UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI Dottorato di Ricerca in Matematica XX Ciclo – A.A. 2006/2007 Settore Scientifico-Disciplinare: MAT/03 – Geometria Tesi di Dottorato Campi ciclotomici e geometria combinatoria Candidato: Vincenzo GIORDANO Supervisore della tesi: Prof. G. KORCHMÁROS Coordinatore del Dottorato di Ricerca: Prof. L. LOPEZ 3 “In questa atmosfera in cui la carne si corrompe, in cui i corpi si disfano per l’umidità, in cui tutto marcisce; in questa atmosfera che, per eccesso di vita, affretta la morte, mi sono aggrappato a esseri immateriali, a entità ideali che né il caldo soffocante né l’umidità potevano corrompere. All’esuberanza informe contro la quale nulla si può fare, ho voluto contrapporre il rigore controllato. Per resistere a quel delirio di materie destinate a perire, mi sono immerso nella purezza immobile del cristallo. Si sono mai viste definizioni matematiche imputridire su due piedi, teoremi liquefarsi, ragionamenti ammuffire, assiomi finire divorati dai vermi? Ho scelto la matematica, e non soltanto perché è stata la materia nella quale mi ero formato in origine. Ti verrà da ridere, ma è stato in quelle circostanze, in cui ne andava della mia incolumità fisica, che mi sono reso conto del fatto che la matematica è imputrescibile. Per sfuggire alla pregnanza del reale che mi soffocava, ho dovuto fare appello a una pura attività dello spirito...” da Il Teorema del pappagallo Denis Guedj Indice Ringraziamenti 7 Prefazione 8 1 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri 1.1 Campi di numeri e anelli di interi . . . . . . . . . . . . 1.2 Fattorizzazione prima in anelli di interi . . . . . . . . . 1.3 Gruppo di decomposizione di un ideale primo in un ciclotomico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4 Teorema della ‘discesa di campo’ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . campo . . . . . . . . . . 2 Strutture combinatorie finite 2.1 Disegni . . . . . . . . . . . . . 2.2 Il teorema di Minkowski . . . . 2.3 Insiemi di differenze . . . . . . 2.4 Disegni e matrici di Hadamard . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria Combinatoria 3.1 Caratteri di gruppi abeliani finiti . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2 Teorema dei moltiplicatori per insiemi di differenze relativi abeliani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3 Limitazione dell’esponente di Schmidt . . . . . . . . . . . . . . 11 11 20 31 37 55 55 66 71 75 81 81 93 98 4 Insiemi di differenze affini 103 4.1 Piani affini ciclici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 4.2 Somme di Gauss e somme di Eisenstein su campi finiti . . . . . 118 4.3 Piani affini abeliani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126 6 Bibliografia INDICE 156 Ringraziamenti Il primo ringraziamento va al Prof. G. Korchmaros per avermi costantemente seguito e guidato lungo tutto lo svolgersi del lavoro e per la fiducia che ha sempre riposto in me. Desidero poi ringraziare il Prof. A. Mori dell’Università di Torino, per i suoi consigli preziosi, e i Proff. V. Abatangelo e B. Larato per l’aiuto e il supporto che mi hanno offerto nel mio lavoro. Infine, il ringraziamento più sentito alla mia famiglia, per il suo continuo incoraggiamento e supporto. Dedico questa tesi a mio padre. 8 Ringraziamenti Prefazione Un approccio efficace allo studio degli insiemi di differenze di un gruppo finito G consiste nel tradurre la loro definizione in un’equazione nell’anello gruppale intero Z[G] e nell’analizzare tale equazione applicando la teoria dei caratteri lineari complessi. Utilizzando nozioni e risultati classici di Teoria Algebrica dei Numeri, in riferimento soprattutto ai campi ciclotomici, è cosı̀ possibile pervenire, in modo molto elegante, a numerosi risultati di Geometria Combinatoria (risultati di non-esistenza, teoremi sui moltiplicatori) e provare, almeno in parte, alcune congetture profonde, quale la ben nota congettura sulle matrici di Hadamard circolanti. Il lavoro che ha inaugurato le ricerche in questo ambito, è quello di Turyn (1965) [20], in cui viene introdotto il concetto basilare di auto-coniugio. Contributi notevoli in questa direzione sono dati, in particolare, nei lavori di Yamamoto (1963) [21] e di Mann (1965) [16]; l’idea di applicare tale approccio ai piani proiettivi ciclici, è stata sviluppata nel lavoro fondamentale di Hall (1947) [8]. Obiettivo di questa tesi, è di mostrare concretamente la potenza e l’eleganza di tale approccio nell’affrontare problemi di Geometria Combinatoria. Nel primo capitolo della tesi, vengono descritti alcuni risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri; viene descritta in modo completo e dettagliato la struttura del gruppo di decomposizione di un ideale primo in un campo ciclotomico, che svolge un ruolo di fondamentale importanza nella tesi. Viene enunciato e dimostrato il teorema della “discesa di campo” (“field descent”); la dimostrazione dipende essenzialmente da alcuni lemmi sugli ordini moltiplicativi che si possono ricavare da risultati più generali esposti nel volume di Jacobson [12]. Per la completezza dell’esposizione, si è preferito fornire la dimostrazione di tali lemmi. Nel secondo capitolo, sono introdotte le strutture combinatorie finite, oggetto di studio della tesi: i disegni, le matrici di Hadamard, i piani affini e proiettivi di ordine finito e gli insiemi di differenze. 10 Prefazione Il terzo capitolo è dedicato ad alcune applicazioni alla Geometria Combinatoria dei risultati presentati nel primo capitolo. Due risultati centrali sono il teorema sui moltiplicatori di insiemi di differenze relativi abeliani e la limitazione dell’esponente di Schmidt [19]. Quest’ultima consente di dimostrare la validità della congettura sulle matrici di Hadamard circolanti, sotto una certa ipotesi non molto stringente relativa agli ordini di tali matrici. Nel quarto capitolo si studiano i cosiddetti insiemi di differenze affini, cosı̀ chiamati poichè danno origine a piani affini. Hoffman ha studiato i piani affini ciclici nel suo celebre articolo del 1952 [9]. Nella presente tesi, si dà una dimostrazione più esplicita del Teorema 3.1 di Hoffman, fornendo anche la dimostrazione dei lemmi preliminari da lui solo citati. Utilizzando un teorema sui moltiplicatori provato nel terzo capitolo, si ottiene una generalizzazione del Teorema 3.1 di [9]. Facendo uso anche di considerazioni di carattere geometrico, vengono provati alcuni teoremi sugli insiemi di differenze affini abeliani e, in particolare, su ovali invarianti rispetto al gruppo dei moltiplicatori. Mediante un modello ciclico del piano affine classico AG(2, q), con q e (q +1)/2 dispari, un opportuno insieme di (q +3)/2 punti di una conica viene esteso ad un (q + 7)/2-arco con l’aggiunta di due punti impropri esterni alla conica medesima. La tesi si conclude con la descrizione di una variante non-abeliana generale del test di Mann per insiemi di differenze divisibili, dovuta ad Arasu-Jungnickel-Pott [3] e di un teorema di Arasu-Pott [5] che dà luogo ad alcuni risultati di non-esistenza. Capitolo 1 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri 1.1 Campi di numeri e anelli di interi In questa sezione si elencano risultati standard di Teoria Algebrica dei Numeri. Per le dimostrazioni, in gran parte omesse, si rimanda ai testi Number Fields di D.A.Marcus [17] e A Classical Introduction to Modern Number Theory di K.Ireland e M.Rosen [11]. Definizione 1.1.1 Un numero complesso α si dice un numero algebrico se è zero di un polinomio non nullo a coefficienti interi. Si dice un intero algebrico se è zero di un polinomio monico a coefficienti interi. Proposizione 1.1.2 Un numero razionale r ∈ Q è un intero algebrico se e solo se r ∈ Z. Proposizione 1.1.3 L’insieme di tutti i numeri algebrici è un campo. Proposizione 1.1.4 L’insieme di tutti gli interi algebrici è un anello che sarà denotato con A. Definizione 1.1.5 Un sottocampo K di C è detto un campo di numeri (algebrici) se esso è una estensione finita di Q. L’anello R = A ∩ K è detto l’anello degli interi (algebrici) in K. Osservazione 1.1.6 Nel seguito per ideale si intenderà sempre ideale non nullo. 12 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri Lemma 1.1.7 Sia β ∈ K, R = A ∩ K, con K un campo di numeri. Esiste un intero b ∈ Z, b 6= 0, tale che bβ ∈ R. Proposizione 1.1.8 Ogni ideale I di R contiene una base di K su Q. In questa sezione K e L sono sottocampi di C, K ⊆ L, L estensione finita di K, [L : K] = n, n > 1. Teorema 1.1.9 (Teorema dell’elemento primitivo) Esiste α ∈ L tale che L = K(α). Teorema 1.1.10 Sia σ : K → C un monomorfismo. Allora esistono esattamente n monomorfismi distinti (o immersioni) σi : L → C(i = 1, . . . , n) che estendono σ. Corollario 1.1.11 Con le stesse notazioni precedenti, esistono esattamente n monomorfismi σi : L → C (i = 1, . . . , n) che fissano elemento per elemento K (cioè tali che σi (a) = a, ∀a ∈ K, ∀i). Ha senso, quindi, la seguente: Definizione 1.1.12 Sia K un campo di numeri, [K : Q] = n. Siano σ1 , σ2 , . . . , σn i monomorfismi di K in C che fissano Q. Per ogni α ∈ K, si ponga T (α) = σ1 (α) + σ2 (α) + · · · + σn (α) N (α) = σ1 (α) · σ2 (α) · · · σn (α) T (α) è detta traccia di α, N (α) norma di α. Proposizione 1.1.13 ∀α ∈ K, T (α) ∈ Q e N (α) ∈ Q. Se α ∈ R, allora T (α) ∈ Z e N (α) ∈ Z. Dimostrazione. Sia α ∈ K e p(X) il polinomio minimo di α su Q, deg(p(X)) = d. Chiaramente d | n, dal momento che [K : Q] = [K : Q(α)] · [Q(α) : Q] e [Q(α) : Q] = d. Dunque [K : Q(α)] = nd . Se t(α) e n(α) sono rispettivamente, la somma e il prodotto dei d coniugati di α, allora è facile vedere che n T (α) = t(α) d n N (α) = n(α) d 1.1 Campi di numeri e anelli di interi 13 Per le formule di Viète, applicate al polinomio p(X) ∈ Q[X], si ha che t(α) ∈ Q e n(α) ∈ Q. Dunque , anche T (α) e N (α) sono numeri razionali. Se α ∈ R, allora p(X) ∈ Z[X] e quindi t(α) e n(α) sono interi. Pertanto T (α) e N (α) sono interi. Definizione 1.1.14 Sia K un campo di numeri di grado n su Q. Siano σ1 , σ2 , . . . , σn gli n monomorfismi di K in C che fissano Q. Per ogni n-upla di elementi α1 , α2 , . . . , αn ∈ K, si definisce discriminante di α1 , α2 , . . . , αn il seguente numero ∆(α1 , α2 , . . . , αn ) = [det(σi (αj ))]2 Proposizione 1.1.15 ∆(α1 , . . . , αn ) = det(T (αi αj )) Corollario 1.1.16 ∆(α1 , . . . , αn ) ∈ Q e se αi ∈ R ∀i = 1, 2, . . . , n allora si ha ∆(α1 , . . . , αn ) ∈ Z. Proposizione 1.1.17 ∆(α1 , . . . , αn ) = 0 se e solo se α1 , . . . , αn sono linearmente dipendenti su Q. Teorema 1.1.18 Sia (G, +) un gruppo abeliano libero di rango n e H un sottogruppo di G. Allora H è un gruppo abeliano libero di rango m, con m 6 n. Lemma 1.1.19 Sia K un campo di numeri di grado n su Q, R = A ∩ K, {α1 , . . . , αn } una base di K su Q formata da interi algebrici, e sia ∆ = ∆(α1 , . . . , αn ). Allora: ∆R ⊆ Zα1 + Zα2 + · · · + Zαn Dimostrazione. Sia w ∈ R. Allora w si esprime in un solo modo come: w = r1 α1 + r2 α2 + · · · + rn αn con ri ∈ Q (1.1) Applicando ad ambo i membri della (1.1) la i-esima immersione σi si ha: σi (w) = r1 σi (α1 ) + r2 σi (α2 ) + · · · + rn σi (αn ) ∀i = 1, . . . , n Per la regola di Cramer applicata al seguente sistema: σ1 (α1 )r1 + σ1 (α2 )r2 + · · · + σ1 (αn )rn = σ1 (w) σ2 (α1 )r1 + σ2 (α2 )r2 + · · · + σ2 (αn )rn = σ2 (w) .. . σn (α1 )r1 + σn (α2 )r2 + · · · + σn (αn )rn = σn (w) 14 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri γ si ha che rj = δj ∀ j = 1, . . . , n con δ 2 = ∆. Chiaramente δ e γj sono interi algebrici (δ soddisfa l’equazione X 2 − ∆ = 0 ). Per la Prop. 1.1.4 δγj è un intero algebrico. Dunque, poichè ∆rj = δγj , risulta ∆rj ∈ A ∩ Q = Z (Prop. 1.1.2). Allora posto mj = ∆rj , chiaramente ∆w = m1 α1 + · · · + mn αn . Corollario 1.1.20 L’anello R degli interi di un campo di numeri K di grado n è un gruppo abeliano libero di rango n. Dimostrazione. È una immediata conseguenza del Teor. 1.1.18 e del Lemma 1.1.19 poichè Zα1 + Zα2 + · · · + Zαn ⊆ R ⊆ Zα1 /∆ + Zα2 /∆ + · · · + Zαn /∆ . Definizione 1.1.21 Si definisce base intera del campo di numeri K, ogni base {α1 , . . . , αn } di K su Q formata da interi algebrici tale che R = Zα1 + Zα2 + · · · Zαn . Proposizione 1.1.22 Se {α1 , . . . , αn } e {β1 , . . . , βn } sono due basi intere di K, allora ∆(α1 , . . . , αn ) = ∆(β1 , . . . , βn ). Definizione 1.1.23 Si chiama discriminante di un campo di numeri K, il discriminante di una sua base intera {α1 , . . . , αn }. disc(K) = ∆(α1 , . . . , αn ) Proposizione 1.1.24 Sia K un campo di numeri di grado n su Q. Sia K = Q(θ), p(X) il polinomio minimo di θ su Q. Allora {1, θ, . . . , θn−1 } è una base di K su Q che ha discriminante dato da: ∆(1, θ, . . . , θn−1 ) = (−1) n(n−1) 2 N (p0 (θ)) dove p0 (X) è la derivata formale di p(X). 2πi Sia m > 0 un intero positivo, ξm = e m una radice primitiva m-esima dell’unità in C. Il campo Q(ξm ) è detto l’m-esimo campo ciclotomico. I primi due campi ciclotomici coincidono con Q. Quindi nel seguito si supporrà in generale che m > 3. Inoltre ϕ denota la funzione di Eulero e ϕ(m) è il numero degli elementi dell’insieme: {k ∈ Z|1 6 k 6 m, (k, m) = 1} 1.1 Campi di numeri e anelli di interi 15 Teorema 1.1.25 L’anello degli interi di Q(ξm ) è Z[ξm ]. Definizione 1.1.26 Il polinomio Φm (X) = m Y a (X − ξm ) a=1 (a,m)=1 è detto l’m-esimo polinomio ciclotomico. Teorema 1.1.27 Φm (X) ha coefficienti interi ed è irriducibile in Q[X]. ϕ(m)−1 Corollario 1.1.28 [Q(ξm ) : Q] = ϕ(m) e {1, ξm , . . . , ξm intera di Q(ξm ) su Q. } è una base Definizione 1.1.29 Siano K ed L sottocampi di C, K ⊆ L e [L : K] = n. Si dice che L è normale su K (o che L è un’estensione di Galois di K) se ∀α ∈ L tutti i coniugati di α su K (cioè gli zeri del polinomio minimo di α su K) sono ancora elementi di L. Teorema 1.1.30 L è normale su K se e solo se ogni immersione di L in C che fissa elemento per elemento K è effettivamente un automorfismo di L; equivalentemente, il gruppo di Galois di L su K, Gal(L/K) ha ordine [L : K]. Per la definizione di gruppo di Galois, si veda il Teor. 1.1.40. Teorema 1.1.31 Q(ξm ) è un’estensione normale di Q e t Gal(Q(ξm )/Q) = {σ : Q(ξm ) → Q(ξm )|σ(ξm ) = ξm , 1 6 t 6 m, (t, m) = 1} Lemma 1.1.32 Si ha che: ϕ(m)−1 disc(Q(ξm )) = ∆(1, ξm , . . . , ξm ) | mϕ(m) Dimostrazione. Per il Teor. 1.1.27 Φm (X) è il polinomio minimo di ξm su Q. In virtù della Prop. 1.1.24 si ha che: ϕ(m)−1 ∆(1, ξm , . . . , ξm ) = (−1) ϕ(m)(ϕ(m)−1) 2 N (Φ0m (ξm )) cioè ϕ(m)−1 N (Φ0m (ξm )) = ±∆(1, ξm , . . . , ξm ) 16 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri D’altra parte X m − 1 = Φm (X)g(X), g(X) ∈ Z[X] Derivando si ha che: mX m−1 = Φ0m (X)g(X) + Φm (X)g 0 (X) Sostituendo ξm a X si ha: m−1 mξm = Φ0m (ξm )g(ξm ) e moltiplicando ambo i membri per ξm si ha che: m = Φ0m (ξm )ξm g(ξm ) Passando alle norme (ricordando che la norma è moltiplicativa) N (m) = N (Φ0m (ξm ))N (ξm g(ξm )) cioè ϕ(m)−1 mϕ(m) = ±∆(1, ξm , . . . , ξm )N (ξm g(ξm )) L’asserto segue dal fatto che ξm g(ξm ) ∈ Z[ξm ] = A ∩ Q(ξm ) (Teor. 1.1.25) e quindi N (ξm g(ξm )) ∈ Z (Prop. 1.1.13). Lemma 1.1.33 Si supponga che p sia un numero primo tale che p - m e sia n un intero positivo tale che pn ≡ 1 (mod m) Allora ∀w ∈ Z[ξm ] si ha che: n wp ≡ w (mod (p)) dove (p) = pZ[ξm ]. P p i Dimostrazione. Sia w = m−1 i=0 ci ξm un intero ciclotomico. Poichè ci ≡ ci ( mod p) (Piccolo Teorema di Fermat) si ha che: p m−1 X w =( i=0 i p ci ξm ) ≡ m−1 X i=0 ip cpi ξm ≡ m−1 X i=0 ip ci ξm (mod (p)) 1.1 Campi di numeri e anelli di interi 17 (si è fatto uso, nella catena di congruenze, della formula della potenza multinomiale e del fatto che p | kp , ∀k = 1, . . . , p − 1). In ultima analisi, p w ≡ m−1 X ip ci ξm (mod (p)) i=0 Ripetendo questo processo n volte e utilizzando il fatto che pn ≡ 1 (mod m) pn implica che ξm = ξm , si ha l’asserto. Osservazione 1.1.34 Nella dimostrazione del Lemma 1.1.33 si è fatto implicitamente uso del Teor. 1.1.25. Tuttavia, utilizzando il Lemma 1.1.19, si può dimostrare il Lemma 1.1.33 evitando il Teor. 1.1.25 (si veda K.Ireland M.Rosen A Classical Introduction to Modern Number Theory [11]). Particolarmente utile risulterà nel seguito, il seguente lemma dovuto a Kronecker. Lemma 1.1.35 (Lemma di Kronecker) Se un intero algebrico ha modulo uguale a 1 insieme a tutti i suoi coniugati, allora esso è una radice dell’unità. Dimostrazione. Sia α ∈ C un intero algebrico, K = Q(α) [K : Q] = n. Siano σ1 , . . . , σn : K → C le n immersioni di K in C che fissano Q. Per ipotesi |σi (α)| = 1, ∀i = 1, . . . , n (α ∈ R, dove R è l’anello degli interi di K). Il polinomio minimo di α su Q è dato da: n Y f (X) = (X − σi (α)) i=1 f (X) ∈ Z[X] dato che α è intero. Sia f (X) = X n + an−1 X n−1 + · · · + a1 X + a0 Per l’ipotesi del lemma, ∀k = 0, . . . , n − 1 |ak | 6 formule di Viète per cui, posto σi (α) = αi si ha: n k ai ∈ Z . Questo segue dalle an−1 = −(α1 + α2 + · · · + αn ) an−2 = α1 α2 + α1 α3 + · · · + α1 αn + α2 α3 + · · · + αn−1 αn an−3 = −(α1 α2 α3 + α1 α2 α4 + · · · + αn−2 αn−1 αn ) 18 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri .. . a0 = (−1)n α1 α2 · · · αn Pertanto |an−1 | = |α1 + α2 + · · · + αn | 6 |α1 | + |α2 | + · · · + |αn | = n = n n−1 |an−2 | 6 |α1 |·|α2 |+|α1 |·|α3 |+· · ·+|αn−1 |·|αn | = (n−1)+(n−2)+· · ·+1 = n n−2 .. . |a0 | = |α1 · · · αn | = 1 = n 0 Dunque α è zero di un polinomio di grado n avente coefficienti che sono interi limitati. Polinomi siffatti sono chiaramente in numero finito, e quindi sono tali anche i rispettivi zeri. Per ogni h > 1 si ha che αh ∈ R, e |σi (αh )| = 1 ∀i = 1, . . . , n. Quindi anche αh soddisfa le ipotesi del lemma, e pertanto è zero di un polinomio di grado n avente coefficienti interi soggetti alle stesse limitazioni di f (X). Poichè gli zeri di tali polinomi sono in numero finito, segue che ∃h, k > 0, h 6= k, tali che αh = αk , e pertanto αh−k = 1 (supposto h > k). Corollario 1.1.36 Sia w ∈ Z[ξm ] un intero ciclotomico di modulo uguale a 1. Allora w è una radice dell’unità in C. Dimostrazione. Per il lemma di Kronecker, è sufficiente far vedere che tutti i coniugati di w hanno modulo unitario, cioè che ∀σ ∈ Gal(Q(ξm )/Q) : |σ(w)| = 1. Per il Teor. 1.1.31 Gal(Q(ξm )/Q) è un gruppo abeliano. ∀t ∈ Z, (t, m) = 1 si denoti con σt l’automorfismo di Galois di Q(ξm ) che a ξm t . Allora w w̄ = |w|2 = 1. Sia σ ∈ Gal(Q(ξ )/Q), associa ξm σ(ww) = m σ(1) = 1. Pertanto σ(w)σ(w) = 1 cioè σ(w)σ(σ−1 (w)) = 1. Ne segue che σ(w)σ−1 (σ(w)) = 1 cioè σ(w)σ(w) = 1 = |σ(w)|2 . Quindi |σ(w)| = 1. Lemma 1.1.37 Sia p un numero primo, (p, m) = 1. Sia τ ∈ Gal(Q(ξm )/Q) l’automorfismo di Frobenius, cioè l’automorfismo di Galois che a ξm associa p ξm . Allora, per ogni intero ciclotomico w si ha che: τ (w) ≡ wp (mod (p)). 1.1 Campi di numeri e anelli di interi 19 Pm−1 i Dimostrazione. Sia w = = 0, . . . , m − i=0 ci ξm . Osservato che ∀i Pm−1 p i )p ≡ 1 c ≡ c (mod p) (Piccolo Teorema di Fermat) e che ( i=0 ci ξm Pm−1i p ipi i=0 ci ξm (mod (p)) per la formula della potenza multinomiale, si ha che: τ (w) = m−1 X i=0 ip ci ξm ≡ m−1 X m−1 X ip cpi ξm ≡( i=0 i p ci ξm ) = wp (mod (p)) i=0 Questo completa la dimostrazione. Osservazione 1.1.38 Mantenendo le stesse notazioni, la congruenza del Lemma 1.1.37 può essere iterata. Essa, infatti, vale per ogni intero ciclotomico, e quindi anche per τ (w). Ne segue che: τ (τ (w)) ≡ (τ (w))p (mod (p)) 2 τ (w) ≡ wp ( mod (p)) ⇒ (τ (w))p ≡ wp (mod (p)) Dunque 2 τ (τ (w)) ≡ wp (mod (p)) Ripetendo tale processo, si ha che, in generale: j τ j (w) ≡ wp (mod (p)), ∀j > 0 Lemma 1.1.39 Sia p un numero primo e sia a > 1 un intero. Allora: Φpa (X) = X (p−1)p a−1 a−1 + X (p−2)p a−1 + · · · + Xp a−1 + 1. a−1 a−1 Dimostrazione. Sia f (X) = X (p−1)p + X (p−2)p + · · · + Xp + 1. p−1 p−2 Si ha che f (ξpa ) = 0 poichè ξp + ξp + · · · + ξp + 1 = 0. Quindi Φpa (X) divide f (X) in Q[X], perchè Φpa è il polinomio minimo di ξpa su Q. Poichè Φpa è monico e ha grado ϕ(pa ) = pa−1 (p − 1), ne segue che f (X) = Φpa (X). Si conclude questo paragrafo, ricordando il Teorema fondamentale della Teoria di Galois per sottocampi di C (detto anche Teorema della Corrispondenza di Galois). Teorema 1.1.40 (Teorema Fondamentale della Teoria di Galois) Siano L e K sottocampi di C, L sia una estensione finita normale di K con [L : K] = n. Il gruppo di Galois di L su K è definito da: Gal(L/K) := {σ : L → L| σ automorfismo, σ|K = idK }. 20 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri Se H è un sottogruppo di Gal(L/K), si definisce campo fisso di H, l’insieme: LH := {α ∈ L| σ(α) = α, ∀σ ∈ H}. Si denoti con F l’insieme F := {F campo | K ⊆ F ⊆ L} e con G l’insieme G := {H | H gruppo, H ⊆ Gal(L/K)}. Sia φ : F → G l’applicazione definita da: φ(F) := Gal(L/F) e ψ : G → F l’applicazione definita da: ψ(H) := LH . Allora, φ e ψ sono una l’inversa dell’altra. Inoltre, se F è un elemento dell’insieme F [F : K] = (Gal(L/K) : Gal(L/F)). Teorema 1.1.41 Siano L, K ed E sottocampi di C. L sia una estensione normale di K ed E una estensione arbitraria di K. Allora, il campo composito EL, definito come il più piccolo sottocampo di C contenente E e L (e che consiste delle somme finite α1 β1 + · · · + αr βr con αi ∈ E e βi ∈ L), è una estensione normale di E e Gal(EL/E) ∼ = Gal(L/E ∩ L). In particolare, [EL : E] = [L : E ∩ L]. 1.2 Fattorizzazione prima in anelli di interi Definizione 1.2.1 Un dominio di integrità con unità R è detto un dominio di Dedekind se: 1. Ogni ideale di R è finitamente generato; 2. Ogni ideale primo non nullo di R è massimale; 1.2 Fattorizzazione prima in anelli di interi 21 3. R è integralmente chiuso nel suo campo dei quozienti K. Osservazione 1.2.2 L’ultima condizione della Def. 1.2.1 equivale a dire che se α/β ∈ K è zero di qualche polinomio monico a coefficienti in R, allora α/β ∈ R, cioè β|α in R. Sussiste il seguente: Teorema 1.2.3 Ogni anello di interi è un dominio di Dedekind. Proposizione 1.2.4 (legge di cancellazione) Se A, B e C sono ideali in un dominio di Dedekind R, e AB = AC, allora B = C. Proposizione 1.2.5 Se A e B sono ideali di un dominio di Dedekind R, allora A|B (cioè esiste un ideale C tale che B = AC) se e solo se A ⊇ B. Teorema 1.2.6 In un dominio di Dedekind R ogni ideale (non nullo) proprio è rappresentabile in modo unico come prodotto di ideali primi. Corollario 1.2.7 Gli ideali propri di un anello di interi R si possono rappresentare in modo unico come prodotto di ideali primi. Osservazione 1.2.8 Sia R un anello di interi, P un ideale primo di R. La catena discendente P ⊇ P 2 ⊇ P 3 ⊇ · · · è propria perchè se P i = P i+1 per qualche i, allora RP i = P P i , e quindi per la Prop.1.2.4 P = R. Ciò è assurdo. La seguente proposizione è nota come Teorema Cinese dei Resti per anelli e costituisce una generalizzazione del noto teorema cinese dei resti sui sistemi di congruenze lineari in Z. Proposizione 1.2.9 Sia R un anello commutativo con unità.T Siano IQ ∀i, j, i 6= j. Sia I = ni=1 Ii = 1 , I2 , . . . , In ideali di R tali che Ii +Ij = R, n i=1 Ii . Allora l’applicazione: ψ : R/I → n Y R/Ii i=1 x + I 7→ (x + I1 , x + I2 , . . . , x + In ) è un isomorfismo di anelli. 22 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri Lemma 1.2.10 Sia R un anello di interi, I un ideale di R. Allora I ∩Z 6= (0). Dimostrazione. Per l’Oss. 1.1.6, I 6= (0), dunque ∃α ∈ I, α 6= 0. Poichè α è un intero algebrico ∃p(X) ∈ Z[X] polinomio non nullo monico irriducibile in Q[X] p(X) = X m + am−1 X m−1 + · · · + a1 X + a0 tale che p(α) = 0. Allora a0 = −αm − am−1 αm−1 − · · · − a1 α ∈ I ∩ Z, e chiaramente a0 6= 0, per la irriducibilità di p(X). Proposizione 1.2.11 Sia R un anello di interi. Allora per ogni ideale I di R, l’anello quoziente R/I è finito. Dimostrazione. Per il Lemma 1.2.10, ∃a ∈ I ∩Z, a 6= 0 (si prenda a > 0). Sia (a) = aR l’ideale principale generato da a in R. L’applicazione di R/(a) in R/I che a x + (a) associa x + I, è chiaramente surgettiva. Pertanto la finitezza di R/I segue dalla finitezza di R/(a). Si proverà, ora, che |R/(a)| = an , ove n = [K : Q] e K è il campo di numeri di cui R è l’anello degli interi. Sia {ω1 , . . . , ωn } una base intera di K. Pertanto R = Zω1 + Zω2 + · · · Zωn . Sia S={ n X γi ωi |γi ∈ Z, 0 6 γi < a, i = 1, . . . , n}. i=1 È facile provare che S costituisce un insieme di rappresentanti di laterali distinti di R/(a). Da ciò segue l’asserto. Definizione 1.2.12 Sia R un anello di interi, I un ideale di R. Si definisce norma di I la cardinalità di R/I e si denota con N (I). N (I) = |R/I| Proposizione 1.2.13 Sia R un anello di interi, I e J due ideali di R. Allora: N (IJ) = N (I)N (J) Inoltre, se a ∈ R, a 6= 0 e (a) è l’ideale principale generato da a in R, allora: N ((a)) = |N (a)| 1.2 Fattorizzazione prima in anelli di interi 23 Siano K e L due campi di numeri, K ⊆ L, R ed S i rispettivi anelli degli interi, cioè R = A ∩ K ed S = A ∩ L. P sia un ideale primo di R, Q un ideale primo di S. Con P S si denota l’ideale di S: PS = { r X αi βi |r > 1, αi ∈ P, βi ∈ S} i=1 Sussiste la seguente: Proposizione 1.2.14 Siano K, L, R, S, P e Q definiti come sopra. Allora le seguenti condizioni sono equivalenti: 1. Q | P S 2. P S ⊆ Q 3. P ⊆ Q 4. Q ∩ R = P 5. Q ∩ K = P . Definizione 1.2.15 Quando si verifica una delle cinque condizioni (e quindi tutte e cinque) della Prop. 1.2.14, si dice che Q giace su P . Proposizione 1.2.16 Ogni ideale primo Q di S giace su un unico ideale primo P di R. Per ogni ideale primo P di R esiste almeno un ideale primo Q di S che giace su P , e siffatti ideali primi sono in numero finito. Definizione 1.2.17 Siano K, L, R, S, P e Q definiti come sopra. Allora, se Qe è l’esatta potenza di Q che divide P S, l’intero positivo e è detto l’indice di ramificazione di Q su P ed è denotato con: e = e(Q|P ). P e Q sono ideali primi (non nulli)e quindi massimali in R ed S. Pertanto R/P e S/Q sono campi finiti (Prop. 1.2.11) detti campi residui associati a P e Q. È facile vedere R/P come sottocampo di S/Q. Dunque S/Q è un’estensione finita di R/P . Il grado di tale estensione f = [S/Q : R/P ] è detto grado di inerzia di Q su P ed è denotato con: f = f (Q|P ). 