SOMMARIO Palazzo Serra di Cassano, crocevia della cultura europea Via Monte di Dio è ubicata sulla ne della balaustra delle scale ed il biancore dei muri e collina di Pizzofalcone, non lon- dei fregi. Le scale, in genere, portano ai piani; mentre tana dai luoghi dove, secondo la in questo edificio portano soltanto al piano nobile, leggenda, il corpo della sirena abitazione dei padroni di casa. (Nel grande fabbricato Partenope, che si uccise per amo- c’è un altro cortile con altre scale.) re di Ulisse, fu spinto dai flutti Fino al 1799 l’entrata del Palazzo era in via Egiziaca: sugli scogli: qui ci furono i primi in quell’anno, in segno di lutto, il portone fu chiuso né di insediamenti di Partenope che mai più fu riaperto per la ragione che vi passò, per Rosario Assunto poi divenne Neapolis e poi Na- l’ultima volta, il figlio del Duca, Gennaro Serra di poli. E’ una strada in salita, lar- Cassano. Giovane, di formazione illuministica ed uno ga, dove quasi allineati, vi sono edifici del ‘700 e dell’ ‘800 dei capi della rivoluzione napoletana contro i Borbotra cui spicca per la sua nobiltà il grandioso palazzo dei ni, fu arrestato per ordine di Ferdinando IV e poi Duchi Serra di Cassano, famiglia di origine genovese, giustiziato in piazza del Mercato. trapiantata a Napoli nel ‘600. Il Palazzo Serra di Cassano dopo la seconda guerra Quando si parla di “riuso” di abitazioni storiche, il mondiale fu restaurato, ma la decorazione originale è pensiero corre subito a questo palazzo, perché abitazione stata rispettata e conservata nella sua grazia e bellezza. per secoli della nobile famiglia, è ora sede dell’Istituto La parte architettonica è legata al nome di Ferdinando Italiano per gli Studi Filosofici, voluto dall’avv. Gerardo Sanfelice e gli affreschi e le decorazioni sono legate al Marotta, che ne è il Presinome di Giacinto Diano, dente. Il prestigioso Istituche raggiunse il meglio di to è noto in tutta Europa ed sé illustrando la grande anche negli Stati Uniti persala settecentesca con la ché in collegamento interstoria di Scipione l’Afrinazionale con studiosi, per cano. ricerca, studi, seminari. L’Istituto Italiano per gli Nel 1983 il Ministero per Studi Filosofici, otteneni Beni Culturali ed Amdo Palazzo Serra di Casbientali acquisiva al pasano, ha potuto sviluppatrimonio dello Stato il setre in una sede di prestitecentesco palazzo Serra gioso decoro e funzionadi Cassano e lo destinava lità la sua vita. Nello stesin uso all’Istituto Italiano so tempo, nel ricco patriper gli Studi Filosofici. monio artistico storico naIl Palazzo Serra, costruito poletano, veniva così renel XVIII secolo dall’arcuperato ad una alta funchitetto Ferdinando Sanzione culturale un notefelice, è uno degli esempi volissimo insieme archipiù interessanti dell’architettonico quale il Palazzo tettura urbana di queldi cui sopra. l’epoca in Napoli, ed uno Da dimora, un tempo scodei migliori lavori del prenosciuta a molti, è ora stigioso architetto. aperta agli studiosi (alcuIl Palazzo è sito tra due ni insigniti del premio strade. A piano terra un Nobel sono stati e sono lungo passaggio attraverospiti dell’Istituto) e di sa tutto l’edificio, mettenuna gran parte della cittado in comunicazione le dinanza. Essa è crocevia due entrate, quella, che era della cultura europea. Palazzo Serra di Cassano (scalone d'ingresso) la principale, in via EgiL’Istituto, al suo meritosede dell'Istituto Italiano per gli studi filosofici ziaca, e quella in via Monrio scopo di studio aggiunte di Dio, che ora è l’unico ge quello di “riusare” un ingresso. E’ interessante notare come tra le due strade bellissimo edificio storico quale appunto Palazzo Serparallele vi sia un forte dislivello e la tecnica artistica ra di Cassano, essendone, di fatto, il “conservatore”. del Sanfelice abbia fatto in modo che non si creassero sbalzi in un tutto armonico. Famoso e bellissimo è lo scalone cui si accede da uno scenografico cortile ottagonale dove si nota, oltre la In omaggio a Rosario Assunto, recentemente scomparso, bellissima architettura, un gioco, se così si può chia- presentiamo qui, in luogo dell'editoriale, mare, di luce, risultante dal grigio scuro del piperno un suo breve scritto dedicato a Palazzo Serra di Cassano, cui fanno riscontro i toni chiari delle bianche colonni- sede dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. 2 SOMMARIO 15 PROFILO 48 Althusser su Freud e Lacan 15 Ricordo di Rosario Assunto 50 Verità e retorica nella ricerca scientifica 10 SCHEDA 50 Hegeliana 10 Pontificia Università Gregoriana 52 Attualità di Schopenhauer 53 Lutero, riformatore del servo arbitrio 13 CONFERENZA 54 Le ‘Opere’ di Epicuro 13 Il senso delle parole: il Postmoderno come parte del Moderno 54 Plutarco politico 56 NOTIZIARIO 17 AUTORI E IDEE 17 Tempo e cesure del pensiero: Patrice Loraux. 59 CONVEGNI E SEMINARI 17 Il determinismo di Honderich 59 Spinoza per tutti 19 Incontri con Heidegger 60 Umanismo e modernità in Germania 20 “Sulle Idee” di Aristotele 61 Ideologie della guerra nel Novecento 21 In ricordo di Paul K. Feyerabend 62 L’idea di persona 22 Tocqueville e gli Stati Uniti 64 Ethos e Gheometria 23 Ernst Tugendhat: lezioni di etica 64 In memoria di Jerzy Giedymin 23 La mente non è un computer 25 Il sano e il malsano 65 Interpretazioni ed utopie della società industriale 26 Scienza paradossale? 65 Ragione e ‘Sacre Scritture’ 26 L’evoluzione storica dell’etica 66 Sociologia del tempo 27 Le costanti dell’essere 66 Antropologia filosofica del Novecento 68 L’impersonale 29 TENDENZE E DIBATTITI 69 Rosmini, filosofo del cuore? 29 Filosofia della scrittura 69 Filosofia e religione in Pareyson 30 Il mito e le sue mitologie 70 CALENDARIO 32 Rinascita di Bachtin in Russia 33 Retorica e/o filosofia 34 Dio è morto? 73 DIDATTICA 35 Heidegger in America 73 Didattica della filosofia 36 La coscienza e le sue “funzioni” 73 Storia della filosofia al computer 38 Ebraismo dopo Auschwitz 77 STUDIO 40 Primo piano: Su carta o in floppy disk? I filosofi in formato elettronico 77 Le ‘Meditationes’ di Descartes 77 Prospettive di ermeneutica universale 45 PROSPETTIVE DI RICERCA 79 RASSEGNA DELLE RIVISTE 45 Opere complete di Georg Simmel 47 Morale e pregiudizi 87 NOVITÀ IN LIBRERIA 47 Agostino e il problema del tempo 3 PROFILO Rosario Assunto 4 PROFILO Quando nel 1988 Rosario Assunto concluse all’Istituto fondamentale. Assunto parte dal Kant “vero” della CriItaliano per gli Studi Filosofici di Napoli il suo seminario tica del giudizio: il finito si congiunge all’infinito attrasu “Ipotesi per un estetismo speculativo”, presentammo verso la contemplazione, il «mondo come rappresentainsieme nella sede dell’Istituto il suo volume, fresco di zione e il mondo oggetto di contemplazione». Fichte stampa, Ontologia e teleologia del giardino. Avevo supera i concetti kantiani e formula l’ “immaginazione conosciuto Assunto un anno prima, durante un convegno creatrice” che porta, come elaborazione dell’idealismo, sul tema: “Il giardino: idea, natura, realtà”. Esordivo nel alla bellezza come predicato assoluto. La bellezza è campo del “giardino” con tesi differenti da quelle “ede- identica a se stessa e si diffonde nelle molteplici cose niche” che fondavano la sua teoria; tesi poi in parte belle. Quindi nel giardino come bellezza finita vediamo contenute in Il giardino e l’esteta, che avrebbe dovuto la “scintilla” della bellezza infinita. Assunto propone essere la postfazione “critica” al suo libro, ma che Rosa- l’etica della contemplatività come alternativa all’edonirio Assunto volle come introduzione. Da allora, nono- smo contemporaneo. E pone al centro del nostro interrostante l’età e le nostre due Weltanschauugen differenti, gare speculativo la categoria estetica come soluzione alla nacque un’amicizia e una stima reciproche, cementate bruttezza del mondo, alla distruzione dei giardini e, dal comune interesse per il paesaggio. L’amicizia ci ha aggiungerei, del “giardino” come bellezza del mondo che permesso di dialogare - a me di imparare molto - fino ha sostituito l’utile al bene e al bello. E’ la coscienza del all’ultimo, quando ci salutammo pochi attimi prima che potere di distruzione concentrato nelle mani dell’uomo Rosario ci lasciasse, silenziosamente, dopo lunga malat- contemporaneo, devastatore del suo mondo. tia, con la pesante eredità L’estetica come bellezza e della salvaguardia del pala metafisica quale armotrimonio ambientale. Ho nia, identità del diverso e avuto sempre di fronte il unità del molteplice (si leggentiluomo che affermava: ga anche il paesaggio) con«un uomo pensante esiste fluiscono nel bene come in quanto viene criticato; coincidenza kantiana di fese non viene criticato dilicità e virtù, godimento venta una specie di santone della bellezza. Si tratta dele non è più niente; invece, la bellezza assoluta che si essere criticato significa riflette con contrasti e limirivedere quello che si pentazioni nelle bellezze del sa e, quindi, in qualche mondo, il godimento del di Massimo Venturi Ferriolo modo ricevere un poco delquale, come affermato da con la giovinezza di quelli che Hegel, Hölderlin e parlano e criticano». Schelling, “autori” del un testo inedito di Rosario Assunto “Bellezza assoluta” e “inframmento Da älteste Syfinita contemplazione” stemprogramm des deutsono concetti fondanti il schen Idealismus, che per pensiero dell’ “ultimo dei Assunto ha costituito il viaRomantici”. E’ una specutico della sua etica “conlazione sui generis, evidentemplativa”, è l’unica felia cura di Riccardo Ruschi te in queste pagine inedite, cità raggiungibile dall’uotratte dal testo del suo seminario su “Ipotesi per un mo, che s’identifica nell’amore come unità del moltepliestetismo speculativo”, che vengono qui presentate a ce, identità del diverso, infinitizzazione del finito, cioè cura di Riccardo Ruschi, costituenti la summa teorica di armonia assoluta, ora fuori dal tempo e negante l’atempotutta una vita. Rileggo il suo messaggio in Pensare il ralità del giardino, fondamento della sua teoria estetica giardino (Guerini e Associati, Milano 1992) - impossi- “edenica”: l’immagine dell’Eden come giardino archetibilitato già, in quell’anno 1991, ad intervenire di persona pale bello e utile che poggia sul mito sovratemporale. E’ al simposio di Salerno a causa della malattia che aveva “l’evento ideale” «che mai avvenne nella sua fattualità, incominciato a consumare il suo fisico - dove è riassunto ma identico a se stesso e in sé ogni volta diverso, da il suo ideale di bellezza nel giardino: «...non è possibile sempre accade e sempre si rinnova come ragion suffioccuparsi del giardino se non ci si occupa del paesaggio, ciente di ciò che avviene nel tempo», che fonda la “realtà” che a sua volta altro non è se non la natura considerata dei giardini, oggi in via di distruzione. sotto l’aspetto di quella bellezza che il giardino in quanto A partire da questa constatazione, la speculazione di opera d’arte si propone di realizzare in un fare che nella Assunto segue una distintiva visione della vita così contemplazione ha, plotinianamente, la propria ragion schematizzabile: da questo luogo silenzioso, cioè il giard’essere e il proprio scopo; e perciò è un fare assoluto, dino in senso pieno, saremmo esclusi ogniqualvolta anquello del quale ogni altro fare deve partecipare se vuol teponiamo i nostri aridi interessi di consumatori. La riscattare se stesso al di sopra della meschina immediata moderna società tecnologica e industriale avrebbe decreutilità, o della volgarità di un godimento edonisticamen- tato la morte del giardino. L’estetica viene opposta alte inteso, che si esaurisce nella finitezza». l’utilitarismo, perché è godimento disinteressato, in quanto La bellezza non si ricerca nel finito della vita, ma è idea non sfrutta, ma si oppone al consumo interessato. E’ vita Ricordo di Rosario Assunto 5 PROFILO legata alla contemplazione, “conservazione”, presenza infinita della nostra storia, valore teleologico. L’estetismo speculativo viene da Assunto innalzato a ontologia, a filosofia dell’essere che giustifica lo stesso giardino, teoria forse difficile da condividere in toto, che formula un’idea unica universale di giardino. Si basa sulla interazione tra Soggetto e Oggetto, dove la “Teoria del Giardino” trova la propria realtà. Ecco «il configurarsi della relazione Uomo-Natura come modalità della relazione Soggetto-Oggetto nel suo momento più alto e definitivo...». In un siffatto rapporto l’Oggetto si soggettivizza e il Soggetto si riconosce nell’oggetto e vi si compenetra: arriviamo alla oggettivazione dello spirito umano, a esprimere la Natura. Va così da sé la definizione “finalistica” del giardino come luogo destinato a vivere la contemplazione, del giardino come opera d’arte, luogo dove etica ed estetica si congiungono. La lezione di Assunto c’invita a riflettere e a ridiscutere il tema con la mente rivolta alla salvezza dei giardini e dei loro contenuti. Essa può essere non condivisa per la sua radicalità, ma rimane comunque un punto fermo dal quale partire e con cui fare i conti. Questo severo censore dei nostri “consumi” denunzia la scomparsa di ogni antico ideale di natura e rappresenta un’idea del giardino volta a dare alto significato al fare artistico. E dai presupposti di un pensiero unico nel suo genere riprendiamo il nostro cammino, sviluppando la coscienza etica della bellezza come bene raggiunto dalla contemplazione quale azione, pienezza di attività. A partire di qui possiamo fondare un’etica per il paesaggio adeguata ai problemi del mondo contemporaneo, dove ancora «l’uomo, il quale contemplandosi nella Natura modellata come sua propria espressione, in essa riconosce la presenza reale e totale della propria infinita ed eterna Soggettività». Ipotesi per un estetismo speculativo Se qualcuno mi domanda che cos’è il bello devo rispondere che il bello, come bellezza, è il bello; la bellezza è il bello, identità di soggetto e predicato, quindi, tautologia. Tautologia dalla di Rosario Assunto quale si può uscire soltanto predicando di altro quello che nel giudizio tautologico è soggetto identico a se stesso. Ma di quale altro possiamo predicarlo senza venire meno alla sua assolutezza? Non possiamo predicarlo delle cose finite, dei particolari, dell’esperienza, perché in quel caso diventa bellezza ora di una cosa, ora di un’altra, che una volta è bella, una volta è brutta. Ecco, allora, che uscire dalla tautologia per cui la bellezza è la bellezza, è possibile solo predicando la bellezza di altre categorie, o anche, dato che il giudizio è convertibile, facendo di altre categorie un predicato della bellezza. Se ora diciamo che il bello è il bene, che il bene è il bello, soggetto e predicato non coincidono più, anche se siamo sempre nella zona dell’assolutamente a-priori, anteriore all’esperienza, poiché una categoria fà da soggetto e un’altra fà da predicato e dunque restiamo sempre nell’immanenza assoluta che non consente, senza contraddirsi, di pensare a una sovrastoricità delle categorie; e in tanto la storicità delle categorie è pensabile, in quanto le categorie sono volta per volta tra di loro soggetto e predicato. Se l’unità del vero e del bene è la bellezza, il bene pensato in sé e per sé, il bene assoluto - un bene che non ha di fronte a sé una mancanza di bene come oggetto di desiderio che si vuole raggiungere, come fine, ma il bene nella sua scioltezza di cui sono buone tutte le buone azioni - è un bene che è oggetto di contemplazione in quanto noi lo contempliamo come bene e godiamo di questa contemplazione del bene. La stessa cosa si può dire della verità; cerchiamo la verità, perché ci manca e la cerchiamo continuamente. Ma se pensiamo alla verità come piena di se stessa, pensiamo a una verità che non è oggetto di ricerca, ma a una verità che è la verità, tautologica, come la bellezza è la bellezza. Se diciamo, invece, che la verità è bella perché oggetto di contemplazione, la bellezza in quanto predicabile del bello e del vero congiunge queste due categorie; il bello è vero; il vero è bello, perché bello e vero sono oggetti di contemplazione. Se allora diciamo che la verità assoluta nella sua assolutezza è bene, il bene nella sua assolutezza è bello, il bello nella sua assolutezza è bene, pensiamo nella loro assolutezza, il bene, il bello e la verità come tre categorie, ciascuna identica a se stessa, che, per uscire dalla tautologia, si predicano l’una dell’altra, divenendo nello stesso tempo soggetto e predicato tra di loro. Ricompare qui il famoso circolo crociano, che, riferito all’esperienza, è un movimento a spirale; sale al di sopra dell’esperienza e raggiunge questa assolutezza. A questo punto però, in quanto queste categorie sono soggetto e predicato l’una all’altra nella loro purezza, nell’assoluta trascendentalità, dobbiamo pure dire che esse sono trascendenti rispetto all’esperienza, alla storia nella quale operano, a cui danno un senso e un valore, valore di bene, di verità, di esteticità. Trascendenza delle categorie significa che le categorie sono modalità dell’essere; l’estetismo speculativo, dovendo andare oltre l’empiria dell’esperienza, oltre la storicità, e dovendo al contempo fondare l’empiria della storicità, non può che essere un’ontologia, cioè una filosofia dell’essere. Una filosofia di quell’essere che non nega il divenire, ma lo fonda e lo concilia, nel senso che unifica la finitezza propria del divenire, dell’esperienza, dell’esistenza, della storia, con l’infinità del bene; finitezza come molteplicità e diversità che si concilia con l’unità e l’identità: identità delle categorie con se stesse, e diversità delle categorie non da se stesse, ma in se stesse. Ora, queste categorie sono categorie predicate, che sono a se stesse soggetto e predicato, e in quanto forme pure si predicano, nella loro trascendentalità, del soggetto puro trascendentale, del soggetto logico di giudizio. Così la bellezza che unisce la verità è bellezza dell’essere, il bene è volontà dell’essere, la verità è verità dell’essere, dove 6 PROFILO Jean-Honoré Fragonard, Mosca cieca (dettaglio), 1765 c. 7 PROFILO il soggetto di giudizio è l’essere pensato oggettivamente da un soggetto che lo pensa come essere; è cioè soggetto di giudizio estetico, etico, logico. Ora, l’essere, per rendersi pensante, deve duplicarsi in essere dell’oggetto, che è il soggetto del giudizio estetico, etico, logico, e in essere del soggetto giudicante. Infatti se dico che io, in quanto soggetto, giudico bello l’oggetto, la possibilità di questo giudizio è che io sono e l’oggetto è, cioè, che di me, come dell’oggetto, si può predicare l’essere. L’essere, dunque, si autoduplica in essere soggettivo e essere oggettivo, soggettività e oggettività. Questa autoduplicazione trascendentale dell’essere in sé è appunto ciò che rende possibile il costituirsi dell’esperienza, che è sempre esperienza che i soggetti puri, nei quali si pluralizza l’essere soggettivo, hanno degli oggetti plurimi, nei quali si pluralizza l’essere oggettivo. In questa pluralizzazione ha luogo il tralucere della bellezza nei soggetti, di quella bellezza pura e identica a se stessa nel molteplice variare dell’esperienza che è la bellezza del mondo. Dobbiamo chiederci però qual’è la categoria pura, assoluta, che può renderci consapevoli di questa originaria e, in quanto originaria, finale unità del soggetto e dell’oggetto, per cui il soggetto riconosce se stesso nell’oggetto e l’oggetto è un’oggettivazione del soggetto, come il soggetto una soggettivazione dell’oggetto; la categoria cioè che può renderci consapevoli dell’essere nella sua unità. La relazione originaria del soggetto e dell’oggetto come unità nel loro diversificarsi in soggetto e oggetto avviene con pienezza nell’unità del bene e del vero, dove il soggetto pensa l’oggetto come bene assoluto, e nel momento stesso in cui lo pensa come bene, sente l’istanza del perseguimento di questo bene che lui non è. La dualità diviene invece dualità assoluta nella contemplazione estetica, dove ha luogo la più assoluta immedesimazione di soggetto e oggetto; e questo lo vediamo interrogando noi stessi sul modo in cui il particolarizzarsi, il finitizzarsi, l’empiricizzarsi di questa unità originaria di soggetto e oggetto si verifica nella finitezza del mondo dell’esperienza, cioè, interrogandoci sul modo in cui il rapporto soggetto-oggetto ha luogo nelle varie modalità della nostra esperienza estetica. Con ciò parliamo dell’esperienza estetica autofinalizzata, che è quella dell’opera d’arte, come dell’esperienza estetica inerente ad altri aspetti dell’esperienza, che è quella dell’esperienza estetica della natura, dell’esperienza estetica della vita, dell’azione, e così via. Nell’esperienza estetica c’è un soggetto che gode dell’esteticità. Nell’esperienza dell’opera d’arte l’oggetto sta lì, di fronte a me, come oggetto visto; ma può anche starmi di fronte come suoni che mi avvolgono nello spazio, e il piacere che provo nel contemplare, o nell’ascoltare, o nel leggere, è tale che mi trasformo in qualche modo nell’oggetto, e l’oggetto a sua volta si immedesima in me, come se nascesse da me, come se fossi io a crearlo; avviene cioè una soggettivazione in me dell’oggetto e un’oggettivazione di me, come soggetto, nell’oggetto, un’unità di godimento contemplativo che è pienezza di attività. In questo identificarci in qualche modo con l’oggetto noi proiettiamo la nostra soggettività nell’oggetto, secondo un movimento di andare e venire. Un po’ come avviene nella respirazione, dove respirare è introdurre in sé l’aria ed emetterla; ma emettendo l’aria che abbiamo respirata, emettiamo qualche cosa di noi e tutto avviene secondo un ritmo. Questa esteticità del ritmo biologico non è fondazione biologica dell’estetica, ma fondazione estetica della vita, della biologia, nel senso che la vita, in quanto vita consapevole di sé nella propria pienezza di essere, e anche nella propria drammaticità, nelle proprie lacerazioni, è vita estetica: vita che ha una fondazione, appunto, in questa autocontemplatività; vita che sa se stessa, contemplandosi come unità di soggetto e oggetto. Il risultato di una certa importanza a cui siamo fin qui pervenuti è che l’esteticità, in quanto esteticità ontologica, in quanto predicato assoluto, è unità, la sola unità che conservi la dualità del soggetto e dell’oggetto, senza negarla. Questa unità del soggetto e dell’oggetto, ora, si moltiplica e si divaria negli innumerevoli atti di esperienza che realizzano, rendono immanente quella tale unità categoriale sovramondana, trascendente; e al contempo rendono trascendente anche ciò che è immanente in noi, sollevandoci sopra la nostra finitezza di tempo. Il tempo ci è presente, ora, come moltiplicazione e diversificazione dell’originaria e fondante unità di soggetto e oggetto nella molteplice varietà dei soggetti empirici degli oggetti empirici. Così, quando percepiamo l’unità del soggetto e dell’oggetto nel godimento estetico, che è contemplazione in quanto pienezza di azione, ci sentiamo al di sopra del tempo, cioè, ci sentiamo in un presente assoluto. La bellezza, è questa presenza assoluta. Nel presente del puro godimento estetico non abbiamo un fine al quale quel godimento sia scopo; lo scopo è in se stesso, nel senso che vi è una presenza, una presenza che comincia in se stessa e finisce in se stessa, una presenza assoluta, appunto. Possiamo dire, allora, che l’esteticità è la dimensione temporale dell’essere come presenza assoluta, dove presenza assoluta significa anche presenza inglobante in sé il passato e il futuro. Così quando diciamo che l’esteticità non è mezzo per raggiungere uno scopo, ma è autofinalistica, diciamo che l’esteticità è un presente che ha in sé il proprio futuro, un futuro che è già presente. E avendo in sé il proprio futuro è principio, ragione, causa di se stessa. In quanto, poi, presenza assoluta che ha in sé il suo assoluto e il suo passato, l’esteticità è presenza nutrita di memoria, dove memoria non è una presenza reale, ma una presenza estetica. Nella nostra vita la memoria, che può essere nostalgia, rammarico, rimorso, dolore, rimpianto, è memoria di un passato e presenza di un passato soltanto rappresentato, rievocato. L’opera d’arte, qualunque essa sia, ha il suo passato dentro di sé, tutto raccolto nel presente; ciò costituisce la memoria interna all’opera d’arte. Una memoria che l’opera ha in sé, anche quando assume come proprio soggetto la memoria, come nel romanzo di Proust, che comincia con un avverbio di tempo che comprende la parola tempo, «Longtemps je me suis couché de bonne heure», e finisce «dans le temps», per lungo tempo nel tempo. Se, poi, facciamo qui attenzione ai valori fonetici delle parole, la presenza della nasale che precede il tempo nell’avverbio “longtemps” e la presenza delle iniziali “dans le temps”, 8 PROFILO mostrano un’affinità di suono fra la prima e l’ultima frase che dà un senso alla musicalità che corre per tutta l’opera e che, poi, molto spesso diventa una melodia infinita di tipo wagneriano. L’unificazione del soggetto e dell’oggetto in un presente assoluto, che è anche presenza del passato, come memoria interna dell’opera d’arte nella vita esterna, e presenza del futuro, come aspettazione interna formale dell’opera d’arte nella vita esterna, non è che un tralucere, appunto, di quell’assoluta presenza che nell’essere in sé, cioè, nell’unità delle categorie come unità assoluta di soggetto e oggetto fondante l’unità dei soggetti e degli oggetti dispersi nel tempo, è anche unità delle categorie della bellezza, della verità, del bene, come unità assoluta. La bellezza è la presenza dell’essere, quindi è presenza del passato, presenza assoluta; la bellezza è la presenza del passato, quindi, nella vita, è memoria esterna, memoria che viviamo. Per questo la perdita di memoria storica, che è anche memoria individuale, è un altro aspetto della disestetizzazione del mondo contemporaneo. Ma la bellezza è anche il bene, il bene totalmente raggiunto, dove il bene è il futuro, è la “futurità”, se così possiamo dire, dell’essere, poiché il bene è un fine al quale tendiamo, è un valore che deve essere realizzato, quindi, è futuro. Qui l’essere in sé è il futuro già tutto presente come oggetto di contemplazione, è presenza assoluta. La bellezza, in quanto presenza assoluta, è presenza totale del futuro, presenza totale del passato nella totalità del presente, che è anche presenza della molteplicità varia del futuro e del passato nell’unità assoluta. Unità assoluta che è identità quando affermiamo che il bene è il vero, il bene è il bello, il vero è l’unità del bene e del bello, poiché proclamiamo giudizi di identificazione della diversità della categoria, quindi di identità anche nel diverso, di unità del molteplice. Quello che cerchiamo nell’esperienza è, appunto, questa unità del molteplice, in quanto, però, molteplicità dell’uno; come bellezza, il valore del molteplice è appunto quello di essere molteplicità di quell’uno assoluto che è presenza assoluta, per cui una presenza è bella perché l’unità del molteplice ha un valore per se stessa, come molteplicità dell’uno. L’identità dell’uomo consiste nell’essere diverso da tutti gli altri uomini e in tanto possiamo dirci uguali agli altri, in quanto siamo diversi; ma ognuno di noi è anche diverso da se stesso perché è fatto di passato, di presente e di futuro, di assenze: nella vita il passato è un’assenza, a cui la memoria cerca di rimediare esteticamente, evocando, rendendo presente l’assente. Tutto questo non è che un riflettere quell’assoluta presenza in cui la bellezza è presenza assoluta di tutto il passato, e anche presenza assoluta di tutto il futuro, quindi, presenza assoluta del bene, in quanto futuro desiderato. In questa totalità presente tutto è bello, e l’unità non nega la molteplicità, ma in quanto presenza assoluta la conferma; e la conferma proprio come assolutezza del molteplice. Questo è l’arte. Dire che con ciò siamo arrivati a una conclusione sarebbe ridicolo e goffo. Mi contenterò di dire, più modestamente, che con ciò ho cercato di esporre il risultato di ricerche di quasi mezzo secolo, meditazioni, letture, ascolti, esperienze, cercando di raggiungere delle conclusioni; sarebbe però altrettanto ridicolo e goffo dire che con ciò mi ritengo soddisfatto. Spero solo che ognuno, pensando a queste cose per conto suo, possa arrivare anche più lontano; arriva il momento in cui uno dice: «amici miei, io qui sono arrivato; adesso camminate con le vostre gambe, in questo caso pensate con la vostra testa, certamente arriverete più lontano di dove sono arrivato io». Nota biografica Rosario Assunto è scomparso a Roma il 24 gennaio 1994. Nato a Caltanisetta il 28 marzo 1915, è stato ordinario di Estetica presso l’Università di Urbino dal 1956 al 1981, quando fu chiamato a ricoprire la Cattedra di Storia della Filosofia Italiana presso la Facoltà di Magistero dell’Università di Roma “La Sapienza” (ora III Università di Roma). Socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei, Socio dell’Arcadia, dell’Accademia di San Luca, dell’Accademia Olimpica Vicentina, ha lasciato studi di storia e di teoria dell’estetica d’importanza internazionale, grazie anche alle traduzioni. Tra queste ricordiamo: Estetica dell’identità. Lettura della “Filosofia dell’arte” di Schelling (STEU, Urbino 1962); Stagioni e ragioni nell’estetica del Settecento (Mursia, Milano 1973; trad. spagnola, Visor, Madrid 1990); Infinita contemplazione (SEN, Napoli 1979; trad. rumena, Meridiane, Bucarest 1988); La parola anteriore come parola ulteriore (Il Mulino, Bologna 1984). Il suo libro Die Theorie des Schönen im Mittelater (La teoria del bello nel Medioevo, Dumont, Köln 1963; 2ª ed. 1981) è stato tradotto in lingua serba nel 1975 ed è ancora richiesto in Germania dove è reperibile in edizione economica. Per l’editore Laterza ha curato le seguenti opere di Immanuele Kant: Scritti precritici (nuova ed. 1982); Prolegomeni ad ogni futura metafisica (nuova ed. 1979) e Fondazione della metafisica dei costumi (1980). I suoi studi più originali e significativi riguardano il paesaggio e il giardino, per i quali - unitamente alla sua “battaglia d’idee” - ha ricevuto il premio internazionale Carlo Scarpa della Fondazione Benetton per l’anno 1991. Dei suoi contributi sul tema ambientale ricordiamo: Il paesaggio e l’estetica (1973; rist. Novecento, Palermo 1994; trad. rumena, Meridiane, Bucarest 1986); Filosofia del giardino e filosofia nel giardino (Bulzoni, Roma 1980); La città di Anfione e la città di Prometeo (Jaca Book, Milano 1984; tr. rumena Meridiane, Bu9 carest 1988); Il parterre e i ghiacciai (Novecento, Palermo 1984); Ontologia e teleologia del giardino (Guerini Studio, Milano 1990); Giardini e rimpatrio (Newton Compton, Roma 1991). È stato Presidente dell’apposita Commissione per la Tutela dei Giardini Storici del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali, nonché Presidente Onorario della sezione “Paesaggio e Giardino” della Fondazione Benetton. Per una bibliografia completa e aggiornata delle sue opere, con la supervisione dell’autore, si veda il “Bollettino della Fondazione Benetton” (n. 2, 1992, pp.18-23). SCHEDA Il “Collegio Romano” - così si chiamava in origine fenomenologo Paolo Valori, lo studioso del marxismo l’Università Gregoriana - fu fondato da Sant’Ignazio nel Gustav Wetter, il patrologo Antonio Orbe, lo storico 1551; in una celebre lettera il grande Santo ne delineava Vincenzo Monachino, lo psicologo Luigi Rulla e il “lesil fine (diffondere la «sana dottrina, tanto dei cristiani, sicologo” Roberto Busa, iniziatore dell’informatica linquanto dei pagani»), l’accurato metodo pedagogico («dan- guistica. Rettore dell’Università è attualmente Giuseppe do ordine all’esercizio») e la forma («generale», ossia Pittau, che ha diretto per numerosi anni la prestigiosa universale e internazionale). Nel corso dei secoli questi «Sophia University» di Tokyo. tre elementi sono rimasti pressoché costanti, pur nel All’interno della Università Gregoriana, la facoltà di mutamento della sede (quella antica fu requisita dopo Filosofia conta quasi quattrocento studenti, una dozzina l’ingresso dei Savoia a Roma nel 1870), delle modalità di docenti stabili, una ventina di docenti incaricati o d’insegnamento e dei tempi. invitati e sette assistenti. La facoltà è organizzata in tre La Pontificia Università Gregoriana è retta dai Gesuiti cicli per il conseguimento del baccellierato, della licenza e, benché situata nel centro di Roma, non è una università e del dottorato; il suo ordinamento ricorda un po’ quello italiana (in quanto dipende direttamente dalla Santa anglosassone (corsi prescritti, corsi opzionali, seminari, Sede), ed ha perciò un ordinamento peculiare e una crediti, elaborati...), e presenta, nei confronti soprattutto fisionomia abbastanza caratteristica. Accanto alle disci- dei dipartimenti italiani di Filosofia, alcune note caratpline teologiche vi si studiano anche Filosofia, Storia, teristiche. La prima peculiarità è di carattere didattico; Scienze Sociali, Psicologia e Comunicazioni Sociali; tra vige un’impostazione maggiormente scolastica: più esai suoi circa trecento docenmi, ma di mole ridotta; seti e oltre tremila studenti vi mestralizzazione dei corsi; I luoghi della filosofia sono chierici, religiosi e piano di studi strutturato e laici (ed anche qualche non obbligatorio almeno nel cristiano), uomini e donne, primo ciclo, in cui, a diffedi quasi tutte le parti del renza del secondo ciclo, i mondo (e comunque per la corsi istituzionali prevalgomaggior parte non italiano su quelli monografici; ni). Proprio per questo suo frequenza obbligatoria delcarattere internazionale le lezioni, di cui sono prel’Università Gregoriana si viste sempre le dispense;... è guadagnata l’appellativo Conseguentemente, una di “Collegio delle Nazioni”. particolare attenzione è ri“Collegio delle Nazioni” Dopo quattro secoli di prevolta alla formazione medominio del latino, attualtodologica e all’esercizio al servizio della cultura e del metodo mente è l’italiano la “linguidato, grazie al contatto gua franca” che permette a diretto con i docenti e ai docenti e studenti di tutte le seminari in piccoli gruppi nazioni di comunicare fra di studenti (che vi hanno loro. Così, grazie all’opera parte attiva). della Università GregoriaLa seconda peculiarità è di na (come pure delle altre carattere contenutistico. di Andrea Di Maio università pontificie romaMentre ad esempio nelle ne), la lingua e la cultura italiana vengono trasmesse ogni università italiane la filosofia si studia per lo più in chiave anno a migliaia di giovani di tutto il mondo, destinati a storico-filosofica, all’Università Gregoriana prevale l’imdiventare “leaders” nella Chiesa del loro paese. Dispiace postazione sistematica (senza escludere l’altra). Accanto perciò che proprio l’Italia (a differenza della maggior agli insegnamenti fondamentali di filosofia della conoparte dei paesi del mondo) di fatto non riconosca ancora scenza, cosmologia filosofica, antropologia filosofica, i titoli di studio di questa Università, nonostante da ben filosofia morale, metafisica, teologia filosofica (che codieci anni il Parlamento italiano, approvando il nuovo stituiscono l’ “ossatura” sistematica del primo e del Concordato, si sia affermativamente pronunciato in pro- secondo ciclo), vengono impartiti stabilmente anche gli posito. In generale, dobbiamo però riconoscere che se in insegnamenti (prescritti od opzionali, a seconda dei casi) passato, tra università italiane e università pontificie, vi di logica, filosofia della cultura, fenomenologia della era una reciproca indifferenza (se non addirittura diffi- religione, filosofia della scienza, filosofia della religione, denza), ultimamente, invece, si notano alcune iniziative etica sociale, storia della filosofia (antica, patristica, di interazione. scolastica, moderna e contemporanea), filosofia del linIn continuità con una prestigiosa tradizione culturale, guaggio, semiotica e simbologia, antropologia scientifianche in tempi recenti hanno insegnato in Università ca, filosofia del diritto, filosofia cristiana, mentre altri Gregoriana personaggi di grande valore scientifico, noti possono essere attivati di anno in anno, grazie anche alla in Italia e all’estero, come il teologo e filosofo Bernard presenza di docenti invitati da altre università italiane o Lonergan, i filosofi Johannes Baptist Lotz e Joseph De straniere. Finance, il teologo Karl Rahner, lo storico della filosofia La terza peculiarità è di carattere istituzionale. Nelle Frederick Copleston, l’antropologo Vittorio Marcozzi, il università italiane il Dipartimento di Filosofia è inserito Pontificia Università Gregoriana 10 SCHEDA nella Facoltà di Lettere e Filosofia (perciò chi studia filosofia dà normalmente anche qualche esame in materie letterarie o storiche) e non ha accanto a sé una facoltà o un dipartimento di Teologia; viceversa, nell’Università Gregoriana (e nelle università pontificie