a2b )2 ≡ 1(mod 2b+h+1 ) seguirebbe che 2b+h+1 | a2b+h . Ma (2b+h+1 , a) = 1
(dato che 2 - a). Pertanto (Lemma 1.4.1) 2b+h+1 | 2b+h e ciò è assurdo. Tali lemmi elementari sugli ordini moltiplicativi servono a dimostrare il
seguente fondamentale teorema di struttura:
1.4 Teorema della ‘discesa di campo’
47
Teorema 1.4.22 Se p è un numero primo dispari (p > 3), b > 1 un intero
positivo, allora il gruppo moltiplicativo Z∗pb è ciclico. Z∗2b è ciclico solo se b = 1
o b = 2. Se b > 3, Z∗2b è isomorfo al prodotto Z2 × Z2b−2 .
Tale teorema di struttura giustifica il seguente lemma:
Lemma 1.4.23 Siano s e t interi tali che opb (s) = opb (t) è una potenza di
p. Inoltre, se p = 2 si supponga s ≡ t ≡ 1 (mod 4). Allora s e t generano lo
stesso sottogruppo del gruppo moltiplicativo Z∗pb (p è un numero primo e b > 1
un intero positivo).
Dimostrazione. Se p 6= 2, per il Teor.1.4.22, Z∗pb è ciclico di ordine
pb−1 (p − 1). Pertanto ∀0 6 h 6 b − 1 esiste un unico sottogruppo di Z∗pb
di ordine ph (per una proprietà caratteristica dei gruppi ciclici). Se p = 2,
eccettuato il caso banale di b = 1 e b = 2, per il Teor.1.4.22, Z∗2b con b > 3 è
prodotto diretto di due sottogruppi ciclici, uno di ordine 2 generato da −1 e
uno di ordine 2b−2 generato da 5. Sia H = h−1i e K = h5i e pertanto Z∗2b =
HK. Se s e t sono interi tali che s ≡ t ≡ 1 (mod 4), allora, necessariamente s
e t sono elementi di K, cioè per qualche 0 6 h, k < 2b−2 risulta:
s ≡ 5h (mod 2b )
t ≡ 5k (mod 2b )
Infatti s, in quanto elemento di Z∗2b , può scriversi in un sol modo come
s = (−1)n (5)m
con n ∈ {0, 1} e m ∈ {0, 1, . . . , 2b−2 − 1}. Se fosse n = 1, allora si avrebbe che
s = (−1)(5)m = (−5m )
Quindi s ≡ −5m (mod 2b ) e in particolare s ≡ −5m (mod 4) (essendo b > 3).
D’altra parte −5m ≡ −1 (mod 4) e quindi s ≡ −1 (mod 4). E’ chiaro che ciò
contraddice le ipotesi fatte su s. Allo stesso modo si procede con l’intero t.
L’asserto segue dalla ciclicità di K. Definizione 1.4.24 Siano m,n interi positivi, e sia m =
fattorizzazione prima di m. Per ogni divisore primo q di n sia:
Q
se m è dispari o q = 2
pi 6=q pi
Q
mq =
4 pi 6=2,q pi altrimenti
Qt
ci
i=1 pi
la
48
Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri
Sia D(n) l’insieme dei divisori primi di n. Si definisce
F (m, n) =
t
Y
pbi i
i=1
Qt
come il minimo multiplo di
i=1 pi tale che per ogni coppia (i, q), i ∈
{1, . . . , t}, q ∈ D(n), è soddisfatta almeno una delle seguenti condizioni:
1. q = pi e (pi , bi ) 6= (2, 1),
2. bi = ci ,
3. q 6= pi e q omq (q) 6≡ 1 (mod pibi +1 ).
Osservazione 1.4.25 E’ possibile fornire una formula esplicita per i numeri
bi . Si noti dapprima che, per i fissato, l’insieme degli interi positivi x che
soddisfano
q omq (q) 6≡ 1 (mod px+1
)
i
per ogni q ∈ D(n)\{pi } è un intervallo [ei , ∞) con ei > 1. Si ha che:
2
se pi = 2, ci > 2, ei = 1,
bi =
min(ci , ei ) altrimenti
Infatti si noti che se pi = 2, ci > 2, ei = 1, allora n deve essere una potenza
di 2 (se n avesse un divisore primo dispari q, allora q omq (q) ≡ 1 (mod 4) per
definizione di mq ). Allora deve valere la (1) o la (2) della Def.1.4.24 per pi =
q = 2. Ciò assicura che bi = 2. Si noti, infine, che se pi = 2 e m 6≡ 2 (mod 4)
allora bi > 2.
Si è ora in grado di dimostrare il seguente profondo teorema:
Teorema 1.4.26 Siano m ed n interi positivi. Sia X ∈ Z[ξm ] tale che XX =
n. Allora esiste un intero j tale che
j
Xξm
∈ Z[ξF (m,n) ].
Dimostrazione. Poichè Z[ξm ] = Z[ξm/2 ] se m ≡ 2 (mod 4), si può supQ
Q
porre m 6≡ 2 (mod 4). Si scriva m = ti=1 pci i e F (m, n) = ti=1 pbi i come in
Def.1.4.24. Si ricordi che ∀i = 1, . . . , t 1 6 bi 6 ci e per l’Oss.1.4.25, bi > 2 se
pi = 2. Per ogni i = 1, . . . , t, sia si un intero tale che:
Y cj
si ≡ 1 (mod pbi i ) si 6≡ 1 (mod pbi i +1 ) si ≡ 1 (mod
pj ).
j6=i
1.4 Teorema della ‘discesa di campo’
49
Allora, per i Lemmi 1.4.20 e 1.4.21
opci (si ) = pici −bi = yi
i
si . Sia
Sia definito σi ∈ Gal(Q(ξm )/Q) da σi (ξm ) = ξm
Fix(σi ) = {Y ∈ Q(ξm )|σi (Y ) = Y } e
Fi = m/pci i −bi
Per le assunzioni fatte su si , chiaramente o(σi ) = yi = |hσi i|, dove Hi = hσi i è
il sottogruppo di Gal(Q(ξm )/Q) generato da σi . Per il Teorema Fondamentale
della Teoria di Galois(Teorema di corrispondenza di Galois) risulta:
[Fix(σi ) : Q] = (G : Hi ) = ϕ(m)/pci i −bi
(1.25)
Q
c
dove G = Gal(Q(ξm )/Q). Poichè si ≡ 1 (modpbi i ) e si ≡ 1 (mod j6=i pjj )
Q
c
per il Lemma 1.4.16 si ha che si ≡ 1 (mod Fi ) dato che Fi = pbi i j6=i pjj e
Q
c
(pbi i , j6=i pjj ) = 1. Ne segue che σi (ξFi ) = ξFsii = ξFi cioè che ξFi ∈ F ix(σi ) e
pertanto che
Q(ξFi ) ⊆ Fix(σi )
(1.26)
Per il Cor.1.1.28
[Q(ξFi ) : Q] = ϕ(Fi ) = ϕ(m)/pci i −bi
(1.27)
Da (1.25), (1.26) e (1.27) si deduce che, necessariamente
Fix(σi ) = Q(ξFi )
∀i = 1, . . . , t.
(1.28)
Si suddivida, ora, la dimostrazione in tre passi.
Passo 1 Per ogni i = 1, . . . , t e per ogni divisore primo q di n, l’automorfismo
σi fissa tutti gli ideali primi di Z[ξm ] che giacciono su q.
Si fissi un i ∈ {1, . . . , t} e un divisore primo q di n. Per il Teor. 1.3.9, l’asserto
è provato se esiste un intero li > 0 tale che
li
q
si
= ξM
σi (ξMq ) = ξM
q
q
dove Mq =
ipotesi
Q
c
pj 6=q
pjj . Se pi = q, allora si può prendere li = 0 poichè per
si ≡ 1 (mod
Y
c
pj j )
j6=i
Pertanto, si può assumere pi 6= q. Sia Q = q omq (q) . Si noti che per ogni
h
pj 6= q,risulta che opcj (Q) = pj j per qualche hj > 0 poichè Q ≡ 1 (mod pj )
j
50
Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri
dalla definizione di mq e per i Lemmi 1.4.20 e 1.4.21. Si prova, ora, che
hi > ci −bi , cioè che opci (Q) è divisibile per pci i −bi . Questo è ovvio se ci = bi . In
i
caso contrario, deve essere soddisfatta la condizione (3) della Def. di F (m, n) e
quindi Q 6≡ 1(mod pibi +1 ). Allora i Lemmi 1.4.20 e 1.4.21 implicano che opci (Q)
i
è multiplo di pci i −bi . Si osservi che i Lemmi 1.4.20 e 1.4.21 sono effettivamente
applicabili poichè bi > 1 per ogni i e bi > 2 se pi = 2. Poichè gli ordini di Q
c
modulo pjj , j = 1, . . . , t, pj 6= q, sono relativamente primi, esiste un intero ki
tale che:
opci (Qki ) = opci (Q)
i
i
e
c
Qki ≡ 1 (mod pjj )
∀j 6= i
pj 6= q
In effetti basta prendere
h
Y
ki =
pj j
j6=i,pj 6=q
Si ricordi che hi > ci − bi . Posto vi = hi − (ci − bi ), si vede facilmente che
vi
opci (Qki pi ) = opci (si ) = pci i −bi
i
i
v
ki pi i
Per il Lemma 1.4.23 gli interi Q
e si generano lo stesso sottogruppo del
∗
gruppo moltiplicativo Zpci . Pertanto esiste un intero ni tale che
i
vi
si = Qki pi
ni
in
Z∗pci
i
cioè
si ≡ Qki ri (mod pci i )
dove ri = pvi i ni . Si noti che il Lemma 1.4.23 è applicabile nel caso in cui
pi = 2 se Q ≡ 1 (mod 4). Ma questo segue
Q dalla definizione di mq . Infatti, in
questo caso, m è pari, e quindi mq = 4 pj 6=2,q pj . Per definizione di ordine
moltiplicativo:
Q ≡ 1 (mod mq )
da cui
Q ≡ 1 (mod 4)
c
In ultima analisi, poichè Qki ri ≡ si (mod pci i ) e Qki ri ≡ 1 ≡ si (mod pjj ) per
ogni j 6= i con pj 6= q si conclude che (per il Lemma 1.4.16):
Qki ri ≡ si (mod Mq )
1.4 Teorema della ‘discesa di campo’
51
Se si prende li = omq (q)ki ri l’asserto è provato.
Passo 2 Per ogni i = 1, . . . , t esiste un intero ji tale che Xζiji ∈ Z[ξFi ] dove
ζi = ξpci .
i
Se ci = bi , l’asserto è ovvio, poichè in tal caso Fi = m. Sia, dunque, ci > bi .
Dall’ipotesi che XX = n e da quanto provato nel Passo 1, segue che l’ideale
principale (X) generato da X in Z[ξm ] è fissato da σi e pertanto X e σi (X)
generano lo stesso ideale in Z[ξm ]. Allora ∃ε ∈ Z[ξm ], ε elemento invertibile
tale che
σi (X) = εX.
(1.29)
−1 =
Poichè σi commuta con σ−1 , l’automorfismo di Q(ξm ) che a ξm associa ξm
ξm , si ha che σi (X) = σi (X) e quindi:
|σi (X)|2 = σi (X)σi (X) = σi (X)σi (X) = σi (XX) = σi (n) = n = XX = |X|2
Dalla (1.29) segue che |ε| = 1. Per il Cor. 1.1.36 (del Lemma di Kronecker),
k per
si ha che ε è una radice dell’unità in Z[ξm ]. Per la Prop.1.4.11 ε = ±ξm
qualche intero 0 6 k < m. Quindi per l’Oss.1.4.14 si può scrivere
ε=δ
t
Y
e
ζj j
(1.30)
j=1
con δ = ±1 e δ = 1 se m è pari. Applicando yi − 1 volte l’automorfismo σi
all’uguaglianza (1.29) si ottiene:
ei
δ yi ζi
y
s i −1
i
si −1
Y
y ej
ζj i
= 1.
(1.31)
j6=i
c
Infatti, fissato un j 6= i, per le assunzioni fatte su si , risulta che si ≡ 1(mod pjj )
e quindi
c
syi i −1 ≡ 1 (mod pjj )
c
syi i −2 ≡ 1 (mod pjj )
..
.
c
si ≡ 1 (mod pjj )
c
1 ≡ 1 (mod pjj )
52
Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri
da cui si deduce che
c
siyi −1 + siyi −2 + · · · + si + 1 ≡ yi (mod pjj )
cioè
syi i − 1
c
≡ yi (mod pjj )
si − 1
Allora per ogni j =
6 i si ha che
ej
ζj
y
s i −1
i
si −1
ye
= ζj i j .
Applicando
ripetutamente σi all’uguaglianza (1.29), ricordando che ε =
Q
e
k , si ottiene:
δ tj=1 ζj j = δξm
k si +1
σi2 (X) = δ 2 (ξm
)
X
2
k si +si +1
σi3 (X) = δ 3 (ξm
)
X
..
.
yi −2
k si
σiyi −1 (X) = δ yi −1 (ξm
)
y −3
+si i
k
)
X = σiyi (X) = δ yi (ξm
da cui
δ
yi
k
(ξm
)
y
s i −1
i
si −1
+···+si +1
y
s i −1
i
si −1
X
X
=1
Resta cosı̀ provata l’uguaglianza (1.31). Quest’ultima implica, innanzitutto,
che δ = 1. Infatti se m è pari, ciò è già noto. Se m è dispari, δ non può essere
−1. Se per assurdo fosse m dispari e δ = −1, allora yi sarebbe dispari e quindi
h = −1 per qualche intero h, e ciò è assurdo.
la (1.31) implicherebbe che ξm
Poichè gli ordini dei ζk sono a due a due relativamente primi, per il Lemma
1.4.12 e l’Oss. 1.4.13 segue che
y ej
ζj i
ei
ζi
= 1 ∀j 6= i
y
s i −1
i
si −1
c
(1.32)
= 1.
(1.33)
c
D’altra parte la (1.32) implica che pjj | yi ej . Poichè (pjj , yi ) = 1 per il Lemma
c
1.4.1 si ha che per ogni j 6= i pjj | ej . Pertanto, la (1.32) può essere cosı̀
riscritta:
e
ζj j = 1 ∀j 6= i.
(1.34)
1.4 Teorema della ‘discesa di campo’
53
Dalla (1.30) segue che ε = ζiei . Per definizione, pbi i è l’esatta potenza di pi che
divide si − 1 e quindi
si − 1 = kpbi i (k, pi ) = 1
(1.35)
Poichè opci (si ) = pici −bi = yi e opci +1 (si ) = pici −bi +1 per i Lemmi 1.4.20 e 1.4.21,
i
i
l’esatta potenza di pi che divide syi i − 1 è pci i . Infatti se pci i +1 | syi i − 1, allora
opci +1 (si ) | yi , cioè pci i −bi +1 | pci i −bi e ciò è palesemente assurdo. Dunque
i
syi i − 1 = hpci i
(h, pi ) = 1.
(1.36)
y
s i −1
Ora, dalla (1.33) segue che pci i | ei sii −1 e quindi in virtù della (1.35) e della
(1.36)
hpci
ei bi = tpci i .
kpi i
Dunque ei h = tkpbi i . Ne segue che pbi i | ei h. D’altra parte (pbi i , h) = 1, pertanto
per il Lemma 1.4.1 pibi | ei . Per il Lemma 1.4.4 esiste un intero ji tale che:
(si − 1)ji + ei ≡ 0 (mod pci i ).
(1.37)
Questo implica che:
σi (Xζiji ) = εXζiji si = Xζiji si +ei = Xζiji .
Allora Xζiji ∈ Fix(σi ) = Q(ξFi ) per la (1.28). Resta cosı̀ provato anche il
secondo asserto.
Qt
ji
Allora Xξ =
Passo 3 Come ultimo passo, si ponga ξ =
i=1 ζi .
Q
ji
jk
ji
Xζi
k6=i ζk ∈ Z[ξFi ] per ogni i = 1, . . . , t poichè Xζi ∈ Z[ξFi ] per quanQ
to provato nel Passo 2 e k6=i ζkjk ∈ Z[ξFi ] per definizione di Fi . Allora
T
Xξ ∈ ti=1 Z[ξFi ] = Z[ξF (m,n) ] poichè (F1 , F2 , . . . , Ft ) = F (m, n) e per i
Teoremi 1.1.25 e 1.4.15. 54
Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri
Capitolo 2
Strutture combinatorie finite
In questo capitolo si introducono le strutture combinatorie finite che saranno
oggetto di studio della tesi. Per le dimostrazioni omesse di alcuni risultati
standard di Teoria dei Disegni si rimanda al testo Design Theory di T.Beth,
D.Jungnickel e H.Lenz [7].
2.1
Disegni
Definizione 2.1.1 Siano m, n, k, λ interi positivi con mn > k > 2. Un
(m, n, k, λ)-disegno divisibile D = (P, B) è un insieme finito P (i cui elementi si dicono punti) dotato di un insieme finito B di sottoinsiemi di P (i
cui elementi si dicono blocchi) soddisfacente le seguenti condizioni:
1. L’insieme P ha mn punti.
2. Ciascun blocco contiene esattamente k punti.
3. L’insieme P dei punti può essere ripartito in m classi, ciascuna contenente n punti, in modo che, comunque si prendano due punti distinti,
essi sono contenuti esattamente in λ blocchi comuni se sono in classi
distinte; non sono contenuti in nessun blocco comune se appartengono
alla stessa classe.
Nel caso in cui n = 1, cioè se ciascuna classe contiene un solo punto, si
scriverà v invece di m e si parlerà di (v, k, λ)-disegno.
Proposizione 2.1.2 Sia D = (P, B) un (m, n, k, λ)-disegno divisibile. Allora,
per ciascun punto passano esattamente r blocchi, e risulta:
r(k − 1) = λ(mn − n).
56
Strutture combinatorie finite
Inoltre, se b denota il numero di blocchi e v = mn, si ha che:
vr = bk.
Dimostrazione. Sia p ∈ P. Si denoti con rp il numero di blocchi che
passano per p. Si determina in due modi differenti la cardinalità dell’insieme
X = {(p, q, B) | B ∈ B,
p 6= q,
p, q ∈ B}.
Si può scegliere q in v − 1 modi. Se q è nella stessa classe di p, non ci sono
blocchi che passano per p e q. Altrimenti, ci sono λ blocchi che passano per p
e q. Quindi, la cardinalità di X è
[v − 1 − (n − 1)]λ = λ(mn − n).
D’altra parte, per ciascuno degli rp blocchi B contenenti p, il punto q può
essere scelto in k − 1 modi. Quindi, la cardinalità di X è anche
rp (k − 1).
Questo mostra che rp è indipendente dalla scelta di p e prova la prima parte della Proposizione. La seconda parte è altresı̀ immediata e si ottiene
determinando in due modi, la cardinalità dell’insieme
Y = {(p, B) | B ∈ B,
p ∈ B}.
Definizione 2.1.3 Sia D = (P, B) un (m, n, k, λ)-disegno divisibile. Si
definisce automorfismo di D una bigezione τ : P ∪ B → P ∪ B tale che:
1. τ (P) = P
2. τ (B) = B
3. ∀p ∈ P, ∀B ∈ B, p ∈ B ⇔ τ (p) ∈ τ (B).
Tutti gli automorfismi di D costituiscono un gruppo che sarà denotato con
Aut D e chiamato il gruppo completo degli automorfismi di D(la legge
del gruppo è la composizione di funzioni). Ogni sottogruppo G di Aut D è
detto un gruppo di automorfismi di D. Si dice che un gruppo G di automorfismi di D è regolare sui punti (rispettivamente sui blocchi) se per
ogni coppia di punti p, q ∈ P (rispettivamente di blocchi B, C ∈ B), esiste un
unico automorfismo τ ∈ G tale che τ (p) = q (rispettivamente τ (B) = C).
2.1 Disegni
57
Definizione 2.1.4 Sia D = (P, B) un (m, n, k, λ)-disegno divisibile. Si definisce matrice di incidenza di D, una matrice A = (ap,B )p∈P,B∈B di tipo
v × b tale che:
1 se p ∈ B
ap,B =
0 altrimenti
Definizione 2.1.5 Un (m, n, k, λ)-disegno divisibile D si dice simmetrico se
b = v, cioè se la sua matrice di incidenza è quadrata. Per un (v, k, λ)-disegno
simmetrico si denota con n = k − λ l’ordine del disegno, e si dice che il
disegno simmetrico è banale se n ∈ {0, 1}.
Nel seguito, salvo avviso contrario, ci si riferirà esclusivamente a disegni
non banali. Inoltre, si denoterà con I e J la matrice identità e la matrice
(quadrata) con tutti gli elementi uguali a 1. L’ordine di tali matrici risulterà
chiaro dal contesto.
Proposizione 2.1.6 Se A è una matrice d’incidenza di un (v, k, λ)-disegno,
allora:
A · At = (r − λ)I + λJ
e
det(A · At ) = rk(r − λ)v−1 .
Dimostrazione. Chiaramente, AAt è una matrice quadrata di ordine v.
Sia bi,j un generico elemento di tale matrice. Se i = j, bi,j rappresenta il
numero di 1 nella i-esima riga di A, cioè il numero di blocchi passanti per
l’i-esimo punto, che si sa essere pari a r. Se i 6= j, bi,j rappresenta il numero
di colonne di A che presentano 1 nelle posizioni corrispondenti alla i-esima e
alla j-esima riga di A, cioè il numero di blocchi che contengono l’i-esimo e il
j-esimo punto, che si sa essere pari a λ. Resta cosı̀ provata la prima parte
della proposizione, cioè che:


r λ λ ... λ
 λ r λ ... λ 




AAt =  λ λ r . . . λ  .
 .. .. ..
..
.. 
 . . .
.
. 
λ λ λ ... r
Ora, si sottragga la prima colonna di AAt a tutte le rimanenti e in questa
nuova matrice si addizioni alla prima riga tutte le altre. La matrice C cosı̀
58
Strutture combinatorie finite
ottenuta ha il medesimo determinante di AAt e ha la seguente espressione:


r + (v − 1)λ
0
0
...
0

λ
r−λ
0
...
0 



λ
0
r − λ ...
0 
C=
.

..
..
..
..
.. 

.
.
.
.
. 
λ
0
0
... r − λ
Allora, tenuto conto del fatto che r(k − 1) = λ(v − 1) (Prop. 2.1.2), si ha che:
det(AAt ) = det(C) = [r+(v−1)λ](r−λ)v−1 = [r+(k−1)r](r−λ)v−1 = rk(r−λ)v−1 .
Questo completa la dimostrazione. Teorema 2.1.7 (Disuguaglianza di Fisher) Se esiste un (v, k, λ)-disegno
con v > k, allora b > v.
Dimostrazione. Per la Prop. 2.1.2, risulta r(k − 1) = λ(v − 1). Dunque,
essendo v > k, si ha che r > λ. Allora, per la Prop. 2.1.6, AAt ha determinante
non nullo, cioè è una matrice non singolare di rango v. Da questo segue che:
v = rango(AAt ) 6 rango(A) 6 b
e l’asserto è provato. Corollario 2.1.8 Una matrice d’incidenza A di un (v, k, λ)-disegno simmetrico non banale è non singolare.
Dimostrazione. Per la Prop. 2.1.2, vr = bk. Ne segue che, essendo
b = v, risulta r = k. Per la Prop. 2.1.6:
det(AAt ) = det(A)2 = k 2 (k − λ)v−1 .
Poichè il disegno è non banale, n = k − λ > 2. Quindi det(A) 6= 0. Teorema 2.1.9 (Teorema dell’orbita) Sia D = (P, B) un (v, k, λ)-disegno
simmetrico non banale, e G un gruppo di automorfismi di D. Allora il numero
di G-orbite su P è uguale al numero di G-orbite su B. In particolare, G è
regolare sui punti se e solo se è regolare sui blocchi. Inoltre, un automorfismo
ϕ di D ha lo stesso numero di punti fissati e di blocchi fissati.
2.1 Disegni
59
Definizione 2.1.10 Sia D = (P, B) un (m, n, k, λ)-disegno simmetrico divisibile. Un gruppo G di automorfismi di D che agisca regolarmente sia sui
punti che sui blocchi è detto gruppo di Singer di D.
Si dà, ora, il celebre Teorema di Bruck, Ryser e Chowla che fornisce
una condizione necessaria per l’esistenza di disegni simmetrici.
Teorema 2.1.11 Se esiste un (v, k, λ)-disegno simmetrico non banale con v
pari, allora n = k − λ è un quadrato.
Dimostrazione. Sia A una matrice di incidenza del disegno. Per la Prop.
2.1.6:
det(AAt ) = det(A)2 = k 2 (k − λ)v−1
e quindi (k − λ)v−1 è un quadrato. Allora, essendo v − 1 dispari, n = k − λ
deve essere un quadrato. Il caso in cui v è dispari è leggermente più complicato. Per la dimostrazione
del Teorema di Bruck, Ryser e Chowla, risulta necessario il seguente famoso
teorema di teoria elementare dei numeri:
Teorema 2.1.12 (Teorema di Lagrange, 1770) Ogni intero positivo può
essere scritto come somma di quattro quadrati interi.
La dimostrazione di tale teorema, noto anche come Teorema dei Quattro
Quadrati, sarà data nella prossima sezione.
Teorema 2.1.13 (Teorema di Bruck, Ryser e Chowla) Se esiste un
(v, k, λ)-disegno simmetrico non banale e v è dispari, allora l’equazione:
Z 2 = (k − λ)X 2 + (−1)(v−1)/2 λY 2
(2.1)
ammette una soluzione intera (x, y, z) 6= (0, 0, 0).
Dimostrazione. Sia A = (ai,j ) una matrice di incidenza del disegno. Si
consideri la trasformazione lineare invertibile di Qv in sè definita da
y := xA,
(2.2)
dove x = (x1 , x2 , . . . , xv ) e y = (y1 , y2 , . . . , yv ). Tenendo presente la Prop.
2.1.6 e che r = k, si ha che
v
X
i=1
yi2 = yyt = xAAt xt = x[(k − λ)I + λJ]xt = (k − λ)xxt + λxJxt . (2.3)
60
Strutture combinatorie finite
D’altra parte, posto j := (1, 1, . . . , 1), risulta:
v
X
xJxt = x(jt j)xt = (xjt )(jxt ) = (
xi )2
i=1
e cosı̀ posto:
T :=
v
X
xi ,
(2.4)
i=1
dalla (2.3) si ricava
v
X
yi2 = (k − λ)
i=1
v
X
x2i + λT 2 .
(2.5)
i=1
A questo punto, per il Teor. 2.1.12, si ha che esistono quattro numeri interi
a, b, c, d tali che:
k − λ = a2 + b2 + c2 + d2 .
(2.6)
Posto

a
b
c
d
 −b a
d −c 

H := 
 −c −d a
b 
−d c −b a
(2.7)
HH t = (a2 + b2 + c2 + d2 )I = (k − λ)I,
(2.8)
det(HH t ) = (det(H))2 = (k − λ)4 .
(2.9)