24 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri Lemma 1.2.18 Siano R ⊆ S ⊆ T tre anelli di interi, e P ⊆ Q ⊆ U tre ideali primi di R, S e T rispettivamente. Allora: e(U |P ) = e(U |Q)e(Q|P ) f (U |P ) = f (U |Q)f (Q|P ) Osservazione 1.2.19 Sia K un campo di numeri, R il suo anello degli interi, P un ideale primo di R, tale che P ∩ Z = pZ. In tal caso, si dirà che P giace su p invece di dire che P giace su (p) = pZ. Si chiamerà indice di ramificazione di P , l’intero e = e(P |p), e grado (di inerzia) di P , l’intero f = f (P |p). In tal caso |R/P | = pf . Definizione 1.2.20 Sia p un numero primo, K un campo di numeri di grado n su Q, R il suo anello di interi. Per il Cor. 1.2.7 l’ideale (p) = pR si rappresenta in modo unico come prodotto di ideali primi. e (p) = P1e1 P2e2 · · · Pg g , ei > 1, ∀i = 1, . . . , g. Se per qualche i = 1, . . . , g risulta ei > 1, si dice che p ramifica in K o in R. Sussiste il seguente, profondo: Teorema 1.2.21 Sia p un numero primo. Allora p ramifica in K se e solo se p divide il discriminante di K. Teorema 1.2.22 Sia p un numero primo, K un campo di numeri di grado n e su Q, R = A ∩ K. Sia (p) = P1e1 P2e2 · · · Pg g . ∀i = 1, . . . , g sia fi il grado di Pi , fi = fi (Pi |p). Allora: g X ei fi = n. i=1 Dimostrazione. Si osservi preliminarmente che se I e J sono due ideali primi distinti di R, allora I+J = R (si dice che I e J sono relativamente primi). Infatti I 6= J implica che ∃α ∈ I, α ∈ / J. Si ha dunque l’inclusione propria J ⊂ I+J. D’altra parte J è un ideale massimale (R è un dominio di Dedekind), per cui I + J = R. Più in generale ∀m, n interi positivi I n + J m = R. Infatti, basta provare che 1 ∈ I n + J m , e ciò segue facilmente dal fatto che 1 ∈ I + J, e dunque 1 = α + β con α ∈ I e β ∈ J. Elevando α + β ad una opportuna potenza, si ha che 1 ∈ I n + J m . Ne segue che ∀i, j ∈ {1, . . . , g}, i 6= j e Piei + Pj j = R 1.2 Fattorizzazione prima in anelli di interi 25 Q Per il Teorema Cinese dei Resti R/(p) è isomorfo a gi=1 R/Piei . Ora |R/(p)| = pn (si veda la dimostrazione della Prop. 1.2.11). ∀i = 1, . . . , g risulta |R/Pi | = pfi = N (Pi ) e per la proprietà moltiplicativa della norma (Prop. 1.2.13) si ha che |R/Piei | = N (Piei ) = (N (Pi ))ei = pei fi . Quindi n p = g Y pei fi = p Pg i=1 ei fi i=1 da cui n = e1 f1 + e2 f2 + · · · + eg fg . Particolarmente interessante è la fattorizzazione in ideali primi di un numero primo p in un campo di numeri K che sia una estensione di Galois di Q (come in effetti si verifica nel caso dei campi ciclotomici). In tal caso, se G denota il gruppo di Galois di K su Q , σ ∈ G e I è un ideale di R con R = A ∩ K, allora σ(K) = K, σ(R) = R, ed è facile verificare che σ(I) è ancora un ideale. Ancora, R/I ' σ(R)/σ(I) = R/σ(I). Pertanto, ciò mostra che se P è un ideale primo di R, anche σ(P ) lo è. In particolare se P giace su p, anche σ(P ) è un ideale primo di R che giace su p. Si ha il seguente fondamentale: Teorema 1.2.23 Sia p un numero primo e sia K un campo di numeri, estensione di Galois di Q, [K : Q] = n, R = A ∩ K. Siano P e P 0 due ideali primi di R che giacciono su p. Allora ∃σ ∈ G tale che σ(P ) = P 0 . Dimostrazione. Si supponga per assurdo che ∀σ ∈ G : σ(P ) 6= P 0 . Se G = {σ1 , . . . , σn } con σ1 = idK , allora ∀i = 1, . . . , n : σi (P ) 6= P 0 . σi (P ) e P 0 sono ideali primi distinti (giacenti su p) e per quanto provato nel Teor. 1.2.22 P 0 + σi (P ) = R Dunque, P 0 è relativamente primo a ciascun σi (P ) e ciò implica che P 0 è Tn relativamente primo a i=1 σi (P ), cioè P 0 + σ1 (P ) ∩ σ2 (P ) ∩ · · · ∩ σn (P ) = R Per il Teorema Cinese dei Resti, ∃α ∈ R tale che: α ≡ 0 (mod P 0 ) α ≡ 1 (mod σ1 (P ) ∩ σ2 (P ) ∩ · · · ∩ σn (P )). α è un intero algebrico, e quindi, per la Prop. 1.1.13 N (α) ασ2 (α) · · · σn (α) ∈ Z. α ∈ P 0 ⇒ N (α) ∈ P 0 . In ultima analisi, N (α) ∈ Z ∩ P 0 = pZ = P ∩ Z ⊆ P ⇒ N (α) ∈ P = 26 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri D’altra parte, essendo P un ideale primo, σ1 (α)σ2 (α) · · · σn (α) ∈ P ⇒ ∃j ∈ {1, . . . , n} tale che σj (α) ∈ P. Cioè α ∈ σj−1 (P ) e ciò è assurdo perchè, se cosı̀ fosse, da α ≡ 0 (mod σj−1 (P )) α ≡ 1 (mod σj−1 (P )) seguirebbe che 1 ∈ σj−1 (P ). Chiaramente questo non è possibile perchè σj−1 (P ) è un ideale primo, e pertanto proprio. Si è ora in grado di enunciare e dimostrare il seguente: Teorema 1.2.24 Sia K/Q una estensione di Galois. Sia p un numero primo e e (p) = P1e1 P2e2 · · · Pg g la sua fattorizzazione prima in R = A ∩ K. Allora e1 = e2 = . . . = eg ed f1 = f2 = . . . = fg . Se e ed f denotano, rispettivamente, questi valori comuni, allora ef g = n, ove [K : Q] = n. Dimostrazione. Sia i ∈ {1, . . . , g} fissato. Per il Teor. 1.2.23 esiste un automorfismo di Galois σ ∈ G tale che σ(P1 ) = Pi . Poichè R/P1 ' σ(R)/σ(P1 ) = R/Pi si ha che f1 = fi . Quindi tutti i gradi (di inerzia) fi sono uguali. Si applichi ora σ ad ambo i membri dell’uguaglianza: e (p) = P1e1 P2e2 · · · Pg g (1.2) Poichè p ∈ Z, è chiaro che σ((p)) = (p), cioè (p) = (σ(P1 ))e1 (σ(P2 ))e2 · · · (σ(Pg ))eg (1.3) Nel prodotto (1.3) Pi ha esponente e1 . Nel prodotto (1.2) Pi ha esponente ei . Dall’unicità della fattorizzazione prima (Cor. 1.2.7) segue che e1P = ei , e quindi tutti gli indici di ramificazione ei sono uguali. Infine, poichè gi=1 ei fi = n (Teor. 1.2.22) si ha immediatamente che ef g = n. Si possono ora applicare i risultati della precedente sezione ai campi ciclotomici. Si comincia con il seguente fondamentale: Teorema 1.2.25 Sia p un numero primo, a > 1 un intero positivo. Allora in Z[ξpa ], l’unico ideale primo che giaccia su p è l’ideale principale generato dall’elemento 1 − ξpa , P = (1 − ξpa ) = (1 − ξpa )Z[ξpa ]. Inoltre pZ[ξpa ] = (p) = (1 − ξpa )ϕ(p a) 1.2 Fattorizzazione prima in anelli di interi 27 Dimostrazione. Sia j un intero tale che, 1 < j 6 pa − 1 e (j, p) = 1. Sia t un intero soluzione della seguente congruenza: jt ≡ 1 (mod pa ) (esistente perchè (j, p) = (j, pa ) = 1). Si definisca u = 1−ξpj a 1−ξpa . Allora: u = ξpj−1 + ξpj−2 + · · · + ξpa + 1 ∈ Z[ξpa ] a a u−1 = 1 − ξp a 1 − ξpj a = 1 − ξpjta 1 − ξpj a j(t−1) = ξp a j(t−2) + ξp a + · · · + ξpj a + 1 ∈ Z[ξpa ] Allora u ∈ Z[ξpa ] è invertibile in Z[ξpa ] e 1 − ξpa e 1 − ξpj a sono due elementi associati di Z[ξpa ]. Essi, pertanto, generano lo stesso ideale in Z[ξpa ]. Dunque, ∀j intero, 1 < j 6 pa − 1 e (j, p) = 1 in Z[ξpa ] si ha: (1 − ξpa ) = (1 − ξpj a ) (1.4) Per definizione, Φpa (X) = a −1 pY (X − ξpj a ) j=1 (j,p)=1 Combinando questo con il Lemma 1.1.39 si ha che: a −1 pY p = Φpa (1) = (1 − ξpj a ) j=1 (j,p)=1 Dalla (1.4), segue che (p) = (1 − ξpa )ϕ(p a) Questo completa la dimostrazione. Proposizione 1.2.26 Sia m > 0 un intero positivo, p un numero primo (p, m) = 1e sia P un ideale primo di Z[ξm ] che giace su p. Allora i laterali m−1 1, ξm , . . . , ξm in Z[ξm ]/P sono tutti distinti. Se, inoltre, f denota il grado (di inerzia) di P , allora pf ≡ 1 ( mod m). 28 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri Dimostrazione. ∀w ∈ Z[ξm ] si denoti con w = w + P il corrispondente laterale nel campo finito Z[ξm ]/P . Dividendo per X − 1 entrambi i membri della seguente identità Xm − 1 = m−1 Y j (X − ξm ) j=0 si ha che: 1 + X + · · · + X m−1 = m−1 Y j (X − ξm ) j=1 Si ponga X = 1 in questa identità. Si trova che m= m−1 Y j (1 − ξm ) j=1 da cui, passando ai laterali si ottiene: m= m−1 Y j (1 − ξm ) j=1 j Poichè m 6= 0, segue che ξm 6= 1 ∀j = 1, . . . , m − 1 e pertanto i 6= ξ j ξm m ∀i, j = 0, 1, . . . , m − 1 i 6= j i Gli elementi { ξm | 0 6 i 6 m − 1 } formano un sottogruppo di ordine m del gruppo moltiplicativo di Z[ξm ]/P . Quindi m | pf − 1, essendo l’ordine dell’ultimo gruppo pari proprio a pf − 1. Proposizione 1.2.27 Sia p un numero primo, m > 0, p - m. Allora p non ramifica in Q(ξm ). Dimostrazione. Per il Teor. 1.2.21, se per assurdo p ramificasse in Q(ξm ) allora p dovrebbe dividere il discriminante di Q(ξm ). D’altra parte, in virtù del Lemma 1.1.32 disc(Q(ξm )) | mϕ(m) . Allora, p dovrebbe dividere m, contraddicendo l’ipotesi fatta su p. Definizione 1.2.28 Siano a, n ∈ Z tali che n > 0 e (a, n) = 1. Si chiama ordine (moltiplicativo) di a (modulo n) (e si scrive ordn (a) oppure semplicemente on (a)) il più piccolo intero positivo k per cui risulti ak ≡ 1 (mod n) 1.2 Fattorizzazione prima in anelli di interi 29 Osservazione 1.2.29 È opportuno sottolineare che tale definizione ha senso se e soltanto se (a, n) = 1. Infatti, se (a, n) 6= 1, la congruenza aX ≡ 1 (mod n) non è risolubile e quindi nessun intero positivo k soddisfa la congruenza della Def. 1.2.28. Viceversa, se (a, n) = 1 l’asserto è immediata conseguenza del Teorema di Eulero-Fermat(Teor. 1.4.2). Teorema 1.2.30 Sia p un numero primo, m > 0, p - m. Sia f = om (p). Allora, nell’anello degli interi ciclotomici Z[ξm ] si ha che: (p) = P1 P2 · · · Pg ove ciascun ideale primo Pi ha grado f e g = ϕ(m)/f . Dimostrazione. È noto che in Z[ξm ] si ha che: (p) = (P1 P2 · · · Pg )e con Pi ideali primi distinti aventi tutti lo stesso grado e lo stesso indice di ramificazione e (Teor. 1.1.31 e Teor. 1.2.24). Sia f1 il grado di P1 . Poichè f Z[ξm ]/P1 è un campo finito (di ordine pf1 ) si ha che ∀w ∈ Z[ξm ] : wp 1 = w, cioè f1 ∀w ∈ Z[ξm ] : wp ≡ w (mod P1 ) e f1 è il più piccolo intero positivo con questa proprietà. Per il Lemma 1.1.33, poichè pf ≡ 1 (mod m) : ∀w ∈ Z[ξm ] : f wp ≡ w (mod (p)) e quindi, poichè (p) ⊆ P1 , risulta che: ∀w ∈ Z[ξm ] : f wp ≡ w ( mod P1 ). Ne segue che f1 6 f . D’altra parte, per la Prop. 1.2.26, pf1 ≡ 1 ( mod m). Per la Def. 1.2.28 di ordine (moltiplicativo) segue che f 6 f1 . Pertanto f = f1 , e quindi tutti gli ideali primi Pi giacenti su p hanno grado f . Per la Prop. 1.2.27 risulta e = 1, e sempre per il Teor. 1.2.24 risulta che ef g = ϕ(m), da cui g = ϕ(m)/f . Questo completa la dimostrazione. Si conclude con il seguente fondamentale: 30 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri Teorema 1.2.31 Sia p un numero primo, m = pa m0 , con a > 1, m0 > 2 e (p, m0 ) = 1. Allora, in Z[ξm ] si ha la seguente fattorizzazione prima: pZ[ξm ] = (p) = (Q1 Q2 · · · Qg )e dove e = ϕ(pa ), f = om0 (p), g = ϕ(m0 )/f e Qi sono ideali primi distinti di Z[ξm ] aventi tutti lo stesso grado f su p. Dimostrazione. Si vede come p si fattorizza in ciascuno dei campi ciclotomici Q(ξpa ) e Q(ξm0 ). Il risultato per Q(ξm ), allora, seguirà facilmente. Per il Teor. 1.2.25, in Z[ξpa ] si ha che: a pZ[ξpa ] = (1 − ξpa )ϕ(p ) Z[ξpa ] Per il Teor.1.2.30, in Z[ξm0 ] si ha che: pZ[ξm0 ] = P1 P2 · · · Pg dove i Pi sono ideali primi distinti di Z[ξm0 ] aventi tutti lo stesso grado f = om0 (p), e gf = ϕ(m0 ). Si fissino Q1 , . . . , Qg ideali primi di Z[ξm ] giacenti su P1 , . . . , Pg rispettivamente (tali Qi esistono per la Prop. 1.2.16). Ne segue immediatamente che ∀i = 1, . . . , g, Qi giace su p, e quindi anche su (1 − ξpa )Z[ξpa ], poichè quest’ultimo è l’unico ideale primo di Z[ξpa ] giacente su p (Teor. 1.2.25). Si ha, in definitiva, la seguente situazione, ∀i = 1, . . . , g pZ ⊆ (1 − ξpa )Z[ξpa ] ⊆ Qi (1.5) pZ ⊆ Pi ⊆ Qi (1.6) In virtù del Lemma 1.2.18 applicato alla (1.5) e alla (1.6) si deduce che: e(Qi |p) > e((1 − ξpa )|p) = ϕ(pa ) (1.7) f (Qi |p) > f (Pi |p) = f (1.8) Inoltre, gf = ϕ(m0 ) ⇒ ϕ(pa )f g = ϕ(m). Il Teor. 1.2.24 applicato alla fattorizzazione di p in Z[ξm ] implica che i Qi sono i soli ideali primi distinti di Z[ξm ] che giacciono su p e che le disuguaglianze (1.7) e (1.8) sono in realtà delle uguaglianze. A conclusione di questo paragrafo appare opportuno riassumere i Teor. 1.2.25, 1.2.30 e 1.2.31, nel seguente, unico: 1.3 Gruppo di decomposizione di un ideale primo in un campo ciclotomico 31 Teorema 1.2.32 Sia p un numero primo, m > 0 un intero positivo, m = pa m0 , con a > 0, m0 > 1 e (p, m0 ) = 1. Allora, in Z[ξm ] si ha che: (p) = (P1 P2 · · · Pg )ϕ(p a) dove P1 , P2 . . . Pg sono ideali primi distinti di Z[ξm ], aventi lo stesso grado f con f = om0 (p) e g = ϕ(m0 )/f . 1.3 Gruppo di decomposizione di un ideale primo in un campo ciclotomico Definizione 1.3.1 Sia m > 0 un intero positivo, G = Gal(Q(ξm )/Q) il gruppo di Galois del campo ciclotomico Q(ξm ). Sia P un ideale primo di Z[ξm ]. Si dice gruppo di decomposizione di P (e si denota con DP ) il sottogruppo di G definito da: DP = {σ ∈ G|σ(P ) = P }. Al fine di determinare la cardinalità di DP , si premettono alcune definizioni e un lemma elementare della teoria dei gruppi. Definizione 1.3.2 Sia X un insieme finito, (G, ·) un gruppo finito. Si dice azione di G su X un’applicazione ∗ : G × X → X tale che: 1. g1 ∗ (g2 ∗ a) = (g1 g2 ) ∗ a, 2. 1 ∗ a = a, ∀g1 , g2 ∈ G, ∀a ∈ X ∀a ∈ X (1 denota l’elemento neutro di G). Se a ∈ X, si chiama G-orbita di a (e si denota con OG (a)), il sottoinsieme di X definito da: OG (a) = {g ∗ a|g ∈ G} Si chiama stabilizzatore di a in G (e si denota con Staba (G)), il sottogruppo di G definito da: Staba (G) = {g ∈ G|g ∗ a = a}. Sussiste il seguente: Lemma 1.3.3 (formula dell’orbita) Sia (G, ·) un gruppo finito che agisce su un insieme finito X. Sia a ∈ X. Allora: |OG (a)| = (G : Staba (G)) 32 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri Definizione 1.3.4 Sia (G, ·) un gruppo finito che agisce su un insieme finito X. Si dice che G agisce transitivamente su X se: ∀a, b ∈ X ∃g ∈ G t.c. b = g ∗ a. Si dice che G agisce regolarmente su X se: ∀a, b ∈ X ∃|g ∈ G t.c. b = g ∗ a. Osservazione 1.3.5 Sia p un numero primo, m > 0, m = pa m0 , a > 0, m0 > 1, (p, m0 ) = 1, P un ideale primo di Z[ξm ], giacente su p, G il gruppo di Galois di Q(ξm ) (su Q). Sia X l’insieme degli ideali primi di Z[ξm ] che giacciono su p. Per il Teor. 1.2.32, |X| = g, g = ϕ(m0 )/f , f = om0 (p) . Per il Teor. 1.2.23 applicato al campo ciclotomico Q(ξm ), estensione di Galois di Q (Teor. 1.1.31), G agisce transitivamente su X. Pertanto l’orbita di P coincide con X. OG (P ) = {σ(P )|σ ∈ G} = X Il gruppo di decomposizione di P coincide con lo stabilizzatore di P : DP = StabP (G) = {σ ∈ G|σ(P ) = P } In virtù della formula dell’orbita (Lemma 1.3.3) si ha che: |OG (P )| = (G : DP ) da cui segue che: g = |G|/|DP |. Pertanto, la cardinalità di DP è data da: |DP | = ϕ(m)/g = ϕ(pa )om0 (p). (1.9) Se m = pa , a > 1, e pertanto m0 = 1, dalla (1.9) segue che: |DP | = ϕ(pa ) = ϕ(m) Segue che DP = G, cioè ogni automorfismo di Galois di Q(ξm ) fissa P . Nel caso in cui p - m, e quindi a = 0, |DP | = om (p) e sussiste il seguente: Teorema 1.3.6 Sia p un numero primo, (p, m) = 1 e sia τ l’automorfismo p di Frobenius di Q(ξm ) che a ξm associa ξm . Sia P un ideale primo di Z[ξm ] che giace su p, e sia f = om (p). Allora il gruppo di decomposizione DP di P è ciclico di ordine f e ammette τ come generatore. 1.3 Gruppo di decomposizione di un ideale primo in un campo ciclotomico 33 Dimostrazione. Che τ abbia ordine f segue immediatamente dalla definizione di ordine moltiplicativo di p modulo m. Sia ora j un intero tale che 0 6 j 6 f − 1. Per l’Oss. 1.1.38 si ha che: ∀w ∈ Z[ξm ] : j τ j (w) ≡ wp (mod (p)), ((p) = pZ[ξm ]) j Se w ∈ P , allora wp ∈ P , e osservato che (p) ⊆ P , segue che τ j (w) ∈ P . Dunque, τ j (P ) ⊆ P . D’altra parte, τ j (P ) è un ideale primo (non nullo) di Z[ξm ], e quindi è massimale. Quindi τ j (P ) = P . Questo completa la dimostrazione. Si può, a questo punto, considerare il caso generale, in cui m = pa m0 , con 0 m > 2, a > 1, (p, m0 ) = 1. Teorema 1.3.7 Sia p un numero primo, m = pa m0 , (p, m0 ) = 1, a > 1, m0 > 1. Sia P un ideale primo di Z[ξm ] che giace su p. Sia σ ∈ Gal(Q(ξm )/Q) un automorfismo di Galois di Q(ξm ) tale che: j p σ(ξm0 ) = ξm 0 con 0 6 j 6 f − 1, ove f = om0 (p). Allora σ(P ) = P . Dimostrazione. Per quanto provato nel corso della dimostrazione del Teor. 1.2.25 p= a −1 pY (1 − ξpj a ), (1 − ξpa )Z[ξm ] = (1 − ξpi a )Z[ξm ] (1.10) j=1 (j,p)=1 per ogni i, 1 < i 6 pa − 1, (i, p) = 1. Quindi in Z[ξm ] si ha: pZ[ξm ] = (p) = (1 − ξpa )ϕ(p a) a = (1 − ξpa )ϕ(p ) Z[ξm ]. (1.11) j Per l’Oss. 1.1.38 ∀A ∈ Z[ξm0 ] : σ(A) ≡ Ap (mod (p)) ove (p) = pZ[ξm0 ]. Osservato che pZ[ξm0 ] ⊆ pZ[ξm ] ⊆ P , si ha che: ∀A ∈ Z[ξm0 ] j σ(A) ≡ Ap (mod P ). (1.12) Dalla (1.11) segue che P è un ideale primo che contiene (divide) l’ideale (1 − a ξpa )ϕ(p ) e quindi P contiene (1 − ξpa ). (1 − ξpa )Z[ξm ] ⊆ P 34 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri Allora ∀X ∈ Z[ξm ]: (1−ξpa )X ∈ P . In particolare 1−ξpa ∈ P , (1−ξpa )ξpa ∈ P cioè ξpa − ξp2a ∈ P e quindi (1 − ξpa ) + (ξpa − ξp2a ) ∈ P cioè 1 − ξp2a ∈ P . Procedendo allo stesso modo, si vede che 1 − ξpl a ∈ P ∀l > 0. Si è cosı̀ dimostrato che: ∀l > 0 ξpl a ≡ 1 (mod P ). (1.13) Dalla (1.13) e dal fatto che ∀i > 0, σ(ξpi a ) = ξpl a per qualche l > 0 segue immediatamente che: σ(ξpi a ) ≡ 1 (mod P ). ∀i > 0 (1.14) Si noti che ogni intero 0 6 k 6 m − 1 ammette una rappresentazione della forma k = sm0 +tpa con s, t ∈ Z. Infatti, (pa , m0 ) = 1 implica che, per l’identità di Bézout, esistono a, b ∈ Z tali che am0 +P bpa = 1 e pertanto k = kam0 + kbpa . m−1 k Quindi ogni elemento y ∈ Z[ξm ], y = k=0 ak ξm può essere scritto nella forma: a −1 pX y= Ai ξpi a con Ai ∈ Z[ξm0 ] i=0 k = ξ s ξ t ). Tenuto conto di (1.12), ( sia k fissato, 0 6 k 6 m − 1, allora ξm pa m0 (1.13) e (1.14), si ha che ∀y ∈ Z[ξm ] risulta: σ(y) = a −1 pX (1.14) σ(Ai )σ(ξpi a ) ≡ i=0 a −1 pX = σ( i=0 (1.12) a −1 pX Ai ) ≡ ( a −1 pX σ(Ai ) = i=0 Ai ) i=0 pj (1.13) ≡ ( a −1 pX j j Ai ξpi a )p = y p (mod P ). i=0 pj j Pertanto, ∀y ∈ Z[ξm ]: σ(y) ≡ y ( mod P ). Se si assume y ∈ P , allora y p ∈ P e pertanto σ(y) ∈ P . Dunque σ(P ) ⊆ P . Poichè P e σ(P ) sono ideali primi (non nulli) e quindi massimali di Z[ξm ], risulta σ(P ) = P . Osservazione 1.3.8 Se si vede l’automorfismo σ del Teor. 1.3.7 come elemento del gruppo di Galois Gal(Q(ξm0 )/Q), cioè come automorfismo di Q(ξm0 ), per il Teor. 1.1.10, tale σ si estende a ϕ(pa ) = [Q(ξm ) : Q(ξm0 )] automorfismi di Q(ξm ). Poichè 0 6 j 6 om0 (p) − 1, gli automorfismi di Q(ξm ) del tipo σ del Teor. 1.3.7 sono in tutto in numero pari a ϕ(pa )om0 (p). E tale è proprio la cardinalità del gruppo di decomposizione di P ( (1.9) dell’Oss. 1.3.5). 1.3 Gruppo di decomposizione di un ideale primo in un campo ciclotomico 35 Alla luce di tutto ciò che precede, si può concludere con il seguente fondamentale teorema che caratterizza completamente il gruppo di decomposizione di un ideale primo in un campo ciclotomico, e che riassume tutti i risultati delle precedenti sezioni. Teorema 1.3.9 Sia p un numero primo, m > 0 un intero positivo, m = pa m0 , (p, m0 ) = 1, a > 0, m0 > 1. Sia f = om0 (p), g = ϕ(m0 )/f , P1 , P2 , . . . , Pg siano gli ideali primi distinti di Z[ξm ] che giacciono su p. Allora: t DP1 = DP2 = . . . = DPg = {σ ∈ G|σ(ξm ) = ξm , t ≡ pj (mod m0 ) j > 0} (dove G = Gal(Q(ξm )/Q)) Osservazione 1.3.10 Sia I un ideale (non nullo) proprio di Z[ξm ]. Si supponga che Pj1 , . . . , Pjn siano gli ideali primi distinti di Z[ξm ] che giacciono su p (Pj1 ∩ Z = Pj2 ∩ Z = . . . = Pjn ∩ Z = pZ) e che compaiono nella fattorizzazione prima di I, con indici (rispettivamente) e1 , e2 , . . . , en (ei > 1). Sia infine σ ∈ Gal(Q(ξm )/Q) un automorfismo di Galois del campo ciclotomico Q(ξm ) che fissa l’ideale I (σ(I) = I). Allora si presentano due possibilità (per il Teor. 1.3.9): 1. ∀i = 1, . . . , n σ(Pji ) = Pji 2. ∀i = 1, . . . , n σ(Pji ) 6= Pji Nel caso (2), σ permuta gli ideali primi Pj1 , . . . , Pjn (in generale σ trasforma un ideale primo su p in un altro che giace ancora su p ). Inoltre, poichè σ fissa I (per la unicità della fattorizzazione prima degli ideali in anelli di interi), dovrà necessariamente verificarsi quanto segue: Pje11 Pje22 · · · Pjenn = (Ph1 · · · Phs )c (Pk1 · · · Pkr )d · · · (Pt1 · · · Ptv )l con σ(Ph1 · · · Phs ) = Ph1 · · · Phs σ(Pk1 · · · Pkr ) = Pk1 · · · Pkr .. . σ(Pt1 · · · Ptv ) = Pt1 · · · Ptv Osservazione 1.3.11 Si consideri l’ideale I + (ph ) = M CD(I, (ph )) (p numero primo, h > 1) in Z[ξm ]. Si presentano due casi: 36 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri 1. Nessun ideale primo che giace su p compare nella fattorizzazione prima di I e pertanto I + (ph ) = Z[ξm ]; 2. I e (ph ) non sono relativamente primi, e in tal caso, se Pj1 , . . . , Pjn sono gli ideali primi distinti di Z[ξm ] che giacciono su p e che compaiono nella fattorizzazione prima di I, con indici (rispettivamente) e1 , e2 , . . . , en si ha che: I + (ph ) = Pjr11 Pjr22 · · · Pjrnn j1 , . . . , jn ∈ {1, . . . , g} dove (ph ) = (P1 P2 · · · Pg )hϕ(p a) (si veda il Teor. 1.2.32 per le notazioni) e r1 = min{hϕ(pa ), e1 } .. . rn = min{hϕ(pa ), en }. Lemma 1.3.12 Se σ ∈ Gal(Q(ξm )/Q) fissa l’ideale I, allora σ fissa anche l’ideale J = I + (ph ) per ogni numero primo p e per ogni intero positivo h > 1. Dimostrazione. Se J = Z[ξm ], (caso (1) dell’Oss. 1.3.11), l’asserto è ovvio (µ(Z[ξm ]) = Z[ξm ] ∀µ ∈ Gal(Q(ξm )/Q), poichè Q(ξm ) è un’estensione di Galois di Q). Si consideri il caso non banale (2) dell’Oss. 1.3.11. In virtù dell’Oss. 1.3.10, si presentano due possibilità. Se ∀i = 1, . . . , n σ(Pji ) = Pji , l’asserto è ovvio. Si consideri la seconda possibilità. In questo caso gli ideali primi Pj1 , . . . , Pjn si possono raggruppare in modo che: Pje11 Pje22 · · · Pjenn = (Ph1 · · · Phs )c (Pk1 · · · Pkr )d · · · (Pt1 · · · Ptv )l con σ(Ph1 · · · Phs ) = Ph1 · · · Phs σ(Pk1 · · · Pkr ) = Pk1 · · · Pkr .. . σ(Pt1 · · · Ptv ) = Pt1 · · · Ptv 1.4 Teorema della ‘discesa di campo’ 37 È chiaro che anche J = I + (ph ) si presenterà nella forma: 0 0 J = (Ph1 · · · Phs )c (Pk1 · · · Pkr )d · · · (Pt1 · · · Ptv )l 0 con c0 = min{c, hϕ(pa )} d0 = min{d, hϕ(pa )} .. . l0 = min{l, hϕ(pa )}. Pertanto σ(J) = J. 1.4 Teorema della ‘discesa di campo’ In questa sezione vengono elencati alcuni risultati ben noti di teoria dei numeri elementare ed alcuni lemmi relativi ai campi ciclotomici. Lemma 1.4.1 (Lemma di Euclide) Siano a, b, c interi positivi, tali che (a, b) = 1 e a | bc. Allora a | c. Teorema 1.4.2 (Teorema di Eulero-Fermat) Siano a, n ∈ Z, n > 0. Se (a, n) = 1, allora: aϕ(n) ≡ 1 (mod n). Corollario 1.4.3 (Piccolo Teorema di Fermat) Se p è un numero primo e a è un intero tale che p - a,allora: ap−1 ≡ 1 (mod p). Lemma 1.4.4 Siano a, b, n interi, con n > 0. La congruenza aX ≡ b (mod n) ha soluzioni in Z se e solo se (a, n) | b. Lemma 1.4.5 Siano a, b, v, n1 interi, con n1 > 0, d = (n1 , v), n2 := n1 /d. Se va ≡ vb (mod n1 ) allora si ha che: a ≡ b (mod n2 ) 38 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri Lemma 1.4.6 Siano w, b, c interi positivi, (b, c) = 1. Allora se w | bc, si ha che: w = (w, b)(w, c) Dimostrazione. Per l’identità di Bézout si ha che (w, b) = wx1 + by1 con x1 , y1 ∈ Z; (w, c) = wx2 + cy2 con x2 , y2 ∈ Z. Quindi (w, b)(w, c) = w(wx1 x2 + bx2 y1 + cx1 y2 ) + bcy1 y2 Ne segue che w | (w, b)(w, c). D’altra parte (b, c) = 1 e quindi sempre per l’identità di Bézout esistono due interi x e y tali che bx + cy = 1 e quindi w = wbx + wcy. Si noti che (w, b) | b e (w, c) | w cosı̀ che (w, b)(w, c) | wbx; anche (w, b) | w e (w, c) | c cosı̀ che (w, b)(w, c) | wcy. Ne segue che (w, b)(w, c) | w. Corollario 1.4.7 Se a, b, c sono interi positivi e (b, c) = 1 allora: (a, b)(a, c) = (a, bc). Dimostrazione. Posto d = (a, bc), d | bc e quindi per il Lemma 1.4.6 d = (d, b)(d, c) cioè (a, bc) = ((a, bc), b)((a, bc), c) Ma ((a, bc), b) = (a, b) e ((a, bc), c) = (a, c). Lemma 1.4.8 Sia m > 0 un intero positivo e p un numero primo. Allora: ϕ(mp) = ϕ(m) ⇔ m e0 dispari e p = 2. Dimostrazione. Si dimostra l’implicazione ⇐. Se m = 1 e p = 2, ϕ(2) = ϕ(1) = 1. Se m > 1, allora m = pc11 · · · pct t , pi 6= 2 ∀i = 1, . . . , t. Allora mp = 2m = 2pc11 · · · pct t e quindi ϕ(mp) = ϕ(2pc11 · · · pct t ) = ϕ(2)ϕ(m) = ϕ(m). Si prova ora l’altra implicazione ⇒. Se p | m, allora m = pc1 pc22 · · · pct t ci > 1 ∀i = 1, . . . , t. Dunque mp = pc1 +1 pc22 · · · pct t . Ne segue che: ϕ(mp) = pc1 (p − 1)pc22 −1 (p2 − 1) · · · pct t −1 (pt − 1) = pϕ(m) 6= ϕ(m) Pertanto, se ϕ(mp) = ϕ(m), necessariamente p - m. Allora m = pc11 · · · pct t con pi 6= p ∀i = 1, . . . , t, mp = ppc11 · · · pct t e ϕ(mp) = (p − 1)ϕ(m). Per ipotesi ϕ(mp) = ϕ(m). Allora (p − 1)ϕ(m) = ϕ(m) cioè p − 1 = 1 cioè p = 2. Da ciò segue che m deve essere dispari (2 - m). 1.4 Teorema della ‘discesa di campo’ 39 Lemma 1.4.9 Siano m ed r due interi positivi, tali che m | r. Allora sono equivalenti le seguenti condizioni: 1. ϕ(m) = ϕ(r) 2. m = r oppure m e0 dispari e r = 2m. Dimostrazione. (2) ⇒ (1). Trascurando il caso banale m = r, si supponga che m sia dispari, e che r = 2m. La (1) discende facilmente dalla formula per la funzione ϕ di Eulero, dal momento che m = pc11 · · · pct t , pi 6= 2 ∀i = 1, . . . , t, r = 2pc11 · · · pct t e dunque: ϕ(r) = ϕ(pc11 · · · ptct )ϕ(2) = ϕ(m) (1) ⇒ (2). Si supponga che m < r. Per ipotesi m | r, quindi r = mb dove b > 1. Inoltre ϕ(m) = ϕ(mb). Se p è un divisore primo di b, allora mp | mb e quindi ϕ(mp) | ϕ(mb) = ϕ(m). m | mp ⇒ ϕ(m) | ϕ(mp). In definitiva ϕ(mp) = ϕ(m). In virtù del Lemma 1.4.8 m deve essere dispari e p = 2. È chiaro che b/p non può contenere altri divisori primi, dato che ciò contraddirebbe l’ipotesi ϕ(m) = ϕ(mb). Pertanto b = p = 2 e r = 2m. (si osservi che se b = 2h necessariamente h = 1, perchè ϕ(mb) = ϕ(m)ϕ(b) = ϕ(m)ϕ(2h ) = ϕ(m)2h−1 = ϕ(m) e quindi 2h−1 = 1 cioè h = 1). Osservazione 1.4.10 Nel corso della dimostrazione del lemma 1.4.9, si è fatto uso della seguente implicazione: m | n ⇒ ϕ(m) | ϕ(n) che segue dalla formula per la funzione ϕ di Eulero. Infatti se n = pa11 · · · pat t , ai > 0, m | n equivale a dire che m = pb11 · · · pbt t , 0 6 bi 6 ai ∀i = 1, . . . , t. Allora: ϕ(n) = pa11 −1 (p1 − 1) · · · pat t −1 (pt − 1) ϕ(m) = p1b1 −1 (p1 − 1) · · · pbt t −1 (pt − 1) ove se bi = 0 manca il termine pbi i −1 . Chiaramente ϕ(m) | ϕ(n). Proposizione 1.4.11 Sia m > 0 un intero positivo, ξm = e2πi/m . Se m j è pari, le sole radici di 1 in Q(ξm ) sono le m-esime radici di 1 (ξm , j = 0, 1, . . . , m − 1). Se m è dispari, le sole radici di 1 in Q(ξm ) sono le 2m-esime j radici di 1 (±ξm , j = 0, 1, . . . , m − 1). 40 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri Dimostrazione. Sia m pari. θ ∈ Q(ξm ) sia una radice di 1. Si supponga km che θ = e2πih/k con (h, k) = 1(θ = ξkh ). Sia r = mcm(k, m) = (k,m) . Per l’identità di Bézout (applicata due volte) esistono interi u, t, a e b tali che: (k, m) = uk + tm Pertanto: ξr = e 2πi(k,m) km =e 1 = ah + bk 2πi(uk+tm) km u v = ξm θ ove v = at. In definitiva si è provata l’esistenza di due interi u e v tali u θ v . Quindi ξ ∈ Q(ξ ). Da ciò segue che Q(ξ ) ⊆ Q(ξ ) e che ξr = ξm r m r m quindi ϕ(r) 6 ϕ(m). D’altra parte m | r e pertanto ϕ(m) 6 ϕ(r). Dunque ϕ(m) = ϕ(r). In virtù del Lemma 1.4.9, deve risultare necessariamente m = r (essendo m pari). Pertanto k | m cioè m = ks per qualche intero s e: θ=e 2πih k =e 2πihs ks =e 2πihs m hs j = ξm = ξm avendo posto j = hs. Sia ora m dispari. L’asserto segue dal fatto che in tal caso Q(ξm ) = Q(ξ2m ). Infatti, m | 2m ⇒ Q(ξm ) ⊆ Q(ξ2m ). Occorre provare l’altra inclusione Q(ξ2m ) ⊆ Q(ξm ), e per fare ciò basta dimostrare che ξ2m ∈ Q(ξm ). Si osservi che: m+1 ξ2m = −ξ2m 2πim m+1 m ξ = ξ2m Infatti ξ2m 2m = e 2m ξ2m = −ξ2m . m + 1 è pari e quindi m + 1 = 2h per qualche intero h. Dunque 2h ξ2m = −ξ2m = −e 2πi2h 2m = −e 2πih m h = −ξm ∈ Q(ξm ) Questo completa la dimostrazione. Lemma 1.4.12 Siano m, n > 0 interi positivi relativamente primi. j k j supponga che ξm ξn = 1. Allora ξm = 1 e ξnk = 1. Si Dimostrazione. Si può sempre considerare 0 6 j < m e 0 6 k < n. j k ξm ξn = e2πi( nj+mk ) mn nj+mk 0 = ξmn = 1 = ξmn Ne segue che nj + mk ≡ 0 (mod mn) cioè nj + mk = smn con s > 0 intero non negativo. Per le limitazioni imposte a j e k, si ha necessariamente s < 2. Infatti: nj = smn−mk = m(sn−k) < mn(j < m) ⇒ sn−k < n ⇒ (s−1)n < k < n ⇒ 1.4 Teorema della ‘discesa di campo’ 41 ⇒s−1<1⇔s<2 Pertanto s = 0 oppure s = 1. Se fosse s = 1, allora nj + mk = mn ⇒ n | mk (n, m) = 1 ⇒ n | k ⇒ k = 0 (se k 6= 0, si avrebbe n 6 k < n). Allora nj = mn e quindi j = m e ciò contraddice l’ipotesi fatta su j. Dunque è necessariamente s = 0. Cioè: nj + mk = 0 ⇒ nj = −mk ⇒ j 6 0 ⇒ j = 0 Analogamente si vede che k = 0. Osservazione 1.4.13 Il Lemma 1.4.12 si estende (per induzione) ad ogni prodotto di un numero finito di radici di 1, di ordini a due a due coprimi. Q Osservazione 1.4.14 Sia m > 0, 0 6 j < m, m = ti=1 pci i . Allora esistono u1j , u2j , . . . , utj interi tali che: j ξm = t Y u ξpciji i=1 i Infatti supponendo t > 1 (per t = 1 l’asserto è banale), osservato che ( t Y pckk , t Y pckk , . . . , t Y k=1 k=1 k=1 k6=1 k6=2 k6=t pckk ) = 1 per l’identità di Bézout esistono t interi r1 , . . . , rt tali che 1 = r1 t Y pckk + · · · + rt t Y k=1 k=1 k6=1 k6=t pckk Dunque j = r1 j t Y pckk + · · · + rt j t Y k=1 k=1 k6=1 k6=t pckk Posto uij = ri j si ha facilmente l’asserto. Teorema 1.4.15 Siano m,n > 0 interi positivi, d = (m, n). Allora: Q(ξm ) ∩ Q(ξn ) = Q(ξd ). 