in genere) la Facoltà di Filosofia si rapporta dialetticamente a quella di Teologia, il che riflette una diversa concezione e sistemazione del sapere. Decano della facoltà è Carlo Huber (studioso di filosofia trascendentale e di Wittgenstein). Tra i docenti della facoltà figurano Xavier Tilliette (studioso ben noto in Italia e all’estero), Salvino Biolo (segretario del Movimento di Gallarate, che raccoglie i filosofi italiani di ispirazione cattolica), Paul Gilbert (docente di Metafisica). Peter Henrici, per anni decano della facoltà, e profondo conoscitore di Blondel, è stato invece nominato l’anno scorso Vescovo ausiliare di Coira. Una particolare attenzione è riservata al pensiero della tradizione cristiana (Tommaso, Agostino, Dionigi, Anselmo, Bonaventura, Pascal, Rosmini, Kierkegaard, Blondel, Stein, Marcel...), ma anche ad altri pensatori come Kant (l’Università Gregoriana è stata in passato un centro del “tomismo trascendentale”) o Wittgenstein, senza tralasciare i più recenti orientamenti del dibattito filosofico (Ricoeur, Levinas, Quine, Rorty, Habermas, Derrida, la semiotica...) e i problemi del pluralismo culturale e della comunità civile. Accanto ai due fondamentali indirizzi di Filosofia sistematica e di Storia della filosofia, la facoltà offre anche dei curricula di specializzazione in Filosofia politica, in Filosofia cristiana e, prossimamente, in Filosofia della scienza. All’interno dell’Università Gregoriana ha sede inoltre un piccolo centro di studi, la Scuola di Lessicografia ed Ermeneutica tomistica computerizzata, fondata da padre Roberto Busa nel 1992 e sponsorizzata dall’Associazione per la Computerizzazione delle Analisi Ermeneutiche e Lessicologiche (CAEL). La Scuola possiede un proprio curriculum di studi, al cui termine viene rilasciato un Certificato di Specializzazione, e offre agli studenti dell’Università (in particolare a quelli di Filosofia e di Teologia) la possibilità di approfondire la conoscenza del lessico e dei testi patristici e scolastici, come pure di alcune moderne metodologie di analisi e interpretazione. L’ “ermeneutica testuale” è di fondamentale importanza per la filosofia, l’esegesi, la teologia, il diritto. Se infatti per interpretare un testo occorre al tempo stesso interpretarne il linguaggio, è necessaria a questo scopo la “lessicografia”, o arte di scrivere un lessico, ovvero di descrivere semanticamente il vocabolario di una lingua, di un testo o di un autore. Attualmente, grazie all’opera iniziata da padre Roberto Busa, la lessicografia e l’ermeneutica testuale ricevono un contributo decisivo dall’ “informatica linguistica”. In questo contesto, la Scuola di Lessicografia ed Ermeneutica cerca di perseguire questi intenti: -in quanto scuola di lessicografia, e in particolare scuola di lessicografia computerizzata (ossia caratterizzata dall’ausilio dell’informatica linguistica), intende promuovere la “metodologia lessicografica” e servirsene in funzione dell’ “ermeneutica testuale” e dello studio dell’ “ontologia generativa” del linguaggio; -in quanto scuola di ermeneutica testuale, è al servizio della storia della filosofia e della teologia, in vista anche di un’ulteriore speculazione (leggere un antico autore oggi significa infatti sforzarsi di capirlo e farlo capire, interpretando correttamente il suo linguaggio e traducendolo in maniera adeguata, ossia gettando un ponte fra la sua cultura e la nostra cultura); -in quanto scuola di ricerca tomistica, ma più in generale patristica e scolastica, è al servizio dello studio e della promozione del pensiero cristiano, in connessione con il Curriculum di specializzazione in Filosofia Cristiana; -in quanto scuola di ermeneutica e lessicografia (che, essendo arti, si debbono acquisire per scienza ed esperienza), si propone di fornire ai suoi studenti non solo un insegnamento teorico ma un addestramento pratico e un ambiente di ricerca interpersonale, interistituzionale (in collaborazione con centri di ricerca analoghi) ed anche interdisciplinare (fra le discipline come l’esegesi, la teologia, la filosofia, il diritto, che necessitano di un’ermeneutica e si avvalgono della lessicografia); -in quanto scuola inserita nell’Università Gregoriana fondata da Sant’Ignazio, si propone di insegnare a leggere «non multa sed multum», «dando ordine all’esercizio, che è la cosa più valida per rendere gli studenti davvero dotti», nella speranza che «la buona dottrina, tanto degli autori cristiani quanto degli autori pagani... si estenda anche al di fuori di essa». Per realizzare questi obiettivi, la Scuola di Lessicografia ed Ermeneutica offre (annualmente o periodicamente) all’Università le seguenti iniziative: -un corso istituzionale (alternativamente di “Introduzione all’Ermeneutica patristica e scolastica” e di “Introduzione alla Lessicografia patristica e scolastica”), che viene tenuto da un gruppo di specialisti e che prevede non solo lezioni teoriche, ma anche e soprattutto esercitazioni pratiche di analisi testuale e di utilizzazione di strumenti informatizzati (come i CD-rom delle opere di San Tommaso e dei Padri della Chiesa); -un corso monografico di “Lessicologia tomistica”, che esamina di volta in volta alcuni aspetti del vocabolario tommasiano (e le rispettive implicazioni concettuali e dottrinali); -un seminario specializzato (alternativamente di “Ermeneutica del testo medievale” e di “Lessicografia tomistica”); -giornate di studio e convegni pubblici, e in particolare il simposio “Lemmata Christianorum”, che, grazie alla collaborazione di numerosi ricercatori, studia di volta in volta alcuni dei principali vocaboli del lessico filosofico e teologico cristiano, specialmente quello latino medievale (come ad esempio «Quaestio»); -la direzione di ricerche (e dissertazioni) di carattere lessicografico in campo patristico e scolastico; -alcune borse di studio (messe a concorso) per studenti intenzionati a portare avanti una ricerca o una dissertazione di lessicografia tomistica. (Pontificia Università Gregoriana, Scuola di Lessicografia ed Ermeneutica, Piazza della Pilotta 4, I-00187 Roma; telefono 06-67011, fax 06-6701.5413). 11 CONFERENZA Odo Marquard (foto di M. Totaro) 12 CONFERENZA La storia filosofica del termine postmoder- storicità che sono anche i problemi di Hegel. no è la storia di un dibattito che prende Ma non solo il moderno e il postmoderno avvio nel 1979, quando viene pubblicato sono accomunati da questa malattia storiquel libretto molto fortunato di François ca. Un altro elemento, quello estetico, che Lyotard dal titolo: La condition post-mo- di solito si ascrive a caratteristica tipica del derne; poco tempo dopo, nel 1980, in una postmoderno - si pensi in particolare al famosa conferenza per il conferimento del modo in cui Habermas aveva parlato del “Premio Adorno”, Jürgen Habermas ri- postmoderno come di una trasformazione volge una critica molto dura, non specifica- estetica della storicità -, sembra fornire un tamente al libro di Lyotard, ma soprattutto resoconto alternativo del discorso filosofiagli architetti post-moderni. La critica solle- co della modernità, ponendo la questione vata da Habermas, ripresa in seguito anche dell’origine essenzialmente estetica della ne Il discorso filosofico della modernità modernità. Molto del dibattito attuale sul del 1985, consisteva nel dire che il po- Romanticismo, in Italia e all’estero, muove stmoderno rappresenta il venir meno dei infatti dal presupposto che il sorgere della grandi racconti di legittimazione del sape- modernità sia un “sorgere romantico”, che re nell’età moderna, dell’illuminismo, sa- si appoggia essenzialmente ad un orizzonte pere utile in quanto produce un progresso poetico ed estetico. sociale, dell’idealismo, sapere utile pro- Tra i problemi maggiori che condizionano prio in quanto inutile, cioè senza uno sco- l’attuale dibattito sul postmoderno, vi è, da po determinato, e come tale diretto verso una parte, una certa aspirazione del discorun’evoluzione assoluta e libera dell’uomo, e infine del marxiIn collaborazione con smo, che nella prospettiva di Goethe-Institut Mailand Lyotard si presentava un po’ Università degli Studi di Milano come la congiunzione di questi due discorsi. L’obiezione di Habermas era che non si poteva parlare di una fine del progetto moderno, ma bisognava piuttosto pensare al moderno come ad un progetto incompiuto; ciò rendeva l’origine del postmoderno un’origine estremamente accidentale e povera. Forse, un tratto comune tanto al di Odo Marquard discorso sul postmoderno, con quanto a quello sul moderno, lo un intervento di Gianni Vattimo si può rinvenire in una specie di ossessione storiografica, quella stessa che Nietzsche aveva riconosciuto già nella Seconda Inattuale e a cui aveva dato il nome di “malattia storica”. Di fatto per Lyotard, come per a cura di Maurizio Ferraris Habermas, l’esistenza di un singolo individuo, di un pensiero, di una realtà non vale di per se stessa, ma so postmoderno a porsi come post-filosofia trae senso dalla propria collocazione stori- o pensiero post-metafisico, nel senso di un ca. Detto questo, credo si possa pienamente superamento storico della filosofia o addiconvenire con quanto afferma Odo rittura di un superamento della filosofia Marquard riguardo al fatto che il po- attraverso una filosofia della storia, come è stmoderno rappresenta una parte del mo- appunto implicito nel discorso della postderno. I due termini, indubbiamente, si filosofia. Da un altro punto di vista, dobimplicano di continuo a vicenda in quanto biamo rilevare, invece, un certo richiamo modi diversi, e diversi fino a un certo escatologico presente nel prefisso “post”, punto, di rapportarsi a quella tipica malat- che conferisce al termine postmoderno un tia storica che costituisce il carattere pro- aspetto messianico, un’idea di cambiamenprio della modernità. E in effetti, se risalia- to, di trasformazione. Così, se da una parte, mo alle matrici filosofiche profonde di nel concetto di postmoderno, traspare una questo dibattito, scopriamo come questa certa debolezza logica per quanto riguarda malattia storica agisca tanto nel discorso il discorso della post-filosofia come supenietzscheano-heideggeriano, come origine ramento della filosofia attraverso la storia, del postmoderno, quanto nel discorso he- dall’altra, nell’aspetto messianico ed escageliano, come origine del moderno. Nella tologico permane la tensione verso un evenSeconda Inattuale, infatti, Nietzsche arriva to che trasformi la dimensione di attesa a condividere, in ordine alla malattia stori- richiamata da questo termine. ca, quegli stessi problemi di un pensiero Sullo sfondo di queste considerazioni, il 21 che si rapporta completamente alla storici- aprile 1993, per la serie “La filosofia in tà e che si vuole come compimento della Germania oggi”, organizzata dal Goethe- Institut di Milano in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, Odo Marquard ha tenuto una conferenza dal titolo: “Il senso delle parole. Il Postmoderno come parte del Moderno”, di cui presentiamo qui di seguito il testo. All’incontro hanno partecipato Gianni Vattimo e Maurizio Ferraris. Marquard è noto in Italia per il volume Apologia del caso (Mulino, Bologna 1991), curato e tradotto da Gianni Carchia, che presenta saggi tratti da due raccolte dell’autore, una che s’intitola appunto Apologia del caso, l’altra Congedo dai principi. È imminente la pubblicazione di un’altra opera di Marquard, sempre a cura di Carchia, dal titolo: Aesthetica und Anaesthetica, in cui Marquard parla lungamente della questione moderno e postmoderno. Il pensiero di Marquard si era tuttavia già imposto all’attenzione degli studiosi italiani con un saggio sull’imprescindibilità delle scienze dello spirito, apparso nel volume Filosofia ‘87 (Laterza, RomaBari 1988), curato da Gianni Vattimo, in cui Marquard proponeva un’apologia delle scienze dello spirito. In breve, le scienze dello spirito non verrebbero distrutte dalle scienze della natura, ma al contrario troverebbero la loro ragione nel trionfo stesso delle scienze della natura, che conduce necessariamente, per dirla con Habermas, a quella sorta di “colonizzazione del mondo della vita”, di inaridimento del mondo della vita, a cui si deve reagire con l’arte di ricreare rapporti con la tradizione. D’altro canto, già Hans-Georg Gadamer, in polemica con Habermas, spiegava che l’ermeneutica non è una dottrina oscurantista che si vuol legare alla tradizione, ma si fa ermeneutica proprio quando questa tradizione è interrotta. A partire da questi presupposti, la maggior parte dell’impegno teoretico di Marquard si è successivamente sviluppato nel senso di uno scetticismo come tentativo di far valere i diritti degli individui, ma non come diritti assoluti, in opposizione cioè a una certa filosofia dell’esistenza. Se l’esistenzialismo ha sempre rivendicato il singolo come assoluto in una dimensione tragica, il tentativo di Marquard è quello di rivendicare il singolo in una dimensione scettica. Questo elogio dello scetticismo, che è anche un elogio del politeismo, si espone tuttavia non di meno alla critica costante che si può fare al politeismo come all’individualismo: come possiamo, infatti, far valer al tempo stesso l’assolutezza dei diritti di un individuo con la convinzione complementare che questi diritti siano però ridotti e limitati. Alle tematiche proposte da Marquard nella Il senso delle parole: il Postmoderno come parte del Moderno 13 CONFERENZA sua conferenza ha risposto Gianni Vattimo, che gentilmente ha concesso di presentare qui una sintesi di questo suo intervento. A Vattimo si devono vari scritti concernenti la dialettica moderno/postmoderno. Un primo intervento molto interessante è quello contenuto in Avventure della differenza del 1979, che aveva come sottotitolo: Che cosa significa pensare dopo Nietzsche e Heidegger. In Nietzsche, più che in Heidegger, è possibile infatti trovare le premesse del postmoderno, a patto che si riesca non solo a leggere Nietzsche attraverso Heidegger, ma a leggere Heidegger attraverso Nietzsche: questa inversione dell’ordine storico è appunto il significato ermeneutico centrale dell’esegesi di Nietzsche e di Heidegger proposta da Vattimo, che arriva a individuare in Nietzsche una valenza emancipativa che manca in Heidegger. Una considerazione, questa, che ritorna in un altro scritto di Vattimo, Il soggetto e la maschera, del 1974, che aveva come sottotitolo: Nietzsche e il problema della liberazione. Nietzsche, infatti, è colui che più di ogni altro ha pensato a che cosa significhi emanciparsi non solo come volontà o liberazione rispetto alle Nella filosofia tedesca sembra che le cose oggi stiano in questo modo: vi sono sostenitori del Moderno, sostenitori del Postmoderno e poi ci sono io, dal momento che sono sostenitore sia del Moderno sia del Postmoderno. E come può essere? Nell’ambito di questa esposizione introduttiva, farò al riguardo tre rapidissime osservazioni: 1. Il Postmoderno non è il contrario del Moderno; 2. Il Postmoderno è una parte del Moderno; 3. Da dove viene il “post” del Postmoderno? nostre false credenze, ma anche come liberazione da tutto ciò che in noi vi è di simbolico. Tuttavia, anche dal punto di vista dell’emancipazione, restiamo comunque all’interno di una filosofia della storia molto potente e molto vincolante; di fatto, sia che la storia la si consideri emancipazione verso il meglio, verso la redenzione, sia che la si consideri emancipazione da quella barbarie che può essere la ragione, restiamo, in ogni caso, sempre all’interno dell’ossessione di essere sempre situati storicamente, propria del moderno come del postmoderno. Muller, posso essere considerato un nipote di Heidegger, di cui apprezzo in modo particolare la fenomenologia dell’ “essere-per-la-morte”. Tuttavia, rispetto a Vattimo, inclino verso un altro tipo di risposta (ma è da dimostrare se è davvero “altra”) che si presenta all’incirca come segue: il Postmoderno non è il contrario del Moderno, bensì una parte del Moderno. Con una formula approssimativa: Razionalizzazione + Postmoderno (compensante) = Moderno. Ma ciò deve essere spiegato. Odo Marquard Il Postmoderno è una parte del Moderno. Voglio riferirmi al seguente esito storico: nel mondo moderno i motivi “postmoderni” sorgono contemporaneamente a quelle modernizzazioni che sono le razionalizzazioni, sono coetanei. Vico è quasi contemporaneo di Descartes; Rousseau è contemporaneo di Turgot; Herder è quasi contemporaneo di Kant; Burckhardt è quasi contemporaneo di Marx. L’ermeneutica e le scienze dello spirito si sviluppano contemporaneamente alle rigide scienze della natura; l’estetica sorge contemporaneamente alla filosofia progressista della storia; lo storicismo individualizzante si impone contemporaneamente all’industrializzazione; la nostalgia per una natura inviolata, spinta fino alla sensibilità ecologica, nasce contemporaneamente alla artificializzazione tecnologica del mondo; e così via. Questa contemporaneità testimonia la coappartenenza che deve essere intesa come “compensazione” reciproca. Proprio perché il mondo moderno viene uniformato dalle razionalizzazioni, si arriva contemporaneamente come compensazione alla cultura della molteplicità, del variopinto e dell’individuale. Proprio perché nel mondo moderno sbocciano le universalizzazioni e i livellamenti, si giunge contemporaneamente come compensazione alla congiuntura di singolarità, particolarità e pluralizzazioni. Di solito sottolineo questa coappartenenza richiamando l’ “essereper-la-morte” dell’uomo. La nostra vita è breve. Per questo motivo, da una parte non possiamo aspettare la morte: non ce ne lascia il tempo; siamo condannati alla velocità. Contemporaneamente, d’altra parte, non possiamo raggiungere granché di nuovo: la morte non ce ne lascia il tempo; siamo condannati alla lentezza. Il mondo moderno radicalizza entrambe: velocità e lentezza. Non possiamo rinunciare a nessuna delle due, tutte e due fanno parte del mondo moderno: la velocità forzata del cambiamento e la cultura della lentezza, propria dell’uomo. E per questo che la mia filosofia della brevità della 2 Il Postmoderno non è il contrario del Moderno. È la paroletta “post” a spingermi a contrastare il concetto di “Postmoderno”. Non credo infatti che il motivo, affermato con buone ragioni dai sostenitori del Postmoderno, di venire “dopo” il Moderno, ne sancisca la fine e apra a una nuova epoca. Desidero menzionare alcune di queste ragioni, tra quelle che anche a me stanno a cuore. Per esempio: il pensiero ermeneutico ed estetico di contro al pensiero che vuole controllare; la ragione osservante di contro alla ragione del dominio; il senso del contingente di contro al senso dei principi; la pluralizzazione di contro dell’universalizzazione; e così via. Non penso dicevo che questi motivi vengano “dopo” il Moderno e ne preparino la fine. E su questo punto come su molti altri mi sembra che Gianni Vattimo non sia proprio di tutt’altro avviso. In ogni caso, trovo molto convincente l’argomento che sviluppa nell’introduzione a La fine della modernità: chi esalta il Postmoderno come il “nuovo” che abbatte e oltrepassa il Moderno, elogia il Postmoderno come “progresso” nei confronti del Moderno “progresso” è la parola centrale del moderno e di conseguenza elogia il Postmoderno in quanto particolarmente moderno e almeno questo non sarebbe Postmoderno. Ma come deve essere pensato il rapporto tra Postmoderno e Moderno, se non in questo modo? Vattimo risponde ricorrendo a Nietzsche e Heidegger: positivizza la previsione nichilistica di Nietzsche e accetta l’ “oltrepassamento” della filosofia del soggetto attraverso quello che definisce il “pensiero debole”. Anch’io ho un debole per Nietzsche e Heidegger: quasi sempre, la famiglia Marquard trascorre le proprie vacanze invernali a Sils-Maria e grazie al mio maestro Joachim Ritter e al mio relatore Max 1 14 CONFERENZA vita, come filosofia della compensazione del mondo quello che viene sognato è tutt’altro mondo. E il “post” moderno, accentua quella coappartenenza; proprio per- del Postmoderno incoraggia tale sogno: grazie a questo ché nel mondo moderno aumentano la velocità dell’in- “post” esso si trasforma nella forma estetica del sogno di novazione e il ritmo dell’invecchiamento, si arriva con- un futuro antiborghese. Non penso che il rifiuto del temporaneamente come compensazione all’attenzione carattere borghese sia una virtù, ma un vizio cui si deve per le lentezze, le continuità, le tradizioni, le varietà, resistere con coraggio civile: con il coraggio del carattere come motivi del “postmoderno”, grazie anche al “pen- borghese. Si disincanta, così, anche la discussione sul siero debole” del “senso storico”. Il mondo moderno non Postmoderno e si rafforza quella tesi che ho cercato di è unidimensionale, bensì un mondo dalla doppia vita, dal propugnare: il Postmoderno è legittimo non come condoppio pensiero e va bene così. Agisce infatti come troparte ma come parte del Moderno, che a sua volta non divisione dei poteri e liberalizzazione della realtà. Chi deve essere negato, bensì accettato. (Trad. it. di C.A.) osserva soltanto le razionalizzazioni e spiega il mondo solo a partire da esse, oppure chi vuole trovare solo le pluralizzazioni e crede di poterle trovare solo al di fuori Gianni Rispetto a molta filosofia tee “dopo” il mondo moderno, come postmoderno: costui Vattimo desca, il pensiero di Marquard dimezza la percezione del mondo moderno e può allora si presenta come un pensiero, facilmente maledirlo. se non debole, certo leggero e E’ necessario cogliere entrambe le tendenze del mondo duttile. La concezione dell’immoderno e vedere che le razionalizzazioni moderne non prescindibilità delle scienze solo hanno bisogno come compensazione delle sensibidello spirito nella modernità, lizzazioni moderne (presunte postmoderne), per così che è anche la base dell’affinidire, del postmoderno come l’ “altra parte del moderno”. tà che Marquard individua tra Ma anche, al contrario, che le sensibilizzazioni hanno moderno e postmoderno, dà un contributo importante bisogno delle razionalizzazioni e vivono di esse. Senza alla determinazione di quest’ultimo. la continuazione delle modernizzazioni, il Postmoderno So bene che per certi stili di riflessione filosofica questa non è vitale: senza le prestazioni obiettivanti del soggetto problematica pare secondaria, perché dissentono da una non c’è pensiero debole; senza universalizzazioni non concezione della filosofia che sia intesa, hegelianamenc’è pluralismo: senza progresso non c’è varietà alcuna. te, come il proprio tempo colto con il concetto. D’altra In questo modo sono possibili entrambe le posizioni: parte, concepire la filosofia come ontologia della attuaquanto più moderno diventa il mondo, tanto più inevita- lità è un modo di recepire non solo Hegel, ma anche bile diventa il Postmoderno e non come sua fine, bensì Nietzsche e Heidegger. E’ un modo di intendere la come suo elemento costitutivo. E ancora: quanto più ricerca del senso dell’essere come rinvenimento di una inevitabile diventa il Postmoderno, tanto più quest’ulti- provenienza storica ed eventuale, e non come definiziomo ha bisogno delle razionalizzazioni modernizzanti del ne di una fondazione assoluta, di princìpi primi, o di una mondo moderno come sua condizione di vita. struttura originaria dell’esperienza, universale perché metastorica. Heideggerianamente, chi definisce l’essere Da dove viene il “post” del Postmoderno? come potenza o atto, o come principio strutturale, contriSe allora il Postmoderno non viene “dopo” il mon- buisce all’oblio metafisico; e la vera parola filosofica do moderno, bensì è dall’inizio “nel” mondo mo- incomincia solo quando si discorra del senso dell’essere derno come suo necessario elemento costitutivo, perché in quanto eventuale, storico e destinale, cioè come accaesso viene cercato al di fuori, cioè dopo il mondo moder- dimento e non come struttura oggettiva e stabile. Ora, è no, come un’epoca a sé, che subentra al Moderno? Detto solo in questa seconda prospettiva che acquistano valore altrimenti: da dove viene questo “post”? nozioni come moderno e postmoderno, inutili per la Sono dell’idea che ciò dipenda dal fatto che si vuole filosofia come ricerca di princìpi primi o come definiziosuperare la “società borghese”. La società borghese ne di modi necessari dell’esperienza. Una filosofia senviene considerata come un mondo falso: incoraggia il sibile al postmoderno si configura (ed è il caso di molta “medio” rispetto agli estremi, le correzioni minime riflessione novecentesca) come una meditazione sulrispetto alle grandi messe in questione, il quotidiano l’epoca o come una sorta di sociologia filosofica. rispetto all’avventura, il regolare rispetto al sublime, Concordo poi pienamente con Marquard circa la definil’ironia rispetto al radicalismo, l’ordinamento rispetto zione dell’aspetto postmoderno della modernità come al carisma, il normale rispetto all’enorme. Così il riscatto della dimensione simbolica nella nostra società. mondo borghese anche perché i vantaggi di vita che L’appello alla imprescindibilità della retorica, nel senso reca sono ritenuti ovvi non sembra molto eccitante, vichiano, o alla liberazione del simbolico, cioè il venire bensì mediocre, noioso, alquanto ordinario e senza in luce di una autonomia della dimensione simbolica attitudine per lo stato d’eccezione. E’ per questo che come essenziale complemento del dominio delle scienze lo si giudica male e lo si vorrebbe superare: non della natura e della tecnologia, è un elemento imprescinsoddisfa il nostro bisogno di eccezionalità. dibile per la legittimità del postmoderno, quale che ne sia Certamente, non penso che questo parli contro la società la valutazione nel quadro di una eventuale antitesi col borghese, bensì contro il bisogno di eccezionalità, contro moderno. E si tenga presente che gli aspetti retorici del la smania della situazione eccezionale. Insomma, è ra- postmoderno sono strettamente dipendenti dalla tecnogionevole chi evita lo stato d’eccezione. Nonostante ciò, logia e razionalizzazione scientifico-tecnica del mondo 3 15 CONFERENZA Gianni Vattimo moderno, tanto che si potrebbe forse obiettare a Gadamer un atteggiamento troppo antitetico rispetto alla razionalizzazione tecnologica del moderno, in nome del ritrovamento di una retorica sociale che sarebbe dominio dell’ermeneutica. Anche muovendo da Heidegger, credo che sia possibile mostrare una stretta complementarità fra l’emergere delle scienze dello spirito (e quindi della verità dell’ermeneutica), e condizioni tecnologiche, che non riguardano semplicemente il dominio della natura, ma le forme della comunicazione. Il mondo della comunicazione è anche il mondo in cui diviene possibile l’ermeneutica. A Marquard, però, domanderei questo. Quando parla di un principio di compensazione per cui “si deve” bilanciare la razionalizzazione con la retorica, e la tecnologia con i simboli, vien fatto di pensare che questa esigenza di equilibrio si collochi per lui entro uno spazio metafisico, quasi che si trattasse di un equilibrio della natura umana in generale. Se, d’altra parte, questo equilibrio non è naturale né strutturale, vuol dire che è maturato nella modernità, ossia che è, a sua volta, divenuto. E’ dunque verissimo che il postmoderno è una parte del moderno, ma si impone anche il problema, maggiore, di una filosofia della storia che giustifichi questa provenienza senza far ricorso a orizzonti necessitanti o a strutture stabili. In questa prospettiva, il postmoderno ha senso come tentativo di fare emergere una posizione non metafisicamente fondata ma storicamente argomentata. Sarebbe ad esempio assurdo pretendere di definire il pensiero debole come la descrizione corretta di un essere che è oggettivamente debole, diversamente dall’essere forte della metafisica. Il problema (e la differenziazione) non sta nell’essere, ma nel modo in cui lo si argomenta; e la ricostruzione interpretativa di un processo di provenienza è il modo di argomentare razionale caratteristico della postmodernità in quanto è parte del moderno. 16 AUTORI E IDEE AUTORI E IDEE Tempo e cesure del pensiero: Patrice Loraux. Nonostante si tratti di una raccolta di articoli già pubblicati, con il suo ultimo lavoro, LE TEMPO DE LA PENSÉE (Il tempo del pensiero, Seuil, Parigi 1993), Patrice Loraux ha suscitato un notevole interesse e, soprattutto, ancor più sorprendenti elogi, come se si trattasse di un’opera scritta secondo un progetto preciso, con un intento unitario. Di fatto ciò che piace della proposta di Loraux è lo sforzo di “mettere in scena il pensiero”, di esibirne le cesure, le pause, gli intoppi che appunto ne costituiscono il “tempo”. Il pensiero, secondo Patrice Loraux, si apre spesso davanti a voragini, a salti, a rischi che non vuole (o non può) dire: preso in una tensione di paura e di audacia, il pensiero si paralizza, si cristallizza in un “sistema” chiuso, garantito, legittimato, in cui predomina la sostanziale identificazione con se stesso. Il pensiero non osa, ingannato da paradossi di zenoniana memoria, non conosce il movimento autentico: fa passi falsi, s’intoppa, inciampa in tranquille categorie, nella “diplomazia trascendentale”. Loraux si sporge invece al di sopra di un pensiero che non si fa prendere dalla paura e che coglie i propri vertici di senso proprio nei momenti di arresto, davanti all’ “intrattabile”, all’indicibile, all’eterogeno che bussa alla porta del pensiero, ma il timore del quale gli impedisce di entrare. Il pensiero audace di Loraux sembra richiamare qualcosa come la figura dell’atleta greco, prestante, energico, coraggioso. D’altra parte, sottolinea Loraux, il pensiero “atletico” non appartiene a questo mondo: per evitare l’identificazione del pensiero con se stesso, non resta allora che differirne l’esito, puntare all’ineffettivo, al “perdurare” dell’assenza. In questo Loraux si accompagna al tempo musicale di diversi autori: Aristotele, Rimbaud, Kafka, Wittgenstein, Desanti ed altri. Aristotele è figura tragica del pensiero; conscio degli iati e delle cesure del suo pensiero, per non rinunciare alla sicurezza del suo sistema categoriale e discorsivo, l’originaria vacuità del suo discorso sillogistico. La coerenza, la prudenza vietano al pensiero di prendere velocità. Ma è poi il pensiero capace di pensare l’eterogeneo, o non si tratta piuttosto del compiacimento di pensare l’impensabile, l’indicibile, l’invisibile, senza avvalersi della riflessione, dell’argomentazione, nella spericolata intenzione di rinunciare a pensare? F.M.Z. Il determinismo di Honderich Il dibattito sul determinismo si è arricchito ultimamente del nuovo studio di Ted Honderich HOW FREE ARE YOU ? (Quanto sei libero?, Oxford University Press, Oxford 1993), che formula una posizione determinista per l’ambito morale a partire dalle credenze del senso comune. Nel suo nuovo saggio, che è la sintesi del più particolareggiato A Theory of Determinism: the Mind, Neuroscience, and LifeHopes (Una teoria del determinismo: la mente, la scienza neurologica e le speranze della vita, 1988), Ted Honderich si interroga su quale spazio vi sia per la libertà in un contesto determinista. Nella sua analisi Honderich prende le mosse dal senso comune, che è costituito da due credenze: la prima presume un realismo ingenuo, cioè l’esistenza di un mondo a noi esterno, retto da leggi causali, identiche a quelle che regolano il nostro corpo e la nostra mente; la seconda afferma che ognuno di noi compie volontariamente le proprie azioni. La prima credenza comporta, in campo antropologico, il rifiuto della nozione di libero volere e l’adozione del determinismo, in quanto ritiene che la nostra vita mentale e quella fisica siano semplici maglie di quell’unica catena causale che è il mondo; una tale concezione è quindi in contraddizione con l’altra credenza del senso comune. La tensione tra le due credenze è accentuata dalla chiarezza e dalla non contradditorietà della posizione determinista, che Honderich formula in connessione con una teoria della mente e del17 l’azione. Una teoria del genere intende spiegare come i processi mentali, che consistono di distinti eventi neurali o mentali, siano effetti deterministici di altre coppie psiconeurali, di condizioni ambientali e di altre cause dovute alle azioni della persona. Honderich ritiene che la proposta determinista non sia solo intellegibile, ma anche vera; mentre quella che sostiene il libero volere sia falsa. Lo sgomento che ci assale al sapere che non abbiamo alcun influsso sul nostro futuro può portarci a rispondere in modo “intollerante”, tentando di escludere il determinismo dalla nostra vita con l’adozione di una posizione che Honderich chiama “volontaristica”, basata sull’accordo o sul disaccordo della nostra vita con i nostri desideri e le nostre scelte. La posizione volontaristica rappresenta, secondo il punto di vista di Honderich, un palese auto-inganno, teso a salvarci dalla morsa del determinismo. L’individuazione della posizione volontaristica permette ad Honderich di svelare l’assunzione scorretta che sta alla base della disputa tra Compatibilisti e Incompatibilisti. I primi reputano che esista una nozione di libertà di scelta e di azione compatibile con la posizione deterministica; i secondi non lo credono. Ma l’unico modo possibile di pensare la libertà di azione o di scelta è nei termini della sua volontarietà, cioè della sua consonanza o dissonanza con le scelte dell’agente. Ciò fa sì, osserva Honderich, che la nozione di libertà non possa essere compatibile con il determinismo. In conclusione Honderich ritiene che l’unica scelta che risolva il dilemma tra sgomento e intolleranza sia quella di vivere in modo “affermativo”, cioè adattandoci allo spazio vitale che la dimostrazione della verità del determinismo ci ha concesso, prendendo a cuore le indennità che esso potrebbe offrirci. Tuttavia, l’adozione di una filosofia di vita determinista ha conseguenze anche sociali e politiche, ad esempio il decadimento di istituzioni come quella della punizione, che si basano sul convincimento che gli individui originano i loro atti liberamente. M.G. AUTORI E IDEE Martin Heidegger 18 AUTORI E IDEE Incontri con Heidegger A cinque anni dall’accesa polemica, suscitata dal saggio di Victor Farias, sul trascorso nazista di Martin Heidegger, Frédéric de Towarnicki in À LA RENCONTRE DE HEIDEGGER . SOUVENIRS D’UN MESSAGE DE LA FORÊT NOIRE (I miei incontri con Heidegger. Ricordi di un inviato nella Foresta Nera, Gallimard, Paris 1993) ci fornisce un resoconto pacato delle sue conversazioni con Heidegger a partire dal 1945. Questo resoconto, oltre a restituirci il clima culturale in cui l’opera di Heidegger fu recepita in Francia, ne costituisce una insolita introduzione per il tentativo di de Towarnicki di chiarire, sulla base di una concreta esperienza, il controverso rapporto tra il pensiero di un filosofo e il contesto storico in cui viene a svilupparsi. “Ammaliato” dalla lettura di Che cos’è la metafisica?, saggio accolto in Francia in senso esistenzialistico, Frédéric de Towarnicki, un giovane animatore culturale delle forze d’occupazione francesi nella Foresta Nera al termine del secondo conflitto mondiale, si reca nell’autunno del 1945 sulle alture di Friburgo, dove Heidegger si era ritirato in isolamento dopo essere stato accusato di essersi compromesso col regime hitleriano per aver accettato nel ’33 l’incarico di Rettore dell’Università di Friburgo e per aver pronunciato, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico, un discorso che fu recepito come un’appassionata apologia del nazionalsocialismo. Col pretesto di consegnargli alcuni articoli di Jean Beaufret sul suo conto, de Towarnicki stabilisce con Heidegger quel contatto che gli era indispensabile per capire meglio la collusione tra filosofia e storia nell’esperienza di un pensatore ormai divenuto in Francia un punto di riferimento in ambito esistenzialista. A distanza di quasi cinquant’anni, ripercorrendo le note raccolte in un suo diario, de Towarnicki racconta, nella prima parte del suo lavoro, gli episodi e le conversazioni avute con Heidegger. Innanzitutto il tentativo di combinare un incontro tra questi e Sartre per creare un dibattito sull’esistenzialismo in un centro culturale dell’armata francese. Il 1945, ricorda de Towarnicki, fu uno degli anni più difficili dell’intera esistenza di Heidegger, il quale si trovava in quel momento a dover rendere conto della propria compromissione con il regime nazista. Un modo per rompere l’isolamento in cui egli allora si trovava, dovette forse sembrare a Heidegger proprio quello di avvicinarsi ai filosofi francesi, anche se già erano falliti in quello stesso periodo i tentativi di contattare il fondatore della “Revue d’histoire de la philosophie”, Emile Bréhier e La Salle. In una lettera a Sartre, recentemente rinvenuta, datata 28 ottobre 1945, Heidegger, che aveva ricevuto da de