si osservi che risulta
e
Ne segue che anche H, al pari di A, è una matrice non singolare sul campo Q
dei numeri razionali. Si supponga, ora che sia
v ≡ 1 (mod 4).
Poichè v − 1 è multiplo di 4, è possibile suddividere le variabili
x1 , x2 , . . . , xv−1
in gruppi di quattro
x1 , x2 , x3 , x4 ; x5 , x6 , x7 , x8 ; . . . ; xv−4 , xv−3 , xv−2 , xv−1
{z
} |
{z
}
|
|
{z
}
(2.10)
2.1 Disegni
61
e, per ognuno di questi, introdurre le trasformazioni lineari invertibili di Q4 in
sè definite da:
(z4s+1 , z4s+2 , z4s+3 , z4s+4 ) := (x4s+1 , x4s+2 , x4s+3 , x4s+4 )H,
(2.11)
con s = 0, 1, . . . , (v − 5)/4. Si noti che, in virtù della (2.8), si ha:
2
2
2
2
z4s+1
+ z4s+2
+ z4s+3
+ z4s+4
=
(2.12)
= (z4s+1 , z4s+2 , z4s+3 , z4s+4 )(z4s+1 , z4s+2 , z4s+3 , z4s+4 )t =
= (x4s+1 , x4s+2 , x4s+3 , x4s+4 )HH t (x4s+1 , x4s+2 , x4s+3 , x4s+4 )t =
= (k − λ)(x24s+1 + x24s+2 + x24s+3 + x24s+4 )
e quindi
v−1
X
zi2
=
(v−5)/4 4
X X
s=0
i=1
(v−5)/4
X
(k − λ)
s=0
4
X
2
=
z(4s+1)+j
(2.13)
j=1
x24s+j
= (k − λ)
j=1
v−1
X
x2i .
i=1
Inoltre, dalle (2.5) e (2.13), si ha
2
y12 + y22 + · · · + yv2 = z12 + z22 + · · · + zv−1
+ (k − λ)x2v + λT 2 .
(2.14)
Si noti che, essendo le trasformazioni (2.2) e (2.11) invertibili, x1 , x2 , . . . , xv−1
possono esprimersi come combinazioni lineari a coefficienti razionali di
z1 , z2 , . . . , zv−1 e quindi y1 , y2 , . . . , yv e T risultano combinazioni lineari a coefficienti razionali di z1 , z2 , . . . , zv−1 e xv . Pertanto, la (2.14) può interpretarsi
come una identità tra le forme lineari razionali y1 , y2 , . . . , yv e T nelle variabili
z1 , z2 , . . . , zv−1 e xv .
Si prova, ora, che è possibile specializzare le variabili (indipendenti)
z1 , z2 , . . . , zv−1 , in modo che la (2.14) si riduca ad una uguaglianza del tipo
yv2 = (k − λ)x2v + λT 2 ,
(2.15)
m
xv ,
s
(2.16)
con
yv =
p
xv ,
q
T =
dove p, q, m, s sono interi. A tale scopo, se è
y1 = c11 z1 + c12 z2 + · · · + c1v xv ,
c1j ∈ Q,
62
Strutture combinatorie finite
si ponga
z1 =
(c12 z2 + c13 z3 + · · · + c1v xv )/(1 − c11 ) se c11 6= 1
−(c12 z2 + c13 z3 + · · · + c1v xv )/2
se c11 = 1
(2.17)
e si osservi che con tale posizione risulta y12 = z12 e quindi la (2.14) diventa
2
y22 + · · · + yv2 = z22 + · · · + zv−1
+ (k − λ)x2v + λT 2 .
(2.18)
In virtù della (2.17), la (2.18) è una identità tra forme lineari razionali nelle
variabili z2 , z3 , . . . , zv−1 e xv . A questo punto è chiaro che, iterando il procedimento precedente per le variabili z2 , z3 , . . . , zv−1 , si giunge ad una relazione
del tipo (2.15), dove yv e T sono del tipo (2.16). Allora, sostituendo le (2.16)
nella (2.15), si ottiene
p2
m2
=
(k
−
λ)
+
λ
q2
s2
o, equivalentemente,
(ps)2 = (k − λ)(qs)2 + λ(qm)2 .
Ne segue che, essendo (v − 1)/2 pari, (ps, qs, qm) costituisce una soluzione
intera non banale della (2.1).
Se v ≡ 3 (mod 4), detta xv+1 una nuova variabile, indipendente dalle xi e yi ,
sommando (k − λ)x2v+1 ai due membri della (2.5), si ha
y12 + · · · + yv2 + (k − λ)x2v+1 = (k − λ)(x21 + · · · + x2v + x2v+1 ) + λT 2 . (2.19)
Poichè v + 1 è un multiplo di 4, è possibile suddividere le variabili
x1 , x2 , . . . , xv , xv+1
in gruppi di quattro e introdurre le trasformazioni (2.11) per s = 0, 1, . . . , (v −
3)/4. Operando come nel caso precedente, si perviene ad una identità del tipo
2
(k − λ)x2v+1 = yv+1
+ λT 2 ,
con
yv+1 =
p
xv+1 ,
q
T =
m
xv+1 ,
s
dove p, q, m, s sono interi. Sostituendo le (2.21) nella (2.20), si ha
p2
m2
=
(k
−
λ)
−
λ
q2
s2
(2.20)
(2.21)
2.1 Disegni
63
o, equivalentemente,
(ps)2 = (k − λ)(qs)2 − λ(qm)2 .
Ne segue che, essendo (v − 1)/2 dispari, (ps, qs, qm) costituisce una soluzione
intera non banale della (2.1). Resta cosı̀ completamente provato il teorema.
Esempio 2.1.14 Applicando il teorema di Bruck, Ryser e Chowla, si prova
la non esistenza di un (29, 8, 2)-disegno. Si supponga per assurdo che esista
un disegno con tali parametri. Per la Prop. 2.1.2, risulta:
r(8 − 1) = 2(29 − 1).
Ne segue che:
r=8=k
e quindi che il disegno è simmetrico. Per il teorema di Bruck, Ryser e Chowla,
essendo v dispari, l’equazione diofantea
Z 2 = 6X 2 + 2Y 2
(2.22)
ammette una soluzione intera non banale (a, b, c). Senza perdita di generalità,
si assuma che (a, b, c) = 1. Si consideri l’equazione (2.22) modulo 3. Allora:
c2 − 2b2 ≡ 0 (mod 3).
(2.23)
La congruenza (2.23) è verificata se e solo se
b ≡ 0 (mod 3)
e
c ≡ 0 (mod 3).
Ma se b e c sono entrambi divisibili per 3, allora 6a2 = c2 − 2b2 è divisibile per
9. Dunque, a è divisibile per 3 e questo è assurdo perchè contraddice l’ipotesi
che (a, b, c) = 1.
Definizione 2.1.15 Un piano proiettivo finito (P, B) è un insieme finito P (punti) dotato di un insieme finito B di sottoinsiemi di P (rette)
soddisfacente le seguenti condizioni:
1. Per due punti distinti passa un’unica retta.
64
Strutture combinatorie finite
2. Due rette distinte hanno un unico punto in comune.
3. Esiste un quadrangolo, cioè un insieme di quattro punti a tre a tre non
giacenti su una stessa retta (non allineati).
Proposizione 2.1.16 Sia (P, B) un piano proiettivo finito. Allora, esiste un
intero n > 2, detto l’ordine del piano, tale che:
1. |P| = |B| = n2 + n + 1;
2. Ogni retta contiene n + 1 punti e per ogni punto passano n + 1 rette.
Osservazione 2.1.17 È chiaro che un piano proiettivo finito di ordine n risulta essere un (n2 + n + 1, n + 1, 1)-disegno simmetrico D contenente un
quadrangolo. Un automorfismo θ di D è detto una collineazione del piano
proiettivo. Una collineazione di ordine 2 è detta una involuzione del piano
proiettivo.
Definizione 2.1.18 Un piano affine finito (P, B) è un insieme finito P (punti) dotato di un insieme finito B di sottoinsiemi di P (rette)
soddisfacente le seguenti condizioni:
1. Per due punti distinti passa un’unica retta.
2. Dati una retta B e un punto p 6∈ B, esiste un’unica retta H che passa
per p e non interseca B.
3. Esiste un triangolo, cioè un insieme di tre punti non giacenti su una
stessa retta (non allineati).
Proposizione 2.1.19 Sia (P, B) un piano affine finito. Allora, esiste un
intero n > 2, detto l’ordine del piano, tale che:
1. |P| = n2 ;
2. |B| = n2 + n;
3. Ogni retta contiene n punti e per ogni punto passano n + 1 rette.
Osservazione 2.1.20 Un piano affine finito di ordine n è, quindi, un
(n2 , n, 1)-disegno D contenente un triangolo. Un automorfismo θ di D è detto
una collineazione del piano affine. Una collineazione di ordine 2 è detta una
involuzione del piano affine. Eliminando una retta (con tutti i suoi punti) da
2.1 Disegni
65
un piano proiettivo di ordine n, si ottiene un piano affine di ordine n. Questa
costruzione si può facilmente invertire. Quindi, un piano affine di ordine n
esiste se e solo se esiste un piano proiettivo di ordine n.
Proposizione 2.1.21 Se q è una potenza di un numero primo, allora esiste
un piano proiettivo (e quindi un piano affine) di ordine q.
Dimostrazione. Sia Fq un campo finito con q elementi. Basta prendere
P = P G(2, q). Le rette del piano sono i punti che soddisfano le equazioni
lineari
a0 X0 + a1 X1 + a2 X2 = 0
Questo rappresenta il cosiddetto piano proiettivo classico. Congettura 2.1.22 Un piano proiettivo di ordine n esiste se e solo se n è
una potenza di un numero primo.
Corollario 2.1.23 (Teorema di Bruck-Ryser) Se esiste un piano proiettivo di ordine n, con n ≡ 1 o 2 (mod 4), allora n è somma di due quadrati
interi.
Dimostrazione. Per ipotesi si ha che:
v = n2 + n + 1 ≡ 3 (mod 4)
e quindi v − 1 è del tipo 4h + 2, con h intero positivo. Allora (v − 1)/2 è
un intero dispari e il teorema di Bruck-Ryser-Chowla assicura che l’equazione
diofantea
Z 2 = nX 2 − Y 2
ammette una soluzione intera non banale (a, b, c). Ne segue che
na2 = b2 + c2 ,
o, equivalentemente
2 b
c 2
n=
+
a
a
cioè, n è somma di due quadrati razionali. Un ben noto risultato di teoria elementare dei numeri stabilisce che un intero è somma di due quadrati razionali
se e solo se è somma di due quadrati interi. Questo completa la dimostrazione.
66
Strutture combinatorie finite
2.2
Il teorema di Minkowski
In questa sezione si considera un celebre teorema dimostrato da Minkowski
intorno al 1890. Grazie a tale teorema, si perviene a una dimostrazione
estremamente elegante del ‘Teorema dei Quattro Quadrati’.
Lemma 2.2.1 Sia p un numero primo dispari. Allora, esistono due interi u
e v tali che:
u2 + v 2 ≡ −1 (mod p).
Dimostrazione. Siano
A := {z ∈ Zp | z = x2 , 0 6 x 6 (p − 1)/2}
B := {z ∈ Zp | z = −1 − y 2 , 0 6 y 6 (p − 1)/2}
Si prova che A contiene esattamente (p + 1)/2 elementi. Infatti, siano a e b
2
interi tali che 0 6 a, b 6 (p − 1)/2 e a2 = b . Ne segue che a2 ≡ b2 (mod p)
e quindi che p | (a + b)(a − b). Allora, p | (a + b) oppure p | (a − b) e questo
implica che a = b. Analogamente si vede che anche l’insieme B, sopra definito,
ha cardinalità (p + 1)/2. Si deduce che l’insieme A ∩ B è non vuoto. Di qui,
la tesi. Lemma 2.2.2 Sia S4 l’insieme degli interi rappresentabili come somma di
quattro quadrati interi. Allora, se s e t sono elementi di S4 , anche il loro
prodotto st lo è.
Dimostrazione. L’asserto segue immediatamente dalla seguente identità:
(a21 + b21 + c21 + d21 )(a22 + b22 + c22 + d22 ) = (a1 a2 − b1 b2 − c1 c2 − d1 d2 )2 +
+(a1 b2 +b1 a2 +c1 d2 −d1 c2 )2 +(a1 c2 −b1 d2 +c1 a2 +d1 b2 )2 +(a1 d2 +b1 c2 −c1 b2 +d1 a2 )2 .
Il lemma è cosı̀ provato. Definizione 2.2.3 Sia n un intero positivo. Si definisce reticolo in Rn , un
insieme Γ della forma
Γ = {α1 v1 + · · · + αn vn ∈ Rn | αi ∈ Z}
dove {v1 , . . . , vn } è una R-base dello spazio vettoriale reale Rn . Tale base è
detta una base del reticolo Γ. L’insieme F definito da
F := {α1 v1 + · · · + αn vn ∈ Rn | αi ∈ R, 0 6 αi < 1}
è detto un dominio fondamentale per Γ.
2.2 Il teorema di Minkowski
67
Lemma 2.2.4 Se Γ è un reticolo in Rn , allora Γ è un sottogruppo del gruppo
additivo (Rn , +). Inoltre, se F è un dominio fondamentale per Γ, per ogni
v ∈ Rn , esiste un unico elemento w ∈ F tale che v − w ∈ Γ.
Dimostrazione. La prima parte del lemma è immediata.
Siano {v1 , . . . , vn } una
P base del reticolo Γ, F il corrispondente dominio
fondamentale e v = ni=1 αi vi ∈ Rn . Per ogni i = 1, . . . , n, si definisca:
βi := αi − bαi c,
dove bα
Pinc rappresenta il più grande intero minore o uguale ad αi , e si ponga
w := Pi=1 βi vi . Poichè,
per ogni i = 1, . . . , n, 0P
6 βi < 1, segue che w ∈ F
P
e w = ni=1 αi vi − ni=1 bαi cvi = v − l con l := ni=1 bαi cvi ∈ Γ. Per quanto
riguarda l’unicità di w, si supponga
che esista un altro elemento w0 ∈ F tale
Pn
0
0
0
0
che v − w ∈ Γ. Sia w =
i=1 βi vi dove 0 6 βi < 1 per ogni i. Quindi
0
0
|βi − βi | < 1 per ogni i. D’altra parte w − w ∈ Γ e quindi βi − βi0 ∈ Z. Segue
che βi = βi0 per ogni i, e quindi w = w0 . Osservazione 2.2.5 Il Lemma 2.2.4 può essere enunciato in modo equivalente, nel modo seguente. Se per ogni γ ∈ Γ si considera l’insieme traslato di
F:
F + γ := {f + γ | f ∈ F },
allora
1.
S
γ∈Γ (F
+ γ) = Rn ,
2. (F + γ) ∩ (F + γ 0 ) = ∅ per ogni γ 6= γ 0 , con γ e γ 0 ∈ Γ.
Osservazione 2.2.6 Nel seguito, assegnato un sottoinsieme X di Rn , misurabile secondo Lebesgue, si denoterà con vol(X) la sua misura, cioè il seguente
integrale (di Lebesgue):
Z
vol(X) =
dx.
X
Si indicherà con Bn (r) la sfera aperta n-dimensionale di raggio r
Bn (r) := {x = (x1 , . . . , xn ) ∈ Rn | x21 + · · · + x2n < r2 }.
Posto Vn := vol(Bn (1)), si ha che:
(
(2π)m
Vn =
n(n−2)···4·2
2m+1 π m
n(n−2)···3·1
se n = 2m
se n = 2m + 1.
68
Strutture combinatorie finite
Se ne deduce che la sfera Bn (r) di raggio r ha volume 2r, πr2 , 4/3πr3 o
π 2 r4 /2 per n = 1, 2, 3 o 4. Si ricordi che la misura di Lebesgue è invariante
per traslazioni ed è numerabilmente additiva. Infine, sia Γ un reticolo in Rn
con base {v1 , . . . , vn }. Se per ogni i = 1, . . . , n, risulta vi = (αi1 , αi2 , . . . , αin ),
denotata con A = (αij ) la matrice quadrata di ordine n formata da tali vettori,
e con F il dominio fondamentale associato a tale base, si ha che:
vol(F ) = |det(A)|.
Definizione 2.2.7 Un sottoinsieme X di Rn si dice simmetrico rispetto
all’origine se, per ogni v ∈ X, anche −v ∈ X. Si dice convesso se, per ogni
coppia di elementi v, w ∈ X, il segmento congiungente v e w è tutto contenuto
in X, cioè
tv + (1 − t)w ∈ X
per ogni t ∈ R tale che 0 6 t 6 1.
Lemma 2.2.8 Siano Γ un reticolo in Rn , F un dominio fondamentale per Γ
e S un sottoinsieme di Rn misurabile secondo Lebesgue, tale che
vol(S) > vol(F ).
Allora, esistono due elementi distinti x e y ∈ S tali che x − y ∈ Γ.
S
Dimostrazione. Per l’Oss. 2.2.5, γ∈Γ (F + γ) = Rn e i traslati di F sono
a due a due disgiunti. Allora:
[
S ∩ (F + γ) = S.
γ∈Γ
Poichè gli insiemi S, F e F + γ sono misurabili, anche S ∩ (F + γ) lo è, per ogni
γ ∈ Γ. Tenuto conto del fatto che la misura di Lebesgue è numerabilmente
additiva, si ha che:
X
vol(S) =
vol(S ∩ (F + γ))
(2.24)
γ∈Γ
Poichè la misura di Lebesgue è invariante per traslazioni, si ha che per ogni
γ ∈ Γ:
vol(S ∩ (F + γ)) = vol((S − γ) ∩ F ).
Allora, la (2.24) può essere cosı̀ riscritta:
X
vol(S) =
vol((S − γ) ∩ F ).
γ∈Γ
(2.25)
2.2 Il teorema di Minkowski
69
Essendo per ipotesi, vol(S) > vol(F ), la (2.25) implica che gli insiemi (S −
γ) ∩ F , con γ ∈ Γ, non possono essere a due a due disgiunti. Si deduce che
esistono due elementi distinti γ e γ 0 di Γ tali che
((S − γ) ∩ F ) ∩ ((S − γ 0 ) ∩ F ) 6= ∅
e quindi che esistono due elementi distinti s e s0 di S tali che
z = s − γ = s0 − γ 0 ∈ F ∩ (S − γ) ∩ (S − γ 0 )
e
0 6= s − s0 = γ − γ 0 ∈ Γ.
Questo completa la dimostrazione. Teorema 2.2.9 (Teorema di Minkowski) Siano Γ un reticolo in Rn , F
un dominio fondamentale per Γ e S un sottoinsieme di Rn misurabile secondo
Lebesgue, convesso e simmetrico rispetto all’origine tale che
vol(S) > 2n vol(F ).
Allora, S contiene un elemento non nullo del reticolo Γ.
Dimostrazione. Si osservi preliminarmente che, nelle ipotesi del teorema,
certamente S ∩ Γ 6= ∅ dal momento che 0 ∈ S ∩ Γ. Infatti, essendo vol(S) > 0,
risulta S 6= ∅. Pertanto esiste α ∈ S e, per la simmetria centrale, −α ∈ S. Per
la convessità di S, il segmento di estremi α e −α è tutto contenuto in S. Ne
segue che 0 ∈ S ∩ Γ. Il teorema di Minkowski assicura l’esistenza di un punto
non nullo in S ∩ Γ. Si passa, ora, alla dimostrazione.
Si ponga
1
S 0 := S.
2
Allora:
1
vol(S 0 ) = n vol(S) > vol(F ).
2
Per il Lemma 2.2.8, esistono due elementi distinti x e y di S 0 tali che:
1
0 6= z := x − y = (2x − 2y) ∈ Γ.
2
Osservato che
2y ∈ S ⇒ −2y ∈ S
70
Strutture combinatorie finite
e che 2x ∈ S, per la convessità di S segue che z ∈ S. Si è ora in grado di dimostrare il famoso Teorema dei Quattro Quadrati.
Dimostrazione (Teorema 2.1.12). Poichè 0, 1 e 2 ∈ S4 , per il Lemma
2.2.2 il teorema resta dimostrato se lo si prova per ogni numero primo dispari.
Sia, dunque, p un numero primo dispari. Per il Lemma 2.2.1, esistono due
interi u e v tali che:
u2 + v 2 ≡ −1 (mod p).
(2.26)
Fissata una coppia (u, v) di interi soddifacente la (2.26), sia Γ ⊆ R4 l’insieme
definito da:
Γ := {(x, y, z, t) ∈ Z4 | z ≡ ux + vy (mod p),
t ≡ vx − uy (mod p)}
Si verifica facilmente che Γ è un reticolo in Z4 con base
v1 = (1, 0, u, v),
v2 = (0, 1, v, −u),
v3 = (0, 0, p, 0),
v4 = (0, 0, 0, p).
Per l’Oss. 2.2.6, posto