42 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri Dimostrazione. Sia f = mn/d il minimo comune multiplo di m e n. Per l’identità di Bézout, esistono due interi a e b tali che: am + bn = d. Ne segue che: b ξna ξm = ξf . Ciò implica che: Q(ξf ) ⊆ Q(ξm )Q(ξn ). Poichè chiaramente Q(ξm ) e Q(ξn ) sono contenuti in Q(ξf ) (in generale, se h k/h divide k allora Q(ξh ) ⊆ Q(ξk ) perchè ξh = ξk ), segue che: Q(ξm )Q(ξn ) ⊆ Q(ξf ). In ultima analisi, si è provato che: Q(ξm )Q(ξn ) = Q(ξf ). (1.15) Poichè Q(ξd ) ⊆ Q(ξm ) e Q(ξd ) ⊆ Q(ξn ), si ha che: Q(ξd ) ⊆ Q(ξm ) ∩ Q(ξn ). (1.16) Per il Teor. 1.1.41, risulta che: [Q(ξm ) : (Q(ξm ) ∩ Q(ξn ))] = [Q(ξm )Q(ξn ) : Q(ξn )]. Tenuto conto della (1.15), si ha: [Q(ξm ) : (Q(ξm ) ∩ Q(ξn ))] = [Q(ξf ) : Q(ξn )]. (1.17) Per una proprietà elementare della funzione ϕ di Eulero ϕ(m)ϕ(n) = ϕ(f )ϕ(d). Pertanto la (1.17) implica che: [Q(ξm ) : (Q(ξm ) ∩ Q(ξn ))] = ϕ(f )/ϕ(n) = ϕ(m)/ϕ(d). Quindi [(Q(ξm ) ∩ Q(ξn )) : Q] = ϕ(d). Poichè [Q(ξd ) : Q] = ϕ(d), la (1.18) e l’inclusione (1.16) implicano che: Q(ξm ) ∩ Q(ξn ) = Q(ξd ). Resta cosı̀ provato il teorema. (1.18) 1.4 Teorema della ‘discesa di campo’ 43 Lemma 1.4.16 Siano a, b ∈ Z,t,v > 0 interi positivi relativamente primi tali che: a ≡ b (mod t) a ≡ b (mod v) Allora: a ≡ b (mod tv) Lemma 1.4.17 Se l > 1 è un intero positivo, a,b interi e p un numero primo, allora: a ≡ b (mod pl ) ⇒ ap ≡ bp (mod pl+1 ) Dimostrazione. Si può scrivere a = b + cpl con c intero. Quindi per la formula del binomio: p p−1 l p ap = (b + cpl )p = bp + b cp + · · · + bcp−1 pl(p−1) + cp plp 1 p−1 quindi ap = bp + bp−1 cpl+1 + · · · + bcp−1 pl(p−1)+1 + cp plp Al solito p | kp ∀k = 1, . . . , p − 1 e questo implica che: p 2l+1 p p−2 2 2l | b c p 2 .. . p(p−1)l+1 | bcp−1 pl(p−1) Inoltre 2l + 1 > l + 1 3l + 1 > l + 1 .. . (p − 1)l + 1 > l + 1 lp > l + 1 da cui la tesi. 44 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri Lemma 1.4.18 Siano a ∈ Z, p un numero primo, p > 3 e b un intero positivo (b > 1). Allora ∀h > 0 risulta che: h (1 + apb )p ≡ 1 + apb+h (mod pb+h+1 ). Dimostrazione. Si procede per induzione su h. Se h = 0 l’asserto è ovvio. Si supponga ora che il lemma sia vero per qualche h > 0. Occorre dimostrare che è vero per h + 1, cioè che: (1 + apb )p h+1 ≡ 1 + apb+h+1 (mod pb+h+2 ). (1.19) Per l’ipotesi induttiva h (1 + apb )p ≡ 1 + apb+h (mod pb+h+1 ). (1.20) Applicando il Lemma 1.4.17 alla (1.20) (elevando alla p-esima potenza) si ha: (1 + apb )p h+1 ≡ (1 + apb+h )p (mod pb+h+2 ). (1.21) Per la formula del binomio si ha: p 2 2(b+h) b+h p b+h+1 a p +· · ·+ap−1 p(p−1)(b+h)+1 +ap p(b+h)p . (1+ap ) = 1+ap + 2 Poichè p | kp ∀k = 1, . . . , p − 1 si ha: p 2 2(b+h) 2(b+h)+1 p | a p 2 p 3 3(b+h) 3(b+h)+1 p | a p 3 .. . p(p−1)(b+h)+1 | ap−1 p(p−1)(b+h)+1 Osservato che: 2(b + h) + 1 > b + h + 2 3(b + h) + 1 > b + h + 2 .. . (p − 1)(b + h) + 1 > b + h + 2 1.4 Teorema della ‘discesa di campo’ 45 p(b + h) > b + h + 2 si deduce che (1 + apb+h )p ≡ 1 + apb+h+1 (mod pb+h+2 ) Per transitività la tesi segue dalla (1.21). Un lemma analogo vale per p = 2, con l’eccezione che, in tal caso, occorre supporre b > 2 (frequentemente in teoria dei numeri 2 è trattato in modo differente), come si vede nel seguente: Lemma 1.4.19 Siano a ∈ Z e b > 2 interi. Allora ∀h > 0 risulta che: h (1 + a2b )2 ≡ 1 + a2b+h (mod 2b+h+1 ). Dimostrazione. Si procece anche qui per induzione su h. Per h = 0 l’asserto è banale. Si supponga che sia vero per qualche h > 0. Si dimostra che esso è vero anche per h + 1, cioè che: h+1 (1 + a2b )2 ≡ 1 + a2b+h+1 (mod 2b+h+2 ). (1.22) Per l’ipotesi induttiva h (1 + a2b )2 ≡ 1 + a2b+h (mod 2b+h+1 ). (1.23) Applicando il Lemma 1.4.17 alla (1.23) (elevando al quadrato) si ha: h+1 (1 + a2b )2 ≡ (1 + a2b+h )2 (mod 2b+h+2 ). (1.24) Poichè 2(b + h) > b + h + 2 (si ricordi che b > 2) si ha che: (1 + a2b+h )2 ≡ 1 + a2b+h+1 (mod 2b+h+2 ) La tesi segue pertanto dalla (1.24) per transitività. Lemma 1.4.20 Sia p > 3 un numero primo, a ∈ Z tale che p - a, b > 1 un intero positivo. Allora ∀h > 0 risulta che: opb+h (1 + apb ) = ph . Dimostrazione. Si procede per induzione su h. Per h = 0 l’asserto è ovvio. Si supponga vero il lemma per qualche h > 0. Si dimostra che lo è anche per h + 1, cioè che: opb+h+1 (1 + apb ) = ph+1 46 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri Per l’ipotesi induttiva h (1 + apb )p ≡ 1 (mod pb+h ) Applicando a tale congruenza il Lemma 1.4.17 si ha: (1 + apb )p h+1 ≡ 1 (mod pb+h+1 ) Pertanto opb+h+1 (1 + apb ) | ph+1 . Per dimostrare l’asserto, basta provare che h (1 + apb )p 6≡ 1 (mod pb+h+1 ) h In effetti, per il Lemma 1.4.18, (1 + apb )p ≡ 1 + apb+h (mod pb+h+1 ). Se fosse h (1 + apb )p ≡ 1 (mod pb+h+1 ) allora si avrebbe che apb+h ≡ 0 (mod pb+h+1 ) cioè pb+h+1 | apb+h . Ma (pb+h+1 , a) = 1 (dato che p - a). Pertanto (Lemma 1.4.1) pb+h+1 | pb+h e ciò è assurdo. Lemma 1.4.21 Sia b > 2, a ∈ Z tale che 2 - a. Allora ∀h > 0 risulta che: o2b+h (1 + a2b ) = 2h . Dimostrazione. Si procede per induzione su h. Per h = 0 l’asserto è ovvio. Si supponga vero il lemma per qualche h > 0. Si dimostra che lo è anche per h + 1, cioè che: o2b+h+1 (1 + a2b ) = 2h+1 Per l’ipotesi induttiva h (1 + a2b )2 ≡ 1 (mod 2b+h ) Applicando a tale congruenza il Lemma 1.4.17 si ha: h+1 (1 + a2b )2 ≡ 1 (mod 2b+h+1 ). Dunque, come già fatto nel Lemma 1.4.20, o2b+h+1 (1 + a2b ) | 2h+1 , e per dimostrare l’asserto, basta provare che h (1 + a2b )2 6≡ 1 (mod 2b+h+1 ) h Per il Lemma 1.4.19, (1 + a2b )2 ≡ 1 + a2b+h (mod 2b+h+1 ). Pertanto se fosse h (1+a2b )2 ≡ 1(mod 2b+h+1 ) seguirebbe che 2b+h+1 | a2b+h . Ma (2b+h+1 , a) = 1 (dato che 2 - a). Pertanto (Lemma 1.4.1) 2b+h+1 | 2b+h e ciò è assurdo. Tali lemmi elementari sugli ordini moltiplicativi servono a dimostrare il seguente fondamentale teorema di struttura: 1.4 Teorema della ‘discesa di campo’ 47 Teorema 1.4.22 Se p è un numero primo dispari (p > 3), b > 1 un intero positivo, allora il gruppo moltiplicativo Z∗pb è ciclico. Z∗2b è ciclico solo se b = 1 o b = 2. Se b > 3, Z∗2b è isomorfo al prodotto Z2 × Z2b−2 . Tale teorema di struttura giustifica il seguente lemma: Lemma 1.4.23 Siano s e t interi tali che opb (s) = opb (t) è una potenza di p. Inoltre, se p = 2 si supponga s ≡ t ≡ 1 (mod 4). Allora s e t generano lo stesso sottogruppo del gruppo moltiplicativo Z∗pb (p è un numero primo e b > 1 un intero positivo). Dimostrazione. Se p 6= 2, per il Teor.1.4.22, Z∗pb è ciclico di ordine pb−1 (p − 1). Pertanto ∀0 6 h 6 b − 1 esiste un unico sottogruppo di Z∗pb di ordine ph (per una proprietà caratteristica dei gruppi ciclici). Se p = 2, eccettuato il caso banale di b = 1 e b = 2, per il Teor.1.4.22, Z∗2b con b > 3 è prodotto diretto di due sottogruppi ciclici, uno di ordine 2 generato da −1 e uno di ordine 2b−2 generato da 5. Sia H = h−1i e K = h5i e pertanto Z∗2b = HK. Se s e t sono interi tali che s ≡ t ≡ 1 (mod 4), allora, necessariamente s e t sono elementi di K, cioè per qualche 0 6 h, k < 2b−2 risulta: s ≡ 5h (mod 2b ) t ≡ 5k (mod 2b ) Infatti s, in quanto elemento di Z∗2b , può scriversi in un sol modo come s = (−1)n (5)m con n ∈ {0, 1} e m ∈ {0, 1, . . . , 2b−2 − 1}. Se fosse n = 1, allora si avrebbe che s = (−1)(5)m = (−5m ) Quindi s ≡ −5m (mod 2b ) e in particolare s ≡ −5m (mod 4) (essendo b > 3). D’altra parte −5m ≡ −1 (mod 4) e quindi s ≡ −1 (mod 4). E’ chiaro che ciò contraddice le ipotesi fatte su s. Allo stesso modo si procede con l’intero t. L’asserto segue dalla ciclicità di K. Definizione 1.4.24 Siano m,n interi positivi, e sia m = fattorizzazione prima di m. Per ogni divisore primo q di n sia: Q se m è dispari o q = 2 pi 6=q pi Q mq = 4 pi 6=2,q pi altrimenti Qt ci i=1 pi la 48 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri Sia D(n) l’insieme dei divisori primi di n. Si definisce F (m, n) = t Y pbi i i=1 Qt come il minimo multiplo di i=1 pi tale che per ogni coppia (i, q), i ∈ {1, . . . , t}, q ∈ D(n), è soddisfatta almeno una delle seguenti condizioni: 1. q = pi e (pi , bi ) 6= (2, 1), 2. bi = ci , 3. q 6= pi e q omq (q) 6≡ 1 (mod pibi +1 ). Osservazione 1.4.25 E’ possibile fornire una formula esplicita per i numeri bi . Si noti dapprima che, per i fissato, l’insieme degli interi positivi x che soddisfano q omq (q) 6≡ 1 (mod px+1 ) i per ogni q ∈ D(n)\{pi } è un intervallo [ei , ∞) con ei > 1. Si ha che: 2 se pi = 2, ci > 2, ei = 1, bi = min(ci , ei ) altrimenti Infatti si noti che se pi = 2, ci > 2, ei = 1, allora n deve essere una potenza di 2 (se n avesse un divisore primo dispari q, allora q omq (q) ≡ 1 (mod 4) per definizione di mq ). Allora deve valere la (1) o la (2) della Def.1.4.24 per pi = q = 2. Ciò assicura che bi = 2. Si noti, infine, che se pi = 2 e m 6≡ 2 (mod 4) allora bi > 2. Si è ora in grado di dimostrare il seguente profondo teorema: Teorema 1.4.26 Siano m ed n interi positivi. Sia X ∈ Z[ξm ] tale che XX = n. Allora esiste un intero j tale che j Xξm ∈ Z[ξF (m,n) ]. Dimostrazione. Poichè Z[ξm ] = Z[ξm/2 ] se m ≡ 2 (mod 4), si può supQ Q porre m 6≡ 2 (mod 4). Si scriva m = ti=1 pci i e F (m, n) = ti=1 pbi i come in Def.1.4.24. Si ricordi che ∀i = 1, . . . , t 1 6 bi 6 ci e per l’Oss.1.4.25, bi > 2 se pi = 2. Per ogni i = 1, . . . , t, sia si un intero tale che: Y cj si ≡ 1 (mod pbi i ) si 6≡ 1 (mod pbi i +1 ) si ≡ 1 (mod pj ). j6=i 1.4 Teorema della ‘discesa di campo’ 49 Allora, per i Lemmi 1.4.20 e 1.4.21 opci (si ) = pici −bi = yi i si . Sia Sia definito σi ∈ Gal(Q(ξm )/Q) da σi (ξm ) = ξm Fix(σi ) = {Y ∈ Q(ξm )|σi (Y ) = Y } e Fi = m/pci i −bi Per le assunzioni fatte su si , chiaramente o(σi ) = yi = |hσi i|, dove Hi = hσi i è il sottogruppo di Gal(Q(ξm )/Q) generato da σi . Per il Teorema Fondamentale della Teoria di Galois(Teorema di corrispondenza di Galois) risulta: [Fix(σi ) : Q] = (G : Hi ) = ϕ(m)/pci i −bi (1.25) Q c dove G = Gal(Q(ξm )/Q). Poichè si ≡ 1 (modpbi i ) e si ≡ 1 (mod j6=i pjj ) Q c per il Lemma 1.4.16 si ha che si ≡ 1 (mod Fi ) dato che Fi = pbi i j6=i pjj e Q c (pbi i , j6=i pjj ) = 1. Ne segue che σi (ξFi ) = ξFsii = ξFi cioè che ξFi ∈ F ix(σi ) e pertanto che Q(ξFi ) ⊆ Fix(σi ) (1.26) Per il Cor.1.1.28 [Q(ξFi ) : Q] = ϕ(Fi ) = ϕ(m)/pci i −bi (1.27) Da (1.25), (1.26) e (1.27) si deduce che, necessariamente Fix(σi ) = Q(ξFi ) ∀i = 1, . . . , t. (1.28) Si suddivida, ora, la dimostrazione in tre passi. Passo 1 Per ogni i = 1, . . . , t e per ogni divisore primo q di n, l’automorfismo σi fissa tutti gli ideali primi di Z[ξm ] che giacciono su q. Si fissi un i ∈ {1, . . . , t} e un divisore primo q di n. Per il Teor. 1.3.9, l’asserto è provato se esiste un intero li > 0 tale che li q si = ξM σi (ξMq ) = ξM q q dove Mq = ipotesi Q c pj 6=q pjj . Se pi = q, allora si può prendere li = 0 poichè per si ≡ 1 (mod Y c pj j ) j6=i Pertanto, si può assumere pi 6= q. Sia Q = q omq (q) . Si noti che per ogni h pj 6= q,risulta che opcj (Q) = pj j per qualche hj > 0 poichè Q ≡ 1 (mod pj ) j 50 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri dalla definizione di mq e per i Lemmi 1.4.20 e 1.4.21. Si prova, ora, che hi > ci −bi , cioè che opci (Q) è divisibile per pci i −bi . Questo è ovvio se ci = bi . In i caso contrario, deve essere soddisfatta la condizione (3) della Def. di F (m, n) e quindi Q 6≡ 1(mod pibi +1 ). Allora i Lemmi 1.4.20 e 1.4.21 implicano che opci (Q) i è multiplo di pci i −bi . Si osservi che i Lemmi 1.4.20 e 1.4.21 sono effettivamente applicabili poichè bi > 1 per ogni i e bi > 2 se pi = 2. Poichè gli ordini di Q c modulo pjj , j = 1, . . . , t, pj 6= q, sono relativamente primi, esiste un intero ki tale che: opci (Qki ) = opci (Q) i i e c Qki ≡ 1 (mod pjj ) ∀j 6= i pj 6= q In effetti basta prendere h Y ki = pj j j6=i,pj 6=q Si ricordi che hi > ci − bi . Posto vi = hi − (ci − bi ), si vede facilmente che vi opci (Qki pi ) = opci (si ) = pci i −bi i i v ki pi i Per il Lemma 1.4.23 gli interi Q e si generano lo stesso sottogruppo del ∗ gruppo moltiplicativo Zpci . Pertanto esiste un intero ni tale che i vi si = Qki pi ni in Z∗pci i cioè si ≡ Qki ri (mod pci i ) dove ri = pvi i ni . Si noti che il Lemma 1.4.23 è applicabile nel caso in cui pi = 2 se Q ≡ 1 (mod 4). Ma questo segue Q dalla definizione di mq . Infatti, in questo caso, m è pari, e quindi mq = 4 pj 6=2,q pj . Per definizione di ordine moltiplicativo: Q ≡ 1 (mod mq ) da cui Q ≡ 1 (mod 4) c In ultima analisi, poichè Qki ri ≡ si (mod pci i ) e Qki ri ≡ 1 ≡ si (mod pjj ) per ogni j 6= i con pj 6= q si conclude che (per il Lemma 1.4.16): Qki ri ≡ si (mod Mq ) 1.4 Teorema della ‘discesa di campo’ 51 Se si prende li = omq (q)ki ri l’asserto è provato. Passo 2 Per ogni i = 1, . . . , t esiste un intero ji tale che Xζiji ∈ Z[ξFi ] dove ζi = ξpci . i Se ci = bi , l’asserto è ovvio, poichè in tal caso Fi = m. Sia, dunque, ci > bi . Dall’ipotesi che XX = n e da quanto provato nel Passo 1, segue che l’ideale principale (X) generato da X in Z[ξm ] è fissato da σi e pertanto X e σi (X) generano lo stesso ideale in Z[ξm ]. Allora ∃ε ∈ Z[ξm ], ε elemento invertibile tale che σi (X) = εX. (1.29) −1 = Poichè σi commuta con σ−1 , l’automorfismo di Q(ξm ) che a ξm associa ξm ξm , si ha che σi (X) = σi (X) e quindi: |σi (X)|2 = σi (X)σi (X) = σi (X)σi (X) = σi (XX) = σi (n) = n = XX = |X|2 Dalla (1.29) segue che |ε| = 1. Per il Cor. 1.1.36 (del Lemma di Kronecker), k per si ha che ε è una radice dell’unità in Z[ξm ]. Per la Prop.1.4.11 ε = ±ξm qualche intero 0 6 k < m. Quindi per l’Oss.1.4.14 si può scrivere ε=δ t Y e ζj j (1.30) j=1 con δ = ±1 e δ = 1 se m è pari. Applicando yi − 1 volte l’automorfismo σi all’uguaglianza (1.29) si ottiene: ei δ yi ζi y s i −1 i si −1 Y y ej ζj i = 1. (1.31) j6=i c Infatti, fissato un j 6= i, per le assunzioni fatte su si , risulta che si ≡ 1(mod pjj ) e quindi c syi i −1 ≡ 1 (mod pjj ) c syi i −2 ≡ 1 (mod pjj ) .. . c si ≡ 1 (mod pjj ) c 1 ≡ 1 (mod pjj ) 52 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri da cui si deduce che c siyi −1 + siyi −2 + · · · + si + 1 ≡ yi (mod pjj ) cioè syi i − 1 c ≡ yi (mod pjj ) si − 1 Allora per ogni j = 6 i si ha che ej ζj y s i −1 i si −1 ye = ζj i j . Applicando ripetutamente σi all’uguaglianza (1.29), ricordando che ε = Q e k , si ottiene: δ tj=1 ζj j = δξm k si +1 σi2 (X) = δ 2 (ξm ) X 2 k si +si +1 σi3 (X) = δ 3 (ξm ) X .. . yi −2 k si σiyi −1 (X) = δ yi −1 (ξm ) y −3 +si i k ) X = σiyi (X) = δ yi (ξm da cui δ yi k (ξm ) y s i −1 i si −1 +···+si +1 y s i −1 i si −1 X X =1 Resta cosı̀ provata l’uguaglianza (1.31). Quest’ultima implica, innanzitutto, che δ = 1. Infatti se m è pari, ciò è già noto. Se m è dispari, δ non può essere −1. Se per assurdo fosse m dispari e δ = −1, allora yi sarebbe dispari e quindi h = −1 per qualche intero h, e ciò è assurdo. la (1.31) implicherebbe che ξm Poichè gli ordini dei ζk sono a due a due relativamente primi, per il Lemma 1.4.12 e l’Oss. 1.4.13 segue che y ej ζj i ei ζi = 1 ∀j 6= i y s i −1 i si −1 c (1.32) = 1. (1.33) c D’altra parte la (1.32) implica che pjj | yi ej . Poichè (pjj , yi ) = 1 per il Lemma c 1.4.1 si ha che per ogni j 6= i pjj | ej . Pertanto, la (1.32) può essere cosı̀ riscritta: e ζj j = 1 ∀j 6= i. (1.34) 1.4 Teorema della ‘discesa di campo’ 53 Dalla (1.30) segue che ε = ζiei . Per definizione, pbi i è l’esatta potenza di pi che divide si − 1 e quindi si − 1 = kpbi i (k, pi ) = 1 (1.35) Poichè opci (si ) = pici −bi = yi e opci +1 (si ) = pici −bi +1 per i Lemmi 1.4.20 e 1.4.21, i i l’esatta potenza di pi che divide syi i − 1 è pci i . Infatti se pci i +1 | syi i − 1, allora opci +1 (si ) | yi , cioè pci i −bi +1 | pci i −bi e ciò è palesemente assurdo. Dunque i syi i − 1 = hpci i (h, pi ) = 1. (1.36) y s i −1 Ora, dalla (1.33) segue che pci i | ei sii −1 e quindi in virtù della (1.35) e della (1.36) hpci ei bi = tpci i . kpi i Dunque ei h = tkpbi i . Ne segue che pbi i | ei h. D’altra parte (pbi i , h) = 1, pertanto per il Lemma 1.4.1 pibi | ei . Per il Lemma 1.4.4 esiste un intero ji tale che: (si − 1)ji + ei ≡ 0 (mod pci i ). (1.37) Questo implica che: σi (Xζiji ) = εXζiji si = Xζiji si +ei = Xζiji . Allora Xζiji ∈ Fix(σi ) = Q(ξFi ) per la (1.28). Resta cosı̀ provato anche il secondo asserto. Qt ji Allora Xξ = Passo 3 Come ultimo passo, si ponga ξ = i=1 ζi . Q ji jk ji Xζi k6=i ζk ∈ Z[ξFi ] per ogni i = 1, . . . , t poichè Xζi ∈ Z[ξFi ] per quanQ to provato nel Passo 2 e k6=i ζkjk ∈ Z[ξFi ] per definizione di Fi . Allora T Xξ ∈ ti=1 Z[ξFi ] = Z[ξF (m,n) ] poichè (F1 , F2 , . . . , Ft ) = F (m, n) e per i Teoremi 1.1.25 e 1.4.15. 54 Risultati preliminari di Teoria Algebrica dei Numeri Capitolo 2 Strutture combinatorie finite In questo capitolo si introducono le strutture combinatorie finite che saranno oggetto di studio della tesi. Per le dimostrazioni omesse di alcuni risultati standard di Teoria dei Disegni si rimanda al testo Design Theory di T.Beth, D.Jungnickel e H.Lenz [7]. 2.1 Disegni Definizione 2.1.1 Siano m, n, k, λ interi positivi con mn > k > 2. Un (m, n, k, λ)-disegno divisibile D = (P, B) è un insieme finito P (i cui elementi si dicono punti) dotato di un insieme finito B di sottoinsiemi di P (i cui elementi si dicono blocchi) soddisfacente le seguenti condizioni: 1. L’insieme P ha mn punti. 2. Ciascun blocco contiene esattamente k punti. 3. L’insieme P dei punti può essere ripartito in m classi, ciascuna contenente n punti, in modo che, comunque si prendano due punti distinti, essi sono contenuti esattamente in λ blocchi comuni se sono in classi distinte; non sono contenuti in nessun blocco comune se appartengono alla stessa classe. Nel caso in cui n = 1, cioè se ciascuna classe contiene un solo punto, si scriverà v invece di m e si parlerà di (v, k, λ)-disegno. Proposizione 2.1.2 Sia D = (P, B) un (m, n, k, λ)-disegno divisibile. Allora, per ciascun punto passano esattamente r blocchi, e risulta: r(k − 1) = λ(mn − n). 56 Strutture combinatorie finite Inoltre, se b denota il numero di blocchi e v = mn, si ha che: vr = bk. Dimostrazione. Sia p ∈ P. Si denoti con rp il numero di blocchi che passano per p. Si determina in due modi differenti la cardinalità dell’insieme X = {(p, q, B) | B ∈ B, p 6= q, p, q ∈ B}. Si può scegliere q in v − 1 modi. Se q è nella stessa classe di p, non ci sono blocchi che passano per p e q. Altrimenti, ci sono λ blocchi che passano per p e q. Quindi, la cardinalità di X è [v − 1 − (n − 1)]λ = λ(mn − n). D’altra parte, per ciascuno degli rp blocchi B contenenti p, il punto q può essere scelto in k − 1 modi. Quindi, la cardinalità di X è anche rp (k − 1). Questo mostra che rp è indipendente dalla scelta di p e prova la prima parte della Proposizione. La seconda parte è altresı̀ immediata e si ottiene determinando in due modi, la cardinalità dell’insieme Y = {(p, B) | B ∈ B, p ∈ B}. Definizione 2.1.3 Sia D = (P, B) un (m, n, k, λ)-disegno divisibile. Si definisce automorfismo di D una bigezione τ : P ∪ B → P ∪ B tale che: 1. τ (P) = P 2. τ (B) = B 3. ∀p ∈ P, ∀B ∈ B, p ∈ B ⇔ τ (p) ∈ τ (B). Tutti gli automorfismi di D costituiscono un gruppo che sarà denotato con Aut D e chiamato il gruppo completo degli automorfismi di D(la legge del gruppo è la composizione di funzioni). Ogni sottogruppo G di Aut D è detto un gruppo di automorfismi di D. Si dice che un gruppo G di automorfismi di D è regolare sui punti (rispettivamente sui blocchi) se per ogni coppia di punti p, q ∈ P (rispettivamente di blocchi B, C ∈ B), esiste un unico automorfismo τ ∈ G tale che τ (p) = q (rispettivamente τ (B) = C). 2.1 Disegni 57 Definizione 2.1.4 Sia D = (P, B) un (m, n, k, λ)-disegno divisibile. Si definisce matrice di incidenza di D, una matrice A = (ap,B )p∈P,B∈B di tipo v × b tale che: 1 se p ∈ B ap,B = 0 altrimenti Definizione 2.1.5 Un (m, n, k, λ)-disegno divisibile D si dice simmetrico se b = v, cioè se la sua matrice di incidenza è quadrata. Per un (v, k, λ)-disegno simmetrico si denota con n = k − λ l’ordine del disegno, e si dice che il disegno simmetrico è banale se n ∈ {0, 1}. Nel seguito, salvo avviso contrario, ci si riferirà esclusivamente a disegni non banali. Inoltre, si denoterà con I e J la matrice identità e la matrice (quadrata) con tutti gli elementi uguali a 1. L’ordine di tali matrici risulterà chiaro dal contesto. Proposizione 2.1.6 Se A è una matrice d’incidenza di un (v, k, λ)-disegno, allora: A · At = (r − λ)I + λJ e det(A · At ) = rk(r − λ)v−1 . Dimostrazione. Chiaramente, AAt è una matrice quadrata di ordine v. Sia bi,j un generico elemento di tale matrice. Se i = j, bi,j rappresenta il numero di 1 nella i-esima riga di A, cioè il numero di blocchi passanti per l’i-esimo punto, che si sa essere pari a r. Se i 6= j, bi,j rappresenta il numero di colonne di A che presentano 1 nelle posizioni corrispondenti alla i-esima e alla j-esima riga di A, cioè il numero di blocchi che contengono l’i-esimo e il j-esimo punto, che si sa essere pari a λ. Resta cosı̀ provata la prima parte della proposizione, cioè che: r λ λ ... λ λ r λ ... λ AAt = λ λ r . . . λ . .. .. .. .. .. . . . . . λ λ λ ... r Ora, si sottragga la prima colonna di AAt a tutte le rimanenti e in questa nuova matrice si addizioni alla prima riga tutte le altre. La matrice C cosı̀ 58 Strutture combinatorie finite ottenuta ha il medesimo determinante di AAt e ha la seguente espressione: r + (v − 1)λ 0 0 ... 0 λ r−λ 0 ... 0 λ 0 r − λ ... 0 C= . .. .. .. .. .. . . . . . λ 0 0 ... r − λ Allora, tenuto conto del fatto che r(k − 1) = λ(v − 1) (Prop. 2.1.2), si ha che: det(AAt ) = det(C) = [r+(v−1)λ](r−λ)v−1 = [r+(k−1)r](r−λ)v−1 = rk(r−λ)v−1 . Questo completa la dimostrazione. Teorema 2.1.7 (Disuguaglianza di Fisher) Se esiste un (v, k, λ)-disegno con v > k, allora b > v. Dimostrazione. Per la Prop. 2.1.2, risulta r(k − 1) = λ(v − 1). Dunque, essendo v > k, si ha che r > λ. Allora, per la Prop. 2.1.6, AAt ha determinante non nullo, cioè è una matrice non singolare di rango v. Da questo segue che: v = rango(AAt ) 6 rango(A) 6 b e l’asserto è provato. Corollario 2.1.8 Una matrice d’incidenza A di un (v, k, λ)-disegno simmetrico non banale è non singolare. Dimostrazione. Per la Prop. 2.1.2, vr = bk. Ne segue che, essendo b = v, risulta r = k. Per la Prop. 2.1.6: det(AAt ) = det(A)2 = k 2 (k − λ)v−1 . Poichè il disegno è non banale, n = k − λ > 2. Quindi det(A) 6= 0. Teorema 2.1.9 (Teorema dell’orbita) Sia D = (P, B) un (v, k, λ)-disegno simmetrico non banale, e G un gruppo di automorfismi di D. Allora il numero di G-orbite su P è uguale al numero di G-orbite su B. In particolare, G è regolare sui punti se e solo se è regolare sui blocchi. Inoltre, un automorfismo ϕ di D ha lo stesso numero di punti fissati e di blocchi fissati. 2.1 Disegni 59 Definizione 2.1.10 Sia D = (P, B) un (m, n, k, λ)-disegno simmetrico divisibile. Un gruppo G di automorfismi di D che agisca regolarmente sia sui punti che sui blocchi è detto gruppo di Singer di D. Si dà, ora, il celebre Teorema di Bruck, Ryser e Chowla che fornisce una condizione necessaria per l’esistenza di disegni simmetrici. Teorema 2.1.11 Se esiste un (v, k, λ)-disegno simmetrico non banale con v pari, allora n = k − λ è un quadrato. Dimostrazione. Sia A una matrice di incidenza del disegno. Per la Prop. 2.1.6: det(AAt ) = det(A)2 = k 2 (k − λ)v−1 e quindi (k − λ)v−1 è un quadrato. Allora, essendo v − 1 dispari, n = k − λ deve essere un quadrato. Il caso in cui v è dispari è leggermente più complicato. Per la dimostrazione del Teorema di Bruck, Ryser e Chowla, risulta necessario il seguente famoso teorema di teoria elementare dei numeri: Teorema 2.1.12 (Teorema di Lagrange, 1770) Ogni intero positivo può essere scritto come somma di quattro quadrati interi. La dimostrazione di tale teorema, noto anche come Teorema dei Quattro Quadrati, sarà data nella prossima sezione. Teorema 2.1.13 (Teorema di Bruck, Ryser e Chowla) Se esiste un (v, k, λ)-disegno simmetrico non banale e v è dispari, allora l’equazione: Z 2 = (k − λ)X 2 + (−1)(v−1)/2 λY 2 (2.1) ammette una soluzione intera (x, y, z) 6= (0, 0, 0). Dimostrazione. Sia A = (ai,j ) una matrice di incidenza del disegno. Si consideri la trasformazione lineare invertibile di Qv in sè definita da y := xA, (2.2) dove x = (x1 , x2 , . . . , xv ) e y = (y1 , y2 , . . . , yv ). Tenendo presente la Prop. 2.1.6 e che r = k, si ha che v X i=1 yi2 = yyt = xAAt xt = x[(k − λ)I + λJ]xt = (k − λ)xxt + λxJxt . (2.3) 60 Strutture combinatorie finite D’altra parte, posto j := (1, 1, . . . , 1), risulta: v X xJxt = x(jt j)xt = (xjt )(jxt ) = ( xi )2 i=1 e cosı̀ posto: T := v X xi , (2.4) i=1 dalla (2.3) si ricava v X yi2 = (k − λ) i=1 v X x2i + λT 2 . (2.5) i=1 A questo punto, per il Teor. 2.1.12, si ha che esistono quattro numeri interi a, b, c, d tali che: k − λ = a2 + b2 + c2 + d2 . (2.6) Posto a b c d −b a d −c H := −c −d a b −d c −b a (2.7) HH t = (a2 + b2 + c2 + d2 )I = (k − λ)I, (2.8) det(HH t ) = (det(H))2 = (k − λ)4 . (2.9) si osservi che risulta e Ne segue che anche H, al pari di A, è una matrice non singolare sul campo Q dei numeri razionali. Si supponga, ora che sia v ≡ 1 (mod 4). Poichè v − 1 è multiplo di 4, è possibile suddividere le variabili x1 , x2 , . . . , xv−1 in gruppi di quattro x1 , x2 , x3 , x4 ; x5 , x6 , x7 , x8 ; . . . ; xv−4 , xv−3 , xv−2 , xv−1 {z } | {z } | | {z } (2.10) 2.1 Disegni 61 e, per ognuno di questi, introdurre le trasformazioni lineari invertibili di Q4 in sè definite da: (z4s+1 , z4s+2 , z4s+3 , z4s+4 ) := (x4s+1 , x4s+2 , x4s+3 , x4s+4 )H, (2.11) con s = 0, 1, . . . , (v − 5)/4. Si noti che, in virtù della (2.8), si ha: 2 2 2 2 z4s+1 + z4s+2 + z4s+3 + z4s+4 = (2.12) = (z4s+1 , z4s+2 , z4s+3 , z4s+4 )(z4s+1 , z4s+2 , z4s+3 , z4s+4 )t = = (x4s+1 , x4s+2 , x4s+3 , x4s+4 )HH t (x4s+1 , x4s+2 , x4s+3 , x4s+4 )t = = (k − λ)(x24s+1 + x24s+2 + x24s+3 + x24s+4 ) e quindi v−1 X zi2 = (v−5)/4 4 X X s=0 i=1 (v−5)/4 X (k − λ) s=0 4 X 2 = z(4s+1)+j (2.13) j=1 x24s+j = (k − λ) j=1 v−1 X x2i . i=1 Inoltre, dalle (2.5) e (2.13), si ha 2 y12 + y22 + · · · + yv2 = z12 + z22 + · · · + zv−1 + (k − λ)x2v + λT 2 . (2.14) Si noti che, essendo le trasformazioni (2.2) e (2.11) invertibili, x1 , x2 , . . . , xv−1 possono esprimersi come combinazioni lineari a coefficienti razionali di z1 , z2 , . . . , zv−1 e quindi y1 , y2 , . . . , yv e T risultano combinazioni lineari a coefficienti razionali di z1 , z2 , . . . , zv−1 e xv . Pertanto, la (2.14) può interpretarsi come una identità tra le forme lineari razionali y1 , y2 , . . . , yv e T nelle variabili z1 , z2 , . . . , zv−1 e xv . Si prova, ora, che è possibile specializzare le variabili (indipendenti) z1 , z2 , . . . , zv−1 , in modo che la (2.14) si riduca ad una uguaglianza del tipo yv2 = (k − λ)x2v + λT 2 , (2.15) m xv , s (2.16) con yv = p xv , q T = dove p, q, m, s sono interi. A tale scopo, se è y1 = c11 z1 + c12 z2 + · · · + c1v xv , c1j ∈ Q, 62 Strutture combinatorie finite si ponga z1 = (c12 z2 + c13 z3 + · · · + c1v xv )/(1 − c11 ) se c11 6= 1 −(c12 z2 + c13 z3 + · · · + c1v xv )/2 se c11 = 1 (2.17) e si osservi che con tale posizione risulta y12 = z12 e quindi la (2.14) diventa 2 y22 + · · · + yv2 = z22 + · · · + zv−1 + (k − λ)x2v + λT 2 . (2.18) In virtù della (2.17), la (2.18) è una identità tra forme lineari razionali nelle variabili z2 , z3 , . . . , zv−1 e xv . A questo punto è chiaro che, iterando il procedimento precedente per le variabili z2 , z3 , . . . , zv−1 , si giunge ad una relazione del tipo (2.15), dove yv e T sono del tipo (2.16). Allora, sostituendo le (2.16) nella (2.15), si ottiene p2 m2 = (k − λ) + λ q2 s2 o, equivalentemente, (ps)2 = (k − λ)(qs)2 + λ(qm)2 . Ne segue che, essendo (v − 1)/2 pari, (ps, qs, qm) costituisce una soluzione intera non banale della (2.1). Se v ≡ 3 (mod 4), detta xv+1 una nuova variabile, indipendente dalle xi e yi , sommando (k − λ)x2v+1 ai due membri della (2.5), si ha y12 + · · · + yv2 + (k − λ)x2v+1 = (k − λ)(x21 + · · · + x2v + x2v+1 ) + λT 2 . (2.19) Poichè v + 1 è un multiplo di 4, è possibile suddividere le variabili x1 , x2 , . . . , xv , xv+1 in gruppi di quattro e introdurre le trasformazioni (2.11) per s = 0, 1, . . . , (v − 3)/4. Operando come nel caso precedente, si perviene ad una identità del tipo 2 (k − λ)x2v+1 = yv+1 + λT 2 , con yv+1 = p xv+1 , q T = m xv+1 , s dove p, q, m, s sono interi. Sostituendo le (2.21) nella (2.20), si ha p2 m2 = (k − λ) − λ q2 s2 (2.20) (2.21) 2.1 Disegni 63 o, equivalentemente, (ps)2 = (k − λ)(qs)2 − λ(qm)2 . Ne segue che, essendo (v − 1)/2 dispari, (ps, qs, qm) costituisce una soluzione intera non banale della (2.1). Resta cosı̀ completamente provato il teorema. Esempio 2.1.14 Applicando il teorema di Bruck, Ryser e Chowla, si prova la non esistenza di un (29, 8, 2)-disegno. Si supponga per assurdo che esista un disegno con tali parametri. Per la Prop. 2.1.2, risulta: r(8 − 1) = 2(29 − 1). Ne segue che: r=8=k e quindi che il disegno è simmetrico. Per il teorema di Bruck, Ryser e Chowla, essendo v dispari, l’equazione diofantea Z 2 = 6X 2 + 2Y 2 (2.22) ammette una soluzione intera non banale (a, b, c). Senza perdita di generalità, si assuma che (a, b, c) = 1. Si consideri l’equazione (2.22) modulo 3. Allora: c2 − 2b2 ≡ 0 (mod 3). (2.23) La congruenza (2.23) è verificata se e solo se b ≡ 0 (mod 3) e c ≡ 0 (mod 3). Ma se b e c sono entrambi divisibili per 3, allora 6a2 = c2 − 2b2 è divisibile per 9. Dunque, a è divisibile per 3 e questo è assurdo perchè contraddice l’ipotesi che (a, b, c) = 1. Definizione 2.1.15 Un piano proiettivo finito (P, B) è un insieme finito P (punti) dotato di un insieme finito B di sottoinsiemi di P (rette) soddisfacente le seguenti condizioni: 1. Per due punti distinti passa un’unica retta. 