Towarnicki una prima copia dell’Essere e il Nulla, si esprime in termini insolitamente entusiastici nei confronti di Sartre, definendolo «un pensatore indipendente». In particolare, gli sembra di ravvisare una condivisione di principi e riconosce a Sartre il merito di aver compreso a fondo il senso del suo filosofare. Ritiene inoltre di poter avallare le critiche mosse da Sartre ai concetti di Mitsein (essere-con) e di morte e auspica ad un incontro, durante il quale poter chiarire le questioni essenziali che ancora lo assillano dopo la pubblicazione di Essere e Tempo, che egli considera solamente un tratto di un cammino ancora tutto da percorrere verso le origini del pensiero occidentale. A questo scopo Heidegger prega Sartre di fargli pervenire un’ulteriore copia della sua fatica, al fine di potervi ancora lavorare in vista di una discussione che li avrebbe condotti sulle tracce del pensare, quale evento fondamentalmente storico, in grado di condurre l’uomo ad un rapporto originario con l’essere. Ma l’incontro, una sorta di “vertice del pensiero filosofico”, che avrebbe permesso loro di indagare a fondo le radici e il senso dell’essere che si cela nelle profondità abissali del nulla, non ebbe luogo a causa di ostacoli politici e burocratici. Si dovrà attendere il 1952 per poterne di nuovo parlare; le circostanze però saranno allora profondamente mutate. Heidegger soprattutto non sarà più disposto a riconoscere in Sartre quel Weggenossen (compagno di viaggio) da cui si congedava al termine della lettera del ’45, e ancor meno disposto a concessioni teoriche nei confronti dell’esistenzialismo francese. Non a caso saranno allora già stati pubblicati il saggio sartriano L’esistenzialismo è un umanismo e la chiara presa di posizione in merito, contenuta nella heideggeriana Lettera sull’umanismo. Heidegger ribadì l’estraneità del proprio pensiero all’esistenzialismo e l’abissale distanza che intercorre tra il principio sartriano fondamentale, “l’esistenza precede l’essenza” e l’affermazione di Essere e Tempo, “l’uomo esiste”: la tesi di Sartre rimarrebbe nell’ambito della metafisica, in quanto ancorata a categorie tradizionali, anche se ne inverte l’ordine gerarchico; il concetto heideggeriano di “esistenza” invece farebbe saltare le dicotomie tradizionali, poiché rinvia al modo di essere dell’uomo come “progetto” e “gettatezza”. Heidegger, d’altra parte, aveva già spiegato tutto questo a de Towarnicki negli anni che precedettero l’incontro-scontro con Sartre. Questo dialogo “ineguale” tra “maestro” e “discepolo” è emblematico del modo in cui il sostenitore della differenza ontologica concepisce lo svolgersi del pensiero. De Towarnicki ritorna con insistenza su quell’interrogativo che non smette di inquietarlo e che conferisce al suo lavoro il valore di un documento: l’episodio del rettorato. Salutando inge19 nuamente gli avvenimenti del 1933 come segni di un “risveglio nazionale” che avrebbe sollevato il popolo tedesco dalla miseria e dal caos sociale, Heidegger riconosce che si lasciò persuadere dai suoi colleghi dell’Università ad assumere la carica di Rettore per contribuire al processo di rinnovamento in corso. Infatti, resosi conto dell’inganno, dopo vari scontri con le autorità naziste, diede le dimissioni subito all’inizio del 1934. La seconda parte del volume di de Towarnicki raccoglie le sue conversazioni con Jean Beaufret dal 1976 al 1981, dopo la morte di Heidegger. Questi colloqui sono per Beaufret occasione per approfondire il pensiero del filosofo tedesco: la sua complessa relazione con Husserl, la sua comprensione di Marx, il suo distacco dalla fenomenologia, il dialogo con i poeti. In questo modo Beaufret rende comprensibile l’opera di Heidegger al di là della versione esistenzialistica francese. Utilizzando le risorse della lingua greca e i limiti di quella tedesca e francese, Beaufret riesce infatti a tradurre da una lingua all’altra la complessità della terminologia heideggeriana, senza per questo perdere la “poesia” in cui, a suo dire, consiste la filosofia di Heidegger. La discussione, in Francia, intorno alla vicenda politica di Heidegger è stata d’altro canto in parte alimentata anche dalla recente traduzione francese di una raccolta di saggi di Leo Strauss, pubblicati con il titolo: La renaissance du rationalisme politique classique (La rinascita del razionalismo politico classico, a cura di Thomas L. Pangle, trad. fr. di Pierre Guglielmina, Gallimard, Paris1993), in uno dei quali, in particolare, viene appunto condotta un’analisi del pensiero heideggeriano in relazione ai suoi risvolti politici. Pur considerando il filosofo “il più grande pensatore della nostra epoca” per aver pensato la crisi della modernità e rivalorizzato il pensiero greco, Strauss individua nel “disprezzo della ragione” e nell’elogio della decisione le premesse ideologiche determinanti dell’adesione di Heidegger al nazismo. Punto di partenza dell’analisi di Strauss è la constatazione della crisi spirituale del razionalismo moderno, del crollo della fede nella razionalità e nel progresso della storia dell’uomo e della società, crisi che l’ultima versione del relativismo, lo storicismo, esprimerebbe e di cui Heidegger sarebbe il rappresentante più autorevole. La crisi spirituale della modernità si manifesterebbe appunto nella credenza in un’umanità senza una sua precisa natura, senza norme universali; convinzione che pregiudicherebbe le possibilità della ragione di far luce sulle questioni più importanti della condizione umana. E’ invece attraverso un tipo di razionalità basata sull’atteggiamento socratico di esame continuo delle evidenze abitualmente accettate che Strauss valuta il pensiero heideggeriano nelle sue implicazioni politiche, restituendocene tutta la sua problematicità. N.C./A.M. AUTORI E IDEE “Sulle Idee” di Aristotele Prendendo spunto da molte questioni lasciate aperte dal suo maestro G. E. L. Owen in un famoso articolo del 1957, Gail Fine analizza, nel suo recente ON IDEAS. ARISTOTLE’S CRITICISM OF PLATO’S THEORY OF FORMS (Sulle idee. La critica di Aristotele alla teoria delle forme di Platone, Claredon Press, Oxford1993), le confutazioni della teoria platonica delle forme da parte del giovane Aristotele; in particolare vengono analizzate quelle confutazioni che fanno leva sulle considerazioni di Platone circa i predicati relativi. Il saggio di Gail Fine dedicato al trattato aristotelico Sulle Idee sembra destinato a restare per lungo tempo un riferimento fondamentale per gli studiosi di lingua anglosassone, proponendosi come una delle più acute e profonde discussioni del pensiero di Aristotele, sulla scia delle riflessioni di G. E. L. Owen, che si era proposto di comprendere l’insegnamento di Aristotele su Platone suggerendo di interpretare la teoria aristotelica delle idee come una semantica atomistica. Dello scritto Sulle Idee, che Aristotele scrisse quando era un giovane allievo di Platone, sono giunti fino a noi solo i frammenti e i riassunti presenti nel commento alla Metafisica di Alessandro di Afrodisia; in esso Aristotele dapprima espone tutte le argomentazioni platoniche a sostegno della teoria delle idee e poi le confuta. Le obiezioni espresse nel testo aristotelico sono sempre state adombrate dalle profonde critiche che Platone stesso elaborò contro la sua teoria delle idee, come ad esempio testimonia il Parmenide. La principale preoccupazione di Platone era che l’imperfezione del mondo sensibile non fosse dovuta tanto all’essere soggetto al divenire o all’essere molteplice, quanto all’esistenza di enti che partecipano a idee come quella di giustizia, di bellezza o di generosità e insieme ai loro opposti. Questa preoccupazione di Platone porta Fine, come in precedenza Owen, a privilegiare quella linea argomentativa del saggio aristotelico Sulle Idee che fa riferimento ai predicati relativi. Tuttavia, pur adottando essenzialmente la linea argomentativa di Owen, Fine non ne condivide la lettura delle idee come atomi semantici e non ritiene che esse siano soggette al criticismo aristotelico così come viene proposto da Owen e da Gregory Vlastos. Inoltre, Fine riesce a risolvere innumerevoli, recalcitranti difficoltà tecniche lasciate aperte dal saggio di Owen, utilizzando i metodi della tradizione analitica: la scomposizione dettagliata delle argomentazioni e la classificazione delle distinzioni. Purtroppo, proprio l’obiezione aristotelica circa i predicati relativi non risulta adeguatamente sviluppata da Fine, la quale, prigioniera della prospettiva linguistica, non coglie il cuore dell’argomentazione. Aristotele obietta ai seguaci di Platone che essi «usano dire che non ci sono idee per i relativi», pur affermando l’esistenza sussistente delle idee, in contraddizione con quanto affermato dai testi platonici, che asseriscono l’esistenza delle idee di relativi come uguale, largo ecc.. Fine risolve il disaccordo in cui incappa Aristotele decretando che la frase aristotelica «essi usano dire che ....» può essere sostituita, senza che vi sia un cambiamento di significato, in quella: «essi si impegnano logicamente in modo che non ci sono idee per i relativi». Ma la soluzione proposta da Fine ci propone l’immagine di un Aristotele che nella migliore delle ipotesi formula una obiezione non pienamente convincente, oppure, nella peggiore, non sa neanche quello che sostengono i suoi avversari. Se usciamo dall’ambito puramente analitico e consideriamo la condizione storica in cui lo scritto aristotelico fu redatto, l’argomentazione di Aristotele non appare più implausibile, ma coglie nel segno, essendo rivolta ai seguaci di Platone che avevano riflettuto sulle obiezioni presenti nel Parmenide, ove veniva correttamente rifiutata l’esistenza di relativi evidenti come quello di servo-padrone. Aristotele osserva che non esistono solo predicati relativi espliciti, ma anche impliciti come uguale, largo ecc., di cui bisogna ammettere senza dubbio l’esistenza. Ciò costringe i seguaci di Platone al silenzio sull’esistenza dei predicati relativi, pena una palese autocontraddizione. M.G. La filosofia della storia di Georg Picht La riscoperta di un autore come Georg Picht, le cui idee, malgrado la larga risonanza di cui godettero mentre egli era ancora in vita, sono andate a confinarsi in un ristretto ambito di conoscitori, appare oggi in Germania come un compito non più procrastinabile, e comunque ormai decisamente intrapreso. La pubblicazione delle opere complete di Picht è infatti giunta ormai al IX volume, dal titolo: GESCHICHTE UND GEGENWART. VORLESUNGEN ZUR PHILOSOPHIE DER GESCHICHTE (Storia e presente. Lezioni sulla filosofia della storia, Klett-Cotta, Stuttgart 1993), che segue di poco quella dell’ VIII, ZUKUNFT UND UTOPIE (Futuro e utopia, Klett-Cotta, Stuttgart 1992). Enno Rudolf, che ha redatto l’introduzione di quest’ultimo volume, si è anche ass unt o, a ss ie me a C ons t anz e Eisenbart, la cura editoriale del volume, offrendo una redazione dell’opera di Picht particolarmente attenta alla compilazione degli indici. 20 L’opera di Georg Picht rientra in quell’ambito di riflessione su problematiche filosofiche fondamentali che si può situare tra la concezione teorica di Theodor W. Adorno e quella di Hans Jonas. Al primo l’accomuna l’interesse per la tradizione del pensiero filosofico coniugato con le domande inerenti al campo dell’etica, dell’estetica e della teoria della conoscenza; al secondo l’avvicina l’interesse spiccato e dichiarato per le tematiche ecologiche e per la questione della capacità dell’uomo di far fronte a quel futuro che egli stesso predispone. A questo proposito, ben diversamente da un filosofo puro come Jonas, con cui condivide comunque i presupposti del “principio responsabilità”, Picht ha voluto unire all’impegno teorico anche una certa attività pratica, che lo ha visto tra i promotori di iniziative pacifistiche e di appelli rivolti ad un nuovo ordine economico nazionale. In questo tratto personale si esprime la convinzione di Picht secondo cui tra teoria e prassi, tra ragione e impegno politico deve esserci un legame, il cui riconoscimento impone di riconquistare quel rapporto con la storia che l’uomo moderno sembra aver smarrito. La separazione tra storia e natura, compiuta in età moderna con l’avvento della scienza e della tecnica, deve essere superata e al disincanto del mondo deve opporsi una nuova volontà di rivolgere il pensiero a quella visione unitaria del tutto che è andata smarrita. Il problema della responsabilità, poi, occupa in Picht un posto importante nella definizione del ruolo e dell’essenza umana. Secondo Picht, l’uomo non si comporta responsabilmente in quanto ente dotato di ragione, come era nella tradizione del pensiero, ma, al contrario, egli si rivela dotato di ragione solo in quanto opera responsabilmente. Inoltre è necessario, avverte Picht, un “salto qualitativo” dalle “cieche utopie” del passato, che si basavano su una comprensione ancora ingenua della tecnica, alle “utopie rischiarate” del futuro, in cui la progettualità scientifica viene a subordinarsi ad una politica riflessivamente orientata in senso etico. In tal modo Picht si tiene lontano dalle formulazioni più radicalmente critiche della Scuola di Francoforte, ritenendo comunque che scienza e tecnica non contengano in sé gli elementi di una propria dialettica catastrofica; anzi proprio la costruzione di un “mondo artificiale” è semmai in grado di disarmare le loro potenzialità distruttive. G.B. AUTORI E IDEE Paul Feyerabend In ricordo di Paul K. Feyerabend «Intendo scrivere un’autobiografia, il cui titolo sarà AMMAZZANDO IL TEMPO, poiché, sfortunatamente, gran parte della mia vita si è risolta in un inutile ciondolare ed aspettare. Ma dopo, te lo prometto, starò zitto e manterò il silenzio per sempre.» Così Paul Feyerabend, ispirato da un oscuro presentimento, concludeva una delle sue opere più recenti, il DIALOGO SUL METODO (ed. it. 1988), con la promessa di un ultimo lavoro al quale sarebbe seguito il silenzio. Di fatto, dopo aver ultimato l’autobiografia, di prossima pubblicazione presso l’editore Laterza, il 13 febbraio 1994, Paul Karl Feyerabend si è spento in Svizzera all’età di settant’anni. «Non ho una filosofia, se per filosofia s’intende un corredo di principi uniti alle loro applicazioni, oppure un immutabile atteggiamento di fondo. In un altro senso ho anch’io una filosofia, una visione del mondo, ma non so esporla in modo lineare, si mostra da sola; è soggetta a mutamenti ed è più una disposizione che una teoria, a meno che per teoria, non si intenda una storia il cui contenuto non è mai identico.» Con queste parole Paul Feyerabend ha siglato la sua posizione di libero pensatore di fronte alle pretese dogmatiche sia della scienza , sia della filoso fia. Conosciuto al grande pubblico per la stesura di Contro il metodo, arrivato in Italia nel 1979 con la presentazione di Giulio Giorello, Feyerabend si è sempre mostrato un dissacratore della metodologia scientifica, inadatta e strutturalmente impossibilitata a raggiungere qualsiasi risultato attendibile. La scienza, secondo Feyerabend, si muove nello spazio infinito dell’inganno, delle astuzie e dei trucchi propagandistici che svuotano il metodo di qualsiasi validità. Ricordiamo, ad esempio, quelle pagine di Contro il metodo in cui l’epistemologo ha smantellato la dimostrazione del sistema copernicano da parte di Galileo. Il fondatore del metodo scientifico moderno, secondo Feyerabend, è riuscito ad imporre all’attenzione comune il sistema copernicano non tanto grazie alla efficacia razionale delle proprie argomentazioni, bensì grazie all’uso massiccio di una forte propaganda e di opportune ipotesi che, collocate di fianco alle proprie argomentazioni, hanno finito per persuadere l’opinione pubblica della validità del sistema eliocentrico. Galileo, però, non è stato il solo difensore del metodo attaccato da Feyerabend. Bersaglio del filosofo austriaco è stato anche il maestro Popper, padre del falsificazionismo. Anche in questo caso, secondo Feyerabend, ci troviamo di fronte ad una pseudometodologia che non funziona. La storia ha insegnato che diverse teorie falsificate sono state riprese 21 successivamente. Per di più la giustificazione della scoperta scientifica non avviene, come voleva Popper, secondo criteri razionali, ma sempre e comunque grazie a questioni estetiche, di gusto e di propaganda. La scienza è, così, descritta come un’impresa essenzialmente anarchica, in cui qualsiasi criterio, di scoperta e di giustificazione, entra in gioco: anything goes, qualsiasi cosa può andar bene, questo diventa l’unico criterionon criterio che, secondo Feyerabend, caratterizza di fatto l’epistemologia. Ma la ribellione al metodo scientifico è stata ancora più radicale. Pur sprovvista di una metodologia specifica e pur facendo spesso uso di elementi irrazionali come il gusto o la propaganda, la scienza si è da sempre arrogata il diritto di controllo sulla verità. Figlia del razionalismo classico di Parmenide e Senofane, la scienza, secondo Feyerabend, si è mostrata, lungo i secoli, come il dogma tirannico e implacabile che, come la religione, ha imposto le sue regole e i suoi risultati. Per questo, dopo aver accuratamente smascherato la struttura della scienza, Feyerabend ha insistito lungamente sulla necessità di dare ascolto a tutte quelle tradizioni che hanno voce nella società. Sono da ricordarsi, ad esempio, le appassionate difese dell’astrologia come delle medicine alternative che difficilmente hanno trovato spazio nelle società dominate dalla Scienza. Infatti, il criterio che rende una società veramente libera si manifesta nel rispetto della molteplicità del- AUTORI E IDEE le tradizioni culturali radicate non tanto in un acritico relativismo quanto nel terreno comune della tolleranza, unico “valore” di cui Feyerabend si è sempre sentito portatore. Per questo una lettura superficiale di Feyerabend porta all’interpretazione di un nichilismo di fondo che è però superato dalla sua continua tensione verso quella “società libera”, in cui tutti possono parlare ed esprimere le propie tradizioni senza prevaricarsi in alcun modo. Contestati i principi assoluti della Scienza, del Metodo e della Verità, che cosa resta al libero pensatore? «Restano soltanto i giudizi estetici, di gusto e i nostri desideri soggettivi»: così Feyerabend lascia come criterio ultimo quello della desiderabilità. Ma attenzione: questo non implica fedeltà assoluta ai propri desideri soggettivi! Il libero pensatore è sempre disposto a cambiare idea, a dedicarsi con leggerezza a tutte quelle piccole cose, quei piccoli piaceri quotidiani che soddisfanno l’individuo e lo distraggono dal dogma della Verità. Ecco il dadaismo di Feyerabend! Ecco il suo prendere leggermente qualsiasi posizione, anche le proprie, e l’essere sempre disposto a metterle in discussione. Feyerabend è stato realmente un libero pensatore ed un dadaista: forse in pochi altri filosofi troviamo una così profonda corrispondenza tra lo stile di vita e l’impostazione filosofica. Il vero dadaista non dipende da nessun padrone, reale o ideologico che sia, e non subisce mai l’autorità, intesa come criterio assoluto, neppure dei propri pensieri. Pur con il rischio di apparire paradossale Feyerabend conduce il suo dadaismo a conseguenze estreme. Definendosi libero pensatore, il filosofo austriaco ha messo addirittura in discussione la paternità delle proprie idee e il suo considerarsi “soggetto” nel senso cartesiano del termine. Parlando di se stesso una volta ha scritto: «di tanto in tanto ho avuto dei pensieri che credevo fossero miei. Chi non è stato vittima di questa illusione?». Bibliografia delle opere principali Problems of Empiricism I,in Colodny (a cura di), Beyond the Edge of Certanity, 1965; trad. it. di A. M. Sioli, I problemi dell’empirismo I, Lampugnani Nigri, Milano 1971. On the Improvement of the Sciences and of the Arts and the possible Identity of the two, in Boston Studies of the Philosophy of Science, vol. III (In memory of N. Hanson), Dordrecht Reidel, 1968, pp. 387-415. Problems of Empiricism II, in Colodny (a cura di), The Nature and Function of Scientific Theory, 1969; trad. it. di A. M. Sioli, I problemi dell’empirismo II, Lampugnani Nigri, Milano 1971. Against Method, in Minnesota Studies of Philosophy of Science, n. 4, 1970; trad. it. Contro il metodo, Lampugnani Nigri, Milano 1973. Consolation for the Specialist, in AA.VV., Criticism and the Growth of Knowledge, a cura di J. Worral e E. Zahar, 1974 (1970); Consolazioni per lo specialista, in Critica e crescita della conoscenza, a cura di G. Giorello, Feltrinelli, Milano 1979 (1976). Against Method. Outline of an anarchistic Theory of Knowledge, 1975; trad. it. Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, a cura di G. Giorello, Feltrinelli, Milano 1978. Come difendere la società contro la scienza, originale da “Radical Philosophy”, n. 2, 1975, in Rivoluzioni scientifiche, a cura di J. Hacking, Laterza, Bari 1984, pp. 211-228. Der wissenschaftstheoretische Realismus und die Autorität der Wissenschaften, 1978; trad. it. di A. Artosi e G. Guerriero, Il realismo scientifico e l’autorità della scienza, Il Saggiatore, Milano 1983. Science in a free Society, 1978; trad. it. di L. Sosio, La scienza in una società libera, Feltrinelli, Milano 1982. Dialogo sul metodo, originale tratto da Structure and Development of Science, a cura di RadnitzkyAndersson, 1979; trad. it. di R. Corvi, Laterza, Bari 1988. Philosophy of Science 2001, in “Methodology, Methaphisics and History of Science”, a cura di Cohen and Wartofsky, Publisching Company, Dordrecht Reidel 1984, pp. 137-147. Scienza come arte, trad. it. di L. Sosio, Laterza, Bari 1987. Farewell to Reason, 1987; trad. it. di M. D’Agostino, Addio alla ragione, Armando, Roma 1990. Dialoghi sulla conoscenza, trad. it. di R. Corvi, Laterza, Bari 1991. Tocqueville e gli Stati Uniti Lo storico americano Henry Steele Commager, nella sua recente monografia COMMAGER ON TOCQUEVILLE (Commager su Tocqueville, University of Missouri Press, Columbia and London 1993), prende esplicitamente spunto dalle analisi e dalle acute previsioni circa il futuro della democrazia di Alexis de Tocqueville per tracciare un quadro dell’attuale società americana. Nel 1831 il giovane magistrato Alexis de Tocqueville si recò per alcuni mesi negli Stati Uniti con l’intento di studiarne il sistema penitenziario. L’esperienza fu così incisiva che al suo ritorno egli decise di scrivere La democrazia in America, un resoconto di viaggio che descriveva la giovane società americana. Del nuovo stato, Tocqueville, preoccupato del futuro della libertà in Europa, coglieva come caratteristica essenziale l’uguaglianza che vi regnava, individuandone l’origine nell’istituto democratico della nazione. L’acutezza del suo genio politico trasformò così lo scritto da racconto, quale doveva essere, in uno dei classici del pensiero liberale. Gli Stati Uniti divennero lo spunto per parlare della democrazia, delle sue caratteristiche, dei suoi pregi e dei suoi difetti; delle conseguenze che essa può avere per i costumi, la morale, le arti, le relazioni familiari, per il suo stesso futuro, e dei pericoli e delle minacce per la libertà che si possono originare in tale ordinamento. Con la sua opera Tocqueville intendeva così preparare la Francia e l’Europa al prossimo inevitabile “trionfo dell’eguaglianza” e alle conseguenze buone e cattive che ne sarebbero derivate. Facendo proprio il senso della lezione di 22 Tocqueville, in Commager on Tocqueville Henry Steele Commager si propone di descrivere la società americana dei nostri giorni a partire da quanto a suo tempo potè osservare il giovane magistrato francese, mostrando come questi, con la sua lungimiranza e sagacia politica, sia andato ben oltre quanto poteva a buon diritto riscontrare nella società americana dei primi decenni dell’ottocento. Le considerazioni di Tocqueville, nonostante le soluzioni proposte non siano sempre soddisfacenti, sono per Commager ancora attuali. Affrontando i rapporti tra democrazia e dittatura della maggioranza, il prezzo della libertà in una società giusta, le contraddizioni tra uguaglianza politica e uguaglianza economica e i problemi connessi al centralismo e al federalismo, Tocqueville osserva che ogni organizzazione sociale tende per sua natura al centralismo, ma a questa tensione gli uomini si devono opporre con l’opera politica. Infatti l’accentramento amministrativo, politico e militare mette in pericolo la partecipazione democratica alla vita sociale e politica e porta alla nascita del Leviatano burocratico. Tocqueville ritiene che il buon governo, l’educazione dei cittadini alla democrazia attraverso la partecipazione, la salvaguardia della libertà e dell’indipendenza sia garantita dal seppur fragile sistema federale democratico, che è in grado di coniugare uguaglianza e libertà in maggior grado. Il giovane magistrato è tuttavia consapevole, osserva Commager, che la tendenza all’uguaglianza, all’unificazione e all’appiattimento delle opinioni è un fenomeno normale di ogni società e che la libertà e l’autonomia sono una faticosa conquista, mai veramente apprezzata, nei fatti, dalla maggioranza. Peraltro Tocqueville non ritenne utopisticamente che tale forma di governo fosse adottabile da tutti gli stati. Infatti, la scelta dell’ordinamento e in particolare di quello critico del federalismo democratico, dipende da adeguate condizioni storiche, sociali, economiche e geografiche che si sono pienamente realizzate nel caso degli Stati Uniti. Di fronte a tale acutezza d’analisi Commager ha buon gioco nel constatare la validità e soprattutto l’attualità delle argomentazioni di Tocqueville, mostrando come le istituzioni federali degli Stati Uniti non abbiano mai messo in pericolo, in due secoli di esistenza, le libertà fondamentali. Così, a conclusione del suo studio, come prospettiva politica per gli anni ’90, Commager chiede agli americani di fare memoria della loro storia, che è essenzialmente la storia di grandi rivoluzioni politiche e pratiche: l’affrancamento delle colonie e la formazione dello stato che ha decretato l’inizio della fine del colonialismo, la realizzazione del primo stato federale, la fondazione del primo governo democratico sulla base della Costituzione e la separazione, per la prima volta, tra Stato e Chiesa. M.G. AUTORI E IDEE Ernst Tugendhat: lezioni di etica Con il volume VORLESUNGEN ÜBER ETHIK (Lezioni di etica, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1993) Ernst Tugendhat intende offrire un’immagine d’insieme delle riflessioni da lui dedicate al problema dell’etica a partire dalla metà degli anni Settanta. Formatosi alla scuola di Heidegger, Ernst Tugendhat si distaccò dal pensiero del maestro (e in generale dalla filosofia fenomenologica) con l’opera del 1967 Der Wahrheitsbegriff bei Husserl und Heidegger (Il concetto di verità in Husserl e Heidegger). Avvicinatosi alla filosofia analitica statunitense con Vorlesungen zur Einführung in die sprachanalytische Philosophie (Lezioni introduttive alla filosofia linguistico-analitica), egli avrebbe successivamente messo al centro della propria riflessione il problema dell’etica e della possibilità di una sua fondazione razionale. I saggi pubblicati nel volume Ethik und Politik. Vorträge und Stellungnahmen aus den Jahren 1978 bis 1991 (Etica e politica. Discorsi e prese di posizione negli anni 1978-1991, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1991; cfr., “Informazione filosofica”, n. 10) rendevano conto degli interventi di Tugendhat nel campo dell’etica in rapporto a questioni di interesse attuale e politico. Le Vorlesungen über Ethik mettono ora il lettore a confronto con gli aspetti più propriamente teoretici della riflessione di Tugendhat sull’etica. In Germania l’ambito dell’etica è stato recentemente oggetto dell’interesse di diversi pensatori: dalle riflessioni di Hans Jonas sul “principio responsabilità” a quelle di Jürgen Habermas in cui vengono messe in evidenza le potenzialità etiche di un “discorso libero dal dominio”, fino al neo-aristotelismo e neo-hegelismo di certe correnti della riflessione sulla “filosofia pratica”. La riflessione di Tugendhat sembra differenziarsi radicalmente da tutte queste posizioni per il suo approccio ispirato al metodo dell’analisi del linguaggio. Applicando ai concetti di “bene” e di “buono”, di “azione” e di “norma morale” gli strumenti della filosofia analitica, Tugendhat critica quella contrapposizione tra “dovere” e “dover essere” che nella lingua e nella filosofia tedesca trova espressione nei due verbi müssen e sollen. Rispetto all’astratto “dover essere” (sollen) Tugendhat predilige il più concreto e obbligante “dovere” (müssen), che esprime quel tipo di obbligazione o dovere che designiamo come “morale”. Caratteristica di questo dovere è, per Tugendhat, che esso non si definisce in termini di funzionalità rispetto a uno scopo, ma ha valore di per se stesso. L’agire “morale” è un obbligo incondizionato; l’azione “buona” trova il proprio fine in se stessa e non in uno scopo pratico ad essa esterno. Abituato ad usare gli strumenti critici del- l’analisi del linguaggio Tugendhat non si ferma qui, ma pone il problema del rapporto tra piano normativo e piano empirico. Norme e azioni morali, a cui attribuiamo un valore incondizionato, non potrebbero derivare - si chiede Tugendhat - da una dimensione empirica, per esempio dalla prassi, dalle usanze e dai divieti di una determinata società? Non sono le norme morali essenzialmente norme sociali, che vengono rispettate per non andare incontro a sanzioni di carattere pratico? A ciò Tugendhat risponde distinguendo il piano delle norme morali da quello delle convenzioni sociali. La presa di posizione morale, in altre parole, non si accontenta di fare riferimento a usi e costumi, ma pretende di essere un giudizio fondato. Caratteristica della posizione di Tugendhat è il fatto di stabilire un rapporto tra morale e volontà: la norma morale, in apparenza assoluta, si rivela essere sul piano empirico una reazione a una possibile sanzione. Perché tale sanzione venga vissuta come un comando della coscienza morale, è necessario che l’individuo se ne appropri consapevolmente. Il dovere morale si mostra così come relativo a una volontà. Con questa posizione Tugendhat prende le distanze da un’etica di tipo idealistico-kantiano e dalla fondazione razionalistica dell’etica del discorso di Habermas e Apel: è nell’ambito della volontà, e non in quello della ragione, che si fonda la moralità. L’atto immorale non è un atto irrazionale, ma una libera scelta. E così anche l’atto morale. Se l’etica sostenuta da Tugendhat è kantiana nei contenuti (poiché ha il suo nucleo nel riconoscimento dell’altro in quanto fine e nel rifiuto di ridurlo a strumento) non lo è però nel metodo: la morale del rispetto universale non è derivabile astrattamente da una ragione umana sempre identica a se stessa, ma deve affermarsi sempre di nuovo nel confronto con altri principi morali. Da ciò deriva il duplice rapporto con la tradizione tipico della riflessione di Tugendhat sull’etica, che da una parte è dichiaratamente anti-tradizionalista, dall’altra si sviluppa in un serrato confronto con la storia delle dottrine etiche. Da segnalare, a questo proposito, le osservazioni su Adam Smith come “classico” della riflessione etica: è nel suo nome che Tugendhat sviluppa alcune riflessioni critiche rispetto alla morale kantiana. Si vedano anche, come esempio di questo duplice rapporto con la tradizione filosofica, le riflessioni di Tugendhat sul problema della vita felice. Per questo aspetto il riferimento storico è la filosofia antica, in cui la questione del “bene” viene affrontata in connessione con il problema della “felicità”. Seguendo questa traccia Tugendhat cerca nell’etica non solo le leggi dell’agire giusto ma anche un’immagine di una vita riuscita, felice. M.M. 23 La mente non è un computer Mentre in Italia escono quasi contemporaneamente le traduzioni di due volumi di Hilary Putnam, RAPPRESENTAZIONE E REALTÀ (tr. it. di N. Guicciardini, Garzanti, Milano 1993) e MATEMATICA, MATERIA E METODO (tr. it. di G. Criscuolo, Adelphi, Milano 1993), negli Stati Uniti il filosofo di Harvard pubblica il suo ultimo libro, RENEWING PHILOSOPHY (Harvard University Press, Cambridge 1993), in cui propone un rovesciamento delle proprie precedenti posizioni filosofiche, che lo porta a criticare radicalmente quell’idea della mente come “organismo funzionale”, di cui egli stesso era stato il principale sostenitore. Dopo essere stato forse il primo filosofo ad avanzare la tesi che il computer è un modello per la mente, e a dare a questa dottrina il nome di “funzionalismo”, Hilary Putnam non ha oggi nessuna esitazione a rifiutare tale posizione, mutando radicalmente il proprio atteggiamento mentale. Nel campo della filosofia della mente contemporanea il funzionalismo costituisce oggi l’ortodossia, la posizione dominante sostenuta da filosofi come Jerry Fodor, Daniel Dennett e Ray Jackendorf. Ma l’analogia con il computer, sostiene Putnam in Rappresentazione e realtà, che la si chiami “concezione computazionale della mente” o “funzionalismo”, non risponde in definitiva alla domanda dei filosofi: «Qual è la natura degli stati mentali?». Il funzionalismo, se pure fornisce una reinterpretazione in senso moderno della distinzione tra il mentale e il fisico, prendendo sul serio l’analogia mente-computer e affermando che la mente sta al corpo come il software sta allo hardware, non risolve invece il grande enigma della coscienza: non spiega cioè come mai si prova qualcosa a essere noi stessi. Lascia insoluta la questione sollevata già nel 1974 da Thomas Nagel nel celebre saggio “Che cosa si prova ad essere un pipistrello” (in “The Philosophical Review”, 1974), dove Nagel affermava l’impossibilità di sapere cosa si prova ad essere un animale che «vede con le orecchie», e quindi l’inadeguatezza degli agguerriti tentativi di rendere conto del “mistero” della coscienza in termini rigorosamente scientifici. Putnam critica dunque la posizione da lui stesso avanzata tempo fa, e rispondendo agli attacchi che gli vengono mossi per questo mutamento di prospettiva, cita Rudolf Carnap, il quale sottolineava di aver cambiato idea più di una volta riguardo a questioni filosofiche. Una sua frase ricorrente era proprio: «Prima pensavo che... adesso penso che». Se certe ricerche filosofiche contribuiscono al dialogo millenario che è la filosofia, se approfondiscono la nostra comprensione di quegli enigmi che chiamiamo “problemi filosofici”, allora, sostiene Putnam, il filosofo che svolge AUTORI E IDEE Hilary Putnam quelle ricerche sta facendo bene il suo lavoro. La filosofia non è qualcosa che ha come esito soluzioni definitive, e la scoperta che la concezione più recente, «fosse anche la propria», ancora una volta non dissolve il mistero, è tipica del lavoro del filosofo, quando il lavoro è ben fatto. «Cambiare idea» significa per Putnam «essere combattuti da concezioni opposte della filosofia come tale», ovvero essere consapevoli della possibilità dell’errore. Un buon filosofo, per essere tale, deve sapere che in fondo tutte le visioni, teorie e posizioni che potrà sostenere sono in qualche modo “errate”, ma questo non significa che siano tutte equivalenti, e che non ce ne siano di migliori e peggiori. E Putnam non è solo un “buon filosofo”. In Matematica, materia e metodo, pubblicato in edizione originale nel 1975, Putnam affronta temi fondamentali della filosofia della matematica e della logica: i rapporti fra logica e filosofia e fra logica e matematica, i fondamenti della matematica, la filosofia della meccanica quantistica, alcuni problemi relativistici, il convenzionalismo in fisica e in matematica. Temi diversi, legati da un’unità di fondo, cioè dall’idea che la scienza, compresa la matematica, è una storia unitaria e che tale storia non è un mito ma un’approssimazione alla verità: «Un’approssimazione - afferma Putnam - di cui alcune parti possono essere, in certi momenti, provvisoriamen- te “a priori”, ma che è tutta soggetta a modifiche e miglioramenti». Modifiche, mutamenti continui, che per Putnam appartengono tanto al procedere della scienza, quanto al procedere della filosofia. E se pure la scienza costituisce una parte importante della conoscenza umana della realtà, essa tuttavia non rappresenta, per Putnam, tutta la conoscenza umana. «Lo studio filosofico della scienza è sempre stato, nel migliore dei casi, un modo per conoscere qualcosa della natura e qualcosa dei limiti della ragione umana»: limiti che non impediscono all’uomo di cadere in errore e che, nel contempo, lo portano a “cambiare idea” e quindi a nuove conoscenze. In Rappresentazione e realtà bersaglio di Putnam è ora lo stesso «Putnam (uno dei miei sé precedenti) e coloro che hanno adottato le sue posizioni»; e qui Putnam si riferisce soprattutto al suo ex allievo Jerry Fodor, sostenitore