1
 0
A := 
 0
0
0
1
0
0

u v
v −u 

p 0 
0 p
risulta che, se F rappresenta il dominio fondamentale associato a tale base,
√
vol(F ) = |det(A)| = p2 . Sia ora S := B4 ( 2p) la sfera 4-dimensionale di
raggio 2p. Sempre per l’Oss. 2.2.6, risulta:
vol(S) = 2π 2 p2 > 16p2 = 24 vol(F ).
Chiaramente S è un insieme misurabile, convesso e simmetrico rispetto all’origine. Dunque, per il Teorema di Minkowski, esiste un elemento (a, b, c, d) ∈
S ∩ Γ, con (a, b, c, d) 6= (0, 0, 0, 0). Pertanto, (a, b, c, d) ∈ Z4 e
0 < a2 + b2 + c2 + d2 < 2p.
Inoltre, per definizione di Γ si ha che:
c ≡ ua + vb (mod p) ⇒ c2 ≡ u2 a2 + v 2 b2 + 2uvab (mod p)
e
d ≡ va − ub (mod p) ⇒ d2 ≡ v 2 a2 + u2 b2 − 2uvab (mod p)
(2.27)
2.3 Insiemi di differenze
71
da cui
a2 + b2 + c2 + d2 ≡ (u2 + v 2 + 1)(a2 + b2 ) (mod p).
Dalla (2.26) segue che:
a2 + b2 + c2 + d2 ≡ 0 (mod p).
(2.28)
La (2.27) e la (2.28) implicano che, necessariamente, a2 + b2 + c2 + d2 = p. 2.3
Insiemi di differenze
Nel seguito, se non specificato altrimenti, per i gruppi finiti G si userà la
notazione moltiplicativa e 1 ne denoterà l’elemento neutro.
Definizione 2.3.1 Siano m, n, k, λ interi positivi con mn > k > 2. Sia G
un gruppo finito di ordine mn e N un sottogruppo di G di ordine n. Un
sottoinsieme R di G, contenente k elementi, è detto un (m, n, k, λ)-insieme
di differenze di G relativo a N se ogni elemento g ∈ G\N ha esattamente
λ rappresentazioni g = r1 r2−1 con r1 , r2 ∈ R, r1 6= r2 , e nessun elemento di
N , diverso dall’elemento neutro, ha una tale rappresentazione. Il sottogruppo
N è detto il sottogruppo proibito.
Definizione 2.3.2 Siano v, k, λ interi positivi con v > k > 2. Sia G un
gruppo finito di ordine v. Un sottoinsieme D di G, contenente k elementi,
è detto un (v, k, λ)-insieme di differenze di G se ogni elemento g ∈ G,
g 6= 1, ha esattamente λ rappresentazioni g = d1 d−1
2 con d1 , d2 ∈ D, d1 6= d2 .
L’intero non negativo n = k − λ è detto l’ordine dell’insieme di differenze.
Se n ∈ {0, 1}, l’insieme di differenze è detto banale.
Osservazione 2.3.3 Nel seguito, per insieme di differenze, si intenderà
sempre insieme di differenze non banale.
Osservazione 2.3.4 Chiaramente un (v, k, λ)-insieme di differenze di G è un
(v, 1, k, λ)-insieme di differenze in G relativo a N = {1}, sottogruppo di G
ridotto al solo elemento neutro.
Definizione 2.3.5 Un (m, n, k, λ)-insieme di differenze di G relativo a N (un
(v, k, λ)-insieme di differenze in G) è detto ciclico (rispettivamente abeliano,
non abeliano, . . .) se G è ciclico (rispettivamente abeliano, non abeliano,
. . .).
72
Strutture combinatorie finite
Il seguente risultato ben noto, mostra l’equivalenza tra gli insiemi di
differenze e i disegni simmetrici divisibili che ammettono un gruppo di
automorfismi regolare.
Proposizione 2.3.6 Sia R un (m, n, k, λ)-insieme di differenze di G relativo
a N . Allora D = ( G, {Rg : g ∈ G }) è un (m, n, k, λ)-disegno simmetrico
divisibile. Ogni elemento g ∈ G agisce su D nel modo seguente:
x 7−→ xg,
Ry 7−→ Ryg
Con questa azione (traslazione destra) G è un gruppo di automorfismi di D
regolare sui punti (e quindi sui blocchi). Le classi di punti di D sono i laterali
di N .
Viceversa, sia D = (P, B) un (m, n, k, λ)-disegno simmetrico divisibile che
ammette un gruppo G di automorfismi regolare. Si fissi un punto p ∈ P. Per
ogni q ∈ P, sia τq l’unico elemento di G tale che τq (p) = q. In tal modo, è
possibile identificare P con G attraverso la bigezione
q 7−→ τq
Sia R un blocco di D, e N la classe di punti contenente l’elemento neutro di
G (cioè il punto base p). Allora R è un (m, n, k, λ)-insieme di differenze in G
relativo a N .
Per la sua importanza, si dà l’enunciato del seguente caso particolare della
Prop. 2.3.6, separatamente.
Proposizione 2.3.7 Un (v, k, λ)-insieme di differenze di G è equivalente a
un (v, k, λ)-disegno simmetrico che ammette G come gruppo di automorfismi
regolare.
Gli insiemi di differenze di un gruppo finito G possono essere caratterizzati
da una opportuna equazione nell’anello gruppale intero Z[G].
Definizione 2.3.8 Sia G un gruppo finito. L’anello gruppale intero su G,
Z[G] è l’insieme delle somme formali:
S=
X
g∈G
ag g
con
ag ∈ Z
2.3 Insiemi di differenze
73
munito delle due seguenti operazioni:
X
X
X
ag g +
bg g =
(ag + bg )g
g∈G
(
X
g∈G
ag g) · (
g∈G
X
g∈G
X
bg g) =
g∈G
(ah bk )hk.
h,k∈G
Osservazione 2.3.9 Nel seguito, gli elementi neutri moltiplicativi di Z, G
e Z[G] saranno identificati e denotati con 1; di conseguenza, l’elemento di
Z[G] ottenuto moltiplicando l’elemento neutro 1 di G per l’intero a ∈ Z, sarà
semplicemente denotato con a (cioè si scriverà a invece di a1). Inoltre,
si
P
identificherà sempre ogni sottoinsieme
A
del
gruppo
G
con
l’elemento
g∈A g
P
di Z[G]. Se t è un intero, e S = g∈G ag g ∈ Z[G], si definisce:
S (t) :=
X
ag g t
g∈G
Se α : G → H è un omomorfismo di gruppi, esso si estenderà per linearità ad
un omomorfismo α : Z[G] → Z[H] di anelli, nel modo seguente:
X
X
X
∀S =
ag g ∈ Z[G], α(
ag g) =
ag α(g)
g∈G
Infine, per S =
P
g∈G ag g,
g∈G
|S| :=
g∈G
P
g∈G ag .
Fissate queste notazioni, è ora possibile enunciare i seguenti lemmi
elementari.
Lemma 2.3.10 Sia G un gruppo finito, N un sottogruppo normale di G,
ρ : G → G/N l’epimorfismo canonico. Allora:
1. ∀A, B ∈ Z[G], posto A = ρ(A) e B = ρ(B) si ha che
A = B in Z[G/N ] ⇔ AN = BN in Z[G].
2. ∀A ∈ Z[G] : AG = |A|G.
3. ∀A, B ∈ Z[G] : (A + B)(−1) = A(−1) + B (−1) , (A · B)(−1) = A(−1) · B (−1) .
4. ∀A ∈ Z[G], ∀s, t ∈ Z : (A(t) )(s) = (A(s) )(t) .
5. G(−1) = G, N (−1) = N .
74
Strutture combinatorie finite
Lemma 2.3.11 Sia G un gruppo finito di ordine v = mn, N un sottogruppo
di G di ordine n. Un sottoinsieme R di G, contenente k elementi, è un
(m, n, k, λ)-insieme di differenze in G relativo a N se e solo se
R · R(−1) = k + λ(G − N )
in Z[G].
Dimostrazione. Sviluppando il prodotto R · R(−1) si ottiene:
R · R(−1) = S + k
dove S è la somma di tutti i quozienti r1 r2−1 , r1 , r2 ∈ R, r1 6= r2 . Per
definizione, l’insieme R è un (m, n, k, λ)-insieme di differenze in G relativo a
N se e solo se S = λ(G − N ) in Z[G]. Si enuncia, separatamente, il seguente caso particolare del Lemma 2.3.11.
Lemma 2.3.12 Sia G un gruppo finito di ordine v, k e λ interi positivi, n =
k − λ. Un sottoinsieme D di G, contenente k elementi, è un (v, k, λ)-insieme
di differenze in G se e solo se
D · D(−1) = n + λG
in Z[G].
Lemma 2.3.13 Con le precedenti notazioni, sia R un (m, n, k, λ)-insieme di
differenze abeliano di G relativo a N . Allora R = ρ(R) è un (m, k, nλ)-insieme
di differenze (abeliano) in G/N .
Dimostrazione. Sia N = {h1 , h2 , . . . , hn }, G/N = {N g1 , N g2 , . . . , N gm },
(h1 = g1 = 1), R = {r1 , r2 , . . . , rk }. Poichè R è un (m, n, k, λ)-insieme di
differenze relativo a N , |ρ(R)| = k (ρ(R) = {N r1 , N r2 , . . . , N rk } e ∀i 6= j :
N ri 6= N rj , altrimenti si avrebbe che ri rj−1 ∈ N ). Per il Lemma 2.3.12, basta
provare che in Z[G/N ]:
ρ(R) · (ρ(R))(−1) = k − nλ + nλG/N.
In effetti, per il Lemma 2.3.11:
R · R(−1) = k + λG − λN.
2.4 Disegni e matrici di Hadamard
75
Applicando ad ambo i membri di tale uguaglianza l’epimorfismo canonico ρ si
ottiene:
ρ(R) · ρ(R(−1) ) = k + ρ(λG) − ρ(λN ).
Si osservi che in Z[G/N ] risulta:
G/N = N g1 + N g2 + · · · + N gm
ρ(λN ) = ρ(λh1 + · · · + λhn ) = λ(N h1 + · · · + N hn ) = λnN = λn
X
X
X
X
ρ(λG) = ρ(λ
g) = λ
N g = λ(
Ng + · · · +
N g) =
g∈G
g∈G
g∈N g1
g∈N gm
= λn(N g1 + · · · + N gm ) = λnG/N
Pertanto
ρ(R) · (ρ(R))(−1) = k − nλ + nλG/N.
Resta cosı̀ completata la dimostrazione. 2.4
Disegni e matrici di Hadamard
Definizione 2.4.1 Siano m, n interi positivi. Una matrice pesata W (m, n)
è una matrice H di tipo m × m con entrate −1, 0, 1, tale che
HH t = nI
dove H t denota la matrice trasposta di H e I la matrice identità. L’intero n
è detto il peso di H.
Definizione 2.4.2 Sia m un intero positivo. Una matrice H quadrata di
ordine m con entrate ±1 tale che
HH t = mI
è detta una matrice di Hadamard di ordine m.
Proposizione 2.4.3 Una matrice quadrata di ordine m con entrate ±1 è una
matrice di Hadamard se e solo se le sue colonne (le sue righe) sono a due a
due ortogonali.
Lemma 2.4.4 Se H è una matrice di Hadamard, lo è anche la sua trasposta.
Se si trasforma una matrice di Hadamard mediante operazioni del tipo:
76
Strutture combinatorie finite
1. permutazioni di righe e di colonne;
2. moltiplicazione di righe e di colonne per −1
si ottiene ancora una matrice di Hadamard.
Lemma 2.4.5 Se esiste una matrice H di Hadamard di ordine m, allora m =
1, 2 oppure m ≡ 0 (mod 4).
Dimostrazione. Sia H una matrice di Hadamard di ordine m > 2. Siano
(ai ), (bi ), (ci ) tre righe distinte di H. Si ponga
S :=
m
X
(ai + bi )(ai + ci ).
i=1
Allora, S ≡ 0 (mod 4) poichè ai + bi , ai + ci ∈ {−2, 0, 2}. D’altra parte, per
l’ortogonalità delle righe di H (Prop. 2.4.3), si ha che :
S=
m
X
a2i = m.
i=1
Ne segue l’asserto. Congettura 2.4.6 Esiste una matrice di Hadamard di ordine m per tutti gli
interi positivi m tali che m ≡ 0 (mod 4).
Definizione 2.4.7 Siano m, n interi positivi, G un gruppo finito di ordine m.
Si dice che una matrice quadrata di ordine m, H = (hf,g )f,g∈G , indiciata con
gli elementi di G, è G-invariante se
hf k,gk = hf,g
∀f, g, k ∈ G.
Lemma 2.4.8 Con le stesse notazioni precedenti, se esiste una matrice pesata
G-invariante H = W (m, n), allora n = s2 per qualche intero s e il numero di
entrate 1 in ciascuna riga di H è s(s + 1)/2.
Dimostrazione. Sia s1 il numero di entrate 1 nella prima (e quindi in ciascuna) riga della matrice pesata G-invariante H = W P
(m, n). Se (a1 , . . . , am )
2
denota la prima riga di H, poichè HH t = nI, allora m
i=1 ai = n. Pertanto
n rappresenta il numero di entrate ±1 nella prima (e quindi in ciascuna) riga
di H e n − s1 il numero di entrate −1. Sia s la somma delle entrate della
2.4 Disegni e matrici di Hadamard
77
prima riga di H (e quindi di ciascuna riga o colonna). Se J denota la matrice
quadrata di ordine m con entrate tutte uguali a 1, allora:
(HH t )J = H(H t J) = H(sJ) = s2 J
e quindi n = s2 e s = s1 − (s2 − s1 ). Ne segue che s1 = s(s + 1)/2. Osservazione 2.4.9 Rimpiazzando H con la matrice −H, se necessario, è
sempre possibile assumere che s sia positivo. P
Inoltre, si identificherà una
matrice H = (hf,g ) G-invariante con l’elemento g∈G h1,g g ∈ Z[G].
Lemma 2.4.10 Un elemento H di Z[G] con coefficienti −1, 0, 1 è una matrice
pesata G-invariante W (m, n) se e solo se
H · H (−1) = n
in Z[G].
Dimostrazione. L’equazione HH t = nI è equivalente a
X
X
hi,g hj,g =
h1,gi−1 h1,gj −1 = δij n
g∈G
g∈G
per ogni i, j ∈ G dove δij è il simbolo di Kronecker. Dunque H è una matrice
pesata G-invariante W (m, n) se e solo se
H · H (−1) =
X
g,k∈G
h1,g h1,k gk −1 =
X X
(
h1,g h1,l−1 g )l = n
l∈G g∈G
in Z[G] (si è effettuata la sostituzione l := gk −1 ). Si introducono, ora, i disegni di Hadamard e si mostra l’equivalenza tra
tali disegni e le matrici di Hadamard.
Definizione 2.4.11 Sia n un intero positivo. Un (4n−1, 2n−1, n−1)-disegno
(che è automaticamente simmetrico) è detto un disegno di Hadamard di
ordine n.
Teorema 2.4.12 Sia n un intero positivo. Allora, esiste una matrice di Hadamard di ordine 4n se e solo se esiste un disegno di Hadamard di ordine
n.
78
Strutture combinatorie finite
Definizione 2.4.13 Sia u un intero positivo. Un insieme di differenze con
parametri (v, k, λ) = (4u2 , 2u2 − u, u2 − u) è detto un insieme di differenze
di Hadamard.
Lemma 2.4.14 Sia G un gruppo finito di ordine |G| > 1. Allora, una matrice
di Hadamard G-invariante esiste se e solo se esiste un insieme di differenze
di Hadamard in G. In particolare, l’ordine di una matrice di Hadamard Ginvariante è un quadrato pari.
Dimostrazione, Sia H una matrice di Hadamard G-invariante. Per i
Lemmi 2.4.5 e 2.4.8, |G| è un quadrato pari, cioè |G| = 4u2 per qualche
intero u. Si consideri H come elemento di Z[G] (Oss. 2.4.9) e si definisca
D := (H + G)/2. Poichè H ha coefficienti ±1, D è un elemento di Z[G]
con coefficienti 0 e 1, cioè D è un sottoinsieme di G. Per il Lemma 2.4.8,
rimpiazzando H con −H se necessario, il numero di elementi di D, cioè il
numero di entrate 1 nella prima riga di H, è 2u2 − u. Si noti, inoltre, che
|H| = −2u quando si considera H come elemento di Z[G]. Utilizzando il
Lemma 2.3.10, si ha che:
2D = H + G ⇒ 2D(−1) = H (−1) + G(−1)
e moltiplicando
4D·D(−1) = H·H (−1) +H·G+H (−1) ·G+G·G = H·H (−1) +|H|G+|H (−1) |G+|G|G.
Per il Lemma 2.4.10, si ha che:
4D · D(−1) = H · H (−1) + (4u2 − 4u)G = 4u2 + (4u2 − 4u)G.
Quindi D è un insieme di differenze di Hadamard di G per il Lemma 2.3.12.
Viceversa, sia D un insieme di differenze di Hadamard di G. Allora, per i
Lemmi 2.3.12 e 2.4.10, H := 2D − G corrisponde a una matrice di Hadamard
G-invariante. Definizione 2.4.15 Una matrice di Hadamard circolante di ordine m
è una matrice pesata W (m, m) con entrate ±1, Zm -invariante ( (Zm , +) è il
gruppo ciclico di ordine m).
Osservazione 2.4.16 Per il Lemma 2.4.14, l’ordine di una matrice di Hadamard circolante è un quadrato pari, cioè 4u2 per qualche intero positivo u.
R.Turyn ha provato che tale u deve essere necessariamente dispari. Inoltre,
sempre per il Lemma 2.4.14, una matrice di Hadamard circolante di ordine
4u2 esiste se e solo se esiste un insieme di differenze di Hadamard nel gruppo
ciclico di ordine 4u2 .
2.4 Disegni e matrici di Hadamard
79
Congettura 2.4.17 Sia H una matrice di Hadamard circolante di ordine v.
Allora v = 1 oppure v = 4.
80
Strutture combinatorie finite
Capitolo 3
Applicazioni della Teoria
Algebrica dei Numeri alla
Geometria Combinatoria
3.1
Caratteri di gruppi abeliani finiti
Definizione 3.1.1 Sia G un gruppo abeliano finito e C∗ il gruppo moltiplicativo del campo C dei numeri complessi. Si definisce carattere di G, un
omomorfismo χ : G → C∗ , cioè una funzione a valori complessi, tale che:
χ(xy) = χ(x)χ(y)
per ogni x, y ∈ G.
Osservazione 3.1.2 Chiaramente χ(1) = 1 per ogni carattere χ di G. Se χ1
e χ2 sono caratteri di G, allora anche la funzione χ1 χ2 : G → C∗ definita da:
χ1 χ2 (x) := χ1 (x)χ2 (x)
per ogni x ∈ G, è un carattere di G. Se χ è un carattere di G, la funzione
χ−1 : G → C∗ , definita da:
χ−1 (x) := χ(x)
per ogni x ∈ G, è un carattere di G. Dunque, i caratteri di G formano un
gruppo G∗ rispetto alla moltiplicazione, il cui elemento neutro è il cosiddetto
carattere banale χ0 : G → C∗ , definito da:
χ0 (x) := 1
82
Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria
Combinatoria
per ogni x ∈ G. Il gruppo G∗ è detto il duale di G.
Osservazione 3.1.3 Se l’elemento x ∈ G ha ordine k e χ ∈ G∗ , allora
(χ(x))k = χ(xk ) = χ(1) = 1
cioè χ(x) è una radice k-esima di 1. Se v ∗ è il massimo degli ordini degli
elementi di G, allora è noto che l’ordine di ogni elemento di G divide v ∗ (v ∗ è
detto l’esponente di G ed è usualmente denotato con exp G). Ne segue che,
per ogni x ∈ G, χ(x) è una radice v ∗ -esima di 1, e quindi un carattere χ di G
può anche essere definito come un omomorfismo di G nel gruppo ciclico hξv∗ i
di tutte le v ∗ -esime radici di 1.
Proposizione 3.1.4 Sia G un gruppo ciclico di ordine v, e sia g un suo
generatore. Allora, ogni carattere χ di G ha la forma:
χα (g k ) = e2πiαk/v ,
06k 6v−1
per qualche α = 0, 1, . . . , v − 1.
Dimostrazione. Sia χ un carattere di G. Si ha che χv (g) = χ(g v ) =
χ(1) = 1. Pertanto χ(g) è una radice v-esima di 1, cioè esiste un intero
α ∈ {0, 1, . . . , v − 1} tale che χ(g) = e2πiα/v . Quindi χ(g k ) = e2πiαk/v per ogni
k ∈ {0, 1, . . . , v − 1}. Corollario 3.1.5 Il gruppo G∗ dei caratteri di un gruppo ciclico G, è isomorfo
a G.
Dimostrazione. Basta considerare la funzione ϕ : G → G∗ tale che, per
ogni a ∈ G, a = g α , (α ∈ {0, 1, . . . , v − 1})
ϕ(a) = χα
dove χα è il carattere di G definito nella Prop. 3.1.4. È immediato verificare
che ϕ è un isomorfismo di gruppi. Proposizione 3.1.6 Sia G un gruppo abeliano finito. Allora G∗ è isomorfo
a G.
3.1 Caratteri di gruppi abeliani finiti
83
Dimostrazione. Sia G un gruppo abeliano finito di ordine v = ps11 · · · psrr ,
dove p1 , . . . , pr sono numeri primi distinti. È noto che G può essere scritto
come prodotto diretto G = G1 × · · · × Gr di gruppi ciclici G1 , . . . , Gr di ordini,
rispettivamente, v1 = ps11 , . . . , vr = psrr (Teorema di struttura dei gruppi
abeliani finiti). Siano g1 , . . . , gr i generatori di G1 , . . . , Gr e χ un carattere
di G. Per la Prop. 3.1.4, χ(gj ) = e2πiαj /vj per qualche αj ∈ {0, 1, . . . , vj − 1}.
Poichè ogni elemento x ∈ G può essere scritto in un solo modo nella forma
x = g1k1 · · · grkr
con 0 6 kj 6 vj − 1 e 1 6 j 6 r, allora:
χ(x) = χ(g1k1 · · · grkr ) = χ(g1k1 ) · · · χ(grkr ) = e
Se si definisce
χα1 ,...,αr (g1k1 · · · grkr ) := e
2πi(
2πi(
α1 k1
+···+ αvr kr
v1
r
α1 k1
+···+ αvr kr
v1
r
)
)
allora si è provato che ogni carattere χ di G ha la forma χα1 ,...,αr per qualche
intero αj = 0, 1, . . . , vj − 1, 1 6 j 6 r. Questo completa la dimostrazione dal
momento che l’isomorfismo cercato è la funzione ϕ che ad ogni elemento di G,
x = g1α1 · · · grαr associa il carattere χα1 ,...,αr (anche in questo caso, è semplice
verificare che ϕ è un isomorfismo di G in G∗ ). Definizione 3.1.7 Sia G un gruppo abeliano finito e N un sottogruppo di G.
Si dice complemento ortogonale di N e si denota con N ⊥ il sottogruppo di
G∗ definito da:
N ⊥ = {χ ∈ G∗ | χ(g) = 1 ∀g ∈ N }.
Lemma 3.1.8 Mantenendo le notazioni precedenti, il gruppo N ⊥ è isomorfo
al gruppo (G/N )∗ dei caratteri di G/N . Inoltre, ogni carattere di N si estende
a un carattere di G, il numero di tali estensioni essendo pari a (G : N ).
Dimostrazione. Si supponga che |G| = v = mn, |N | = n e quindi
|G/N | = m. È chiaro che, se χ è un carattere di G, la sua restrizione a N ,
χ|N , è un carattere di N . Sia, dunque, ϕ : G∗ → N ∗ la funzione definita da:
ϕ(χ) := χ̂
per ogni carattere χ di G, dove χ̂ := χ|N . Si vede facilmente che ϕ è un
omomorfismo di gruppi e che N ⊥ = ker ϕ. È altresı̀ facile provare che N ⊥ ∼
=
(G/N )∗ . Infatti, si consideri la funzione φ : N ⊥ → (G/N )∗ cosı̀ definita:
φ(χ) := χ̄
84
Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria
Combinatoria
per ogni carattere χ ∈ N ⊥ , dove χ̄ : G/N → C∗ denota la funzione tale che
χ̄(x) := χ(x)
per ogni laterale x = N x ∈ G/N . Poichè χ ∈ N ⊥ , la funzione χ̄ è ben posta
ed è chiaramente un carattere di G/N . Risulta, poi, semplice provare che φ è
un isomorfismo di gruppi. Tenuto conto del fatto che |(G/N )∗ | = |G/N | per
la Prop. 3.1.6, ne segue che
|N ⊥ | = |(G/N )∗ | = |G/N | = m.
Per il Teorema fondamentale degli omomorfismi di gruppi:
G∗ /kerϕ ∼
= Imϕ.
Pertanto si ha che:
|Imϕ| =
|G∗ |
mn
|G|
=
=
=n
⊥
|kerϕ|
m
|N |
e quindi
|Imϕ| = n = |N | = |N ∗ |.
Resta cosı̀ provato che ϕ è suriettiva, cioè che per ogni carattere λ di N , esiste
almeno un carattere χ di G tale che χ|N = λ. Si supponga che χ1 , χ2 , . . . , χr
siano r caratteri distinti di G che estendono il carattere λ di N . Poichè i
caratteri χ−1
1 χi , i = 1, . . . , r inducono r distinti caratteri di G/N , deve essere
r 6 m. D’altra parte, la restrizione a N di ognuno degli mn caratteri di G
coincide con uno degli n caratteri di N . Ne segue che necessariamente r = m.
Corollario 3.1.9 Sia g ∈ G, g 6= 1. Allora esiste un carattere χ di G tale
che χ(g) 6= 1.
Dimostrazione. Se g 6= 1, posto N = hgi, si ha che |N ∗ | = |N | > 1.
Allora esiste un carattere non banale λ di N , cioè tale che λ(g) 6= 1. Per il
Lemma 3.1.8, esiste un carattere χ di G che estende λ e che, pertanto, soddisfa
la condizione χ(g) 6= 1. Lemma 3.1.10 (relazioni di ortogonalità) Sia G un gruppo abeliano finito
e G∗ il gruppo dei caratteri di G. Allora:
3.1 Caratteri di gruppi abeliani finiti
X
χ(g) =
g∈G
X
85
|G| se χ = χ0
0
se χ 6= χ0
χ(g) =
χ∈G∗
|G| se g = 1
0
se g 6= 1
Dimostrazione. Se χ = χ0 , l’asserto è ovvio. Sia χ 6= χ0 . Allora esiste
un elemento h ∈ G tale che χ(h) 6= 1. Quindi
X
X
X
X
S=
χ(g) =
χ(hg) =
χ(h)χ(g) = χ(h)
χ(g) = χ(h)S
g∈G
g∈G
g∈G
g∈G
e S(1 − χ(h)) = 0. Ne segue che S = 0. La dimostrazione della seconda parte
del Lemma è molto simile. Se g = 1, l’asserto è banale. Sia g 6= 1. Per il Cor.
3.1.9 esiste un carattere χ0 di G tale che χ0 (g) 6= 1. Allora
X
X
X
S=
χ(g) =
(χ0 χ)(g) =
χ0 (g)χ(g) = χ0 (g)S
χ∈G∗
χ∈G∗
χ∈G∗
e S(1 − χ0 (g)) = 0 da cui S = 0. Una conseguenza delle relazioni di ortogonalità è la cosiddetta formula di
inversione di Fourier.
Lemma 3.1.11 (formula
P di inversione di Fourier) Sia G un gruppo
abeliano finito e sia A = g∈G ag g ∈ Z[G]. Allora:
ag =
1 X
χ(A)χ(g −1 )
|G|
∗
χ∈G
per ogni g ∈ G.
Dimostrazione. Sia A =
X
χ(A)χ(g −1 ) =
χ∈G∗
=
X
χ∈G∗
P
g∈G ag g
e g un elemento fissato di G. Allora
X X
X X
(
ah χ(h))χ(g −1 ) =
ah χ(hg −1 )
χ∈G∗ h∈G
ag +
X X
χ∈G∗ h6=g
ah χ(hg −1 ) = ag |G| +
χ∈G∗ h∈G
X
h6=g
ah (
X
χ(hg −1 )) = ag |G|
χ∈G∗
tenuto conto del fatto che h 6= g se e solo se hg −1 6= 1 e per la 2) del Lemma
3.1.10. 86
Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria
Combinatoria
Corollario 3.1.12 Sia G un gruppo abeliano finito e sia A ∈ Z[G]. Se χ(A) =
0 per ogni carattere non banale χ di G, allora esiste un intero µ tale che
A = µG.
Dimostrazione. Sia g un elemento fissato di G. Per il Lemma 3.1.11, si
ha che:
X
X
χ(A)χ(g −1 ) = χ0 (A) = |A|.
ag |G| =
χ(A)χ(g −1 ) = χ0 (A)χ0 (g −1 ) +
χ∈G∗
χ6=χ0
Pertanto, posto µ :=
|A|
|G| ,
si ha che A = µG. Lemma 3.1.13 Sia G un gruppo abeliano finito di ordine mn ed R un sottoinsieme di G. Se R ha cardinalità k, allora è un (m, n, k, λ)-insieme di
differenze di G relativo a un sottogruppo N di ordine n, se e solo se
k
se χ ∈ G∗ \N ⊥
χ(R) · χ(R) =
k − λn se χ ∈ N ⊥
per ogni carattere non banale χ di G.
Dimostrazione. Sia R un (m, n, k, λ)-insieme di differenze di G relativo
a N . Allora per il Lemma 2.3.11
R · R(−1) = k + λ(G − N )
in Z[G]. Si applichi a tale equazione un carattere non banale χ. Per il Lemma
3.1.10, χ(G) = 0 e pertanto
χ(R) · χ(R(−1) ) = k + λχ(G) − λχ(N )
cioè
χ(R) · χ(R) = k − λχ(N )
(osservato che, chiaramente, χ(R(−1) ) = χ(R)). Se χ ∈ G∗ \N ⊥ , allora χ(N ) =
0. La dimostrazione è analoga a quella del Lemma 3.1.10. Infatti, esiste un
elemento a ∈ N tale che χ(a) 6= 1 e pertanto
X
X
χ(N ) = S =
χ(b) =
χ(ab) = χ(a)S
b∈N
b∈N
da cui S(1 − χ(a)) = 0 e S = 0.
P
Se χ ∈ N ⊥ , χ(b) = 1 per ogni b ∈ N e quindi χ(N ) = b∈N χ(b) = n.
3.1 Caratteri di gruppi abeliani finiti
87
Viceversa, si supponga che valgano le relazioni di cui sopra per ogni carattere
non banale di G. Allora ∀χ ∈ G∗ , χ 6= χ0 si ha che:
χ(R · R(−1) ) = χ(k + λ(G − N ))
cioè
χ(R · R(−1) − k − λ(G − N )) = 0
per ogni carattere non banale χ di G. Per il Cor. 3.1.12, esiste un intero µ
tale che:
R · R(−1) = k + λ(G − N ) + µG.
Confrontando il coefficiente di 1 in questa equazione, si vede che µ = 0. Quindi,
per il Lemma 2.3.11, R è un (m, n, k, λ)-insieme di differenze di G relativo a
N. Come al solito, si enuncia, separatamente, il caso particolare del Lemma
3.1.13.
Lemma 3.1.14 Un sottoinsieme D, di cardinalità k, di un gruppo abeliano
finito G di ordine v, è un (v, k, λ)-insieme di differenze di G se e solo se
χ(D) · χ(D) = n
per ogni carattere non banale χ di G.
Lemma 3.1.15 Siano G un gruppo abeliano finito di ordine v = mn ed
esponente v ∗ , N un sottogruppo di G di ordine n, k1 un intero positivo con
(k1 , v) = a1 , e A un elemento dell’anello gruppale intero Z[G]. Si supponga
che siano soddisfatte le seguenti condizioni:
1. χ0 (A) ≡ bn + vc (mod k1 ) (in Z), con b e c interi;
2.
χ(A) ≡ bn (mod k1 )
(in Z[ξv∗ ])
se χ ∈ N ⊥ \{χ0 };
3.
χ(A) ≡ 0 (mod k1 )
(in Z[ξv∗ ])
se χ ∈ G∗ \N ⊥ .
Allora, esiste F ∈ Z[G] tale che
A = bN + cG +
k1
F.
a1
P
Dimostrazione. Sia A =
g∈G ag g. Per la formula di inversione di
Fourier (Lemma 3.1.11) si ha che, per ogni g elemento di G:
X
X
mnag = χ0 (A) +
χ(A)χ(g −1 ) +
χ(A)χ(g −1 ).
χ∈N ⊥ \{χ0 }
χ∈G∗ \N ⊥
88
Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria
Combinatoria
Per la (3), se χ ∈ G∗ \N ⊥ , χ(A)χ(g −1 ) ≡ 0 (mod k1 ) e quindi:
X
χ(A)χ(g −1 ) ≡ 0 (mod k1 )
(in Z[ξv∗ ]).
χ∈G∗ \N ⊥
Per la (2), se χ ∈ N ⊥ \{χ0 }, χ(A)χ(g −1 ) ≡ bnχ(g −1 ) (mod k1 ) e quindi:
X
X
χ(A)χ(g −1 ) ≡
χ∈N ⊥ \{χ0 }
bnχ(g −1 ) (mod k1 )
(in Z[ξv∗ ]).
χ∈N ⊥ \{χ0 }
Tenuto conto della (1), si ha:
X
mnag ≡ bn + vc +
χ∈N ⊥ \{χ
bnχ(g −1 ) (mod k1 )
(in Z[ξv∗ ])
(3.1)
0}
per ogni elemento g di G. Adesso, si distinguano due casi: g ∈ N e g 6∈ N .
Sia g ∈ N . Allora χ(g −1 ) = 1 per ogni χ ∈ N ⊥ . Pertanto, poichè N ⊥ ∼
=
(G/N )∗ (Lemma 3.1.8) e quindi |N ⊥ | = |(G/N )∗ | = |G/N | = m, dalla (3.1) si
ha che, se g ∈ N :
mnag ≡ bn + vc + bn(m − 1) (mod k1 )
(in Z[ξv∗ ]).
Dunque
mnag ≡ (b + c)mn (mod k1 )
(in Z[ξv∗ ]).
(3.2)
Si osservi che la congruenza (3.2) vale, in realtà, in Z. Infatti mn[ag −(b+c)] =
k1 U per qualche U ∈ Z[ξv∗ ] e quindi
mn[ag − (b + c)]
∈ Q ∩ Z[ξv∗ ] = Q ∩ A ∩ Q(ξv∗ ) = Q ∩ A = Z
k1
per la Prop.1.1.2 e il Teor.1.1.25. Quindi, per il Lemma 1.4.5:
ag ≡ (b + c) (mod k1 /a1 )
(in Z)
(3.3)
per ogni g ∈ N .
Sia g 6∈ N . Allora g −1 6∈ N e g −1 N =
6 N . Dal fatto che N ⊥ ∼
= (G/N )∗ e dalle
relazioni di ortogonalità segue che:
X
X
χ(g −1 ) =
χ̄(g −1 N ) = 0
χ∈N ⊥
χ̄∈(G/N )∗
3.1 Caratteri di gruppi abeliani finiti
89
e quindi
X
χ(g −1 ) = −1.
χ∈N ⊥ \{χ0 }
Dalla (3.1) segue che, se g 6∈ N :
mnag ≡ bn + vc − bn (mod k1 )
(in Z[ξv∗ ])
cioè
mnag ≡ mnc (mod k1 )
(in Z[ξv∗ ]).
Sempre per l’osservazione precedente, tale congruenza, in realtà, vale in Z e
per il Lemma 1.4.5 si ha che:
ag ≡ c (mod k1 /a1 )
(in Z)
(3.4)
per ogni g 6∈ N .
Dalla (3.3) e dalla (3.4) segue che, per ogni g ∈ G esiste un intero βg tale che:
ag = b + c +
k1
βg
a1
ag = c +
k1
βg
a1
ag g+A =
X
se g ∈ N
se g 6∈ N.
Allora:
A=
X
ag g = A =
g∈G
X
g6∈N
g∈N
= (b + c)N +
ag g = A =
g∈N
dove F :=
(b+c+
X
k1
k1
βg )g+
(c+ βg )g =
a1
a1
g6∈N
k1 X
k1 X
k1
βg g + c(G − N ) +
βg g = bN + cG + F
a1
a1
a1
g6∈N
g∈N
P
X
g∈G βg g
∈ Z[G]. Lemma 3.1.16 Siano a e b interi, F ∈ Z[G]. Se (a, b) = 1 e b | aF in Z[G],
allora b | F in Z[G].
P
P
Dimostrazione. Sia F = g∈G ag g. Allora, se b | aF , ∃C = g∈G cg g ∈
Z[G] tale che aF = bC. Ne segue che:
X
X
(aag )g =
(bcg )g
g∈G
g∈G
90
Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria
Combinatoria
e pertanto che, per ogni g ∈ G: aag = bcg . In Z, ciò implica che, per ogni
g ∈ G, b | aag , e poichè (a, b) = 1, per il Lemma 1.4.1, b | ag . Ne segue che,
per ogni g ∈ G, esiste un intero dg tale che ag = bdg e pertanto
F =
X
(bdg )g = bA
g∈G
con A =
P
g∈G dg g.
Lemma 3.1.17 Con le stesse notazioni del Lemma 3.1.15, siano A e B due
elementi dell’anello gruppale intero Z[G]. Si supponga che siano soddisfatte le
seguenti condizioni:
1. A · A(−1) = a + bN + cG
con a, b, c interi e a 6= 0;
2. B · B (−1) = a + bN + cG ;
3. A(−1) · B = bg1 N + cG + k2 F
con g1 ∈ G, k2 > 0, k2 | a e F ∈ Z[G];
4. BN = g1 AN ;
5. χ0 (A) = χ0 (B);
6. ∀g ∈P
G : ag > 0 e bg > 0, k2 > b + c, k2 > c dove A =
B = g∈G bg g.
P
g∈G ag g
e
Allora, esiste g2 ∈ g1 N tale che:
B = Ag2 .
(3)
Dimostrazione. Si definisca S := A(−1) B − cG = bg1 N + k2 F .
Applicando l’epimorfismo canonico ρ alla (3), si ha che, in Z[G/N ]:
A
(−1)
· B = bnρ(g1 ) + k2 F + cn G/N.
Dalla (4), per la (1) del Lemma 2.3.10, si ha che, in Z[G/N ]:
B = ρ(g1 )A.
Applicando ρ alla (1) si ha che:
A·A
(−1)
= a + bn + cn G/N
3.1 Caratteri di gruppi abeliani finiti
91
(si ricordi che N è l’elemento neutro di G/N e che, per convenzione, n · 1 = n).
Ne segue che:
ρ(g1 )A · A
(−1)
= ρ(g1 )(a + bn + cnG/N ) = B · A
(−1)
.
Pertanto
ρ(g1 )(a + bn + cn G/N ) = bnρ(g1 ) + k2 F + cn G/N
cioè
aρ(g1 ) + bnρ(g1 ) + ρ(g1 )cn G/N = bnρ(g1 ) + k2 F + cn G/N.
Osservato che ρ(g1 )G/N = G/N in Z[G/N ], per la (1) del Lemma 2.3.10,
risulta: F = ka2 ρ(g1 ) e quindi F N = ka2 g1 N . Utilizzando la (3) e la (5) del
Lemma 2.3.10, si ha che: F (−1) N = ka2 g1−1 N . Dunque:
S · S (−1) = (A(−1) B − cG)(AB (−1) − cG) = (k2 F + bN g1 )(k2 F (−1) + bN g1−1 ).
Poichè, per la (5), χ0 (A) = χ0 (B), si ha:
χ0 (A(−1) B) = χ0 (A(−1) )χ0 (B) =
= χ0 (A)χ0 (B) = (χ0 (A))2 = χ0 (AA(−1) ) = a + bn + cv.
χ0 (AB (−1) ) = χ0 (A)χ0 (B (−1) ) = χ0 (A)χ0 (B) = (χ0 (A))2 .
Per la (2) del Lemma 2.3.10 (si noti che χ0 (A) = |A|), risulta:
A(−1) BG = χ0 (A(−1) B)G = (χ0 (A))2 G
AB (−1) G = χ0 (AB (−1) )G = (χ0 (A))2 G
GG = χ0 (G)G = vG
N G = χ0 (N )G = nG.
Sviluppando i calcoli si ha che:
A(−1) BAB (−1) − cA(−1) BG − cAB (−1) G + c2 GG =
= (k2 )2 F F (−1) + bk2 g1−1 F N + bk2 g1 F (−1) N + b2 N N.
Per la (1) e la (2) si ha che:
(a + bN + cG)(a + bN + cG) − 2(χ0 (A))2 cG + c2 GG =
92
Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria
Combinatoria
= (k2 )2 F F (−1) + bk2 g1−1
a
a
g1 N + bk2 g1 g1−1 N + b2 N N
k2
k2
cioè
a2 + b2 N N + c2 GG + 2abN + 2acG + 2bcN G − 2(a + bn + cv)cG + c2 GG =
= (k2 )2 F F (−1) + abN + abN + b2 N N
e quindi
a2 + c2 vG + 2acG + 2bcnG − 2acG − 2bncG − 2c2 vG + c2 vG = (k2 )2 F F (−1)
da cui
a2 = (k2 )2 F F (−1) .
In ultima analisi, si è provato che
F F (−1) = (
a 2
) .
k2
Poichè A e B hanno coefficienti non negativi, anche A(−1) B ha coefficienti non
negativi, e quindi per la (3), bg1 N + cG + k2 F ha coefficienti non negativi. Si
prova, ora, che ciò, P
insieme alla (6), implica che anche F ha coefficienti non
negativi. Sia F =
g∈G λg g, G/N = {g1 N, . . . , gm N }, N = {h1 , . . . , hn },
G = { gi hj | i = 1, . . . , m, j = 1, . . . , n}. Si sa che l’elemento
bg1 h1 + · · · + bg1 hn + c
X
gi hj + k2
i,j
X
λgi hj gi hj
i,j
ha coefficienti non negativi. Per la (6):
k2 > b + c ⇒
k2 > c ⇒
b+c
b+c
<1 ⇒−
> −1
k2
k2
c
c
< 1 ⇒ − > −1
k2
k2
b + c + k2 λg1 h1 > 0 ⇒ λg1 h1 > −
b+c
> −1 ⇒ λg1 h1 > 0
k2
b + c + k2 λg1 h2 > 0 ⇒ λg1 h2 > −
b+c
> −1 ⇒ λg1 h2 > 0
k2
..
.
3.2 Teorema dei moltiplicatori per insiemi di differenze relativi
abeliani
93
b+c
> −1 ⇒ λg1 hn > 0.
k2
Per quanto concerne i gi hj , con i > 2 e 1 6 j 6 n, si ha che:
c
c + k2 λgi hj > 0 ⇒ λgi hj > − > −1 ⇒ λgi hj > 0.
k2
b + c + k2 λg1 hn > 0 ⇒ λg1 hn > −
In ultima analisi, λg > 0 per ogni elemento g di G. Dunque, se F ha coefficienti
non negativi, F F (−1) = ( ka2 )2 e F = ka2 ρ(g1 ), allora, necessariamente, esiste
un elemento g2 ∈ g1 N tale che F = ka2 g2 . Moltiplicando ambo i membri della
(3) per A, si ha che:
AA(−1) B = bg1 AN + cAG + ag2 A.
Dalla (1) e dalla (5), si deduce che B = Ag2 . 3.2
Teorema dei moltiplicatori per insiemi di
differenze relativi abeliani
In questa sezione si introduce il concetto di moltiplicatore di un insieme di
differenze, concetto dovuto a M.Hall (1947). Si conservano le notazioni del
Capitolo 2.
Definizione 3.2.1 Sia G un gruppo finito di ordine v e D un (v, k, λ)-insieme
di differenze di G. Un automorfismo α di G è detto un moltiplicatore di D,
se esistono a, b ∈ G tali che:
α(D) = aDb.
Se a = 1, α è detto un moltiplicatore destro. Se G è abeliano e α è un
automorfismo della forma α : x 7→ xm per qualche intero m, allora α è detto
un moltiplicatore numerico. Per abuso di linguaggio, l’intero m è, allora,
anche detto un moltiplicatore numerico di D.
Osservazione 3.2.2 Si verifica facilmente che tutti i moltiplicatori di D formano un gruppo M (la legge del gruppo è la composizione di funzioni) e che
i moltiplicatori destri di D formano un sottogruppo di M . Se G è abeliano,
allora tutti i moltiplicatori sono moltiplicatori destri. Ovviamente, ogni moltiplicatore destro determina un automorfismo del disegno corrispondente a D
(Prop. 2.3.7). Nel caso abeliano, quindi, un moltiplicatore di D può anche
essere definito come un automorfismo di G che induce un automorfismo del
disegno corrispondente a D. Infine, se G è ciclico, allora ogni moltiplicatore è
numerico.
94
Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria
Combinatoria
Osservazione 3.2.3 La Def. 3.2.1 si estende, in modo del tutto simile, agli
insiemi di differenze relativi R.
Risulterà particolarmente utile nel seguito il seguente lemma.
Lemma 3.2.4 Sia (G, +) un gruppo abeliano di ordine v = mn, R un
(m, n, k, λ)-insieme di differenze di G relativo a un sottogruppo N di ordine n. Si supponga che (v, k) = 1. Allora, esiste un elemento h di G tale che
R + h è fissato da ogni moltiplicatore di R.
Dimostrazione. Sia R = {r1 , . . . , rk } e ϕ : G → G la funzione definita
da:
ϕ(x) := kx
per ogni x ∈ G. Poichè (v, k) = 1 e G è abeliano, ϕ è un automorfismo di G.
Ne segue che esiste un unico elemento h ∈ G tale che
r1 + · · · + rk + kh = 0.
Sia α un moltiplicatore di R. Per definizione, α è un automorfismo di G tale
che α(R) = R + g per qualche g ∈ G e pertanto α(R + h) = R + c con
c = g + α(h). Allora
0 = α(0) = α((r1 + h) + · · · + (rk + h)) =
= α(r1 + h) + · · · + α(rk + h) = (r1 + c) + · · · + (rk + c) = r1 + · · · + rk + kc.
Quindi, h = c e questo completa la dimostrazione. È ora possibile enunciare e dimostrare il seguente profondo teorema sui
moltiplicatori di insiemi di differenze relativi abeliani. La dimostrazione di
tale teorema, dovuta essenzialmente ad Arasu e Xiang [6], mostra quanto
siano potenti ed eleganti gli strumenti di Teoria Algebrica dei Numeri, al fine
di ottenere risultati sugli insiemi di differenze.
Teorema 3.2.5 Sia G un gruppo abeliano di ordine v = mn e di esponente
v ∗ , R un (m, n, k, λ)-insieme di differenze di G relativo a un sottogruppo N di
ordine n. Siano t un intero positivo relativamente primo a v, e k1 un divisore
positivo di k. Se k1 = pe11 pe22 · pess e k2 := k1 /(v, k1 ), per ogni numero primo
pi (i = 1, . . . , s) si definisca
pi se (pi , v) = 1
qi =
li se v ∗ = pri i ui , (pi , ui ) = 1, ri > 1
3.2 Teorema dei moltiplicatori per insiemi di differenze relativi
abeliani
95
dove li è un intero tale che (li , pi ) = 1 e li ≡ phi i (mod ui ) per qualche intero
non negativo hi .
Per ogni i = 1, . . . , s si assuma l’esistenza di un intero fi > 0 e di un moltiplicatore si di R tali che si qifi ≡ t (mod v ∗ ). Infine, si supponga che k2 > λ
e che t sia un moltiplicatore di R = ρ(R), (m, k, nλ)-insieme di differenze di
G/N (Lemma 2.2.13). Allora, t è un moltiplicatore di R.
Dimostrazione. Per il Lemma 2.3.11, in Z[G], R soddisfa l’equazione
R · R(−1) = k − λN + λG.
Inoltre
R(t) · R(−t) = k − λN + λG.
In virtù del Lemma 3.1.13, si ha che:

se χ ∈ G∗ \N ⊥
 k
k − λn se χ ∈ N ⊥
χ(R) · χ(R) =
 2
k
se χ = χ0
Poichè t è un moltiplicatore di ρ(R) = R in G/N , ∃g1 ∈ G tale che R
ρ(g1 )R. Per la (1) del Lemma 2.3.10, ciò equivale a dire che
(t)
=
R(t) N = g1 RN
in Z[G]. Si definisca, ora,
S := g1−1 R(t) R(−1) .
A tale elemento S di Z[G] si applicherà il Lemma 3.1.15, facendo vedere che,
per ogni i = 1, . . . , s:
1. χ0 (S) ≡ −λn + λv (mod pei i )
2. χ(S) ≡ −λn (mod pei i )
3. χ(S) ≡ 0 (mod pei i )
se χ ∈ N ⊥ \{χ0 }
se χ ∈ G∗ \N ⊥
Siano fissati i ∈ {1, . . . , s} e il numero primo pi . Allora
χ0 (S) = χ0 (g1−1 )χ0 (R(t) )χ0 (R(−1) ) = k 2 − λn + λv ≡ −λn + λv (mod pei i ).
96
Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria
Combinatoria
Resta cosı̀ provata la (1). Sia, ora, χ ∈ N ⊥ \{χ0 }. Poichè R(t) N = g1 RN ,
segue che χ(R(t) )χ(N ) = χ(g1 R)χ(N ), cioè che nχ(R(t) ) = nχ(g1 R). Quindi:
χ(R) = χ(g1−1 R(t) )
e
χ(S) = χ(g1−1 R(t) )χ(R(−1) ) = χ(R)χ(R(−1) ) = k − λn ≡ −λn (mod pei i ).
Questo prova la (2). Sia, infine, χ ∈ G∗ \N ⊥ . Per ipotesi si è un moltiplicatore
di R e quindi esiste g ∈ G tale che R(si ) = gR. Sia σsi : Q(ξv∗ ) → Q(ξv∗ )
l’automorfismo di Galois che a ξv∗ associa ξvs∗i (in generale, si denoterà con σx
l’automorfismo che a ξv∗ associa ξvx∗ , con x intero e (x, v ∗ ) = 1). È chiaro che
σsi fissa l’ideale (χ(R)) di Z[ξv∗ ] generato dall’intero ciclotomico χ(R). Infatti,
innanzitutto
σsi (χ(R)) = χ(R(si ) )
Se R = {r1 , . . . , rk }, posto χ(ri ) = ξvji∗ per ogni i = 1, . . . , k, si ha che:
σsi (χ(R)) = σsi (χ(r1 )) + · · · + σsi (χ(rk )) = σsi (ξvj1∗ ) + · · · + σsi (ξvjk∗ )
= ξvj1∗si +· · ·+ξvjk∗si = (χ(r1 ))si +· · ·+(χ(rk ))si = χ(r1si )+· · ·+χ(rksi ) = χ(R(si ) ).
Allora:
σsi ((χ(R))) = (σsi (χ(R))) = (χ(R(si ) )) = (χ(gR)) = (χ(R))
dal momento che χ(gR) = χ(g)χ(R) = ξvh∗ χ(R) per qualche intero h, e quindi
χ(gR) e χ(R), essendo associati, generano lo stesso ideale in Z[ξv∗ ]. Per il Teor.
1.3.9 sulla struttura del gruppo di decomposizione di un ideale primo in un
campo ciclotomico, σqfi fissa tutti gli ideali primi di Z[ξv∗ ] che giacciono su pi .
i
Pertanto σt fissa l’ideale J = (χ(R), pei i ) = (χ(R)) + (pei i ) generato da χ(R) e
pei i in Z[ξv∗ ]. Infatti, σqfi fissa tutti gli ideali primi su pi e quindi in particolare
i
fissa l’ideale J. σsi fissa J per il Lemma 1.3.12. Allora, σt = σsi ◦ σqfi fissa J,
i
cioè:
(χ(R), pei i ) = σt (χ(R), pei i ) = (σt (χ(R)), σt (pei i )) = (χ(R(t) ), pei i ).
In ultima analisi, risulta che (χ(R), pei i ) = (χ(R(t) ), pei i ) e pertanto χ(R(t) ) ∈
(χ(R), pei i ). Ne segue che esistono due interi ciclotomici u e w di Z[ξv∗ ] tali
che:
χ(R(t) ) = uχ(R) + wpei i .
3.2 Teorema dei moltiplicatori per insiemi di differenze relativi
abeliani
97
Moltiplicando ambo i membri per χ(R(−1) ) si ha:
χ(R(t) )χ(R(−1) ) = uχ(R)χ(R(−1) ) + wχ(R(−1) )pei i
e quindi
χ(R(t) )χ(R(−1) ) = uk + wχ(R(−1) )pei i ≡ 0 (mod pei i )
(in Z[ξv∗ ]).
Pertanto:
χ(S) = χ(g1−1 )χ(R(t) )χ(R(−1) ) ≡ 0 (mod pei i ).
Resta cosı̀ dimostrata anche la (3). In virtù del Lemma 3.1.15, esiste Fi0 ∈ Z[G]
tale che:
pei
S = −λN + λG + i0 Fi0
ai
per ogni i = 1, . . . , s, dove a0i := (pei i , v). Dunque
g1−1 R(t) R(−1) = −λN + λG +
pei i 0
F.
a0i i
Moltiplicando ambo i membri per g1 , posto Fi := g1 Fi0 e osservato che g1 G = G
in Z[G], si ha che:
(t)
R R
(−1)
pei i
= −λg1 N + λG + 0 Fi
ai
per ogni i = 1, . . . , s. Questo implica che
ei e !
pj j
pi
Fi =
Fj
a0i
a0j
e
per ogni i, j ∈ {1, . . . , s} con i 6= j e pertanto
pj j
a0j
e
|
pi i
F.
a0i i
Poichè
e
1, per il Lemma 3.1.16, si ha che
pj j
a0j
e
Fi ≡ 0
mod
pj j
| Fi in Z[G], cioè
!
in Z[G] ∀i 6= j.
a0j
Dunque, per ogni i = 1, . . . , s