64 Strutture combinatorie finite 2. Due rette distinte hanno un unico punto in comune. 3. Esiste un quadrangolo, cioè un insieme di quattro punti a tre a tre non giacenti su una stessa retta (non allineati). Proposizione 2.1.16 Sia (P, B) un piano proiettivo finito. Allora, esiste un intero n > 2, detto l’ordine del piano, tale che: 1. |P| = |B| = n2 + n + 1; 2. Ogni retta contiene n + 1 punti e per ogni punto passano n + 1 rette. Osservazione 2.1.17 È chiaro che un piano proiettivo finito di ordine n risulta essere un (n2 + n + 1, n + 1, 1)-disegno simmetrico D contenente un quadrangolo. Un automorfismo θ di D è detto una collineazione del piano proiettivo. Una collineazione di ordine 2 è detta una involuzione del piano proiettivo. Definizione 2.1.18 Un piano affine finito (P, B) è un insieme finito P (punti) dotato di un insieme finito B di sottoinsiemi di P (rette) soddisfacente le seguenti condizioni: 1. Per due punti distinti passa un’unica retta. 2. Dati una retta B e un punto p 6∈ B, esiste un’unica retta H che passa per p e non interseca B. 3. Esiste un triangolo, cioè un insieme di tre punti non giacenti su una stessa retta (non allineati). Proposizione 2.1.19 Sia (P, B) un piano affine finito. Allora, esiste un intero n > 2, detto l’ordine del piano, tale che: 1. |P| = n2 ; 2. |B| = n2 + n; 3. Ogni retta contiene n punti e per ogni punto passano n + 1 rette. Osservazione 2.1.20 Un piano affine finito di ordine n è, quindi, un (n2 , n, 1)-disegno D contenente un triangolo. Un automorfismo θ di D è detto una collineazione del piano affine. Una collineazione di ordine 2 è detta una involuzione del piano affine. Eliminando una retta (con tutti i suoi punti) da 2.1 Disegni 65 un piano proiettivo di ordine n, si ottiene un piano affine di ordine n. Questa costruzione si può facilmente invertire. Quindi, un piano affine di ordine n esiste se e solo se esiste un piano proiettivo di ordine n. Proposizione 2.1.21 Se q è una potenza di un numero primo, allora esiste un piano proiettivo (e quindi un piano affine) di ordine q. Dimostrazione. Sia Fq un campo finito con q elementi. Basta prendere P = P G(2, q). Le rette del piano sono i punti che soddisfano le equazioni lineari a0 X0 + a1 X1 + a2 X2 = 0 Questo rappresenta il cosiddetto piano proiettivo classico. Congettura 2.1.22 Un piano proiettivo di ordine n esiste se e solo se n è una potenza di un numero primo. Corollario 2.1.23 (Teorema di Bruck-Ryser) Se esiste un piano proiettivo di ordine n, con n ≡ 1 o 2 (mod 4), allora n è somma di due quadrati interi. Dimostrazione. Per ipotesi si ha che: v = n2 + n + 1 ≡ 3 (mod 4) e quindi v − 1 è del tipo 4h + 2, con h intero positivo. Allora (v − 1)/2 è un intero dispari e il teorema di Bruck-Ryser-Chowla assicura che l’equazione diofantea Z 2 = nX 2 − Y 2 ammette una soluzione intera non banale (a, b, c). Ne segue che na2 = b2 + c2 , o, equivalentemente 2 b c 2 n= + a a cioè, n è somma di due quadrati razionali. Un ben noto risultato di teoria elementare dei numeri stabilisce che un intero è somma di due quadrati razionali se e solo se è somma di due quadrati interi. Questo completa la dimostrazione. 66 Strutture combinatorie finite 2.2 Il teorema di Minkowski In questa sezione si considera un celebre teorema dimostrato da Minkowski intorno al 1890. Grazie a tale teorema, si perviene a una dimostrazione estremamente elegante del ‘Teorema dei Quattro Quadrati’. Lemma 2.2.1 Sia p un numero primo dispari. Allora, esistono due interi u e v tali che: u2 + v 2 ≡ −1 (mod p). Dimostrazione. Siano A := {z ∈ Zp | z = x2 , 0 6 x 6 (p − 1)/2} B := {z ∈ Zp | z = −1 − y 2 , 0 6 y 6 (p − 1)/2} Si prova che A contiene esattamente (p + 1)/2 elementi. Infatti, siano a e b 2 interi tali che 0 6 a, b 6 (p − 1)/2 e a2 = b . Ne segue che a2 ≡ b2 (mod p) e quindi che p | (a + b)(a − b). Allora, p | (a + b) oppure p | (a − b) e questo implica che a = b. Analogamente si vede che anche l’insieme B, sopra definito, ha cardinalità (p + 1)/2. Si deduce che l’insieme A ∩ B è non vuoto. Di qui, la tesi. Lemma 2.2.2 Sia S4 l’insieme degli interi rappresentabili come somma di quattro quadrati interi. Allora, se s e t sono elementi di S4 , anche il loro prodotto st lo è. Dimostrazione. L’asserto segue immediatamente dalla seguente identità: (a21 + b21 + c21 + d21 )(a22 + b22 + c22 + d22 ) = (a1 a2 − b1 b2 − c1 c2 − d1 d2 )2 + +(a1 b2 +b1 a2 +c1 d2 −d1 c2 )2 +(a1 c2 −b1 d2 +c1 a2 +d1 b2 )2 +(a1 d2 +b1 c2 −c1 b2 +d1 a2 )2 . Il lemma è cosı̀ provato. Definizione 2.2.3 Sia n un intero positivo. Si definisce reticolo in Rn , un insieme Γ della forma Γ = {α1 v1 + · · · + αn vn ∈ Rn | αi ∈ Z} dove {v1 , . . . , vn } è una R-base dello spazio vettoriale reale Rn . Tale base è detta una base del reticolo Γ. L’insieme F definito da F := {α1 v1 + · · · + αn vn ∈ Rn | αi ∈ R, 0 6 αi < 1} è detto un dominio fondamentale per Γ. 2.2 Il teorema di Minkowski 67 Lemma 2.2.4 Se Γ è un reticolo in Rn , allora Γ è un sottogruppo del gruppo additivo (Rn , +). Inoltre, se F è un dominio fondamentale per Γ, per ogni v ∈ Rn , esiste un unico elemento w ∈ F tale che v − w ∈ Γ. Dimostrazione. La prima parte del lemma è immediata. Siano {v1 , . . . , vn } una P base del reticolo Γ, F il corrispondente dominio fondamentale e v = ni=1 αi vi ∈ Rn . Per ogni i = 1, . . . , n, si definisca: βi := αi − bαi c, dove bα Pinc rappresenta il più grande intero minore o uguale ad αi , e si ponga w := Pi=1 βi vi . Poichè, per ogni i = 1, . . . , n, 0P 6 βi < 1, segue che w ∈ F P e w = ni=1 αi vi − ni=1 bαi cvi = v − l con l := ni=1 bαi cvi ∈ Γ. Per quanto riguarda l’unicità di w, si supponga che esista un altro elemento w0 ∈ F tale Pn 0 0 0 0 che v − w ∈ Γ. Sia w = i=1 βi vi dove 0 6 βi < 1 per ogni i. Quindi 0 0 |βi − βi | < 1 per ogni i. D’altra parte w − w ∈ Γ e quindi βi − βi0 ∈ Z. Segue che βi = βi0 per ogni i, e quindi w = w0 . Osservazione 2.2.5 Il Lemma 2.2.4 può essere enunciato in modo equivalente, nel modo seguente. Se per ogni γ ∈ Γ si considera l’insieme traslato di F: F + γ := {f + γ | f ∈ F }, allora 1. S γ∈Γ (F + γ) = Rn , 2. (F + γ) ∩ (F + γ 0 ) = ∅ per ogni γ 6= γ 0 , con γ e γ 0 ∈ Γ. Osservazione 2.2.6 Nel seguito, assegnato un sottoinsieme X di Rn , misurabile secondo Lebesgue, si denoterà con vol(X) la sua misura, cioè il seguente integrale (di Lebesgue): Z vol(X) = dx. X Si indicherà con Bn (r) la sfera aperta n-dimensionale di raggio r Bn (r) := {x = (x1 , . . . , xn ) ∈ Rn | x21 + · · · + x2n < r2 }. Posto Vn := vol(Bn (1)), si ha che: ( (2π)m Vn = n(n−2)···4·2 2m+1 π m n(n−2)···3·1 se n = 2m se n = 2m + 1. 68 Strutture combinatorie finite Se ne deduce che la sfera Bn (r) di raggio r ha volume 2r, πr2 , 4/3πr3 o π 2 r4 /2 per n = 1, 2, 3 o 4. Si ricordi che la misura di Lebesgue è invariante per traslazioni ed è numerabilmente additiva. Infine, sia Γ un reticolo in Rn con base {v1 , . . . , vn }. Se per ogni i = 1, . . . , n, risulta vi = (αi1 , αi2 , . . . , αin ), denotata con A = (αij ) la matrice quadrata di ordine n formata da tali vettori, e con F il dominio fondamentale associato a tale base, si ha che: vol(F ) = |det(A)|. Definizione 2.2.7 Un sottoinsieme X di Rn si dice simmetrico rispetto all’origine se, per ogni v ∈ X, anche −v ∈ X. Si dice convesso se, per ogni coppia di elementi v, w ∈ X, il segmento congiungente v e w è tutto contenuto in X, cioè tv + (1 − t)w ∈ X per ogni t ∈ R tale che 0 6 t 6 1. Lemma 2.2.8 Siano Γ un reticolo in Rn , F un dominio fondamentale per Γ e S un sottoinsieme di Rn misurabile secondo Lebesgue, tale che vol(S) > vol(F ). Allora, esistono due elementi distinti x e y ∈ S tali che x − y ∈ Γ. S Dimostrazione. Per l’Oss. 2.2.5, γ∈Γ (F + γ) = Rn e i traslati di F sono a due a due disgiunti. Allora: [ S ∩ (F + γ) = S. γ∈Γ Poichè gli insiemi S, F e F + γ sono misurabili, anche S ∩ (F + γ) lo è, per ogni γ ∈ Γ. Tenuto conto del fatto che la misura di Lebesgue è numerabilmente additiva, si ha che: X vol(S) = vol(S ∩ (F + γ)) (2.24) γ∈Γ Poichè la misura di Lebesgue è invariante per traslazioni, si ha che per ogni γ ∈ Γ: vol(S ∩ (F + γ)) = vol((S − γ) ∩ F ). Allora, la (2.24) può essere cosı̀ riscritta: X vol(S) = vol((S − γ) ∩ F ). γ∈Γ (2.25) 2.2 Il teorema di Minkowski 69 Essendo per ipotesi, vol(S) > vol(F ), la (2.25) implica che gli insiemi (S − γ) ∩ F , con γ ∈ Γ, non possono essere a due a due disgiunti. Si deduce che esistono due elementi distinti γ e γ 0 di Γ tali che ((S − γ) ∩ F ) ∩ ((S − γ 0 ) ∩ F ) 6= ∅ e quindi che esistono due elementi distinti s e s0 di S tali che z = s − γ = s0 − γ 0 ∈ F ∩ (S − γ) ∩ (S − γ 0 ) e 0 6= s − s0 = γ − γ 0 ∈ Γ. Questo completa la dimostrazione. Teorema 2.2.9 (Teorema di Minkowski) Siano Γ un reticolo in Rn , F un dominio fondamentale per Γ e S un sottoinsieme di Rn misurabile secondo Lebesgue, convesso e simmetrico rispetto all’origine tale che vol(S) > 2n vol(F ). Allora, S contiene un elemento non nullo del reticolo Γ. Dimostrazione. Si osservi preliminarmente che, nelle ipotesi del teorema, certamente S ∩ Γ 6= ∅ dal momento che 0 ∈ S ∩ Γ. Infatti, essendo vol(S) > 0, risulta S 6= ∅. Pertanto esiste α ∈ S e, per la simmetria centrale, −α ∈ S. Per la convessità di S, il segmento di estremi α e −α è tutto contenuto in S. Ne segue che 0 ∈ S ∩ Γ. Il teorema di Minkowski assicura l’esistenza di un punto non nullo in S ∩ Γ. Si passa, ora, alla dimostrazione. Si ponga 1 S 0 := S. 2 Allora: 1 vol(S 0 ) = n vol(S) > vol(F ). 2 Per il Lemma 2.2.8, esistono due elementi distinti x e y di S 0 tali che: 1 0 6= z := x − y = (2x − 2y) ∈ Γ. 2 Osservato che 2y ∈ S ⇒ −2y ∈ S 70 Strutture combinatorie finite e che 2x ∈ S, per la convessità di S segue che z ∈ S. Si è ora in grado di dimostrare il famoso Teorema dei Quattro Quadrati. Dimostrazione (Teorema 2.1.12). Poichè 0, 1 e 2 ∈ S4 , per il Lemma 2.2.2 il teorema resta dimostrato se lo si prova per ogni numero primo dispari. Sia, dunque, p un numero primo dispari. Per il Lemma 2.2.1, esistono due interi u e v tali che: u2 + v 2 ≡ −1 (mod p). (2.26) Fissata una coppia (u, v) di interi soddifacente la (2.26), sia Γ ⊆ R4 l’insieme definito da: Γ := {(x, y, z, t) ∈ Z4 | z ≡ ux + vy (mod p), t ≡ vx − uy (mod p)} Si verifica facilmente che Γ è un reticolo in Z4 con base v1 = (1, 0, u, v), v2 = (0, 1, v, −u), v3 = (0, 0, p, 0), v4 = (0, 0, 0, p). Per l’Oss. 2.2.6, posto 1 0 A := 0 0 0 1 0 0 u v v −u p 0 0 p risulta che, se F rappresenta il dominio fondamentale associato a tale base, √ vol(F ) = |det(A)| = p2 . Sia ora S := B4 ( 2p) la sfera 4-dimensionale di raggio 2p. Sempre per l’Oss. 2.2.6, risulta: vol(S) = 2π 2 p2 > 16p2 = 24 vol(F ). Chiaramente S è un insieme misurabile, convesso e simmetrico rispetto all’origine. Dunque, per il Teorema di Minkowski, esiste un elemento (a, b, c, d) ∈ S ∩ Γ, con (a, b, c, d) 6= (0, 0, 0, 0). Pertanto, (a, b, c, d) ∈ Z4 e 0 < a2 + b2 + c2 + d2 < 2p. Inoltre, per definizione di Γ si ha che: c ≡ ua + vb (mod p) ⇒ c2 ≡ u2 a2 + v 2 b2 + 2uvab (mod p) e d ≡ va − ub (mod p) ⇒ d2 ≡ v 2 a2 + u2 b2 − 2uvab (mod p) (2.27) 2.3 Insiemi di differenze 71 da cui a2 + b2 + c2 + d2 ≡ (u2 + v 2 + 1)(a2 + b2 ) (mod p). Dalla (2.26) segue che: a2 + b2 + c2 + d2 ≡ 0 (mod p). (2.28) La (2.27) e la (2.28) implicano che, necessariamente, a2 + b2 + c2 + d2 = p. 2.3 Insiemi di differenze Nel seguito, se non specificato altrimenti, per i gruppi finiti G si userà la notazione moltiplicativa e 1 ne denoterà l’elemento neutro. Definizione 2.3.1 Siano m, n, k, λ interi positivi con mn > k > 2. Sia G un gruppo finito di ordine mn e N un sottogruppo di G di ordine n. Un sottoinsieme R di G, contenente k elementi, è detto un (m, n, k, λ)-insieme di differenze di G relativo a N se ogni elemento g ∈ G\N ha esattamente λ rappresentazioni g = r1 r2−1 con r1 , r2 ∈ R, r1 6= r2 , e nessun elemento di N , diverso dall’elemento neutro, ha una tale rappresentazione. Il sottogruppo N è detto il sottogruppo proibito. Definizione 2.3.2 Siano v, k, λ interi positivi con v > k > 2. Sia G un gruppo finito di ordine v. Un sottoinsieme D di G, contenente k elementi, è detto un (v, k, λ)-insieme di differenze di G se ogni elemento g ∈ G, g 6= 1, ha esattamente λ rappresentazioni g = d1 d−1 2 con d1 , d2 ∈ D, d1 6= d2 . L’intero non negativo n = k − λ è detto l’ordine dell’insieme di differenze. Se n ∈ {0, 1}, l’insieme di differenze è detto banale. Osservazione 2.3.3 Nel seguito, per insieme di differenze, si intenderà sempre insieme di differenze non banale. Osservazione 2.3.4 Chiaramente un (v, k, λ)-insieme di differenze di G è un (v, 1, k, λ)-insieme di differenze in G relativo a N = {1}, sottogruppo di G ridotto al solo elemento neutro. Definizione 2.3.5 Un (m, n, k, λ)-insieme di differenze di G relativo a N (un (v, k, λ)-insieme di differenze in G) è detto ciclico (rispettivamente abeliano, non abeliano, . . .) se G è ciclico (rispettivamente abeliano, non abeliano, . . .). 72 Strutture combinatorie finite Il seguente risultato ben noto, mostra l’equivalenza tra gli insiemi di differenze e i disegni simmetrici divisibili che ammettono un gruppo di automorfismi regolare. Proposizione 2.3.6 Sia R un (m, n, k, λ)-insieme di differenze di G relativo a N . Allora D = ( G, {Rg : g ∈ G }) è un (m, n, k, λ)-disegno simmetrico divisibile. Ogni elemento g ∈ G agisce su D nel modo seguente: x 7−→ xg, Ry 7−→ Ryg Con questa azione (traslazione destra) G è un gruppo di automorfismi di D regolare sui punti (e quindi sui blocchi). Le classi di punti di D sono i laterali di N . Viceversa, sia D = (P, B) un (m, n, k, λ)-disegno simmetrico divisibile che ammette un gruppo G di automorfismi regolare. Si fissi un punto p ∈ P. Per ogni q ∈ P, sia τq l’unico elemento di G tale che τq (p) = q. In tal modo, è possibile identificare P con G attraverso la bigezione q 7−→ τq Sia R un blocco di D, e N la classe di punti contenente l’elemento neutro di G (cioè il punto base p). Allora R è un (m, n, k, λ)-insieme di differenze in G relativo a N . Per la sua importanza, si dà l’enunciato del seguente caso particolare della Prop. 2.3.6, separatamente. Proposizione 2.3.7 Un (v, k, λ)-insieme di differenze di G è equivalente a un (v, k, λ)-disegno simmetrico che ammette G come gruppo di automorfismi regolare. Gli insiemi di differenze di un gruppo finito G possono essere caratterizzati da una opportuna equazione nell’anello gruppale intero Z[G]. Definizione 2.3.8 Sia G un gruppo finito. L’anello gruppale intero su G, Z[G] è l’insieme delle somme formali: S= X g∈G ag g con ag ∈ Z 2.3 Insiemi di differenze 73 munito delle due seguenti operazioni: X X X ag g + bg g = (ag + bg )g g∈G ( X g∈G ag g) · ( g∈G X g∈G X bg g) = g∈G (ah bk )hk. h,k∈G Osservazione 2.3.9 Nel seguito, gli elementi neutri moltiplicativi di Z, G e Z[G] saranno identificati e denotati con 1; di conseguenza, l’elemento di Z[G] ottenuto moltiplicando l’elemento neutro 1 di G per l’intero a ∈ Z, sarà semplicemente denotato con a (cioè si scriverà a invece di a1). Inoltre, si P identificherà sempre ogni sottoinsieme A del gruppo G con l’elemento g∈A g P di Z[G]. Se t è un intero, e S = g∈G ag g ∈ Z[G], si definisce: S (t) := X ag g t g∈G Se α : G → H è un omomorfismo di gruppi, esso si estenderà per linearità ad un omomorfismo α : Z[G] → Z[H] di anelli, nel modo seguente: X X X ∀S = ag g ∈ Z[G], α( ag g) = ag α(g) g∈G Infine, per S = P g∈G ag g, g∈G |S| := g∈G P g∈G ag . Fissate queste notazioni, è ora possibile enunciare i seguenti lemmi elementari. Lemma 2.3.10 Sia G un gruppo finito, N un sottogruppo normale di G, ρ : G → G/N l’epimorfismo canonico. Allora: 1. ∀A, B ∈ Z[G], posto A = ρ(A) e B = ρ(B) si ha che A = B in Z[G/N ] ⇔ AN = BN in Z[G]. 2. ∀A ∈ Z[G] : AG = |A|G. 3. ∀A, B ∈ Z[G] : (A + B)(−1) = A(−1) + B (−1) , (A · B)(−1) = A(−1) · B (−1) . 4. ∀A ∈ Z[G], ∀s, t ∈ Z : (A(t) )(s) = (A(s) )(t) . 5. G(−1) = G, N (−1) = N . 74 Strutture combinatorie finite Lemma 2.3.11 Sia G un gruppo finito di ordine v = mn, N un sottogruppo di G di ordine n. Un sottoinsieme R di G, contenente k elementi, è un (m, n, k, λ)-insieme di differenze in G relativo a N se e solo se R · R(−1) = k + λ(G − N ) in Z[G]. Dimostrazione. Sviluppando il prodotto R · R(−1) si ottiene: R · R(−1) = S + k dove S è la somma di tutti i quozienti r1 r2−1 , r1 , r2 ∈ R, r1 6= r2 . Per definizione, l’insieme R è un (m, n, k, λ)-insieme di differenze in G relativo a N se e solo se S = λ(G − N ) in Z[G]. Si enuncia, separatamente, il seguente caso particolare del Lemma 2.3.11. Lemma 2.3.12 Sia G un gruppo finito di ordine v, k e λ interi positivi, n = k − λ. Un sottoinsieme D di G, contenente k elementi, è un (v, k, λ)-insieme di differenze in G se e solo se D · D(−1) = n + λG in Z[G]. Lemma 2.3.13 Con le precedenti notazioni, sia R un (m, n, k, λ)-insieme di differenze abeliano di G relativo a N . Allora R = ρ(R) è un (m, k, nλ)-insieme di differenze (abeliano) in G/N . Dimostrazione. Sia N = {h1 , h2 , . . . , hn }, G/N = {N g1 , N g2 , . . . , N gm }, (h1 = g1 = 1), R = {r1 , r2 , . . . , rk }. Poichè R è un (m, n, k, λ)-insieme di differenze relativo a N , |ρ(R)| = k (ρ(R) = {N r1 , N r2 , . . . , N rk } e ∀i 6= j : N ri 6= N rj , altrimenti si avrebbe che ri rj−1 ∈ N ). Per il Lemma 2.3.12, basta provare che in Z[G/N ]: ρ(R) · (ρ(R))(−1) = k − nλ + nλG/N. In effetti, per il Lemma 2.3.11: R · R(−1) = k + λG − λN. 2.4 Disegni e matrici di Hadamard 75 Applicando ad ambo i membri di tale uguaglianza l’epimorfismo canonico ρ si ottiene: ρ(R) · ρ(R(−1) ) = k + ρ(λG) − ρ(λN ). Si osservi che in Z[G/N ] risulta: G/N = N g1 + N g2 + · · · + N gm ρ(λN ) = ρ(λh1 + · · · + λhn ) = λ(N h1 + · · · + N hn ) = λnN = λn X X X X ρ(λG) = ρ(λ g) = λ N g = λ( Ng + · · · + N g) = g∈G g∈G g∈N g1 g∈N gm = λn(N g1 + · · · + N gm ) = λnG/N Pertanto ρ(R) · (ρ(R))(−1) = k − nλ + nλG/N. Resta cosı̀ completata la dimostrazione. 2.4 Disegni e matrici di Hadamard Definizione 2.4.1 Siano m, n interi positivi. Una matrice pesata W (m, n) è una matrice H di tipo m × m con entrate −1, 0, 1, tale che HH t = nI dove H t denota la matrice trasposta di H e I la matrice identità. L’intero n è detto il peso di H. Definizione 2.4.2 Sia m un intero positivo. Una matrice H quadrata di ordine m con entrate ±1 tale che HH t = mI è detta una matrice di Hadamard di ordine m. Proposizione 2.4.3 Una matrice quadrata di ordine m con entrate ±1 è una matrice di Hadamard se e solo se le sue colonne (le sue righe) sono a due a due ortogonali. Lemma 2.4.4 Se H è una matrice di Hadamard, lo è anche la sua trasposta. Se si trasforma una matrice di Hadamard mediante operazioni del tipo: 76 Strutture combinatorie finite 1. permutazioni di righe e di colonne; 2. moltiplicazione di righe e di colonne per −1 si ottiene ancora una matrice di Hadamard. Lemma 2.4.5 Se esiste una matrice H di Hadamard di ordine m, allora m = 1, 2 oppure m ≡ 0 (mod 4). Dimostrazione. Sia H una matrice di Hadamard di ordine m > 2. Siano (ai ), (bi ), (ci ) tre righe distinte di H. Si ponga S := m X (ai + bi )(ai + ci ). i=1 Allora, S ≡ 0 (mod 4) poichè ai + bi , ai + ci ∈ {−2, 0, 2}. D’altra parte, per l’ortogonalità delle righe di H (Prop. 2.4.3), si ha che : S= m X a2i = m. i=1 Ne segue l’asserto. Congettura 2.4.6 Esiste una matrice di Hadamard di ordine m per tutti gli interi positivi m tali che m ≡ 0 (mod 4). Definizione 2.4.7 Siano m, n interi positivi, G un gruppo finito di ordine m. Si dice che una matrice quadrata di ordine m, H = (hf,g )f,g∈G , indiciata con gli elementi di G, è G-invariante se hf k,gk = hf,g ∀f, g, k ∈ G. Lemma 2.4.8 Con le stesse notazioni precedenti, se esiste una matrice pesata G-invariante H = W (m, n), allora n = s2 per qualche intero s e il numero di entrate 1 in ciascuna riga di H è s(s + 1)/2. Dimostrazione. Sia s1 il numero di entrate 1 nella prima (e quindi in ciascuna) riga della matrice pesata G-invariante H = W P (m, n). Se (a1 , . . . , am ) 2 denota la prima riga di H, poichè HH t = nI, allora m i=1 ai = n. Pertanto n rappresenta il numero di entrate ±1 nella prima (e quindi in ciascuna) riga di H e n − s1 il numero di entrate −1. Sia s la somma delle entrate della 2.4 Disegni e matrici di Hadamard 77 prima riga di H (e quindi di ciascuna riga o colonna). Se J denota la matrice quadrata di ordine m con entrate tutte uguali a 1, allora: (HH t )J = H(H t J) = H(sJ) = s2 J e quindi n = s2 e s = s1 − (s2 − s1 ). Ne segue che s1 = s(s + 1)/2. Osservazione 2.4.9 Rimpiazzando H con la matrice −H, se necessario, è sempre possibile assumere che s sia positivo. P Inoltre, si identificherà una matrice H = (hf,g ) G-invariante con l’elemento g∈G h1,g g ∈ Z[G]. Lemma 2.4.10 Un elemento H di Z[G] con coefficienti −1, 0, 1 è una matrice pesata G-invariante W (m, n) se e solo se H · H (−1) = n in Z[G]. Dimostrazione. L’equazione HH t = nI è equivalente a X X hi,g hj,g = h1,gi−1 h1,gj −1 = δij n g∈G g∈G per ogni i, j ∈ G dove δij è il simbolo di Kronecker. Dunque H è una matrice pesata G-invariante W (m, n) se e solo se H · H (−1) = X g,k∈G h1,g h1,k gk −1 = X X ( h1,g h1,l−1 g )l = n l∈G g∈G in Z[G] (si è effettuata la sostituzione l := gk −1 ). Si introducono, ora, i disegni di Hadamard e si mostra l’equivalenza tra tali disegni e le matrici di Hadamard. Definizione 2.4.11 Sia n un intero positivo. Un (4n−1, 2n−1, n−1)-disegno (che è automaticamente simmetrico) è detto un disegno di Hadamard di ordine n. Teorema 2.4.12 Sia n un intero positivo. Allora, esiste una matrice di Hadamard di ordine 4n se e solo se esiste un disegno di Hadamard di ordine n. 78 Strutture combinatorie finite Definizione 2.4.13 Sia u un intero positivo. Un insieme di differenze con parametri (v, k, λ) = (4u2 , 2u2 − u, u2 − u) è detto un insieme di differenze di Hadamard. Lemma 2.4.14 Sia G un gruppo finito di ordine |G| > 1. Allora, una matrice di Hadamard G-invariante esiste se e solo se esiste un insieme di differenze di Hadamard in G. In particolare, l’ordine di una matrice di Hadamard Ginvariante è un quadrato pari. Dimostrazione, Sia H una matrice di Hadamard G-invariante. Per i Lemmi 2.4.5 e 2.4.8, |G| è un quadrato pari, cioè |G| = 4u2 per qualche intero u. Si consideri H come elemento di Z[G] (Oss. 2.4.9) e si definisca D := (H + G)/2. Poichè H ha coefficienti ±1, D è un elemento di Z[G] con coefficienti 0 e 1, cioè D è un sottoinsieme di G. Per il Lemma 2.4.8, rimpiazzando H con −H se necessario, il numero di elementi di D, cioè il numero di entrate 1 nella prima riga di H, è 2u2 − u. Si noti, inoltre, che |H| = −2u quando si considera H come elemento di Z[G]. Utilizzando il Lemma 2.3.10, si ha che: 2D = H + G ⇒ 2D(−1) = H (−1) + G(−1) e moltiplicando 4D·D(−1) = H·H (−1) +H·G+H (−1) ·G+G·G = H·H (−1) +|H|G+|H (−1) |G+|G|G. Per il Lemma 2.4.10, si ha che: 4D · D(−1) = H · H (−1) + (4u2 − 4u)G = 4u2 + (4u2 − 4u)G. Quindi D è un insieme di differenze di Hadamard di G per il Lemma 2.3.12. Viceversa, sia D un insieme di differenze di Hadamard di G. Allora, per i Lemmi 2.3.12 e 2.4.10, H := 2D − G corrisponde a una matrice di Hadamard G-invariante. Definizione 2.4.15 Una matrice di Hadamard circolante di ordine m è una matrice pesata W (m, m) con entrate ±1, Zm -invariante ( (Zm , +) è il gruppo ciclico di ordine m). Osservazione 2.4.16 Per il Lemma 2.4.14, l’ordine di una matrice di Hadamard circolante è un quadrato pari, cioè 4u2 per qualche intero positivo u. R.Turyn ha provato che tale u deve essere necessariamente dispari. Inoltre, sempre per il Lemma 2.4.14, una matrice di Hadamard circolante di ordine 4u2 esiste se e solo se esiste un insieme di differenze di Hadamard nel gruppo ciclico di ordine 4u2 . 2.4 Disegni e matrici di Hadamard 79 Congettura 2.4.17 Sia H una matrice di Hadamard circolante di ordine v. Allora v = 1 oppure v = 4. 