di quel “funzionalismo” di cui Putnam è stato fondatore ed oggi suo principale critico. Tuttavia ciò che ora interessa a Putnam è stabilire la necessità di un diverso modo di guardare ai problemi concernenti gli “stati mentali”. Questo significa: 1) stabilire una stretta connessione tra problemi concernenti il significato e problemi concernenti la fissazione di credenze, mostrando che il carattere olistico della fissazione di credenze nelle scienze riguarda profondamente la questione dell’identificazione di “signifi24 cati” o contenuti o intenzioni; 2) affermare che pensare ai “significati” come “entità teoriche”, come oggetti di una scienza, è in realtà un errore. Secondo Putnam, non esiste un criterio per l’identità di significati che non sia una vera e propria pratica interpretativa: il riferimento al mentale è indispensabile; la verità stessa ha a che fare con la mente. Del funzionalismo risulta sbagliata per Putnam non solo l’identificazione ingenua tra stati mentali fisio-chimici, ma anche l’identificazione tra stati mentali e stati “funzionali”. La questione non è che gli organismi fisicamente possibili non abbiano delle organizzazioni funzionali, ma che ne hanno troppe. Quand’anche fossimo descritti correttamente da un’infinità di “descrizioni funzionali”, logicamente possibili, che cosa può voler dire, si chiede Putnam, che una di queste ha la proprietà di essere la nostra descrizione normativa, di descrivere cioè la nostra “essenza”? Non rischieremmo in questo caso di ritornare a quelle “oscurità metafisiche” che si volevano dissipare? Putnam non ha timori ad ammettere il rischio; e soprattutto, non ha timori a correre il rischio che i cambiamenti di posizione comportano. A guardarli da vicino, i cambiamenti di Putnam sono invece la prova evidente che in filosofia, dove le risposte non sono mai definitive, è comunque sempre possibile fare progressi e approdare a nuove conoscenze. E.C. AUTORI E IDEE Il sano e il malsano Nel suo studio su LE SAIN ET LE MALSAIN. SANTÉ ET MIEUX-ÊTRE DEPUIS LE MOYEN AGE (Il sano e il malsano. Salute e benessere dal Medioevo a oggi, Seuil, Paris 1993) Georges Vigarello ci presenta un’ampia rassegna delle risposte che ogni epoca, a partire da quella medioevale, ha dato alla questione della difesa del corpo umano dalla malattia, mettendo in luce come le forme di vigilanza e di difesa della salute cambino in funzione delle diverse rappresentazioni del corpo e dei suoi punti deboli. Ne risulta una panoramica del modo in cui il confine tra salute e malattia si sia spostato nel tempo col variare della soglia di ciò che nelle varie epoche era ritenuto fisicamente nocivo. L’analisi di Georges Vigarello prende avvio dalla strategia di difesa della salute tipica nel Medioevo, consistente nel rifiuto, nella rimozione fisica di chi ha contratto la malattia, che all’epoca veniva identificata con la decomposizione carnale. Il processo di putrefazione, osserva Vigarello, rendeva visibile l’insinuarsi del male nel corpo. Questa equivalenza tra malattia e decomposizione si manifestava emblematicamente nella lebbra, considerata la minaccia principale del periodo. All’interno di una mentalità che considera moralmente la malattia come avanzata del male, dell’impuro, due sono i principi che stabiliscono l’efficacia terapeutica o preventiva di alcuni oggetti: la loro purezza, qualità impregnata di immaginario, e il contatto, il loro agire per contiguità. La cura e la prevenzione della salute, ci riferisce ancora Vigarello, erano dunque di tipo analogico: per curarsi o proteggersi dalla malattia ci si applicava metalli preziosi, oggetti ritenuti incontaminati, o si preparavano pozioni con polvere di perle o liquori d’oro; tutte queste sostanze trasmettevano le loro proprietà purificatrici per contatto o attraverso il gusto, l’olfatto. Si tratta di “farmaci” dalla doppia protezione in quanto da una parte allontanano impurità esterne, dall’altra impediscono che se ne formino di interne: la malattia si riteneva infatti contraibile, oltre che per contagio, per putrefazione degli “umori” che costituiscono il nostro corpo. Nel ‘600, fa notare Vigarello, si registra un mutamento nella concezione del corpo, che si presenta ora meno sottomesso, rispetto al Medioevo, alle influenze cosmiche, alle forze oscure e agli effetti di simpatia dell’universo, per guadagnare l’autonomia di un meccanismo che funziona secondo movimenti “aspiranti” (alimentazione) o “rimuoventi” (evaquazione, sudorazione) ed è costituito da “circuiti” di umori (la scoperta della circolazione del sangue è del 1628) e articolazioni. Si intensifica in questo periodo l’attenzione alla “qualità sanitaria” degli alimenti; si diffondono alma- nacchi per guidare il popolo nella scelta e nell’assunzione del cibo. Ma ancora più significativa è la trasformazione della pratica di evacuazione degli umori: compare la nozione di purgatio come pratica per liberare dai rifiuti il corpo, che divenuto “pompa”, “fontana”, “orologio” (le nuove macchine del ‘600), appare sottomesso a evacuazioni meccaniche. Nella stesso tempo il tema della purificazione diventa modello di pensiero e metafora dell’agire politico. Il ‘700, secolo dei lumi, conosce un’impennata senza precedenti della medicina: con l’apertura dei cadaveri, conseguenza di un’irresistibile curiosità anatomica, gli umori sono sostituiti dalle fibre come elementi base di un corpo concepito ora come essenzialmente “energetico”, secondo il modello di una scoperta decisiva dell’epoca: la corrente elettrica. Opportunamente sottolinea Vigarello, lo stato di salute si misura ora in base alle condizioni delle fibre e l’imperativo per allontanare la malattia è rafforzarle, indurirle. Di quest’epoca è anche l’iniezione nel corpo di liquido infetto per provocare l’immunizzazione dalla malattia. È il principio della vaccinazione, una nuova procedura che rivela il consolidarsi di un’immagine del corpo come qualcosa che non è più solo da proteggere e salvaguardare attraverso difese esterne, ma è capace di svilupparne di interne. Ciò induce a un rivoluzionamento delle strategie preventive e curative: pur- ghe e salassi vengono ora considerati pratiche debilitanti per l’organismo; l’attenzione si sposta invece, ci riferisce Vigarello, sulla circolazione dell’aria negli spazi collettivi (il ventilatore è una scoperta di questo secolo), essendo le epidemie attribuite alle mutazioni dell’aria. Nel secolo successivo, col progredire nelle conoscenze degli agenti patogeni (i microbi), si assiste alla comparsa dello Stato igienista, che provvede direttamente alla salute degli indigenti, anche con la forza, per preservare quella di tutti. Gli sforzi preventivi della malattia, osserva Vigarello, si concentrano ora nella disciplina e trasformazione dei costumi, dal momento che malattia e vizio sembrano andare di pari passo. Il corpo non è più un semplice meccanismo, o un groviglio di fibre, ma è una macchina energetica, un motore simile alle macchine a vapore che dominano nelle industrie del secolo. Il suo funzionamento segue le leggi della termodinamica teorizzate in questo periodo da Carnot (1824): si tratta di convertire calore in lavoro. La strategia preventiva conseguentemente riguarda tutte le regole di vita: la nutrizione che apporta il combustibile, contribuendo allo scambio energetico, la respirazione che partecipa alla combustione, ma soprattutto la pulizia, che si suppone faciliti la respirazione del corpo attraverso i pori della pelle. Con “benessere”, termine che dà il titolo Hieronymus Bosch, La cura della follia, 1475-80 25 AUTORI E IDEE all’ultima parte del suo lavoro, dedicata al nostro secolo, Vigarello allude al nuovo orizzonte della salute che comprende ora, connesso al lato fisico, il versante psicologico. La salute non è più considerata un semplice bene da conservare, ma qualcosa da perfezionare. Tuttavia, a far vacillare questa prospettiva, rileva Vigarello, appare oggi una malattia come l’AIDS, ribattezzata “la nuova peste o lebbra”, malattia che provoca decomposizione fisica e si trasmette attraverso il sesso e il sangue, elementi simbolici in grado peraltro di riattivare l’identificazione medioevale della malattia come putrefazione e peccato. Forte si presenta allora la tentazione di ripristinare l’antico schema del rifiuto del malato contro il quale lotta la consapevolezza moderna della necessità di una strategia difensiva che passa attraverso la protezione e il rafforzamento di se stessi. A.M. Scienza paradossale? Nell’affrontare la “struttura delle rivoluzioni scientifiche” Kuhn dichiarò che la scienza (fatta di paradigmi) è una sorta di evidenza comunemente accettata, che non si sconvolge volentieri. Si arriva ad un punto però in cui i paradossi (o anomalie) sono talmente consistenti che lo scienziato è costretto a rivedere e riorganizzare le ricerche. Etienne Klein in CONVERSAZIONI CON LA SFINGE (Il Saggiatore, Milano 1993) e Humberto Maturana in AUTOCOSCIENZA E REALTÀ (Minima, Milano 1993) offrono spunti interessanti per un confronto tra una scienza considerata come immutabile e una scienza che si evolve con le nuove ricerche. Con i loro rispettivi studi, Etienne Klein e Humberto Maturana richiamano l’attenzione sull’estrema distanza che separa un’idea di scienza come struttura immutabile, depositaria della certezza umana, dalla scienza intesa come processo che si matura nella dialettica e nella messa in discussione dei propri punti fermi. Ciò che contribuisce enormemente a fare della scienza una forza creatrice sono proprio i paradossi portatori del dubbio; veri rompicapi che mettono alla prova una ragione che si impone a priori come depositaria della verità. La scienza oggi, notano Klein e Maturana si fa carico di essere portatrice di perfezione, di verità assoluta, ricoprendo una funzione simile a quella che in passato fu propria della teologia e della filosofia. Il “mondo” ha certo bisogno di risposte, di garanzie; e una scienza rigorosa e obiettiva deve assumersi il difficile compito di soddisfare queste richieste. Ciò è possibile però ad una condizione: creare situazioni di ricerca tali per cui gli scienziati rimangano vincolati ad un “ordine di conoscenza” che non ammette un confronto con l’incertezza, con il dubbio; insomma non ci deve essere spazio per un pensiero che pensi e che, come tale, sia soggetto a “crisi”. Una tale concezione affermativa della scienza, osservano Maturana e Klein, è destinata tuttavia a ripetersi all’infinito, in quanto univoca e priva di meriti. La scienza oggi ha la pretesa di ergersi a supremo giudizio, non considerando la validità delle altre discipline, che seppur in modo diverso propongono spunti di riflessione e di ricerca che andrebbero presi in considerazione, anche a costo di mettere in discussione le proprie strutture. A questo proposito Maturana sostiene esplicitamente che è proprio attraverso il coraggio di procedere per tentativi e ammettendo gli errori che la scienza diventa scienza. Lo scienziato ha una responsabilità etica, che è quella di valorizzare al massimo il potenziale creativo che ha a disposizione e di renderne partecipi i colleghi. Il progresso, continua Maturana, avviene per opera di una mente umana che, uscendo dalla propria inerzia, entra in una dinamica di opposizione nei confronti dell’oggetto di ricerca. I paradossi servono appunto a impedire la stagnazione della mente, ponendola di fronte a interrogativi e a problemi che non consentono un’immediata soluzione. La soluzione subentra solo quando il “caso scientifico” sia stato totalmente messo in discussione, con la conseguente (anche se non immediata) “accettazione” di un nuovo paradigma. Questo modo di procedere, osserva a sua volta Klein, lo si può definire “storico”, per il fatto che coglie la scienza come evoluzione legata a determinati contesti storici e non come voce universale e atemporale. Relatività e tempo, limite e contesto, sono le categorie in cui si svolge la ricerca scientifica e si sviluppano i paradossi. Con ciò viene stravolto il concetto stesso di teoria scientifica, che abbandona la pretesa di verità assoluta e abbraccia la possibilità di dimostrare errori e lacune. E’ certamente questa una strada più rischiosa, avverte Klein. Ma una teoria feconda non è mai il risultato di una deduzione lineare; la vera scoperta non è mai il frutto di ordinate concatenazioni: è sempre accompagnata dall’immaginazione, da un pensiero che proceda anche per associazioni, che sia intuitivo. «L’immaginazione è più importante della conoscenza» - ribadisce Klein, citando Einstein. La scienza, dunque, non può essere affidata né al puro rigorismo, né al semplice accoglimento del nuovo insito nell’immaginazione; ma occorre una feconda cooperazione fra immaginazione e razionalità, per dar vita ad una scienza nuova e completa. In definitiva - e su questo sembrano concordare entrambi i filosofi - una teoria è scientifica quando è capace di diventare paradossale, poiché proprio i paradossi segnano ad un tempo lo stato d’incompiutezza della scienza e il suo grado di maturità. D.M. 26 L’evoluzione storica dell’etica Alasdair MacIntyre in ENCICLOPEDIA, GENEALOGIA E TRADIZIONE. TRE VERSIONI (Massimo, Milano 1993) e Antonino Poppi in ETICHE DEL NOVECENTO . QUESTIONI DI FON DAZIONE E DI METODO (Edizioni Scientifiche Italiane, Milano-Napoli-Roma 1993) affrontano il tema dell’evoluzione storica dell’etica, ripercorrendone le tappe più importanti e analizzando come le diverse concezioni di uomo, storia, bene, male si sono evolute nel corso del tempo. RIVALI DI RICERCA MORALE La storia insegna che nulla resta uguale; non esiste realtà (nella contingenza) che possa darsi come universale, poiché ciò che accade, avviene in un contesto spazio temporale che pone già le coordinate dello svolgersi dei fatti. Ogni contesto è caratterizzato da canoni culturali, sociali che decidono i valori del momento. A partire da questa premessa, Alasdair MacIntyre e Antonino Poppi individuano le tappe essenziali dell’evoluzione etica, aprendo una accesa dialettica sulla validità o meno di alcune teorie morali vigenti in varie epoche. Alasdair MacIntyre affronta il problema etico confrontando più sistemi filosofici. La prima distinzione che viene messa in luce è quella tra enciclopedisti, sostenitori di una ragione unificatrice, guida del bene, e genealogisti, che non accettano l’idea di una ragione universale e disinteressata. Gli enciclopedisti, osserva MacIntyre, appartengono a quella categoria di filosofi che interpretano l’etica come somma delle idee di dovere, di obbligo, di giusto, di bene; proprio a questa concezione si ribellano i genealogisti. Ciò che per gli enciclopedisti delinea i tratti del bene e del male, del lecito e dell’illecito è un’autorità ora riconosciuta come razionale, ora come spirituale metafisica, la quale guida, o meglio stabilisce l’agire umano, riparando il soggetto da qualsiasi titubanza. Esiste cioè un ordine “cosmico”, per cui il valore delle azioni viene stabilito a priori; l’uomo non deve far altro che seguirne le direttive, senza interrogarsi sulla loro validità. Il secondo confronto proposto da MacIntyre è quello fra tre sistemi etici: aristotelico, agostiniano, tomistico, che seppure in forme diverse, sostengono tutti un’autorità, quale giusta morale da seguire. Punto in comune dei tre sistemi è la stretta connessione fra teoria e prassi morale: l’una esiste in funzione dell’altra; l’una è il mezzo l’altra il fine. La rottura che si verifica fra queste due categorie, rileva MacIntyre, determina il tramonto di un’etica fondata su leggi e norme indiscutibili in quanto universali; “muore” in tal modo quel sistema filosofico metafisico che imponeva un preciso AUTORI E IDEE concetto di “bene” e insieme indicava la via per realizzarlo, sottraendo al soggetto la possibilità di esercitare il libero arbitrio. Giunti ad una simile fase storica, osserva ora Antonino Poppi in Etiche del Novecento, ci si è trovati a dover fare i conti con un’etica lontana da un sapere fisso e oggettivo, estranea a norme intemporali già preconfezionate, indifferenti ai casi singoli: «la morale non consiste in un sapere teoretico di ciò che è eterno immutabile e necessario, bensì in un sapere pratico di ciò che avviene per lo più in dipendenza delle nostre scelte nelle diverse circostanze della vita». Ma l’addio definitivo all’etica metafisica (prima) e all’etica dell’autorità (poi), fa notare Poppi, ha portato a gravi conseguenze; la mancanza improvvisa di forti punti di riferimento è stata la causa maggiore di uno smarrimento totale. In questa particolare situazione il Nichilismo ha trovato terreno fertile, facendo il suo ingresso nella società, imponendo il crollo di qualsiasi valore, o concetto di valore, sia interno, che esterno all’essere umano. La manifestazione più evidente di tale ingresso è la totale anarchia, la libera espansione delle forze irrazionali dell’uomo e della sua natura, sino alla sua divinizzazione. Ogni soggetto sceglie e decide solo in base ai propri canoni morali; il vincolo esterno-sociale non conta, anzi occorre combatterlo per essere veramente padroni delle proprie azioni. I due autori che meglio incarnano questa posizione etica sono, secondo Poppi, Nietzsche e Freud, che attraverso il concetto di “superuomo”, il primo, e la scoperta dell’inconscio, il secondo, mettono a nudo le radici impure di tante nobili facciate della coscienza e della prassi umana. Entrambi, infatti, sostengono che l’individuo non necessita, e soprattutto non vuole essere guidato da alcuna norma morale, poiché la norma più giusta è la sua libertà. È in questa situazione, sostiene Poppi, che intervengono i filosofi, che hanno il dovere di scrutare una nuova “esperienza morale”, enucleandone i fondamenti, fissandone le misure, i criteri. Il valore morale è un darsi storico, legato all’affinamento della coscienza, nell’autocorrezione e nel superamento dei fenomeni involutivi che hanno oscurato la vicenda storica dell’umanità e della morale. In tal senso Poppi prende in considerazione il pensiero di Pietro Piovani, quale espressione di una nuova etica storica. Sulla base di una visione dinamica della personalità, Piovani fonda il criterio di rapporti umani e morali nei quali è preminente la categoria del rispetto. “La morale” si pone così come una delle attività che rendono umano l’uomo. D.M. Le costanti dell’essere L’individuazione dell’intrinseca necessità ontologica che, oltre (e, talvolta, contro) le esplicite intenzioni di ciascun singolo autore, connette le elaborazioni filosofiche in una “storia”, costituisce il presupposto di fondo, e insieme il fine, di un’opera postuma di Etienne Gilson, COSTANTI FILOSOFICHE DELL ’ ESSERE (a cura di R. Diodato, Massimo, Milano 1993), ora in edizione italiana. Composta per la metà da capitoli inediti, quest’opera rappresenta il frutto più maturo, dal punto di vista teoretico, della riflessione gilsoniana. Opera più dottrinale che storica, come rileva Jean-Francois Courtine, curatore dell’edizione francese (1993), Costanti filosofiche dell’essere costituisce una raccolta concepita come unitaria. Il filo conduttore del volume va rintracciato nel tentativo di Etienne Gilson, storico della filosofia (soprattutto medioevale), di coniugare la soggettività storica del filosofo con la necessità ontologica intrinseca al mondo delle idee, in cui la riflessione filosofica si muove. L’esperienza dell’essere, che per Gilson nutre qualsiasi genuina riflessione filosofica in quanto tale, fa sì che ciascuna singola filosofia non solo non risulti incommensurabile con le altre, ma anzi ne condivida il medesimo fondamento e contenuto: l’essere, appunto. Una prospettiva che, se non può essere definita hegeliana, mette però in gioco il problema di quel Medesimo, di quelle costanti ontologiche che, attraverso lo sviluppo delle cristallizzazioni della riflessione, permettono di accedere al loro senso immutabile. Con motivazioni diverse, Gilson prende posizione contro lo storicismo hegeliano o contro l’ontologia heideggeriana. Al “logicismo” di Hegel, che si prende gioco dell’affermazione kantiana della differenza fra il concetto e l’esistenza di cento talleri, Gilson muove essenzialmente l’accusa di astrattezza: la “generalità astratta” del concetto hegeliano dissolve l’essere, il “primo degli intelligibili”, in una molteplicità di concetti, nessuno dei quali ha rapporto con il mondo degli esistenti. In questo è forse possibile rintracciare una critica all’impostazione hegeliana quando Gilson ricorda di avere abbandonato l’idea, coltivata in gioventù, che il lavoro dello storico della filosofia fosse simile a quello di un guardiano di cimitero, costretto a contemplare, come accade per la nottola hegeliana, un paesaggio di realtà morte, consegnate alla considerazione veritativa nel loro presentarsi come fisse, cristallizzate. All’apice della sua maturità di studioso, Gilson è convinto che «in metafisica non esistono verità morte», 27 ma neppure inesauribili: le verità della metafisica ricevono il loro senso, e la loro verità, dall’inserimento in un contesto, dal loro essere espressione di quel filo logico - che è, poi, un “filo” ontologico - costituito dall’essere, che guida il loro sviluppo storico. Più problematica e articolata appare invece la presa di distanza di Gilson nei confronti della posizione di Heidegger, che si riassume per lui nell’oblìo dell’essere (ovvero, nell’oblìo della differenza ontologica fra l’essere e l’ente) da parte della metafisica nel suo sviluppo storico. A questo oblio Gilson oppone la validità della distinzione che fonda la tesi della differenza ontologica, pur negando che la storia della metafisica si risolva nel costante oblio di tale differenza. Ciò è vero, sostiene Gilson, per Aristotele e per molti dei suoi discepoli; ma dal tredicesimo secolo in avanti «il rapporto fra Sein e Seiende è divenuto il pomo della discordia tra filosofi e teologi». La metafisica di Tommaso d’Aquino costituisce, per Gilson, il più poderoso sforzo di pensare appunto l’essere all’interno della metafisica, ed è a Tommaso ch e vien e app unto rinviato Heidegger. Nella grande contrapposizione fra idealisti e realisti, che attraversa la storia della filosofia, in quanto esperienza dell’essere, e che vede schierata da un lato la tradizione nata in Grecia, dall’altro quella nata con Cartesio e prolungatasi in Kant, Gilson prende decisamente partito per la prima, in base alla “generalità metafisica dell’ente in quanto tale”: proprio come afferma la tesi fondamentale del realismo, secondo la quale il giudizio “l’essere è” ne accompagna necessariamente ogni altro, in quanto non si dà alcun ente di cui l’essere non vada, legittimamente e necessariamente, affermato. La fallacia fondamentale dell’idealismo (cioè del soggettivismo), nelle sue varie forme, consiste per Gilson nell’aver fatto del soggetto il fondamento ultimo dell’esperienza filosofica, dimenticandone l’aspetto metafisico essenziale, costituito, appunto, dalla sua valenza ontologica, dal suo “essere”. Ma di quale realismo si fa poi portavoce Gilson? Come ricorda Roberto Diodato, curatore dell’edizione italiana di Costanti filosofiche dell’essere, si tratta di un “realismo metodico”: «sia il realismo critico, sia quello immediato non sono altro che la soluzione di un problema inesistente: per Gilson il realismo è soltanto la proposta di un metodo, seguendo il quale si otterranno risultati tali, in sede di metafisica, da confermare la sua validità». F.C. TENDENZE E DIBATTITI “Cippo di Perugia”. Da San Marco (Perugia), III-II secolo a. C. 28 TENDENZE E DIBATTITI TENDENZE E DIBATTITI Filosofia della scrittura La questione dell’origine della scrittura solleva problemi che esulano da uno sguardo specificamente storico. Ciò risulta evidente dall’opera di Louis Godart, L’INVENZIONE DELLA SCRITTURA . DAL NILO ALLA GRECIA (Einaudi, Torino 1993), e da quella di Ignace J. Gelb, TEORIA GENERALE E STORIA DELLA SCRITTURA (trad. it. di L. Castri e R. Ronchi, a cura di R. Ronchi, Egea, Milano 1993). In esse affiorano questioni di carattere teoretico, relative al rapporto fra necessità strumentali e genesi della scrittura da un lato, e a quello fra scrittura e concettualità dall’altro. Un approccio filosofico a tali questioni viene offerto dall’ultima opera di Carlo Sini, FILOSOFIA E SCRITTURA (Laterza, RomaBari 1994). La tesi che guida lo studio di Louis Godart individua la motivazione della genesi della scrittura nell’esigenza di organizzazione e controllo sociali che, fra il quarto e il terzo millennio avanti Cristo, al termine dell’età neolitica, s’impone nelle civiltà dell’Egeo (Creta), Egitto e Mesopotamia. La funzione comune spiega l’indipendenza e, insieme, le analogie strutturali che nei tre ambiti culturali portarono alla nascita della scrittura. L’aspetto puramente strumentale, consistente nella comunicazione di informazioni, scivola in secondo piano rispetto alla funzione di potere esercitata, attraverso la scrittura, dall’organizzazione sociale. In altri termini, tale funzione non si determina come strumento del potere; piuttosto, e più radicalmente, la scrittura è il potere, coincide con esso, nel senso che la scrittura partecipa alla distribuzione gerarchica delle funzioni all’interno della società. Nel quadro prospettato da questa analisi, la dimensione sacrale della scrittura, il suo utilizzo cioè nelle pratiche di culto da parte di sacerdoti e devoti, riceve anch’esso una sua collocazione specifica, ma teoreticamente secondaria, rispetto alla più generale prospettiva che legge, nella scrittura, l’articolarsi della struttura sociale. La doviziosa documentazione storiografica messa in campo da Godart, che mostra la non contemporaneità, e la relativa, reciproca indi- pendenza, nel loro apparire, dei primi testi in Mesopotamia, Egitto ed Egeo, concorre alla dimostrazione di un’identità profonda, in condizioni diverse, dell’evento della scrittura nella sua essenza. Neppure in Teoria generale e storia della scrittura, di Ignace J. Gelb, appare come dominante l’approccio filosofico al problema della scrittura; al contrario, l’intento esplicito dell’autore consiste nel dar luogo a una teoria scientifica della scrittura, fondata sull’esame storico della medesima. Eppure, quello che viene qui sollevato è un problema genuinamente filosofico, il problema dell’origine della scrittura, quello cioè della sua nascita da un punto di vista “genealogico”, al di là della questione, di carattere meramente storiografico, circa l’inizio storico della produzione scritta. La ricostruzione storica di Gelb intende infatti, sin da principio, trascendere la prospettiva di una mera descrizione comparativa delle varie forme di scrittura, e si svolge invece all’insegna di una “teleologia immanente della scrittura”. La “grammatologia”, termine coniato dallo stesso Gelb, indica dunque la “scienza della scrittura” che è l’obiettivo di quest’opera, la cui rilevanza filosofica consiste, anzitutto, nel tipo di problematiche da essa suscitate. Alla ricostruzione della trama di liaisons philosophiques, che si connettono all’imponente testo di Gelb, è dedicata l’Introduzione di Rocco Ronchi, che intende con ciò porre in evidenza proprio la dimensione teoretica dell’opera, legata alla questione dell’origine della scrittura in quanto atto di nascita del gesto filosofico. Se per Jacques Derrida, che del termine “grammatologia” è stato il più autorevole diffusore, quella di Gelb non esce dai confini di una tradizionale ricostruzione storica della scrittura. Havelock, al contrario, che ha sottolineato l’importanza decisiva della forma di scrittura per la nascita del pensiero, riconosce a Gelb il merito di aver mostrato, con la sua ricostruzione “storica”, il legame tra pensiero e segno linguistico, tra concetto e grammata. Altrimenti riformulata, la questione può porsi nei termini della messa a fuoco della differenza tra l’alfabeto greco e le scritture, cuneiformi o ieroglifiche, precedenti. Differenza “fondamentale”, questa, nel senso 29 che essa fonda quella fra il pensiero filosofico greco e la speculazione orientale dei secoli precedenti. Qual è il legame fra scrittura e pensiero? Perché la filosofia nasce in Grecia, e non altrove, così come la scrittura alfabetica? In che cosa consiste la specificità dell’una e dell’altra? Se per Hegel la caratteristica essenziale della scrittura alfabetica consiste nel suo retrocedere dalla materialità sensibile, nel suo lasciare il posto a ciò che essa significa (adempiendo, con ciò, alla funzione propria del segno), in modo non troppo dissimile Gelb legge il passaggio dall’uno all’altro dei tre momenti decisivi da lui individuati (il principio sumerico di fonetizzazione, i sillabari semitici, l’alfabeto greco) nel “principio di economia”; nella riduzione, cioè, del quantum di equivocità presente nelle forme di scrittura, al fine di una “fonetizzazione” integrale. In questa prospettiva, la scrittura alfabetica si presenta come una costruzione teorica, che sottende un gesto tipicamente metafisico: la creazione di consonanti e vocali, che non possono essere rintracciate, se non in senso affatto improprio, prima dell’alfabeto greco. Questa invenzione di grammata aphona, cioè di segni corrispondenti a suoni inesistenti, presuppone infatti un’operazione metaempirica (meta-fisica) astrattiva, che scompone la voce in atomi ideali, per ricostituirla sotto forma di termine significativo, di concetto. La “storia della scrittura” di Godart, e soprattutto quella di Gelb, sollevano questioni prettamente filosofiche sull’essenza della scrittura alfabetica come specifica pratica di pensiero; meglio, come la pratica istitutrice del pensiero in quanto tale. Questo è anche ciò che emerge dalle riflessioni di Carlo Sini, contenute in Filosofia e scrittura, testo che nasce da un ciclo di incontri seminariali organizzato a Napoli nel 1992 dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Sini istituisce un nesso tra scrittura alfabetica e nascita della filosofia: filosofia è scrittura. Il carattere di atomicità dell’alfabeto, la sua pratica definitoria, classificatoria e strutturalizzante, la funzione di autoannullamento, che ne fa uno strumento universalizzante e trasparente nei confronti dei concetti che esso esprime: tutto ciò indica come la scrittura ponga le basi di questo pensiero e determini l’oriz- TENDENZE E DIBATTITI zonte nel quale esso si iscrive. Questi presupposti della pratica alfabetica determinano, ora, la nuova tipologia del lettore: universale, nella sua indipendenza da specifiche situazioni mondane, e perciò riflessivo, intento ad acquisire nozioni, mettendole a confronto con il proprio patrimonio culturale, che egli porta dentro di sé. Il tipo ideale di lettore della pratica alfabetica è il lettore silenzioso, che dialoga con se stesso, con la propria anima. Nasce con ciò il soggetto della metafisica, che perviene a una delle sue tappe più avanzate nel soggetto agostiniano-cartesiano, nel se stesso dell’età moderna, che ritiene di utilizzare strumentalmente la scrittura. In questo Sini si richiama ai giudizi di Platone sulla scrittura alfabetica, che avvertono del pericolo, in essa ìnsito, di porsi come la modalità espressiva del sapere, pur non essendo essa stessa sapere, bensì strumento. All’altro estremo della tradizione filosofica dell’Occidente Sini menziona Nietzsche, che riconduce la filosofia alla questione dello stile. Tuttavia, come Platone comprende i pericoli della logica definitoria, di quel sapere che egli stesso istituisce, per poter discernere tra l’ignorante (il sofista ciarlatano) e il sapiente, così anche Nietzsche è conscio del fatto che lo stile, la grande prosa, il ritorno alla retorica, soglia discriminante tra sé e la plebe, possono in realtà diventare nettare inebriante per quest’ultima. D’altra parte, osserva Sini, ciò cui fa segno lo stile della scrittura nietzscheana è ancora il soggetto. Ma la questione del soggetto «è la questione stessa della filosofia», che consiste nel nostro essere divenuti soggetti, “soggetti a”, soggetti alla pratica della razionalità occidentale, ovvero alla pratica della filosofia, che è la pratica della scrittura. Quando si assume questa impostazione, sostiene Sini, la questione del soggetto subisce una “rivoluzione etica”; il luogo del soggetto viene individuato proprio a partire da un esercizio, da una pratica, che è, anzitutto, la pratica della scrittura. Di qui, dunque, l’ “etica della scrittura” proposta da Sini: sulla superficie del “foglio-mondo”, «il gesto filosofico non si cancella dietro i segni dell’alfabeto, ma anzi si esibisce e si mostra, si manifesta e si rappresenta». F.C. Il mito e le sue mitologie In uno studio improntato ad una metodologia che l’autore definisce col termine di “epistemologia comparata”, Daniel Dubuisson in MITHOLOGIES DU XX SIÈCLE (Mitologie del XX secolo, Presses Universitaires de Lille, Lille 1994) confronta criticamente, in un’ampia rassegna di motivi teorici, le riflessioni sul mito di Georges Dumézil, Claude Levi-Strauss e Mircea Eliade. Assunto il mito quale narrazione dell’origine, discorso fondativo di una visione del mondo che pretende l’unità, Daniel Dubuisson mostra come l’analisi del mito, al pari del suo oggetto, tenda a generare una sua “mitologia”, ovvero un insieme di categorie che fondano un ordine interpretativo. La tesi non è nuova, ma viene ripresa in modo articolato da Dubuisson che apre la sua trattazione a partire dalla constatazione che gli studi mitologici abbiano costituito il terreno di crescita di alcune importanti teorie del XX secolo. L’opera di Dumézil individua nella tradizione mitologica e culturale indoeuropea la presenza di una struttura trifunzionale: quella della sovranità religiosa, della potenza guerriera e della fecondità. La possibilità di riconoscere nella struttura dei materiali mitologici il riflesso delle ideologie e delle forze sociali dominanti è l’acquisizione maggiore che Dumézil ha portato alla scienza della mitologia. Tale concezione sociologica del simbolismo viene messa in discussione sia dalla critica marxista, che individua l’inconseguenza “politica” del discorso di Dumézil - Dubuisson la fa dipendere dalla visione armoniosa e unanimista della società che Dumézil eredita da Durkheim - sia dagli strutturalisti, i quali, riconosciuto il debito metodologico verso l’autore di Mito ed epopea, affermano altresì l’autonomia delle strutture mitologiche dai contesti sociali. Nella prospettiva strutturalista di Levi-Strauss, diviene così centrale la nozione di Spirito, definito come «inconscio impersonale, immutabile e vuoto», astorico e fissato nelle sue categorie fondamentali. A governare la logica simbolica dello spirito, secondo Levi-Strauss, interviene un’esigenza d’ordine che percorre tutte le manifestazioni del pensiero mitologico, anche se diversi possono essere gli universi culturali che vengono prodotti dalle diverse popolazioni. Da rilevare poi come il passaggio dalla natura alla cultura, che rimane l’istanza centrale dell’opera di LeviStrauss, sia improntato ad una sorta di affinità fondamentale, implicita ma mai definitivamente assunta in sede metodologica, tra il funzionamento cerebrale dell’uomo e la struttura interna del mondo naturale. A questo modello Dubuisson rimprovera di procedere secondo una logica binaria che diventa riduttiva nel momento in cui tralascia gli aspetti narrativi, estetici e morali del mito. Proprio le aporie e le difficoltà legate all’accoglimento di un modello interpretativo unico, osserva Dubuisson, sono i nodi critici che hanno spinto tanto Dumézil che Levi-Strauss a forzare la ricerca in un senso metodologicamente più aperto. Preoccupazioni queste, che sostiene Dubuisson - non ha mai conosciuto Mircea Eliade, che pone al centro della sua riflessione il concetto di Sacro, custodito nelle tradizioni mitiche dei popoli primitivi. Il ruolo dello storico del mito e delle religioni è per Eliade quello del profeta che 30 tramanda il patrimonio spirituale delle origini. Il fine mistico, più che scientifico, di Eliade sarebbe allora di rammemorare il mito che è il luogo di rivelazione del sacro, ripristinando la religione rigenatrice e immemoriale. Nella visione di Eliade, il responsabile della rottura del quadro sacro dell’origine sarebbe stato il giudeo-cristianesimo che ha introdotto il concetto di storia e quindi la desacralizzazione del mondo. L’Ebreo appare quindi «il prototipo dell’avversario opposto al mantenimento di questa sacralità cosmica». A supporto di tale lettura che vede l’opera di Eliade governata da una “ontologia antisemita”, Dubuisson porta anche diversi elementi biografici: l’adesione alla Guardia di Ferro, la formazione filonazista rumena, gli scritti apologetici di Salazar, nonché la fascinazione per la violenza e il sangue che attraversa i suoi testi. Sono tutti elementi storicamente incontrovertibili. In sede critica, la domanda da porre è se un’ideologia polemica e “reattiva” come quella antisemita possa