Economia Politica e Istituzioni Economiche Barbara Pancino Lezione 19 Politica economica monetaria e fiscale: regole e vincoli Politica monetaria Nel breve periodo la politica monetaria influisce sia sul livello sia sulla composizione della produzione. Un aumento della moneta riduce i tassi di interesse e provoca un deprezzamento della valuta. A sua volta tutto ciò fa aumentare la domanda di beni e la produzione. Nel medio e nel lungo periodo, tuttavia, la politica monetaria è neutrale. Le variazioni del livello o del tasso di crescita della moneta non hanno alcun effetto sulla produzione o sulla disoccupazione. Le variazioni del livello della moneta alla fine generano un aumento proporzionale dei prezzi. Le variazioni del tasso di crescita della moneta si riflettono in variazioni del tasso di inflazione. Politica fiscale Nel breve periodo un disavanzo di bilancio (provocato, per esempio da una riduzione delle imposte) fa aumentare la domanda e quindi la produzione. Quello che succede all’investimento è ambiguo. Nel medio periodo la produzione torna al suo livello naturale. Il tasso di interesse e la composizione della spesa però sono diversi: il tasso di interesse è maggiore; la spesa per investimenti minore. Nel lungo periodo una minor spesa per investimento porta a un minor stock di capitale, e ciò a sua volta comporta un minor livello di produzione. La politica monetaria comporta due decisioni fondamentali: 1) la scelta del tasso medio d’inflazione e quindi di un corrispondente tasso medio di crescita della moneta nel medio periodo; 2) la scelta di quanto deviare da questa media per ridurre le fluttuazioni della produzione nel breve periodo. Il tasso ottimale di inflazione Nei paesi OCSE è in corso un dibattito tra coloro che sono a favore di un tasso positivo di inflazione (diciamo del 3%) e coloro che sono invece a favore della stabilità dei prezzi, cioè di un’inflazione nulla. Per il momento la maggior parte delle banche centrali sembra preferire un’inflazione bassa, ma positiva (tra il 2 e il 3%). Valutiamo costi e benefici dell’inflazione. I costi dell’inflazione Il costo delle suole. Le distorsioni fiscali. L’illusione monetaria. La volatilità dell’inflazione. Il costo delle suole delle scarpe Nel medio periodo, un maggiore tasso di inflazione comporta maggiori tassi di interesse nominali e quindi un maggior costoopportunità della moneta. Le persone riducono i saldi monetari e si recano più spesso a prelevare, da qui l’espressione “costo delle suole”. Il continuo ricorso allo sportello bancario potrebbe essere evitato se l’inflazione fosse minore, permettendo così alle persone di impiegare il loro tempo lavorando o godendosi il tempo libero. Le distorsioni fiscali Il reddito ai fini fiscali è espresso in termini nominali e non in termini reali. In presenza di elevata inflazione, i contribuenti passano a fasce di reddito superiori, in quanto il reddito nominale, ma non necessariamente il reddito reale, aumenta di valore. L’illusione monetaria Le persone commettono errori sistematici nel distinguere tra grandezze nominali e grandezze reali. I semplici calcoli necessari in un contesto di prezzi stabili diventano complicati in presenza di inflazione. Per esempio per valutare il reddito corrente rispetto al reddito passato, le persone devono tener conto dell’andamento dell’inflazione. L’evidenza suggerisce che le persone trovano difficile fare questi conti e spesso non individuano le distinzioni rilevanti. Economisti e psicologi hanno raccolto dati in modo sistematico, i quali suggeriscono che l’inflazione induce le persone e le imprese a prendere decisioni sbagliate. La volatilità dell’inflazione Una maggiore inflazione è solitamente associata a un’inflazione più variabile. Le attività finanziarie che promettono pagamenti futuri fissati in termini nominali diventano rischiose. Una soluzione potrebbe essere emettere titoli indicizzati, cioè titoli che promettono pagamenti corretti per l’inflazione. I benefici dell’inflazione • Il signoraggio. • La possibilità di ottenere tassi di interesse reali negativi per scopi di politica economica. • L’interazione tra illusione monetaria e inflazione facilita la riduzione dei salari reali in caso di necessità. Il signoraggio La creazione di moneta è uno dei modi in cui il governo può finanziare la sua spesa. Tecnicamente, il governo emette titoli. Alcuni di questi titoli vengono