80 Strutture combinatorie finite Capitolo 3 Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria Combinatoria 3.1 Caratteri di gruppi abeliani finiti Definizione 3.1.1 Sia G un gruppo abeliano finito e C∗ il gruppo moltiplicativo del campo C dei numeri complessi. Si definisce carattere di G, un omomorfismo χ : G → C∗ , cioè una funzione a valori complessi, tale che: χ(xy) = χ(x)χ(y) per ogni x, y ∈ G. Osservazione 3.1.2 Chiaramente χ(1) = 1 per ogni carattere χ di G. Se χ1 e χ2 sono caratteri di G, allora anche la funzione χ1 χ2 : G → C∗ definita da: χ1 χ2 (x) := χ1 (x)χ2 (x) per ogni x ∈ G, è un carattere di G. Se χ è un carattere di G, la funzione χ−1 : G → C∗ , definita da: χ−1 (x) := χ(x) per ogni x ∈ G, è un carattere di G. Dunque, i caratteri di G formano un gruppo G∗ rispetto alla moltiplicazione, il cui elemento neutro è il cosiddetto carattere banale χ0 : G → C∗ , definito da: χ0 (x) := 1 82 Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria Combinatoria per ogni x ∈ G. Il gruppo G∗ è detto il duale di G. Osservazione 3.1.3 Se l’elemento x ∈ G ha ordine k e χ ∈ G∗ , allora (χ(x))k = χ(xk ) = χ(1) = 1 cioè χ(x) è una radice k-esima di 1. Se v ∗ è il massimo degli ordini degli elementi di G, allora è noto che l’ordine di ogni elemento di G divide v ∗ (v ∗ è detto l’esponente di G ed è usualmente denotato con exp G). Ne segue che, per ogni x ∈ G, χ(x) è una radice v ∗ -esima di 1, e quindi un carattere χ di G può anche essere definito come un omomorfismo di G nel gruppo ciclico hξv∗ i di tutte le v ∗ -esime radici di 1. Proposizione 3.1.4 Sia G un gruppo ciclico di ordine v, e sia g un suo generatore. Allora, ogni carattere χ di G ha la forma: χα (g k ) = e2πiαk/v , 06k 6v−1 per qualche α = 0, 1, . . . , v − 1. Dimostrazione. Sia χ un carattere di G. Si ha che χv (g) = χ(g v ) = χ(1) = 1. Pertanto χ(g) è una radice v-esima di 1, cioè esiste un intero α ∈ {0, 1, . . . , v − 1} tale che χ(g) = e2πiα/v . Quindi χ(g k ) = e2πiαk/v per ogni k ∈ {0, 1, . . . , v − 1}. Corollario 3.1.5 Il gruppo G∗ dei caratteri di un gruppo ciclico G, è isomorfo a G. Dimostrazione. Basta considerare la funzione ϕ : G → G∗ tale che, per ogni a ∈ G, a = g α , (α ∈ {0, 1, . . . , v − 1}) ϕ(a) = χα dove χα è il carattere di G definito nella Prop. 3.1.4. È immediato verificare che ϕ è un isomorfismo di gruppi. Proposizione 3.1.6 Sia G un gruppo abeliano finito. Allora G∗ è isomorfo a G. 3.1 Caratteri di gruppi abeliani finiti 83 Dimostrazione. Sia G un gruppo abeliano finito di ordine v = ps11 · · · psrr , dove p1 , . . . , pr sono numeri primi distinti. È noto che G può essere scritto come prodotto diretto G = G1 × · · · × Gr di gruppi ciclici G1 , . . . , Gr di ordini, rispettivamente, v1 = ps11 , . . . , vr = psrr (Teorema di struttura dei gruppi abeliani finiti). Siano g1 , . . . , gr i generatori di G1 , . . . , Gr e χ un carattere di G. Per la Prop. 3.1.4, χ(gj ) = e2πiαj /vj per qualche αj ∈ {0, 1, . . . , vj − 1}. Poichè ogni elemento x ∈ G può essere scritto in un solo modo nella forma x = g1k1 · · · grkr con 0 6 kj 6 vj − 1 e 1 6 j 6 r, allora: χ(x) = χ(g1k1 · · · grkr ) = χ(g1k1 ) · · · χ(grkr ) = e Se si definisce χα1 ,...,αr (g1k1 · · · grkr ) := e 2πi( 2πi( α1 k1 +···+ αvr kr v1 r α1 k1 +···+ αvr kr v1 r ) ) allora si è provato che ogni carattere χ di G ha la forma χα1 ,...,αr per qualche intero αj = 0, 1, . . . , vj − 1, 1 6 j 6 r. Questo completa la dimostrazione dal momento che l’isomorfismo cercato è la funzione ϕ che ad ogni elemento di G, x = g1α1 · · · grαr associa il carattere χα1 ,...,αr (anche in questo caso, è semplice verificare che ϕ è un isomorfismo di G in G∗ ). Definizione 3.1.7 Sia G un gruppo abeliano finito e N un sottogruppo di G. Si dice complemento ortogonale di N e si denota con N ⊥ il sottogruppo di G∗ definito da: N ⊥ = {χ ∈ G∗ | χ(g) = 1 ∀g ∈ N }. Lemma 3.1.8 Mantenendo le notazioni precedenti, il gruppo N ⊥ è isomorfo al gruppo (G/N )∗ dei caratteri di G/N . Inoltre, ogni carattere di N si estende a un carattere di G, il numero di tali estensioni essendo pari a (G : N ). Dimostrazione. Si supponga che |G| = v = mn, |N | = n e quindi |G/N | = m. È chiaro che, se χ è un carattere di G, la sua restrizione a N , χ|N , è un carattere di N . Sia, dunque, ϕ : G∗ → N ∗ la funzione definita da: ϕ(χ) := χ̂ per ogni carattere χ di G, dove χ̂ := χ|N . Si vede facilmente che ϕ è un omomorfismo di gruppi e che N ⊥ = ker ϕ. È altresı̀ facile provare che N ⊥ ∼ = (G/N )∗ . Infatti, si consideri la funzione φ : N ⊥ → (G/N )∗ cosı̀ definita: φ(χ) := χ̄ 84 Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria Combinatoria per ogni carattere χ ∈ N ⊥ , dove χ̄ : G/N → C∗ denota la funzione tale che χ̄(x) := χ(x) per ogni laterale x = N x ∈ G/N . Poichè χ ∈ N ⊥ , la funzione χ̄ è ben posta ed è chiaramente un carattere di G/N . Risulta, poi, semplice provare che φ è un isomorfismo di gruppi. Tenuto conto del fatto che |(G/N )∗ | = |G/N | per la Prop. 3.1.6, ne segue che |N ⊥ | = |(G/N )∗ | = |G/N | = m. Per il Teorema fondamentale degli omomorfismi di gruppi: G∗ /kerϕ ∼ = Imϕ. Pertanto si ha che: |Imϕ| = |G∗ | mn |G| = = =n ⊥ |kerϕ| m |N | e quindi |Imϕ| = n = |N | = |N ∗ |. Resta cosı̀ provato che ϕ è suriettiva, cioè che per ogni carattere λ di N , esiste almeno un carattere χ di G tale che χ|N = λ. Si supponga che χ1 , χ2 , . . . , χr siano r caratteri distinti di G che estendono il carattere λ di N . Poichè i caratteri χ−1 1 χi , i = 1, . . . , r inducono r distinti caratteri di G/N , deve essere r 6 m. D’altra parte, la restrizione a N di ognuno degli mn caratteri di G coincide con uno degli n caratteri di N . Ne segue che necessariamente r = m. Corollario 3.1.9 Sia g ∈ G, g 6= 1. Allora esiste un carattere χ di G tale che χ(g) 6= 1. Dimostrazione. Se g 6= 1, posto N = hgi, si ha che |N ∗ | = |N | > 1. Allora esiste un carattere non banale λ di N , cioè tale che λ(g) 6= 1. Per il Lemma 3.1.8, esiste un carattere χ di G che estende λ e che, pertanto, soddisfa la condizione χ(g) 6= 1. Lemma 3.1.10 (relazioni di ortogonalità) Sia G un gruppo abeliano finito e G∗ il gruppo dei caratteri di G. Allora: 3.1 Caratteri di gruppi abeliani finiti X χ(g) = g∈G X 85 |G| se χ = χ0 0 se χ 6= χ0 χ(g) = χ∈G∗ |G| se g = 1 0 se g 6= 1 Dimostrazione. Se χ = χ0 , l’asserto è ovvio. Sia χ 6= χ0 . Allora esiste un elemento h ∈ G tale che χ(h) 6= 1. Quindi X X X X S= χ(g) = χ(hg) = χ(h)χ(g) = χ(h) χ(g) = χ(h)S g∈G g∈G g∈G g∈G e S(1 − χ(h)) = 0. Ne segue che S = 0. La dimostrazione della seconda parte del Lemma è molto simile. Se g = 1, l’asserto è banale. Sia g 6= 1. Per il Cor. 3.1.9 esiste un carattere χ0 di G tale che χ0 (g) 6= 1. Allora X X X S= χ(g) = (χ0 χ)(g) = χ0 (g)χ(g) = χ0 (g)S χ∈G∗ χ∈G∗ χ∈G∗ e S(1 − χ0 (g)) = 0 da cui S = 0. Una conseguenza delle relazioni di ortogonalità è la cosiddetta formula di inversione di Fourier. Lemma 3.1.11 (formula P di inversione di Fourier) Sia G un gruppo abeliano finito e sia A = g∈G ag g ∈ Z[G]. Allora: ag = 1 X χ(A)χ(g −1 ) |G| ∗ χ∈G per ogni g ∈ G. Dimostrazione. Sia A = X χ(A)χ(g −1 ) = χ∈G∗ = X χ∈G∗ P g∈G ag g e g un elemento fissato di G. Allora X X X X ( ah χ(h))χ(g −1 ) = ah χ(hg −1 ) χ∈G∗ h∈G ag + X X χ∈G∗ h6=g ah χ(hg −1 ) = ag |G| + χ∈G∗ h∈G X h6=g ah ( X χ(hg −1 )) = ag |G| χ∈G∗ tenuto conto del fatto che h 6= g se e solo se hg −1 6= 1 e per la 2) del Lemma 3.1.10. 86 Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria Combinatoria Corollario 3.1.12 Sia G un gruppo abeliano finito e sia A ∈ Z[G]. Se χ(A) = 0 per ogni carattere non banale χ di G, allora esiste un intero µ tale che A = µG. Dimostrazione. Sia g un elemento fissato di G. Per il Lemma 3.1.11, si ha che: X X χ(A)χ(g −1 ) = χ0 (A) = |A|. ag |G| = χ(A)χ(g −1 ) = χ0 (A)χ0 (g −1 ) + χ∈G∗ χ6=χ0 Pertanto, posto µ := |A| |G| , si ha che A = µG. Lemma 3.1.13 Sia G un gruppo abeliano finito di ordine mn ed R un sottoinsieme di G. Se R ha cardinalità k, allora è un (m, n, k, λ)-insieme di differenze di G relativo a un sottogruppo N di ordine n, se e solo se k se χ ∈ G∗ \N ⊥ χ(R) · χ(R) = k − λn se χ ∈ N ⊥ per ogni carattere non banale χ di G. Dimostrazione. Sia R un (m, n, k, λ)-insieme di differenze di G relativo a N . Allora per il Lemma 2.3.11 R · R(−1) = k + λ(G − N ) in Z[G]. Si applichi a tale equazione un carattere non banale χ. Per il Lemma 3.1.10, χ(G) = 0 e pertanto χ(R) · χ(R(−1) ) = k + λχ(G) − λχ(N ) cioè χ(R) · χ(R) = k − λχ(N ) (osservato che, chiaramente, χ(R(−1) ) = χ(R)). Se χ ∈ G∗ \N ⊥ , allora χ(N ) = 0. La dimostrazione è analoga a quella del Lemma 3.1.10. Infatti, esiste un elemento a ∈ N tale che χ(a) 6= 1 e pertanto X X χ(N ) = S = χ(b) = χ(ab) = χ(a)S b∈N b∈N da cui S(1 − χ(a)) = 0 e S = 0. P Se χ ∈ N ⊥ , χ(b) = 1 per ogni b ∈ N e quindi χ(N ) = b∈N χ(b) = n. 3.1 Caratteri di gruppi abeliani finiti 87 Viceversa, si supponga che valgano le relazioni di cui sopra per ogni carattere non banale di G. Allora ∀χ ∈ G∗ , χ 6= χ0 si ha che: χ(R · R(−1) ) = χ(k + λ(G − N )) cioè χ(R · R(−1) − k − λ(G − N )) = 0 per ogni carattere non banale χ di G. Per il Cor. 3.1.12, esiste un intero µ tale che: R · R(−1) = k + λ(G − N ) + µG. Confrontando il coefficiente di 1 in questa equazione, si vede che µ = 0. Quindi, per il Lemma 2.3.11, R è un (m, n, k, λ)-insieme di differenze di G relativo a N. Come al solito, si enuncia, separatamente, il caso particolare del Lemma 3.1.13. Lemma 3.1.14 Un sottoinsieme D, di cardinalità k, di un gruppo abeliano finito G di ordine v, è un (v, k, λ)-insieme di differenze di G se e solo se χ(D) · χ(D) = n per ogni carattere non banale χ di G. Lemma 3.1.15 Siano G un gruppo abeliano finito di ordine v = mn ed esponente v ∗ , N un sottogruppo di G di ordine n, k1 un intero positivo con (k1 , v) = a1 , e A un elemento dell’anello gruppale intero Z[G]. Si supponga che siano soddisfatte le seguenti condizioni: 1. χ0 (A) ≡ bn + vc (mod k1 ) (in Z), con b e c interi; 2. χ(A) ≡ bn (mod k1 ) (in Z[ξv∗ ]) se χ ∈ N ⊥ \{χ0 }; 3. χ(A) ≡ 0 (mod k1 ) (in Z[ξv∗ ]) se χ ∈ G∗ \N ⊥ . Allora, esiste F ∈ Z[G] tale che A = bN + cG + k1 F. a1 P Dimostrazione. Sia A = g∈G ag g. Per la formula di inversione di Fourier (Lemma 3.1.11) si ha che, per ogni g elemento di G: X X mnag = χ0 (A) + χ(A)χ(g −1 ) + χ(A)χ(g −1 ). χ∈N ⊥ \{χ0 } χ∈G∗ \N ⊥ 88 Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria Combinatoria Per la (3), se χ ∈ G∗ \N ⊥ , χ(A)χ(g −1 ) ≡ 0 (mod k1 ) e quindi: X χ(A)χ(g −1 ) ≡ 0 (mod k1 ) (in Z[ξv∗ ]). χ∈G∗ \N ⊥ Per la (2), se χ ∈ N ⊥ \{χ0 }, χ(A)χ(g −1 ) ≡ bnχ(g −1 ) (mod k1 ) e quindi: X X χ(A)χ(g −1 ) ≡ χ∈N ⊥ \{χ0 } bnχ(g −1 ) (mod k1 ) (in Z[ξv∗ ]). χ∈N ⊥ \{χ0 } Tenuto conto della (1), si ha: X mnag ≡ bn + vc + χ∈N ⊥ \{χ bnχ(g −1 ) (mod k1 ) (in Z[ξv∗ ]) (3.1) 0} per ogni elemento g di G. Adesso, si distinguano due casi: g ∈ N e g 6∈ N . Sia g ∈ N . Allora χ(g −1 ) = 1 per ogni χ ∈ N ⊥ . Pertanto, poichè N ⊥ ∼ = (G/N )∗ (Lemma 3.1.8) e quindi |N ⊥ | = |(G/N )∗ | = |G/N | = m, dalla (3.1) si ha che, se g ∈ N : mnag ≡ bn + vc + bn(m − 1) (mod k1 ) (in Z[ξv∗ ]). Dunque mnag ≡ (b + c)mn (mod k1 ) (in Z[ξv∗ ]). (3.2) Si osservi che la congruenza (3.2) vale, in realtà, in Z. Infatti mn[ag −(b+c)] = k1 U per qualche U ∈ Z[ξv∗ ] e quindi mn[ag − (b + c)] ∈ Q ∩ Z[ξv∗ ] = Q ∩ A ∩ Q(ξv∗ ) = Q ∩ A = Z k1 per la Prop.1.1.2 e il Teor.1.1.25. Quindi, per il Lemma 1.4.5: ag ≡ (b + c) (mod k1 /a1 ) (in Z) (3.3) per ogni g ∈ N . Sia g 6∈ N . Allora g −1 6∈ N e g −1 N = 6 N . Dal fatto che N ⊥ ∼ = (G/N )∗ e dalle relazioni di ortogonalità segue che: X X χ(g −1 ) = χ̄(g −1 N ) = 0 χ∈N ⊥ χ̄∈(G/N )∗ 3.1 Caratteri di gruppi abeliani finiti 89 e quindi X χ(g −1 ) = −1. χ∈N ⊥ \{χ0 } Dalla (3.1) segue che, se g 6∈ N : mnag ≡ bn + vc − bn (mod k1 ) (in Z[ξv∗ ]) cioè mnag ≡ mnc (mod k1 ) (in Z[ξv∗ ]). Sempre per l’osservazione precedente, tale congruenza, in realtà, vale in Z e per il Lemma 1.4.5 si ha che: ag ≡ c (mod k1 /a1 ) (in Z) (3.4) per ogni g 6∈ N . Dalla (3.3) e dalla (3.4) segue che, per ogni g ∈ G esiste un intero βg tale che: ag = b + c + k1 βg a1 ag = c + k1 βg a1 ag g+A = X se g ∈ N se g 6∈ N. Allora: A= X ag g = A = g∈G X g6∈N g∈N = (b + c)N + ag g = A = g∈N dove F := (b+c+ X k1 k1 βg )g+ (c+ βg )g = a1 a1 g6∈N k1 X k1 X k1 βg g + c(G − N ) + βg g = bN + cG + F a1 a1 a1 g6∈N g∈N P X g∈G βg g ∈ Z[G]. Lemma 3.1.16 Siano a e b interi, F ∈ Z[G]. Se (a, b) = 1 e b | aF in Z[G], allora b | F in Z[G]. P P Dimostrazione. Sia F = g∈G ag g. Allora, se b | aF , ∃C = g∈G cg g ∈ Z[G] tale che aF = bC. Ne segue che: X X (aag )g = (bcg )g g∈G g∈G 90 Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria Combinatoria e pertanto che, per ogni g ∈ G: aag = bcg . In Z, ciò implica che, per ogni g ∈ G, b | aag , e poichè (a, b) = 1, per il Lemma 1.4.1, b | ag . Ne segue che, per ogni g ∈ G, esiste un intero dg tale che ag = bdg e pertanto F = X (bdg )g = bA g∈G con A = P g∈G dg g. Lemma 3.1.17 Con le stesse notazioni del Lemma 3.1.15, siano A e B due elementi dell’anello gruppale intero Z[G]. Si supponga che siano soddisfatte le seguenti condizioni: 1. A · A(−1) = a + bN + cG con a, b, c interi e a 6= 0; 2. B · B (−1) = a + bN + cG ; 3. A(−1) · B = bg1 N + cG + k2 F con g1 ∈ G, k2 > 0, k2 | a e F ∈ Z[G]; 4. BN = g1 AN ; 5. χ0 (A) = χ0 (B); 6. ∀g ∈P G : ag > 0 e bg > 0, k2 > b + c, k2 > c dove A = B = g∈G bg g. P g∈G ag g e Allora, esiste g2 ∈ g1 N tale che: B = Ag2 . (3) Dimostrazione. Si definisca S := A(−1) B − cG = bg1 N + k2 F . Applicando l’epimorfismo canonico ρ alla (3), si ha che, in Z[G/N ]: A (−1) · B = bnρ(g1 ) + k2 F + cn G/N. Dalla (4), per la (1) del Lemma 2.3.10, si ha che, in Z[G/N ]: B = ρ(g1 )A. Applicando ρ alla (1) si ha che: A·A (−1) = a + bn + cn G/N 3.1 Caratteri di gruppi abeliani finiti 91 (si ricordi che N è l’elemento neutro di G/N e che, per convenzione, n · 1 = n). Ne segue che: ρ(g1 )A · A (−1) = ρ(g1 )(a + bn + cnG/N ) = B · A (−1) . Pertanto ρ(g1 )(a + bn + cn G/N ) = bnρ(g1 ) + k2 F + cn G/N cioè aρ(g1 ) + bnρ(g1 ) + ρ(g1 )cn G/N = bnρ(g1 ) + k2 F + cn G/N. Osservato che ρ(g1 )G/N = G/N in Z[G/N ], per la (1) del Lemma 2.3.10, risulta: F = ka2 ρ(g1 ) e quindi F N = ka2 g1 N . Utilizzando la (3) e la (5) del Lemma 2.3.10, si ha che: F (−1) N = ka2 g1−1 N . Dunque: S · S (−1) = (A(−1) B − cG)(AB (−1) − cG) = (k2 F + bN g1 )(k2 F (−1) + bN g1−1 ). Poichè, per la (5), χ0 (A) = χ0 (B), si ha: χ0 (A(−1) B) = χ0 (A(−1) )χ0 (B) = = χ0 (A)χ0 (B) = (χ0 (A))2 = χ0 (AA(−1) ) = a + bn + cv. χ0 (AB (−1) ) = χ0 (A)χ0 (B (−1) ) = χ0 (A)χ0 (B) = (χ0 (A))2 . Per la (2) del Lemma 2.3.10 (si noti che χ0 (A) = |A|), risulta: A(−1) BG = χ0 (A(−1) B)G = (χ0 (A))2 G AB (−1) G = χ0 (AB (−1) )G = (χ0 (A))2 G GG = χ0 (G)G = vG N G = χ0 (N )G = nG. Sviluppando i calcoli si ha che: A(−1) BAB (−1) − cA(−1) BG − cAB (−1) G + c2 GG = = (k2 )2 F F (−1) + bk2 g1−1 F N + bk2 g1 F (−1) N + b2 N N. Per la (1) e la (2) si ha che: (a + bN + cG)(a + bN + cG) − 2(χ0 (A))2 cG + c2 GG = 92 Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria Combinatoria = (k2 )2 F F (−1) + bk2 g1−1 a a g1 N + bk2 g1 g1−1 N + b2 N N k2 k2 cioè a2 + b2 N N + c2 GG + 2abN + 2acG + 2bcN G − 2(a + bn + cv)cG + c2 GG = = (k2 )2 F F (−1) + abN + abN + b2 N N e quindi a2 + c2 vG + 2acG + 2bcnG − 2acG − 2bncG − 2c2 vG + c2 vG = (k2 )2 F F (−1) da cui a2 = (k2 )2 F F (−1) . In ultima analisi, si è provato che F F (−1) = ( a 2 ) . k2 Poichè A e B hanno coefficienti non negativi, anche A(−1) B ha coefficienti non negativi, e quindi per la (3), bg1 N + cG + k2 F ha coefficienti non negativi. Si prova, ora, che ciò, P insieme alla (6), implica che anche F ha coefficienti non negativi. Sia F = g∈G λg g, G/N = {g1 N, . . . , gm N }, N = {h1 , . . . , hn }, G = { gi hj | i = 1, . . . , m, j = 1, . . . , n}. Si sa che l’elemento bg1 h1 + · · · + bg1 hn + c X gi hj + k2 i,j X λgi hj gi hj i,j ha coefficienti non negativi. Per la (6): k2 > b + c ⇒ k2 > c ⇒ b+c b+c <1 ⇒− > −1 k2 k2 c c < 1 ⇒ − > −1 k2 k2 b + c + k2 λg1 h1 > 0 ⇒ λg1 h1 > − b+c > −1 ⇒ λg1 h1 > 0 k2 b + c + k2 λg1 h2 > 0 ⇒ λg1 h2 > − b+c > −1 ⇒ λg1 h2 > 0 k2 .. . 3.2 Teorema dei moltiplicatori per insiemi di differenze relativi abeliani 93 b+c > −1 ⇒ λg1 hn > 0. k2 Per quanto concerne i gi hj , con i > 2 e 1 6 j 6 n, si ha che: c c + k2 λgi hj > 0 ⇒ λgi hj > − > −1 ⇒ λgi hj > 0. k2 b + c + k2 λg1 hn > 0 ⇒ λg1 hn > − In ultima analisi, λg > 0 per ogni elemento g di G. Dunque, se F ha coefficienti non negativi, F F (−1) = ( ka2 )2 e F = ka2 ρ(g1 ), allora, necessariamente, esiste un elemento g2 ∈ g1 N tale che F = ka2 g2 . Moltiplicando ambo i membri della (3) per A, si ha che: AA(−1) B = bg1 AN + cAG + ag2 A. Dalla (1) e dalla (5), si deduce che B = Ag2 . 3.2 Teorema dei moltiplicatori per insiemi di differenze relativi abeliani In questa sezione si introduce il concetto di moltiplicatore di un insieme di differenze, concetto dovuto a M.Hall (1947). Si conservano le notazioni del Capitolo 2. Definizione 3.2.1 Sia G un gruppo finito di ordine v e D un (v, k, λ)-insieme di differenze di G. Un automorfismo α di G è detto un moltiplicatore di D, se esistono a, b ∈ G tali che: α(D) = aDb. Se a = 1, α è detto un moltiplicatore destro. Se G è abeliano e α è un automorfismo della forma α : x 7→ xm per qualche intero m, allora α è detto un moltiplicatore numerico. Per abuso di linguaggio, l’intero m è, allora, anche detto un moltiplicatore numerico di D. Osservazione 3.2.2 Si verifica facilmente che tutti i moltiplicatori di D formano un gruppo M (la legge del gruppo è la composizione di funzioni) e che i moltiplicatori destri di D formano un sottogruppo di M . Se G è abeliano, allora tutti i moltiplicatori sono moltiplicatori destri. Ovviamente, ogni moltiplicatore destro determina un automorfismo del disegno corrispondente a D (Prop. 2.3.7). Nel caso abeliano, quindi, un moltiplicatore di D può anche essere definito come un automorfismo di G che induce un automorfismo del disegno corrispondente a D. Infine, se G è ciclico, allora ogni moltiplicatore è numerico. 94 Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria Combinatoria Osservazione 3.2.3 La Def. 3.2.1 si estende, in modo del tutto simile, agli insiemi di differenze relativi R. Risulterà particolarmente utile nel seguito il seguente lemma. Lemma 3.2.4 Sia (G, +) un gruppo abeliano di ordine v = mn, R un (m, n, k, λ)-insieme di differenze di G relativo a un sottogruppo N di ordine n. Si supponga che (v, k) = 1. Allora, esiste un elemento h di G tale che R + h è fissato da ogni moltiplicatore di R. Dimostrazione. Sia R = {r1 , . . . , rk } e ϕ : G → G la funzione definita da: ϕ(x) := kx per ogni x ∈ G. Poichè (v, k) = 1 e G è abeliano, ϕ è un automorfismo di G. Ne segue che esiste un unico elemento h ∈ G tale che r1 + · · · + rk + kh = 0. Sia α un moltiplicatore di R. Per definizione, α è un automorfismo di G tale che α(R) = R + g per qualche g ∈ G e pertanto α(R + h) = R + c con c = g + α(h). Allora 0 = α(0) = α((r1 + h) + · · · + (rk + h)) = = α(r1 + h) + · · · + α(rk + h) = (r1 + c) + · · · + (rk + c) = r1 + · · · + rk + kc. Quindi, h = c e questo completa la dimostrazione. È ora possibile enunciare e dimostrare il seguente profondo teorema sui moltiplicatori di insiemi di differenze relativi abeliani. La dimostrazione di tale teorema, dovuta essenzialmente ad Arasu e Xiang [6], mostra quanto siano potenti ed eleganti gli strumenti di Teoria Algebrica dei Numeri, al fine di ottenere risultati sugli insiemi di differenze. Teorema 3.2.5 Sia G un gruppo abeliano di ordine v = mn e di esponente v ∗ , R un (m, n, k, λ)-insieme di differenze di G relativo a un sottogruppo N di ordine n. Siano t un intero positivo relativamente primo a v, e k1 un divisore positivo di k. Se k1 = pe11 pe22 · pess e k2 := k1 /(v, k1 ), per ogni numero primo pi (i = 1, . . . , s) si definisca pi se (pi , v) = 1 qi = li se v ∗ = pri i ui , (pi , ui ) = 1, ri > 1 3.2 Teorema dei moltiplicatori per insiemi di differenze relativi abeliani 95 dove li è un intero tale che (li , pi ) = 1 e li ≡ phi i (mod ui ) per qualche intero non negativo hi . Per ogni i = 1, . . . , s si assuma l’esistenza di un intero fi > 0 e di un moltiplicatore si di R tali che si qifi ≡ t (mod v ∗ ). Infine, si supponga che k2 > λ e che t sia un moltiplicatore di R = ρ(R), (m, k, nλ)-insieme di differenze di G/N (Lemma 2.2.13). Allora, t è un moltiplicatore di R. Dimostrazione. Per il Lemma 2.3.11, in Z[G], R soddisfa l’equazione R · R(−1) = k − λN + λG. Inoltre R(t) · R(−t) = k − λN + λG. In virtù del Lemma 3.1.13, si ha che: se χ ∈ G∗ \N ⊥ k k − λn se χ ∈ N ⊥ χ(R) · χ(R) = 2 k se χ = χ0 Poichè t è un moltiplicatore di ρ(R) = R in G/N , ∃g1 ∈ G tale che R ρ(g1 )R. Per la (1) del Lemma 2.3.10, ciò equivale a dire che (t) = R(t) N = g1 RN in Z[G]. Si definisca, ora, S := g1−1 R(t) R(−1) . A tale elemento S di Z[G] si applicherà il Lemma 3.1.15, facendo vedere che, per ogni i = 1, . . . , s: 1. χ0 (S) ≡ −λn + λv (mod pei i ) 2. χ(S) ≡ −λn (mod pei i ) 3. χ(S) ≡ 0 (mod pei i ) se χ ∈ N ⊥ \{χ0 } se χ ∈ G∗ \N ⊥ Siano fissati i ∈ {1, . . . , s} e il numero primo pi . Allora χ0 (S) = χ0 (g1−1 )χ0 (R(t) )χ0 (R(−1) ) = k 2 − λn + λv ≡ −λn + λv (mod pei i ). 96 Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria Combinatoria Resta cosı̀ provata la (1). Sia, ora, χ ∈ N ⊥ \{χ0 }. Poichè R(t) N = g1 RN , segue che χ(R(t) )χ(N ) = χ(g1 R)χ(N ), cioè che nχ(R(t) ) = nχ(g1 R). Quindi: χ(R) = χ(g1−1 R(t) ) e χ(S) = χ(g1−1 R(t) )χ(R(−1) ) = χ(R)χ(R(−1) ) = k − λn ≡ −λn (mod pei i ). Questo prova la (2). Sia, infine, χ ∈ G∗ \N ⊥ . Per ipotesi si è un moltiplicatore di R e quindi esiste g ∈ G tale che R(si ) = gR. Sia σsi : Q(ξv∗ ) → Q(ξv∗ ) l’automorfismo di Galois che a ξv∗ associa ξvs∗i (in generale, si denoterà con σx l’automorfismo che a ξv∗ associa ξvx∗ , con x intero e (x, v ∗ ) = 1). È chiaro che σsi fissa l’ideale (χ(R)) di Z[ξv∗ ] generato dall’intero ciclotomico χ(R). Infatti, innanzitutto σsi (χ(R)) = χ(R(si ) ) Se R = {r1 , . . . , rk }, posto χ(ri ) = ξvji∗ per ogni i = 1, . . . , k, si ha che: σsi (χ(R)) = σsi (χ(r1 )) + · · · + σsi (χ(rk )) = σsi (ξvj1∗ ) + · · · + σsi (ξvjk∗ ) = ξvj1∗si +· · ·+ξvjk∗si = (χ(r1 ))si +· · ·+(χ(rk ))si = χ(r1si )+· · ·+χ(rksi ) = χ(R(si ) ). Allora: σsi ((χ(R))) = (σsi (χ(R))) = (χ(R(si ) )) = (χ(gR)) = (χ(R)) dal momento che χ(gR) = χ(g)χ(R) = ξvh∗ χ(R) per qualche intero h, e quindi χ(gR) e χ(R), essendo associati, generano lo stesso ideale in Z[ξv∗ ]. Per il Teor. 1.3.9 sulla struttura del gruppo di decomposizione di un ideale primo in un campo ciclotomico, σqfi fissa tutti gli ideali primi di Z[ξv∗ ] che giacciono su pi . i Pertanto σt fissa l’ideale J = (χ(R), pei i ) = (χ(R)) + (pei i ) generato da χ(R) e pei i in Z[ξv∗ ]. Infatti, σqfi fissa tutti gli ideali primi su pi e quindi in particolare i fissa l’ideale J. σsi fissa J per il Lemma 1.3.12. Allora, σt = σsi ◦ σqfi fissa J, i cioè: (χ(R), pei i ) = σt (χ(R), pei i ) = (σt (χ(R)), σt (pei i )) = (χ(R(t) ), pei i ). In ultima analisi, risulta che (χ(R), pei i ) = (χ(R(t) ), pei i ) e pertanto χ(R(t) ) ∈ (χ(R), pei i ). Ne segue che esistono due interi ciclotomici u e w di Z[ξv∗ ] tali che: χ(R(t) ) = uχ(R) + wpei i . 3.2 Teorema dei moltiplicatori per insiemi di differenze relativi abeliani 97 Moltiplicando ambo i membri per χ(R(−1) ) si ha: χ(R(t) )χ(R(−1) ) = uχ(R)χ(R(−1) ) + wχ(R(−1) )pei i e quindi χ(R(t) )χ(R(−1) ) = uk + wχ(R(−1) )pei i ≡ 0 (mod pei i ) (in Z[ξv∗ ]). Pertanto: χ(S) = χ(g1−1 )χ(R(t) )χ(R(−1) ) ≡ 0 (mod pei i ). Resta cosı̀ dimostrata anche la (3). In virtù del Lemma 3.1.15, esiste Fi0 ∈ Z[G] tale che: pei S = −λN + λG + i0 Fi0 ai per ogni i = 1, . . . , s, dove a0i := (pei i , v). Dunque g1−1 R(t) R(−1) = −λN + λG + pei i 0 F. a0i i Moltiplicando ambo i membri per g1 , posto Fi := g1 Fi0 e osservato che g1 G = G in Z[G], si ha che: (t) R R (−1) pei i = −λg1 N + λG + 0 Fi ai per ogni i = 1, . . . , s. Questo implica che ei e ! pj j pi Fi = Fj a0i a0j e per ogni i, j ∈ {1, . . . , s} con i 6= j e pertanto pj j a0j e | pi i F. a0i i Poichè e 1, per il Lemma 3.1.16, si ha che pj j a0j e Fi ≡ 0 mod pj j | Fi in Z[G], cioè ! in Z[G] ∀i 6= j. a0j Dunque, per ogni i = 1, . . . , s s Y Fi = j=1 j6=i e pj j a0j F e pj j a0j e , pi i a0i = Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria Combinatoria 98 con F ∈ Z[G] e quindi piei Fi = a0i s Y pehh a0h ! F = Qs k1 0 F h=1 ah h=1 = k2 F essendo, per il Corollario 1.4.7: s Y a0h h=1 = s Y (pehh , v) h=1 =( s Y pehh , v) = (k1 , v). h=1 In definitiva R(t) R(−1) = −λg1 N + λG + k2 F. Per il Lemma 3.1.17, (è immediato verificare che tutte le sei condizioni di tale lemma sono soddisfatte per A = R e B = R(t) ) esiste g2 ∈ g1 N tale che R(t) = Rg2 . Questo completa la dimostrazione. 3.3 Limitazione dell’esponente di Schmidt Definizione 3.3.1 Sia G un gruppo abeliano finito. Due caratteri χ e τ di G, di ordine e (come elementi del gruppo G∗ ), si dicono coniugati se ∃σ ∈ Gal(Q(ξe )/Q) tale che: χ(g) = σ(τ (g)) per ogni g ∈ G. Sussiste il seguente: Lemma 3.3.2 Sia χ un carattere di ordine e di un gruppo abeliano finito G. Allora, χ ha esattamente ϕ(e) caratteri coniugati distinti. Inoltre, se per qualche A ∈ Z[G] risulta χ(A) ∈ Q, allora τ (A) = χ(A) per tutti i caratteri τ coniugati di χ. Dimostrazione. Per il Teor. 1.1.31, |Gal(Q(ξe )/Q)| = ϕ(e). Pertanto, i caratteri coniugati di χ sono tutti e soli i caratteri del tipo: χj = σj ◦ χ con 1 6 j 6 e, (j, e) = 1, dove σj , al solito, è l’automorfismo di Galois che a ξe associa ξej . È altresı̀ chiaro che per ogni j intero, 2 6 j 6 e, con (j, e) = 1, 3.3 Limitazione dell’esponente di Schmidt 99 risulta χj 6= χ, essendo χ un carattere di ordine e. Se A ∈ Z[G] e χ(A) ∈ Q, allora per ogni carattere coniugato τ di χ: τ (A) = σ(χ(A)) per qualche σ ∈ Gal(Q(ξe )/Q). puntualmente. Ma σ(χ(A)) = χ(A), perchè σ fissa Q Teorema 3.3.3 Sia X ∈ Z[ξm ] un intero ciclotomico della forma: X= m−1 X i ai ξm i=0 con 0 6 ai 6 C per ogni i = 0, 1, . . . , m − 1 e tale che XX = n. Allora: n6 C 2 (F (m, n))2 4ϕ(F (m, n)) dove F (m, n) è la funzione definita nella Def. 1.4.24. Dimostrazione. Per il Teor. 1.4.26, si può assumere che X ∈ Z[ξf ] con Q Q f := F (m, n). Si noti che, per definizione, f = ti=1 pbi i se m = ti=1 pci i con 1 6 bi 6 ci per ogni i = 1, . . . , t. Sia h := m f . Osservato che: Qt pci i −1 (pi − 1) m ϕ(m) = = Qi=1 =h [Q(ξm ) : Q(ξf )] = t b −1 i ϕ(f ) f (pi − 1) i=1 pi e che Q(ξm ) = (Q(ξf ))(ξm ), h−1 } è una base di Q(ξ ) su Q(ξ ). Questo implica ne segue che {1, ξm , . . . , ξm m f che f −1 X X= bi ξfi i=0 dove bi := aim/f . Infatti, posto: α0 := a0 + ah ξf + · · · + a(f −1)h ξff −1 α1 := a1 + ah+1 ξf + · · · + a(f −1)h+1 ξff −1 Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria 100 Combinatoria .. . αh−1 := ah−1 + a2h−1 ξf + · · · + am−1 ξff −1 risulta che: h−1 X = α0 + α1 ξm + · · · + αh−1 ξm h−1 con αi ∈ Q(ξf ) per ogni i = 0, . . . , h − 1. Poichè X ∈ Q(ξf ), e 1, ξm , . . . , ξm sono indipendenti su Q(ξf ), ne segue che X = α0 e α1 = α2 = . . . = αh−1 = 0. Posto G := hξf i, X può essere visto come un elemento dell’anello gruppale Z[G]. Si noti che X ∈ Z[ξf ] corrisponde a X (−1) ∈ Z[G]. Poichè XX = n ∈ Q, per il Lemma 3.3.2, si ha che, per tutti i ϕ(f ) caratteri coniugati χ di G di ordine f , risulta: χ(X)χ(X) = n. (3.5) Pf −1 P f −1 2 (−1) è Si ponga l := i=0 bi . Il coefficiente di 1 in X · X i=0 bi . Dalla formula di inversione di Fourier (Lemma 3.1.11), segue che: f −1 X b2i = 1 X τ (X · X (−1) ) f ∗ τ ∈G i=0 cioè f f −1 X b2i = X |τ (X)|2 . (3.6) τ ∈G∗ i=0 Dalla (3.5) e dal fatto che χ0 (X) = l (χ0 denota, al solito, il carattere banale di G), si ha che: f −1 X f b2i > l2 + ϕ(f )n. (3.7) i=0 Poichè 0 6 bi 6 C, si ha che 0 6 b2i 6 bi C per ogni i = 0, 1, . . . , f − 1. Dunque f −1 X b2i 6 Cl ⇒ f i=0 f −1 X b2i − l2 6 f Cl − l2 6 f 2 C 2 /4. i=0 Dalla (3.7) segue che ϕ(f )n 6 f f −1 X i=0 b2i − l2 6 f 2 C 2 /4 3.3 Limitazione dell’esponente di Schmidt 101 e quindi n6 C 2f 2 . 