diventare il motore ideale di un’impresa intellettuale; oppure - considerando Eliade non più quale mitologo, ma individuo fascinato da un mito - se la definizione del “nemico” non sia uno degli elementi più oscuri di una logica mitica. E.N. Utopia: luogo felice che non c’è ancora Rifondare l’utopia come “progetto di una società giusta e fraterna”, storicamente realizzabile, è lo scopo che si prefigge la collana “Nuova Biblioteca Dedalo”, curata da Arrigo Colombo. Di questa collana fanno oggi parte UTOPIA E DISTOPIA (a cura di A. Colombo, Dedalo, Bari 1993), raccolta di saggi che analizza il concetto di utopia in funzione del proprio opposto, la distopia, LA REPUBBLICA PLATONICA (Dedalo, Bari 1993) di Cosimo Quarta, che si occupa del progetto platonico nella sua realizzabilità pratica, e L’ANNO 2440 (Dedalo, Bari 1993) di Louis-Sébastien Mercier, che analizza l’utopia come proiezione extratemporale. La collana “Nuova Biblioteca Dedalo” si propone di rifondare il concetto di utopia non tanto come forma letteraria bensì come progetto politico, storicamente realizzabile. L’utopia, presente in diverse epoche della storia, diventa in tal senso sia critica ai vizi e ai mali della società esistente, sia rappresentazione del suo “dover essere” paradigmatico e realizzabile al tempo stesso. Centrale nella collana è la raccolta di saggi Utopia e distopia, curata da Arrigo Colombo, in cui i concetti di utopia e distopia vengono analizzati sia nella loro accezione linguistica, che nel loro evolversi storico. Già Thomas More nella prima edizione TENDENZE E DIBATTITI Hans Holbein il Giovane, Tommaso Moro nelle vesti di Cancelliere, 1527 della sua Utopia - segnaliamo, a questo proposito, la recente pubblicazione della monografia di Cosimo Quarta, Thomas More (Cultura della Pace, Firenze 1993) aveva spiegato come il termine utopia giochi su un’ambiguità di fondo: in greco il prefisso ou come privativo al posto del solito a è raro e insolito; sicché si è pensato al termine utopia (il non-luogo) come derivato da eutopia (il buon-luogo). L’utopia diventa così “il luogo felice che non c’è ancora”. In tal senso la realizzabilità dell’utopia, il suo essere proposito storicamente realizzabile, diviene evidente in quell’ “ancora” che colloca il non essere dell’utopia nella contingenza del presente. L’utopia è quel progetto storico verso cui tende l’umanità intera, protesa alla ricerca di categorie universali e antropocentriche quali la razionalità, le virtù (giustizia e fraternità), la comunione, la prosperità e la felicità. Tuttavia, se l’esaltazione di tali valori porta alla costituzione di una “società giusta e fraterna”, la distorsione di questi stessi valori dalla loro connotazione originaria conduce all’esatto opposto. L’universalità delle norme genera ora l’intolleranza e la felicità collettiva va a discapito dell’individuo: il paradigma della felicità diventa il modello dell’infelicità; l’utopia diventa distopia, che viene a configurarsi ora come forma di quella società monolitica in cui l’uso delle macchine e della tecnologia portano ad un sistema totalitario e la razionalizzazione pianificata dell’esistente fissa l’individuo in una completa estraneazione. Tale sembra essere stato, ad esempio, il destino del comunismo, che con la normalizzazione delle virtù e l’annullamento nel singolo della proprietà e della differenza da utopia si è trasformato in ideologia catastrofica, ovvero in distopia. Un tipico esempio di utopia politica è quello descritto da Cosimo Quarta ne La Repubblica Platonica. L’ideale platonico, fondato metafisicamente sul mondo delle idee, rappresenta il dover essere dell’esistenza empirica. Secondo Quarta, il merito di Platone, sta proprio nell’aver reso la politica razionale, nell’aver fatto della politica una scienza che si distingue dall’arbitrio dell’uomo. La difficile realizzabilità dell’utopia platonica come la guida, cristallizzata nel mondo delle idee, alla praxis degli uomini non costituisce un limite alla Repubblica, ma testimonia che tra il mondo dell’essere e quello del divenire esiste sempre uno scarto. Così, ad esempio, la comunione dei beni e delle donne viene vista come rimedio alla ricchezza e alla povertà, come criterio per la realizzazione della giustizia e della fratellanza universale. Il tema dell’utopia come speranza e quindi come aspettativa con connotazioni religiose è invece il motivo centrale attorno al quale ruotano altre due celebri utopie: La 31 Città del Sole di Tommaso Campanella e L’anno 2440 di Louis-Sébastien Mercier. Per quanto riguarda La Città del Sole - di cui segnaliamo una recente edizione a cura di Santo Coppolino (Falzea, Reggio Calabria 1993) - è da notare come il progetto di uno stato teocratico unifichi l’umanismo seicentesco con la speranza di una struttura politica fondata religiosamente. Il fondamento dell’utopia non è più, come in Platone, la filosofia, bensì la religione, che in quanto estremo dover essere dell’uomo costituisce la base di uno stato etico, in cui la giustizia regna sovrana. L’utopia campanelliana costituisce una vera e propria ectopia, intesa come proiezione al di fuori dello spazio noto, che realizza il proposito eticoreligioso dell’uomo e che, per questo, si differenzia dall’escatologia, il cui progetto finale consiste nell’adeguamento dell’umanità al volere di Dio. Il deismo, la presenza della divinità nella natura, su cui si fonda l’utopia, avvicina L’anno 2440 alla Città del Sole. Ma a differenza di Campanella e del suo contemporaneo Thomas More, che realizzano le proprie utopie in un luogo altro, pur sempre però contemporaneo, Mercier proietta la sua utopia, governata come per Platone da filosofi, in una temporalità futura, realizzando una vera e propria ucronia. Il presupposto di questo genere di utopia diventa allora la concezione della storia come continuo progresso morale e sociale. A.S. TENDENZE E DIBATTITI Rinascita di Bachtin in Russia I “Voprosy filosofii” hanno riservato buona parte del primo fascicolo del 1993 a Michail M. Bachtin. I russi sono impegnati a recuperare il ritardo con cui hanno cominciato ad occuparsi rispetto agli occidentali - del loro principale pensatore in questo secolo. I materiali offerti dalla rivista sono raccolti sotto il titolo d’insieme M. M. BACHTIN E IL SUO CIRCOLO. Intanto, una nuova serie, “Bachtin sotto la maschera”, viene inaugurata con l’uscita del primo volumetto, in cui è ristampato IL FREUDISMO E GLI INDIRIZZI CONTEMPORANEI DEL PENSIERO FILOSOFICO E PSICOLOGICO (L ABIRINT, Mosca 1993) di Valentin N. Voloscinov, con un commento di Vitalij M. Machlin. E’ prevista la ristampa di IL METODO FORMALE NEGLI STUDI LETTERARI, di Pavel N. Medvedev. Il fascicolo dei “Voprosy filosofii” dedicato a Michail M. Bachtin contiene un articolo di Elena A. Bogatyreva, “M. M. Bachtin: ontologia etica e filosofia del linguaggio”; alcuni stralci, introdotti dalla stessa Bogatyreva, del saggio di Valentin N. Voloscinov, Marxismo e filosofia del linguaggio (di cui è prevista la ristampa nella serie “Bachtin sotto la maschera” dell’editore Labirint di Mosca); un altro articolo, “M. M. Bachtin e le tradizioni della filosofia russa”, di Natal’ja K. Boneckaja; la prima puntata di una rassegna di Vitalij L. Machlin, “Bachtin e l’Occidente” (la seconda e ultima puntata della rassegna di Machlin è uscita nei “Voprosy filosofii” di marzo 1993). Bogatyreva aveva presentato a suo tempo assieme a E. V. Volkova, nel “Bollettino dell’Università di Mosca” (Vestnik Moskovskogo universiteta, serie 7/Filosofia, 1991/1), un “ritratto filosofico” dal titolo: “Nel tempo grande della cultura: M. M. Bachtin”, con una scelta del frammento Per una filosofia dell’atto, dei primi anni venti, e di quello del 1959-1961 Il problema del testo nella linguistica, nella filologia e nelle altre scienze umane. Il nuovo articolo di Bogatyreva riprende le conclusioni del precedente sulla «compattezza dei lavori di Bachtin», e sul senso particolare in cui è possibile parlare «di una evoluzione, di tappe determinate nello sviluppo della sua concezione filosofica, culturologica, estetica». «Queste tappe, certo, ci furono: Bachtin approfondiva le idee e allargava il materiale empirico, tralasciava o spostava alla periferia qualcosa, e di qualcosa faceva la dominante dell’indagine». Il tema specifico, il drastico spostamento, a partire dalla metà degli anni venti, dalle questioni più immediatamente compromettenti della responsabilità morale tout court, a quelle più specialistiche e in definitiva esoteriche della responsabilità dell’intellettuale, dell’artista e dello scrittore, è stato trattato tanto più facilmente in sé, senza la minima sotto- lineatura delle circostanze. I risultati comunque ottenuti (e ormai noti) occupano insomma nella ricostruzione anche lo spazio, il vuoto drammatico e tutto da visitare, delle analisi rimaste a metà. «La filosofia della vita - aveva scritto per di più Bachtin in un passaggio di Per una filosofia dell’atto, non ripreso da Bogatyreva e da Volkova nel 1991, e riscontrabile ormai nella traduzione di G. Mastroianni, Pensatori russi del Novecento (L’officina tipografica, Roma 1993, p. 149) - può essere solo una filosofia morale». Marxismo e filosofia del linguaggio è uno degli scritti, che pur esibendo in copertina il nome di altri autori, di Voloscinov, appunto, di Medvedev, di Ivan I. Kanaev, si ritengono quanto meno ispirati da Bachtin, e come tali in qualche modo anche significativi del suo insegnamento. Nell’introduzione alla traduzione italiana di questo scritto, condotta sulla traduzione inglese (Dedalo, Bari 1976, con solo quattro pagine dal russo), Augusto Ponzio parlava di un rapporto delle concezioni di Voloscinov con Bachtin, «assai stretto e, in gran parte, di completa coincidenza». Proprio le pagine riproposte dalla Bogatyreva, il secondo capitolo e un pezzo del terzo della seconda parte, e il secondo capitolo della terza parte, suggeriscono una linea di lettura assai più prudente. Il discorso di Voloscinov non ha davvero, né lo stile né lo spessore teorico dei Problemi dell’opera di Dostoevskij. Questi furono, fra l’altro, tranquillamente pubblicati da Bachtin col proprio nome e presso lo stesso editore, Priboj di Leningrado, nello stesso anno 1929. In Marxismo e filosofia del linguaggio ricorrono «molte posizioni della filosofia del linguaggio bachtiniana», ma, secondo la stessa Bogatyreva, «come in forma ridotta», e abbondano professioni marxiste del tutto assenti in Problemi dell’opera di Dostoevskij. Mentre il merito principale dei romanzi di cui si occupava Bachtin è l’ “analogia” con la “tragedia”, ovvero e per esplicito l’esclusione radicale di un superamento dialettico della contrapposizione delle coscienze, Voloscinov dichiarava che «qui, come dappertutto, la verità non si trova nel giusto mezzo e non è un compromesso fra la tesi e l’antitesi, bensì sta fuori di esse, oltre di esse, essendo la stessa negazione sia della tesi, sia dell’antitesi, cioè essendo “sintesi dialettica”». L’articolo di Boneckaja e la rassegna di Machlin sono complementari. Per la prima, «la filosofia di Bachtin è duplice, e appartiene sia al corso del pensiero occidentale, sia alla filosofia russa, entrando nella sua ala sinistra -”pietroburghese”. Bachtin conosceva troppo bene il pensiero dell’Occidente, per non cedere al suo fascino, e oltre a questo era del tutto alieno dal principio slavofilo. Ma la religiosità ortodossa, benché avesse per lui un interesse puramente mentale, non poteva non instillare nel suo pensiero l’idea della onniunità. Il dialogo che penetra tutto l’esse32 re della personalità, è un’interpretazione di questa intuizione russa capitale nella sua coscienza filosofica. La stranezza, e insieme con questo l’attrattiva per noi delle vedute di Bachtin - è in questa combinazione in esse dei principi occidentale e russo, combinazione organica, passata attraverso la propria esistenziale esperienza del pensatore». L’ala destra, più conservatrice, del pensiero russo sarebbe stata quella moscovita. L’ “onniunità”, l’unità-distinzione di Dio, della natura e del genere umano, è la categoria fondamentale in Vladimir Solov’ev. Fra le ventisette monografie, raccolte di articoli, riviste in numero speciale, etc., procurate ultimamente in Occidente dall’entusiasmo per Bachtin e prese in esame da Machlin, figurano l’Introduzione a Bachtin di Paolo Jachia (Laterza, Bari 1992) e Tra semiotica e letteratura di Augusto Ponzio (Bompiani, Milano 1992). Di Ponzio, «noto semiotico italiano di orientamento marxista dell’Università di Bari, autore, se non sbaglio, dei primi libri nel mondo sul pensatore russo», Machlin ha dapprima ricordato il contributo del 1989, in realtà firmato con Angela Biancofiore, Dialogo, senso e ideologia. Secondo Machlin «qui per noi non è intanto importante, che il critico italiano prenda per “punto di partenza” in Bachtin quello che non è per niente tale; ma è importante che per Ponzio, come per molti umanisti occidentali della più diversa specializzazione, il “testo letterario” sia una specie di metafora di tutto quello “che ancora può essere vivo”, se si ricorda il pensiero di M. Holquist sopra citato. Noi diremmo di tutto ciò che ancora può essere visto e vissuto come coscientemente significativo, o nella terminologia di Ponzio, “ideologico”». Machlin ha poi continuato a proposito degli interpreti occidentali che sono riusciti ad avvicinarsi strettamente alla sostanza delle idee di Bachtin, «persino dove hanno luogo spiegazioni del tutto inadeguate e semplicemente assurde di queste idee». «Confrontando Bachtin e E. Levinas (quasi sconosciuto al nostro lettore) e contrapponendo Bachtin a Heidegger e Sartre, il marxista italiano A. Ponzio scrive nel suo ultimo libro su Bachtin: “Non esiste alcun privilegio ontologico e metafisico della coscienza dell’io, dato che la coscienza è inscindibile dal linguaggio, e il linguaggio è sempre altrui”. Il_libro di Ponzio, come la monografia dell’altro marxista italiano Jachia, come del resto anche i libri degli inglesi strutturalisticamente orientati, D. Lodge e D. Danow, sono degni di nota per il carattere non tanto creativo, quanto retrospettivamente-accademico. Libri di tal genere, “introduzioni a Bachtin”, sono evidentemente necessari ora in Occidente, specialmente per il marxismo occidentale “sovra accademizzato” e la semiotica strutturalistica. Sono produttivi persino i luoghi comuni, come il pensiero testé allegato di Ponzio: eppure in essi si manifesta proprio TENDENZE E DIBATTITI una necessità comune nella “sociologia” e “culturologia umanistica”; Bachtin, con la sua interpretazione non decostruttivistica, non “semioticamente-totalitaria” dell’ “alterità”, cioè dell’interna socialità, apertura, “incompiutezza” della personalità, di colpo è risultato “nostro” per l’appunto come Altro». Tornando ancora una volta, nell’introduzione all’edizione italiana del Bachtin di Katerina Clark e Michael Holquist (a cura di F. Pellizzi, Il Mulino, Bologna 1991), sulla questione sopra toccata dei rapporti della produzione di Bachtin con quella che va sotto il nome dei seguaci, o amici, Vittorio Strada ha osservato che «sembra più filologicamente fedele, e produttivamente bachtiniano, dare a Bachtin ciò che è di Bachtin e a Voloscinov e Medvedev ciò che è loro proprio». Non bisogna insomma “monologizzare”, per usare un “altro termine, negativo, tipicamente bachtiniano”, Bachtin . Che non sia troppo coerente, vedere in Voloscinov, etc., delle semplici “maschere” di Bachtin, lo hanno messo nel conto anche i redattori di Labirint. La nuova raccolta delle opere del cosiddetto circolo è tuttavia presentata così: «Michail Michajlovic Bachtin realizzò un fenomenale esperimento culturologico (se si può chiamare esperimento tutta una vita e una creazione), paragonabile alla mistificazione shakespeariana: una paradossale interazione dell’autore e dell’eroe, niente affatto simile a quello al cui studio principalmente nella letteratura artistica (come egli voleva convincerci coi suoi lavori firmati) Bachtin dedicò tanta energia. Nella creazione umanistica classica di testi l’autore inventa il soggetto del discorso (non una cosa monologica, bensì un soggetto dialogicamente vivo), nella letteratura artistica è questo l’eroe. Mentre qui anno per anno escono tre libri, di circa 200 pagine l’uno. Essi brillantemente palesano il loro soggetto, esercitando un’influenza importantissima simultaneamente almeno in tre discipline umanistiche indipendenti (psicologia, studi letterari, linguistica - questo è quello che si vede in superficie!) e solo dopo 35-40 anni i testi generano ai lettori il loro autore, che si manifesta con la stessa chiarezza e evidenza, con cui l’autore stesso è per noi il soggetto delle sue ricerche. M. M. Bachtin è diventato l’autore (definitivamente dopo la morte, mentre in vita egli non aveva mai dichiarato il suo essere autore, benché mai lo avesse neppure negato) per lo meno dei tre grandi lavori, da tempo noti nel mondo scientifico. Uno schietto gioco di prestigio, sotto gli occhi di tutti, senza alcun buttafuori shakespeariano! La rinascita dal testo dell’autore! Una dimensione umanistica non euclidea o quarta. E se Bachtin ritardò e modificò consapevolmente l’azione di questi testi? Se spedì una lettera non sigillata al futuro? Così, forse, è tempo di leggere il messaggio?» G.M. Retorica e/o filosofia Recenti studi francesi paiono testimoniare un interesse crescente per problemi d’oratoria fino a poco tempo fa interrogati principalmente da specialisti. E’ il segno di nuovi sofismi, oppure di una ricerca articolata tesa a ristudiare i rapporti, ora di alleanza, ora di rivalità, ora di sospetta complicità fra retorica e filosofia nel seno della cultura occidentale? Una risposta è offerta dall’edizione “economica” delle LETTRES À LUCILIUS (Lettere a Lucilio, a cura di P. Veyne, Laffont, Parigi 1993) di Seneca e dal dialogo di Luciano, HERMOTINE OU COMMENT CHOISIR SA PHILOSOPHIE (Ermotino o come scegliere la propria filosofia, a cura di J.-P. Dumont, PUF, Paris 1993). A ciò si affianca l’avvio di due nuove collane presso la casa editrice Les Belles Lettres di Parigi, l’una intitolata “La roue à livres”, l’altra, “Le corps éloquent”. Per retorica s’intende, il più delle volte, una logica complessa del discorso, la cui finalità principale è convincere, persuadere, sedurre. In quanto arte della simulazione, della seduzione e dell’inganno, la retorica non è ritenuta degna del discorso filosofico, che si vuole oggettivo, verace neutrale. Ma due fattori sembrano suscitare una ripresa (e forse anche una rivalsa) della retorica sulla filosofia. In primo luogo, la filosofia stessa, le cui pretese di oggettività sono da più parti e da molto tempo messe drasticamente in discussione, adotta più di quanto si possa pensare (o desiderare) pratiche di persuasione, seduttive e non solo argomentative; in secondo luogo, molti studi storico-filosofici si sono preoccupati recentemente di rivendicare il carattere filosofico della stessa retorica. In particolare, questa riabilitazione della retorica è oggi evidente in Francia; anche se non mancano tracce significative in Italia e in Germania. Ne è testimonianza la pubblicazione di alcuni classici greci e latini, destinati a un pubblico non di specialisti. Grande successo ha avuto l’edizione delle Lettres à Lucilius di Seneca, curata in modo eccellente da Paul Veyne; ancor più apprezzato per il suo carattere metà-satirico, metà-fantastico è Hermotine ou comment choisir sa philosophie, uno dei dialoghi più corrosivi di Luciano, in cui Ermotene, un vecchio filosofo stoico, si avvede, grazie a Lycinus, del carattere fumoso di tutte le correnti filosofiche. Infatti, uno scarto profondo resta sempre fra ciò che si dice e ciò che si fa. Di Luciano è di prossima uscita presso la casa editrice Les Belles Lettres anche il dialogo Les images (Le immagini). Si deve proprio a questa casa editrice l’inaugurazione di due collane molto interessanti: “La Roue à livres” e “Le corps éloquent”. La prima, diretta dal celebre storico François Hartog, da Michel Casevitz 33 e da John Scheid, si prefigge di pubblicare scritti, dall’antichità al Rinascimento, ingiustamente sconosciuti o dimenticati, perché troppo specialistici o eruditi. Non a caso il simbolo della collana, la ruota dei libri, un marchingegno immaginato da un umanista visionario del Rinascimento, rinvia alla possibilità fantastica di poter leggere al contempo più libri facendoli ruotare davanti agli occhi. Tra i titoli più significativi di questa collana figurano libri bellissimi e molto raffinati, come Les images (Le immagini) di Filostrato, e un’opera d’importanza capitale per la retorica e per l’estetica, come La donation de Constantin (La donazione di Costantino) di Lorenzo Valla; e ancora vi troviamo Dionigi d’Alicarnasso, lo Pseudo-Callistene, Geoffroy de Monmouth, Jean de Mandeville. “Le corps éloquent”, collana diretta da Pierre Laurens, Florence Vuilleumier, Nuccio Ordine, Yves Hersant, mira a far toccare con mano al lettore come l’idea astratta s’incarni grazie anche alla seduzione delle parole: seduzione estremamente concreta, perfino tangibile, olfattiva, acustica, che il corpo delle parole cela e impudicamente rivela. La parola retorica, così concepita, copre ogni livello culturale. Quello politico certo; senza con ciò volerne ridurne la portata: è il caso del Projet d’éloquence royale (Progetto di eloquenza reale) di Jacques Amyot, traduttore umanista di Plutarco e letterato incaricato di educare la favella del suo re, Henri II, uno dei re più discussi (bigotto, omosessuale, crudelissimo) e dei più abili nell’oratoria. Amyot scrive così un progetto di eloquenza per il re la cui pedagogia riflette al contempo una visione del mondo e una visione dei rapporti politici. Ma la retorica offre il proprio corpo anche e soprattutto all’arte; ne diviene complice nei trattati di poetica del XVI (si veda la pubblicazione imminente di Giulio Camillo, De l’imitation), poi alleata nella codificazione dei codici (si veda di Lope de Vega L’art nouveau de faire les comédies), poi rivale nell’antica concorrenza fra parole e immagine nell’arte della devisa (si veda di Emanuele Tesauro, L’idée de la parfaite devise), e infine antica maestra di nuove scritture (si veda E. Gadda, L’arte d’écrire à la radio). L’intreccio fra retorica e filosofia porta dunque a interrogarsi sul miglior modo di dire con veracità o almeno con verosimiglianza le cose del mondo. L’accomodatio allora non riguarda solamente la strategia di adeguamento al pubblico, ma anche il problema dell’aderenza del linguaggio alle cose: in questo nodo retorica e filosofia si stringono l’una all’altra come gemelli nemici. F.M.Z. TENDENZE E DIBATTITI Dresda, 1945 (veduta della città vecchia dalla torre del Municipio) Dio è morto? Dell’annuncio nietzscheano della morte di Dio, fanno parte queste parole d’eco platonica: «Ma tali sono gli uomini, che ancora per millenni rimarranno nelle caverne in cui si mostrerà la sua ombra». La fondamentale incapacità del nostro tempo di affrancarsi dall’ombra di Dio è al centro dello studio di Jean-Christophe Bailly, ADIEU. ESSAI SUR LA MORT DE DIEU (Addio. Saggio sulla morte di Dio, Ed. de L’Aube, La Tour d’Aignes 1993). Anche l’opera collettanea curata da Jean Delumeau, LE FAIT RELIGIEUX (Il fatto religioso, Fayard, Paris 1993) offre spunti interessanti sull’argomento, proponendo, tra gli altri, due contributi che individuano le principali tendenze dell’attuale congiuntura religiosa, contrassegnata dalla morte di Dio. Dopo aver brevemente delineato il percorso millenario che conduce dal tempo degli dei a quello di Dio e infine al nostro tempo, senza dei né Dio, Jean-Christoph Bailly si volge a sviluppare il motivo più originale di questo suo lavoro, basato su un riuscito gioco di parole: la nostra epoca «a Dio, in realtà, non ha detto addio». L’emancipazione dal divino è solo apparente, perché il lavoro del lutto è rimasto incompiuto; non si è verificato cioè quel processo di rielabo- razione del rapporto con l’oggetto perduto, che solo consente di liberarsene. Così, oggi, nel mondo “splende divinamente” questa assenza, che non è altro che una nuova forma di presenza. Non appena Dio si è ritirato su un piano diverso da quello della spiegazione razionale del mondo, al suo posto, osserva Bailly, è subentrato il “regno del capitale”, che non si riduce al capitalismo, a un modo di produzione economica, ma designa il processo di conversione dell’uomo alla produzione generalizzata. Hölderlin, ricorda Bailly, aveva annunciato “la fuga degli dei” e la venuta dei Titani, gli esseri di ferro protagonisti dell’età della tecnica: all’universo del divino subentrava l’ordine e la potenza della tecnica, capace di imporre una nuova percezione dello spazio e del tempo, di modificare profondamente le strutture della società e stravolgere le abitudini degli uomini. In questo avvicendamento, fa notare Bailly, l’uomo non ha in realtà voluto la morte di Dio, ma l’ha innavertitamente subita: l’uomo occidentale, contemporaneo, ha in qualche modo perso Dio per strada «e così scioccamente che non se n’è ancora reso conto». Per questo, secondo Bailly, non gli riesce di sbarazzarsi della sua ombra. L’affrancamento, suggerisce Bailly, passa attraverso il riconoscimento dell’impotenza dell’ateismo (che in quanto atteggiamento di negazione si rivela solo una strategia di difesa inadegua34 ta rispetto al problema), l’abbandono della sua arroganza e presunzione, per realizzare con pietas quella “proiezione nell’aperto” di heideggeriana memoria. Un riepilogo delle modalità più diffuse in cui si compie oggi la morte di Dio è fornito da alcuni dei contributi della raccolta Le fait religieux, curata da Jean Delumeau. Due sarebbero le tendenze principali: da un lato un agnosticismo diffuso, prodotto del clima di incertezza, della decadenza delle religioni istituite, testimoniato dalla comparsa della figura del “religioso indeciso” e di personalità ecclettiche; ma Dio sembra morire anche negli angusti limiti di una “cittadella dottrinale”, che si erge a monumento di una certezza assoluta, come testimonia l’aumento degli estremismi religiosi che fomentano ideologie esclusiviste. Proposito della raccolta è quello di esibire la presenza del divino nella diversità delle sue forme, ovvero di «presentare al pubblico l’essenza di ogni religione per consentire di coglierne la ricchezza e lo spirito». In realtà l’obiettivo appare ancora più ambizioso: incentrato più sul fatto religioso, che sulle religioni, l’antologia si propone di ritrarre l’«uomo religioso di tutti i tempi e di tutti i luoghi». Lo spazio del sacro è individuato come il luogo in cui l’uomo incontra ciò che lo supera, prende coscienza del suo limite e viene intimato a realizzarsi. Da questa relazione nascono modi di essere, linguaggi, simbolismi, riti, obbli- TENDENZE E DIBATTITI ghi, dei quali è possibile identificare le affinità, al di là delle differenze che definiscono la semplicità di ogni religione. Rispetto alle religioni dette “dei popoli senza scrittura”, maggiore spazio è riservato alle “religioni del libro” (cristianesimo, ebraismo, islam e le grandi religioni dell’Oriente), considerate, più che per le loro divergenze, per la loro comune collocazione nell’ambito di quella tradizione umanista, offuscata dalla modernità. A.M. Heidegger in America Già da parecchi anni, l’interesse per Heidegger ha invaso anche la scena filosofica anglo-americana, suscitando confronti critici, studi storici o approfondimenti monografici, riflessioni teorico-speculative. Un pullulare di testi dedicati a questo filosofo, apparsi recentemente a ritmo serrato in Inghilterra e in America, testimonia della vitalità interpretativa della cultura filosofica americana. Tra le monografie più importanti segnaliamo quella di Robert Bernasconi, HEIDEGGER IN QUESTION (Humanities Press, Atlantic Highlands1993), quella di Theodore Kisiel, THE GENESIS OF HEIDEGGER’S ‘BEING AND TIME’ (California University Press, Berkeley1994) e quella di Stanley Rosen, THE QUESTION OF BEING: A REVERSAL OF HEIDEGGER (Yale University Press, London-New Haven 1993). Notevoli anche alcuni volumi collettanei: READING HEIDEGGER : COMMEMORATIONS, a cura di John Sallis (Indiana University Press, Bloomington 1993); HEIDEGGER: A CRITICAL READER, a cura di Hubert L. Dreyfus e Harrison Hall (Blackwell, Oxford 1992); THE HEIDEGGER CONTROVERSY: A CRITICAL READER , a cura di Richard Wolin (Mit Press, Cambridge 1993); THE CAMBRIDGE COMPANION TO HEIDEGGER , a cura di Charles Guignon (Cambridge University Press, New York 1993). Da segnalare infine anche la ristampa dell’opera di George Steiner, HEIDEGGER (Harper Collins, New York 1993), e l’edizione inglese di MARTIN HEIDEGGER: A POLITICAL LIFE, di Hugo Ott (Harper Collins, New York 1993). Già nel titolo del suo lavoro, Heidegger in Question, Robert Bernasconi annuncia di voler mettere in discussione Heidegger; lo fa, esaminando gli aspetti più radicali del superamento heideggeriano della metafisica in un costante confronto con le dottrine capitali del pensiero occidentale e con i suoi momenti fondativi più importanti, tra i quali Aristotele, Kant e Hegel occupano una posizione di primaria importanza. Nelle sue ricostruzioni, Bernasconi è interessato a mettere in evidenza le strutture e le strategie argomentative di cui Heidegger si serve per attuare la sua distruzione della metafisica. Più storico, ma non meno interessante nei risultati, è lo studio di Theodore Kisiel, The Genesis of Heidegger’s ‘Being and Time’. Noto traduttore di Heidegger - a lui si deve la versione americana del corso universitario del 1925 Prolegomeni a una storia del concetto di tempo - Kisiel espone i risultati di un vasto lavoro di ricostruzione storico-genetica sulla nascita di Essere e tempo. Si avvale in questo di numerosi documenti inediti e di ricerche d’archivio che lo hanno portato a fare scoperte molto importanti. Viene proposta, per esempio, la ricostruzione completa del progetto del giovane Heidegger di comporre un libro su Aristotele, poi lasciato cadere, del quale ci resta una celebre sintesi: il cosiddetto “Natorp-Bericht”, una cinquantina di cartelle in cui Heidegger riassumeva la sua ricerca sullo Stagirita, che furono inviate a Natorp e che impressionarono a tal punto, per il loro vigore speculativo, che Heidegger fu subito nominato alla cattedra di filosofia dell’Università di Marburgo. Anche a proposito del trattato inedito Il concetto di tempo (1924), un’anticipazione vera e propria del nucleo tematico di Essere e tempo, Kisiel fornisce una ricostruzione assolutamente inedita della sua genesi e delle ragioni per le quali Heidegger rinunciò a pubblicarlo. Insomma, lo studio di Kisiel rappresenta la ricostruzione finora più convincente del cammino di pensiero compiuto dal giovane Heidegger fino a Essere e tempo, dove viene dato particolare risalto, più ancora che al confronto con Husserl o con Aristotele, all’elaborazione heideggeriana delle intuizioni del cristianesimo primitivo. Il testo più critico e originale è indubbiamente quello di Stanley Rosen, The Question of Being: a Reversal of Heidegger. Studioso attento del pensiero heideggeriano in modo particolare del problema del nichilismo con questo suo nuovo studio Rosen fornisce un contributo che è la somma di un lavoro di ricerca protrattosi per anni e che prospetta niente meno che un “rovesciamento” delle tesi di Heidegger secondo cui la storia del pensiero occidentale è la storia di una decadenza, e precisamente la decadenza rappresentata dal “platonismo-nichilismo”. A tal fine Rosen propone un accurato esame, punto per punto, del testo principale in cui Heidegger ha sostenuto tali tesi, vale a dire i due volumi su Nietzsche, e cerca di rovesciare l’assunto che attraversa, come un filo rosso, tutta l’immensa opera: per Rosen, cioè, la dottrina platonica dei due mondi non segna l’inizio della decadenza occidentale, ma è il caposaldo su cui poggia tutto il pensiero filosofico. Rosen polemizza dunque duramente non solo con Heidegger, che vede in Platone il primo nichilista e in Nietzsche l’ultimo, il “più sfrenato” di tutti i platoni- Hans Wimmer, Maschera di Martin Heidegger (1975) 35 TENDENZE E DIBATTITI ci, ma anche con le larghe schiere dei pensatori contemporanei che a questa linea si sono ispirati facendosi fautori e apologeti del nichilismo. Il volume di saggi raccolti da Richard Wolin, The Heidegger controversy: a critical reader, ha invece come tema principale la questione del coinvolgimento di Heidegger con il nazismo e dell’incidenza che esso ha avuto nel dibattito filosofico sul pensiero di questo autore. L’intento dichiarato di Wolin è quello di proporre una lettura critica e originale del pensiero di Heidegger. In realtà, ampiamente influenzato da Habermas, Wolin finisce per dissipare le proprie energie esegetiche in un duro attacco alle tesi di Derrida sui rapporti tra politica e filosofia in Heidegger, e al suo intento «di voler difendere l’innocenza di Heidegger dalle accuse di nazismo», nonostante Derrida stesso abbia sostenuto, molto chiaramente, l’impossibilità dell’innocenza politica di Heidegger. Incongruo appare poi il fatto che l’opera di Wolin termini con una illustrazione del dibattito heideggeriano in Francia, con riferimenti a Lacoue-Labarthe, Lyotard, Ferry e Renaut e allo stesso Derrida. Rientra in questa tendenza anche la traduzione inglese del noto volume del tedesco Hugo Ott, Heidegger, che indaga puntigliosamente il rapporto del filosofo con il nazismo. Molto utili, secondo una buona tradizione tipica dell’editoria americana, sono i volumi di readings su Heidegger curati da studiosi di rilievo. Reading Heidegger: commemorations, di uno dei maggiori esponenti dello heideggerismo americano, John Sallis, raccoglie le relazioni esposte nel 1989 a Chicago, in occasione della celebrazione del centenario della nascita del filosofo; da segnalare, soprattutto, il saggio di Derrida che vi è contenuto, in cui culmina la raccolta dei contributi internazionali degli studiosi intervenuti al convegno, sapientemente orchestrati da Sallis. L’obiettivo di Hubert L. Dreyfus e Harrison Hall, curatori di Heidegger: A Critical Reader, è cercare di verificare, attraverso una lettura ermeneutica dei testi, quali relazioni esistono tra il pensiero di Heidegger e la tradizione filosofica analitica, con particolare riferimento alla semantica di Davidson, alla logica della quantificazione e, soprattutto, al pragmatismo di Rorty. Prospettiva certo trasversale ed eccentrica, ma sicuramente stimolante e produttiva, che intende mettere in evidenza come «Heidegger non abbia fondato il suo pensiero su concetti quotidiani, ma su una pratica quotidiana: in ciò che le persone fanno effettivamente, non in ciò che essi dicono di fare». Visione che, per Rorty, avvicina Heidegger a Dewey e al secondo Wittgenstein, ma che rischia di far rientrare lo stesso Heidegger in quella lunga serie di riduzionismi che caratterizzano gran parte della filosofia occidentale, e di cui il pragmatismo rappresenta un ennesimo esempio. E.C. La coscienza e le sue “funzioni” L’intuizione fondamentale della teoria della mente di Daniel C. Dennett è che essa debba prima spiegare la nozione di contenuto e poi quella di coscienza. A questa necessità rispondono alla lettera due opere del filosofo americano, di recente disponibili in edizione italiana: L’ATTEGGIAMENTO INTENZIONALE (tr. it. di E. Bassato, Il Mulino, Bologna 1993), che ha come argomento il contenuto della mente, e COSCIENZA. CHE COSA E’ (tr. it. di L. Colasanti, Rizzoli, Milano 1993), interamente dedicato al problema della coscienza. Ciò che più sbalordisce nell’attività della mente è forse quello che nel secolo scorso Wilhem von Humboldt definiva come «l’uso infinito di mezzi finiti». Il cosiddetto «problema di von Humboldt» era appunto di capire in che modo le capacità combinatorie della mente vengono attivate. Negli ultimi anni, neurobiologi, filosofi della mente, psicologi cognitivisti, studiosi di intelligenza artificiale hanno avanzato ipotesi diverse, forse non risolutive, ma indubbiamente rilevanti per la comprensione del problema di von Humboldt, delineando una sorta di “mappa cerebrale”, secondo cui una certa combinazione di comandi neuronali si traduce in un certo movimento e raggiunge un certo obiettivo. Tuttavia la questione “basica”, la questione della coscienza umana, rimane ancora al centro del dibattito sull’agire intelligente degli esseri umani. La costruzione di una vera e propria teoria della mente ha guidato l’opera filosofica di Daniel C. Dennett, sin dai suoi primi lavori, come Contenuto e coscienza (trad. it. di Giulietta Pacini Mugnai, Il Mulino, Bologna 1992). La sua intuizione fondamentale è che la teoria debba spiegare prima la nozione di contenuto, cioè spiegare il fatto che la mente è diretta-a o fissata-su qualcosa, e poi la nozione di coscienza. E già a questo livello Dennett