s
Y
Fi = 

j=1
j6=i
e
pj j
a0j

F

e
pj j
a0j
e
,
pi i
a0i
=
Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria
Combinatoria
98
con F ∈ Z[G] e quindi
piei
Fi =
a0i
s
Y
pehh
a0h
!
F = Qs
k1
0 F
h=1 ah
h=1
= k2 F
essendo, per il Corollario 1.4.7:
s
Y
a0h
h=1
=
s
Y
(pehh , v)
h=1
=(
s
Y
pehh , v) = (k1 , v).
h=1
In definitiva
R(t) R(−1) = −λg1 N + λG + k2 F.
Per il Lemma 3.1.17, (è immediato verificare che tutte le sei condizioni di tale
lemma sono soddisfatte per A = R e B = R(t) ) esiste g2 ∈ g1 N tale che
R(t) = Rg2 . Questo completa la dimostrazione. 3.3
Limitazione dell’esponente di Schmidt
Definizione 3.3.1 Sia G un gruppo abeliano finito. Due caratteri χ e τ di
G, di ordine e (come elementi del gruppo G∗ ), si dicono coniugati se ∃σ ∈
Gal(Q(ξe )/Q) tale che:
χ(g) = σ(τ (g))
per ogni g ∈ G.
Sussiste il seguente:
Lemma 3.3.2 Sia χ un carattere di ordine e di un gruppo abeliano finito
G. Allora, χ ha esattamente ϕ(e) caratteri coniugati distinti. Inoltre, se per
qualche A ∈ Z[G] risulta χ(A) ∈ Q, allora τ (A) = χ(A) per tutti i caratteri τ
coniugati di χ.
Dimostrazione. Per il Teor. 1.1.31, |Gal(Q(ξe )/Q)| = ϕ(e). Pertanto, i
caratteri coniugati di χ sono tutti e soli i caratteri del tipo:
χj = σj ◦ χ
con 1 6 j 6 e, (j, e) = 1, dove σj , al solito, è l’automorfismo di Galois che a
ξe associa ξej . È altresı̀ chiaro che per ogni j intero, 2 6 j 6 e, con (j, e) = 1,
3.3 Limitazione dell’esponente di Schmidt
99
risulta χj 6= χ, essendo χ un carattere di ordine e. Se A ∈ Z[G] e χ(A) ∈ Q,
allora per ogni carattere coniugato τ di χ:
τ (A) = σ(χ(A))
per qualche σ ∈ Gal(Q(ξe )/Q).
puntualmente. Ma σ(χ(A)) = χ(A), perchè σ fissa Q
Teorema 3.3.3 Sia X ∈ Z[ξm ] un intero ciclotomico della forma:
X=
m−1
X
i
ai ξm
i=0
con 0 6 ai 6 C per ogni i = 0, 1, . . . , m − 1 e tale che XX = n. Allora:
n6
C 2 (F (m, n))2
4ϕ(F (m, n))
dove F (m, n) è la funzione definita nella Def. 1.4.24.
Dimostrazione. Per il Teor. 1.4.26, si può assumere che X ∈ Z[ξf ] con
Q
Q
f := F (m, n). Si noti che, per definizione, f = ti=1 pbi i se m = ti=1 pci i con
1 6 bi 6 ci per ogni i = 1, . . . , t. Sia h := m
f . Osservato che:
Qt
pci i −1 (pi − 1)
m
ϕ(m)
=
= Qi=1
=h
[Q(ξm ) : Q(ξf )] =
t
b
−1
i
ϕ(f )
f
(pi − 1)
i=1 pi
e che
Q(ξm ) = (Q(ξf ))(ξm ),
h−1 } è una base di Q(ξ ) su Q(ξ ). Questo implica
ne segue che {1, ξm , . . . , ξm
m
f
che
f
−1
X
X=
bi ξfi
i=0
dove bi := aim/f . Infatti, posto:
α0 := a0 + ah ξf + · · · + a(f −1)h ξff −1
α1 := a1 + ah+1 ξf + · · · + a(f −1)h+1 ξff −1
Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria
100
Combinatoria
..
.
αh−1 := ah−1 + a2h−1 ξf + · · · + am−1 ξff −1
risulta che:
h−1
X = α0 + α1 ξm + · · · + αh−1 ξm
h−1
con αi ∈ Q(ξf ) per ogni i = 0, . . . , h − 1. Poichè X ∈ Q(ξf ), e 1, ξm , . . . , ξm
sono indipendenti su Q(ξf ), ne segue che X = α0 e α1 = α2 = . . . = αh−1 = 0.
Posto G := hξf i, X può essere visto come un elemento dell’anello gruppale
Z[G]. Si noti che X ∈ Z[ξf ] corrisponde a X (−1) ∈ Z[G]. Poichè XX = n ∈ Q,
per il Lemma 3.3.2, si ha che, per tutti i ϕ(f ) caratteri coniugati χ di G di
ordine f , risulta:
χ(X)χ(X) = n.
(3.5)
Pf −1
P
f −1 2
(−1) è
Si ponga l :=
i=0 bi . Il coefficiente di 1 in X · X
i=0 bi . Dalla
formula di inversione di Fourier (Lemma 3.1.11), segue che:
f
−1
X
b2i =
1 X
τ (X · X (−1) )
f
∗
τ ∈G
i=0
cioè
f
f
−1
X
b2i =
X
|τ (X)|2 .
(3.6)
τ ∈G∗
i=0
Dalla (3.5) e dal fatto che χ0 (X) = l (χ0 denota, al solito, il carattere banale
di G), si ha che:
f
−1
X
f
b2i > l2 + ϕ(f )n.
(3.7)
i=0
Poichè 0 6 bi 6 C, si ha che 0 6 b2i 6 bi C per ogni i = 0, 1, . . . , f − 1. Dunque
f
−1
X
b2i
6 Cl ⇒ f
i=0
f
−1
X
b2i − l2 6 f Cl − l2 6 f 2 C 2 /4.
i=0
Dalla (3.7) segue che
ϕ(f )n 6 f
f
−1
X
i=0
b2i − l2 6 f 2 C 2 /4
3.3 Limitazione dell’esponente di Schmidt
101
e quindi
n6
C 2f 2
.
4ϕ(f )
Questo completa la dimostrazione. Una conseguenza del Teor. 3.3.3 è il seguente:
Teorema 3.3.4 Si assuma l’esistenza di un (v, k, λ)-insieme di differenze D
di un gruppo G. Se U è un sottogruppo normale di G tale che G/U è ciclico
di ordine e, allora:
vF (e, n)
e6 p
.
2 nϕ(F (e, n))
Dimostrazione. Sia |U | =
generatore di G/U . Pertanto
v
e
= t, U = {1, h2 , . . . , ht }, g = gU un
G/U = {U, gU, . . . , g e−1 U }.
Sia χ : G/U → C∗ il carattere di G/U definito da:
χ(gU ) := ξe .
Per il Lemma 2.3.12, D · D(−1) = n + λG in Z[G], e quindi
ρ(D) · ρ(D(−1) ) = n + λ|U |G/U
in Z[G/U ], dove ρ : G → G/U denota, come al solito, l’epimorfismo canonico, che si considera esteso per linearità a un omomorfismo di Z[G] in
Z[G/U ]. Applicando a tale equazione il carattere (non banale) χ di G/U ,
poichè χ(G/U ) = 0 per le relazioni di ortogonalità (Lemma 3.1.10), si ha che:
χ(ρ(D)) · χ(ρ(D)) = n.
(3.8)
Si noti che in Z[G/U ] risulta:
ρ(G) =
X
g∈G
e−1
v
v
v e−1
vX i
g
ρ(g) = U + gU + · · · + g U =
e
e
e
e
i=0
e che
E := ρ(D) =
e−1
X
i=0
ai g i
Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria
102
Combinatoria
P
i
con 0 6 ai 6 ve per ogni i = 0, . . . , e − 1. Quindi X := χ(E) = e−1
i=0 ai ξe ∈
Z[ξe ] e per la (3.8): XX = n. Allora, per il Teor. 3.3.3, si ha che:
n6
(v/e)2 (F (e, n))2
4ϕ(F (e, n))
16
v 2 (F (e, n))2
e2 4nϕ(F (e, n))
cioè
e passando alle radici quadrate
16
v
F (e, n)
p
.
e 2 nϕ(F (e, n))
Questo completa la dimostrazione. Teorema 3.3.5 Si assuma l’esistenza di un (v, k, λ)-insieme di differenze di
un gruppo abeliano G. Allora
vF (v, n)
exp G 6 p
.
2 nϕ(F (v, n))
In particolare, se G è ciclico, allora
n6
F (v, n)2
.
4ϕ(F (v, n))
Dimostrazione. È una immediata conseguenza del Teor. 3.3.4, poichè
basta considerare e := exp G, osservato che:
vF (e, n)
vF (v, n)
e6 p
6 p
.
2 nϕ(F (e, n))
2 nϕ(F (v, n))
Se poi G è ciclico, exp G = v. Teorema 3.3.6 Se esiste un insieme di differenze di Hadamard di un gruppo
ciclico di ordine v = 4u2 , allora
v6
F (v, u)2
.
ϕ(F (v, u))
Combinando il Teor. 3.3.6, l’Oss. 2.4.16 e il Teor. 6 (R.Turyn [20]), si
ottiene il seguente:
Teorema 3.3.7 Non esiste una matrice di Hadamard circolante di ordine v nel range 4 < v 6 1011 con le possibili eccezioni di v = 4u2 con
u ∈ {165, 11715, 82005}.
Capitolo 4
Insiemi di differenze affini
4.1
Piani affini ciclici
In questa sezione, si prende in esame un particolare insieme di differenze relativo detto affine poichè corrisponde ad un piano affine finito. Il termine di
insieme di differenze affine è dovuto a Bose, che è stato il primo a studiare
tali strutture. Successivamente si è occupato di insiemi di differenze affini,
Hoffman, e recentemente Jungnickel.
Definizione 4.1.1 Siano n > 2 un intero, (G, +) un gruppo finito di ordine
n2 − 1, N un sottogruppo normale di G di ordine n − 1. Un (n + 1, n − 1, n, 1)insieme di differenze R di G relativo a N , è detto un insieme di differenze
affine (di ordine n).
Osservazione 4.1.2 Per la Prop. 2.3.6, ad un insieme di differenze affine
R di ordine n, è possibile associare un (n + 1, n − 1, n, 1)-disegno divisibile
(il cosiddetto sviluppo di R, usualmente denotato con D = devR), in cui i
punti sono gli elementi di G, i blocchi sono i traslati destri di R (R +g, g ∈ G),
le classi di punti sono i laterali di N . Ciascun elemento di G agisce sul disegno
come traslazione destra, e con questa azione, G è un gruppo di Singer di D.
Se si aggiunge agli elementi del gruppo G, un punto ∞ 6∈ G e si definiscono
come nuovi blocchi, i laterali del sottogruppo N con il punto ∞, si ottiene
una nuova struttura di incidenza Σ, in cui l’insieme dei punti ha cardinalità
n2 , e quello dei blocchi ha cardinalità n2 + n. Si verifica che tale struttura
è un piano affine di ordine n. Per questo motivo, (n + 1, n − 1, n, 1)-insiemi
di differenze sono chiamati insiemi di differenze affini. Se Π denota il piano
proiettivo di ordine n, estensione di Σ, allora G rappresenta un gruppo di
104
Insiemi di differenze affini
collineazioni quasiregolare di Π (cioè, lo stabilizzatore in G di ciascun punto
è un sottogruppo normale di G). Se G è ciclico, il piano affine Σ associato
a R, si dice piano affine ciclico, se G è abeliano, Σ si dice piano affine
abeliano.
Per ogni q potenza di un numero primo, esiste un insieme di differenze
affine ciclico di ordine q, come mostra il seguente teorema, dovuto a Bose.
Teorema 4.1.3 Se q è una potenza di un numero primo, allora esiste un
(q +1, q − 1, q, 1)-insieme di differenze ciclico di (F∗q2 , ·) relativo al sottogruppo
(F∗q , ·). Il disegno divisibile corrispondente è il piano affine F2q privo dell’origine
(0, 0), i blocchi essendo le rette del piano affine che non passano per l’origine.
Tale teorema ammette una ben nota generalizzazione, come si vedrà nella
prossima sezione. Si concentra, ora, l’attenzione sui moltiplicatori di un insieme di differenze affine ciclico R. Nel suo articolo, Hoffman ha provato che
ogni divisore primo dell’ordine di R, è un moltiplicatore. Per la dimostrazione di tale teorema, si premettono alcuni lemmi elementari sulle congruenze
polinomiali.
Lemma 4.1.4 Siano a e b interi non negativi, m un intero positivo. Allora,
sono equivalenti le seguenti condizioni:
1. a ≡ b (mod m);
2. X a ≡ X b mod (X m − 1).
Dimostrazione. (2) ⇒ (1). Per ipotesi esiste F (X) ∈ Z[X] tale che:
X a − X b = F (X)(X m − 1).
Se F (X) = 0, allora a = b e l’asserto è ovvio. Sia F (X) 6= 0. Allora,
necessariamente F (X) sarà del tipo ±X k con k > 0. Se k = 0, F (X) = ±1 e
b = 0, a = m oppure b = m, a = 0. Se k > 0 e F (X) = X k , allora a = m + k
e b = k. Se k > 0 e F (X) = −X k , allora a = k e b = m + k.
(1) ⇒ (2). Sia a = b + km con k ∈ Z. Se k = 0, risulta X a = X b e quindi
l’asserto è banale. Se k > 0, allora a > b e X a = X b X km . Quindi:
X a −X b = X b (X km −1) = X b [(X m )k −1] = X b (X m −1)[(X m )k−1 +· · ·+X m +1].
Se k < 0, posto h := −k, si ha che b = a + hm e X b = X a X hm . Pertanto:
X a − X b = −X a (X hm − 1) = −X a (X m − 1)[(X m )h−1 + · · · + X m + 1].
Resta cosı̀ provato il lemma. 4.1 Piani affini ciclici
105
Lemma 4.1.5 Sia f (X) = a0 + a1 X + · · · + an X n un polinomio a coefficienti
interi tale che ai > 0 per ogni i = 0, 1, . . . , n. Sia m un intero positivo e
g(x) = b0 + b1 X + · · · + br X r un altro polinomio a coefficienti interi, di grado
r < m. Allora, se
f (X) ≡ g(X) mod (X m − 1)
necessariamente: bi > 0, per ogni i = 0, 1, . . . , r.
Dimostrazione. Per ipotesi, esiste F (X) ∈ Z[X] tale che:
f (X) − g(X) = F (X)(X m − 1).
(4.1)
Se F (X) = 0, l’asserto è ovvio. Si supponga, allora, che F (X) 6= 0. Si scriva:
F (X) = c0 + c1 X + · · · + ct X t .
Si osservi che necessariamente n > r. Se cosı̀ non fosse, si avrebbe
n 6 r < m ⇒ n < m ∧ r < m ⇒ deg(f − g) < m.
D’altra parte, degF (X)(X m − 1) > m e ciò è in contraddizione con la (4.1).
Sia dunque:
f (X) − g(X) = (a0 − b0 ) + (a1 − b1 )X + (ar − br )X r + ar+1 X r+1 + · · · + an X n
F (X)(X m − 1) = −c0 − c1 X − · · · − ct X t + c0 X m + c1 X m+1 + · · · + ct X m+t .
Dalla (4.1) segue (per il principio di identità dei polinomi) che n = m + t e
ct = an . In particolare n > m. Si distinguano, ora, due casi: n = m e n > m.
Se n = m, allora t = 0, F (X) = c0 e la (4.1) diventa:
(a0 − b0 ) + (a1 − b1 )X + (ar − br )X r + ar+1 X r+1 + · · · + am X m = c0 X m − c0 .
Quindi c0 = am , a1 = b1 , . . . , ar = br , ar+1 = . . . = am−1 = 0 e a0 − b0 = −c0
da cui b0 = a0 + c0 = a0 + am > 0. Resta cosı̀ verificata la tesi.
Sia n > m e quindi t > 0. Per ipotesi, r < m ⇒ m = r + h con h > 0,
n = m + t e dunque n = r + h + t. Si riscrivano i due membri della (4.1) nel
modo che segue:
f (X) − g(X) = (a0 − b0 ) + · · · + (ar − br )X r + ar+1 X r+1 +
+ · · · + ar+h X r+h + · · · + ar+h+t X r+h+t
106
Insiemi di differenze affini
F (X)(X m −1) = −c0 −c1 X −· · ·−ct X t +c0 X r+h +c1 X r+h+1 +· · ·+ct X r+h+t .
A questo punto, si presentano due possibilità: r + h > t oppure r + h 6 t.
Se r + h > t, allora dalla (4.1) segue che:
c0 = ar+h , c1 = ar+h+1 , . . . , ct = ar+h+t
e pertanto ci > 0 per ogni i = 0, 1, . . . , t. Inoltre, a seconda del valore di r e
di t, aj − bj coinciderà con 0 oppure con un −ck , pertanto sarà bj = aj oppure
bj = aj + ck , e in entrambi i casi, risulterà bj > 0.
Sia r + h 6 t. Dunque, r + h = t − j, con 0 6 j < t. Allora, si ha che:
F (X)(X m − 1) = −c0 − c1 X − · · · − cr X r − cr+1 X r+1 − · · · − cr+h−1 X r+h−1 +
+(c0 −cr+h )X r+h +· · ·+(cj −cr+h+j )X r+h+j +cj+1 X r+h+j+1 +· · ·+ct X r+h+t .
Dalla (4.1), allora, segue che: cj+1 = ar+h+j+1 , cj+2 = ar+h+j+2 , . . . , ct =
ar+h+t . Pertanto, ck > 0 per ogni k > j + 1. In realtà, ck > 0 per ogni
k = 0, 1, . . . , t. Infatti:
cj − cr+h+j = ar+h+j ⇒ cj = ct + ar+h+j > 0 (essendo ct > 0).
Analogamente:
cj−1 − cr+h+j−1 = ar+h+j−1 ⇒ cj−1 = cr+h+j−1 + ar+h+j−1 > 0
e cosı̀ via fino a c1 − cr+h+1 = ar+h+1 e:
c0 − cr+h = ar+h ⇒ c0 = cr+h + ar+h > 0.
Inoltre: a0 − b0 = −c0 , a1 − b1 = −c1 , . . . , ar − br = −cr . Dunque, per ogni
i = 0, 1, . . . , r risulta bi = ai + ci > 0. Lemma 4.1.6 Siano f (X) = a0 + a1 X + · · · + an X nPe g(X) = b0 +
Pbr1 X +
n
r
· · · + br X due polinomi a coefficienti interi. Sia f := i=0 ai e g := j=0 bj .
Allora, se f (X) ≡ g(X) mod (X m − 1), risulta che f = g.
Dimostrazione.
D’altra parte:
Dall’ipotesi, segue che f (X) ≡ g(X) mod (X − 1).
f (X) − f = a1 (X − 1) + a2 (X 2 − 1) + · · · + an (X n − 1) =
= (X − 1)[a1 + · · · + an (X n−1 + · · · + 1)].
4.1 Piani affini ciclici
107
Ne segue che:
f (X) − f ≡ 0 mod (X − 1).
(4.2)
Analogamente, si prova che:
g(X) − g ≡ 0 mod (X − 1).
(4.3)
Allora, per transitività, dalla (4.2) e dalla (4.3) si ha:
f (X) − f ≡ g(X) − g mod (X − 1).
(4.4)
f (X) − f ≡ g(X) − f mod (X − 1).
(4.5)
g(X) − f ≡ g(X) − g mod (X − 1)
(4.6)
Inoltre
Ciò implica che:
cioè g − f = H(X)(X − 1) per qualche polinomio H(X) a coefficienti interi.
Ma ciò si verifica solo per H(X) = 0. Dunque, si ha g = f . Lemma 4.1.7 Siano d > 1 e m > 0 interi tali che d | m con h := m/d e:
f (X) = 1 + X d + X 2d + · · · + X (h−1)d
g(X) = b0 + b1 X + · · · + bn X n
due polinomi a coefficienti interi. Allora esiste un polinomio g1 (X) ∈ Z[X],
con deg (g1 (X)) < d tale che:
f (X)g(X) ≡ f (X)g1 (X) mod (X m − 1).
Dimostrazione. L’asserto è banale se deg (g(X)) < d perchè in tal caso
basta prendere g1 (X) := g(X). Si osservi che X m − 1 = f (X)(X d − 1).
Si procede per induzione su n = deg (g(X)). Se n = d, si prenda g1 (X) :=
g(X) + −bd X d + bd . Chiaramente deg (g1 (X)) < d e
f (X)[g(X) − g1 (X)] = bd f (X)(X d − 1) = bd (X m − 1).
L’asserto è dunque vero per n = d.
Sia ora n > d. Si definisca il seguente polinomio a coefficienti interi:
g(X) := b0 + b1 X + · · · + bd−1 X d−1 + bd + bd+1 X + · · · + bn X n−d .
108
Insiemi di differenze affini
Essendo deg (g(X)) < n, per l’ipotesi induttiva, esiste un polinomio g1 (X) ∈
Z[X], con deg (g1 (X)) < d tale che:
f (X)[g(X) − g1 (X)] = F (X)(X m − 1).
(4.7)
Si osservi che:
g(X)−g(X) = bd d+bd+1 X d+1 +· · ·+bn X n −(bd +· · ·+bn X n−d ) = (X d −1)H(X)
dove H(X) := bd + bd+1 X + · · · + bn X n−d . Dunque la (4.7) può essere cosı̀
riscritta:
f (X)[g(X) − H(X)(X d − 1) − g1 (X)] = F (X)(X m − 1)
cioè
f (X)[g(X) − g1 (X)] = [H(X) + F (X)](X m − 1).
Questo completa la dimostrazione. Lemma 4.1.8 Mantenendo le stesse notazioni del Lemma 4.1.7, si supponga
che il polinomio g(X) sia della forma:
g(X) = b0 + b1 X d + b2 X 2d + · · · + bk X kd
con g =
Pk
i=0 bi .
Allora:
f (X)g(X) ≡ gf (X) mod (X m − 1).
Dimostrazione. Basta oservare che:
f (X)[g(X) − g] = f (X)(b0 + b1 X d + · · · + bk X kd − b0 − b1 − · · · − bk ) =
= f (X)[b1 (X d − 1) + · · · + bk (X kd − 1)] = (X m − 1)F (X)
dove F (X) := b1 + b2 (X d + 1) + · · · + bk (X (k−1)d + · · · + X d + 1). Teorema 4.1.9 Sia R un (n+1, n−1, n, 1)-insieme di differenze affine ciclico
di ordine n di (Zv , +) (v := n2 − 1) relativo al sottogruppo N di ordine n − 1.
Sia p un numero primo che divide n. Allora, p è un moltiplicatore di R.
4.1 Piani affini ciclici
109
Dimostrazione.
Sia R
=
{r1 , . . . , rn } e N
{0, (n + 1), . . . , (n − 2)(n + 1)} dove, per ogni i = 1, . . . , n si ha che:
0 < ri < v
e
=
ri 6≡ 0 (mod n + 1)
(in tal caso, si dice che R è dato in forma standard). Si definiscano i seguenti
polinomi:
θ(X) := X r1 + · · · + X rn
P (X) := 1 + X n+1 + · · · + X (n−2)(n+1)
R(X) := 1 + X + · · · + X n
(il polinomio θ(X) è detto il polinomio di Hall associato all’insieme di differenze R). Per ogni i = 1, . . . , n si ha che: vri ≡ 0 (mod v) e pertanto, per il
Lemma 4.1.4:
X vri ≡ 1 mod (X v − 1).
Ne segue che:
θ(X)θ(X v−1 ) =
n
X
X vri +
i=1
n
X
X ri −rj X vrj ≡ n +
n
X
i,j=1
i,j=1
i6=j
i6=j
X ri −rj mod (X v − 1).
Poichè le n2 − n differenze ri − rj (con i 6= j) costituiscono esattamente le
n2 − n classi di congruenza (mod v) che non sono multiple di (n + 1), si ha
che:
P (X)[R(X) − 1] =
v−1
X
k
X ≡
n
X
k=0
i,j=1
k6≡0 (mod n+1)
i6=j
X ri −rj mod (X v − 1).
Resta cosı̀ provato che:
θ(X)θ(X v−1 ) ≡ n + P (X)[R(X) − 1] mod (X v − 1).
(4.8)
Poichè (p, v) = 1, anche {pr1 , . . . , prn } è un insieme di differenze affine di Zv
relativo a N . Quindi per il Lemma 4.1.4:
θ(X p )θ(X (v−1)p ) ≡ n + P (X)[R(X) − 1] mod (X v − 1).
(4.9)
Dal momento che p | n e P (X) | X v − 1 (infatti X v − 1 = P (X)(X n+1 − 1)),
dalla (4.8), segue che esistono un intero r e un polinomio G(X) ∈ Z[X] tali
che:
θ(X)θ(X v−1 ) = n + P (X)[R(X) − 1] + G(X)(X v − 1) =
110
Insiemi di differenze affini
= pr + P (X)[R(X) − 1 + G(X)(X n+1 − 1)].
È possibile, allora, sostituire il modulo della (4.8) con il doppio modulo
p, P (X), ottenendo:
θ(X)θ(X v−1 ) ≡ 0 mod (p, P (X)).
(4.10)
Per il teorema della potenza multinomiale, θ(X p ) ≡ (θ(X))p (mod p) in Z[X]
e a fortiori θ(X p ) ≡ (θ(X))p mod (p, P (X)). Quindi:
θ(X p )θ(X v−1 ) ≡ (θ(X))p θ(X v−1 ) = (θ(X))p−1 θ(X)θ(X v−1 ) ≡ 0mod (p, P (X))
il che può essere espresso come:
θ(X p )θ(X v−1 ) ≡ pf (X) + P (X)g(X) mod (X v − 1)
dove f (X) e g(X) ∈ Z[X].
deg g1 (X) < n + 1 tale che:
(4.11)
Per il Lemma 4.1.7, ∃g1 (X) ∈ Z[X], con
P (X)g(X) ≡ P (X)g1 (X) mod (X v − 1).
Pertanto, è lecito assumere che:
g(X) = g0 + g1 X + · · · + gn X n .
Sia f (X) = a0 + a1 X + · · · + av−1 X v−1 , gi = pqi + ri , con 0 6 ri 6 p − 1 per
ogni i = 0, 1, . . . , n. Posto
f˜(X) := (a0 +q0 )+(a1 +q1 )X+· · ·+(an +qn )X n +(an+1 +q0 )X n+1 +· · ·+(av−1 +qn )X v−1
e
g̃(X) := r0 + r1 X + · · · + rn X n ,
si verifica che pf (X) + P (X)g(X) = pf˜(X) + P (X)g̃(X). Allora, nella (4.11)
si può anche assumere che, per ogni i = 0, 1, . . . , n : 0 6 gi 6 p − 1. Sia, ora,
f (X) = C0 + C1 X + · · · + Cv−1 X v−1 .
Il polinomio θ(X p )θ(X v−1 ) ha coefficienti non negativi e il polinomio H(X) :=
pf (X)+P (X)g(X) ha grado minore di v. Per il Lemma 4.1.5, la (4.11) implica
che anche il polinomio H(X) ha coefficienti non negativi, cioè:
pC0 + g0 > 0
4.1 Piani affini ciclici
111
pC1 + g1 > 0
..
.
pCn + gn > 0
pCn+1 + g0 > 0
..
.
pCv−1 + gn > 0
Poichè per ogni i = 0, 1, . . . , n, risulta 0 6 gi < p, allora − gpi > −1. Pertanto:
C0 > −
g0
> −1
p
C1 > −
g1
> −1
p
..
.
gn
Cn > − > −1
p
g0
Cn+1 > − > −1
p
..
.
Cv−1 > −
gn
> −1
p
e quindi Ci > 0 per ogni i = 0, 1, . . . , v − 1. Si osservi che:
P (X) = 1 + X n+1 + · · · + X (n−2)(n+1) =
= n − 1 + (X n+1 − 1) + · · · + [(X n+1 )n−2 − 1] = n − 1 + S(X)(X n+1 − 1).
Ne segue che
P (X) ≡ n − 1 mod (X n+1 − 1)
e poichè R(X) | X n+1 − 1 (infatti X n+1 − 1 = (X − 1)R(X)), dalla (4.11) si
deduce:
θ(X p )θ(X v−1 ) = pf (X) + P (X)g(X) + F (X)((X v − 1) =
= pf (X) + [n − 1 + S(X)(X n+1 − 1)]g(X) + F (X)P (X)(X n+1 − 1) =
112
Insiemi di differenze affini
= pf (X)+(n−1)g(X)+T (X)(X n+1 −1) = pf (X)−g(X)+prg(X)+V (X)R(X).
Ne segue che:
θ(X p )θ(X v−1 ) ≡ −g(X) mod (p, R(X))
(4.12)
D’altra parte, poichè {r1 , . . . , rn } è un insieme di differenze in forma standard,
per ogni i = 1, . . . , n esiste un unico intero ai ∈ {1, . . . , n} tale che ri ≡
ai (mod n + 1), e ai 6= aj per ogni i 6= j. Per il Lemma 4.1.4:
n
X
X ri ≡
i=1
n
X
X ai mod (X n+1 − 1)
i=1
cioè
θ(X) ≡ R(X) − 1 mod (X n+1 − 1).
A fortiori :
θ(X) ≡ −1 mod (p, R(X)).
(4.13)
Dalla (4.8) si ha che:
θ(X)θ(X v−1 ) = n + P (X)[R(X) − 1] + F (X)(X v − 1) =
= n+P (X)R(X)−P (X)+F (X)P (X)R(X)(X −1) = n+U (X)R(X)−P (X).
Si sa che:
P (X) = n − 1 + G(X)(X n+1 − 1) = n − 1 + G(X)R(X)(X − 1).
Quindi:
θ(X)θ(X v−1 ) = n + U (X)R(X) − n + 1 − G(X)R(X)(X − 1) = 1 + T (X)R(X).
Dunque
θ(X)θ(X v−1 ) ≡ 1 mod (p, R(X))
che, insieme alla (4.13) dà:
θ(X p )θ(X v−1 ) ≡ (−1)p−1 ≡ 1 mod (p, R(X)).
(4.14)
Infatti dalla congruenza θ(X)θ(X v−1 ) ≡ 1 mod (p, R(X)), moltiplicando p − 1
volte per θ(X) ambo i membri, si ha:
(θ(X))p θ(X v−1 ) ≡ (θ(X))p−1 mod (p, R(X)).
4.1 Piani affini ciclici
113
Dalla congruenza θ(X p ) ≡ (θ(X))p mod (p, R(X)), segue, moltiplicando per
θ(X v−1 ):
θ(X p )θ(X v−1 ) ≡ (θ(X))p θ(X v−1 ) mod (p, R(X)).
Quindi
θ(X p )θ(X v−1 ) ≡ (θ(X))p−1 mod (p, R(X)).
Elevando alla (p − 1)-esima potenza ambo i membri della (4.13), si ottiene:
(θ(X))p−1 ≡ (−1)p−1 mod (p, R(X))
da cui la (4.14). Dalla (4.12) e dalla (4.14) segue che:
−g(X) ≡ 1 mod (p, R(X))
cioè che g(X) + 1 = ph(X) + k(X)R(X) con h(X) e k(X) ∈ Z[X]. Usando il
Lemma 4.1.8, con d = 1 e m = n + 1 si ottiene:
k(X)R(X) ≡ kR(X) mod (X n+1 − 1)
e quindi:
g(X) + 1 ≡ ph(X) + kR(X) mod (X n+1 − 1)
(4.15)
dove k è un intero tale che: 0 6 k 6 p − 1. La (4.15) implica l’esistenza di un
polinomio t(X) ∈ Z[X] tale che:
(1 + g0 ) − k + (g1 − k)X + · · · + (gn − k)X n = pt(X).
Quindi, per le assunzioni fatte sui coefficienti gi e sull’intero k:
g1 = g2 = . . . = gn = k
e
k ≡ g0 + 1 (mod p).
Allora, g0 + 1 = k + up con u > 0. Si osservi che non può essere g0 + 1 = p.
Se, per assurdo, cosı̀ fosse, si avrebbe k = 0 e u = 1, e per il Lemma 4.1.6
applicato alla congruenza (4.11) si avrebbe:
n2 = pf + (n − 1)(p − 1)
dove f è la somma dei coefficienti di f (X); ne seguirebbe che p | (n − 1)(p − 1)
cioè che p | (n − 1) oppure p | (p − 1), e ciò è impossibile. Quindi, g0 + 1 < p
e pertanto u = 0, g0 + 1 = k e
n2 = pf + (n − 1)(nk + k − 1).
114
Insiemi di differenze affini
Ne segue che p | k − 1, e pertanto k = 1, f = n/p, g(X) = R(X) − 1. La (4.11)
può essere riscritta come:
θ(X p )θ(X v−1 ) ≡ pf (X) + P (X)[R(X) − 1] mod (X v − 1).
(4.16)
Per il Lemma 4.1.4
2
2
(v−1)2 ≡ 1(modv) ⇒ X (v−1) ≡ Xmod(X v −1) ⇒ θ(X (v−1) ) ≡ θ(X)mod(X v −1).
Sempre per il Lemma 4.1.4 si ha che:
P (X v−1 )[R(X v−1 ) − 1] ≡ P (X)[R(X v−1 ) − 1] mod (X v − 1).
(4.17)
Infatti, sviluppando i calcoli, si ha che:
P (X v−1 )[R(X v−1 ) − 1] = X v−1 + · · · + X n(v−1) + · · · + X (n+1)(v−1)+v−1 + · · · +
+X (n+1)(v−1)+n(v−1) + +X 2(n+1)(v−1)+v−1 + · · · + X 2(n+1)(v−1)+n(v−1) + · · · +
+X (n−3)(n+1)(v−1)+v−1 + · · · + X (n−3)(n+1)(v−1)+n(v−1) +
+X (n−2)(n+1)(v−1)+v−1 + · · · + X (n−2)(n+1)(v−1)+n(v−1) .
P (X)[R(X v−1 ) − 1] = X v−1 + · · · + X n(v−1) + X n+1+v−1 + · · · + X n+1+n(v−1) +
+X 2(n+1)+v−1 + · · · + X 2(n+1)+n(v−1) + · · · +
+X (n−3)(n+1)+v−1 + · · · + X (n−3)(n+1)+n(v−1) +
+X (n−2)(n+1)+v−1 + · · · + X (n−2)(n+1)+n(v−1) .
La (4.17) segue dal Lemma 4.1.4, in virtù delle seguenti congruenze:
(n + 1)(v − 1) + v − 1 ≡ (n − 2)(n + 1) + v − 1 (mod v)
..
.
(n + 1)(v − 1) + n(v − 1) ≡ (n − 2)(n + 1) + n(v − 1) (mod v)
2(n + 1)(v − 1) + v − 1 ≡ (n − 3)(n + 1) + v − 1 (mod v)
..
.
2(n + 1)(v − 1) + n(v − 1) ≡ (n − 3)(n + 1) + n(v − 1) (mod v)
4.1 Piani affini ciclici
115
..
.
(n − 3)(n + 1)(v − 1) + v − 1 ≡ 2(n + 1) + v − 1 (mod v)
..
.
(n − 3)(n + 1)(v − 1) + n(v − 1) ≡ 2(n + 1) + n(v − 1) (mod v)
(n − 2)(n + 1)(v − 1) + v − 1 ≡ n + 1 + v − 1 (mod v)
..
.
(n − 2)(n + 1)(v − 1) + n(v − 1) ≡ n + 1 + n(v − 1) (mod v).
In modo analogo, si prova che:
P (X)R(X) ≡ P (X)R(X v−1 ) ≡ 1 + X + · · · + X v−1 mod (X v − 1).
(4.18)
Infatti:
P (X)R(X) = 1 + X + · · · + X v−1 = 1 + X + · · · + X n−1 + X n + X n+1 + · · · +
+X (n−2)(n+1) + X (n−2)(n+1)+1 + · · · + X (n−2)(n+1)+n .
P (X)R(X v−1 ) = 1+X v−1 +· · ·+X n(v−1) +X n+1 +X n+1+v−1 +· · ·+X n+1+n(v−1) +
+ · · · + X (n−2)(n+1) + X (n−2)(n+1)+v−1 + · · · + X (n−2)(n+1)+n(v−1) .
La (4.18) segue dal Lemma 4.1.4, in virtù delle seguenti congruenze:
2(v − 1) ≡ (n − 2)(n + 1) + n − 1 (mod v)
..
.
(n − 1)(v − 1) ≡ (n − 2)(n + 1) + 2 (mod v)
n(v − 1) ≡ (n − 2)(n + 1) + 1 (mod v)
n + 1 + v − 1 ≡ n (mod v)
n + 1 + 2(v − 1) ≡ n − 1 (mod v)
..
.
n + 1 + n(v − 1) ≡ 1 (mod v)
116
Insiemi di differenze affini
..
.
(n − 2)(n + 1) + v − 1 ≡ (n − 2)(n + 1) − 1 (mod v)
(n − 2)(n + 1) + 2(v − 1) ≡ (n − 2)(n + 1) − 2 (mod v)
..
.
(n − 2)(n + 1) + (n − 1)(v − 1) ≡ (n − 3)(n + 1) + 2 (mod v)
(n − 2)(n + 1) + n(v − 1) ≡ (n − 3)(n + 1) + 1 (mod v).
Rimpiazzando X nella (4.16) con X v−1 , si ottiene:
2
θ(X (v−1)p )θ(X (v−1) ) ≡ pf (X v−1 ) + P (X v−1 )[R(X v−1 ) − 1] mod (X v − 1).
e quindi:
θ(X)θ(X (v−1)p ) ≡ pf (X v−1 ) + P (X)[R(X v−1 ) − 1] mod (X v − 1).
(4.19)
Il prodotto dei primi membri della (4.16) e della (4.19) è uguale al prodotto dei
primi membri della (4.8) e della (4.9). Allora, i prodotti dei rispettivi secondi
membri sono congruenti. Cioè:
n2 + 2nP (X)[R(X) − 1] + P (X)2 [R(X) − 1]2 ≡ p2 f (X)f (X v−1 )+
(4.20)
+pP (X){f (X)[R(X v−1 ) − 1] + f (X v−1 )[R(X) − 1]}+
+P (X)2 [R(X) − 1][R(X v−1 ) − 1] mod (X v − 1).
Sviluppando la (4.20), si ha:
n2 +2nP (X)R(X)−2nP (X)+P 2 (X)R2 (X)+P 2 (X)−2P 2 (X)R(X) ≡ (4.21)
≡ p2 f (X)f (X v−1 )+pP (X)f (X)R(X v−1 )−pP (X)f (X)+pP (X)f (X v−1 )R(X)+
−pP (X)f (X v−1 )+P 2 (X)R(X)R(X v−1 )−P 2 (X)R(X)−P 2 (X)R(X v−1 )+P 2 (X).
Moltiplicando per P (X) ambo i membri della (4.18) si ha:
P 2 (X)R(X) ≡ P 2 (X)R(X v−1 ) mod (X v − 1).
(4.22)
da cui segue:
−2P 2 (X)R(X) ≡ −P 2 (X)R(X) − P 2 (X)R(X v−1 ) mod (X v − 1).
(4.23)
4.1 Piani affini ciclici
117
Moltiplicando per R(X) ambo i membri della (4.22) si ottiene:
P 2 (X)R2 (X) ≡ P 2 (X)R(X)R(X v−1 ) mod (X v − 1).
(4.24)
Usando la (4.18) e il Lemma 4.1.8 (si prenda d = 1), si ha che:
f (X)P (X)R(X v−1 ) ≡ f (X)(1+· · ·+X v−1 ) ≡ f ·(1+· · ·+X v−1 )mod(X v −1)
e
f (X v−1 )P (X)R(X) ≡ f (X v−1 )(1+· · ·+X v−1 ) ≡ f ·(1+· · ·+X v−1 )mod(X v −1)
(la somma dei coefficienti di f (X v−1 ) è uguale a quella dei coefficienti di f (X),
cioè f ). Ne segue:
pf (X)P (X)R(X v−1 ) + pf (X v−1 )P (X)R(X) ≡ 2nP (X)R(X) mod (X v − 1).
(4.25)
In virtù delle congruenze (4.22), (4.23), (4.24) e (4.25), la (4.21) diventa:
n2 − 2nP (X) ≡ p2 f (X)f (X v−1 ) − pP (X)[f (X) + f (X v−1 )] mod (X v − 1).
(4.26)
Passando alla riduzione mod (X n+1 − 1), la (4.26) diventa:
n2 − 2n(n − 1) ≡ p2 f (X)f (X v−1 ) − p(n − 1)[f (X) + f (X v−1 )] mod (X n+1 − 1).
(4.27)
P
P
dove f (X) = ni=0 ei X i , ei = n−2
C
,
i
=
0,
1,
.
.
.
,
n.
Il
termine
del
j=0 j(n+1)+i
primo membro della (4.27) deve essere uguale al termine costante del secondo
membro della (4.27) ridotto mod (X n+1 − 1). Quindi
n2 − 2n(n − 1) = p2
n
X
e2i − 2p(n − 1)e0 .
i=0
Si aggiunga (n − 1)2 ad ambo i membri. Allora:
1=p
2
n
X
e2i + [pe0 − (n − 1)]2 .
i=1
Se ne deduce che e1 = e2 = . . . = en = 0 e pertanto che
f (X) = C0 + Cn+1 X n+1 + · · · + C(n−2)(n+1) X (n−2)(n+1) .
118
Insiemi di differenze affini
Per il Lemma 4.1.8, questo implica che:
P (X)f (X) ≡ P (X)f (X v−1 ) ≡
n
P (X) mod (X v − 1).
p
Quindi, la (4.26) diventa:
n2 ≡ p2 f (X)f (X v−1 ) mod (X v − 1)
e ricordando che i coefficienti di f (X) sono non negativi, questo ovviamente
implica che f (X) consiste di un solo termine, cioè:
f (X) =
n t(n+1)
X
.
p
Sostituendo nella (4.16), si ottiene:
θ(X p )θ(X v−1 ) ≡ nX t(n+1) + P (X)[R(X) − 1] mod (X v − 1).
(4.28)
Per il Lemma 4.1.4, questo significa che n delle differenze pri − rj hanno lo
stesso valore mod v, cioè t(n + 1). Inoltre, se pri − rj ≡ prk − rh (mod v), allora
i = k se e solo se j = h. In ultima analisi, si è provato che:
{pr1 , . . . , prn } = {r1 + t(n + 1), . . . , rn + t(n + 1)}.
Questo completa la dimostrazione. 4.2
Somme di Gauss e somme di Eisenstein su
campi finiti
Scopo di questa sezione è generalizzare il Teor. 4.1.3. Per fare ciò, si utilizzeranno le somme di Gauss. Nel seguito, q denoterà una potenza di un
numero primo p, e Fq un campo finito contenente q elementi.
Definizione 4.2.1 Si definisce carattere moltiplicativo di un campo finito
Fq , un carattere χ del gruppo moltiplicativo (F∗q , ·) di Fq . Si definisce carattere
additivo di un campo finito Fq , un carattere ψ del gruppo additivo (Fq , +).
Osservazione 4.2.2 Per la Prop. 3.1.6, esistono esattamente q − 1 caratteri
moltiplicativi χ e q caratteri additivi ψ di Fq . Spesso risulta conveniente
estendere la definizione di un carattere moltiplicativo χ, ponendo:
1 se χ = χ0
χ(0) :=
0 se χ 6= χ0
4.2 Somme di Gauss e somme di Eisenstein su campi finiti
119
Definizione 4.2.3 Siano m > 2, q = pr , con r > 1, α ∈ Fqm e a ∈ Fq . Si
definiscono le funzioni traccia:
T rqm /q : Fqm → Fq
trq/p : Fq → Fp
tali che:
T rqm /q (α) := α + αq + · · · + αq
m−1
r−1
trq/p (a) := a + ap + · · · + ap
per ogni α ∈ Fqm e a ∈ Fq .
Il seguente lemma descrive le proprietà di base della funzione traccia su
campi finiti.
Lemma 4.2.4 Con le notazioni precedenti, siano α e β ∈ Fqm , a ∈ Fq .
Allora:
1. T rqm /q (aα + β) = aT rqm /q (α) + T rqm /q (β).
2. T rqm /q è una funzione surgettiva di Fqm in Fq .
3. trqm /p (α) = trq/p (T rqm /q (α)).
4.
5.
trq/p (x)
x∈Fq ξp
P
= 0.
1 X trq/p (z(x−y))
1 se x = y
ξp
=
0 altrimenti
q
z∈Fq
Dimostrazione. Poichè, per ogni α ∈ Fqm
α ∈ Fq ⇔ αq = α,
è immediato verificare che T rqm /q (α) ∈ Fq e che vale la (1). Il polinomio
X + Xq + · · · + Xq
ha meno zeri in Fqm del polinomio
m
X q − X.
m−1
120
Insiemi di differenze affini
Pertanto, esiste un elemento α0 ∈ Fqm tale che:
T rqm /q (α0 ) = a0 6= 0.
Sia, ora, b ∈ Fq . Si ha che:
T rqm /q (ba−1
0 α0 ) = b.
e risulta cosı̀ provata la (2). (Chiaramente, lo stesso discorso si ripete per le
funzioni traccia trqm /p e trq/p ). Dalla (1) e dalla (2), si deduce che la funzione
traccia trq/p è un epimorfismo del gruppo additivo (Fq , +) nel gruppo additivo
(Fp , +). Si ponga, per ogni b ∈ Fp :
Tb := {x ∈ Fq | trq/p (x) = b}.
Allora si vede subito che, Tb è un laterale di T0 = ker(trq/p ), e quindi, per il
teorema fondamentale di omomorfismo di gruppi:
|Fq |
q
= = pr−1 .
|Im(trq/p )|
p
|Tb | = |ker(trq/p )| =
Ne segue che:
X
tr
ξp q/p
(x)
= pr−1
p−1
X
ξpt = pr−1
t=0
x∈Fq
ξpp − 1
= 0.
ξp − 1
Questo completa la dimostrazione della (4). La (5) segue immediatamente
dalla (4). Per quanto concerne la (3), si ha che:
m−1
X
trq/p (T rqm /q (α)) = trq/p (
i
αq ) =
i=0
=
m−1
r−1
XX
i=0 j=0
i
j
(αq )p =
m−1
r−1
XX
αp
ri+j
i=0 j=0
m−1
X
i
trq/p (αq ) =
i=0
=
mr−1
X
k
αp = trqm /p (α).
k=0
Si è usato il fatto che quando i varia da 0 a m − 1 e j varia da 0 a r − 1, la
quantità ri + j varia da 0 a mr − 1. Proposizione 4.2.5 Ogni carattere additivo di Fq è della forma:
tr
ψβ (x) = ξp q/p
per qualche β ∈ Fq .
(βx)
4.2 Somme di Gauss e somme di Eisenstein su campi finiti
121
Dimostrazione. Si ha che:
ψβ (x + y) = ψβ (x) · ψβ (y).
Quindi, ψβ è un carattere additivo di Fq . Al variare di β in Fq , i caratteri ψβ
sono distinti e in numero pari a q. Se ne deduce che i ψβ esauriscono tutti i
caratteri additivi di Fq . Definizione 4.2.6 Siano χ un carattere moltiplicativo, e ψ un carattere additivo del campo finito Fq . Si definisce somma di Gauss su Fq associata a
χ e ψ, il numero:
X
G(χ, ψ) :=
χ(x)ψ(x).
x∈Fq
Osservazione 4.2.7 In virtù della Prop. 4.2.5, se il carattere additivo di Fq
è ψβ , con β ∈ Fq , allora si porrà:
X
gβ (χ) := G(χ, ψβ ) =
tr
(βx)
tr
(x)
χ(x)ξp q/p
.
x∈Fq
Inoltre, per β = 1, si scriverà semplicemente:
X
g(χ) := G(χ, ψ1 ) =
χ(x)ξp q/p
.
x∈Fq
Con queste notazioni, si passa a dimostrare le seguenti proposizioni che
descrivono alcune proprietà elementari delle somme di Gauss su campi finiti.
Proposizione 4.2.8 Siano χ un carattere moltiplicativo di Fq e γ ∈ Fq .
Allora:

se γ = 0 e χ 6= χ0 ,
 0


0
se γ 6= 0 e χ = χ0 ,
gγ (χ) =
q
se γ = 0 e χ = χ0 ,



χ(γ −1 )g(χ) se γ 6= 0 e χ 6= χ0 .
Dimostrazione. Se γ = 0 e χ 6= χ0 :
g0 (χ) =
X
x∈Fq
χ(x) = 0
122
Insiemi di differenze affini
per le relazioni di ortogonalità (Lemma 3.1.10).
Se γ = 0 e χ = χ0 :
X
g0 (χ0 ) =
χ0 (x) = q.
x∈Fq
Se γ 6= 0 e χ 6= χ0 :
X
X
tr (γx)
tr (γx)
gγ (χ) =
χ(γ −1 γx)ξp q/p
= χ(γ −1 )
χ(γx)ξp q/p
=
x∈Fq
x∈Fq
= χ(γ −1 )
X
tr
χ(x)ξp q/p
(x)
= χ(γ −1 )g(χ)
x∈Fq
osservato che la funzione di Fq in Fq che a x associa γx è una bigezione.
Infine, se γ 6= 0 e χ = χ0 :
X trq/p (γx)
X trq/p (x)
gγ (χ0 ) =
ξp
=
ξp
=0
x∈Fq
x∈Fq
per la (4) del Lemma 4.2.4. Proposizione 4.2.9 Se χ è un carattere moltiplicativo non banale di Fq ,
allora
√
|g(χ)| = q.
Dimostrazione. Sia
S :=
X
gγ (χ)gγ (χ).
γ∈Fq
Allora:
S=
X
χ(γ −1 )g(χ)χ(γ −1 )g(χ) = (q − 1)|g(χ)|2 .
γ∈F∗q
D’altra parte
S =
X X
tr (γx) X
tr (−γy)
(
χ(x)ξp q/p
)(
χ(y)ξp q/p
)=
γ∈Fq x∈Fq
=
X X
x∈Fq y∈Fq
y∈Fq
X
(χ(x)χ(y)
γ∈Fq
Resta cosı̀ provata la proposizione. tr (γ(x−y))
ξp q/p
)
= (q − 1)q.
4.2 Somme di Gauss e somme di Eisenstein su campi finiti
123
Definizione 4.2.10 Siano m > 2, q = pr , con r > 1, χ un carattere moltiplicativo di Fqm . Si definisce somma di Eisenstein su Fq di ordine m associata
a χ, il numero:
X
Em (χ) :=
χ(α).
α∈F∗m
q
T rqm /q (α)=1
Lemma 4.2.11 Con le notazioni precedenti, se χ0 denota il carattere
moltiplicativo banale di Fqm , allora:
Em (χ0 ) = q m−1 .
Dimostrazione. Per ogni a ∈ Fq , si denoti con Ta l’insieme definito da:
Ta := {α ∈ Fqm | T rqm /q (α) = a}
Poichè la funzione traccia T rqm /q è un epimorfismo del gruppo (Fqm , +) nel
gruppo (Fq , +), in modo del tutto analogo a quanto fatto nel corso della
dimostrazione del Lemma 4.2.4, si prova che:
|Ta | = |T0 | = q m−1 .
Dunque
Em (χ0 ) =
X
χ0 (x) = q m−1 .
x∈T1
Questo completa la dimostrazione. Osservazione 4.2.12 Nel seguito, se χ rappresenta un carattere moltiplicativo di Fqm , si denoterà con χ1 la restrizione di χ a Fq , con g(χ) la somma di
Gauss su Fqm associata a χ e con g1 (χ1 ) la somma di Gauss su Fq associata a
χ1 .
Lemma 4.2.13 Siano a ∈ Fq e χ un carattere moltiplicativo di Fqm . Allora:
T rq

χ(a)Em (χ)


 m−1
X
q
−1
χ(α) =
0



α∈F∗m
q
−(q − 1)Em (χ)
m (α)=a
/q
se
se
se
se
a ∈ F∗q
a = 0 e χ è banale
a = 0 e χ e χ1 sono entrambi non banali
a = 0, χ è non banale e χ1 è banale
124
Insiemi di differenze affini
Dimostrazione. Se a ∈ F∗q , la funzione f : F∗qm → F∗qm tale che:
f (α) := aα
per ogni α ∈ F∗qm , è una bigezione. Quindi
X
X
χ(α) =
χ(aα) = χ(a)
α∈F∗m
q
T rqm /q (α)=a
α∈F∗m
q
T rqm /q (α)=a
Sia ora a = 0. Allora:
X
X
χ(α) =
α∈F∗m
q
T rqm /q (α)=0
=
X
X
α∈F∗qm
χ(α) = χ(a)Em (χ).
α∈F∗m
q
T rqm /q (α)=a
X
χ(α) −
a∈Fq
α∈F∗m
q
T rqm /q (α)=a
χ(α) −
X
χ(a)Em (χ) =
X
X
X
a∈F∗q
α∈F∗m
q
T rqm /q (α)=a
χ(α) − Em (χ)
α∈F∗qm
a∈F∗q
χ(α) =
X
χ1 (a) =
a∈F∗q
 m
 q − 1 − q m−1 (q − 1) se χ è banale
0 − Em (χ) · 0 = 0
se χ e χ1 sono entrambi non banali
=