4ϕ(f ) Questo completa la dimostrazione. Una conseguenza del Teor. 3.3.3 è il seguente: Teorema 3.3.4 Si assuma l’esistenza di un (v, k, λ)-insieme di differenze D di un gruppo G. Se U è un sottogruppo normale di G tale che G/U è ciclico di ordine e, allora: vF (e, n) e6 p . 2 nϕ(F (e, n)) Dimostrazione. Sia |U | = generatore di G/U . Pertanto v e = t, U = {1, h2 , . . . , ht }, g = gU un G/U = {U, gU, . . . , g e−1 U }. Sia χ : G/U → C∗ il carattere di G/U definito da: χ(gU ) := ξe . Per il Lemma 2.3.12, D · D(−1) = n + λG in Z[G], e quindi ρ(D) · ρ(D(−1) ) = n + λ|U |G/U in Z[G/U ], dove ρ : G → G/U denota, come al solito, l’epimorfismo canonico, che si considera esteso per linearità a un omomorfismo di Z[G] in Z[G/U ]. Applicando a tale equazione il carattere (non banale) χ di G/U , poichè χ(G/U ) = 0 per le relazioni di ortogonalità (Lemma 3.1.10), si ha che: χ(ρ(D)) · χ(ρ(D)) = n. (3.8) Si noti che in Z[G/U ] risulta: ρ(G) = X g∈G e−1 v v v e−1 vX i g ρ(g) = U + gU + · · · + g U = e e e e i=0 e che E := ρ(D) = e−1 X i=0 ai g i Applicazioni della Teoria Algebrica dei Numeri alla Geometria 102 Combinatoria P i con 0 6 ai 6 ve per ogni i = 0, . . . , e − 1. Quindi X := χ(E) = e−1 i=0 ai ξe ∈ Z[ξe ] e per la (3.8): XX = n. Allora, per il Teor. 3.3.3, si ha che: n6 (v/e)2 (F (e, n))2 4ϕ(F (e, n)) 16 v 2 (F (e, n))2 e2 4nϕ(F (e, n)) cioè e passando alle radici quadrate 16 v F (e, n) p . e 2 nϕ(F (e, n)) Questo completa la dimostrazione. Teorema 3.3.5 Si assuma l’esistenza di un (v, k, λ)-insieme di differenze di un gruppo abeliano G. Allora vF (v, n) exp G 6 p . 2 nϕ(F (v, n)) In particolare, se G è ciclico, allora n6 F (v, n)2 . 4ϕ(F (v, n)) Dimostrazione. È una immediata conseguenza del Teor. 3.3.4, poichè basta considerare e := exp G, osservato che: vF (e, n) vF (v, n) e6 p 6 p . 2 nϕ(F (e, n)) 2 nϕ(F (v, n)) Se poi G è ciclico, exp G = v. Teorema 3.3.6 Se esiste un insieme di differenze di Hadamard di un gruppo ciclico di ordine v = 4u2 , allora v6 F (v, u)2 . ϕ(F (v, u)) Combinando il Teor. 3.3.6, l’Oss. 2.4.16 e il Teor. 6 (R.Turyn [20]), si ottiene il seguente: Teorema 3.3.7 Non esiste una matrice di Hadamard circolante di ordine v nel range 4 < v 6 1011 con le possibili eccezioni di v = 4u2 con u ∈ {165, 11715, 82005}. Capitolo 4 Insiemi di differenze affini 4.1 Piani affini ciclici In questa sezione, si prende in esame un particolare insieme di differenze relativo detto affine poichè corrisponde ad un piano affine finito. Il termine di insieme di differenze affine è dovuto a Bose, che è stato il primo a studiare tali strutture. Successivamente si è occupato di insiemi di differenze affini, Hoffman, e recentemente Jungnickel. Definizione 4.1.1 Siano n > 2 un intero, (G, +) un gruppo finito di ordine n2 − 1, N un sottogruppo normale di G di ordine n − 1. Un (n + 1, n − 1, n, 1)insieme di differenze R di G relativo a N , è detto un insieme di differenze affine (di ordine n). Osservazione 4.1.2 Per la Prop. 2.3.6, ad un insieme di differenze affine R di ordine n, è possibile associare un (n + 1, n − 1, n, 1)-disegno divisibile (il cosiddetto sviluppo di R, usualmente denotato con D = devR), in cui i punti sono gli elementi di G, i blocchi sono i traslati destri di R (R +g, g ∈ G), le classi di punti sono i laterali di N . Ciascun elemento di G agisce sul disegno come traslazione destra, e con questa azione, G è un gruppo di Singer di D. Se si aggiunge agli elementi del gruppo G, un punto ∞ 6∈ G e si definiscono come nuovi blocchi, i laterali del sottogruppo N con il punto ∞, si ottiene una nuova struttura di incidenza Σ, in cui l’insieme dei punti ha cardinalità n2 , e quello dei blocchi ha cardinalità n2 + n. Si verifica che tale struttura è un piano affine di ordine n. Per questo motivo, (n + 1, n − 1, n, 1)-insiemi di differenze sono chiamati insiemi di differenze affini. Se Π denota il piano proiettivo di ordine n, estensione di Σ, allora G rappresenta un gruppo di 104 Insiemi di differenze affini collineazioni quasiregolare di Π (cioè, lo stabilizzatore in G di ciascun punto è un sottogruppo normale di G). Se G è ciclico, il piano affine Σ associato a R, si dice piano affine ciclico, se G è abeliano, Σ si dice piano affine abeliano. Per ogni q potenza di un numero primo, esiste un insieme di differenze affine ciclico di ordine q, come mostra il seguente teorema, dovuto a Bose. Teorema 4.1.3 Se q è una potenza di un numero primo, allora esiste un (q +1, q − 1, q, 1)-insieme di differenze ciclico di (F∗q2 , ·) relativo al sottogruppo (F∗q , ·). Il disegno divisibile corrispondente è il piano affine F2q privo dell’origine (0, 0), i blocchi essendo le rette del piano affine che non passano per l’origine. Tale teorema ammette una ben nota generalizzazione, come si vedrà nella prossima sezione. Si concentra, ora, l’attenzione sui moltiplicatori di un insieme di differenze affine ciclico R. Nel suo articolo, Hoffman ha provato che ogni divisore primo dell’ordine di R, è un moltiplicatore. Per la dimostrazione di tale teorema, si premettono alcuni lemmi elementari sulle congruenze polinomiali. Lemma 4.1.4 Siano a e b interi non negativi, m un intero positivo. Allora, sono equivalenti le seguenti condizioni: 1. a ≡ b (mod m); 2. X a ≡ X b mod (X m − 1). Dimostrazione. (2) ⇒ (1). Per ipotesi esiste F (X) ∈ Z[X] tale che: X a − X b = F (X)(X m − 1). Se F (X) = 0, allora a = b e l’asserto è ovvio. Sia F (X) 6= 0. Allora, necessariamente F (X) sarà del tipo ±X k con k > 0. Se k = 0, F (X) = ±1 e b = 0, a = m oppure b = m, a = 0. Se k > 0 e F (X) = X k , allora a = m + k e b = k. Se k > 0 e F (X) = −X k , allora a = k e b = m + k. (1) ⇒ (2). Sia a = b + km con k ∈ Z. Se k = 0, risulta X a = X b e quindi l’asserto è banale. Se k > 0, allora a > b e X a = X b X km . Quindi: X a −X b = X b (X km −1) = X b [(X m )k −1] = X b (X m −1)[(X m )k−1 +· · ·+X m +1]. Se k < 0, posto h := −k, si ha che b = a + hm e X b = X a X hm . Pertanto: X a − X b = −X a (X hm − 1) = −X a (X m − 1)[(X m )h−1 + · · · + X m + 1]. Resta cosı̀ provato il lemma. 4.1 Piani affini ciclici 105 Lemma 4.1.5 Sia f (X) = a0 + a1 X + · · · + an X n un polinomio a coefficienti interi tale che ai > 0 per ogni i = 0, 1, . . . , n. Sia m un intero positivo e g(x) = b0 + b1 X + · · · + br X r un altro polinomio a coefficienti interi, di grado r < m. Allora, se f (X) ≡ g(X) mod (X m − 1) necessariamente: bi > 0, per ogni i = 0, 1, . . . , r. Dimostrazione. Per ipotesi, esiste F (X) ∈ Z[X] tale che: f (X) − g(X) = F (X)(X m − 1). (4.1) Se F (X) = 0, l’asserto è ovvio. Si supponga, allora, che F (X) 6= 0. Si scriva: F (X) = c0 + c1 X + · · · + ct X t . Si osservi che necessariamente n > r. Se cosı̀ non fosse, si avrebbe n 6 r < m ⇒ n < m ∧ r < m ⇒ deg(f − g) < m. D’altra parte, degF (X)(X m − 1) > m e ciò è in contraddizione con la (4.1). Sia dunque: f (X) − g(X) = (a0 − b0 ) + (a1 − b1 )X + (ar − br )X r + ar+1 X r+1 + · · · + an X n F (X)(X m − 1) = −c0 − c1 X − · · · − ct X t + c0 X m + c1 X m+1 + · · · + ct X m+t . Dalla (4.1) segue (per il principio di identità dei polinomi) che n = m + t e ct = an . In particolare n > m. Si distinguano, ora, due casi: n = m e n > m. Se n = m, allora t = 0, F (X) = c0 e la (4.1) diventa: (a0 − b0 ) + (a1 − b1 )X + (ar − br )X r + ar+1 X r+1 + · · · + am X m = c0 X m − c0 . Quindi c0 = am , a1 = b1 , . . . , ar = br , ar+1 = . . . = am−1 = 0 e a0 − b0 = −c0 da cui b0 = a0 + c0 = a0 + am > 0. Resta cosı̀ verificata la tesi. Sia n > m e quindi t > 0. Per ipotesi, r < m ⇒ m = r + h con h > 0, n = m + t e dunque n = r + h + t. Si riscrivano i due membri della (4.1) nel modo che segue: f (X) − g(X) = (a0 − b0 ) + · · · + (ar − br )X r + ar+1 X r+1 + + · · · + ar+h X r+h + · · · + ar+h+t X r+h+t 106 Insiemi di differenze affini F (X)(X m −1) = −c0 −c1 X −· · ·−ct X t +c0 X r+h +c1 X r+h+1 +· · ·+ct X r+h+t . A questo punto, si presentano due possibilità: r + h > t oppure r + h 6 t. Se r + h > t, allora dalla (4.1) segue che: c0 = ar+h , c1 = ar+h+1 , . . . , ct = ar+h+t e pertanto ci > 0 per ogni i = 0, 1, . . . , t. Inoltre, a seconda del valore di r e di t, aj − bj coinciderà con 0 oppure con un −ck , pertanto sarà bj = aj oppure bj = aj + ck , e in entrambi i casi, risulterà bj > 0. Sia r + h 6 t. Dunque, r + h = t − j, con 0 6 j < t. Allora, si ha che: F (X)(X m − 1) = −c0 − c1 X − · · · − cr X r − cr+1 X r+1 − · · · − cr+h−1 X r+h−1 + +(c0 −cr+h )X r+h +· · ·+(cj −cr+h+j )X r+h+j +cj+1 X r+h+j+1 +· · ·+ct X r+h+t . Dalla (4.1), allora, segue che: cj+1 = ar+h+j+1 , cj+2 = ar+h+j+2 , . . . , ct = ar+h+t . Pertanto, ck > 0 per ogni k > j + 1. In realtà, ck > 0 per ogni k = 0, 1, . . . , t. Infatti: cj − cr+h+j = ar+h+j ⇒ cj = ct + ar+h+j > 0 (essendo ct > 0). Analogamente: cj−1 − cr+h+j−1 = ar+h+j−1 ⇒ cj−1 = cr+h+j−1 + ar+h+j−1 > 0 e cosı̀ via fino a c1 − cr+h+1 = ar+h+1 e: c0 − cr+h = ar+h ⇒ c0 = cr+h + ar+h > 0. Inoltre: a0 − b0 = −c0 , a1 − b1 = −c1 , . . . , ar − br = −cr . Dunque, per ogni i = 0, 1, . . . , r risulta bi = ai + ci > 0. Lemma 4.1.6 Siano f (X) = a0 + a1 X + · · · + an X nPe g(X) = b0 + Pbr1 X + n r · · · + br X due polinomi a coefficienti interi. Sia f := i=0 ai e g := j=0 bj . Allora, se f (X) ≡ g(X) mod (X m − 1), risulta che f = g. Dimostrazione. D’altra parte: Dall’ipotesi, segue che f (X) ≡ g(X) mod (X − 1). f (X) − f = a1 (X − 1) + a2 (X 2 − 1) + · · · + an (X n − 1) = = (X − 1)[a1 + · · · + an (X n−1 + · · · + 1)]. 4.1 Piani affini ciclici 107 Ne segue che: f (X) − f ≡ 0 mod (X − 1). (4.2) Analogamente, si prova che: g(X) − g ≡ 0 mod (X − 1). (4.3) Allora, per transitività, dalla (4.2) e dalla (4.3) si ha: f (X) − f ≡ g(X) − g mod (X − 1). (4.4) f (X) − f ≡ g(X) − f mod (X − 1). (4.5) g(X) − f ≡ g(X) − g mod (X − 1) (4.6) Inoltre Ciò implica che: cioè g − f = H(X)(X − 1) per qualche polinomio H(X) a coefficienti interi. Ma ciò si verifica solo per H(X) = 0. Dunque, si ha g = f . Lemma 4.1.7 Siano d > 1 e m > 0 interi tali che d | m con h := m/d e: f (X) = 1 + X d + X 2d + · · · + X (h−1)d g(X) = b0 + b1 X + · · · + bn X n due polinomi a coefficienti interi. Allora esiste un polinomio g1 (X) ∈ Z[X], con deg (g1 (X)) < d tale che: f (X)g(X) ≡ f (X)g1 (X) mod (X m − 1). Dimostrazione. L’asserto è banale se deg (g(X)) < d perchè in tal caso basta prendere g1 (X) := g(X). Si osservi che X m − 1 = f (X)(X d − 1). Si procede per induzione su n = deg (g(X)). Se n = d, si prenda g1 (X) := g(X) + −bd X d + bd . Chiaramente deg (g1 (X)) < d e f (X)[g(X) − g1 (X)] = bd f (X)(X d − 1) = bd (X m − 1). L’asserto è dunque vero per n = d. Sia ora n > d. Si definisca il seguente polinomio a coefficienti interi: g(X) := b0 + b1 X + · · · + bd−1 X d−1 + bd + bd+1 X + · · · + bn X n−d . 108 Insiemi di differenze affini Essendo deg (g(X)) < n, per l’ipotesi induttiva, esiste un polinomio g1 (X) ∈ Z[X], con deg (g1 (X)) < d tale che: f (X)[g(X) − g1 (X)] = F (X)(X m − 1). (4.7) Si osservi che: g(X)−g(X) = bd d+bd+1 X d+1 +· · ·+bn X n −(bd +· · ·+bn X n−d ) = (X d −1)H(X) dove H(X) := bd + bd+1 X + · · · + bn X n−d . Dunque la (4.7) può essere cosı̀ riscritta: f (X)[g(X) − H(X)(X d − 1) − g1 (X)] = F (X)(X m − 1) cioè f (X)[g(X) − g1 (X)] = [H(X) + F (X)](X m − 1). Questo completa la dimostrazione. Lemma 4.1.8 Mantenendo le stesse notazioni del Lemma 4.1.7, si supponga che il polinomio g(X) sia della forma: g(X) = b0 + b1 X d + b2 X 2d + · · · + bk X kd con g = Pk i=0 bi . Allora: f (X)g(X) ≡ gf (X) mod (X m − 1). Dimostrazione. Basta oservare che: f (X)[g(X) − g] = f (X)(b0 + b1 X d + · · · + bk X kd − b0 − b1 − · · · − bk ) = = f (X)[b1 (X d − 1) + · · · + bk (X kd − 1)] = (X m − 1)F (X) dove F (X) := b1 + b2 (X d + 1) + · · · + bk (X (k−1)d + · · · + X d + 1). Teorema 4.1.9 Sia R un (n+1, n−1, n, 1)-insieme di differenze affine ciclico di ordine n di (Zv , +) (v := n2 − 1) relativo al sottogruppo N di ordine n − 1. Sia p un numero primo che divide n. Allora, p è un moltiplicatore di R. 4.1 Piani affini ciclici 109 Dimostrazione. Sia R = {r1 , . . . , rn } e N {0, (n + 1), . . . , (n − 2)(n + 1)} dove, per ogni i = 1, . . . , n si ha che: 0 < ri < v e = ri 6≡ 0 (mod n + 1) (in tal caso, si dice che R è dato in forma standard). Si definiscano i seguenti polinomi: θ(X) := X r1 + · · · + X rn P (X) := 1 + X n+1 + · · · + X (n−2)(n+1) R(X) := 1 + X + · · · + X n (il polinomio θ(X) è detto il polinomio di Hall associato all’insieme di differenze R). Per ogni i = 1, . . . , n si ha che: vri ≡ 0 (mod v) e pertanto, per il Lemma 4.1.4: X vri ≡ 1 mod (X v − 1). Ne segue che: θ(X)θ(X v−1 ) = n X X vri + i=1 n X X ri −rj X vrj ≡ n + n X i,j=1 i,j=1 i6=j i6=j X ri −rj mod (X v − 1). Poichè le n2 − n differenze ri − rj (con i 6= j) costituiscono esattamente le n2 − n classi di congruenza (mod v) che non sono multiple di (n + 1), si ha che: P (X)[R(X) − 1] = v−1 X k X ≡ n X k=0 i,j=1 k6≡0 (mod n+1) i6=j X ri −rj mod (X v − 1). Resta cosı̀ provato che: θ(X)θ(X v−1 ) ≡ n + P (X)[R(X) − 1] mod (X v − 1). (4.8) Poichè (p, v) = 1, anche {pr1 , . . . , prn } è un insieme di differenze affine di Zv relativo a N . Quindi per il Lemma 4.1.4: θ(X p )θ(X (v−1)p ) ≡ n + P (X)[R(X) − 1] mod (X v − 1). (4.9) Dal momento che p | n e P (X) | X v − 1 (infatti X v − 1 = P (X)(X n+1 − 1)), dalla (4.8), segue che esistono un intero r e un polinomio G(X) ∈ Z[X] tali che: θ(X)θ(X v−1 ) = n + P (X)[R(X) − 1] + G(X)(X v − 1) = 110 Insiemi di differenze affini = pr + P (X)[R(X) − 1 + G(X)(X n+1 − 1)]. È possibile, allora, sostituire il modulo della (4.8) con il doppio modulo p, P (X), ottenendo: θ(X)θ(X v−1 ) ≡ 0 mod (p, P (X)). (4.10) Per il teorema della potenza multinomiale, θ(X p ) ≡ (θ(X))p (mod p) in Z[X] e a fortiori θ(X p ) ≡ (θ(X))p mod (p, P (X)). Quindi: θ(X p )θ(X v−1 ) ≡ (θ(X))p θ(X v−1 ) = (θ(X))p−1 θ(X)θ(X v−1 ) ≡ 0mod (p, P (X)) il che può essere espresso come: θ(X p )θ(X v−1 ) ≡ pf (X) + P (X)g(X) mod (X v − 1) dove f (X) e g(X) ∈ Z[X]. deg g1 (X) < n + 1 tale che: (4.11) Per il Lemma 4.1.7, ∃g1 (X) ∈ Z[X], con P (X)g(X) ≡ P (X)g1 (X) mod (X v − 1). Pertanto, è lecito assumere che: g(X) = g0 + g1 X + · · · + gn X n . Sia f (X) = a0 + a1 X + · · · + av−1 X v−1 , gi = pqi + ri , con 0 6 ri 6 p − 1 per ogni i = 0, 1, . . . , n. Posto f˜(X) := (a0 +q0 )+(a1 +q1 )X+· · ·+(an +qn )X n +(an+1 +q0 )X n+1 +· · ·+(av−1 +qn )X v−1 e g̃(X) := r0 + r1 X + · · · + rn X n , si verifica che pf (X) + P (X)g(X) = pf˜(X) + P (X)g̃(X). Allora, nella (4.11) si può anche assumere che, per ogni i = 0, 1, . . . , n : 0 6 gi 6 p − 1. Sia, ora, f (X) = C0 + C1 X + · · · + Cv−1 X v−1 . Il polinomio θ(X p )θ(X v−1 ) ha coefficienti non negativi e il polinomio H(X) := pf (X)+P (X)g(X) ha grado minore di v. Per il Lemma 4.1.5, la (4.11) implica che anche il polinomio H(X) ha coefficienti non negativi, cioè: pC0 + g0 > 0 4.1 Piani affini ciclici 111 pC1 + g1 > 0 .. . pCn + gn > 0 pCn+1 + g0 > 0 .. . pCv−1 + gn > 0 Poichè per ogni i = 0, 1, . . . , n, risulta 0 6 gi < p, allora − gpi > −1. Pertanto: C0 > − g0 > −1 p C1 > − g1 > −1 p .. . gn Cn > − > −1 p g0 Cn+1 > − > −1 p .. . Cv−1 > − gn > −1 p e quindi Ci > 0 per ogni i = 0, 1, . . . , v − 1. Si osservi che: P (X) = 1 + X n+1 + · · · + X (n−2)(n+1) = = n − 1 + (X n+1 − 1) + · · · + [(X n+1 )n−2 − 1] = n − 1 + S(X)(X n+1 − 1). Ne segue che P (X) ≡ n − 1 mod (X n+1 − 1) e poichè R(X) | X n+1 − 1 (infatti X n+1 − 1 = (X − 1)R(X)), dalla (4.11) si deduce: θ(X p )θ(X v−1 ) = pf (X) + P (X)g(X) + F (X)((X v − 1) = = pf (X) + [n − 1 + S(X)(X n+1 − 1)]g(X) + F (X)P (X)(X n+1 − 1) = 112 Insiemi di differenze affini = pf (X)+(n−1)g(X)+T (X)(X n+1 −1) = pf (X)−g(X)+prg(X)+V (X)R(X). Ne segue che: θ(X p )θ(X v−1 ) ≡ −g(X) mod (p, R(X)) (4.12) D’altra parte, poichè {r1 , . . . , rn } è un insieme di differenze in forma standard, per ogni i = 1, . . . , n esiste un unico intero ai ∈ {1, . . . , n} tale che ri ≡ ai (mod n + 1), e ai 6= aj per ogni i 6= j. Per il Lemma 4.1.4: n X X ri ≡ i=1 n X X ai mod (X n+1 − 1) i=1 cioè θ(X) ≡ R(X) − 1 mod (X n+1 − 1). A fortiori : θ(X) ≡ −1 mod (p, R(X)). (4.13) Dalla (4.8) si ha che: θ(X)θ(X v−1 ) = n + P (X)[R(X) − 1] + F (X)(X v − 1) = = n+P (X)R(X)−P (X)+F (X)P (X)R(X)(X −1) = n+U (X)R(X)−P (X). Si sa che: P (X) = n − 1 + G(X)(X n+1 − 1) = n − 1 + G(X)R(X)(X − 1). Quindi: θ(X)θ(X v−1 ) = n + U (X)R(X) − n + 1 − G(X)R(X)(X − 1) = 1 + T (X)R(X). Dunque θ(X)θ(X v−1 ) ≡ 1 mod (p, R(X)) che, insieme alla (4.13) dà: θ(X p )θ(X v−1 ) ≡ (−1)p−1 ≡ 1 mod (p, R(X)). (4.14) Infatti dalla congruenza θ(X)θ(X v−1 ) ≡ 1 mod (p, R(X)), moltiplicando p − 1 volte per θ(X) ambo i membri, si ha: (θ(X))p θ(X v−1 ) ≡ (θ(X))p−1 mod (p, R(X)). 4.1 Piani affini ciclici 113 Dalla congruenza θ(X p ) ≡ (θ(X))p mod (p, R(X)), segue, moltiplicando per θ(X v−1 ): θ(X p )θ(X v−1 ) ≡ (θ(X))p θ(X v−1 ) mod (p, R(X)). Quindi θ(X p )θ(X v−1 ) ≡ (θ(X))p−1 mod (p, R(X)). Elevando alla (p − 1)-esima potenza ambo i membri della (4.13), si ottiene: (θ(X))p−1 ≡ (−1)p−1 mod (p, R(X)) da cui la (4.14). Dalla (4.12) e dalla (4.14) segue che: −g(X) ≡ 1 mod (p, R(X)) cioè che g(X) + 1 = ph(X) + k(X)R(X) con h(X) e k(X) ∈ Z[X]. Usando il Lemma 4.1.8, con d = 1 e m = n + 1 si ottiene: k(X)R(X) ≡ kR(X) mod (X n+1 − 1) e quindi: g(X) + 1 ≡ ph(X) + kR(X) mod (X n+1 − 1) (4.15) dove k è un intero tale che: 0 6 k 6 p − 1. La (4.15) implica l’esistenza di un polinomio t(X) ∈ Z[X] tale che: (1 + g0 ) − k + (g1 − k)X + · · · + (gn − k)X n = pt(X). Quindi, per le assunzioni fatte sui coefficienti gi e sull’intero k: g1 = g2 = . . . = gn = k e k ≡ g0 + 1 (mod p). Allora, g0 + 1 = k + up con u > 0. Si osservi che non può essere g0 + 1 = p. Se, per assurdo, cosı̀ fosse, si avrebbe k = 0 e u = 1, e per il Lemma 4.1.6 applicato alla congruenza (4.11) si avrebbe: n2 = pf + (n − 1)(p − 1) dove f è la somma dei coefficienti di f (X); ne seguirebbe che p | (n − 1)(p − 1) cioè che p | (n − 1) oppure p | (p − 1), e ciò è impossibile. Quindi, g0 + 1 < p e pertanto u = 0, g0 + 1 = k e n2 = pf + (n − 1)(nk + k − 1). 114 Insiemi di differenze affini Ne segue che p | k − 1, e pertanto k = 1, f = n/p, g(X) = R(X) − 1. La (4.11) può essere riscritta come: θ(X p )θ(X v−1 ) ≡ pf (X) + P (X)[R(X) − 1] mod (X v − 1). (4.16) Per il Lemma 4.1.4 2 2 (v−1)2 ≡ 1(modv) ⇒ X (v−1) ≡ Xmod(X v −1) ⇒ θ(X (v−1) ) ≡ θ(X)mod(X v −1). Sempre per il Lemma 4.1.4 si ha che: P (X v−1 )[R(X v−1 ) − 1] ≡ P (X)[R(X v−1 ) − 1] mod (X v − 1). (4.17) Infatti, sviluppando i calcoli, si ha che: P (X v−1 )[R(X v−1 ) − 1] = X v−1 + · · · + X n(v−1) + · · · + X (n+1)(v−1)+v−1 + · · · + +X (n+1)(v−1)+n(v−1) + +X 2(n+1)(v−1)+v−1 + · · · + X 2(n+1)(v−1)+n(v−1) + · · · + +X (n−3)(n+1)(v−1)+v−1 + · · · + X (n−3)(n+1)(v−1)+n(v−1) + +X (n−2)(n+1)(v−1)+v−1 + · · · + X (n−2)(n+1)(v−1)+n(v−1) . P (X)[R(X v−1 ) − 1] = X v−1 + · · · + X n(v−1) + X n+1+v−1 + · · · + X n+1+n(v−1) + +X 2(n+1)+v−1 + · · · + X 2(n+1)+n(v−1) + · · · + +X (n−3)(n+1)+v−1 + · · · + X (n−3)(n+1)+n(v−1) + +X (n−2)(n+1)+v−1 + · · · + X (n−2)(n+1)+n(v−1) . La (4.17) segue dal Lemma 4.1.4, in virtù delle seguenti congruenze: (n + 1)(v − 1) + v − 1 ≡ (n − 2)(n + 1) + v − 1 (mod v) .. . (n + 1)(v − 1) + n(v − 1) ≡ (n − 2)(n + 1) + n(v − 1) (mod v) 2(n + 1)(v − 1) + v − 1 ≡ (n − 3)(n + 1) + v − 1 (mod v) .. . 2(n + 1)(v − 1) + n(v − 1) ≡ (n − 3)(n + 1) + n(v − 1) (mod v) 4.1 Piani affini ciclici 115 .. . (n − 3)(n + 1)(v − 1) + v − 1 ≡ 2(n + 1) + v − 1 (mod v) .. . (n − 3)(n + 1)(v − 1) + n(v − 1) ≡ 2(n + 1) + n(v − 1) (mod v) (n − 2)(n + 1)(v − 1) + v − 1 ≡ n + 1 + v − 1 (mod v) .. . (n − 2)(n + 1)(v − 1) + n(v − 1) ≡ n + 1 + n(v − 1) (mod v). In modo analogo, si prova che: P (X)R(X) ≡ P (X)R(X v−1 ) ≡ 1 + X + · · · + X v−1 mod (X v − 1). (4.18) Infatti: P (X)R(X) = 1 + X + · · · + X v−1 = 1 + X + · · · + X n−1 + X n + X n+1 + · · · + +X (n−2)(n+1) + X (n−2)(n+1)+1 + · · · + X (n−2)(n+1)+n . P (X)R(X v−1 ) = 1+X v−1 +· · ·+X n(v−1) +X n+1 +X n+1+v−1 +· · ·+X n+1+n(v−1) + + · · · + X (n−2)(n+1) + X (n−2)(n+1)+v−1 + · · · + X (n−2)(n+1)+n(v−1) . La (4.18) segue dal Lemma 4.1.4, in virtù delle seguenti congruenze: 2(v − 1) ≡ (n − 2)(n + 1) + n − 1 (mod v) .. . (n − 1)(v − 1) ≡ (n − 2)(n + 1) + 2 (mod v) n(v − 1) ≡ (n − 2)(n + 1) + 1 (mod v) n + 1 + v − 1 ≡ n (mod v) n + 1 + 2(v − 1) ≡ n − 1 (mod v) .. . n + 1 + n(v − 1) ≡ 1 (mod v) 116 Insiemi di differenze affini .. . (n − 2)(n + 1) + v − 1 ≡ (n − 2)(n + 1) − 1 (mod v) (n − 2)(n + 1) + 2(v − 1) ≡ (n − 2)(n + 1) − 2 (mod v) .. . (n − 2)(n + 1) + (n − 1)(v − 1) ≡ (n − 3)(n + 1) + 2 (mod v) (n − 2)(n + 1) + n(v − 1) ≡ (n − 3)(n + 1) + 1 (mod v). Rimpiazzando X nella (4.16) con X v−1 , si ottiene: 2 θ(X (v−1)p )θ(X (v−1) ) ≡ pf (X v−1 ) + P (X v−1 )[R(X v−1 ) − 1] mod (X v − 1). e quindi: θ(X)θ(X (v−1)p ) ≡ pf (X v−1 ) + P (X)[R(X v−1 ) − 1] mod (X v − 1). (4.19) Il prodotto dei primi membri della (4.16) e della (4.19) è uguale al prodotto dei primi membri della (4.8) e della (4.9). Allora, i prodotti dei rispettivi secondi membri sono congruenti. Cioè: n2 + 2nP (X)[R(X) − 1] + P (X)2 [R(X) − 1]2 ≡ p2 f (X)f (X v−1 )+ (4.20) +pP (X){f (X)[R(X v−1 ) − 1] + f (X v−1 )[R(X) − 1]}+ +P (X)2 [R(X) − 1][R(X v−1 ) − 1] mod (X v − 1). Sviluppando la (4.20), si ha: n2 +2nP (X)R(X)−2nP (X)+P 2 (X)R2 (X)+P 2 (X)−2P 2 (X)R(X) ≡ (4.21) ≡ p2 f (X)f (X v−1 )+pP (X)f (X)R(X v−1 )−pP (X)f (X)+pP (X)f (X v−1 )R(X)+ −pP (X)f (X v−1 )+P 2 (X)R(X)R(X v−1 )−P 2 (X)R(X)−P 2 (X)R(X v−1 )+P 2 (X). Moltiplicando per P (X) ambo i membri della (4.18) si ha: P 2 (X)R(X) ≡ P 2 (X)R(X v−1 ) mod (X v − 1). (4.22) da cui segue: −2P 2 (X)R(X) ≡ −P 2 (X)R(X) − P 2 (X)R(X v−1 ) mod (X v − 1). (4.23) 4.1 Piani affini ciclici 117 Moltiplicando per R(X) ambo i membri della (4.22) si ottiene: P 2 (X)R2 (X) ≡ P 2 (X)R(X)R(X v−1 ) mod (X v − 1). (4.24) Usando la (4.18) e il Lemma 4.1.8 (si prenda d = 1), si ha che: f (X)P (X)R(X v−1 ) ≡ f (X)(1+· · ·+X v−1 ) ≡ f ·(1+· · ·+X v−1 )mod(X v −1) e f (X v−1 )P (X)R(X) ≡ f (X v−1 )(1+· · ·+X v−1 ) ≡ f ·(1+· · ·+X v−1 )mod(X v −1) (la somma dei coefficienti di f (X v−1 ) è uguale a quella dei coefficienti di f (X), cioè f ). Ne segue: pf (X)P (X)R(X v−1 ) + pf (X v−1 )P (X)R(X) ≡ 2nP (X)R(X) mod (X v − 1). (4.25) In virtù delle congruenze (4.22), (4.23), (4.24) e (4.25), la (4.21) diventa: n2 − 2nP (X) ≡ p2 f (X)f (X v−1 ) − pP (X)[f (X) + f (X v−1 )] mod (X v − 1). (4.26) Passando alla riduzione mod (X n+1 − 1), la (4.26) diventa: n2 − 2n(n − 1) ≡ p2 f (X)f (X v−1 ) − p(n − 1)[f (X) + f (X v−1 )] mod (X n+1 − 1). (4.27) P P dove f (X) = ni=0 ei X i , ei = n−2 C , i = 0, 1, . . . , n. Il termine del j=0 j(n+1)+i primo membro della (4.27) deve essere uguale al termine costante del secondo membro della (4.27) ridotto mod (X n+1 − 1). Quindi n2 − 2n(n − 1) = p2 n X e2i − 2p(n − 1)e0 . i=0 Si aggiunga (n − 1)2 ad ambo i membri. Allora: 1=p 2 n X e2i + [pe0 − (n − 1)]2 . i=1 Se ne deduce che e1 = e2 = . . . = en = 0 e pertanto che f (X) = C0 + Cn+1 X n+1 + · · · + C(n−2)(n+1) X (n−2)(n+1) . 118 Insiemi di differenze affini Per il Lemma 4.1.8, questo implica che: P (X)f (X) ≡ P (X)f (X v−1 ) ≡ n P (X) mod (X v − 1). p Quindi, la (4.26) diventa: n2 ≡ p2 f (X)f (X v−1 ) mod (X v − 1) e ricordando che i coefficienti di f (X) sono non negativi, questo ovviamente implica che f (X) consiste di un solo termine, cioè: f (X) = n t(n+1) X . p Sostituendo nella (4.16), si ottiene: θ(X p )θ(X v−1 ) ≡ nX t(n+1) + P (X)[R(X) − 1] mod (X v − 1). (4.28) Per il Lemma 4.1.4, questo significa che n delle differenze pri − rj hanno lo stesso valore mod v, cioè t(n + 1). Inoltre, se pri − rj ≡ prk − rh (mod v), allora i = k se e solo se j = h. In ultima analisi, si è provato che: {pr1 , . . . , prn } = {r1 + t(n + 1), . . . , rn + t(n + 1)}. Questo completa la dimostrazione. 4.2 Somme di Gauss e somme di Eisenstein su campi finiti Scopo di questa sezione è generalizzare il Teor. 4.1.3. Per fare ciò, si utilizzeranno le somme di Gauss. Nel seguito, q denoterà una potenza di un numero primo p, e Fq un campo finito contenente q elementi. Definizione 4.2.1 Si definisce carattere moltiplicativo di un campo finito Fq , un carattere χ del gruppo moltiplicativo (F∗q , ·) di Fq . Si definisce carattere additivo di un campo finito Fq , un carattere ψ del gruppo additivo (Fq , +). Osservazione 4.2.2 Per la Prop. 3.1.6, esistono esattamente q − 1 caratteri moltiplicativi χ e q caratteri additivi ψ di Fq . Spesso risulta conveniente estendere la definizione di un carattere moltiplicativo χ, ponendo: 1 se χ = χ0 χ(0) := 0 se χ 6= χ0 4.2 Somme di Gauss e somme di Eisenstein su campi finiti 119 Definizione 4.2.3 Siano m > 2, q = pr , con r > 1, α ∈ Fqm e a ∈ Fq . Si definiscono le funzioni traccia: T rqm /q : Fqm → Fq trq/p : Fq → Fp tali che: T rqm /q (α) := α + αq + · · · + αq m−1 r−1 trq/p (a) := a + ap + · · · + ap per ogni α ∈ Fqm e a ∈ Fq . Il seguente lemma descrive le proprietà di base della funzione traccia su campi finiti. Lemma 4.2.4 Con le notazioni precedenti, siano α e β ∈ Fqm , a ∈ Fq . Allora: 1. T rqm /q (aα + β) = aT rqm /q (α) + T rqm /q (β). 2. T rqm /q è una funzione surgettiva di Fqm in Fq . 3. trqm /p (α) = trq/p (T rqm /q (α)). 4. 5. trq/p (x) x∈Fq ξp P = 0. 