si oppone a molti altri autori, per esempio a Thomas Nagel e a John Searle, che vorrebbero procedere all’inverso: spiegare l’intenzionalità della mente a partire dalla coscienza. Nel suo The Rediscovery of the Mind (1992), Searle mette in atto una critica “sistematica” delle diverse teorie della mente, ritenendo che, in un senso o nell’altro, i materialisti di ogni genere, i funzionalisti, i freudiani e gli psicologi computazionali sono tutti in errore. Obiettivo di Searle è dunque da un lato dimostrare perché queste teorie della mente siano sbagliate, dall’altro fornire una descrizione della coscienza alla luce della propria teoria, che Searle chiama “Biological Naturalism” e che sostiene l’esistenza di una relazione mente-corpo (the mindbody relation) come risposta radicale al dualismo cartesiano. Searle ritiene infatti che gli stati della coscienza, le intenzioni, non siano riducibili a qualcos’altro e che essi stessi abbiano potere causale: il menta36 le stesso è “fisico”, nel senso che le proprietà biologiche sono fisiche e le proprietà mentali sono biologiche. La coscienza e l’intenzione sono per Searle dei «primitivi». Qualsiasi stato mentale è intenzionale, anche gli stati inconsci, perché essi sono stati disposizionali per produrre stati coscienti. Per Dennett invece Intenzioni e Coscienza sono elementi diversi della mente; per fornire un modello adeguato della mente umana, non è possibile partire dalla coscienza, ma è necessario analizzarne prima i contenuti, le intenzioni. La teoria dell’intenzionalità che Dennet elabora in L’atteggiamento intenzionale non si occupa quindi della coscienza, ma dei suoi contenuti, degli oggetti, o “sistemi intenzionali”, che definiscono l’atteggiamento intenzionale di un essere umano. Contenuti e oggetti che per Dennett stanno alla base della teoria della coscienza, ma che non costituiscono essi stessi la coscienza, bensì le sue funzioni, quel “contenuto mentale”, senza il quale non si darebbe neppure “coscienza”. Della mente Dennett parla senza “pudori” nel suo ultimo lavoro, Coscienza, in cui emerge in modo radicale il carattere innovativo della sua posizione. Dennett è un funzionalista: per lui spiegare la coscienza significa spiegare come è fatto un meccanismo che assolve le funzioni della coscienza, un meccanismo che sa fare tutte le cose che sa fare la coscienza. I poteri della coscienza sono soprattutto poteri di autocontrollo, autoregolazione e autostimolazione, che consentono l’esecuzione di compiti strategici e organizzativi complessi. Per Dennett occorre abbandonare, oltre all’eredità cartesiana del dualismo mente/ corpo, anche il modello della coscienza come “teatro cartesiano”, il mitico luogo del cervello in cui i dati della percezione e della memoria verrebbero organizzati in una presentazione coerente, il luogo cioè in cui si prenderebbe coscienza di una cosa. Al teatro cartesiano Dennett oppone il modello delle “molteplici versioni”, proponendo la metafora della “continua revisione”, che ha la funzione di fissare nella coscienza e nella memoria immagini e accadimenti, anche se non impedisce che gran parte del materiale “revisionato” sparisca senza lasciare traccia. La differenza fondamentale tra il modello delle “molteplici versioni” e quello del “teatro cartesiano” è che mentre il primo ha le caratteristiche di un’ipotesi scientifica, il secondo è solo una “cattiva metafora” che non spiega nulla; lascia la coscienza nell’alone di mistero in cui già si trovava. L’obiettivo polemico di Dennett è costituito dai sostenitori della coscienza intesa come qualcosa di irriducibile, di misterioso e incomprensibile, senza provare nemmeno a immaginare la complessità del sistema di cui parla. Se ci provasse si renderebbe conto che a certi livelli di complessità, non è più evidente che non ci sia coscienza. Anzi, a tali livelli non è rimasto molto di evidente: la nostra immaginazio- TENDENZE E DIBATTITI ne non è abbastanza allenata per parlarne in modo sensato. E il tentativo di Dennett è allora quello di demistificare e di consegnare all’argomentazione scientifica, al ragionamento, l’argomento tabù costituito dalla coscienza. «Un mistero - afferma Dennett - è un fenomeno sul quale la gente non sa ancora ragionare». Come oggi riusciamo, grazie alla fisica delle particelle, alla cosmologia o alla genetica molecolare, a ragionare su quelli che un tempo erano i “grandi misteri”, il mistero dell’origine dell’universo, il mistero della vita e della riproduzione, il mistero del tempo, dello spazio e della gravità, così dobbiamo riuscire a comprendere come porre domande ben formulate anche sui problemi della mente umana. «Potremo sempre sbagliarci - aggiunge Dennett - ma almeno sapremo come dobbiamo trattare la questione per trovare risposte migliori, cioè più accettabili». E.C. Comunicare Tre studi, apparsi recentemente in Francia, affrontano da prospettive diverse il tema della comunicazione. L’ultimo lavoro di Michel Serres, LA LÉGENDE DES ANGES (La leggenda degli angeli, Flammarion, Paris 1993), utilizza la forma classica del dialogo per passare in rassegna i modi della comunicazione contemporanea e mettere in guardia dalle insidie dell’era dell’informazione. Anche L’ART DU MOTEUR (L’arte del motore, Galilée, Paris 1993) di Paul Virilio lancia un grido d’allarme per il proliferare delle tecnologie dell’illusione, che, con il loro potere di suggestione, inducono l’individuo a instaurare un rapporto deforme e pericoloso col mondo e con se stesso. L’analisi svolta da Gilles Deleuze in CRITIQUE ET CLINIQUE (Critica e clinica, Minuit, Paris 1993) si incentra invece sull’espressività della parola letteraria come forma piena e compiuta della comunicazione. Per Gilles Deleuze, esprimersi, comunicare vuol dire «creare una lingua nella lingua», deviare dal linguaggio comune verso modalità linguistiche inedite: una sorta di “delirio”, concesso in primo luogo a letterati e artisti, i soli a godere del privilegio di infrangere le regole della lingua per inventare un linguaggio nuovo. Eloquenti in tal senso risultano le parole di Proust poste in exergo a questa raccolta di saggi: «I bei libri sono scritti in una forma di lingua straniera». Da Spinoza e Melville a Nietzsche e ai due Lawrence, da Kafka ad Artaud, l’opera di Deleuze considera le scritture più varie come esempi di creazioni linguistiche. Quattro sono le questioni attorno alle quali ruotano i 17 saggi della raccolta: «in che modo un’altra lingua si crea nella lingua, per cui il linguaggio intero tende verso il suo limite o il suo proprio “fuori”»; «in che modo la possibilità della psicosi e la realtà del delirio si inscrivono in questo percorso»; «in che modo il fuori del linguaggio è fatto di visioni e di audizioni non-linguistiche, ma che solo il linguaggio rende possibili»; «in che senso gli scrittori sono pittori e musicisti». Il processo di formazione di questo “delirio” lo si può intendere come un continuo sfrangiamento della lingua comune in una molteplicità di modalità espressive che costituiscono tentativi pionieristici di traduzione - e costituzione al tempo stesso - del non linguistico (il “limite” del linguaggio) in parola. Questo processo di creazione di una lingua, o meglio di molte lingue nella lingua, è tale da far saltare nel contempo qualsiasi idea di unità, di verità e di soggettività della lingua, mentre ci svela la priorità ontologica del linguaggio e dell’atto espressivo rispetto al suo “fuori”. Di fronte alla molteplicità dell’espressione ogni scrittore, con la sua trama di segni, inaugura una modalità del percepire, del vedere e del sentire che ne fa un “pittore” e un “musicista”. Deleuze stesso si rivela tale in Critique et clinique, opera che non presenta una struttura unitaria, né ha carattere monografico, ma è essa stessa esempio di come si costruisce “una lingua nella lingua”. È invece ricorrendo alla forma classica del dialogo che Michel Serres affronta il tema della comunicazione in La légende des anges. Due i personaggi, dai nomi eloquenti: Pia, un medico, e Pantope (dal greco “che sta ovunque”), rampante ispettore dell’Air France. Il luogo è l’aereoporto, moderna agora. La presenza di un fuori testo, attraverso il quale l’autore risponde in anticipo alle domande dei lettori, mantiene viva nel testo la forma del dialogo continuo. Tra le numerose illustrazioni che accompagnano il testo, quella che raffigura un quadro di Raffaello ci suggerisce la chiave esplicativa del titolo: vi è rappresentata la statua di Hermés, messaggero degli dei, rotta in diversi pezzi. I frammenti di Hermés sono angeli, moltitudine di messaggeri, che nell’insieme simbolizzano il mondo contemporaneo come mondo della comunicazione pluridirezionale. Serres distingue ora tra angeli “buoni”, quelli che si eclissano, si fanno da parte per far risaltare il messaggio, e angeli “cattivi”, quelli che invece occupano e occultano questo messaggio. Questi ultimi sono corrosi dal potere; gli altri sono mossi dall’amore, sentimento che Serres considera la forma di dialogo più intensa. In opposizione a una nozione così “alta” di comunicazione, Serres rileva tuttavia come quasi tutti i canali della comunicazione culturale abbiano subito oggi una sorta di ostruzione; se nel mondo degli angeli le comunicazioni sono facilitate, il loro moltiplicarsi provoca tuttavia intasamenti che rendono la comunicazione stessa inefficace. Un’analisi della comunicazione mediatica 37 è contenuta ne L’art du moteur di Paul Virilio. L’intento dei media, fa notare Virilio, «non riguarda più tanto ciò che sono capaci di mostrare, ma quel che sono in grado di cancellare, di nascondere, e che ha costituito finora l’essenziale del loro potere». Dopo Vitesse et politique. Essai de dromologie (Velocità e politica. Saggio di dromologia, 1977; trad. it. 1982), Virilio ha continuato a indagare il paradosso dell’accellerazione storica e tecnica che, se inizialmente riguardava solo lo spazio, oggi investe anche il tempo, con il risultato di uno stravolgimento della relazione dell’uomo con il mondo, all’insegna dell’ubiquità e dell’instantaneità. Quattro sono le fasi che scandiscono tale processo, segnato dalla corrispondente invenzione di quattro “motori”: il motore a vapore, a scoppio, elettrico, e da ultimo, il “motore informatico”. Quest’ultima invenzione porta con sé la smaterializzazione dello spazio e lo svanire dell’esperienza del tempo: «La fusione/ confusione di informazione e informatica», osserva Virilio, ha portato allo sviluppo «di un arte del motore capace di ritmare la perpetua mutazione delle apparenze». La “dromologia” di Virilio punta a individuare legami e contiguità tra più epoche e forme di vita sulla base del ruolo che in esse gioca il fattore velocità. Se nel mondo animale l’aumento della velocità è fondamentalmente una reazione indotta dalla percezione del pericolo, la velocità di spostamento realizzata dall’uomo attraverso le macchine si caratterizza come una sofistificazione della fuga. Nel passaggio dall’età dell’automobile a quella dell’audiovisivo la possibilità di essere dislocati in mondi diversi si profila al tempo stesso come tendenziale annullamento del reale. Già in La machine de la vision (La macchina della visione, 1988; trad. it. 1989), Virilio aveva illustrato come l’avvento dell’informatica e della telematica concludano un processo di derealizzazione che se prima portava alla scomparsa del corporeo a favore della macchina, si configura poi come sparizione di quest’ultima a favore del messaggio: è quel che Virilio chiama “derealizzazione informatica” che conduce oggi alla «sconfitta dei fatti, perché l’informazione supera ormai la realtà dell’avvenimento». Ciò che si rischia di perdere in questo vedere tutto e sentire tutto è lo scarto tra realtà e rappresentazione. «Assistiamo a un colpo di stato informazionale» - sostiene Virilio, mettendo in guardia per l’abolizione di ogni prospettiva spazio-temporale, imposta dalla tirannia dell’informazione in tempo reale. Con l’avvento di quest’ultima è il messaggio stesso a passare in secondo piano rispetto al colpo sensazionale della rivelazione, a cui fa riscontro l’ “oscuramento del senso”, il deprezzamento di qualsiasi contenuto informativo. Lo sconvolgimento del rapporto dell’uomo con se stesso, fa notare Virilio, accompagna questa mutata percezione della realtà. Si tende a «trattare il vivente come una TENDENZE E DIBATTITI macchina da accellerare costantemente», in grado di agire pur rimanendo immobile in un mondo inesteso, tendenzialmente “ridotto a nulla”. Virilio non esclude l’apparizione addirittura di una «nuova specie occidentale maggiormente equipaggiata», un uomo tecnologico “integralmente sovraeccitato”, ma depresso nella sua vitalità, in grado di colonizzare, se non fagocitare l’ambiente. Un grido d’allarme e di battaglia umanistico quello lanciato da L’art du moteur, che non si rassegna all’ineluttabilità dell’odierna accellerazione e al destino di nientificazione che accompagna lo sguardo mediatizzato, consegnato alla macchina. A.M. Ebraismo dopo Auschwitz È sicuramente degno di nota che a breve distanza di tempo siano stati pubblicati in Italia, e ad opera di autrici italiane, ben due libri, PENSARE DOPO AUSCHWITZ. ETICA FILOSOFICA E TEODICEA EBRAICA (Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1992), di Silvia Benso, e FEDE EBRAICA E ATEISMO DOPO AUSCHWITZ (Benucci, Perugia 1993), di Irene Kajon, che già nel titolo portano un riferimento al “dopo Auschwitz” come sfondo “obbligante” del pensiero contemporaneo, e di quello “ebraico” in particolare. La cosa è ancora più degna di nota se si pensa a quanta poca eco hanno avuto in Italia i dibattiti sull’argomento, condotti altrove, specialmente negli U.S.A.. Da questo punto di vista, e innanzitutto, entrambi questi lavori costituiscono per il lettore italiano una straordinaria miniera di informazioni non altrimenti disponibili. Certo, la ricerca di Silvia Benso pare esibire qualche intenzione in più, rispetto a quella di Irene Kajon, nel senso di una rielaborazione concettuale in proprio. In effetti, la prima sezione di Pensare dopo Auschwitz si presenta come una fenomenologia del “(poter) pensare Auschwitz oggi”. Tale fenomenologia, dove non manca il ricorso sapiente a “figure” attinte ovunque esse si offrano (come le molte suggestioni tratte da narratori-testimoni come Elie Wiesel e Primo Levi) si costruisce certo, in larga parte, per antifrasi e antitesi - il “pensiero dell’identità”, già “anche” illuministico, costitutivamente incapace di rapportarsi all’alterità ebraica, che porta dritto all’indifferente machinerie dello sterminio; le visioni universalistiche e “progressive” della storia che tentano pateticamente di ammortizzare entro di sé l’evento spartiacque del nostro tempo, il tremendum, come lo chiama Benso sulla scorta di Arthur Cohen; l’incapacità congenita dell’aspirante “pastore dell’Essere”, Heidegger, al di là delle sue compromissioni “pratiche” col nazismo, a comprendere la cesura nel e dell’Essere rappresentata dalla Shoah; ecc.ecc. Ma la pars destruens finisce col far posto ad una riflessione ravvicinata (che definire “costruttiva”, visto l’argomento, suonerebbe alquanto poco perspicuo, ed anche un po’ derisorio) sulla “cesura”, appunto, e sull’ “interruzione” che per il pensiero contemporaneo - il “nostro” pensiero - deve rappresentare Auschwitz. Qui i punti di riferimento emergenti, tra molti altri, sono, pour cause, l’Adorno della Dialettica negativa e, più a monte, il Benjamin delle Tesi di filosofia della storia, con il suo invito pressante a imparare a vedere la storia “dalla parte dei vinti”. Ed è cesura e interruzione non soltanto per la storia, e per lo sguardo ermeneutico che cerca di rintracciare, in quella storia, le vestigia della verità. Più radicalmente - e molto al di là di una ormai tradizionale “apertura all’etico”, o, per dirla con Lévinas, all’ “altrimenti che essere” -, è proprio dell’Essere che ne va in prima persona, quel «essere-stato» delle vittime che «attraverso l’appello con cui invoca attenzione - così si esprime Benso suggerisce la possibilità di un essere che deve ancora venire, un essere-che-sarà»: «L’attenzione al particolare così come si dà nella storia, la risposta al suo richiamo, l’impegno a preservarne integra la frammentarietà, costituiscono il cammino che la filosofia dopo Auschwitz deve esplorare e intraprendere, se vuole rimanere pensiero dell’essere, filosofia e non retorica, amore per la verità e non sofistica». Coerentemente, documento “anche” filosofico per eccellenza diventeranno allora, osserva Benso, le testimonianze delle vittime, le narrazioni, i diari e i disegni: segni tutti di quel manifestarsi estremo dell’Essere - sullo sfondo della frattura prodottasi pure, con Auschwitz, nella parola e nella lingua- che ha da costituire, ormai, il nostro peculiare oggetto di riflessione. Se, talvolta, la fenomenologia offerta dalla Benso, con la sua apparente perentorietà, deve proprio far sorgere qualche istintiva riserva critica, essa è dello stesso ordine di quella consapevolezza che percorre il libro da un capo all’altro: del “pensare Auschwitz”, e del ripensare l’Essere alla sua luce, non si può dare (più) sistema. Una volta definite in modo così puntuale le premesse - e l’ambito insuperabile e inaggirabile del discorso -, nella seconda parte della sua ricerca Benso passa in rassegna alcune di quelle risposte contemporanee al “problema di Auschwitz” di cui si accennava all’inizio, e accentra la propria analisi, com’è pur ragionevole, sui problemi teologici e “di teodicea” sollevati dal genocidio. Alla fine, una certa condizionata preferenza pare accordata da Benso a una concezione che (dai molti spunti contenuti nella tradizione ebraica; alla kabbalah luriana del tzimtzum, e cioè l’atto con cui Dio si ritrae, dopo la creazione, dal mondo, con tutte le conseguenze incalcolabili che si possono immaginare; fino ai tantissimi suggerimenti 38 di autori contemporanei, ebrei e non, Bonhoeffer, Buber, Hans Jonas e molti altri, che della questione si sono occupati) dia conto dell’ “impotenza di Dio”, manifestatasi sotto il cielo di Auschwitz, senza espellere, con questo, la presenza divina dall’orizzonte dell’uomo, e inquadrando anzi il “problema del male” in «una nuova comprensione del rapporto tra essere umano e Dio - rapporto aperto alla speranza futura, e non collassato dal male presente nella storia». Con queste conclusioni di Benso non siamo lontanissimi dalle assunzioni critiche di Irene Kajon. Anche Kajon incentra il suo discorso - intenzionalmente e modestamente più espositivo delle “opinioni di altri” riguardo ai temi in analisi - sul rapporto tra uomo e Dio “dopo Auschwitz”, individuando tre fondamentali tipologie di risposta filosofica e teologica. Dopo la risposta più “tradizionale” di I. Maybaum che, a metà degli anni sessanta, propone Auschwitz come “sofferenza vicaria” degli ebrei per i peccati degli altri, la prima tipologia ad emergere è quella “atea”, dove il termine sta ad indicare, più che non una presupposizione metafisica, la consapevolezza, da parte dell’uomo, e in particolare dell’ebreo, di dovere, in una certa misura, fare a meno di Dio, avendone sperimentato fino in fondo il “silenzio” e l’ “assenza”, e cavarsela da solo sulla scena della storia (Rubenstein, Fackenheim, Neher). La seconda risposta è la replica confutatrice della prima, e si manifesta in un tentativo di riaffermare, sia pure su basi diverse da quelle del passato, le ragioni della teologia speculativa ebraica, spingendosi fino ad un’ardita ridefinizione dell’essere di Dio (Berkovits, A. Cohen, Jonas). Se, in questo modo, viene esaltata da “atei” e “nuovi teologi”, rispettivamente, la centralità dell’uomo o di Dio, la terza risposta esaminata da Kajon si proporrà come una sintesi e, insieme, un superamento delle prime due posizioni e delle loro ragioni. L’interrogazione di Auschwitz è soltanto la manifestazione radicale della domanda sul male nel mondo, tale da mettere in scacco la teodicea vecchia e nuova. Ma è attraverso il «rapporto etico tra un uomo e un altro uomo» che si può rintracciare «la connessione tra la realtà del male e la Trascendenza», e che si può ricomprendere Dio come «un Infinito che, pur comprendendo in sé, in quanto tale, la totalità dell’esistenza, rimane, tuttavia, separato da essa» (p.138). E non è un caso se i nomi evocati qui da Kajon siano quelli di M. Buber e E. Lévinas, oltre a quello, assai meno noto, di I. Greenberg. Insomma: a contare veramente non sono tanto le proposte conclusive, diverse e diversamente argomentate nei due testi qui presentati, quanto la comune consapevolezza del problema costituito da Auschwitz per il pensiero non soltanto ebraico. Dove le ricadute non sono, beninteso, soltanto di ordine etico, ma sono tali da mettere in causa l’intera struttura e l’intero apparato categoriale della nostra riflessione. M.C. TENDENZE E DIBATTITI Classe di Talmud (Cecoslovacchia, 1938) 39 TENDENZE E DIBATTITI Primo piano: filosofia e computer Su carta o in floppy disk? I filosofi in formato elettronico Quasi tutti sanno che cos’è un testo elettronico. In un certo senso è quello che vediamo scorrere sul tabellone dei treni alla stazione ferroviaria o la pagina di televideo; ma soprattutto è il prodotto del lento movimento dei nostri indici sulla tastiera del computer, o il contenuto di un CD-rom che abbiamo occhieggiato in biblioteca. Molti sono al corrente del fatto che centinaia di classici della storia del pensiero sono ormai disponibili in questo formato; pochi sembrano però avere le idee chiare su che cosa mai dovremmo farci con questa biblioteca elettronica. L’elemento tecnico fondamentale è facilmente individuabile. Come nel caso delle banche dati (si veda “Informazione Filosofica”, n.16, 1993) e contrariamente a quanto avviene con il volume cartaceo, o ancora con il televideo, la digitalizzazione di un testo permette l’individuazione automatica di strutture simboliche (di solito stringhe alfanumeriche), che rendono possibile una certa interazione con il testo. La domanda tuttavia rimane: che cosa ci permette di fare un testo elettronico che non possa fare altrettanto bene un testo tradizionale? La maggior parte di coloro che hanno a che fare con un filosofo in formato elettronico utilizzano lo strumento come un “cerca parole”. Si può scoprire se e dove Kant fa riferimento al cane di Crisippo, se Cartesio cita mai Sesto Empirico o in quali scritti di Platone si trovi l’espressione en triodo genomenos. Una volta completata la nostra piccola indagine lessicale, torniamo alle pagine a stampa che abbiamo tra le mani. La versione elettronica serve solo come mezzo di supporto per penetrare meglio il libro che stiamo studiando. E’ uno strumento utile e flessibile da tenere sulla scrivania, ma non è indispensabile. Il lato positivo di questo atteggiamento moderatamente pragmatico è che esso fa piazza pulita sia dello scetticismo ingiusti- ficato, per cui i testi elettronici sarebbero inutili, sia delle fantasie più spericolate, secondo le quali le future generazioni non sapranno neppure che cosa è un libro stampato, allo stesso modo in cui oggi nessuno legge più codici miniati. Grazie anche a questo approccio, di tipo “consulta e spegni”, la scelta di ciò che deve essere digitalizzato o meno si è fatta più ecumenica. Oggi meritano la promozione a testi elettronici non solo tutti quei volumi che di per sé sono stati già pensati come strumenti di consultazione (si pensi alle enciclopedie filosofiche), ma anche i cosidetti classici, o meglio quelle opere filosofiche che una certa tradizione culturale considera necessario conoscere per la preparazione di uno studente universitario: i dialoghi platonici, la Summa Teologica, i Saggi di Montaigne, la Fenomenologia di Hegel, le Ricerche Filosofiche di Husserl, Senso e significato di Frege. La presenza o meno della versione elettronica di un certo testo filosofico serve a gettar luce sulla posizione raggiunta da quest’ultimo all’interno della comunità scientifica che lo ha prodotto. Da più di quarant’anni esiste la possibilità di svolgere analisi lessicali computerizzate e i testi elettronici sono stati disponibili senza grandi difficoltà sin dagli anni Ottanta. Eppure, l’esplosione della loro produzione data solo a quest’ ultimo decennio. Ciò non si spiega se si considera solamente la domanda prodotta dalla funzione pragmatica del “consulta e spegni”: nessuno spenderebbe milioni solo per avere un indice elettronico di un libro. I fattori che hanno promosso l’offerta di testi elettronici vanno dunque rinvenuti altrove. In primo luogo lo sviluppo dell’informatica ha creato le condizioni tecnologiche ed economiche favorevoli. L’evoluzione degli scanners e degli strumenti di riconoscimento dei caratteri (gli OCR, optical character recognition) permette oggi di trasformare a prezzi assai contenuti qualsiasi testo ben stampato in un file di caratteri ASCII (American standard code for information interchange) o comunque leggibile dal computer (machine-readable text). Chiunque può facilmente produrre la propria serie di testi elettronici. In secondo luogo, la recente tecnologia dei CD-rom ha permesso solo negli ultimi anni di immagazzinare centinaia di volumi in uno spazio di pochi centimetri di diametro ad un prezzo ragionevole. Infine, la nascita di una comunità internazionale di umanisti interessata allo scambio delle informazioni ad un costo irrisorio mediante posta elettronica ha promosso la creazione di archivi elettronici di testi ASCII come l’Oxford Text Archive (indirizzo telnet per informazioni: [email protected]) e la standardizzazione delle procedure per la loro codifica ed il loro accesso/trasferimento. Dal 1987 chi produce testi elettronici è invitato a seguire le direttive della TEI (Text Encoding Initiative), adottando uno standard comune di procedure per la tra40 scrizione dei testi, machine-readable (SGML, Standard Generalized Markup Language). Così un buon numero di filosofi non solo sono consultabili via network, ma anche trasferibili sul proprio computer, e in ultimo sul proprio floppy disk, mediante elementari procedure di ftp (file transfer procedure; in inglese si parla ormai di ftippare un file), di solito a costo zero per l’utente. E’ possibile progettare una medioteca automatica che distribuisca selezioni personalizzate di testi, brani, percorsi di lettura a soggetto e così via; tutto in formato elettronico. Qualcosa del genere sta già accadendo negli Stati Uniti, dove la casa editrice McGraw Hill ha sviluppato il servizio PRIMIS. Lo studente, cui si richiede lo studio di un certo numero di capitoli tratti da libri diversi, non deve più comprare questi ultimi o fotocopiarli illegalmente, ma può ottenerne una copia su floppy disk dalla libreria locale. La digitalizzazione dei testi permette l’analisi quantitativa delle loro caratteristiche stilistico-lessicali e ciò ha contribuito non poco a promuovere la produzione di filosofi in formato elettronico. Lavorando su un testo elettronico il computer può conteggiare parole, indicizzarle o produrre concordanze e liste di frequenza, mostrare il “tasso di distintività”, cioè la misura in cui un autore predilige una certa parola, creare una lista di parole con la relativa indicazione nel testo o produrre una lista di termini, fornendone anche il contesto immediato e la lista degli altri luoghi in cui esse ricorrono. Si possono inoltre formare strutture più complesse e lavorare su gruppi di parole in combinazione booleana; e se si ha a disposizione un software statistico, si è in grado di evidenziare dove ricorre più spesso un termine tecnico o una serie di parole, mentre un parsing software vi darà indicazioni sulla grammatica del testo analizzato o sulla sua struttura sintattica. Alcuni di questi strumenti sono abbastanza diffusi anche a livello di word processors. Uno shareware come “Critic” mi dice ad esempio in quale rapporto si pone il mio saggio nei confronti della prosa di Ernest Hemingway, John Steinbeck, Stephen King, un articolo di “Byte”, un’articolo del “Reader’s Digest” e un articolo di “Time Magazine”. Così scopro di avere il vizio delle frasi troppo lunghe. Questo genere di possibilità sono molto apprezzate nell’ambito della stilometria, dell’ecdotica (cioè nella pratica dell’edizione dei testi letterari), della collazione ed edizione di manoscritti, della statistica linguistica (che è soprattutto statistica lessicale), dell’analisi metrica, per la risoluzione di problemi di attribuzione di testi adespoti (purchè si abbia una qualche ipotesi riguardo all’autore) o per la revisione di traduzioni. Grazie all’analisi quantitativa, ad esempio, si è potuto accertare che di solito nella stesura di un testo i condizionamenti dello stile incidono meno dei condizionamenti dovuti al genere letterario. Ora proprio lo sviluppo dello studio quantitativo del lessico e dello TENDENZE E DIBATTITI stile di un opera o di un autore ha finito per promuovere la domanda di testi elettronici anche in filosofia. Così un certo numero di testi filosofici sono stati affrontati a partire da questa prospettiva lessicale e stilometrica. Il più noto è forse quello di Anthony Kenny sull’Etica di Aristotele. In Italia le attività di ricerca del “Centro per il Lessico Intellettuale Europeo” e dell’ “Istituto di Studi Rinascimentali”, così come il lavoro di padre Roberto Busa S.J. su San Tommaso (Thomae Aquinatis Opera Ommnia cum Hypertestibus in CD-rom), hanno dato un notevole contribuito allo sviluppo di questo settore, raggiungendo un livello di fama internazionale. Rimane tuttavia aperto il problema se lo studio del lessico intellettuale di un’opera esaurisca l’utilità in filosofia dei testi elettronici. Arriviamo così a un terzo genere di risposte alla nostra domanda iniziale. Vi sono perlomeno due ambiti distinti in cui l’utilizzo dei testi elettronici lascia presagire l’arrivo di interessanti novità. Il primo è quello dagli ipertesti. Nel 1945 Vannevar Bush intuì la possibilità di una “scrittura non sequenziale” (As We May Think, “Atlantic Monthly”, 176/1, 1945). Nel 1981 Ted Nelson, riprendendo l’espressione di Bush, definì un ipertesto come “un raggruppamento non lineare di nodi connessi” (Literary Machines). Gli ipertesti sono documenti prodotti sulla base di questo modello node-link: una rete di connessioni permette il passaggio immediato da una certa unità semantica ad un altra. Selezionando un termine o un’opzione all’interno di un brano si possono richiamare percorsi di lettura alternativi e perciò “navigare” nel dominio semantico in questione (una storia, un saggio con commenti, un’enciclopedia, un dizionario ecc.). Nel campo delle realizzazioni, in Italia sono stati lanciati due progetti principali, entrambi di carattere espositivo-didattico e più ipermediale che ipertestuale. Il primo è la “Multimedial Guide to the History of European Civilization” (MuG), un progetto per una rappresentazione articolata degli eventi della storia della cultura europea, ideato dall’ Istituto di Discipline della Comunicazione dell’Università di Bologna sotto la supervisione di Umberto Eco. Gli argomenti coperti dallo strumento ipertestuale saranno non solo la storia politica, sociale ed economica dell’Europa, ma anche la storia della filosofia, della tecnologia, della scienza, della letteratura e dell’arte. Un secondo progetto si pone al confine tra multimedialità documentaristica e ipertestualità. Si tratta dell’Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche (EMSF), realizzata grazie alla collaborazione tra RAI-Dipartimento Scuola Educazione, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli e Istituto della Enciclopedia Italiana. Recentemente si è parlato molto degli ipertesti come di un nuovo modo di fare letteratura, lasciando libero il lettore di scegliere il proprio sviluppo della narrazione. Negli Stati Uniti, dove la letteratura ipertestuale ha già avuto una qualche diffusione, il risultato è stato molto meno rivoluzionario di quanto i tecnofili locali si fossero augurati. Ciò non deve tuttavia scoraggiare. Lo strumento ipertestuale è infatti utilizzato in tutte le sue potenzialità soprattutto nel caso dell’ organizzazione di opere di consultazione. A causa della sua struttura a rete di tipo associativo un testo elettronico si presenta come lo strumento migliore per realizzare l’ideale dell’enciclopedia universale. Il sapere non è più presente davanti a noi in un modello sequenziale, lineare o progressivo, ma in un tessuto di ambienti e percorsi attraverso i quali si può navigare a proprio piacimento, o meglio seguendo le connessioni pre-determinate dai curatori dell’opera, per lo sfruttamento del bacino di conoscenze sul quale di volta in volta stiamo lavorando e cui desideriamo avere un accesso immediato ed economico. Il sapere può essere ereditato solo se si rispettano ed implementano sempre meglio i due principi della conservazione e dell’accessibilità. Ed è in questa direzione che i testi elettronici potrebbero risultare di notevole aiuto. Essi possono facilitare il processo di accumulo e fruizione delle interpretazioni, delle spiegazioni, delle ricerche particolari relative ad un testo mediante la straordinaria estendibilità e flessibilità del mezzo di gestione. Invece di lasciare alla contingente memoria dell’esperto l’onere della connessione e dei rimandi interni al dominio delle conoscenze, la progressiva ipertestualizzazione del sapere umano potrebbe condurre alla cumulativa realizzazione della mappa finale della conoscenza. Se si confronta l’uso che le scienze matematiche o sociali fanno del computer ed il ruolo che esso ricopre nell’ambito umanistico, il divario è evidente: in fisica, in matematica, in sociologia dobbiamo svolgere calcoli per i quali non c’è niente di meglio che un computer; in filosofia, in letteratura, in storia, calcoli non ce ne sono (cliometria esclusa), e il computer si riduce a fare le veci della macchina da scrivere, o poco più. L’errore su cui si basa questa prospettiva risiede nell’identificazione del computer con il pallottoliere. Di contro, basterà qui ricordare il fatto che mediante la sua funzione discrezionale il computer permette non solo l’individuazione di costanti all’interno di un dominio di aggregazioni simboliche, ma anche la loro memorizzazione, analisi e manipolazione statistica. Per fare un esempio concreto: se si cerca il sostantivo “time” nell’opera di Shakespeare in versione elettronica si può anche finire per notare che in Macbeth il sostantivo possiede un grado di concentrazione maggiore che in qualsiasi altra tragedia. Il critico o lo storico della letteratura ci dirà a questo proposito che il carattere di Macbeth personifica il tentativo di usurpare la funzione provvidenziale che appartiene allo scorrere del tempo. Questo nuovo approccio ai testi, che ho già avuto modo di definire “ideometrico”, non si basa esclusivamente sul riconoscimento 41 di “addensamenti lessicali”. La lessicometria sfrutta il fenomeno della presenza; ma per lo storico delle idee l’assenza di una determinata stringa di simboli all’interno del dominio analizzato è altrettanto significativa. Facciamo un altro semplice esempio: nella sua storia della filosofia medievale, Etienne Gilson sostiene che durante il Medioevo non vi furono autori che si autodichiararono scettici, contrariamente a quanto era accaduto in epoca ellenistica e a quello che sarebbe dovuto accadere nel Rinascimento. Recentemente, l’ipotesi è stata rafforzata da alcuni storici, secondo i quali dopo Sant’Agostino non vi sarebbe stato alcun interesse per lo scetticismo da parte dei filosofi medievali; per un revival dello scetticismo si deve attendere la pubblicazione della traduzione latina degli Schizzi Pirroniani di Sesto Empirico durante il Rinascimento. Una parziale valutazione di questa teoria può ora essere tentata grazie al primo CD-rom contenente la Patrologia Latina di Migne (l’opera sarà presto disponibile in forma completa). Nel lessico dei padri della chiesa sembra essere assente la famiglia di termini legati alla parola “pirronismo”. Vi sono tuttavia diversi accenni agli “accademici”. Se questa anomalia verrà confermata, sarà allora compito dello storico del pensiero rendere ragione del fenomeno (magari ancora con strumenti informatici), raffinando la nostra comprensione della storia dello scetticismo nei secoli che separano Sant’Agostino da Henry Estienne. Gli esempi appena suggeriti, pur nella loro semplicità, mettono in luce come l’analisi computerizzata dei testi elettronici sfrutti a pieno le potenzialità dello strumento. La prova di ciò è che ora siamo in grado di evidenziarne i limiti e proporre miglioramenti. I testi elettronici vengono forniti in due versioni diverse: come semplici testi ASCII o come testi strutturati in banche dati funzionali all’individuazione di stringhe simboliche. In quest’ultimo caso ci troviamo in genere di fronte al corpus testuale dell’opera di un autore o a