acquistati dalla banca centrale che crea moneta per pagarli. I ricavi della creazione di moneta, cioè il signoraggio, consentono al governo di prendere a prestito una somma minore o ridurre le imposte. Il signoraggio è rivelante nelle economie che non hanno ancora introdotto un buon sistema fiscale. Tassi di interessi negativi Un’economia con un maggior tasso di inflazione ha più regime di manovra nell’uso della politica monetaria per combattere una recessione (trappola della liquidità). Un’economia con un basso tasso di inflazione potrebbe non essere in grado di usare la politica monetaria per far tornare la produzione al suo livello naturale (caso della stagnazione del Giappone). Un riesame dell’illusione monetaria I l fe n o m e n o d e l l ’ i l l u s i o n e m o n e t a r i a p u ò c o s t i t u i re un’argomentazione a favore di un tasso d’inflazione positivo. Il processo di cambiamento che caratterizza le economie moderne comporta che alcuni lavoratori debbano subire tagli salariali in termini reali. In questo caso, un’inflazione positiva facilita l’aggiustamento. Consideriamo due situazioni. Nella prima l’inflazione è al 3% e il vostro salario aumenta dell’1% in termini nominali. Nella seconda l’inflazione è nulla e il vostro salario diminuisce del 2% in termini nominali. In entrambi i casi si verifica la stessa riduzione del salario reale, pari al 2%. Tuttavia, l’evidenza mostra che molti accetterebbero più facilmente una riduzione del loro salario reale nel primo caso. Obiettivi di crescita della moneta nominale e intervalli obiettivo Fino agli anni Novanta la formulazione della politica monetaria era tipicamente incentrata sulla crescita dello stock nominale di moneta. La banca centrale sceglieva un obiettivo di crescita della moneta nominale corrispondente al tasso di inflazione che voleva raggiungere nel medio periodo e, nel breve periodo, consentiva deviazioni della crescita della moneta nominale da quell’obiettivo. Per comunicare al pubblico quanto voleva raggiungere nel medio periodo e che cosa intendeva fare nel breve periodo, la banca centrale annunciava un intervallo desiderato per il tasso di crescita della moneta nominale. Crescita della moneta e inflazione: un riesame La formulazione della politica monetaria a partire dalla crescita della moneta nominale si basa sull’ipotesi che ci sia una stretta relazione tra inflazione e crescita della moneta nominale nel medio periodo. Il problema è che, in pratica, questa relazione non è molto stretta. Nel corso del tempo le banche centrali si sono disilluse circa questo modo di condurre la politica monetaria. Crescita della moneta e inflazione: un riesame Crescita di M1 e inflazione nel Regno Unito: medie decennali dal 1968 La relazione tra crescita di M1 e l’inflazione non è stata molto forte Cambio di politica La relazione tra crescita di M1 e l’inflazione non è molto forte perché dipende dagli spostamenti della domanda di moneta. Spostamenti frequenti e ampi della domanda di moneta erano un problema serio per le banche centrali. Esse si ritrovano costantemente combattute tra il tentativo di mantenere un obiettivo stabile di crescita della moneta nominale e quindi rimanere all’interno dell’intervallo annunciato (per mantenere la propria credibilità), e la necessità di adeguarsi agli spostamenti della domanda (per stabilizzare la produzione nel breve periodo e l’inflazione nel medio). A partire dai primi anni Novanta è avvenuto un ripensamento radicale della politica monetaria, basato sull’inflazione obiettivo invece che sull’obiettivo di crescita della moneta nominale, e sull’uso delle regole del tasso di interesse. Regole sul tasso di interesse Come raggiungere il tasso di inflazione obiettivo? L’inflazione non è sotto il controllo diretto della banca centrale. Una volta scelto il tasso di inflazione obiettivo, la banca centrale dovrebbe cercare di raggiungerlo aggiustando il tasso d’interesse nominale. Regola di Taylor: it = i * +a(π t − π *) − b(ut − un ) La banca centrale dovrebbe variare il tasso di interesse in seguito a due fattori principali: lo scostamento dell’inflazione dal tasso di inflazione obiettivo e lo scostamento del tasso di disoccupazione dal tasso naturale di disoccupazione. Gli strumenti della politica monetaria Il tasso di interesse di equilibrio è il tasso in corrispondenza del quale l’offerta e la domanda di base monetaria sono uguali. Durante