1 X trq/p (z(x−y)) 1 se x = y ξp = 0 altrimenti q z∈Fq Dimostrazione. Poichè, per ogni α ∈ Fqm α ∈ Fq ⇔ αq = α, è immediato verificare che T rqm /q (α) ∈ Fq e che vale la (1). Il polinomio X + Xq + · · · + Xq ha meno zeri in Fqm del polinomio m X q − X. m−1 120 Insiemi di differenze affini Pertanto, esiste un elemento α0 ∈ Fqm tale che: T rqm /q (α0 ) = a0 6= 0. Sia, ora, b ∈ Fq . Si ha che: T rqm /q (ba−1 0 α0 ) = b. e risulta cosı̀ provata la (2). (Chiaramente, lo stesso discorso si ripete per le funzioni traccia trqm /p e trq/p ). Dalla (1) e dalla (2), si deduce che la funzione traccia trq/p è un epimorfismo del gruppo additivo (Fq , +) nel gruppo additivo (Fp , +). Si ponga, per ogni b ∈ Fp : Tb := {x ∈ Fq | trq/p (x) = b}. Allora si vede subito che, Tb è un laterale di T0 = ker(trq/p ), e quindi, per il teorema fondamentale di omomorfismo di gruppi: |Fq | q = = pr−1 . |Im(trq/p )| p |Tb | = |ker(trq/p )| = Ne segue che: X tr ξp q/p (x) = pr−1 p−1 X ξpt = pr−1 t=0 x∈Fq ξpp − 1 = 0. ξp − 1 Questo completa la dimostrazione della (4). La (5) segue immediatamente dalla (4). Per quanto concerne la (3), si ha che: m−1 X trq/p (T rqm /q (α)) = trq/p ( i αq ) = i=0 = m−1 r−1 XX i=0 j=0 i j (αq )p = m−1 r−1 XX αp ri+j i=0 j=0 m−1 X i trq/p (αq ) = i=0 = mr−1 X k αp = trqm /p (α). k=0 Si è usato il fatto che quando i varia da 0 a m − 1 e j varia da 0 a r − 1, la quantità ri + j varia da 0 a mr − 1. Proposizione 4.2.5 Ogni carattere additivo di Fq è della forma: tr ψβ (x) = ξp q/p per qualche β ∈ Fq . (βx) 4.2 Somme di Gauss e somme di Eisenstein su campi finiti 121 Dimostrazione. Si ha che: ψβ (x + y) = ψβ (x) · ψβ (y). Quindi, ψβ è un carattere additivo di Fq . Al variare di β in Fq , i caratteri ψβ sono distinti e in numero pari a q. Se ne deduce che i ψβ esauriscono tutti i caratteri additivi di Fq . Definizione 4.2.6 Siano χ un carattere moltiplicativo, e ψ un carattere additivo del campo finito Fq . Si definisce somma di Gauss su Fq associata a χ e ψ, il numero: X G(χ, ψ) := χ(x)ψ(x). x∈Fq Osservazione 4.2.7 In virtù della Prop. 4.2.5, se il carattere additivo di Fq è ψβ , con β ∈ Fq , allora si porrà: X gβ (χ) := G(χ, ψβ ) = tr (βx) tr (x) χ(x)ξp q/p . x∈Fq Inoltre, per β = 1, si scriverà semplicemente: X g(χ) := G(χ, ψ1 ) = χ(x)ξp q/p . x∈Fq Con queste notazioni, si passa a dimostrare le seguenti proposizioni che descrivono alcune proprietà elementari delle somme di Gauss su campi finiti. Proposizione 4.2.8 Siano χ un carattere moltiplicativo di Fq e γ ∈ Fq . Allora: se γ = 0 e χ 6= χ0 , 0 0 se γ 6= 0 e χ = χ0 , gγ (χ) = q se γ = 0 e χ = χ0 , χ(γ −1 )g(χ) se γ 6= 0 e χ 6= χ0 . Dimostrazione. Se γ = 0 e χ 6= χ0 : g0 (χ) = X x∈Fq χ(x) = 0 122 Insiemi di differenze affini per le relazioni di ortogonalità (Lemma 3.1.10). Se γ = 0 e χ = χ0 : X g0 (χ0 ) = χ0 (x) = q. x∈Fq Se γ 6= 0 e χ 6= χ0 : X X tr (γx) tr (γx) gγ (χ) = χ(γ −1 γx)ξp q/p = χ(γ −1 ) χ(γx)ξp q/p = x∈Fq x∈Fq = χ(γ −1 ) X tr χ(x)ξp q/p (x) = χ(γ −1 )g(χ) x∈Fq osservato che la funzione di Fq in Fq che a x associa γx è una bigezione. Infine, se γ 6= 0 e χ = χ0 : X trq/p (γx) X trq/p (x) gγ (χ0 ) = ξp = ξp =0 x∈Fq x∈Fq per la (4) del Lemma 4.2.4. Proposizione 4.2.9 Se χ è un carattere moltiplicativo non banale di Fq , allora √ |g(χ)| = q. Dimostrazione. Sia S := X gγ (χ)gγ (χ). γ∈Fq Allora: S= X χ(γ −1 )g(χ)χ(γ −1 )g(χ) = (q − 1)|g(χ)|2 . γ∈F∗q D’altra parte S = X X tr (γx) X tr (−γy) ( χ(x)ξp q/p )( χ(y)ξp q/p )= γ∈Fq x∈Fq = X X x∈Fq y∈Fq y∈Fq X (χ(x)χ(y) γ∈Fq Resta cosı̀ provata la proposizione. tr (γ(x−y)) ξp q/p ) = (q − 1)q. 4.2 Somme di Gauss e somme di Eisenstein su campi finiti 123 Definizione 4.2.10 Siano m > 2, q = pr , con r > 1, χ un carattere moltiplicativo di Fqm . Si definisce somma di Eisenstein su Fq di ordine m associata a χ, il numero: X Em (χ) := χ(α). α∈F∗m q T rqm /q (α)=1 Lemma 4.2.11 Con le notazioni precedenti, se χ0 denota il carattere moltiplicativo banale di Fqm , allora: Em (χ0 ) = q m−1 . Dimostrazione. Per ogni a ∈ Fq , si denoti con Ta l’insieme definito da: Ta := {α ∈ Fqm | T rqm /q (α) = a} Poichè la funzione traccia T rqm /q è un epimorfismo del gruppo (Fqm , +) nel gruppo (Fq , +), in modo del tutto analogo a quanto fatto nel corso della dimostrazione del Lemma 4.2.4, si prova che: |Ta | = |T0 | = q m−1 . Dunque Em (χ0 ) = X χ0 (x) = q m−1 . x∈T1 Questo completa la dimostrazione. Osservazione 4.2.12 Nel seguito, se χ rappresenta un carattere moltiplicativo di Fqm , si denoterà con χ1 la restrizione di χ a Fq , con g(χ) la somma di Gauss su Fqm associata a χ e con g1 (χ1 ) la somma di Gauss su Fq associata a χ1 . Lemma 4.2.13 Siano a ∈ Fq e χ un carattere moltiplicativo di Fqm . Allora: T rq χ(a)Em (χ) m−1 X q −1 χ(α) = 0 α∈F∗m q −(q − 1)Em (χ) m (α)=a /q se se se se a ∈ F∗q a = 0 e χ è banale a = 0 e χ e χ1 sono entrambi non banali a = 0, χ è non banale e χ1 è banale 124 Insiemi di differenze affini Dimostrazione. Se a ∈ F∗q , la funzione f : F∗qm → F∗qm tale che: f (α) := aα per ogni α ∈ F∗qm , è una bigezione. Quindi X X χ(α) = χ(aα) = χ(a) α∈F∗m q T rqm /q (α)=a α∈F∗m q T rqm /q (α)=a Sia ora a = 0. Allora: X X χ(α) = α∈F∗m q T rqm /q (α)=0 = X X α∈F∗qm χ(α) = χ(a)Em (χ). α∈F∗m q T rqm /q (α)=a X χ(α) − a∈Fq α∈F∗m q T rqm /q (α)=a χ(α) − X χ(a)Em (χ) = X X X a∈F∗q α∈F∗m q T rqm /q (α)=a χ(α) − Em (χ) α∈F∗qm a∈F∗q χ(α) = X χ1 (a) = a∈F∗q m q − 1 − q m−1 (q − 1) se χ è banale 0 − Em (χ) · 0 = 0 se χ e χ1 sono entrambi non banali = 0 − Em (χ)(q − 1) se χ è non banale e χ1 è banale Si osservi che nel secondo caso, si sono applicate le relazioni di ortogonalità. Il teorema che ci si appresta ora a dimostrare, mostra che le somme di Eisenstein possono esprimersi come rapporti di somme di Gauss. Teorema 4.2.14 Sia χ un carattere moltiplicativo non banale di Fqm . Allora: g(χ)/g1 (χ1 ) se χ1 è non banale Em (χ) = − 1q g(χ) se χ1 è banale Dimostrazione. Poichè χ è un carattere moltiplicativo non banale di Fqm , per definizione di somma di Gauss, si ha che: g(χ) = X tr χ(α)ξp q m /p (α) = α∈F∗qm X X a∈Fq α∈F∗m q T rqm /q (α)=a Per la (3) del Lemma 4.2.4, si ha che: trqm /p (α) = trq/p (T rqm /q (α)). tr χ(α)ξp q m /p (α) . 4.2 Somme di Gauss e somme di Eisenstein su campi finiti 125 Dunque: X g(χ) = χ(α) + α∈F∗m q T rqm /q (α)=0 tr X X a∈F∗q α∈F∗m q T rqm /q (α)=a χ(α)ξp q m /p (α) . Per il Lemma 4.2.13, risulta: X 0 se χ1 è non banale χ(α) = −(q − 1)E (χ) se χ1 è banale m ∗ α∈F m q T rqm /q (α)=0 Sempre per il Lemma 4.2.13 e per la (3) del Lemma 4.2.4, si ha che: X X X X trq/p (a) tr m (α) ξp χ(α) = χ(α)ξp q /p = a∈F∗q X tr ξp q/p a∈F∗q α∈F∗m q T rqm /q (α)=a (a) χ(a)Em (χ) == Em (χ) a∈=F∗q X α∈F∗m q T rqm /q (α)=a tr χ1 (a)ξp q/p (a) = Em (χ)(g1 (χ1 )−χ1 (0)). a∈F∗q Ne segue che, se χ1 è non banale: g(χ) = 0 + Em (χ)(g1 (χ1 ) − 0) = Em (χ)g1 (χ1 ) da cui Em (χ) = g(χ)/g1 (χ1 ). Se χ1 è banale, allora per la Prop. 4.2.8 g1 (χ1 ) = 0, e quindi: g(χ) = −(q − 1)Em (χ) + Em (χ)(0 − 1) = −(q − 1)Em (χ) − Em (χ) = −qEm (χ) da cui 1 Em (χ) = − g(χ). q Questo completa la dimostrazione. È ora possibile enunciare e dimostrare il seguente teorema che generalizza il Teor. 4.1.3. Teorema 4.2.15 Siano m > 2, q = pr e R l’insieme definito da: R := {x ∈ F∗qm | T rqm /q (x) = 1}. m −1 Allora, R è un ( qq−1 , q − 1, q m−1 , q m−2 )-insieme di differenze (ciclico) di (F∗qm , ·) relativo al sottogruppo (F∗q , ·). 126 Insiemi di differenze affini Dimostrazione. Sia χ un carattere moltiplicativo non banale di F∗qm . Al solito, siano χ1 := χ|F∗q , g(χ) la somma di Gauss su Fqm associata a χ e g1 (χ1 ) la somma di Gauss su Fq associata a χ1 . Applicando il Teor. 4.2.14 e la Prop. 4.2.9, si ha quanto segue. Se χ1 è banale, allora: 1 1 1 χ(R) · χ(R) = − g(χ) · (− g(χ)) = 2 q m = q m−2 . q q q Se χ1 è non banale, allora: χ(R) · χ(R) = g(χ)g(χ) g1 (χ1 )g1 (χ1 ) = qm = q m−1 . q Con le notazioni del Lemma 4.2.11, è noto che: |R| = |T1 | = q m−1 . Dunque, R è un sottoinsieme di F∗qm contenente q m−1 elementi. Inoltre, posto n := q − 1, k := q m−1 e λ := q m−2 , si verifica facilmente che risultano soddisfatte le condizioni del Lemma 3.1.13. Resta cosı̀ provato il teorema. 4.3 Piani affini abeliani In questa sezione, si considerano insiemi di differenze affini abeliani. Utilizzando il Teor. 3.2.5, è possibile generalizzare il teorema di Hoffman (Teor. 4.1.9) come mostra il seguente: Teorema 4.3.1 Sia R un (n + 1, n − 1, n, 1)-insieme di differenze affine abeliano di G relativo a un sottogruppo N di ordine n − 1. Allora, ogni divisore positivo di n è un moltiplicatore di R. Dimostrazione. Sia t > 0, t divisore di n. Se t = 1, l’asserto è ovvio. Sia, dunque, t > 1. Si dimostra il teorema per induzione sul numero s di fattori primi che compaiono nella fattorizzazione di t. Sia s = 1 e t = ph , con p numero primo e h > 1. Si osservi che, per il Lemma 2.3.13, ρ(R) = R è un (n + 1, n, n − 1)-insieme di differenze di G/N , cioè un insieme di differenze banale; pertanto, ogni intero relativamente primo a n + 1 è un moltiplicatore di R. Dunque, mantenendo le notazioni del Teor. 3.2.5, t = ph , k1 = t = ph , (ph , v) = 1, k2 = k1 , v = n2 − 1, k2 > λ = 1, t ≡ ph · 1 (mod v ∗ ), con 1 moltiplicatore banale di R, t moltiplicatore di R. Allora, per il Teor. 3.2.5, t 4.3 Piani affini abeliani 127 è un moltiplicatore di R. Si supponga, ora, che l’asserto sia vero per s > 1. Sia e s+1 t = pe11 pe22 · · · pess ps+1 con t divisore di n. Si ponga: k1 := pe11 · · · pess . Si mantengano sempre le notazioni del Teor. 3.2.5. Per ogni i = 1, . . . , s risulta (pi , v) = 1 e quindi qi = pi . Posto: si := es+1 ps+1 s Y e pj j , j=1 j6=i per l’ipotesi di induzione, si è un moltiplicatore di R. t = si pei i e in particolare, t ≡ si pei i (mod v ∗ ). (v, k1 ) = 1 e quindi k2 = k1 . k2 > λ = 1 e inoltre (t, n + 1) = 1, t moltiplicatore di R, per quanto osservato precedentemente. Dunque, in virtù del Teor. 3.2.5, t è un moltiplicatore di R. L’asserto è quindi vero anche per s + 1. Questo completa la dimostrazione. Osservazione 4.3.2 Sia R un (n+1, n−1, n, 1)-insieme di differenze affine di (G, +) relativo a N . Sia Π il piano proiettivo di ordine n associato a R. I punti del piano sono gli n2 −1 elementi del gruppo G, il punto ∞, e gli n+1 punti ρ(g) in G/N (dove ρ denota l’epimorfismo canonico di G in G/N ). Le rette del piano sono i n2 −1 traslati R+x (x ∈ G), i n+1 laterali N +x di N e la retta impropria L∞ costituita dai punti di G/N . Al traslato R + x va aggiunto un elemento di G/N (il punto improprio) nel modo seguente: esiste un unico laterale N + a tale che (N + a) ∩ (R + x) = ∅, a R + x si aggiunga ρ(a). Si noti che R + x ha n elementi, che ci sono esattamente n + 1 laterali di N , e che R + x ha in comune con ciascun laterale di N al più un elemento (in caso contrario, si avrebbe un elemento di N rappresentabile come differenza di due elementi distinti di R). A ciascun laterale N + x vanno aggiunti il punto ∞ e ρ(x). È facile verificare che la struttura Π cosı̀ definita, è effettivamente un piano proiettivo. È altresı̀ semplice vedere che G agisce, come traslazione destra, sul piano Π, come un gruppo di collineazioni quasiregolare, avente N come stabilizzatore della retta impropria L∞ . Si ricordi che una polarità ϕ di un piano proiettivo Π, è un isomorfismo di ordine 2 tra Π e il suo duale (in altre parole, una bigezione che ad ogni punto associa una retta e ad ogni retta associa un punto, in modo che, per ogni coppia (p, L) punto-retta, p ∈ L ⇔ ϕ(L) ∈ ϕ(p)). 128 Insiemi di differenze affini Proposizione 4.3.3 Sia R un (n + 1, n − 1, n, 1)-insieme di differenze affine abeliano di (G, +) relativo a N , e sia x un elemento di G. Senza ledere la generalità, si assuma che N ∩ R = ∅. Allora, la funzione ϕx definita da: g 7→ R + x − g, ρ(g) 7→ N + x − g, ∞ 7→ L∞ , R + g 7→ x − g N + g 7→ ρ(x − g) L∞ 7→ ∞ è una polarità del piano proiettivo associato a R. Dimostrazione. Prima di tutto si noti che ϕx è ben definita, poichè ρ(g) = ρ(h) implica N +x−g = N +x−h. La funzione ϕx associa rette a punti, punti a rette, e ha ordine 2. Resta da provare che ϕx conserva la incidenza e la non-incidenza, cioè che un punto p ∈ L se e solo se ϕx (L) ∈ ϕx (p). Poichè il piano Π e il suo duale sono piani finiti dello stesso ordine, è sufficiente dimostrare che ϕx conserva l’incidenza. Sia g ∈ G un punto. Se g ∈ R + s, allora g = r + s, con r ∈ R, e quindi s = g − r. ϕx (R + s) = x − s e ϕx (g) = R + x − g, quindi, poichè x − s = x − (g − r) = r + x − g si ha che x − s ∈ R + x − g, cioè ϕx (R + s) ∈ ϕx (g). Ora si assuma che g ∈ N + s, cioè che g = n + s, per qualche n ∈ N . Occorre provare che ϕx (N + s) ∈ ϕx (g), cioè che ρ(x − s) ∈ R + x − g, e quindi che (N + x − s) ∩ (R + x − g) = ∅. Ciò è vero perchè, se per assurdo esistesse un elemento y ∈ (N + x − s) ∩ (R + x − g), allora si avrebbe: y = n0 + x − s = r + x − g, con n0 ∈ N e r ∈ R. Allora n0 −s = r−g = r−n−s, da cui n+n0 = r ∈ N ∩R, e questo contraddice l’ipotesi fatta N ∩ R = ∅. Ora si considerino i punti ρ(g) in G/N . Sia ρ(g) ∈ L∞ , allora ϕx (L∞ ) = ∞ ∈ N + x − g = ϕx (ρ(g)). Sia ρ(g) ∈ R + s. Occorre dimostrare che ϕx (R + s) ∈ ϕx (ρ(g)). Per ipotesi, N + g è l’unico laterale di N tale che (N + g) ∩ (R + s) = ∅. Poichè (N + s) ∩ (R + s) = ∅ (essendo N ∩ R = ∅), ne segue che N + s = N + g, cioè che ρ(g) = ρ(s). Allora ϕx (R + s) = x − s ∈ N + x − s = ϕx (ρ(s)) = ϕx (ρ(g)). Definizione 4.3.4 Siano Π un piano proiettivo finito di ordine n, ϕ una polarità di Π, p un punto. Si dice che p è un punto assoluto di ϕ se p ∈ ϕ(p). Definizione 4.3.5 Sia Π un piano proiettivo finito di ordine n. Si definisce k-arco di Π, un insieme K di k punti che interseca ogni retta del piano in al più due punti. Si definisce ovale di Π, un (n + 1)-arco. Sussiste il seguente: 4.3 Piani affini abeliani 129 Teorema 4.3.6 Sia ϕ una polarità di un piano proiettivo di ordine n. Allora ϕ ha almeno n + 1 punti assoluti. Se la polarità ha esattamente n + 1 punti assoluti, allora l’insieme dei punti assoluti è: • un’ovale se n è dispari, • una retta se n è pari. Dimostrazione. Si rimanda al testo [10]. Proposizione 4.3.7 Il numero di punti assoluti della polarità ϕx , definita nella Prop. 4.3.3, è esattamente n + 1. Dimostrazione. Si conservi la notazione della Prop. 4.3.3. Si denoti con a(ϕx ) il numero di punti assoluti di ϕx . Allora, per il Teor. 4.3.6, si ha che: X a(ϕx ) > (n2 − 1)(n + 1). (4.29) x∈G Nella (4.29) si ha l’uguaglianza se e solo se ciascuna polarità ϕx ha esattamente P n + 1 punti assoluti. Si passa a calcolare il numero x∈G a(ϕx ) in un secondo modo. Si considerino i punti g ∈ G. Un punto g è un punto assoluto di ϕx se e solo se 2g ∈ R + x. Sia f : G → G la funzione definita da: f (x) := 2x per ogni x ∈ G. È facile vedere che f è un omomorfismo di gruppi. Se si denota con G(2) := Im(f ) = {y ∈ G|y = 2g, g ∈ G} l’insieme dei ’quadrati’ in G e con T := ker(f ), per il teorema fondamentale di omomorfismo di gruppi, si ha che: G/T ∼ = G(2) e quindi che: |G| = |G(2) | · |T |. (4.30) Se r + x ∈ G(2) , con r ∈ R, allora f −1 (r + x) è un laterale di T e pertanto: |f −1 (r + x)| = |T |. Questo implica che ciascun ’quadrato’ in R + x dà luogo a |T | punti assoluti in G. D’altra parte, per un punto a ∈ G, passano esattamente n rette del tipo R + x; quindi un ’quadrato’ 2g ∈ G(2) dà luogo a n|T | punti assoluti, e il 130 Insiemi di differenze affini numero totale di punti assoluti in G di tutte le polarità (al variare di x in G) è: n|T ||G(2) | = n|G| = n(n2 − 1) (4.31) (dove nella seconda uguaglianza si è applicata la (4.30)). Un punto ρ(g) in G/N è un punto assoluto di ϕx se e solo se 2ρ(g) = ρ(x). Infatti: ρ(g) ∈ ϕx (ρ(g)) ⇔ ρ(g) ∈ N + x − g ⇔ ρ(g) = ρ(x − g) ⇔ ⇔ N + 2g = N + x ⇔ 2(N + g) = N + x. Sia φ : G/N → G/N l’omomorfismo di gruppi definito da: φ(ρ(a)) := 2ρ(a). In modo analogo a quanto fatto in precedenza, se si denota con (G/N )(2) := Im(φ) l’insieme dei ‘quadrati’ in G/N e con T 0 := ker(φ), sempre per il teorema fondamentale di omomorfismo di gruppi, si ha che: (G/N )/T 0 ∼ = (G/N )(2) e quindi che: |G/N | = |(G/N )(2) | · |T 0 |. (4.32) Se ρ(x) ∈ (G/N )(2) , allora φ−1 (ρ(x)) è un laterale di T 0 e pertanto: |φ−1 (ρ(x))| = |T 0 |. Questo implica che ciascun ‘quadrato’ in G/N dà luogo a |T 0 | punti assoluti in G/N . D’altra parte, se ρ(x) è un quadrato, ci sono n − 1 scelte possibili per x in modo che: 2ρ(g) = ρ(x). Quindi, il numero totale di punti assoluti in G/N di tutte le polarità, è: (n − 1)|T 0 ||(G/N )(2) | = (n − 1)|G/N | = (n − 1)(n + 1) = n2 − 1, (4.33) dove nella seconda uguaglianza si è applicata la (4.32). In ultima analisi, sommando il numero totale di punti assoluti in G dato dalla (4.31) con il numero totale di punti assoluti in G/N dato dalla (4.33), si ottiene: X a(ϕx ) = n(n2 − 1) + n2 − 1 = (n2 − 1)(n + 1). x∈G Si osservi che, per ogni x ∈ G, ∞ non è un punto assoluto di ϕx , poichè ϕx (∞) = L∞ e ∞ 6∈ L∞ . 4.3 Piani affini abeliani 131 Teorema 4.3.8 Sia R un (n + 1, n − 1, n, 1)-insieme di differenze affine abeliano di (G, +) relativo a N . Allora, gli insiemi Og := (−R + g) ∪ {∞}, con g ∈ G, sono ovali nel piano Π associato a R. Dimostrazione. proiettivo Π risulta: Occorre dimostrare che, per ogni retta L del piano |L ∩ ((−R + g) ∪ {∞})| 6 2. Sia L = R + x. Se a ∈ (R + x) ∩ ((−R + g) ∪ {∞}), allora: a = r + x = −r0 + g dove r e r0 sono elementi di R. Se b ∈ (R + x) ∩ ((−R + g) ∪ {∞}), allora: b = e + x = −e0 + g dove e e e0 sono elementi di R. Ne segue che r − e − e0 − r 0 . Quindi, r = e0 e r0 = e, poichè R è un insieme di differenze con λ = 1. Questo mostra che b è unicamente determinato da a, e quindi che R + x interseca (−R + g) ∪ {∞} in al più due punti, osservato che R + x non contiene il punto ∞. Sia, ora, L = N + a. In tal caso, risulta: |(N + a) ∩ (−R + g)| 6 1. Infatti, se per assurdo esistessero due elementi distinti c e d in (N + a) ∩ (−R + g), allora: c = −r + g = n + a d = −r0 + g = n0 + a con r e r0 ∈ R, n e n0 ∈ N . Allora: n − n0 = r 0 − r e ciò è palesemente assurdo, perchè ci sarebbe un elemento n − n0 di N rappresentabile come differenza di elementi distinti di R. Dunque: |(N + a) ∩ ((−R + g) ∪ {∞})| 6 2 e questo completa la dimostrazione. 132 Insiemi di differenze affini Teorema 4.3.9 Sia R un (n + 1, n − 1, n, 1)-insieme di differenze affine abeliano di (G, +) relativo a N e sia Π il piano proiettivo associato a R. Allora, esiste un’ovale in Π fissato da tutti i moltiplicatori di R. Dimostrazione. Osservato che (n2 − 1, n) = 1, per il Lemma 3.2.4, esiste un elemento h di G, tale che R + h è fissato da ogni moltiplicatore di R. Per il Teor. 4.3.8, l’insieme di punti O−h = (−R − h) ∪ {∞} è un ovale del piano proiettivo Π associato a R. È evidente che tale ovale è fissato da tutti i moltiplicatori di R. Infatti, se τ è un moltiplicatore di R, allora: τ (∞) = ∞ e τ (−R − h) = τ (−(R + h)) = −τ (R + h) = −(R + h) = −R − h. Questo completa la dimostrazione. Definizione 4.3.10 Siano Π un piano proiettivo di ordine n, p un punto e L una retta di Π. Una collineazione θ del piano Π che fissa ogni punto della retta L è detta assiale (con asse L). Una collineazione θ che fissa ogni retta del piano passante per il punto p è detta centrale (di centro p). Per la dimostrazione delle proposizioni che seguono, si rimanda al testo [10]. Proposizione 4.3.11 Una collineazione θ di un piano proiettivo finito Π è assiale se e solo se è centrale. I punti fissati di una collineazione centrale non identica, sono il centro stesso e tutti i punti dell’asse, mentre le rette fissate sono l’asse e tutte le rette passanti per il centro. Una collineazione centrale θ è completamente determinata dal suo centro p, dal suo asse L e dall’immagine di un punto q diverso da p e non appartenente all’asse L. Definizione 4.3.12 Una collineazione centrale θ è anche detta una prospettività. Siano p il centro e L l’asse della prospettività θ. Se p ∈ L, θ è detta una (p, L)-elazione; se p 6∈ L, θ è detta una (p, L)-omologia. Proposizione 4.3.13 Sia Π un piano proiettivo finito di ordine n. Una prospettività di ordine 2 di Π è una elazione o una omologia a seconda che n sia pari o dispari rispettivamente. 4.3 Piani affini abeliani 133 Definizione 4.3.14 Siano Π un piano proiettivo finito di ordine n, L l’insieme delle rette di Π e S un insieme di punti. Sia: L|S := {L ∩ S | L ∈ L, |L ∩ S| > 2}. La struttura di incidenza Σ = (S, L|S ) è detta un sottopiano di Π, se è essa stessa un piano proiettivo. Se n = m2 , un sottopiano Π0 di ordine m è detto un sottopiano di Baer. Definizione 4.3.15 Sia Π un piano proiettivo finito di ordine n = m2 che ammette un sottopiano di Baer Π0 . Una collineazione θ di Π che fissa tutti i punti e tutte le rette di Π0 , è detta una collineazione di Baer. Una involuzione che è collineazione di Baer è detta una involuzione di Baer. Proposizione 4.3.16 Siano Π un piano proiettivo finito di ordine n e θ una involuzione di Π. Allora, o n è un quadrato e θ è una involuzione di Baer oppure θ è una collineazione centrale. Teorema 4.3.17 Sia R un (n + 1, n − 1, n, 1)-insieme di differenze affine abeliano di (G, +) relativo a N . Allora, il 2-sottogruppo di Sylow di G è ciclico. Dimostrazione. Si assuma che n sia dispari (in caso contrario, l’asserto è banale). Sia Π il piano proiettivo associato a R. Si identifichi ogni elemento a del gruppo G con la traslazione destra τa : τa (g) = g + a per ogni elemento g di G e τa (∞) = ∞. Chiaramente, un elemento a di G ha ordine 2 se e solo se τa è una involuzione di Π. Si osservi che tutte le involuzioni di G devono essere contenute in N . Infatti, se per assurdo esistesse una involuzione t ∈ G\N , allora: 2t = 0 ⇒ t = −t, e quindi: t = r − r0 = r0 − r, cioè, t avrebbe due diverse rappresentazioni come differenza di elementi di R, e ciò è impossibile. Sia ora x ∈ G tale che 0 ∈ R + x. Ne segue che tutte le involuzioni t di G 134 Insiemi di differenze affini e l’elemento neutro 0 di G sono punti assoluti della polarità ϕx definita nella Prop.4.3.3. Infatti: t involuzione ⇒ 0 = 2t ∈ R + x ⇒ t ∈ R + x − t = ϕx (t) e 0 ∈ R + x = ϕx (0). Per il Teor. 4.3.6, l’insieme dei punti assoluti di ϕx è un ovale, essendo n dispari. Quindi, ci può essere solo una involuzione in N (altrimenti, la retta N intersecherebbe l’ovale in più di due punti). Poichè G è abeliano, questo mostra che il 2-sottogruppo di Sylow di G è ciclico. Lemma 4.3.18 Sia R un (n + 1, n − 1, n, 1)-insieme di differenze affine abeliano di (G, +) relativo al sottogruppo N . Allora il moltiplicatore numerico n è una omologia involutoria, se n è dispari, è una elazione involutoria, se n è pari. Dimostrazione. Si osservi preliminarmente che n è effettivamente un moltiplicatore di R per il Teor. 4.3.1. Si denoti con φn la corrispondente collineazione del piano proiettivo Π associato a R. Allora, conservando le notazioni dell’Oss. 4.3.2: φn (g) := ng, per ogni g ∈ G, e φn (∞) := ∞. Inoltre, l’azione di φn sui punti impropri ρ(g) di Π è data da: φn (ρ(g)) = −ρ(g). Infatti, |G/N | = n + 1 e quindi, per ogni ρ(g) ∈ G/N risulta: (n + 1)ρ(g) = ρ(0) da cui segue che: nρ(g) = −ρ(g). Chiaramente, φn è una involuzione. Infatti, poichè |G| = n2 − 1, per ogni g ∈ G risulta: (n2 − 1)g = 0 e quindi: φ2n (g) = n2 g = g. 4.3 Piani affini abeliani 135 Inoltre, φ2n (∞) = ∞ e φ2n (ρ(g)) = ρ(g) per ogni ρ(g) ∈ G/N . Poichè |N | = n − 1, per ogni g ∈ N risulta: (n − 1)g = 0 e quindi φn (g) = ng = g. In ultima analisi, φn fissa puntualmente tutti i punti di N , ∞ e ρ(0), cioè tutti i punti della retta N . Dunque, φn è una collineazione assiale (e quindi, centrale) con asse N . Si distinguano ora i due casi: n dispari e n pari. Sia n dispari. Per il Teor. 4.3.17, il 2-sottogruppo di Sylow di G è ciclico. Ne segue che anche il 2-sottogruppo di Sylow di G/N è ciclico. Pertanto, esiste un’unica involuzione ρ(t) in G/N (elemento di ordine 2). Si ha: φn (ρ(t)) = −ρ(t) = ρ(t). Dunque, φn fissa anche il punto improprio ρ(t) che non appartiene all’asse N . Per la Prop. 4.3.11, ρ(t) è il centro della collineazione φn che, quindi, risulta una (ρ(t), N )-omologia involutoria. Sia n pari. In questo caso, φn fissa solo tutti i punti della retta N . D’altra parte, φn fissa la retta impropria L∞ (costituita dagli elementi di G/N ). Ne segue che il centro di φn è necessariamente un punto improprio, cioè ρ(0). Resta cosı̀ provato che, nel caso pari, φn è una (ρ(0), N )-elazione involutoria. Teorema 4.3.19 Sia R un (n + 1, n − 1, n, 1)-insieme di differenze affine ciclico di ordine n di (Zv , +) (v := n2 − 1) relativo al sottogruppo N di ordine n−1. Se Π denota il piano proiettivo associato a R, allora l’insieme Ω definito da: Ω := {0, (n − 1), . . . , n(n − 1)} è un’ovale del piano Π. Dimostrazione. definita da: Per ogni i = 0, 1, . . . , n sia fi la traslazione destra fi (x) := x + i(n − 1) per ogni x ∈ Zv . Si ponga εi := fi φn , dove φn è la collineazione di Π corrispondente al moltiplicatore numerico n. Si verifica facilmente che, per ogni i, εi è una involuzione. Sia x ∈ Zv . Allora: ε2i (x) = n2 x + in(n − 1) + i(n − 1) = x. 136 Insiemi di differenze affini Si distinguano, ora, i due casi: n dispari e n pari. Sia n dispari. Si prova che, in questo caso, εi è una omologia involutoria con centro ρ(t − i) e asse N − i, dove ρ(t) è l’unica involuzione in Zv /N . Per i = 0, l’asserto è vero in virtù del Lemma 4.3.18. Infatti ε0 = φn è una (ρ(t), N )omologia involutoria. Sia i ∈ {1, . . . , n}. Si verifica che εi fissa tutti i punti di N − i. Infatti, se h(n + 1) − i ∈ N − i, allora: εi (h(n + 1) − i) = hn(n + 1) − in + i(n − 1) = hn(n + 1) − i = h(n + 1) − i. Dunque, εi è una prospettività involutoria. Per la Prop. 4.3.13, εi è una omologia. Si prova che il suo centro è ρ(t − i). Poichè la retta impropria è fissata da εi , per la Prop. 4.3.11, il centro di εi è necessariamente un punto improprio. Allora, basta provare che εi fissa la retta N + t − i passante per il punto ρ(t − i). Si osservi che φn fissa la retta N + t: φn (N + t) = N + t. (4.34) Sia h(n + 1) + t − i ∈ N + t − i. Per la (4.34), esiste un intero s tale che: hn(n + 1) + nt = s(n + 1) + t. (4.35) Dunque εi (h(n + 1) + t − i) = hn(n + 1) + nt − in + i(n − 1) = hn(n + 1) + nt − i. Dalla (4.35) segue che: εi (h(n + 1) + t − i) = s(n + 1) + t − i ∈ N + t − i. Sia n pari. In questo caso, per il Lemma 4.3.18, ε0 = φn è una (ρ(0), N )elazione involutoria. Si prova che, per ogni i = 0, 1, . . . , n, εi è una elazione involutoria con centro ρ(−i) e asse N − i. Infatti, se h(n + 1) − i ∈ N − i, allora: εi (h(n + 1) − i) = hn(n + 1) − i = h(n + 1) − i. Ne segue che εi fissa tutti i punti di N − i e che , quindi, è una prospettività involutoria. Sempre per la Prop. 4.3.13, εi è una elazione e il suo centro (che è necessariamente un punto improprio) è ρ(−i). In ultima analisi, si è provato che ε0 , ε1 , . . . , εn sono n + 1 prospettività involutorie con centri e assi distinti. Si passa, ora, a provare che l’insieme Ω sopra definito, è un’ovale. Le rette del piano Π, distinte dalla retta impropria L∞ , sono i traslati di R e i laterali di 4.3 Piani affini abeliani 137 N . Ne segue che, se λ, µ e ν sono tre interi distinti dell’insieme {0, 1, . . . , n}, con λ < µ < ν, allora: λ(n − 1), µ(n − 1) e ν(n − 1) sono allineati se e solo se 0, (µ − λ)(n − 1) e (ν − λ)(n − 1) sono allineati. Si osservi preliminarmente che, se n è dispari, la retta N contiene solo due punti di Ω: 0 e 12 (n + 1)(n − 1). Se n è pari, la retta N contiene solo un punto di Ω: 0. Siano h e k due interi distinti appartenenti all’insieme {1, . . . , n}. Si supponga per assurdo che i punti: 0, h(n − 1), k(n − 1) siano collineari. Sia L la retta su cui giacciono questi tre punti. Per quanto osservato precedentemente, L sarà necessariamente una retta del tipo R − ri per qualche ri ∈ R. Chiaramente h(n − 1) = εh (0) e k(n − 1) = εk (0). Dunque: εh (L) = εh ([0, εh (0)]) = = [εh (0), ε2h (0)] = [εh (0), 0] = L. In modo del tutto analogo, si prova che: εk (L) = L. Dunque, L è una retta fissata da εh e da εk ed è una retta diversa dagli assi di εh e εk . Per la Prop. 4.3.11, la retta L deve passare per i centri di εh e εk . Ciò è assurdo perchè εh e εk hanno centri distinti. Questo completa la dimostrazione. Lemma 4.3.20 Sia R un (n+1, n−1, n, 1)-insieme di differenze affine ciclico di ordine n di (Zv , +) (v := n2 − 1) relativo al sottogruppo N di ordine n − 1. Allora, l’ovale Ω := {0, (n − 1), . . . , n(n − 1)} definito nel precedente teorema, è fissato da tutti i moltiplicatori di R. 138 Dimostrazione. numerici. Insiemi di differenze affini Basta osservare che tutti i moltiplicatori di R sono Esempio 4.3.21 Sia n = 5. Allora R = {7, 9, 10, 14, 23} è un insieme di differenze affine ciclico di ordine 5 di (Z24 , +) relativo al sottogruppo N = {0, 6, 12, 18}. Se Π denota il piano proiettivo di ordine 5 associato a R, allora le rette del piano sono: 1. N = {0, 6, 12, 18, ∞, ρ(0)}; 2. N + 1 = {1, 7, 13, 19, ∞, ρ(1)}; 3. N + 2 = {2, 8, 14, 20, ∞, ρ(2)}; 4. N + 3 = {3, 9, 15, 21, ∞, ρ(3)}; 5. N + 4 = {4, 10, 16, 22, ∞, ρ(4)}; 6. N + 5 = {5, 11, 17, 23, ∞, ρ(5)}; 7. R = {7, 9, 10, 14, 23, ρ(0)}; 8. R + 1 = {0, 8, 10, 11, 15, ρ(1)}; 9. R + 2 = {1, 9, 11, 12, 16, ρ(2)}; 10. R + 3 = {2, 10, 12, 13, 17, ρ(3)}; 11. R + 4 = {3, 11, 13, 14, 18, ρ(4)}; 12. R + 5 = {4, 12, 14, 15, 19, ρ(5)}; 13. R + 6 = {5, 13, 15, 16, 20, ρ(0)}; 14. R + 7 = {6, 14, 16, 17, 21, ρ(1)}; 15. R + 8 = {7, 15, 17, 18, 22, ρ(2)}; 16. R + 9 = {8, 16, 18, 19, 23, ρ(3)}; 17. R + 10 = {0, 9, 17, 19, 20, ρ(4)}; 18. R + 11 = {1, 10, 18, 20, 21, ρ(5)}; 19. R + 12 = {2, 11, 19, 21, 22, ρ(0)}; 4.3 Piani affini abeliani 139 20. R + 13 = {3, 12, 20, 22, 23, ρ(1)}; 21. R + 14 = {0, 4, 13, 21, 23, ρ(2)}; 22. R + 15 = {0, 1, 5, 14, 22, ρ(3)}; 23. R + 16 = {1, 2, 6, 15, 23, ρ(4)}; 24. R + 17 = {0, 2, 3, 7, 16, ρ(5)}; 25. R + 18 = {1, 3, 4, 8, 17, ρ(0)}; 26. R + 19 = {2, 4, 5, 9, 18, ρ(1)}; 27. R + 20 = {3, 5, 6, 10, 19, ρ(2)}; 28. R + 21 = {4, 6, 7, 11, 20, ρ(3)}; 29. R + 22 = {5, 7, 8, 12, 21, ρ(4)}; 30. R + 23 = {6, 8, 9, 13, 22, ρ(5)}; 31. L∞ = {ρ(0), ρ(1), ρ(2), ρ(3), ρ(4), ρ(5)}. Π è un piano proiettivo desarguesiano e un isomorfismo Φ : Π → P2 (F5 ) è definito da: 1. Φ(∞) := (1 : 0 : 0); 2. Φ(0) := (1 : 1 : 0); 3. Φ(1) := (1 : 0 : 1); 4. Φ(2) := (1 : 2 : 2); 5. Φ(3) := (1 : 4 : 1); 6. Φ(4) := (1 : 2 : 1); 7. Φ(5) := (1 : 2 : 4); 8. Φ(6) := (1 : 3 : 0); 9. Φ(7) := (1 : 0 : 3); 10. Φ(8) := (1 : 1 : 1); 140 Insiemi di differenze affini 11. Φ(9) := (1 : 2 : 3); 12. Φ(10) := (1 : 1 : 3); 13. Φ(11) := (1 : 1 : 2); 14. Φ(12) := (1 : 4 : 0); 15. Φ(13) := (1 : 0 : 4); 16. Φ(14) := (1 : 3 : 3); 17. Φ(15) := (1 : 1 : 4); 18. Φ(16) := (1 : 3 : 4); 19. Φ(17) := (1 : 3 : 1); 20. Φ(18) := (1 : 2 : 0); 21. Φ(19) := (1 : 0 : 2); 22. Φ(20) := (1 : 4 : 4); 23. Φ(21) := (1 : 3 : 2); 24. Φ(22) := (1 : 4 : 2); 25. Φ(23) := (1 : 4 : 3); 26. Φ(ρ(0)) := (0 : 1 : 0); 27. Φ(ρ(1)) := (0 : 0 : 1); 28. Φ(ρ(2)) := (0 : 1 : 1); 29. Φ(ρ(3)) := (0 : 1 : 4); 30. Φ(ρ(4)) := (0 : 2 : 1); 31. Φ(ρ(5)) := (0 : 1 : 2). Per un celebre teorema di B.Segre, l’ovale Ω = {0, 4, 8, 12, 16, 20} del Teor. 4.3.19, è una conica. In coordinate affini, nel sistema di riferimento sopra introdotto, la sua equazione è: 2X 2 + Y 2 + 4XY + 3 = 0. 