0 − Em (χ)(q − 1)
se χ è non banale e χ1 è banale
Si osservi che nel secondo caso, si sono applicate le relazioni di ortogonalità.
Il teorema che ci si appresta ora a dimostrare, mostra che le somme di
Eisenstein possono esprimersi come rapporti di somme di Gauss.
Teorema 4.2.14 Sia χ un carattere moltiplicativo non banale di Fqm . Allora:
g(χ)/g1 (χ1 ) se χ1 è non banale
Em (χ) =
− 1q g(χ)
se χ1 è banale
Dimostrazione. Poichè χ è un carattere moltiplicativo non banale di
Fqm , per definizione di somma di Gauss, si ha che:
g(χ) =
X
tr
χ(α)ξp q
m /p (α)
=
α∈F∗qm
X
X
a∈Fq
α∈F∗m
q
T rqm /q (α)=a
Per la (3) del Lemma 4.2.4, si ha che:
trqm /p (α) = trq/p (T rqm /q (α)).
tr
χ(α)ξp q
m /p (α)
.
4.2 Somme di Gauss e somme di Eisenstein su campi finiti
125
Dunque:
X
g(χ) =
χ(α) +
α∈F∗m
q
T rqm /q (α)=0
tr
X
X
a∈F∗q
α∈F∗m
q
T rqm /q (α)=a
χ(α)ξp q
m /p (α)
.
Per il Lemma 4.2.13, risulta:
X
0
se χ1 è non banale
χ(α) =
−(q
−
1)E
(χ)
se χ1 è banale
m
∗
α∈F m
q
T rqm /q (α)=0
Sempre per il Lemma 4.2.13 e per la (3) del Lemma 4.2.4, si ha che:
X
X
X
X trq/p (a)
tr m (α)
ξp
χ(α) =
χ(α)ξp q /p =
a∈F∗q
X
tr
ξp q/p
a∈F∗q
α∈F∗m
q
T rqm /q (α)=a
(a)
χ(a)Em (χ) == Em (χ)
a∈=F∗q
X
α∈F∗m
q
T rqm /q (α)=a
tr
χ1 (a)ξp q/p
(a)
= Em (χ)(g1 (χ1 )−χ1 (0)).
a∈F∗q
Ne segue che, se χ1 è non banale:
g(χ) = 0 + Em (χ)(g1 (χ1 ) − 0) = Em (χ)g1 (χ1 )
da cui
Em (χ) = g(χ)/g1 (χ1 ).
Se χ1 è banale, allora per la Prop. 4.2.8 g1 (χ1 ) = 0, e quindi:
g(χ) = −(q − 1)Em (χ) + Em (χ)(0 − 1) = −(q − 1)Em (χ) − Em (χ) = −qEm (χ)
da cui
1
Em (χ) = − g(χ).
q
Questo completa la dimostrazione. È ora possibile enunciare e dimostrare il seguente teorema che generalizza
il Teor. 4.1.3.
Teorema 4.2.15 Siano m > 2, q = pr e R l’insieme definito da:
R := {x ∈ F∗qm | T rqm /q (x) = 1}.
m
−1
Allora, R è un ( qq−1
, q − 1, q m−1 , q m−2 )-insieme di differenze (ciclico) di
(F∗qm , ·) relativo al sottogruppo (F∗q , ·).
126
Insiemi di differenze affini
Dimostrazione. Sia χ un carattere moltiplicativo non banale di F∗qm . Al
solito, siano χ1 := χ|F∗q , g(χ) la somma di Gauss su Fqm associata a χ e g1 (χ1 )
la somma di Gauss su Fq associata a χ1 . Applicando il Teor. 4.2.14 e la Prop.
4.2.9, si ha quanto segue. Se χ1 è banale, allora:
1
1
1
χ(R) · χ(R) = − g(χ) · (− g(χ)) = 2 q m = q m−2 .
q
q
q
Se χ1 è non banale, allora:
χ(R) · χ(R) =
g(χ)g(χ)
g1 (χ1 )g1 (χ1 )
=
qm
= q m−1 .
q
Con le notazioni del Lemma 4.2.11, è noto che:
|R| = |T1 | = q m−1 .
Dunque, R è un sottoinsieme di F∗qm contenente q m−1 elementi. Inoltre, posto n := q − 1, k := q m−1 e λ := q m−2 , si verifica facilmente che risultano
soddisfatte le condizioni del Lemma 3.1.13. Resta cosı̀ provato il teorema. 4.3
Piani affini abeliani
In questa sezione, si considerano insiemi di differenze affini abeliani. Utilizzando il Teor. 3.2.5, è possibile generalizzare il teorema di Hoffman (Teor.
4.1.9) come mostra il seguente:
Teorema 4.3.1 Sia R un (n + 1, n − 1, n, 1)-insieme di differenze affine abeliano di G relativo a un sottogruppo N di ordine n − 1. Allora, ogni divisore
positivo di n è un moltiplicatore di R.
Dimostrazione. Sia t > 0, t divisore di n. Se t = 1, l’asserto è ovvio.
Sia, dunque, t > 1. Si dimostra il teorema per induzione sul numero s di
fattori primi che compaiono nella fattorizzazione di t. Sia s = 1 e t = ph , con
p numero primo e h > 1. Si osservi che, per il Lemma 2.3.13, ρ(R) = R è
un (n + 1, n, n − 1)-insieme di differenze di G/N , cioè un insieme di differenze
banale; pertanto, ogni intero relativamente primo a n + 1 è un moltiplicatore
di R. Dunque, mantenendo le notazioni del Teor. 3.2.5, t = ph , k1 = t = ph ,
(ph , v) = 1, k2 = k1 , v = n2 − 1, k2 > λ = 1, t ≡ ph · 1 (mod v ∗ ), con 1
moltiplicatore banale di R, t moltiplicatore di R. Allora, per il Teor. 3.2.5, t
4.3 Piani affini abeliani
127
è un moltiplicatore di R.
Si supponga, ora, che l’asserto sia vero per s > 1. Sia
e
s+1
t = pe11 pe22 · · · pess ps+1
con t divisore di n. Si ponga:
k1 := pe11 · · · pess .
Si mantengano sempre le notazioni del Teor. 3.2.5. Per ogni i = 1, . . . , s
risulta (pi , v) = 1 e quindi qi = pi . Posto:
si :=
es+1
ps+1
s
Y
e
pj j ,
j=1
j6=i
per l’ipotesi di induzione, si è un moltiplicatore di R. t = si pei i e in particolare,
t ≡ si pei i (mod v ∗ ). (v, k1 ) = 1 e quindi k2 = k1 . k2 > λ = 1 e inoltre
(t, n + 1) = 1, t moltiplicatore di R, per quanto osservato precedentemente.
Dunque, in virtù del Teor. 3.2.5, t è un moltiplicatore di R. L’asserto è quindi
vero anche per s + 1. Questo completa la dimostrazione. Osservazione 4.3.2 Sia R un (n+1, n−1, n, 1)-insieme di differenze affine di
(G, +) relativo a N . Sia Π il piano proiettivo di ordine n associato a R. I punti
del piano sono gli n2 −1 elementi del gruppo G, il punto ∞, e gli n+1 punti ρ(g)
in G/N (dove ρ denota l’epimorfismo canonico di G in G/N ). Le rette del piano
sono i n2 −1 traslati R+x (x ∈ G), i n+1 laterali N +x di N e la retta impropria
L∞ costituita dai punti di G/N . Al traslato R + x va aggiunto un elemento di
G/N (il punto improprio) nel modo seguente: esiste un unico laterale N + a
tale che (N + a) ∩ (R + x) = ∅, a R + x si aggiunga ρ(a). Si noti che R + x ha n
elementi, che ci sono esattamente n + 1 laterali di N , e che R + x ha in comune
con ciascun laterale di N al più un elemento (in caso contrario, si avrebbe un
elemento di N rappresentabile come differenza di due elementi distinti di R).
A ciascun laterale N + x vanno aggiunti il punto ∞ e ρ(x). È facile verificare
che la struttura Π cosı̀ definita, è effettivamente un piano proiettivo. È altresı̀
semplice vedere che G agisce, come traslazione destra, sul piano Π, come un
gruppo di collineazioni quasiregolare, avente N come stabilizzatore della retta
impropria L∞ . Si ricordi che una polarità ϕ di un piano proiettivo Π, è un
isomorfismo di ordine 2 tra Π e il suo duale (in altre parole, una bigezione che
ad ogni punto associa una retta e ad ogni retta associa un punto, in modo che,
per ogni coppia (p, L) punto-retta, p ∈ L ⇔ ϕ(L) ∈ ϕ(p)).
128
Insiemi di differenze affini
Proposizione 4.3.3 Sia R un (n + 1, n − 1, n, 1)-insieme di differenze affine
abeliano di (G, +) relativo a N , e sia x un elemento di G. Senza ledere la
generalità, si assuma che N ∩ R = ∅. Allora, la funzione ϕx definita da:
g 7→ R + x − g,
ρ(g) 7→ N + x − g,
∞ 7→ L∞ ,
R + g 7→ x − g
N + g 7→ ρ(x − g)
L∞ 7→ ∞
è una polarità del piano proiettivo associato a R.
Dimostrazione. Prima di tutto si noti che ϕx è ben definita, poichè
ρ(g) = ρ(h) implica N +x−g = N +x−h. La funzione ϕx associa rette a punti,
punti a rette, e ha ordine 2. Resta da provare che ϕx conserva la incidenza e
la non-incidenza, cioè che un punto p ∈ L se e solo se ϕx (L) ∈ ϕx (p). Poichè
il piano Π e il suo duale sono piani finiti dello stesso ordine, è sufficiente
dimostrare che ϕx conserva l’incidenza. Sia g ∈ G un punto. Se g ∈ R + s,
allora g = r + s, con r ∈ R, e quindi s = g − r. ϕx (R + s) = x − s e
ϕx (g) = R + x − g, quindi, poichè x − s = x − (g − r) = r + x − g si ha che
x − s ∈ R + x − g, cioè ϕx (R + s) ∈ ϕx (g). Ora si assuma che g ∈ N + s, cioè
che g = n + s, per qualche n ∈ N . Occorre provare che ϕx (N + s) ∈ ϕx (g),
cioè che ρ(x − s) ∈ R + x − g, e quindi che (N + x − s) ∩ (R + x − g) = ∅. Ciò è
vero perchè, se per assurdo esistesse un elemento y ∈ (N + x − s) ∩ (R + x − g),
allora si avrebbe: y = n0 + x − s = r + x − g, con n0 ∈ N e r ∈ R. Allora
n0 −s = r−g = r−n−s, da cui n+n0 = r ∈ N ∩R, e questo contraddice l’ipotesi
fatta N ∩ R = ∅. Ora si considerino i punti ρ(g) in G/N . Sia ρ(g) ∈ L∞ ,
allora ϕx (L∞ ) = ∞ ∈ N + x − g = ϕx (ρ(g)). Sia ρ(g) ∈ R + s. Occorre
dimostrare che ϕx (R + s) ∈ ϕx (ρ(g)). Per ipotesi, N + g è l’unico laterale di
N tale che (N + g) ∩ (R + s) = ∅. Poichè (N + s) ∩ (R + s) = ∅ (essendo
N ∩ R = ∅), ne segue che N + s = N + g, cioè che ρ(g) = ρ(s). Allora
ϕx (R + s) = x − s ∈ N + x − s = ϕx (ρ(s)) = ϕx (ρ(g)). Definizione 4.3.4 Siano Π un piano proiettivo finito di ordine n, ϕ una
polarità di Π, p un punto. Si dice che p è un punto assoluto di ϕ se p ∈ ϕ(p).
Definizione 4.3.5 Sia Π un piano proiettivo finito di ordine n. Si definisce
k-arco di Π, un insieme K di k punti che interseca ogni retta del piano in al
più due punti. Si definisce ovale di Π, un (n + 1)-arco.
Sussiste il seguente:
4.3 Piani affini abeliani
129
Teorema 4.3.6 Sia ϕ una polarità di un piano proiettivo di ordine n. Allora
ϕ ha almeno n + 1 punti assoluti. Se la polarità ha esattamente n + 1 punti
assoluti, allora l’insieme dei punti assoluti è:
• un’ovale se n è dispari,
• una retta se n è pari.
Dimostrazione. Si rimanda al testo [10].
Proposizione 4.3.7 Il numero di punti assoluti della polarità ϕx , definita
nella Prop. 4.3.3, è esattamente n + 1.
Dimostrazione. Si conservi la notazione della Prop. 4.3.3. Si denoti con
a(ϕx ) il numero di punti assoluti di ϕx . Allora, per il Teor. 4.3.6, si ha che:
X
a(ϕx ) > (n2 − 1)(n + 1).
(4.29)
x∈G
Nella (4.29) si ha l’uguaglianza se e solo se ciascuna polarità
ϕx ha esattamente
P
n + 1 punti assoluti. Si passa a calcolare il numero x∈G a(ϕx ) in un secondo
modo.
Si considerino i punti g ∈ G. Un punto g è un punto assoluto di ϕx se e solo
se 2g ∈ R + x. Sia f : G → G la funzione definita da:
f (x) := 2x
per ogni x ∈ G. È facile vedere che f è un omomorfismo di gruppi. Se si
denota con G(2) := Im(f ) = {y ∈ G|y = 2g, g ∈ G} l’insieme dei ’quadrati’ in
G e con T := ker(f ), per il teorema fondamentale di omomorfismo di gruppi,
si ha che:
G/T ∼
= G(2)
e quindi che:
|G| = |G(2) | · |T |.
(4.30)
Se r + x ∈ G(2) , con r ∈ R, allora f −1 (r + x) è un laterale di T e pertanto:
|f −1 (r + x)| = |T |.
Questo implica che ciascun ’quadrato’ in R + x dà luogo a |T | punti assoluti
in G. D’altra parte, per un punto a ∈ G, passano esattamente n rette del
tipo R + x; quindi un ’quadrato’ 2g ∈ G(2) dà luogo a n|T | punti assoluti, e il
130
Insiemi di differenze affini
numero totale di punti assoluti in G di tutte le polarità (al variare di x in G)
è:
n|T ||G(2) | = n|G| = n(n2 − 1)
(4.31)
(dove nella seconda uguaglianza si è applicata la (4.30)).
Un punto ρ(g) in G/N è un punto assoluto di ϕx se e solo se 2ρ(g) = ρ(x).
Infatti:
ρ(g) ∈ ϕx (ρ(g)) ⇔ ρ(g) ∈ N + x − g ⇔ ρ(g) = ρ(x − g) ⇔
⇔ N + 2g = N + x ⇔ 2(N + g) = N + x.
Sia φ : G/N → G/N l’omomorfismo di gruppi definito da:
φ(ρ(a)) := 2ρ(a).
In modo analogo a quanto fatto in precedenza, se si denota con (G/N )(2) :=
Im(φ) l’insieme dei ‘quadrati’ in G/N e con T 0 := ker(φ), sempre per il
teorema fondamentale di omomorfismo di gruppi, si ha che:
(G/N )/T 0 ∼
= (G/N )(2)
e quindi che:
|G/N | = |(G/N )(2) | · |T 0 |.
(4.32)
Se ρ(x) ∈ (G/N )(2) , allora φ−1 (ρ(x)) è un laterale di T 0 e pertanto:
|φ−1 (ρ(x))| = |T 0 |.
Questo implica che ciascun ‘quadrato’ in G/N dà luogo a |T 0 | punti assoluti
in G/N . D’altra parte, se ρ(x) è un quadrato, ci sono n − 1 scelte possibili
per x in modo che: 2ρ(g) = ρ(x). Quindi, il numero totale di punti assoluti in
G/N di tutte le polarità, è:
(n − 1)|T 0 ||(G/N )(2) | = (n − 1)|G/N | = (n − 1)(n + 1) = n2 − 1,
(4.33)
dove nella seconda uguaglianza si è applicata la (4.32). In ultima analisi,
sommando il numero totale di punti assoluti in G dato dalla (4.31) con il
numero totale di punti assoluti in G/N dato dalla (4.33), si ottiene:
X
a(ϕx ) = n(n2 − 1) + n2 − 1 = (n2 − 1)(n + 1).
x∈G
Si osservi che, per ogni x ∈ G, ∞ non è un punto assoluto di ϕx , poichè
ϕx (∞) = L∞ e ∞ 6∈ L∞ . 4.3 Piani affini abeliani
131
Teorema 4.3.8 Sia R un (n + 1, n − 1, n, 1)-insieme di differenze affine abeliano di (G, +) relativo a N . Allora, gli insiemi Og := (−R + g) ∪ {∞}, con
g ∈ G, sono ovali nel piano Π associato a R.
Dimostrazione.
proiettivo Π risulta:
Occorre dimostrare che, per ogni retta L del piano
|L ∩ ((−R + g) ∪ {∞})| 6 2.
Sia L = R + x. Se a ∈ (R + x) ∩ ((−R + g) ∪ {∞}), allora:
a = r + x = −r0 + g
dove r e r0 sono elementi di R. Se b ∈ (R + x) ∩ ((−R + g) ∪ {∞}), allora:
b = e + x = −e0 + g
dove e e e0 sono elementi di R. Ne segue che
r − e − e0 − r 0 .
Quindi, r = e0 e r0 = e, poichè R è un insieme di differenze con λ = 1. Questo
mostra che b è unicamente determinato da a, e quindi che R + x interseca
(−R + g) ∪ {∞} in al più due punti, osservato che R + x non contiene il punto
∞.
Sia, ora, L = N + a. In tal caso, risulta:
|(N + a) ∩ (−R + g)| 6 1.
Infatti, se per assurdo esistessero due elementi distinti c e d in (N + a) ∩ (−R +
g), allora:
c = −r + g = n + a
d = −r0 + g = n0 + a
con r e r0 ∈ R, n e n0 ∈ N . Allora:
n − n0 = r 0 − r
e ciò è palesemente assurdo, perchè ci sarebbe un elemento n − n0 di N
rappresentabile come differenza di elementi distinti di R. Dunque:
|(N + a) ∩ ((−R + g) ∪ {∞})| 6 2
e questo completa la dimostrazione. 132
Insiemi di differenze affini
Teorema 4.3.9 Sia R un (n + 1, n − 1, n, 1)-insieme di differenze affine abeliano di (G, +) relativo a N e sia Π il piano proiettivo associato a R. Allora,
esiste un’ovale in Π fissato da tutti i moltiplicatori di R.
Dimostrazione. Osservato che (n2 − 1, n) = 1, per il Lemma 3.2.4, esiste
un elemento h di G, tale che R + h è fissato da ogni moltiplicatore di R.
Per il Teor. 4.3.8, l’insieme di punti O−h = (−R − h) ∪ {∞} è un ovale del
piano proiettivo Π associato a R. È evidente che tale ovale è fissato da tutti i
moltiplicatori di R. Infatti, se τ è un moltiplicatore di R, allora:
τ (∞) = ∞
e
τ (−R − h) = τ (−(R + h)) = −τ (R + h) = −(R + h) = −R − h.
Questo completa la dimostrazione. Definizione 4.3.10 Siano Π un piano proiettivo di ordine n, p un punto e
L una retta di Π. Una collineazione θ del piano Π che fissa ogni punto della
retta L è detta assiale (con asse L). Una collineazione θ che fissa ogni retta
del piano passante per il punto p è detta centrale (di centro p).
Per la dimostrazione delle proposizioni che seguono, si rimanda al testo
[10].
Proposizione 4.3.11 Una collineazione θ di un piano proiettivo finito Π è
assiale se e solo se è centrale. I punti fissati di una collineazione centrale non
identica, sono il centro stesso e tutti i punti dell’asse, mentre le rette fissate
sono l’asse e tutte le rette passanti per il centro. Una collineazione centrale θ
è completamente determinata dal suo centro p, dal suo asse L e dall’immagine
di un punto q diverso da p e non appartenente all’asse L.
Definizione 4.3.12 Una collineazione centrale θ è anche detta una prospettività. Siano p il centro e L l’asse della prospettività θ. Se p ∈ L, θ è detta
una (p, L)-elazione; se p 6∈ L, θ è detta una (p, L)-omologia.
Proposizione 4.3.13 Sia Π un piano proiettivo finito di ordine n. Una prospettività di ordine 2 di Π è una elazione o una omologia a seconda che n sia
pari o dispari rispettivamente.
4.3 Piani affini abeliani
133
Definizione 4.3.14 Siano Π un piano proiettivo finito di ordine n, L
l’insieme delle rette di Π e S un insieme di punti. Sia:
L|S := {L ∩ S | L ∈ L, |L ∩ S| > 2}.
La struttura di incidenza Σ = (S, L|S ) è detta un sottopiano di Π, se è essa
stessa un piano proiettivo. Se n = m2 , un sottopiano Π0 di ordine m è detto
un sottopiano di Baer.
Definizione 4.3.15 Sia Π un piano proiettivo finito di ordine n = m2 che
ammette un sottopiano di Baer Π0 . Una collineazione θ di Π che fissa tutti
i punti e tutte le rette di Π0 , è detta una collineazione di Baer. Una
involuzione che è collineazione di Baer è detta una involuzione di Baer.
Proposizione 4.3.16 Siano Π un piano proiettivo finito di ordine n e θ una
involuzione di Π. Allora, o n è un quadrato e θ è una involuzione di Baer
oppure θ è una collineazione centrale.
Teorema 4.3.17 Sia R un (n + 1, n − 1, n, 1)-insieme di differenze affine
abeliano di (G, +) relativo a N . Allora, il 2-sottogruppo di Sylow di G è
ciclico.
Dimostrazione. Si assuma che n sia dispari (in caso contrario, l’asserto
è banale). Sia Π il piano proiettivo associato a R. Si identifichi ogni elemento
a del gruppo G con la traslazione destra τa :
τa (g) = g + a
per ogni elemento g di G e
τa (∞) = ∞.
Chiaramente, un elemento a di G ha ordine 2 se e solo se τa è una involuzione di
Π. Si osservi che tutte le involuzioni di G devono essere contenute in N . Infatti,
se per assurdo esistesse una involuzione t ∈ G\N , allora: 2t = 0 ⇒ t = −t, e
quindi:
t = r − r0 = r0 − r,
cioè, t avrebbe due diverse rappresentazioni come differenza di elementi di R,
e ciò è impossibile.
Sia ora x ∈ G tale che 0 ∈ R + x. Ne segue che tutte le involuzioni t di G
134
Insiemi di differenze affini
e l’elemento neutro 0 di G sono punti assoluti della polarità ϕx definita nella
Prop.4.3.3. Infatti:
t involuzione ⇒ 0 = 2t ∈ R + x ⇒ t ∈ R + x − t = ϕx (t)
e
0 ∈ R + x = ϕx (0).
Per il Teor. 4.3.6, l’insieme dei punti assoluti di ϕx è un ovale, essendo n
dispari. Quindi, ci può essere solo una involuzione in N (altrimenti, la retta
N intersecherebbe l’ovale in più di due punti). Poichè G è abeliano, questo
mostra che il 2-sottogruppo di Sylow di G è ciclico. Lemma 4.3.18 Sia R un (n + 1, n − 1, n, 1)-insieme di differenze affine abeliano di (G, +) relativo al sottogruppo N . Allora il moltiplicatore numerico n
è una omologia involutoria, se n è dispari, è una elazione involutoria, se n è
pari.
Dimostrazione. Si osservi preliminarmente che n è effettivamente un
moltiplicatore di R per il Teor. 4.3.1. Si denoti con φn la corrispondente
collineazione del piano proiettivo Π associato a R. Allora, conservando le
notazioni dell’Oss. 4.3.2:
φn (g) := ng,
per ogni g ∈ G, e
φn (∞) := ∞.
Inoltre, l’azione di φn sui punti impropri ρ(g) di Π è data da:
φn (ρ(g)) = −ρ(g).
Infatti, |G/N | = n + 1 e quindi, per ogni ρ(g) ∈ G/N risulta:
(n + 1)ρ(g) = ρ(0)
da cui segue che:
nρ(g) = −ρ(g).
Chiaramente, φn è una involuzione. Infatti, poichè |G| = n2 − 1, per ogni
g ∈ G risulta:
(n2 − 1)g = 0
e quindi:
φ2n (g) = n2 g = g.
4.3 Piani affini abeliani
135
Inoltre, φ2n (∞) = ∞ e φ2n (ρ(g)) = ρ(g) per ogni ρ(g) ∈ G/N . Poichè |N | =
n − 1, per ogni g ∈ N risulta:
(n − 1)g = 0
e quindi
φn (g) = ng = g.
In ultima analisi, φn fissa puntualmente tutti i punti di N , ∞ e ρ(0), cioè
tutti i punti della retta N . Dunque, φn è una collineazione assiale (e quindi,
centrale) con asse N . Si distinguano ora i due casi: n dispari e n pari.
Sia n dispari. Per il Teor. 4.3.17, il 2-sottogruppo di Sylow di G è ciclico. Ne
segue che anche il 2-sottogruppo di Sylow di G/N è ciclico. Pertanto, esiste
un’unica involuzione ρ(t) in G/N (elemento di ordine 2). Si ha:
φn (ρ(t)) = −ρ(t) = ρ(t).
Dunque, φn fissa anche il punto improprio ρ(t) che non appartiene all’asse N .
Per la Prop. 4.3.11, ρ(t) è il centro della collineazione φn che, quindi, risulta
una (ρ(t), N )-omologia involutoria.
Sia n pari. In questo caso, φn fissa solo tutti i punti della retta N . D’altra
parte, φn fissa la retta impropria L∞ (costituita dagli elementi di G/N ). Ne
segue che il centro di φn è necessariamente un punto improprio, cioè ρ(0).
Resta cosı̀ provato che, nel caso pari, φn è una (ρ(0), N )-elazione involutoria.
Teorema 4.3.19 Sia R un (n + 1, n − 1, n, 1)-insieme di differenze affine
ciclico di ordine n di (Zv , +) (v := n2 − 1) relativo al sottogruppo N di ordine
n−1. Se Π denota il piano proiettivo associato a R, allora l’insieme Ω definito
da:
Ω := {0, (n − 1), . . . , n(n − 1)}
è un’ovale del piano Π.
Dimostrazione.
definita da:
Per ogni i = 0, 1, . . . , n sia fi la traslazione destra
fi (x) := x + i(n − 1)
per ogni x ∈ Zv . Si ponga εi := fi φn , dove φn è la collineazione di Π corrispondente al moltiplicatore numerico n. Si verifica facilmente che, per ogni i,
εi è una involuzione. Sia x ∈ Zv . Allora:
ε2i (x) = n2 x + in(n − 1) + i(n − 1) = x.
136
Insiemi di differenze affini
Si distinguano, ora, i due casi: n dispari e n pari.
Sia n dispari. Si prova che, in questo caso, εi è una omologia involutoria con
centro ρ(t − i) e asse N − i, dove ρ(t) è l’unica involuzione in Zv /N . Per i = 0,
l’asserto è vero in virtù del Lemma 4.3.18. Infatti ε0 = φn è una (ρ(t), N )omologia involutoria. Sia i ∈ {1, . . . , n}. Si verifica che εi fissa tutti i punti di
N − i. Infatti, se h(n + 1) − i ∈ N − i, allora:
εi (h(n + 1) − i) = hn(n + 1) − in + i(n − 1) = hn(n + 1) − i = h(n + 1) − i.
Dunque, εi è una prospettività involutoria. Per la Prop. 4.3.13, εi è una
omologia. Si prova che il suo centro è ρ(t − i). Poichè la retta impropria è
fissata da εi , per la Prop. 4.3.11, il centro di εi è necessariamente un punto
improprio. Allora, basta provare che εi fissa la retta N + t − i passante per il
punto ρ(t − i). Si osservi che φn fissa la retta N + t:
φn (N + t) = N + t.
(4.34)
Sia h(n + 1) + t − i ∈ N + t − i. Per la (4.34), esiste un intero s tale che:
hn(n + 1) + nt = s(n + 1) + t.
(4.35)
Dunque
εi (h(n + 1) + t − i) = hn(n + 1) + nt − in + i(n − 1) = hn(n + 1) + nt − i.
Dalla (4.35) segue che:
εi (h(n + 1) + t − i) = s(n + 1) + t − i ∈ N + t − i.
Sia n pari. In questo caso, per il Lemma 4.3.18, ε0 = φn è una (ρ(0), N )elazione involutoria. Si prova che, per ogni i = 0, 1, . . . , n, εi è una elazione
involutoria con centro ρ(−i) e asse N − i. Infatti, se h(n + 1) − i ∈ N − i,
allora:
εi (h(n + 1) − i) = hn(n + 1) − i = h(n + 1) − i.
Ne segue che εi fissa tutti i punti di N − i e che , quindi, è una prospettività
involutoria. Sempre per la Prop. 4.3.13, εi è una elazione e il suo centro (che
è necessariamente un punto improprio) è ρ(−i).
In ultima analisi, si è provato che ε0 , ε1 , . . . , εn sono n + 1 prospettività involutorie con centri e assi distinti.
Si passa, ora, a provare che l’insieme Ω sopra definito, è un’ovale. Le rette del
piano Π, distinte dalla retta impropria L∞ , sono i traslati di R e i laterali di
4.3 Piani affini abeliani
137
N . Ne segue che, se λ, µ e ν sono tre interi distinti dell’insieme {0, 1, . . . , n},
con λ < µ < ν, allora:
λ(n − 1),
µ(n − 1)
e
ν(n − 1)
sono allineati
se e solo se
0,
(µ − λ)(n − 1)
e
(ν − λ)(n − 1)
sono allineati.
Si osservi preliminarmente che, se n è dispari, la retta N contiene solo due
punti di Ω: 0 e 12 (n + 1)(n − 1). Se n è pari, la retta N contiene solo un punto
di Ω: 0. Siano h e k due interi distinti appartenenti all’insieme {1, . . . , n}. Si
supponga per assurdo che i punti:
0,
h(n − 1),
k(n − 1)
siano collineari. Sia L la retta su cui giacciono questi tre punti. Per quanto
osservato precedentemente, L sarà necessariamente una retta del tipo R − ri
per qualche ri ∈ R. Chiaramente
h(n − 1) = εh (0)
e
k(n − 1) = εk (0).
Dunque:
εh (L) = εh ([0, εh (0)]) =
= [εh (0), ε2h (0)] = [εh (0), 0] = L.
In modo del tutto analogo, si prova che:
εk (L) = L.
Dunque, L è una retta fissata da εh e da εk ed è una retta diversa dagli assi
di εh e εk . Per la Prop. 4.3.11, la retta L deve passare per i centri di εh e
εk . Ciò è assurdo perchè εh e εk hanno centri distinti. Questo completa la
dimostrazione. Lemma 4.3.20 Sia R un (n+1, n−1, n, 1)-insieme di differenze affine ciclico
di ordine n di (Zv , +) (v := n2 − 1) relativo al sottogruppo N di ordine n − 1.
Allora, l’ovale
Ω := {0, (n − 1), . . . , n(n − 1)}
definito nel precedente teorema, è fissato da tutti i moltiplicatori di R.
138
Dimostrazione.
numerici. Insiemi di differenze affini
Basta osservare che tutti i moltiplicatori di R sono
Esempio 4.3.21 Sia n = 5. Allora R = {7, 9, 10, 14, 23} è un insieme di
differenze affine ciclico di ordine 5 di (Z24 , +) relativo al sottogruppo N =
{0, 6, 12, 18}. Se Π denota il piano proiettivo di ordine 5 associato a R, allora
le rette del piano sono:
1. N = {0, 6, 12, 18, ∞, ρ(0)};
2. N + 1 = {1, 7, 13, 19, ∞, ρ(1)};
3. N + 2 = {2, 8, 14, 20, ∞, ρ(2)};
4. N + 3 = {3, 9, 15, 21, ∞, ρ(3)};
5. N + 4 = {4, 10, 16, 22, ∞, ρ(4)};
6. N + 5 = {5, 11, 17, 23, ∞, ρ(5)};
7. R = {7, 9, 10, 14, 23, ρ(0)};
8. R + 1 = {0, 8, 10, 11, 15, ρ(1)};
9. R + 2 = {1, 9, 11, 12, 16, ρ(2)};
10. R + 3 = {2, 10, 12, 13, 17, ρ(3)};
11. R + 4 = {3, 11, 13, 14, 18, ρ(4)};
12. R + 5 = {4, 12, 14, 15, 19, ρ(5)};
13. R + 6 = {5, 13, 15, 16, 20, ρ(0)};
14. R + 7 = {6, 14, 16, 17, 21, ρ(1)};
15. R + 8 = {7, 15, 17, 18, 22, ρ(2)};
16. R + 9 = {8, 16, 18, 19, 23, ρ(3)};
17. R + 10 = {0, 9, 17, 19, 20, ρ(4)};
18. R + 11 = {1, 10, 18, 20, 21, ρ(5)};
19. R + 12 = {2, 11, 19, 21, 22, ρ(0)};
4.3 Piani affini abeliani
139
20. R + 13 = {3, 12, 20, 22, 23, ρ(1)};
21. R + 14 = {0, 4, 13, 21, 23, ρ(2)};
22. R + 15 = {0, 1, 5, 14, 22, ρ(3)};
23. R + 16 = {1, 2, 6, 15, 23, ρ(4)};
24. R + 17 = {0, 2, 3, 7, 16, ρ(5)};
25. R + 18 = {1, 3, 4, 8, 17, ρ(0)};
26. R + 19 = {2, 4, 5, 9, 18, ρ(1)};
27. R + 20 = {3, 5, 6, 10, 19, ρ(2)};
28. R + 21 = {4, 6, 7, 11, 20, ρ(3)};
29. R + 22 = {5, 7, 8, 12, 21, ρ(4)};
30. R + 23 = {6, 8, 9, 13, 22, ρ(5)};
31. L∞ = {ρ(0), ρ(1), ρ(2), ρ(3), ρ(4), ρ(5)}.
Π è un piano proiettivo desarguesiano e un isomorfismo Φ : Π → P2 (F5 ) è
definito da:
1. Φ(∞) := (1 : 0 : 0);
2. Φ(0) := (1 : 1 : 0);
3. Φ(1) := (1 : 0 : 1);
4. Φ(2) := (1 : 2 : 2);
5. Φ(3) := (1 : 4 : 1);
6. Φ(4) := (1 : 2 : 1);
7. Φ(5) := (1 : 2 : 4);
8. Φ(6) := (1 : 3 : 0);
9. Φ(7) := (1 : 0 : 3);
10. Φ(8) := (1 : 1 : 1);
140
Insiemi di differenze affini
11. Φ(9) := (1 : 2 : 3);
12. Φ(10) := (1 : 1 : 3);
13. Φ(11) := (1 : 1 : 2);
14. Φ(12) := (1 : 4 : 0);
15. Φ(13) := (1 : 0 : 4);
16. Φ(14) := (1 : 3 : 3);
17. Φ(15) := (1 : 1 : 4);
18. Φ(16) := (1 : 3 : 4);
19. Φ(17) := (1 : 3 : 1);
20. Φ(18) := (1 : 2 : 0);