i suoi primi 10 anni di attività la Bce ha mostrato la volontà di utilizzare il tasso di interesse nominale per stabilizzare l’attività nel caso in cui si rivelasse necessario. Obiettivi d’inflazione Le banche centrali si concentrano sempre più spesso su un tasso d’inflazione obiettivo. La politica monetaria è considerata sempre più in termini di tasso di interesse nominale che in termini di tasso di crescita della moneta. Le banche centrali definiscono come loro obiettivo principale il raggiungimento di un basso tasso d’inflazione nel breve e nel medio periodo. Obiettivi d’inflazione L’inflazione obiettivo porta la banca ad agire in modo da eliminare tutti gli scostamenti della produzione dal suo livello naturale. Come conseguenza di questa politica monetaria attiva, la produzione rimane sempre al proprio livello naturale. Tale risultato è troppo forte per due ragioni: la banca centrale non può sempre raggiungere il tasso di inflazione che vuole nel breve periodo; ü ü la curva di Phillips non vale esattamente. Nel medio periodo, l’inflazione obiettivo rimane valida, permettendo di stabilizzare la produzione intorno al proprio livello naturale. Tre questioni di politica fiscale ü Equivalenza ricardiana ü Disavanzi, stabilizzazione per il ciclo ü Guerre e disavanzi della produzione e disavanzo corretto L’equivalenza ricardiana Supponiamo che, a parità di spesa pubblica, quest’anno il governo riduca le imposte di 1, finanziandosi con un’emissione di debito. Il governo annuncia che l’anno prossimo aumenterà le imposte di (1+r) per rimborsare il debito. Qual è l’effetto sul consumo del taglio delle imposte? Nessuno. L’equivalenza ricardiana I consumatori si rendono conto che minori imposte quest’anno verranno compensate da maggiori imposte l’anno prossimo. Il valore presente scontato del reddito da lavoro rimane invariato. Alternativamente: il risparmio privato aumenta esattamente di quanto è cresciuto il disavanzo. Secondo l’equivalenza ricardiana, se il governo finanzia una data spesa pubblica col debito, il risparmio privato aumenta in misura pari alla riduzione del risparmio pubblico. L’equivalenza ricardiana Come dovremmo considerare l’equivalenza ricardiana? Nella realtà, quanto più lontani nel tempo e incerti sembrano gli aumenti delle imposte future agli occhi dei consumatori, tanto più probabile è che essi li ignorino. In questo caso, l’equivalenza ricardiana è destinata a fallire. L’equivalenza ricardiana In generale: il disavanzo pubblico ha effetti rilevanti sull’attività economica. - Nel breve periodo: forti disavanzi fanno aumentare la domanda e la produzione. - Nel lungo periodo: un maggior debito pubblico riduce l’accumulazione di capitale e quindi la produzione. Disavanzi, stabilizzazione della produzione e disavanzo corretto per il ciclo Il disavanzo corretto per il ciclo costituisce un punto di riferimento in base al quale giudicare l’andamento della politica fiscale. Per valutare se una data politica fiscale sia appropriata, gli economisti hanno costruito delle misure del disavanzo che dicono a che livello esso si collocherebbe se la produzione fosse al suo livello naturale (tenendo conto della legislazione fiscale e delle regole di spesa esistenti). Tali misure prendono nomi diversi: disavanzo di pieno impiego, disavanzo standardizzato per la disoccupazione, disavanzo strutturale (quest’ultimo è il termine usato dall’Ocse) o disavanzo corretto per il ciclo. Guerre e disavanzi Le guerre generano grandi disavanzi di bilancio. È giusto che i governi ricorrano al disavanzo per finanziare le guerre? Sì, per due motivi: 1. motivo di natura redistributiva il disavanzo è un modo di distribuire parte dell’onere della guerra alle generazioni future; 2. motivo di natura economica (non solo in caso di guerre, ma anche catastrofi naturali) il disavanzo consente di ridurre le distorsioni fiscali. Vincoli politici e fiscali Definire un insieme di regole che limitino i disavanzi o il debito: sono sicuramente più flessibili rispetto alle condizioni di bilancio in pareggio, ma potrebbero non esserlo sufficientemente nel caso in cui l’economia fosse colpita da shock particolarmente duri. Regole di spesa (come nel Regno Unito e negli Stati Uniti), anziché di disavanzo, hanno un’importante implicazione: permettono, durante una recessione, di avere un aumento del disavanzo anche senza che si verifichi un aumento di spesa.