4.3 Piani affini abeliani 141 Sia q una potenza di un numero primo dispari tale che (q +1)/2 sia dispari. Posto v := q 2 − 1, sia R un insieme di differenze affine ciclico di (Zv , +) di ordine q, ottenuto con la funzione traccia (Teor. 4.2.15) e Π il piano proiettivo desarguesiano di ordine q associato a R. Mantenendo le notazioni del Teor. 4.3.19, l’ovale Ω = {0, (q − 1), . . . , q(q − 1)} è una conica (Teor. di Segre) e sussiste il seguente: Teorema 4.3.22 L’insieme K definito da: ( (q − 5)(q − 1) (q − 1)(q − 1) (q + 1)(q − 1) K := 0, 2(q − 1), . . . , , , , 2 2 2 ) (q + 5)(q − 1) q+1 q+5 ,ρ , . . . , (q − 2)(q − 1), q(q − 1), ρ 2 2 2 è un q+7 2 -arco di Π. Dimostrazione. Per ogni j = 1, . . . , q−1 2 , si denoti con Sj la retta di Π passante per i punti j(q − 1) e (q − j + 1)(q − 1). Dalla congruenza: jq(q − 1) ≡ (q − j + 1)(q − 1) (mod v) segue che la collineazione φq fissa la retta Sj . Poichè φq è una (ρ( q+1 2 ), N )omologia involutoria (Teor. 4.3.19), per la Prop. 4.3.11, le rette fissate da φq sono l’asse N e tutte le rette passanti per il centro ρ( q+1 2 ). Dunque, le q−1 2 rette passanti per ρ( q+1 2 ) e secanti la conica Ω, sono proprio le rette Sj sopra definite. Per ogni k = 0, . . . , q−3 2 , si denoti con Rk la retta di Π passante per i punti k(q − 1) e (q − k − 1)(q − 1). Dalla congruenza: kq(q − 1) + (q − 1)(q − 1) ≡ (q − k − 1)(q − 1) (mod v) segue che la collineazione εq−1 fissa la retta Rk . Poichè εq−1 è una (ρ( q+5 2 ), N − q − 1)-omologia involutoria (Teor. 4.3.19), sempre per la Prop. 4.3.11, le q−1 2 rette passanti per ρ( q+5 2 ) e secanti la conica Ω, sono proprio le rette Rk sopra q+5 definite. In ultima analisi, le rette passanti per ρ( q+1 2 ) e ρ( 2 ) e secanti la conica Ω, intersecano la stessa in due punti a e b tali che: • a e b sono entrambi multipli pari o dispari di q − 1, 142 Insiemi di differenze affini • a ∈ K ∩ Ω e b ∈ K ∩ Ω. Questo completa la dimostrazione. Si osservi inoltre che la traslazione f(q+1)/2 che a x associa x + v/2, (L∞ , ∞)-omologia involutoria che fissa la conica Ω, muta in sè anche l’arco K. Esempio 4.3.23 Se q = 29, allora un insieme di differenze affine ciclico di (Z840 , +) è: R := {52, 81, 124, 126, 145, 149, 237, 248, 249, 358, 375, 409, 425, 440, 466, 494, 503, 521, 527, 541, 573, 580, 583, 656, 678, 714, 722, 727, 762}. Se Π denota il piano proiettivo desarguesiano associato a R, in un opportuno sistema di coordinate, il 18-arco K del Teorema precedente, è dato da: K := {(1 : 1 : 0), (1 : 2 : 25), (1 : 7 : 13), (1 : 26 : 27), (1 : 10 : 8), (1 : 14 : 5), (1 : 17 : 12), (1 : 25 : 14), (1 : 28 : 0), (1 : 27 : 4), (1 : 22 : 16), (1 : 3 : 2) (1 : 19 : 21), (1 : 15 : 24), (1 : 12 : 17), (1 : 4 : 15), (0 : 0 : 1), (0 : 1 : 4)}. Inoltre, calcoli espliciti mostrano che tale arco è completo. Proposizione 4.3.24 Ad ogni piano affine ciclico di ordine pari n (n > 8) resta associato un disegno di Hadamard. Dimostrazione. Siano R un (n + 1, n − 1, n, 1)-insieme di differenze affine ciclico di ordine n pari di (Zv , +) (v = n2 − 1) e Σ il piano affine associato a R. Si denoti con D il gruppo di collineazioni di Σ generato da f1 e φn (per le notazioni si veda il Teor. 4.3.19). Tale gruppo soddisfa ciascuna delle seguenti tre proprietà: 1. in D vi è una elazione affine involutoria; 2. D è di ordine 2(n + 1); 3. D agisce transitivamente sui punti all’infinito. Allora, per l’articolo [1], a Σ resta associato un (n−1, n/2−1, n/4−1)-disegno di Hadamard. Più precisamente, denotate con Σ1 , Σ2 , . . . , Σn−1 le orbite di rette per D e con Ω1 , Ω2 , . . . , Ωn−1 le ovali orbite non banali dei punti di Σ per D, il disegno di Hadamard associato, ha come punti le ovali di linea Σ1 , Σ2 , . . . , Σn−1 , e come blocchi le ovali Ω1 , Ω2 , . . . , Ωn−1 ; il punto Σi e il blocco Ωj sono incidenti se ri ∩ Ωj = ∅, dove ri indica una qualsiasi retta dell’ovale Σi . 4.3 Piani affini abeliani 143 Teorema 4.3.25 Sia R un (n + 1, n − 1, n, 1)-insieme di differenze affine abeliano di (G, +) relativo al sottogruppo N . Allora, il gruppo M dei moltiplicatori di R contiene una sola involuzione, cioè il moltiplicatore numerico n. Dimostrazione. Si considerano separatamente i due casi: n pari e n dispari. Caso (a) n è pari. In questo caso, per il Lemma 4.3.18, il moltiplicatore numerico n è una elazione involutoria con centro ρ(0) e asse N . Se ω è un moltiplicatore involutorio, allora ω fissa i punti ∞ e ρ(0) e la retta impropria G/N . Si prova che ω non può essere una involuzione di Baer. Si supponga per assurdo che lo sia. Allora, n deve essere un quadrato. Posto n = m2 , per definizione, la struttura fissata da ω è un sottopiano di ordine m. Ne segue che, essendo G/N una retta fissata da ω, ω fissa esattamente m + 1 punti di G/N . D’altra parte, i punti fissati da ω in G/N , formano un sottogruppo di G/N . Pertanto m + 1 divide |G/N | = m2 + 1, e ciò è assurdo. Per la Prop. 4.3.13 e la Prop. 4.3.16, ω è una elazione con asse N e centro ρ(0): la retta N è l’asse di ω poichè essa contiene i punti fissati ρ(0), 0 (in G) e ∞, e l’unica retta che contiene almeno tre punti fissati di una elazione è l’asse; il punto ρ(0) è il centro poichè ω fissa la retta impropria e quindi il suo centro è un punto improprio (per la Prop. 4.3.11, le rette fissate da una collineazione centrale sono l’asse e tutte le rette passanti per il centro). A questo punto, si osservi che, in virtù della Prop. 4.3.11, una collineazione centrale è completamente determinata dal suo centro, dal suo asse e dall’immagine di un altro punto diverso dal centro e non appartenente all’asse. Sia , dunque, ρ(g) 6= ρ(0) un punto improprio. Si sa che il moltiplicatore numerico n agisce su ρ(g) come: φn (ρ(g)) = −ρ(g). Allora, resta provato che il moltiplicatore involutorio ω coincide con il moltiplicatore n, se si dimostra che: ω(ρ(g)) = −ρ(g). (4.36) ω[ρ(g) + ω(ρ(g))] = ω(ρ(g)) + ρ(g), (4.37) Si sa che: da cui segue che : ρ(g) + ω(ρ(g)) = ρ(0) poichè gli unici punti fissati da ω sono i punti del suo asse N . Dunque, ω(ρ(g)) = −ρ(g) e resta cosı̀ provata la (4.36). 144 Insiemi di differenze affini Caso (b) n è dispari. In questo caso, per il Lemma 4.3.18, il moltiplicatore numerico n è una omologia involutoria con asse N e centro ρ(t), dove ρ(t) è l’unica involuzione in G/N . Come nel caso (a), si prova che nessuna involuzione nel gruppo M dei moltiplicatori di R, è una involuzione di Baer. Quindi, fissato un moltiplicatore involutorio ω, quest’ultimo deve necessariamente essere una omologia (per la Prop. 4.3.13 e la Prop. 4.3.16): l’asse è la retta N (come nel caso (a)), e il centro è ρ(t) poichè questa è la sola involuzione in G/N , e questa involuzione deve essere fissata da un moltiplicatore. Utilizzando la (4.37), si deduce che ρ(g) + ω(ρ(g)) è un punto fissato da ω. Ne segue che ρ(g) + ω(ρ(g)) = ρ(0) o ρ(t). Se ρ(g) + ω(ρ(g)) = ρ(0), la dimostrazione termina come nel caso (a). Si assuma, per assurdo, che: ρ(g) + ω(ρ(g)) = ρ(t) (4.38) per ogni ρ(g) 6= ρ(0), ρ(t). Si scelga un elemento ρ(g) tale che ρ(g) + ρ(g) 6= ρ(0), ρ(t). Questo è sempre possibile se |G/N | > 4 poichè il 2-sottogruppo di Sylow di G/N è ciclico. Dalla (4.38) segue che: ω[ρ(g) + ρ(g)] = ρ(t) − ρ(g) − ρ(g) e ω(ρ(g)) + ω(ρ(g)) = −ρ(g) − ρ(g), e questa è una contraddizione. Se |G/N | = 4, esiste un’applicazione con la proprietà (4.38), ma tale applicazione associa ad ogni elemento ρ(g) sè stesso, e quindi ω avrebbe troppi punti fissati su G/N . Definizione 4.3.26 Sia R un insieme di differenze affine di un gruppo finito (G, +) (non necessariamente abeliano) relativo a un sottogruppo normale N . Un moltiplicatore ϕ di R è detto planare se la sua struttura fissata è un sottopiano del piano proiettivo associato a R. Osservazione 4.3.27 Se ϕ è un automorfismo di un gruppo finito (G, +), si denoterà con fix(ϕ, G) il numero di punti fissati da ϕ in G, cioè il numero di punti x ∈ G tali che ϕ(x) = x. Teorema 4.3.28 Siano R un insieme di differenze affine di un gruppo finito (G, +) (non necessariamente abeliano) relativo a un sottogruppo normale N 4.3 Piani affini abeliani 145 e ϕ un moltiplicatore di R. Si noti che ϕ è anche un automorfismo di G/N , poichè fissa N (come insieme). Allora ϕ è un moltiplicatore planare se e solo se fix(ϕ, G/N ) > 3. Se ϕ è planare, allora fix(ϕ, G/N ) = fix(ϕ, N ) + 2 e fix(ϕ, G) = (fix(ϕ, G/N ) − 1)2 − 1. Dimostrazione. Si veda [18]. Osservazione 4.3.29 Per gruppi ciclici e moltiplicatori numerici t, si ha che: fix(t, G) = (t − 1, |G|). Pertanto, una parte del Teor. 4.3.28 si riduce al Teorema 3.2 dell’articolo di Hoffman [9]. Teorema 4.3.30 Sia R un insieme di differenze affine abeliano di ordine n di (G, +) relativo a N . Sia ϕ un moltiplicatore (non necessariamente numerico). Allora: 1. Se ϕ, considerato come un automorfismo di G/N , è l’applicazione identica, allora ϕ è l’applicazione identica su G. 2. Se ϕ|N = id, allora ϕ = id oppure ϕ è il moltiplicatore numerico n. Dimostrazione. Si veda [18]. Dai Teor. 4.3.28 e 4.3.30, si deduce il seguente corollario, che fornisce una condizione necessaria sul possibile ordine di insiemi di differenze affini abeliani. Corollario 4.3.31 Siano n l’ordine di un insieme di differenze affine abeliano R di (G, +) relativo a N e t un divisore positivo di n. Allora t deve soddisfare le seguenti condizioni: 1. L’ordine di t modulo l’esponente di G/N è uguale all’ordine di t modulo l’esponente di G. 2. Se tf ≡ 1 mod exp(N ), allora tf ≡ 1 o n mod exp(G). 3. Se t2f ≡ 1 mod exp(G/N ), allora tf ≡ 1 o n mod exp(G). Dimostrazione. Si veda [18]. 146 Insiemi di differenze affini Osservazione 4.3.32 Le condizioni del Cor. 4.3.31 sono simili ad alcune condizioni date da Jungnickel e Pott [14]. In quell’articolo è stato verificato che l’ordine n di un insieme di differenze affine abeliano deve essere una potenza di un numero primo se n 6 10000. Questo estende un risultato di Ko e Ray-Chaudhuri [15] che hanno considerato solo piani affini ciclici di ordine n 6 5000. Il principale risultato che hanno usato nel loro lavoro, è il seguente: Teorema 4.3.33 Siano R un insieme di differenze affine ciclico di ordine n e p un numero primo divisore di n. 1. Se pj ≡ 1 mod (n + 1), allora pj ≡ 1 mod (n2 − 1). 2. Se pj ≡ n mod (n + 1), allora pj ≡ n mod (n2 − 1). 3. Se pj ≡ 1 mod (n − 1), allora pj ≡ 1 o n mod (n2 − 1). Teorema 4.3.34 Sia R un insieme di differenze affine abeliano di ordine n. Se n ≡ 0 (mod 2), allora n = 2, 4 oppure n ≡ 0 (mod 8). Se n ≡ 0 (mod 3), allora n = 3 oppure n ≡ 0 (mod 9). Dimostrazione. Si veda [2]. Teorema 4.3.35 Sia R un insieme di differenze affine abeliano di ordine n ≡ 8 (mod 16). Allora n − 1 deve essere una potenza di un numero primo. Se R è un insieme di differenze ciclico, allora n − 1 deve essere un numero primo. Dimostrazione. Si veda [4]. Definizione 4.3.36 Siano m, n, k, λ2 interi positivi con mn > k > 2, λ1 un intero non negativo, G un gruppo finito di ordine mn e N un sottogruppo di G di ordine n. Un sottoinsieme R di G, contenente k elementi, è detto un (m, n, k, λ1 , λ2 )-insieme di differenze divisibile di G relativo a N se ogni elemento g ∈ G\N ha esattamente λ2 rappresentazioni g = r1 r2−1 con r1 , r2 ∈ R, r1 6= r2 e ogni elemento g ∈ N \{1} ha esattamente λ1 rappresentazioni g = r1 r2−1 con r1 , r2 ∈ R, r1 6= r2 . Osservazione 4.3.37 Chiaramente, se λ1 = 0, si ritrova la definizione di insieme di differenze relativo (Def. 2.2.1). È facile verificare che, un sottoinsieme R di G, contenente k elementi, è un (m, n, k, λ1 , λ2 )-insieme di differenze divisibile di G relativo a N se e solo se: R · R(−1) = (k − λ1 ) + (λ1 − λ2 )N + λ2 G 4.3 Piani affini abeliani 147 in Z[G]. Inoltre: k(k − 1) = λ1 (n − 1) + λ2 (mn − n). Osservazione 4.3.38 La Def. 3.1.1 di carattere di un gruppo abeliano finito, si estende a un qualsiasi gruppo finito G. In questo caso, si parla di carattere complesso lineare o 1-dimensionale di G. Se G0 denota il sottogruppo commutatore di G, è noto che esistono esattamente |G/G0 | caratteri lineari complessi distinti di G. Definizione 4.3.39 Siano R un (m, n, k, λ1 , λ2 )-insieme di differenze divisibile di G relativo a N e χ : G → C∗ un carattere non banale di G di ordine w. Un intero t è detto un χ-moltiplicatore di R, se l’ideale principale (χ(R)) generato da χ(R) in Z[ξw ] è fissato dall’automorfismo di Galois di Q(ξw ) σt t . che a ξw associa ξw Osservazione 4.3.40 Si ricordi che un intero a è detto privo di fattori quadratici se, per ogni numero primo p, p2 non divide a. È noto che ogni intero a non nullo può scriversi in modo unico nella forma a = b2 c, dove b e c sono interi e c è privo di fattori quadratici. In tal caso, c è detto la parte priva di fattori quadratici di a. Se p2j divide strettamente a per qualche intero positivo j, cioè se p2j+1 non divide a, allora, è chiaro che p non divide c, la parte priva di fattori quadratici di a. È ora possibile enunciare e dimostrare il seguente teorema che costituisce una generalizzazione del famoso test di Mann in [16] e [18]. Teorema 4.3.41 Siano R un (m, n, k, λ1 , λ2 )-insieme di differenze divisibile di G relativo a N e χ : G → C∗ un carattere non banale di G di ordine w. Inoltre, siano t un χ-moltiplicatore di R e p un numero primo che non divide w tale che: tpf ≡ −1 (mod w) per qualche intero non negativo f . Allora: 1. Se il nucleo di χ non contiene N , allora p non divide la parte priva di fattori quadratici di k − λ1 , ammesso che sia k − λ1 6= 0. 2. Se il nucleo di χ contiene N , allora p non divide la parte priva di fattori quadratici di k 2 − λ2 mn, ammesso che sia k 2 − λ2 mn 6= 0. 148 Insiemi di differenze affini Dimostrazione. Si supponga che p divida k − λ1 , altrimenti non c’è nulla da provare. Sia pi l’esatta potenza di p che divide k − λ1 . Si noti che χ(R)χ(R) = k − λ1 poichè il nucleo di χ non contiene N . Da ciò e dal fatto che k − λ1 = pi s, passando agli ideali principali generati in Z[ξw ], si ha: (χ(R))(χ(R)) = (p)i (s). (4.39) Mantenendo le notazioni del Teor. 1.2.30, (p)i = P1i · · · Pgi (4.40) e h (χ(R)) = P1h1 · · · Pg g A (4.41) dove h1 , . . . , hg sono interi non negativi e l’ideale A non contiene nessun ideale primo Pk nella sua fattorizzazione prima. Dalla (4.39) segue che gli interi h1 , . . . , hg sono tutti minori o uguali a i. Pertanto, se P denota l’ideale massimo comune divisore degli ideali (χ(R)) e (p)i , risulta: h P = (χ(R)) + (p)i = P1h1 · · · Pg g (4.42) e, quindi (χ(R)) = P · A e (χ(R)) = P · A. (4.43) Dalla (4.39) e dalla (4.43), segue che: (χ(R))(χ(R)) = P P AA = (p)i (s) e, quindi: P · P = (p)i (4.44) poichè gli ideali A, A e (s) non contengono nessun ideale primo Pk nella loro fattorizzazione prima. Per ipotesi, l’automorfismo di Galois σt fissa l’ideale principale (χ(R)) e quindi, per il Lemma 1.3.12, anche l’ideale P . L’automorfismo di Galois σpf fissa P per il Teor. 1.3.9. Dunque, anche l’automorfismo σtpf = σt ◦ σpf fissa P . D’altra parte, sempre per ipotesi, l’automorfismo σtpf coincide con il complesso coniugato e quindi P =P e dalla (4.44) si ottiene: P 2 = (p)i 4.3 Piani affini abeliani 149 cioè 2hg P12h1 · · · Pg = P1i · · · Pgi . Ne segue che i è pari. Questo completa la dimostrazione. La seconda parte del teorema si prova in modo del tutto analogo: in questo caso χ(R)χ(R) = k 2 − λ2 mn poichè χ è banale su N . Esiste una versione non abeliana del Test di Mann, per insiemi di differenze affini, dovuta a Jungnickel. Si premette la seguente: Definizione 4.3.42 Siano R un insieme di differenze affine di G relativo a N , U un sottogruppo normale di G, H := G/U , u∗ := expH, φ : G → H l’epimorfismo canonico e ψ : Z[G] → Z[H] l’estensione per linearità di φ. Un intero t con (t, u∗ ) = 1, è detto un G/U -moltiplicatore numerico per R, se l’automorfismo di H che a x associa xt , fissa ψ(R) come elemento di Z[H]. Teorema 4.3.43 Siano R un insieme di differenze affine di ordine n di G relativo a N , U un sottogruppo normale di G, di indice u 6= 1 che non contiene N . Si assuma che il gruppo quoziente H := G/U sia abeliano e sia u∗ := expH, w = |N ∩ U |. Infine, sia t un G/U -moltiplicatore numerico per R e p un divisore primo di n tale che tpf ≡ −1 (mod u∗ ) per qualche intero non negativo f . Allora: 1. p non divide la parte priva di fattori quadratici di n, cioè p2j divide strettamente n; 2. pj 6 (n2 − 1)/u; 3. n > u − (n − 1)/w; in particolare, u 6 2n − 1; 4. se G è abeliano, allora n è un quadrato perfetto. Dimostrazione. Si veda [13]. Una conseguenza di tale teorema è la seguente proposizione che generalizza il Corollario 4.1 dell’articolo di Hoffman [9]. Proposizione 4.3.44 Non esiste un insieme di differenze affine abeliano di ordine n, se n è multiplo di uno dei seguenti numeri: 2p per 3p p ∈ {3, 5, 7, 11, 13, 17, 19, 29, 31, 47, 61} per p ∈ {5, 7, 11, 13, 17, 19, 29} 5p per p ∈ {11, 13, 29}. Nel caso ciclico, si può anche escludere il caso 2p per p ∈ {23, 67}. 150 Insiemi di differenze affini Dimostrazione. Si veda [13]. Teorema 4.3.45 Siano p e q due numeri primi distinti, p dispari, tali che f := op (q) sia dispari e diverso da 1. Si definisca p = ef + 1 con e 6= 1. Siano γ ∈ Z[ξp ], g una radice primitiva modulo p e µ l’automorfismo di Galois di Q(ξp ), definito da: µ(ξp ) := ξpq . Se γγ = n e µ fissa tutti gli ideali primi di Z[ξp ] divisori di n (cioè, gli ideali primi che giacciono sui divisori primi di n), allora esiste un intero y tale che: γξpy = e X bi ηi i=1 P −1 gej+i−1 dove bi ∈ Z e ηi := fj=0 ξp per ogni i = 1, . . . , e. Inoltre, i coefficienti bi soddisfano le due seguenti condizioni: en = p e X i=1 e e X b2i − f ( e X bi )2 i=1 √ bi 6 e n. i=1 Dimostrazione. Per il Cor. 1.1.28, {1, ξp , . . . , ξpp−2 } è una base intera di Q(ξp ) su Q. Poichè: 1 + ξp + ξp2 + · · · + ξpp−1 = 0 segue che anche {ξp , ξp2 , . . . , ξpp−1 } è una base intera di Q(ξp ) su Q. Posto G := Gal(Q(ξp )/Q), è noto che G è un gruppo ciclico di ordine p − 1 che ammette come generatore, l’automorfismo σ definito da: σ(ξp ) := ξpg . Per ipotesi, µ è un automorfismo di ordine f . Si denoti con H := hµi = hσ e i, il sottogruppo di G generato da µ (l’unico sottogruppo di ordine f ) e con K il campo fissato da H, cioè: K := {α ∈ Q(ξp ) | α = µ(α)}. 4.3 Piani affini abeliani 151 Per il Teor. Fondamentale della Teoria di Galois (Teor. 1.1.40), K è l’unico sottocampo di Q(ξp ) di grado e su Q. Inoltre, posto: ηi := f −1 X ξpg ej+i−1 j=0 per ogni i = 1, . . . , e, è noto che {η1 , . . . , ηe } costituisce una base intera di K su Q i cui elementi sono detti periodi Gaussiani. Poichè γγ = n, passando agli ideali principali generati in Z[ξp ], si ha: (γ) · (γ) = (n). Per ipotesi, µ fissa tutti gli ideali primi divisori di n; pertanto fissa l’ideale principale generato da γ. Ne segue che: (µ(γ)) = (γ) e, quindi, che µ(γ) e γ sono associati, cioè esiste un elemento invertibile di Z[ξp ], ε, tale che µ(γ) = εγ. Dunque: |γ|2 = n = µ(γ)µ(γ) = µ(γ)µ(γ) = |µ(γ)|2 . Quindi, |µ(γ)| = |γ| e |ε| = 1. Per il Cor. 1.1.36 (del lemma di Kronecker), ε è una radice di 1 in C e per la Prop. 1.4.11, esiste un intero j tale che: ε = ±(ξp )j . Si consideri il prodotto: γµ(γ) · · · µf −1 (γ) = εµ(ε) · · · µf −1 (ε)γµ(γ) · · · µf −1 (γ). Si deduce che: εµ(ε)µ2 (ε) · · · µf −1 (ε) = 1. Se per assurdo fosse ε = −(ξp )j , allora si avrebbe che 1 = −(ξp )x per qualche x 6= 0, il che è assurdo (si ricordi che f è dispari). Allora, ε = ξpj e µ(γ) = γξpj . Se si sceglie un intero y ∈ {0, . . . , p − 1} tale che: y ≡ j + yq (mod p), si ha: µ(γξpy ) = γξpj+yq = γξpy . Ne segue che γξpy ∈ K e, quindi γξpy = e X i=1 bi ηi 152 Insiemi di differenze affini Posto δ := γξpy , dal fatto che δδ = n si deduce che: ( e X e X bi ηi )( bi ηi ) = n + λ(1 + ξp + · · · + ξpp−1 ). i=1 (4.45) i=1 Si veda δδ come un elemento di Z[hξp i]. Uguagliando i coefficienti di 1 e la somma di tutti i coefficienti della (4.45) si ha: e X n + λ = f( b2i ) i=1 2 n + λp = f ( e X bi )2 . i=1 Risolvendo queste due equazioni rispetto a n, si ottiene: P P p ei=1 b2i − f ( ei=1 bi )2 . n= e Applicando la disuguaglianza di P Cauchy-Schwarz alle due e-uple (1, . . . , 1) e Pe 2 (b1 , . . . , be ), si ha: ( i=1 bi ) 6 e ei=1 b2i e quindi: e X i=1 e 1 X 2 b2i > ( bi ) . e (4.46) i=1 Moltiplicando ambo i membri della (4.46) per pf si ha: pf e X e b2i > i=1 pf X 2 ( bi ) . e (4.47) i=1 P Sottraendo f 2 ( ei=1 bi )2 ad ambo i membri della (4.47), si ha: pf e X i=1 e e e X X pf X 2 ( bi ) − f 2 ( bi )2 . b2i − f 2 ( bi )2 > e i=1 i=1 Quindi nef > ( i=1 e X pf − f 2 )( bi )2 e i=1 cioè e e X X bi )2 = ( bi )2 . e2 n > (p − ef )( i=1 i=1 Questo completa la dimostrazione del teorema. (4.48) 4.3 Piani affini abeliani 153 Definizione 4.3.46 Siano w un intero positivo, p un numero primo, w = pe w0 con e > 0 e (p, w0 ) = 1. Si dice che p è auto-coniugato modulo w se esiste un intero non negativo j tale che: pj ≡ −1 (mod w0 ). Corollario 4.3.47 Sia R un (m, n, k, λ1 , λ2 )-insieme di differenze divisibile di G relativo al sottogruppo N . Si supponga che G ammetta un carattere χ di ordine p = ef + 1 con χ(R)χ(R) = r, dove 2 k − λ2 mn se χ|N = χ0 r= k − λ1 altrimenti Sia r = s2 t con t intero non quadrato. Sia q un numero primo diverso da p tale che op (q) = f sia dispari (e diverso da 1) e che l’automorfismo di Galois di Q(ξp ), µ, definito da: µ(ξp ) := ξpq , fissi tutti gli ideali primi di Z[ξp ], divisori di r. Si assuma, infine, che i divisori primi di s siano auto-coniugati modulo p. Allora: p 6 e2 t. Dimostrazione. Per il Teor. 4.3.45, si ha che (a meno di una radice p-esima dell’unità) risulta: e X χ(R) = bi ηi i=1 e r= p Pe 2 i=1 bi P − f ( ei=1 bi )2 , e e X √ bi 6 es t. i=1 Poichè i divisori primi di s sono auto-coniugati modulo p, si ha che: χ(R) ≡ 0 (mod s), e, quindi, ricordando che {ξp , ξp2 , . . . , ξpp−1 } è una base intera di Q(ξp ) su Q, si deduce che tutti i cofficienti interi bi sono divisibili per s. Posto ai := bsi , si ottiene: e e e X X X 2 2 te = p ai − f ( ai ) , ( ai )2 6 te2 i=1 i=1 i=1 154 Insiemi di differenze affini te2 = ep e X e X a2i − (p − 1)( ai )2 , i=1 i=1 e X te2 ≡ ( ai )2 (mod p). i=1 P Se per assurdo, fosse p > te2 > ( ei=1 ai )2 , allora si perverrebbe ad una contraddizione poichè te2 non è un quadrato intero. Il seguente risultato di non-esistenza è dovuto ad Arasu e Pott [18]. Proposizione 4.3.48 Un insieme di differenze affine abeliano di ordine n non esiste se n = 5s4 con s ≡ 3 (mod 101) oppure n = 3s6 con s ≡ 5 (mod 23) (in entrambi i casi, s è un numero primo). Dimostrazione. Si supponga che esista un (n + 1, n − 1, n, 1)-insieme di differenze abeliano R di G relativo al sottogruppo N , con n = 5s4 e s ≡ 3(mod101). Si osservi che s4 ≡ 81(mod101) e, quindi 5s4 ≡ 405 ≡ 1(mod101). Ne segue che 101 | n − 1 e, in particolare 101 | n2 − 1 = |G| = |G∗ |. Per un teorema di Cauchy, esiste un carattere χ ∈ G∗ di ordine 101, non banale su N . Infatti, se per assurdo χ ∈ N ⊥ , si avrebbe un carattere χ̄ ∈ (G/N )∗ di ordine 101 (Lemma 3.1.8). Quindi, per il teorema di Lagrange, 101 | |(G/N )∗ | = n+1 e ciò è palesemente assurdo. Dunque, χ è non banale su N e χ(R)χ(R) = n. Si osservi che o101 (5) = 25 e o101 (3) = 100. Con le notazioni del Cor. 4.3.47, si ha: p = 101, q = 5, e = 4, f = 25, t = 5 e n = (s2 )2 5. Sia σ5 l’automorfismo 5 . I divisori primi di n sono s e 5. di Galois di Q(ξ101 ) che a ξ101 associa ξ101 Per il Teor. 1.3.9, σ5 fissa gli ideali primi di Z[ξ101 ] che giacciono su 5. Si noti che 325 ≡ 5 (mod 101) e quindi 5 ≡ s25 (mod 101). Dunque, sempre per il Teor. 1.3.9, σ5 fissa gli ideali primi di Z[ξ101 ] che giacciono su s. Infine, poichè 3 è una radice primitiva modulo 101, esiste un unico intero non negativo j tale che: 3j ≡ −1 (mod 101) e, quindi sj ≡ 3j ≡ −1 (mod 101). Pertanto, s è auto-coniugato modulo 101. Tutte le ipotesi del Cor. 4.3.47 sono verificate. Ne segue che p 6 e2 t, cioè 101 6 16 · 5 e ciò è una contraddizione. Nel secondo caso, si procede in modo del tutto analogo, ponendo: p = 23, q = 3, e = 2, f = 11, t = 3. Si noti che o23 (3) = 11 e o23 (5) = 22. Sia σ3 3 . I divisori primi di n l’automorfismo di Galois di Q(ξ23 ) che a ξ23 associa ξ23 sono s e 3. Per il Teor. 1.3.9, σ3 fissa gli ideali primi di Z[ξ23 ] che giacciono su 3. Osservato che 516 ≡ 3 (mod 23) e, quindi che 3 ≡ 516 ≡ s16 (mod 23), 4.3 Piani affini abeliani 155 sempre per il Teor. 1.3.9, σ3 fissa anche gli ideali primi di Z[ξ23 ] che giacciono su s. Infine, poichè 5 è una radice primitiva modulo modulo 23, esiste un unico intero j tale che 5j ≡ −1 (mod 23) e, quindi sj ≡ 5j ≡ −1 (mod 23). Pertanto, s è auto-coniugato modulo 23. Per il Cor. 4.3.47, 23 6 4 · 3 e ciò è assurdo. 156 Insiemi di differenze affini Bibliografia [1] L.M.Abatangelo: Piani affini di ordine pari e disegni di Hadamard, Bollettino U.M.I. (7) 8-A (1994), 377-382. [2] K.T.Arasu, D.Jungnickel, Affine difference sets of even order, J.Comb.Th. (A) 52 (1989), 188-196. [3] K.T.Arasu, D.Jungnickel, A.Pott: Symmetric divisible designs with k − λ1 = 1, Discrete Math. 97 (1991), 25-38. [4] K.T.Arasu, A.Pott: Cyclic affine planes and Paley difference sets, Discrete Math. 106/107 (1992), 19-23. 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