21. Φ(19) := (1 : 0 : 2);
22. Φ(20) := (1 : 4 : 4);
23. Φ(21) := (1 : 3 : 2);
24. Φ(22) := (1 : 4 : 2);
25. Φ(23) := (1 : 4 : 3);
26. Φ(ρ(0)) := (0 : 1 : 0);
27. Φ(ρ(1)) := (0 : 0 : 1);
28. Φ(ρ(2)) := (0 : 1 : 1);
29. Φ(ρ(3)) := (0 : 1 : 4);
30. Φ(ρ(4)) := (0 : 2 : 1);
31. Φ(ρ(5)) := (0 : 1 : 2).
Per un celebre teorema di B.Segre, l’ovale Ω = {0, 4, 8, 12, 16, 20} del Teor.
4.3.19, è una conica. In coordinate affini, nel sistema di riferimento sopra
introdotto, la sua equazione è:
2X 2 + Y 2 + 4XY + 3 = 0.
4.3 Piani affini abeliani
141
Sia q una potenza di un numero primo dispari tale che (q +1)/2 sia dispari.
Posto v := q 2 − 1, sia R un insieme di differenze affine ciclico di (Zv , +) di
ordine q, ottenuto con la funzione traccia (Teor. 4.2.15) e Π il piano proiettivo
desarguesiano di ordine q associato a R. Mantenendo le notazioni del Teor.
4.3.19, l’ovale Ω = {0, (q − 1), . . . , q(q − 1)} è una conica (Teor. di Segre) e
sussiste il seguente:
Teorema 4.3.22 L’insieme K definito da:
(
(q − 5)(q − 1) (q − 1)(q − 1) (q + 1)(q − 1)
K :=
0, 2(q − 1), . . . ,
,
,
,
2
2
2
)
(q + 5)(q − 1)
q+1
q+5
,ρ
, . . . , (q − 2)(q − 1), q(q − 1), ρ
2
2
2
è un
q+7
2 -arco
di Π.
Dimostrazione. Per ogni j = 1, . . . , q−1
2 , si denoti con Sj la retta di Π
passante per i punti j(q − 1) e (q − j + 1)(q − 1). Dalla congruenza:
jq(q − 1) ≡ (q − j + 1)(q − 1) (mod v)
segue che la collineazione φq fissa la retta Sj . Poichè φq è una (ρ( q+1
2 ), N )omologia involutoria (Teor. 4.3.19), per la Prop. 4.3.11, le rette fissate da φq
sono l’asse N e tutte le rette passanti per il centro ρ( q+1
2 ). Dunque, le
q−1
2
rette passanti per ρ( q+1
2 ) e secanti la conica Ω, sono proprio le rette Sj sopra
definite.
Per ogni k = 0, . . . , q−3
2 , si denoti con Rk la retta di Π passante per i punti
k(q − 1) e (q − k − 1)(q − 1). Dalla congruenza:
kq(q − 1) + (q − 1)(q − 1) ≡ (q − k − 1)(q − 1) (mod v)
segue che la collineazione εq−1 fissa la retta Rk . Poichè εq−1 è una (ρ( q+5
2 ), N −
q − 1)-omologia involutoria (Teor. 4.3.19), sempre per la Prop. 4.3.11, le q−1
2
rette passanti per ρ( q+5
2 ) e secanti la conica Ω, sono proprio le rette Rk sopra
q+5
definite. In ultima analisi, le rette passanti per ρ( q+1
2 ) e ρ( 2 ) e secanti la
conica Ω, intersecano la stessa in due punti a e b tali che:
• a e b sono entrambi multipli pari o dispari di q − 1,
142
Insiemi di differenze affini
• a ∈ K ∩ Ω e b ∈ K ∩ Ω.
Questo completa la dimostrazione. Si osservi inoltre che la traslazione f(q+1)/2
che a x associa x + v/2, (L∞ , ∞)-omologia involutoria che fissa la conica Ω,
muta in sè anche l’arco K. Esempio 4.3.23 Se q = 29, allora un insieme di differenze affine ciclico di
(Z840 , +) è:
R := {52, 81, 124, 126, 145, 149, 237, 248, 249, 358, 375, 409, 425, 440, 466,
494, 503, 521, 527, 541, 573, 580, 583, 656, 678, 714, 722, 727, 762}.
Se Π denota il piano proiettivo desarguesiano associato a R, in un opportuno sistema di coordinate, il 18-arco K del Teorema precedente, è dato
da:
K := {(1 : 1 : 0), (1 : 2 : 25), (1 : 7 : 13), (1 : 26 : 27), (1 : 10 : 8), (1 : 14 : 5),
(1 : 17 : 12), (1 : 25 : 14), (1 : 28 : 0), (1 : 27 : 4), (1 : 22 : 16), (1 : 3 : 2)
(1 : 19 : 21), (1 : 15 : 24), (1 : 12 : 17), (1 : 4 : 15), (0 : 0 : 1), (0 : 1 : 4)}.
Inoltre, calcoli espliciti mostrano che tale arco è completo.
Proposizione 4.3.24 Ad ogni piano affine ciclico di ordine pari n (n > 8)
resta associato un disegno di Hadamard.
Dimostrazione. Siano R un (n + 1, n − 1, n, 1)-insieme di differenze affine
ciclico di ordine n pari di (Zv , +) (v = n2 − 1) e Σ il piano affine associato a
R. Si denoti con D il gruppo di collineazioni di Σ generato da f1 e φn (per le
notazioni si veda il Teor. 4.3.19). Tale gruppo soddisfa ciascuna delle seguenti
tre proprietà:
1. in D vi è una elazione affine involutoria;
2. D è di ordine 2(n + 1);
3. D agisce transitivamente sui punti all’infinito.
Allora, per l’articolo [1], a Σ resta associato un (n−1, n/2−1, n/4−1)-disegno
di Hadamard. Più precisamente, denotate con Σ1 , Σ2 , . . . , Σn−1 le orbite di
rette per D e con Ω1 , Ω2 , . . . , Ωn−1 le ovali orbite non banali dei punti di
Σ per D, il disegno di Hadamard associato, ha come punti le ovali di linea
Σ1 , Σ2 , . . . , Σn−1 , e come blocchi le ovali Ω1 , Ω2 , . . . , Ωn−1 ; il punto Σi e il
blocco Ωj sono incidenti se ri ∩ Ωj = ∅, dove ri indica una qualsiasi retta
dell’ovale Σi . 4.3 Piani affini abeliani
143
Teorema 4.3.25 Sia R un (n + 1, n − 1, n, 1)-insieme di differenze affine abeliano di (G, +) relativo al sottogruppo N . Allora, il gruppo M dei moltiplicatori
di R contiene una sola involuzione, cioè il moltiplicatore numerico n.
Dimostrazione. Si considerano separatamente i due casi: n pari e n
dispari.
Caso (a) n è pari. In questo caso, per il Lemma 4.3.18, il moltiplicatore
numerico n è una elazione involutoria con centro ρ(0) e asse N . Se ω è un
moltiplicatore involutorio, allora ω fissa i punti ∞ e ρ(0) e la retta impropria
G/N . Si prova che ω non può essere una involuzione di Baer. Si supponga
per assurdo che lo sia. Allora, n deve essere un quadrato. Posto n = m2 , per
definizione, la struttura fissata da ω è un sottopiano di ordine m. Ne segue
che, essendo G/N una retta fissata da ω, ω fissa esattamente m + 1 punti di
G/N . D’altra parte, i punti fissati da ω in G/N , formano un sottogruppo di
G/N . Pertanto m + 1 divide |G/N | = m2 + 1, e ciò è assurdo. Per la Prop.
4.3.13 e la Prop. 4.3.16, ω è una elazione con asse N e centro ρ(0): la retta N
è l’asse di ω poichè essa contiene i punti fissati ρ(0), 0 (in G) e ∞, e l’unica
retta che contiene almeno tre punti fissati di una elazione è l’asse; il punto ρ(0)
è il centro poichè ω fissa la retta impropria e quindi il suo centro è un punto
improprio (per la Prop. 4.3.11, le rette fissate da una collineazione centrale
sono l’asse e tutte le rette passanti per il centro). A questo punto, si osservi
che, in virtù della Prop. 4.3.11, una collineazione centrale è completamente
determinata dal suo centro, dal suo asse e dall’immagine di un altro punto
diverso dal centro e non appartenente all’asse. Sia , dunque, ρ(g) 6= ρ(0) un
punto improprio. Si sa che il moltiplicatore numerico n agisce su ρ(g) come:
φn (ρ(g)) = −ρ(g).
Allora, resta provato che il moltiplicatore involutorio ω coincide con il
moltiplicatore n, se si dimostra che:
ω(ρ(g)) = −ρ(g).
(4.36)
ω[ρ(g) + ω(ρ(g))] = ω(ρ(g)) + ρ(g),
(4.37)
Si sa che:
da cui segue che :
ρ(g) + ω(ρ(g)) = ρ(0)
poichè gli unici punti fissati da ω sono i punti del suo asse N . Dunque,
ω(ρ(g)) = −ρ(g) e resta cosı̀ provata la (4.36).
144
Insiemi di differenze affini
Caso (b) n è dispari. In questo caso, per il Lemma 4.3.18, il moltiplicatore
numerico n è una omologia involutoria con asse N e centro ρ(t), dove ρ(t) è
l’unica involuzione in G/N . Come nel caso (a), si prova che nessuna involuzione nel gruppo M dei moltiplicatori di R, è una involuzione di Baer. Quindi,
fissato un moltiplicatore involutorio ω, quest’ultimo deve necessariamente essere una omologia (per la Prop. 4.3.13 e la Prop. 4.3.16): l’asse è la retta N
(come nel caso (a)), e il centro è ρ(t) poichè questa è la sola involuzione in
G/N , e questa involuzione deve essere fissata da un moltiplicatore. Utilizzando la (4.37), si deduce che ρ(g) + ω(ρ(g)) è un punto fissato da ω. Ne segue
che ρ(g) + ω(ρ(g)) = ρ(0) o ρ(t). Se ρ(g) + ω(ρ(g)) = ρ(0), la dimostrazione
termina come nel caso (a). Si assuma, per assurdo, che:
ρ(g) + ω(ρ(g)) = ρ(t)
(4.38)
per ogni ρ(g) 6= ρ(0), ρ(t). Si scelga un elemento ρ(g) tale che
ρ(g) + ρ(g) 6= ρ(0), ρ(t).
Questo è sempre possibile se |G/N | > 4 poichè il 2-sottogruppo di Sylow di
G/N è ciclico. Dalla (4.38) segue che:
ω[ρ(g) + ρ(g)] = ρ(t) − ρ(g) − ρ(g)
e
ω(ρ(g)) + ω(ρ(g)) = −ρ(g) − ρ(g),
e questa è una contraddizione. Se |G/N | = 4, esiste un’applicazione con la
proprietà (4.38), ma tale applicazione associa ad ogni elemento ρ(g) sè stesso,
e quindi ω avrebbe troppi punti fissati su G/N . Definizione 4.3.26 Sia R un insieme di differenze affine di un gruppo finito
(G, +) (non necessariamente abeliano) relativo a un sottogruppo normale N .
Un moltiplicatore ϕ di R è detto planare se la sua struttura fissata è un
sottopiano del piano proiettivo associato a R.
Osservazione 4.3.27 Se ϕ è un automorfismo di un gruppo finito (G, +), si
denoterà con fix(ϕ, G) il numero di punti fissati da ϕ in G, cioè il numero di
punti x ∈ G tali che ϕ(x) = x.
Teorema 4.3.28 Siano R un insieme di differenze affine di un gruppo finito
(G, +) (non necessariamente abeliano) relativo a un sottogruppo normale N
4.3 Piani affini abeliani
145
e ϕ un moltiplicatore di R. Si noti che ϕ è anche un automorfismo di G/N ,
poichè fissa N (come insieme). Allora
ϕ
è un moltiplicatore planare se e solo se
fix(ϕ, G/N ) > 3.
Se ϕ è planare, allora
fix(ϕ, G/N ) = fix(ϕ, N ) + 2
e
fix(ϕ, G) = (fix(ϕ, G/N ) − 1)2 − 1.
Dimostrazione. Si veda [18].
Osservazione 4.3.29 Per gruppi ciclici e moltiplicatori numerici t, si ha che:
fix(t, G) = (t − 1, |G|). Pertanto, una parte del Teor. 4.3.28 si riduce al
Teorema 3.2 dell’articolo di Hoffman [9].
Teorema 4.3.30 Sia R un insieme di differenze affine abeliano di ordine n di
(G, +) relativo a N . Sia ϕ un moltiplicatore (non necessariamente numerico).
Allora:
1. Se ϕ, considerato come un automorfismo di G/N , è l’applicazione
identica, allora ϕ è l’applicazione identica su G.
2. Se ϕ|N = id, allora ϕ = id oppure ϕ è il moltiplicatore numerico n.
Dimostrazione. Si veda [18].
Dai Teor. 4.3.28 e 4.3.30, si deduce il seguente corollario, che fornisce una
condizione necessaria sul possibile ordine di insiemi di differenze affini abeliani.
Corollario 4.3.31 Siano n l’ordine di un insieme di differenze affine abeliano
R di (G, +) relativo a N e t un divisore positivo di n. Allora t deve soddisfare
le seguenti condizioni:
1. L’ordine di t modulo l’esponente di G/N è uguale all’ordine di t modulo
l’esponente di G.
2. Se tf ≡ 1 mod exp(N ), allora tf ≡ 1 o n mod exp(G).
3. Se t2f ≡ 1 mod exp(G/N ), allora tf ≡ 1 o n mod exp(G).
Dimostrazione. Si veda [18].
146
Insiemi di differenze affini
Osservazione 4.3.32 Le condizioni del Cor. 4.3.31 sono simili ad alcune
condizioni date da Jungnickel e Pott [14]. In quell’articolo è stato verificato che
l’ordine n di un insieme di differenze affine abeliano deve essere una potenza
di un numero primo se n 6 10000. Questo estende un risultato di Ko e
Ray-Chaudhuri [15] che hanno considerato solo piani affini ciclici di ordine
n 6 5000. Il principale risultato che hanno usato nel loro lavoro, è il seguente:
Teorema 4.3.33 Siano R un insieme di differenze affine ciclico di ordine n
e p un numero primo divisore di n.
1. Se pj ≡ 1 mod (n + 1), allora pj ≡ 1 mod (n2 − 1).
2. Se pj ≡ n mod (n + 1), allora pj ≡ n mod (n2 − 1).
3. Se pj ≡ 1 mod (n − 1), allora pj ≡ 1 o n mod (n2 − 1).
Teorema 4.3.34 Sia R un insieme di differenze affine abeliano di ordine n.
Se n ≡ 0 (mod 2), allora n = 2, 4 oppure n ≡ 0 (mod 8). Se n ≡ 0 (mod 3),
allora n = 3 oppure n ≡ 0 (mod 9).
Dimostrazione. Si veda [2].
Teorema 4.3.35 Sia R un insieme di differenze affine abeliano di ordine
n ≡ 8 (mod 16). Allora n − 1 deve essere una potenza di un numero primo.
Se R è un insieme di differenze ciclico, allora n − 1 deve essere un numero
primo.
Dimostrazione. Si veda [4].
Definizione 4.3.36 Siano m, n, k, λ2 interi positivi con mn > k > 2, λ1 un
intero non negativo, G un gruppo finito di ordine mn e N un sottogruppo di
G di ordine n. Un sottoinsieme R di G, contenente k elementi, è detto un
(m, n, k, λ1 , λ2 )-insieme di differenze divisibile di G relativo a N se
ogni elemento g ∈ G\N ha esattamente λ2 rappresentazioni g = r1 r2−1 con r1 ,
r2 ∈ R, r1 6= r2 e ogni elemento g ∈ N \{1} ha esattamente λ1 rappresentazioni
g = r1 r2−1 con r1 , r2 ∈ R, r1 6= r2 .
Osservazione 4.3.37 Chiaramente, se λ1 = 0, si ritrova la definizione di
insieme di differenze relativo (Def. 2.2.1). È facile verificare che, un sottoinsieme R di G, contenente k elementi, è un (m, n, k, λ1 , λ2 )-insieme di differenze
divisibile di G relativo a N se e solo se:
R · R(−1) = (k − λ1 ) + (λ1 − λ2 )N + λ2 G
4.3 Piani affini abeliani
147
in Z[G]. Inoltre:
k(k − 1) = λ1 (n − 1) + λ2 (mn − n).
Osservazione 4.3.38 La Def. 3.1.1 di carattere di un gruppo abeliano finito,
si estende a un qualsiasi gruppo finito G. In questo caso, si parla di carattere
complesso lineare o 1-dimensionale di G. Se G0 denota il sottogruppo
commutatore di G, è noto che esistono esattamente |G/G0 | caratteri lineari
complessi distinti di G.
Definizione 4.3.39 Siano R un (m, n, k, λ1 , λ2 )-insieme di differenze divisibile di G relativo a N e χ : G → C∗ un carattere non banale di G di ordine w.
Un intero t è detto un χ-moltiplicatore di R, se l’ideale principale (χ(R))
generato da χ(R) in Z[ξw ] è fissato dall’automorfismo di Galois di Q(ξw ) σt
t .
che a ξw associa ξw
Osservazione 4.3.40 Si ricordi che un intero a è detto privo di fattori
quadratici se, per ogni numero primo p, p2 non divide a. È noto che ogni
intero a non nullo può scriversi in modo unico nella forma a = b2 c, dove b e c
sono interi e c è privo di fattori quadratici. In tal caso, c è detto la parte priva
di fattori quadratici di a. Se p2j divide strettamente a per qualche intero
positivo j, cioè se p2j+1 non divide a, allora, è chiaro che p non divide c, la
parte priva di fattori quadratici di a.
È ora possibile enunciare e dimostrare il seguente teorema che costituisce
una generalizzazione del famoso test di Mann in [16] e [18].
Teorema 4.3.41 Siano R un (m, n, k, λ1 , λ2 )-insieme di differenze divisibile
di G relativo a N e χ : G → C∗ un carattere non banale di G di ordine w.
Inoltre, siano t un χ-moltiplicatore di R e p un numero primo che non divide
w tale che:
tpf ≡ −1 (mod w)
per qualche intero non negativo f . Allora:
1. Se il nucleo di χ non contiene N , allora p non divide la parte priva di
fattori quadratici di k − λ1 , ammesso che sia k − λ1 6= 0.
2. Se il nucleo di χ contiene N , allora p non divide la parte priva di fattori
quadratici di k 2 − λ2 mn, ammesso che sia k 2 − λ2 mn 6= 0.
148
Insiemi di differenze affini
Dimostrazione. Si supponga che p divida k − λ1 , altrimenti non c’è
nulla da provare. Sia pi l’esatta potenza di p che divide k − λ1 . Si noti che
χ(R)χ(R) = k − λ1 poichè il nucleo di χ non contiene N . Da ciò e dal fatto
che k − λ1 = pi s, passando agli ideali principali generati in Z[ξw ], si ha:
(χ(R))(χ(R)) = (p)i (s).
(4.39)
Mantenendo le notazioni del Teor. 1.2.30,
(p)i = P1i · · · Pgi
(4.40)
e
h
(χ(R)) = P1h1 · · · Pg g A
(4.41)
dove h1 , . . . , hg sono interi non negativi e l’ideale A non contiene nessun ideale
primo Pk nella sua fattorizzazione prima. Dalla (4.39) segue che gli interi h1 , . . . , hg sono tutti minori o uguali a i. Pertanto, se P denota l’ideale
massimo comune divisore degli ideali (χ(R)) e (p)i , risulta:
h
P = (χ(R)) + (p)i = P1h1 · · · Pg g
(4.42)
e, quindi
(χ(R)) = P · A
e
(χ(R)) = P · A.
(4.43)
Dalla (4.39) e dalla (4.43), segue che:
(χ(R))(χ(R)) = P P AA = (p)i (s)
e, quindi:
P · P = (p)i
(4.44)
poichè gli ideali A, A e (s) non contengono nessun ideale primo Pk nella loro
fattorizzazione prima. Per ipotesi, l’automorfismo di Galois σt fissa l’ideale
principale (χ(R)) e quindi, per il Lemma 1.3.12, anche l’ideale P . L’automorfismo di Galois σpf fissa P per il Teor. 1.3.9. Dunque, anche l’automorfismo
σtpf = σt ◦ σpf fissa P . D’altra parte, sempre per ipotesi, l’automorfismo σtpf
coincide con il complesso coniugato e quindi
P =P
e dalla (4.44) si ottiene:
P 2 = (p)i
4.3 Piani affini abeliani
149
cioè
2hg
P12h1 · · · Pg
= P1i · · · Pgi .
Ne segue che i è pari. Questo completa la dimostrazione. La seconda parte
del teorema si prova in modo del tutto analogo: in questo caso χ(R)χ(R) =
k 2 − λ2 mn poichè χ è banale su N . Esiste una versione non abeliana del Test di Mann, per insiemi di differenze
affini, dovuta a Jungnickel. Si premette la seguente:
Definizione 4.3.42 Siano R un insieme di differenze affine di G relativo a
N , U un sottogruppo normale di G, H := G/U , u∗ := expH, φ : G → H
l’epimorfismo canonico e ψ : Z[G] → Z[H] l’estensione per linearità di φ. Un
intero t con (t, u∗ ) = 1, è detto un G/U -moltiplicatore numerico per R, se
l’automorfismo di H che a x associa xt , fissa ψ(R) come elemento di Z[H].
Teorema 4.3.43 Siano R un insieme di differenze affine di ordine n di G
relativo a N , U un sottogruppo normale di G, di indice u 6= 1 che non contiene
N . Si assuma che il gruppo quoziente H := G/U sia abeliano e sia u∗ := expH,
w = |N ∩ U |. Infine, sia t un G/U -moltiplicatore numerico per R e p un
divisore primo di n tale che tpf ≡ −1 (mod u∗ ) per qualche intero non negativo
f . Allora:
1. p non divide la parte priva di fattori quadratici di n, cioè p2j divide
strettamente n;
2. pj 6 (n2 − 1)/u;
3. n > u − (n − 1)/w; in particolare, u 6 2n − 1;
4. se G è abeliano, allora n è un quadrato perfetto.
Dimostrazione. Si veda [13].
Una conseguenza di tale teorema è la seguente proposizione che generalizza
il Corollario 4.1 dell’articolo di Hoffman [9].
Proposizione 4.3.44 Non esiste un insieme di differenze affine abeliano di
ordine n, se n è multiplo di uno dei seguenti numeri:
2p
per
3p
p ∈ {3, 5, 7, 11, 13, 17, 19, 29, 31, 47, 61}
per
p ∈ {5, 7, 11, 13, 17, 19, 29}
5p
per
p ∈ {11, 13, 29}.
Nel caso ciclico, si può anche escludere il caso 2p per p ∈ {23, 67}.
150
Insiemi di differenze affini
Dimostrazione. Si veda [13].
Teorema 4.3.45 Siano p e q due numeri primi distinti, p dispari, tali che
f := op (q) sia dispari e diverso da 1. Si definisca p = ef + 1 con e 6= 1. Siano
γ ∈ Z[ξp ], g una radice primitiva modulo p e µ l’automorfismo di Galois di
Q(ξp ), definito da:
µ(ξp ) := ξpq .
Se γγ = n e µ fissa tutti gli ideali primi di Z[ξp ] divisori di n (cioè, gli ideali
primi che giacciono sui divisori primi di n), allora esiste un intero y tale che:
γξpy =
e
X
bi ηi
i=1
P −1 gej+i−1
dove bi ∈ Z e ηi := fj=0
ξp
per ogni i = 1, . . . , e. Inoltre, i coefficienti
bi soddisfano le due seguenti condizioni:
en = p
e
X
i=1
e
e
X
b2i − f (
e
X
bi )2
i=1
√
bi 6 e n.
i=1
Dimostrazione. Per il Cor. 1.1.28, {1, ξp , . . . , ξpp−2 } è una base intera di
Q(ξp ) su Q. Poichè:
1 + ξp + ξp2 + · · · + ξpp−1 = 0
segue che anche {ξp , ξp2 , . . . , ξpp−1 } è una base intera di Q(ξp ) su Q. Posto
G := Gal(Q(ξp )/Q), è noto che G è un gruppo ciclico di ordine p − 1 che
ammette come generatore, l’automorfismo σ definito da:
σ(ξp ) := ξpg .
Per ipotesi, µ è un automorfismo di ordine f . Si denoti con H := hµi = hσ e i,
il sottogruppo di G generato da µ (l’unico sottogruppo di ordine f ) e con K il
campo fissato da H, cioè:
K := {α ∈ Q(ξp ) | α = µ(α)}.
4.3 Piani affini abeliani
151
Per il Teor. Fondamentale della Teoria di Galois (Teor. 1.1.40), K è l’unico
sottocampo di Q(ξp ) di grado e su Q. Inoltre, posto:
ηi :=
f
−1
X
ξpg
ej+i−1
j=0
per ogni i = 1, . . . , e, è noto che {η1 , . . . , ηe } costituisce una base intera di K
su Q i cui elementi sono detti periodi Gaussiani. Poichè γγ = n, passando
agli ideali principali generati in Z[ξp ], si ha:
(γ) · (γ) = (n).
Per ipotesi, µ fissa tutti gli ideali primi divisori di n; pertanto fissa l’ideale
principale generato da γ. Ne segue che:
(µ(γ)) = (γ)
e, quindi, che µ(γ) e γ sono associati, cioè esiste un elemento invertibile di
Z[ξp ], ε, tale che µ(γ) = εγ. Dunque:
|γ|2 = n = µ(γ)µ(γ) = µ(γ)µ(γ) = |µ(γ)|2 .
Quindi, |µ(γ)| = |γ| e |ε| = 1. Per il Cor. 1.1.36 (del lemma di Kronecker), ε
è una radice di 1 in C e per la Prop. 1.4.11, esiste un intero j tale che:
ε = ±(ξp )j .
Si consideri il prodotto:
γµ(γ) · · · µf −1 (γ) = εµ(ε) · · · µf −1 (ε)γµ(γ) · · · µf −1 (γ).
Si deduce che:
εµ(ε)µ2 (ε) · · · µf −1 (ε) = 1.
Se per assurdo fosse ε = −(ξp )j , allora si avrebbe che 1 = −(ξp )x per qualche
x 6= 0, il che è assurdo (si ricordi che f è dispari). Allora, ε = ξpj e µ(γ) = γξpj .
Se si sceglie un intero y ∈ {0, . . . , p − 1} tale che: y ≡ j + yq (mod p), si ha:
µ(γξpy ) = γξpj+yq = γξpy .
Ne segue che γξpy ∈ K e, quindi
γξpy
=
e
X
i=1
bi ηi
152
Insiemi di differenze affini
Posto δ := γξpy , dal fatto che δδ = n si deduce che:
(
e
X
e
X
bi ηi )(
bi ηi ) = n + λ(1 + ξp + · · · + ξpp−1 ).
i=1
(4.45)
i=1
Si veda δδ come un elemento di Z[hξp i]. Uguagliando i coefficienti di 1 e la
somma di tutti i coefficienti della (4.45) si ha:
e
X
n + λ = f(
b2i )
i=1
2
n + λp = f (
e
X
bi )2 .
i=1
Risolvendo queste due equazioni rispetto a n, si ottiene:
P
P
p ei=1 b2i − f ( ei=1 bi )2
.
n=
e
Applicando la disuguaglianza
di P
Cauchy-Schwarz alle due e-uple (1, . . . , 1) e
Pe
2
(b1 , . . . , be ), si ha: ( i=1 bi ) 6 e ei=1 b2i e quindi:
e
X
i=1
e
1 X 2
b2i > (
bi ) .
e
(4.46)
i=1
Moltiplicando ambo i membri della (4.46) per pf si ha:
pf
e
X
e
b2i >
i=1
pf X 2
(
bi ) .
e
(4.47)
i=1
P
Sottraendo f 2 ( ei=1 bi )2 ad ambo i membri della (4.47), si ha:
pf
e
X
i=1
e
e
e
X
X
pf X 2
(
bi ) − f 2 (
bi )2 .
b2i − f 2 (
bi )2 >
e
i=1
i=1
Quindi
nef > (
i=1
e
X
pf
− f 2 )(
bi )2
e
i=1
cioè
e
e
X
X
bi )2 = (
bi )2 .
e2 n > (p − ef )(
i=1
i=1
Questo completa la dimostrazione del teorema. (4.48)
4.3 Piani affini abeliani
153
Definizione 4.3.46 Siano w un intero positivo, p un numero primo, w =
pe w0 con e > 0 e (p, w0 ) = 1. Si dice che p è auto-coniugato modulo w se
esiste un intero non negativo j tale che:
pj ≡ −1 (mod w0 ).
Corollario 4.3.47 Sia R un (m, n, k, λ1 , λ2 )-insieme di differenze divisibile
di G relativo al sottogruppo N . Si supponga che G ammetta un carattere χ di
ordine p = ef + 1 con χ(R)χ(R) = r, dove
2
k − λ2 mn se χ|N = χ0
r=
k − λ1
altrimenti
Sia r = s2 t con t intero non quadrato. Sia q un numero primo diverso da p
tale che op (q) = f sia dispari (e diverso da 1) e che l’automorfismo di Galois
di Q(ξp ), µ, definito da:
µ(ξp ) := ξpq ,
fissi tutti gli ideali primi di Z[ξp ], divisori di r. Si assuma, infine, che i divisori
primi di s siano auto-coniugati modulo p. Allora:
p 6 e2 t.
Dimostrazione. Per il Teor. 4.3.45, si ha che (a meno di una radice
p-esima dell’unità) risulta:
e
X
χ(R) =
bi ηi
i=1
e
r=
p
Pe
2
i=1 bi
P
− f ( ei=1 bi )2
,
e
e
X
√
bi 6 es t.
i=1
Poichè i divisori primi di s sono auto-coniugati modulo p, si ha che:
χ(R) ≡ 0 (mod s),
e, quindi, ricordando che {ξp , ξp2 , . . . , ξpp−1 } è una base intera di Q(ξp ) su Q, si
deduce che tutti i cofficienti interi bi sono divisibili per s. Posto ai := bsi , si
ottiene:
e
e
e
X
X
X
2
2
te = p
ai − f (
ai ) , (
ai )2 6 te2
i=1
i=1
i=1
154
Insiemi di differenze affini
te2 = ep
e
X
e
X
a2i − (p − 1)(
ai )2 ,
i=1
i=1
e
X
te2 ≡ (
ai )2 (mod p).
i=1
P
Se per assurdo, fosse p > te2 > ( ei=1 ai )2 , allora si perverrebbe ad una
contraddizione poichè te2 non è un quadrato intero. Il seguente risultato di non-esistenza è dovuto ad Arasu e Pott [18].
Proposizione 4.3.48 Un insieme di differenze affine abeliano di ordine n
non esiste se n = 5s4 con s ≡ 3 (mod 101) oppure n = 3s6 con s ≡ 5 (mod 23)
(in entrambi i casi, s è un numero primo).
Dimostrazione. Si supponga che esista un (n + 1, n − 1, n, 1)-insieme
di differenze abeliano R di G relativo al sottogruppo N , con n = 5s4 e s ≡
3(mod101). Si osservi che s4 ≡ 81(mod101) e, quindi 5s4 ≡ 405 ≡ 1(mod101).
Ne segue che 101 | n − 1 e, in particolare 101 | n2 − 1 = |G| = |G∗ |. Per un
teorema di Cauchy, esiste un carattere χ ∈ G∗ di ordine 101, non banale su N .
Infatti, se per assurdo χ ∈ N ⊥ , si avrebbe un carattere χ̄ ∈ (G/N )∗ di ordine
101 (Lemma 3.1.8). Quindi, per il teorema di Lagrange, 101 | |(G/N )∗ | = n+1
e ciò è palesemente assurdo. Dunque, χ è non banale su N e χ(R)χ(R) = n.
Si osservi che o101 (5) = 25 e o101 (3) = 100. Con le notazioni del Cor. 4.3.47,
si ha: p = 101, q = 5, e = 4, f = 25, t = 5 e n = (s2 )2 5. Sia σ5 l’automorfismo
5 . I divisori primi di n sono s e 5.
di Galois di Q(ξ101 ) che a ξ101 associa ξ101
Per il Teor. 1.3.9, σ5 fissa gli ideali primi di Z[ξ101 ] che giacciono su 5. Si noti
che 325 ≡ 5 (mod 101) e quindi 5 ≡ s25 (mod 101). Dunque, sempre per il Teor.
1.3.9, σ5 fissa gli ideali primi di Z[ξ101 ] che giacciono su s. Infine, poichè 3 è
una radice primitiva modulo 101, esiste un unico intero non negativo j tale
che: 3j ≡ −1 (mod 101) e, quindi
sj ≡ 3j ≡ −1 (mod 101).
Pertanto, s è auto-coniugato modulo 101. Tutte le ipotesi del Cor. 4.3.47 sono
verificate. Ne segue che p 6 e2 t, cioè 101 6 16 · 5 e ciò è una contraddizione.
Nel secondo caso, si procede in modo del tutto analogo, ponendo: p = 23,
q = 3, e = 2, f = 11, t = 3. Si noti che o23 (3) = 11 e o23 (5) = 22. Sia σ3
3 . I divisori primi di n
l’automorfismo di Galois di Q(ξ23 ) che a ξ23 associa ξ23
sono s e 3. Per il Teor. 1.3.9, σ3 fissa gli ideali primi di Z[ξ23 ] che giacciono
su 3. Osservato che 516 ≡ 3 (mod 23) e, quindi che 3 ≡ 516 ≡ s16 (mod 23),
4.3 Piani affini abeliani
155
sempre per il Teor. 1.3.9, σ3 fissa anche gli ideali primi di Z[ξ23 ] che giacciono
su s. Infine, poichè 5 è una radice primitiva modulo modulo 23, esiste un unico
intero j tale che 5j ≡ −1 (mod 23) e, quindi
sj ≡ 5j ≡ −1 (mod 23).
Pertanto, s è auto-coniugato modulo 23. Per il Cor. 4.3.47, 23 6 4 · 3 e ciò è
assurdo. 156
Insiemi di differenze affini
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