una serie di testi appartenenti ad una tradizione culturale. Altre volte, tuttavia, la banca dati testuale può abbracciare in forma diacronica intere collezioni, come nel caso del Thesaurus Linguae Graecae (TLG), della Patrologia Latina o del Corpus Christianorum (CETEDOC). Purtroppo, proprio queste collezioni sono realizzate in funzione di un un utilizzo occasionale, parallelo e di supporto (reference book) nei confronti dell’edizione cartacea. Nel migliore dei casi si possono avere indicazioni relative al numero complessivo di occorrenze di un termine. Il problema è che i dati sono codificati; ma manca una forma appropriata di interrogazione, perché non è chiaro quali informazioni si possano trarre dai dati stessi. Ne è una prova l’esempio che segue. Il TLG contiene praticamente tutti gli scritti greci che conosciamo, a partire dal secolo VII a.C. (Omero) fino al 600 d.C., e inoltre testi di storiografia, lessicografia e scolia TENDENZE E DIBATTITI fino al 1463, per un totale di 69 milioni di parole (per informazioni inviare un messaggio a [email protected], nella versione che ho controllato mancavano gli Stoicorum Veterum Fragmenta di Von Arnim e le collezioni dei frammenti di Posidonio). Immaginate ora di voler sfruttare le potenzialità analitiche del calcolatore per individuare il diverso grado di influenza che la logica aristotelica ha avuto rispetto alla logica stoica nel corso del tempo. Per far ciò sarebbe già sufficiente avere a disposizione le seguenti possibilità: interrogazione per un certo numero di termini chiave e trasformazione dei dati ottenuti in un grafico, in cui l’asse delle ordinate sia rappresentato da una scala quantitativa, mentre l’asse delle ascisse riporti la data delle occorrenze, calcolata automaticamente sulla base della data del testo, o più facilmente sulle date di nascita e morte o dell’autore in cui è stato rinvenuto l’uso del termine. Il risultato sarebbe una curva di occorrenze dei termini aristotelici e stoici all’interno del TLG. In pochi secondi, avendo semplicemente fornito come input un limitato numero di parole chiave, potremmo avere il tracciato della loro diffusione all’interno del dominio rappresentato da centinaia di autori, distribuiti su di un arco cronologico di centinaia di anni. In questo modo potremmo forse scoprire se ci fu mai un momento in cui il rapporto tra logica stoica e logica aristotelica avrebbe potuto invertirsi, ed eventualmente quando ciò sarebbe potuto avvenire. Lo stesso esperimento mentale potrebbe essere fatto con un autore come Aristotele mediante la Patrologia Latina, o nei confronti del processo che ha portato la nozione di “idea” ad essere usata indipendentemente rispetto alla filosofia cartesiana. Rimangono ovviamente molti problemi: come comportarsi nei confronti di fenomeni come gli errori di ortografia o di stampa? Come si può ottenere che il computer riconosca i sinonimi senza cancellare la differenza tra un lessico tecnico ed un altro? Come risolvere i problemi di ambiguità terminologica? E’ altrettanto ovvio che questo genere di approccio di tipo diacronico, intertestuale e comparativo richiede la disponibilità di un sempre più ampio dominio di testi elettronici e la loro codifica standardizzata su supporti unici, che possano contenere tutta la banca dati di volta in volta interessata. Al momento, l’esempio migliore di una realizazione di questo genere di banca testuale è FRANTEXT, l’archivio elettronico prodotto dall’ INaLF (Institut National de la Langue Francaise). Risultato di un lavoro trentennale, l’archivio consiste di circa 3200 testi francesi (180 milioni di citazioni) che vanno dal 1532 (Rabelais) al 1985 (René Char), con una media di 6 milioni di parole per ogni decennio per quanto riguarda l’80% del totale dei testi, che è letterario. FRANTEXT è consultabile online in modo interattivo ed è molto flessibile (indirizzo internet: ciril.ciril.fr, oppure 192.44.71.66. Il servizio non è gratuito ed in Italia è disponibile presso l’Università di Pisa. Il bollettino elettronico dell’Università contiene ulteriori informazioni). FRANTEXT è collegato e collabora con ARTFL (American and French Research on the Treasury of the French Language) dell’Università di Chicago. Sulla base di questo enorme bacino di informazioni Keith Baker ha studiato, ad esempio, l’evoluzione dell’idea di “opinione pubblica” nel corso del XVIII secolo in Francia. Se l’ideometria potrà essere pienamente sviluppata, essa non sostituirà mai la storia delle idee come, per le stesse ragioni, la stilometria non sostituisce la critica letteraria. Nel pensiero filosofico il significato è sempre incorporato in un codice semiotico ordinato; un testo rappresenta la trascrizione del codice in un sistema linguistico percepibile visivamente su di un supporto fisicamente tangibile. Mediante la lettura risaliamo al significato; ma attraverso la traduzione digitale del sistema linguistico noi produciamo un universo di dati che pur permettendo la lettura non è fatto per la lettura, ma per lo studio quantitativo e comparativo della presenza o assenza di associazioni di simboli. Sono i risultati di questo studio che devono a loro volta essere interpretati, affinché i dati che essi forniscono si trasformino in nuove informazioni sul dominio interessato. Ovviamente da questa prospettiva uno specifico testo diviene assai meno interessante di una serie di testi che condividono un certo numero di caratteristiche prestabilite - si pensi alla lingua, alla natura degli argomenti trattati oppure alla datazione, e così via. Una volta che un corpus di testi è stato trasformato in versione elettronica, si tratta di saper trasformare dati quantitativi estensionali in informazioni qualitative intensionali, non di continuare ad interpretare quegli stessi testi per coglierne il significato, come se la loro trasformazione fisica fosse dopotutto irrilevante ai fini della comprensione della natura dell’enciclopedia umana. Il fatto che le banche testuali vengano ancora oggi usate per l’individuazione di un certo termine o di una linea di testo è fuorviante. Questa forma di interrogazione è infatti solo un caso particolare di ricerca di occorrenze, ed il meno interessante ed informativo, visto che nella sua forma migliore e più soddisfacente (cioè economica da un punto di vista del consumo di tempo) essa è paragonabile all’individuazione di un apax legomenon in un autore. L’errore risiede nel considerare il processo di trasformazione del testo a stampa in un testo elettronico come utile solo dal punto di vista della velocità di accesso ad una o più parole. Sarà il caso di chiudere questo breve intervento con un’ultima serie di considerazioni di tipo sociologico. La presenza delle banche dati testuali sta portando ad una trasformazione della biblioteca. Si è iniziato a discutere della possibilità di costruire biblioteche in cui non vi siano libri, ma solo testi elettronici. L’eventualità che lo stesso 42 edificio possa essere trasformato in una realtà virtuale non è più frutto di fantascienza. Un testo non deve più essere stampato in migliaia di copie per essere disponibile a tutti. D’altra parte, lo sviluppo tecnologico ha fatto sorgere nuovi problemi: chi ha accesso ai testi elettronici via network? E chi controlla la loro produzione e distribuzione? Il mondo anglosassone è attualmente il maggior produttore e fruitore di testi elettronici in filosofia. Finiremo per leggere Platone in inglese? E’ interessante notare che il testo del Discorso sul Metodo di Cartesio, cui si ha accesso mediante il bollettino elettronico della Ca’ Foscari di Venezia, è in inglese. Altri problemi come la sicurezza e il copyright, la censura e la catalogazione hanno acquistato un aspetto diverso da quando i testi elettronici sono diventati un elemento comune nel nostro panorama culturale. Lo stesso ruolo delle biblioteche, spesso troppo passivo in passato, potrebbe presto trasformarsi proprio grazie alla facilità con cui testi a stampa possono essere trasformati in versioni elettroniche. Forse stiamo andando verso la nuova figura della research library e agli umanisti è affidato il compito di promuovere, indirizzare e sfruttare questa evoluzione. L.F. Bibliografia Barker P., Electronic books and libraries of the future, in “Electronic Library”, n. 10, 1992, p. 139-49. Barrett, E. (a cura di), Text, ConText, and HyperText, MIT Press, Boston 1988. Basch R., Books online: visions, plans, and perspectives for electronic text, in “Online”, n. 15, 1991, p. 13-23. Busa R., Fondamenti di informatica linguistica, Vita e Pensiero, Milano 1987. ECHT’92 European Hypertext, Proceedings of the Fourth ACM (Association for Computing Machinery) Conference on Hypertext (atti del convegno omonimo tenutosi a Milano, disponibili in versione elettronica su internet). Fattori M. (a cura di), Lessico filosofico dei secoli XVII e XVIII (Sezione latina, con la collaborazione di Massimo Luigi Bianchi), Edizioni dell’Ateneo, Roma 1992. Fattori M., Lessico del ‘Novum organum ’di Francesco Bacone, Edizioni dell’Ateneo & Bizzarri, Roma 1980. Gallino L. (a cura di), Informatica e Scienze Umane. Lo stato dell’arte, Angeli, Milano 1991. Kenny A., Computers and the Humanities, British Library Research & Development Department, London 1992. Kenny A., The Aristotelian Ethics: a Study of the Relationship between the ‘Eudemian’ and ‘Nicomachean’ Ethics of Aristotle, Clarendon Press, Oxford 1978. Kenny A., The Computation of Style: an Introduction to Statistics for Students of Literature and Humanities, Pergamon, Oxford 1982. Lancashire I. (a cura di), The Humanities Computing Yearbook 1989-90, Clarendon Press, Oxford 1991. Landow, G. P., Hypertext: the Convergence of Contemporary Critical Theory and Technology, Johns Hopkins University Press, 1992. Ledger G. R., Re-counting Plato - A Computer Analysis of Plato’s Style, Clarendon Press, Oxford 1989. McKnight, C., Hypertext in Context, Cambridge University Press, Cambridge 1991. Neuman M., The very pulse of the machine: three trends toward improvement in electronic versions of humanities texts, in “Computers and the Humanities”, n. 25, 1991, p. 363-75. Neuman M. An introduction to the analysis of electronic text in philosophy, in “The Computers & Philosophy Newsletter”, n. 5, 1990 p. 1-5. TENDENZE E DIBATTITI Rada R., Hypertext: from Text to Expertext, McGraw-Hill Book Company Europe, 1991. Spinosa G., Philosophical Lexicography: the Lie and the Use of the Computer, in “Computers and the Humanities”, n. 24, 1990, pp. 375-379. Le banche testuali per la filosofia Il numero di testi filosofici disponibili in formato elettronico è in costante crescita. La sola Oxford University Press stamperà entro un paio d’anni il CD-rom contenente tutto il Nachlass di Wittgenstein (foto degli originali più trascrizioni). Fino ad oggi sono state prodotte versioni elettroniche dei seguenti autori: Abelardo, Agostino, d’Alambert, Anselmo, Aristotele, Arnauld, Bayle, Bentham, Bergson, Berkeley, Boezio, Burke, Camus, Cartesio, Comte, Cousin, d’Holbach, de Condillac, Demostene, Diderot, Erasmo, Feuerbach, Fichte, Francesco Bacone, Frege, Hegel, Helvetius, Hobbes, Hume, Kant, Kierkegaard, Leibniz, Locke, Machiavelli, Marcel, Maritain, McGuinness, Merleau-Ponty, Mill, Montaigne, Montesquieu, Moro, Nietzsche, Pascal, Peirce, Plato, Plotinus, Poincare, Proudhon, Ricoeur, Rousseau, Santayana, Sartre, Schelling, Schopenhauer, Sesto Empirico, Shaftesbury, Sidgwick, Spinoza, Tommaso, Teilhard de Chardin, Voltaire e Wittgenstein, tra i più importanti. A seconda dei casi abbiamo l’opera completa in originale (ad esempio per tutti i classici del pen- siero greco) o un testo particolare, sempre in originale (come nel caso dei Grundlagen der Arithmetik di Frege), oppure diverse versioni elettroniche di una o più traduzioni in inglese (come nel caso di Cartesio, Platone o Aristotele). Leslie Burkholder mantiene una lista aggiornata, con informazioni dettagliate relative al prezzo o all’accessibilità gratuita e all’indirizzo dei fornitori, presso il bollettino elettronico dell’ “American Philosophical Association” (il vecchio indirizzo telnet è: 130.150.102.33 oppure NIS. CALSTATE.EDU , alla richiesta di login scrivete APA, dovrebbe presto essere disattivato per lasciare solo il gopher APA .OXY .EDU ). La stessa documentazione può essere ottenuta via internet inviando il comando GET PHILOS -L PHILOS .TEXTS (non aggiungere niente altro, è un servizio automatico) all’indirizzo LISTPROC@LIVERPOOL .AC .UK . Si può accedere ai testi elettronici in due modi. Se si tratta di un testo ASCII di pubblico dominio è sufficiente avere un modem ed un indirizzo di posta elettronica. E’ questo il caso dei testi depositati presso tutte le istituzioni elettroniche, dal bollettino dell’APA all’Oxford Text Archive, dal Project Gutenberg (per informazioni rivolgersi a Michael Hart indirizzo [email protected]) al ricchissimo archivio della Valdosta University (usare il comando: GOPHER CATFISH.VALDOSTA.PEACHNET.EDU, una volta nel gopher selezionare (i) “Inter-Campus Computing Resources”, quindi (ii) “Subject Tree 43 Internet Resources @ VSU Gopher”, poi (iii) “Philosophy” ed infine (iv) “Texts”; alternativamente potete usare i gophers di Bologna, dell’APA, dell’Università della California ad Irvine ecc.). In pratica ogni istituzione cui si può accedere via network mantiene un numero di testi elettronici di vario tipo disponibili per l’utente. Tuttavia, molti di questi sono dei semplici collegamenti con altre istituzioni che a loro volta hanno il testo nella memoria del proprio computer. Lo stesso vale per le guide, i FAQ (frequently asked questions su un certo argomento), i dizionari, le banche dati ecc. Se avete accesso ad un gopher tra i files disponibili, troverete anche una spiegazione su come ottenere l’indirizzo di altri centri di vostro interesse, come avviene nel caso del gopher di Bologna (per informazioni rivolgersi a [email protected]). Il secondo modo in cui i testi elettronici sono accessibili è su CD-rom. In questo caso si tratta di prodotti commerciali dal prezzo assai vario. Si va dalle centinaia di dollari alle decine di migliaia della Patrologia Latina. Per un catalogo dei progetti di editoria elettronica realizzati o in corsi di realizzazione si può consultare il Catalogue of Projects in Electronic Text (CPET) presso il “Center for Text and Technology” della Georgetown University di Washington, DC (internet: GUVAX.GEORGETOWN.EDU, login: CPET;, gopher: GOPHER.GEORGETOWN.EDU). Il catalogo è detagliato (indirizzi, pressi ecc.) ed è tenuto aggiornato sin dal 1989. PROSPETTIVE DI RICERCA Georg Simmel 44 PROSPETTIVE DI RICERCA PROSPETTIVE DI RICERCA Opere complete di Georg Simmel Con l’uscita dell’ottavo volume, AUF1901-1908, Band II (Saggi e trattati 1901-1908, vol. II, a cura di A. Cavalli e V. Krech, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1993) prosegue la pubblicazione della “Gesamtausgabe” delle opere di Georg Simmel. Nei saggi e negli studi che compongono il volume emergono problemi e ambiti di studio analoghi a quelli trattati nei SAGGI DI CULTURA FILOSOFICA (trad. it. di M. Monardi, Guanda, Parma 1993), di cui è stata da poco ripubblicata la traduzione italiana. Scritti da Simmel nel 1911, questi saggi propongono un’analisi di problemi sociologici e filosofici, che prende spunto da motivi della realtà quotidiana, quali la moda, l’arte, la religione, e da tematiche di cultura generale. Da segnalare in questo contesto la pubblicazione del fascicolo monografico della rivista “Aut-Aut” (n. 257, settembre-ottobre 1993) dal titolo: GEORG SIMMEL. LE FORME E IL TEMPO, a cura di Andrea Borsari, che contiene la rielaborazione dei materiali più significativi del convegno omonimo organizzato nel maggio 1990 dal Centro Culturale della Fondazione Collegio San Carlo di Modena. SÄTZE UND ABHANDLUNGEN La pubblicazione della “Gesamtausgabe” di Georg Simmel è dovuta all’iniziativa di un gruppo di studio di Bielefeld, che fa capo a Otthein Rammstedt. Superfluo sottolineare l’interesse e l’utilità di tale edizione, che una volta conclusa raccoglierà in 24 volumi l’intero corpus dell’opera simmeliana, edita e inedita. Nell’edizione verranno così via via presentati al lettore tutte le opere pubblicate da Simmel, i testi facenti parte del lascito simmeliano, le trascrizioni delle (e/o eventuali relazioni sulle) lezioni e conferenze. I volumi finora pubblicati a partire dal 1989 nella “Gesamtausgabe” delle opere di Georg Simmel appartengono al periodo 1879-1908 e documentano, oltre all’intensa attività saggistica di Simmel nei campi della filosofia della cultura, della sociologia e dell’esteti- ca, il suo interesse per il problema della teoria della conoscenza storica. Il volume II presenta, oltre a una serie di saggi del periodo 1887-1890, gli studi Über soziale Differenzierung (Sulla differenziazione sociale, 1890) e Die Probleme der Geschichtsphilosophie (I problemi della filosofia della storia, nell’edizione del 1892). I volumi III e IV propongono rispettivamente il volume I e II della Einleitung in die Moralwissenschaft (1892-1893). Nel volume VI si trova un’opera fondamentale per comprendere l’intero percorso di pensiero di Simmel, la Philosophie des Geldes (1900). Redatti da Simmel nel periodo 1906-1908, a ridosso dei Saggi di cultura filosofica del 1911, alcuni degli scritti raccolti nel volume VIII, Aufsätze und Abhandlungen 19011908 anticipano fin nel titolo temi trattati nella raccolta maggiore (come nel caso dei frammenti sulla Filosofia dei sessi). Più che presentare nuovi elementi per la comprensione del pensiero di Simmel, questa raccolta offre allo studioso del suo pensiero materiali interessanti per comprenderne la genesi e lo sviluppo. L’analisi di Simmel si esercita sui fenomeni più svariati - e, per la filosofia accademica tedesca dell’epoca, inconsueti - attraverso approcci che riprendono i titoli di discipline codificate (psicologia, sociologia, estetica, filosofia della religione e della cultura), di cui però tendono costantemente a trasgredire i confini: dall’analisi sociologica della “povertà”, del “dominio”, della “nobiltà” a quella psicologica della “discrezione”, del “segreto”, del “gioiello”. Gli studi di estetica - un interesse costante nello sviluppo del pensiero simmeliano sono documentati nel volume dai saggi Über die dritte Dimension in der Kunst (Sulla terza dimensione nell’arte), Die ,Ruine. Ein ästhetischer Versuch (La rovina. Un saggio di estetica), Das Christentum und die Kunst (Il cristianesimo e l’arte), Das Problem des Stiles (Il problema dello stile), Vom Realismus in der Kunst (Sul realismo nell’arte). Anche negli studi dedicati a Schopenhauer, Nietzsche, Kant e Goethe (Nietzsche und Kant; Schopenhauer und Nietzsche; Kant und Goethe) si trovano interessi e temi che costituiscono una presenza caratteristica e ricorrente nel pensiero di Simmel. Nel saggio Vom Wesen 45 der Kultur (Sull’essenza della cultura) Simmel tratta, in modo ancora distante dalla concezione “tragica” espressa in Concetto e tragedia della cultura (contenuto nei Saggi di cultura filosofica) e nel tardo saggio Der Konflikt der modernen Kultur (Il conflitto della cultura moderna), il concetto di cultura in rapporto a quello di natura: è nella sua opposizione al concetto di natura, inteso kantianamente come «una “categoria” attraverso la quale vengono visti e ordinati i contenuti dell’essere», che per Simmel può essere definito il concetto di cultura. I concetti di “natura” e di “cultura” non indicano così essenze eterne o ambiti ontologici nettamente separati tra loro, ma piuttosto «due diversi modi di considerazione di uno stesso accadere». Dalla raccolta dei Saggi di cultura filosofica, di cui viene ripubblicata l’edizione italiana, è possibile trarre le coordinate del pensiero di Simmel, un pensiero che propone il relativismo come chiave di lettura delle cose e dell’esistenza, nel senso che ogni accadimento è considerato valido in un determinato contesto, ma può non essere valido in un altro; in altri termini niente ha una valenza atemporale, e questo accade in virtù dello storicizzarsi del mondo. Complessità e contradditorietà sono per Simmel le prime conseguenze di una teoria relativistica del mondo; se non vi sono elementi immutabili e assoluti è perché la realtà ha più facciate, è un processo soggetto a interpretazioni molteplici, che non si lascia ridurre a “certezze universali”, tipiche di una filosofia basata sulla metafisica elevata a verità assoluta. La caduta dei valori universali è il filo conduttore che lega i saggi; l’ambito dove si fa più forte la voce del relativismo è quello della cultura, intesa da Simmel come realtà temporale, soggetta a modificazioni. La cultura è opera di menti umane, che una volta scelgono l’unità e una volta la molteplicità; ciascun individuo è costretto a navigare in un’infinità di elementi che mettono in discussione l’esistenza di ogni oggetto culturale. La mancanza di soluzioni assolute fa sorgere il dramma dell’uomo moderno, che si perde nella quotidianità più elementare e talvolta prosaica e non trova dove collocarsi. Lo stesso vale per la religione. In tempi in cui la religione ha PROSPETTIVE DI RICERCA perso i suoi connotati rassicuranti e si offre come processo di vita con i suoi limiti, le sue oscillazioni, la reazione dell’individuo moderno, fa notare Simmel, è la tragica esperienza del dubbio, dell’inquietudine interiore. Il soggetto si interroga sull’oggetto religioso, ma non trova in esso una risposta decisiva, che possa placare la sua sete di sapere e l’inquietudine del suo animo. Questa situazione di crisi, però, ha anche dei risvolti positivi, perché permette, secondo Simmel, un processo di crescita interiore che porta il singolo a distinguersi, a vincere l’angoscia del nulla, a costruire lui stesso, con le proprie forze, nuovi percorsi di conoscenza e di verità. Ognuno si sceglie la sua verità confrontandosi con il passato e con ciò che il presente offre. Il risultato migliore a cui il soggetto può giungere è una situazione di armonia e di equilibrio con se stesso e con il mondo. A questo proposito è interessante notare che nel saggio dedicato alla “cultura femminile”, Simmel riconosce in particolare alla donna maggiori capacità dell’uomo di trovare risposte valide alla sua esistenza. La donna, egli afferma, «ha una identità più forte rispetto a quella dell’uomo, è dotata di una unità interiore più salda», che le permette di essere più vigile verso l’interno e di trovare un suo baricentro. L’uomo, invece, è più fragile, sempre alla ricerca di nuovi baricentri, perché rivolto all’esterno. La sua identità è scissa, frammentaria; si spaventa maggiormente di fronte agli ostacoli, all’ “incertezza”, e ha sempre bisogno di ancorarsi a qualcosa. Questa è la conseguenza del fatto che l’uomo non sa padroneggiare se stesso. Una chiave interpretativa ricorrente negli studi sul pensiero di Simmel è la contrapposizione della “filosofia della vita”, “metafisica” e “relativistica”, dell’ultimo periodo (quello rappresentato da opere come lo studio su Rembrandt, dal già menzionato saggio su Il conflitto della cultura moderna e dalla Lebensanschauung) all’impostazione di tipo ancora parzialmente kantiano presente in opere come I problemi della filosofia della storia o nelle lezioni berlinesi dedicate a Kant. Altri studiosi, come ad esempio Ferdinand Fellmann nel suo recente studio Lebensphilosophie (cfr. “Informazione filosofica” n. 13-14), tendono invece ad attenuare tale contrapposizione e individuano nella Philosophie des Geldes (Filosofia del denaro), e nel concetto in essa fondamentale di “interazione”, non solo uno strumento dell’interpretazione sociologica, ma anche un modello gnoseologico di carattere più generale, in cui si trova la chiave di lettura della filosofia della vita dell’ultimo periodo, che verrebbe pertanto ad essere fondata non più su un concetto “metafisico” di vita, ma sarebbe intesa in senso dinamico, pragmatico e simbolico. Indipendentemente dalla correttezza di una tale interpretazione, resta l’importanza che la sociologia riveste nel pensiero simme- liano. Alla medesima fase di pensiero dei saggi sulla cultura appartengono anche gli scritti raccolti nel volume XI della “Gesamtausgabe” con il titolo: Soziologie. Untersuchungen über die Formen der Vergesellschaftung (Sociologia. Ricerche sulle forme della socializzazione, a cura di O. Rammstedt, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1992), che presentano al lettore quella che Simmel definì la sua “grande sociologia”, obiettivo della quale era, come si legge nel saggio del 1894, Das Problem der Soziologie, «di dare all’oscillante concetto di sociologia un contenuto chiaro, dominato da un’idea problematica metodicamente certa». Simmel intende dunque contribuire con quest’opera alla fondazione della scienza sociologica, che a suo avviso deve essere scienza delle “forme” e non dei “contenuti” delle interazioni umane: una sociologia “formale” o una fenomenologia delle relazioni sociali che, secondo alcuni interpreti, anticipa l’odierna teoria dei sistemi e l’analisi strutturale della società. Al tentativo di fondare la sociologia Simmel lavorò per più di un decennio, attraverso singoli studi che dovevano sviluppare e illustrare sistematicamente il suo progetto scientifico. Ma già in queste prime formulazioni, l’idea di una fondazione metodologica della sociologia gli appariva troppo ampia e impegnativa per le forze di un solo individuo. Così la questione del ruolo e del peso della sociologia nel pensiero di Simmel è destinata, tra gli interpreti, a restare aperta. C’è chi vede nelle indecisioni e nelle oscillazioni che turbano Simmel negli anni in cui lavora alla “grande sociologia” l’espressione di una sorta di “anti-sociologismo”. Tali indecisioni furono forse dovute alla scarsa risonanza della sua sociologia nel mondo accademico: se non mancarono i riconoscimenti alla “finezza” e “profondità” delle sue analisi (Franz Oppenheim) e della loro “ricchezza di spirito” (Rickert, Max Weber), la sua concezione della sociologia in quanto studio formale delle relazioni sociali apparve a molti troppo “individualistica”. Resta però il fatto che, al di là delle difficoltà accademiche, l’interesse di Simmel per questa scienza resta costante. Ancora nel 1917, in quella che viene considerata la fase “metafisica” della sua opera, egli pubblica, in una collana di grande diffusione presso l’editore Göschen, le Grundfragen der Soziologie (Problemi fondamentali della sociologia). É opportuno qui segnalare, a integrazione di queste considerazioni, i contributi interpretativi raccolti dalla rivista “Aut-Aut”(n. 257, 1993) nel fascicolo monografico dal titolo: Georg Simmel. Le forme e il tempo, che riporta gli interventi al convegno omonimo del maggio 1990, organizzato dalla Fondazione San Carlo di Modena (cfr., “Informazione Filosofica”, n. 1, dicembre 1990). Il fascicolo contiene anche, per la prima volta tradotti in italiano, il saggio: Il problema dello stile (trad. it. di A. Borsari), del 1908, e alcuni brevi testi, i Momentbi46 lder sub specie aeternitatis (trad. it. di A. Borsari), tratti dalla rivista “Jugend” (n. 50, Monaco 1990; di questi testi è prevista a breve un’edizione italiana completa). Da rilevare, in questi scritti, il costante interesse di Simmel per la dialettica tra universale e individuale, generalità e unicità, pienezza e mancanza, sempre pensate a partire dalla coppia concettuale di possibilità e realtà, contingenza e necessità. Da questo punto di vista, il saggio sullo stile, in particolare, si presenta come il tentativo estetico di rispondere alla questione fondamentale: come sia possibile che una totalità chiusa in se stessa, ad esempio un’opera d’arte o un atteggiamento estetico, possa appartenere nello stesso tempo ad una totalità superiore. Proprio a partire da questa prospettiva, che nel frammento individua il mezzo per raggiungere la significatività dei fenomeni, Hans Blumenberg, nel suo saggio del 1976, “Denaro o vita. Uno studio metaforologico sulla consistenza della filosofia di Georg Simmel” (trad. it. di A. Borsari), che compare in prima traduzione italiana nel fascicolo monografico di “Aut-Aut”, mostra come vi sia in Simmel una significativa relazione tra la filosofia del denaro e la successiva filosofia della vita, accomunate in un processo che si sviluppa per stadi di solidificazione e liquidità, forma e dissoluzione, istituzione e libertà, livellamento e individualità; come se Simmel, fa notare Blumenberg, avesse inventato la metafora del denaro per aprire le porte della riflessione al problema della vita. A queste considerazioni si riallaccia Fabrizio Desideri (“Il confine delle forme. Dalla Philosophie des Geldes alla Lebensanschauung”), che nel suo intervento, presente nella rivista, mostra come la questione nevralgica dell’opera simmeliana sia, dal punto di vista oggettivo, quella del “confine” tra vita e forme, dal punto di vista soggettivo, quella del modo di porre le questioni genetiche e trascendentali. L’uomo è dunque propriamente un confine che non può fare a meno di oltrepassare tutti i confini: questo dualismo fondamentale è la vera e propria cifra del pensiero simmeliano. Tra gli altri contributi raccolti nel fascicolo, Bruno Accarino (“Le cose che chiamano. Tempo e istituzioni in Simmel”), si sofferma sul nesso problematico tra temporalità individuale e istituzionale: l’eccedenza temporale inerente all’individuo viene bonificata prima dal monstrum storicosimbolico del denaro, poi dalla iperformalizzazione della socievolezza, che sgravano l’individuo dagli attriti e dalle ruvidezze insite nelle relazioni personali concrete. L’ulteriorità dell’individuo rispetto ad ogni forma sociale viene invece analizzata da Remo Bodei (“Tempi e mondi possibili. Arte, avventura, straniero in Georg Simmel”) in relazione all’ars combinatoria dei possibili, importante aspetto che avvicina Simmel, attraverso Goethe, a Leibniz. In Simmel emergono mondi e tempi, potenziati da possibilità “virtuali” PROSPETTIVE DI RICERCA che circondano il reale, provocando un nuovo fascino di ciò che positivamente è stato prodotto. Nell’interpretazione sociologica del tempo proposta da Alessandro Cavalli (“Le categorie del tempo in Simmel: una lettura sociologica”) si possono individuare due prospettive di analisi, una metafisica e una empirica-fenomenologica: per la prima sono fondamentali le differenze tra a-temporalità, eternità e tempo; per la seconda i problemi che nascono dalla connessione tra tempi individuali e sociali, tra la dimensione temporale delle relazioni individuali e le corrispondenti strategie della loro gestione sociale. L’ “antinomia” tra la totalità della vita, con le sue leggi sovraindividuali e inconoscibili, e la parzialità singolare dell’esistenza individuale, è ribadita da Alessandro Dal Lago (“Le antinomie dell’esistenza. Simmel e la filosofia della vita”), che anticipa qui alcuni risultati del suo recente studio: Il conflitto della modernità (il Mulino, Bologna 1994). Il dovere, come risultato di una scelta responsabile e libera, si manifesta nella concretezza della vita: mediante l’azione l’individuo non solo realizza la propria moralità, ma, a ben vedere, “diviene” la propria individualità. Infine Birgitta Nedelmann (“Accelerazione della vita moderna ed Erleben”) richiama, nel suo intervento, l’attualità sociologica dell’analisi simmeliana del tempo, riprendendo ampiamente uno dei pochi testi di Simmel esplicitamente dedicati a questa tematica, Die Bedeutung des Geldes für das Tempo des Lebens (1897). Nedelmann rileva in particolare l’influenza che qualità, quantità ed eterogeneità delle impressioni psichiche hanno sull’immagine del tempo: l’aumento della quantità del denaro e la sua astrattezza condizionano fortemente il tempo sino a presentarsi come il simbolo più chiaro dell’assoluto carattere “dinamico” del mondo e della relatività dell’essere. D.M./M.M./R.P. Morale e pregiudizi Recentemente è stata pubblicata la prima traduzione italiana di due opere di Paul Henri Thiri d’Holbach, il SAGGIO SUI PREGIUDIZI (trad. it. di D. di Iasio, Guerini e Associati, Milano 1993), e gli ELEMENTI DI MORALE UNIVERSALE O CATECHISMO DELLA NATURA (trad. it. e introd. di V. Barba, Laterza, Roma-Bari 1993). I due scritti, pur con accenti differenti, particolarmente per quanto riguarda la questione della polemica antireligiosa, ripropongono i caposaldi del meterialismo di d’Holbach. Volendo ripartire l’evolversi del pensiero di Paul Henri Thiri d’Holbach in due fasi, occupate la prima (quella degli scritti pubblicati fra il 1766 e il 1770) da una pars destruens della sua riflessione, la seconda (quella degli scritti successivi) da una pars costruens, il Saggio sui pregiudizi apparirebbe ascritto alla prima, mentre gli Elementi alla seconda. In realtà ciò che separa le due opere, come nota Vincenzo Barba nel suo ampio saggio introduttivo agli Elementi, è il fatto che nella seconda non appaiano segni della polemica antireligiosa (e, in specifico, anticristiana) che caratterizza invece la “battaglia per la verità”, alla quale è dedicato il Saggio sui pregiudizi. Negli Elementi il problema religioso, in quanto tale, appare quasi rimosso: non solo non vi è polemica contro la religione; ma non v’è neppure traccia del tentativo, pure presente in altri scritti appartenenti al periodo della pars costruens di d’Holbach, di far coesistere religione e morale sulla base di una “doppia verità”, una per i dotti e l’altra per il popolo. Scartando l’ipotesi di un’effettiva evoluzione della riflessione di d’Holbach da una fase all’altra, Barba attribuisce queste “mancanze” all’intento pedagogico e divulgativo, di stampo tipicamente illuminista, degli Elementi: come i fanciulli, il popolo ha bisogno di pochi e chiari principi, esposti in forma catechistica. A questo scopo, indagini più raffinate sull’ “amore di sé”, ovvero sul desiderio di autoconservazione e di felicità come movente unico delle azioni umane, su cui si fondava invece la polemica di d’Holbach contro le religioni, sarebbero state più d’ostacolo che d’aiuto. Ciò spiega anche il caso - unico, nella produzione di d’Holbach - della pubblicazione postuma di questo scritto, non certo per timore della censura, quanto, piuttosto, per una diminuzione di interesse nei confronti di un’opera che doveva apparire all’autore eccessivamente schematica, a causa del suo carattere divulgativo. Diverso è il discorso per ciò che riguarda il Saggio sui pregiudizi, pubblicato anonimo nel 1770 e attribuito a d’Holbach a seguito della testimonianza di Diderot. Come l’autore dichiara esplicitamente, il tema dell’opera consiste nella “questione della verità”, cioè «se sia utile annunciare la verità agli uomini e se essa non possa divenir loro pericolosa». Contro gli “apostoli della menzogna” è di fatto rivolto il Saggio di d’Holbach, la cui vis polemica suscitò gli strali di Federico II di Prussia, già “sovrano illuminato”. Attraverso un rapido esame della natura umana e del suo esplicarsi nel vivere associato, d’Holbach dimostra che «l’ignoranza è la fonte comune degli errori del genere umano»; essa si manifesta nel pregiudizio, ovvero nell’affermazione di una tesi espressa senza averla preventivamente esaminata. Ma la carica eversiva ìnsita in questa concezione diviene evidente quando d’Holbach arriva ad affermare che tutte le opinioni religiose, nonché quelle politiche, rappresentano, in quanto tali, dei pregiudizi. Un’affermazione, questa, che non lascia dubbi sul fatto che in quest’opera d’Holbach intenda proporre non solo e non 47 tanto un discorso meramente culturale sulla natura umana, quanto piuttosto una critica radicale alla legittimità delle istituzioni umane nella misura in cui queste pretendano di ottenere una legittimazione solo in base alla loro semplice esistenza. In tal senso, come sottolinea nella sua Postfazione all’opera Domenico di Iasio, curatore dell’edizione italiana, il Saggio sui pregiudizi si pone, contro talune interpretazioni, affatto al di fuori di una prospettiva deistica, perché si configura non come una critica di questa o quella forma storica di religione, bensì della religione in quanto tale, che per d’Holbach (almeno in questo testo) è sempre, in linea di principio, contraria alla ragione. All’annuncio della verità, contenuto in quest’opera, risulta dunque estraneo qualunque intento conciliativo fra ragione e religione, nonché fra religione e morale: la religione non solo non appare qui come ausilio, neppure subordinato, all’elevazione morale degli individui e al sereno vivere associato, ma si presenta, al contrario, come “malattia” della natura razionale dell’uomo. F.C. Agostino e il problema del tempo L’attualità di Agostino è qualcosa ormai di pienamente acquisito, soprattutto dopo la riscoperta che ne ha fatto il Novecento come di un autore “moderno”. Ce lo ricorda, con grande autorevolezza e sulla scorta di un’originale riformulazione esegetica, lo studio di Kurt Flasch, WAS IST ZEIT? AUGUSTINUS VON HIPPO. DAS XI. BUCH DER ‘CONFESSIONES’. HISTORISCH-PHILOSOPHISCHE STUDIE (Cos’è il tempo? Agostino di Ippona. L’XI libro delle ‘Confessioni’. Uno studio storico-filosofico, Klostermann, Frankfurt a. M. 1993). Si tratta di un’accurata edizione, corredata di testo originale e traduzione, del testo in cui Agostino si misura con il problema della temporalità, a cui si accompagna un saggio critico che è più di un semplice commentario e ha il tono piuttosto di una ricostruzione di notevole portata storico-filosofica. Lo studio di Flasch è già stato salutato in Germania come il lavoro più penetrante ed esaustivo che finora sia stato scritto sulla concezione agostiniana del tempo. Che attorno al problema del tempo ruoti gran parte del pensiero filosofico del nostro secolo, è cosa nota. La lettura che Kurt Flasch ci propone dell’XI libro delle Confessioni di Agostino è allora quella di esaminare in che rapporto si situi la riflessione agostiniana con la filosofia del Novecento, quale tipo di ricezione essa abbia avuto e soprattutto come e in che misura abbia qui PROSPETTIVE DI RICERCA Jacques Lacan e Louis Althusser continuato ad agire. Ed ecco annodarsi attorno alla figura di Agostino i molteplici fili che con lui intrattengono quei filosofi del nostro secolo, in particolare, per i quali il problema del tempo rappresenta la questione filosofica essenziale: Bergson, Yorck von Wartenburg, Husserl, Heidegger, a cui Flasch dedica un capitolo centrale e di una certa portata interpretativa, Wittgenstein e Russel. Un’altra parte importante del saggio di Flasch è dedicata alla ricostruzione del contesto filosofico, al cui interno si situa propriamente la riflessione agostiniana sul tempo. A questo proposito, l’autore propone una ricostruzione della filosofia antica da Platone ad Aristotele fino agli scettici (Sesto Empirico), Plotino (il neoplatonismo) e Seneca in rapporto al modo, in cui è stato dibattuto e affrontato il problema del tempo. Un punto di partenza decisivo della riflessione agostiniana è in tal senso la concezione platonico-plotiniana dell’anima del mondo, che nel Timeo è considerata come principio vitale e organo di conoscenza del cosmo vivente. Così il tempo esiste solo perché il mondo, attraverso la sua anima, sa di cogliersi come movimento; allo stesso modo, è grazie alla propria anima che l’uomo percepisce la propria temporalità. Ne consegue che una medesima relazione intercorre tra tempo interiore e tempo cosmico. Con l’introduzione del concetto di “anima del mondo” nella filosofia agostiniana del tempo, Flasch intende mostrare come in questo modo tutta una serie di difficoltà e contraddizioni del testo di Agostino risulti appianata; anche se con questo non si può pretendere di eliminare le forti discrepanze che esso presenta, dovute principalmente al fatto che Agostino non si sarebbe reso conto delle conseguenze che, una volta ridefinito l’orizzonte platonico di partenza, avrebbe avuto l’operazione di rottura da lui compiuta nei confronti della dottrina della grazia e del peccato originale. Con questa interpretazione Flasch per un verso recepisce e ridefinisce la modernità della concezione agostiniana del tempo, per un altro la riconduce al contesto tematico originario da cui è scaturita, per un altro ancora sfata la leggenda secondo cui Agostino non avrebbe trovato una ricezione adeguata nella filosofia del Medioevo. Ma soprattutto ciò di cui Flasch vuole mostrare l’inconsistenza è l’interpretazione di Agostino alla luce della filosofia di Kant e Bergson, facendo di lui un antesignano della concezione soggettivistica del tempo. Per Flasch, invece, l’esperienza del tempo che Agostino ci propone non è riferita solo all’attività interna dell’anima, ma trova la sua corrispondenza nel mondo esterno, in cui i corpi sono travagliati dalle loro forme di cambiamento. G.B. 48 Althusser su Freud e Lacan A più di tre anni dalla morte di Louis Althusser è apparsa un’antologia di suoi scritti dedicati all’opera lacaniana, ÉCRITS SUR LA PSYCANALYSE: FREUD ET LACAN (Scritti sulla psicoanalisi: Freud e Lacan, a cura di O. Corpet e F. Matheron, Stock Imec éditions, Paris 1993). Si tratta di un volume postumo che, pur non esaurendo le incursioni di Althusser nel campo della psicoanalisi, raccoglie molti testi inediti e un documento d’eccezione: il suo epistolario con Lacan, una fonte utile a far luce sulla presenza ambivalente dello psicoanalista negli scritti del filosofo. Al rapporto tra Lacan e Althusser è in particolare dedicato un capitolo della monumentale biografia dedicata allo psicanalista francese da Elisabeth Roudinesco, JACQUES LACAN, ESQUISSE D’UNE VIE, HISTOIRE D’UN SYSTEME DE PENSÉE (Jacque Lacan, resoconto di una vita, storia di un sistema di pensiero, Fayard, Paris 1993). «Non ne so nulla, non ho letto nulla» scriveva Louis Althusser a proposito della psicoanalisi in L’avenir dure longtemps (1992; trad. it. 1992). Ma la continuità del suo rapporto teorico con questa disciplina ha autorizzato Oliver Corpet e François Matheron, a considerarla un’«avventura PROSPETTIVE DI RICERCA sufficientemente autonoma da poter essere isolata». Con la loro varietà di stili e di generi, gli scritti di Althusser sulla psicanalisi (sono tuttavia assenti il materiale legato allo svolgimento della sua analisi e i resoconti del Seminario 1963-64 sulla psicoanalisi lacaniana), ci svelano infatti un autore molto più coinvolto e compromesso con questa scienza di quanto lui stesso voglia ammettere. Ogni scritto è introdotto da una presentazione, che si avvale di documenti presenti nell’Archivio-Althusser, come la sua agenda e la corrispondenza con l’amica Franca, che permettono di inquadrare e contestualizzare i vari testi del volume. Così nella presentazione dello scritto d’apertura della raccolta, “Freud e Lacan”, viene riportato l’estratto di una lettera a Franca, in cui l’autore descrive «lo stato allucinatorio» in cui si produce la sua scrittura, una condizione di «contatto diretto con realtà profonde, nel momento in cui esse vengono percepite, viste, lette negli esseri e nella realtà come in un libro aperto». Pubblicato per la prima volta nel 1963 nella rivista comunista “La nouvelle critique”, lo scritto compare qui corredato dalle versioni precedenti la stesura definitiva. All’epoca si trattava infatti di convincere gli intellettuali comunisti della validità della psicoanalisi, da essi etichettata “scienza borghese”. Per Althusser questo appellativo si addice solo alla psicoanalisi americana, che tradendo l’intento freudiano si configura come semplice pratica terapeutica, finalizzata all’adattamento dell’individuo alla società vigente. Esso è invece inadeguato e ingiusto per designare il “ritorno a Freud” realizzato da Lacan, che conserva la portata rivoluzionaria del padre fondatore, la sua propensione alla liberazione degli individui dai condizionamenti più che a una loro normalizzazione. Due lettere di Althusser su Lacan, indirizzate al suo analista, René Diatkine, costituiscono il primo testo inedito dell’antologia. Althusser provvede a spiegare ampiamente la celebre tesi dell’inconscio strutturato come un linguaggio, una tesi che egli ritiene fraintesa da Diatkine, antilacaniano di formazione lacaniana. In un altro inedito datato 1966 “Trois notes sur la théorie du discours”, muovendo dalla distinzione tra teoria generale e teorie regionali da essa dipendenti, Althusser parla del “dramma teorico” della psicoanalisi, che non sa da quale teoria generale dipenda. La sua proposta interpretativa invita a considerare la psicoanalisi come la combinazione di due teorie generali: una già nota, il materialismo storico, l’altra “ancora insospettata”, battezzata “teoria generale del significante”, che anche Lacan avrebbe confuso con la linguistica. Del 1976 è invece un testo di Althusser fortemente critico nei confronti della pretesa di Lacan di essere approdato a quella teoria scientifica dell’inconscio che Freud non era riuscito a elaborare. Secondo Althusser, a Lacan, al quale si può solo riconoscere “una filosofia della psicoanalisi”, mancherebbe quel pudore che invece aveva Freud, e che gli impediva di porre le sue ipotesi come definitive. Questo antidogmatismo costituirebbe paradossalmente per Althusser «la prova più convincente dello spirito scientifico di Freud». Il tono di Althusser si fa decisamente più aspro nel 1980, quando inaspettatamente interviene a una riunione della Scuola freudiana di Parigi, dopo che Lacan ne ha annunciato la dissoluzione. Nell’antologia troviamo un resoconto di questo intervento, per lo più improvvisato, in cui Althusser rimprovera a Lacan di aver dato luogo a un pensiero poco rigoroso e ne misconosce la paternità quando questi si spaccia per il vero interprete della lettera freudiana. Per cogliere la matrice filosofica del pensiero lacaniano, come pure per rintracciare la genesi dei suoi concetti dalle tormentate e surrealistiche vicende della sua vita, può risultare utile l’imponente biografia di Lacan ad opera di Elisabeth Roudinesco. Come momento epocale della sua formazione viene segnalata la partecipazione di Lacan al seminario di commento alla Fenomenologia dello spirito di Hegel, tenuto da Alex Kojève dal 1930 al 1937. Con Kojéve Lacan progetta di redigere un testo a quattro mani su Hegel e Freud. Anche se l’opera non verrà mai partorita, Roudinesco mostra come nei primi fogli scritti da Kojéve siano già presenti tre concetti fondamentali che Lacan mutuerà nel suo “rimaneggiamento teorico” del 1938: l’io come soggetto del desiderio, il desiderio come rivelazione dell’essere, il sé come luogo di illusione. In altre parole la dialettica servopadrone fungerà da modello alla sua teoria del desiderio. Oltre a Hegel, Husserl e in particolare Heidegger rappresentano all’epoca l’orizzonte del pensiero di Lacan. Si tratta dell’Heidegger anti-sartriano della Lettera sull’umanismo, divulgato in Francia da Beaufret, che Lacan utilizza per l’elaborazione del suo pensiero, che alla fine si configurerà come una ridefinizione del freudismo alla luce delle acquisizioni della linguistica di De Saussure e l’antropologia di Lévy-Strauss. E quando Beaufret, grande amico di Heidegger, va in analisi da Lacan, si profila all’orizzonte l’incontro tra psicoanalisi francese e filosofia tedesca. Si realizzerà nel ’55 quando Beaufret porta Lacan a Friburgo; tre mesi dopo Lacan ospiterà Heidegger, recatosi in Francia per un convegno. Per nulla infastidito o incuriosito dall’episodio nazista del pensatore tedesco, dal dialogo con Heidegger Lacan tenta di ricavare una sorta di legittimazione intellettuale. L’opera di Roudinesco, che comprende una bibliografia completa dei lavori di Lacan e un inventario di 247 lettere, pone in luce il rapporto paradossale tra la vita e le opere di Lacan, soffermandosi a raccontare Sigmund Freud 49 PROSPETTIVE DI RICERCA gli episodi di un’esistenza condotta all’insegna dell’incoerenza. Lacan viene ritratto come sovvertitore.«L’uomo non si adatta alla realtà, ma piuttosto l’adatta a lui»: con questo motto Lacan esprimeva la sua avversione ad ogni terapia normativa che ostacolasse l’obbedienza alla legge del desiderio. Innovativa è in tal senso la sua concezione dell’inconscio, non più serbatoio di ricordi, di affetti, ma spazio astratto sottomesso a una legge. Oltre a introdurre la seduta a tempo variabile, che rompeva con i canonici 45 minuti, era estremamente stravagante il modo in cui Lacan la conduceva. Man mano fece scomparire qualsiasi barriera tra vita privata e vita professionale. A.M. Verità e retorica nella ricerca scientifica Il successo delle scoperte scientifiche non può essere separato dall’argomentazione e dai personali processi di pensiero che le sostengono. Alla luce di una tale affermazione Jean Dietz Moss, in NOVELTIES IN THE HEAVEN: RHETORIC AND SCIENCE IN THE COPERNICAN CONTROVERSY (Novità in cielo: retorica e scienza nella controversia copernicana, University of Chicago Press, Chicago 1993), e Domenico Bertoloni Meli, in EQUIVALENCE AND PRIORITY: NEWTON VERSUS LEIBNIZ, INCLUDING LEIBNIZ’S UNPUBLISHED MANUSCRIPT ON ‘THE PRINCIPIA’ (Equivalenza e priorità: Newton contro Leibniz, manoscritti inediti sui Principia di Leibniz, Clarendon Press, Oxford 1993), analizzano diversi approcci alle questioni scientifiche. Di fatto sia Galileo, nella controversia copernicana, sia Leibniz, nei confronti dello sviluppo del calcolo, definirono con le loro concezioni scientifiche stili diversi di argomentazione. La questione copernicana non fu solo una disputa di carattere astrologico. Ciò che emerse, fu proprio il problema della verità in campo matematico ed empirico. Oltre a esprimere una contrapposizione tra concezioni filosofiche e dottrine religiose, tale controversia stabilì una precisa questione di metodo e di tecniche di ricerca. Così pure all’inizio del XVIII secolo il dibattito tra Newton e Leibniz investì, oltre che tecniche diverse di calcolo, anche ragioni sociali e intellettuali. La ricostruzione della ricerca matematica newtoniana è nota agli storici, mentre la controrisposta leibniziana è rimasta un po’in ombra. Un’edizione comprensiva degli scritti preliminari al lavoro di Newton era apparsa nel 1989 a cura di D. T. Whiteside, The Preliminary Manuscripts for Isaac Newton’s 1687 ‘Principia’(Scritti preliminari all’edizione del 1687 dei ‘Principia’ di Isaac Newton). Le dimostrazioni scientifiche avanzate da Copernico procedevano, oltre che da osservazioni empiriche, dalla confutazione della precedente teoria filosofica tolemaica. Fu così che quando nel 1543, poco prima di morire, Copernico presentò La rivoluzione delle sfere celesti, si rifece nel suo discorso ad argomentazioni retoriche. Così facendo, lo scienziato, pur nella consapevolezza della debolezza del suo sistema dal punto di vista scientifico, ritenne comunque proponibile una spiegazione sulla base di un discorso dialettico. Questo fatto, secondo Jean Dietz Moss, rappresenta l’innovazione più profonda apportata dalle teorie copernicane, sviluppate da Galileo, al metodo scientifico di verifica delle questioni. Lo spunto originale, anche se discutibile, dello studio di Dietz Moss consiste nel dimostrare che per Galileo la dimostrazione retorica e quella dialettica accedevano allo stesso piano di verità scientifica. Fu forse per ragioni di convenienza che, in seguito all’editto del 1616 contro la diffusione della teoria copernicana, Galileo fu costretto a mascherare le proprie convinzioni dietro a spiegazioni dialettiche. Pur tuttavia, tale ripiegamento sul piano retorico non venne considerato meno scientifico di quanto annunciato nelle Lettere solari del 1613 o nel Messaggero stellare del 1610. Ci sono anzi, osserva Dietz Moss, ottime ragioni per ritenere che Galileo seguisse Copernico nel dimostrare che la razionalità scientifica richiedeva unicamente prove probabili e che tali prove fossero sufficienti. Ciò in contrapposizione alle convinzioni tradizionali, che richiedevano invece dimostrazioni conclusive di tipo argomentativo. Rimane aperta, comunque, la questione se effettivamente Galileo considerasse la verità ottenuta con argomentazioni dialettiche sullo stesso piano di quella prodotta da prove dimostrative. Contro la tesi di Dietz Moss si dovrebbe infatti obiettare che, al di là dell’entusiasmo con cui Galileo condusse la sua battaglia, egli non perse mai di vista la differenza tra prova sufficiente e dimostrazione conclusiva. Proprio nel Dialogo sui massimi sistemi, pubblicato solo nel 1632, Galileo aveva infatti scoperto due prove dimostrative del movimento della Terra, l’una basata sulle maree, l’altra sulle macchie solari, che peraltro rimasero le uniche dimostrazioni sostanziali da lui prodotte a sostegno del copernicanesimo. Tuttavia Galileo, pur ritenendo tali prove del tutto conclusive, non poteva dichiararlo apertamente, e sebbene condividesse il pensiero di Keplero e di Copernico riguardo ai limiti delle argomentazioni retoriche, usò strategicamente metodi retorici per sostenere le sue dimostrazioni. Non è comunque ancora chiara la considerazione di Galileo nei confronti della retorica e della possibilità di ricorrere a questa come ad un distinto modo di dimostrazione scientifica. In un’ottica simile si può ripercorrere il dibattito tra Newton e Leibniz, con cui all’inizio del XVII secolo furono definiti 50 stili differenti della matematica. Bertoloni Meli, nel suo Equivalence and Priority, ricostruisce con precisione le linee di sviluppo delle prime tecniche di calcolo leibniziane. Basandosi sulle note apposte da Leibniz sulla sua copia dei Principia, oltre che su tutta una serie di testi, scoperti nel “Leibniz-Nachlass” e risalenti al secondo semestre del 1688, Bertoloni Meli ricostruisce le tappe della ricezione degli studi di Newton da parte di Leibniz. Pur tenendo ferma l’autonomia delle ricerche dei due filosofi sul calcolo matematico, Bertoloni Meli indica come in realtà Leibniz, già dal Tentamen del 1689, fosse a conoscenza del lavoro svolto da Newton. Nella prima fase di ricerca di Leibniz, elemento portante fu la nozione di elasticità, accompagnata dall’intento di ricercare le “cause” fisiche dei moti celesti. Nello sviluppo del calcolo, Leibniz partì dall’idea che differenziazioni e integrazioni fossero operazioni su variabili, tali da modificare l’ordine dell’infinito, ma non la dimensione della variabile. D’altro canto, invece, le quantità matematiche di Newton sono generate dal “moto continuo”, e le variabili, secondo i principi della cinematica, cambiano nel tempo. Ciò comportò anche una diversa concezione del movimento, analizzata dai due studiosi: da una parte la meccanica leibniziana, basata sul movimento rettilineo, dall’altra, le teorie di Newton sull’accelerazione. Questo è lo sfondo teorico dei testi che compaiono ora per la prima volta, nel volume di Bertoloni Meli e che permettono di illuminare l’itinerario privato percorso da Leibniz dai Principia al Tentamen. Dallo studio delle note e degli appunti in latino che figurano nel manoscritto leibniziano, sarà possibile ricostruire con più esattezza lo sviluppo della fisica leibniziana, liberando la controversia con Newton da molti fraintendimenti. A.A. Hegeliana Accanto alla nuova attesissima traduzione francese della FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO di Hegel da parte di due riconosciuti interpreti del pensiero hegeliano, Pierre-Jean Labarrière e Gwendoline Jarczyk, (Gallimard, Paris1993), due recenti letture critiche, lo studio di Alexis Philonenko, LECTURE DE LA PHÉNOMÉNOLOGIE DE HEGEL (Vrin, Paris 1993), e quello incompiuto di Guy Planty-Bonjour, LE PROJET HÉGÉLIEN (Vrin, Paris 1993), confermano la vitalità degli studi hegeliani in Francia. Intanto in Italia viene pubblicata una biografia di Hegel ad opera di Horst Althaus, VITA DI HEGEL. GLI ANNI EROICI DELLA FILOSOFIA (Laterza, RomaBari 1993), che riaccende la discussione sui periodi della vita del filosofo. PROSPETTIVE DI RICERCA Quando si cerca, in Francia, di recuperare un ritardo nella traduzione delle grandi opere filosofiche, accade che si opera in modo massiccio. A una lunga indifferenza per i testi principali della filosofia, segue una precipitazione alquanto disordinata, come lo si è potuto riscontrare per la traduzione di Sein und Zeit (1927) di Heidegger, apparsa solamente nel 1985, dopo mezzo secolo di attesa. La traduzione delle opere di Hegel sembra subire una sorte analoga: inesistente nel secolo scorso, eccetto quella del napoletano Augusto Vera, del 1870, con la versione in francese della Fenomenologia dello spirito ad opera di Jean Hyppolite (1939-41), che si era largamente ispirato alla versione di Enrico De Negri. Con l’edizione quasi simultanea di due nuove traduzioni di questo testo hegeliano entriamo in una seconda generazione di traduttori. Jean-Pierre Lefèbvre ha proposto nel 1991 (Aubier, Paris) una versione attenta in primo luogo a restituire la bellezza ardita di un testo che, a tratti, ricorda la tensione delle figure di Hölderlin. P-J Labarrière, insieme a G. Jarczyk, propone nel 1993 una versione preoccupata a rendere innanzitutto le scansioni del pensiero hegeliano: la traduzione è infatti scrupolosamente sensibile all’economia delle frasi e agli sviluppi dialettici, e restituisce, nel processo fenomenologico, die Logik hinter dem Bewustein, cioè lo sviluppo “del” movimento logico attraverso le figure della coscienza. Sulla scia delle loro precedenti traduzioni, estremamente meticolose, della Scienza della logica (1972, 1976, 1981), Labarriere e Jarczyk portano a compimento un lavoro di grande spessore, alimentato da una lettura quotidiana e da una pratica esegetica comprovata, che aveva dato origine alla pubblicazione di traduzioni parziali della Fenomenologia hegeliana, relativamente alle sezioni: “Dominio e schiavitù” (1987) e “Coscienza infelice” (1988), in cui venivano rimesse in questione le autorevoli interpretazioni di A. Kojève e di J. Wahl. Questo nuovo tentativo, che ora porta a compimento la traduzione del testo di Hegel, è caratterizzato in particolare da un notevole sforzo tecnico nella resa delle espressioni e dei movimenti logici; la coerenza della scelta degli equivalenti è d’altro canto anche sottolineata da un indice voluminoso (più di 200 pagine), relativo alle occorrenze dei termini e dei nomi. Con quest’ultimo duplice contributo di traduzione, le opere sistematiche di Hegel continuano ad essere ben rappresentate in Francia. A B. Bourgeois si deve infatti una solida traduzione dell’Enciclopedia (la Logica è del 1970; la Filosofia dello spirito del 1988; per la Filosofia della natura si dovrà attendere ancora un pò), mentre J-F. Kervégan sta preparando una versione dei Lineamenti di filosofia del diritto, destinata a sostituire le traduzioni imperfette di A. Kaan e di R. Derathé. Dopo aver atteso quasi un secolo e mezzo, da una ventina d’anni i testi di Hegel sono l’oggetto di un interesse sostenuto, attestato chiaramente dall’impresa monumentale della traduzione delle Lezioni di storia della filosofia da parte di P. Garniron, iniziata nel 1971 e conclusasi con l’edizione del settimo e ultimo volume nel 1991. Accanto a questo notevole sforzo di traduzione delle opere di Hegel possiamo segnalare due recenti studi critici di grande interesse. Il primo, Le projet hégélien (Vrin, Paris 1993) di G. Planty-Bonjour, è un’opera rimasta incompiuta a causa della morte dell’autore, avvenuta nel 1991. Essa presenta un’ampia sintesi dell’opera di Hegel, centrata sulla rivalutazione del ruolo della religione, o per meglio dire della teologia, nel sistema hegeliano, considerando il pensiero politico di Hegel come la conciliazione fra “la dignità della persona” e la “maestà dello Stato”. Fornendo un apporto originale all’interpretazione della religione e alla lettura speculativa di Dio trinitario, Planty-Bonjour combatte risolutamente un’interpretazione che privilegia la dimensione politica, quanto una che contrappone filosofia e religione, a scapito di quest’ultima. Secondo l’autore, con Hegel “siamo in piena teologia”, e solamente una buona conoscenza dei Padri della Chiesa e della teologia medievale permette di comprendere il significato del “mistero speculativo”. Specialista del periodo di Jena, PlantyBonjour critica decisamente le interpretazioni della Fenomenologia da parte di Kojève, che vi vedeva un’ “antropologia genetica”, influenzata dalla sua lettura dell’ “essere-per-la-morte” di Heidegger e dell’ “alienazione” di Marx, facendo agire la sua categoria di “differenza ontologica” per suggerire i limiti “soggettivistici” di Hegel, confinato in una metafisica della rappresentazione. Il dibattito sulle differenti interpretazioni dell’unità dell’opera, e la preferenza accordata alle letture di E. Fink e di O. Pöggeler, forniscono una messa a punto chiara e precisa della posizione critica di Planty-Bonjour. Il secondo studio critico, quello di A. Philonenko, Lecture de la Phénoménologie de Hegel, è una lettura della “Prefazione” e dell’ “Introduzione” del testo del 1807, e riprende le lezioni svolte dall’autore all’Università di Rouen. Grande specialista francese di Kant e di Fichte, Philonenko non ha mai smesso di lottare contro la critica hegeliana di Fichte, che determina ancor oggi la maggior parte degli approcci a questo filosofo, come nel caso di M. Guéroult. Così Philonenko tenta in questo studio di offrire una lettura corretta, non parziale di Hegel; ma conservando uno stretto punto di vista trascendentale e concentrandosi sul problema della “metodologia hegeliana”, egli non riesce, malgrado le sottili analisi puntuali, ad avere quel minimo di simpatia e di connivenza per le ragioni dell’avversario che potrebbero aprirgli la via d’una autentica confutazione. 51 Un importante contributo alla comprensione del pensiero hegeliano vi viene anche dalla voluminosa biografia di Hegel ad opera di Horst Althaus, che ci offre un ritratto analitico e curato nei particolari della vita del filosofo tedesco, dai primi anni passati nel Württemberg sino alla morte avvenuta nel 1831. La narrazione della vita di Hegel viene affrontata in funzione di un presupposto essenziale, l’identità di pensiero ed essere, che costituendo uno dei fondamenti teoretici della sua opera, diviene la chiave per comprendere l’intima corrispondenza tra la vita concreta e l’evoluzione del suo pensiero. Scorrendo la biografia notiamo come gli eventi reali incidano sulla struttura delle opere e come, d’altra parte, la formulazione dei principi filosofici determini gli atteggiamenti e il carattere di Hegel di fronte alla vita. Si delinea così un continuo interscambio tra l’uomo e il filosofo che s’incontrano e si scontrano sul terreno comune dell’idealismo ottocentesco. Il ritratto di Hegel passa dall’immagine di un adolescente serio, mai dedito allo scherzo e alle leggerezze, a quella di un uomo rigido e fortemente rispettoso delle tradizioni e delle istituzioni. Anche i rapporti interpersonali vengono affrontati con questo alone di ritegno morale, che poi si riflette sulla genesi e sullo sviluppo del pensiero. Gli intrecci tra la vita di Hegel e quella di personaggi come Schelling, Goethe o Hölderlin costituiscono, infatti, un elemento caratterizzante l’intero sviluppo della sua filosofia. La relazione filosofica con Fichte e Schelling è trasfigurata, in questo modo, dai rapporti reali con i due filosofi: se il distacco dall’idealismo soggettivo di Fichte procura a Hegel l’avvicinamento a Schelling e a Goethe, la pubblicazione della Fenomenologia dello spirito del 1807, la superiorità ontologica dello speculativo sulla filosofia della natura segna il distacco definitivo dallo stesso Schelling. Gli eventi che secondo Althaus rispecchiano maggiormente la corrispondenza di pensiero ed essere sono due. Il primo è di natura pubblica: l’ingresso di Hegel nella burocrazia statale e la nomina a funzionario pubblico. La cattedra al Ginnasio di Norimberga, nel 1807, e quella all’Università di Berlino nel 1818, infatti, rappresentano un elemento fondamentale per la sua Filosofia del Diritto e per la concezione dello Stato. Non a caso Althaus sottolinea, relativamente a questo periodo, le “ostilità” con Schopenhauer, che accusa Hegel di essere un dipendente statale e non un filosofo. L’altro evento è di natura privata e riguarda Ludwig, il figlio illegittimo nato da una relazione tra Hegel e la sua padrona di casa durante gli anni di Tubinga, dopo la laurea. Un figlio nato al di fuori del matrimonio, prima tappa dialettica verso l’istituzione statale, rappresenta, secondo Hegel, qualcosa di assolutamente irrazionale e per questo di non reale. A questa convinzione si deve PROSPETTIVE DI RICERCA l’atteggiamento da parte di Hegel di quasi totale disinteresse verso il bambino, riconosciuto solo qualche anno prima della morte. In ultima analisi, il quadro che emerge da questa biografia è quello di un Hegel fortemente legittimatore delle tradizioni e di una politica conservatrice. La formulazione della dialettica trova quindi il suo compimento nella convinzione dell’assoluta razionalità della realtà nelle sue istituzioni, confermata sia dalla vita, sia dal pensiero di Hegel. A.S./D.T. Attualità di Schopenhauer Da un paio d’anni a questa parte si registra, non solo in Italia, una generale ripresa dell’opera di Arthur Schopenhauer. Riedizioni e ristampe di scritti e brevi trattati di questo autore hanno alimentato un crescente interesse per la sua opera. Ne è un’ulteriore conferma la pubblicazione degli AFORISMI PER UNA VITA SAGGIA (trad. it. di B. Betti, Rizzoli, Milano 1993), e del saggio SUL MESTIERE DELLO SCRIVERE E SUL LO STILE (E. Amendola Kuhn, Adelphi, Milano 1993). Finora mai tradotta in italiano, è anche stata pubblicata LA METAFISICA DELLA NATURA (a cura di I. Volpicelli, Laterza, Roma-Bari 1993). In Germania, lo ricordiamo, di Arthur Schopenhauer è stata di recente ristampata un’ampia scelta delle lettere, Arthur Scopenhauer. Leben und Werk in Briefen, a cura di A. Hübscher e U. Fleiter (Insel Verlag, Frankfurt a. M. 1991), e una nuova edizione delle opere complete, Werke (Haffmans, Zürich 1993), a cura di Ludger Lütkehaus, a cui si deve anche l’edizione dell’epistolario degli Schopenhauer, Die Schopenhauers, (Haffmans, Zürich 1991), che ci offre un interessante spaccato sugli intricati rapporti familiari tra Arthur, il padre Heinrich Floris, la madre Johanna e la sorella Adele, e il carteggio GoetheSchopenhauer (Hafmanns, Zürich 1992), che raccoglie anche altri documenti sulla dottrina dei colori. In Francia, invece, è avvenuto, più o meno, quello che con Schopenhauer è successo da noi. A L’art d’avoir toujours raison (L’arte di aver sempre ragione, Ed. Circé, Saulxures 1992), è seguita una cascata di riproposizioni e ristampe, tra le quali segnaliamo quelle curate da Didier Raymond, specialista schopenhaueriano d’Oltralpe: Essai sur les Fantômes (Saggio sulla visione degli spiriti, Criterion, Paris 1992), il saggio in difesa dell’occultismo, che Schopenhauer inserì nei Parerga, gli Entretiens (Criterion, Paris 1992), cioè interviste, colloqui con contemporanei, risalenti agli ultimi anni di vita del filosofo, e l’Essai sur le libre arbitre (Saggio sul libero arbitrio, Ed. Rivages, Paris 1992). Ma soprattutto è il caso di Arthur Schopenhauer nel 1818 52 PROSPETTIVE DI RICERCA ricordare i preziosi Souvenirs d’un voyage à Bordeaux en 1804 (Ricordi di un viaggio a Bordeaux nel 1804, Ed. de la Presqu’île, Lormont 1992), a cura di Alain Ruiz, che riporta un giornale di viaggio del giovane Schopenhauer e della madre Johanna. In Italia vengono ora pubblicati gli Aforismi per una vita saggia, con un’introduzione di Anacleto Verrecchia, uno dei più profondi conoscitori di Schopenhauer. Opera di divulgazione, resa agevole dallo stile espositivo di Schopenhauer e da una scrittura straordinariamente efficace e dilettevole, questi aforismi rappresentano la parte più celebre dei Parerga e paralipomena, l’opera, pubblicata da un oscuro libraio-editore di Berlino nel 1851, che dette a Schopenhauer una fama improvvisa. Il titolo non deve trarre in inganno: non si tratta di una “guida rapida” alla saggezza. E’ vero che Schopenhauer è maestro insuperabile dell’aforisma, inteso come frase lapidaria e fulminante; ma questa raccolta è un vero e proprio trattato sulla saggezza, su come percorrere lo scosceso sentiero della vita, senza fare troppe cadute e senza sprecare il proprio tempo con cose futili. La cosa essenziale per una vita felice è ciò che uno ha in se stesso, ciò che è. La ricchezza materiale, il superfluo, poco possono per la nostra felicità. Eppure, per procurarsi ricchezze, gli uomini si danno da fare molto di più che per coltivare lo spirito. Corrono, si affannano, sprecano quantità enormi di energie. L’uomo saggio non corre e non si affanna, tutt’al più, per tenere allenata la mente, passeggia, da solo, lontano dal proscenio dell’attenzione pubblica. Il meglio che la vita possa offrire, ammonisce Schopenhauer, è un’esistenza priva di dolore, sopportabile, e solo rinunciando alla «sciagurata pretesa di raggiungere la felicità» è possibile sottrarsi all’ipocrisia del mondo, ai miraggi di una felicità fittizia, che né denaro, né potere possono acquistare su questa terra. Tradotta per la prima volta in italiano, è ora disponibile La metafisica della natura, che raccoglie le lezioni tenute da Schopenhauer a Berlino tra il 1820 e il 1831. Il testo delle lezioni riproduce la struttura architettonica e argomentativa dei quattro libri del Mondo come volontà e rappresentazione, ma l’esigenza didattica ed espositiva di queste lezioni conduce Schopenhauer a seguire approcci tematici divergenti o integrativi rispetto a quelli fissati nelle pagine della sua opera maggiore. Di fatto nei suoi primi semestri universitari, Schopenhauer fu un appassionato studente di medicina e cultore, per tutta la vita, di significative esperienze nel campo dell’ottica e della cromatologia. La sua visione del mondo si alimentava attraverso un confronto costante con i progressi compiuti dalla sua epoca sul terreno delle scienze naturali, dalla anatomia alla fisiologia, dalla fisica alla chimica, dalla botanica alla zoologia. La sua biblioteca comprendeva numerosi volumi su disparati argomenti scientifici e naturalistici, che recano - come annota Ignazio Volpicelli nell’Introduzione all’edizione italiana - vistose sottolineature, note a margine, brevi postille, a volte commenti pungenti. Va d’altra parte sottolineato che in quest’opera, al di là della molteplicità e del carattere variegato dei riferimenti alle varie discipline, emerge tuttavia il caposaldo della riflessione schopenhaueriana, cioè l’unitarietà del fondamento ontologico della natura, costituito dalla volontà. Come viene infatti ribadito anche nella Metafisica della natura, per Schopenhauer il fondamento del mondo della rappresentazione non solo deve essere qualcosa di «completamente e fondamentalmente diverso» da essa, ma soprattutto devono «essergli del tutto estranee anche le forme e le leggi di questa». Il fondamento della rappresentazione non può dunque essere attinto se non con modalità affatto differenti da quelle attraverso le quali viene spiegato l’ambito della rappresentazione. Il compito di una metafisica della natura consiste proprio nell’individuare questo fondamento, nonché la sua specificità nei confronti di tutti gli altri concetti che si limitino a spiegare il mondo dei fenomeni iuxta eius principia, derivati cioè per astrazione da questo mondo. E’ questo il caso, evidentemente, di tutte quelle categorie, quali il concetto di forza, attraverso le quali le speculazioni di ascendenza romantica intendevano spiegare i fenomeni chimici, fisici e biologici. Il concetto di volontà, sostiene Schopenhauer, risulta dunque l’unico a non essere astratto dal mondo dei fenomeni; la volontà, benché non si identifichi con la cosa in sé, ne rappresenta comunque «la più evidente rivelazione». Sulla scia dell’imprevedibile successo de L’arte di ottenere ragione (1991), già arrivato alla dodicesima edizione, riscontrando un successo editoriale eclatante e imprevedibile, è stato successivamente pubblicato il trattatello La filosofia delle università (trad. it. di G. Colli, Adelphi, Milano 1992), in cui Schopenhauer prende a bersaglio non soltanto Hegel, ma tutto il mondo moderno, raccolto nell’affermazione per cui «tutto il lavoro della filosofia universitaria ha quest’unico scopo, moltiplicare vertiginosamente la verità affinché non si individui mai qual è la “verità” tra le tante». Completa ora la serie di queste edizioni italiane di brevi trattati lo scritto Sul mestiere dello scrivere e sullo stile, che raccoglie una quantità di osservazioni e consigli letterari, teorici e pratici, in cui Schopenhauer interviene per censurare, da acuto osservatore, i vizi e la decadenza della lingua e dello stile del suo tempo, proponendo, come antidoti, una serie di raccomandazioni e di suggerimenti per curare le malattie croniche di scrittori, letterati, giornalisti. Consigli, dunque, per ben praticare tanto lo scrivere, quanto il pensare; consigli che nulla hanno perso della loro validità e che varrebbe la pena seguire - se è vero, come Schopenhauer fa 53 notare, che la qualità della scrittura è un abito irrinunciabile per chiunque, anche per un filosofo, giacché la limpidità dello scrivere è il riflesso della chiarezza del pensare. Lo scritto evidenzia i tratti che rendono inconfondibile lo stile di Schopenhauer, il suo saper congiungere la profondità con la chiarezza, il rigore del ragionamento con la vivacità dell’esposizione, la capacità polemica con la passione della conoscenza. Se a questo si aggiunge, come osserva Franco Volpi nell’Avvertenza, che qui «Schopenhauer indugia in riflessioni che mostrano in quale misura la conoscenza filosofica non deve essere per lui soltanto speculazione pura, cioè “protofilosofia” o “teoresi”, ma altresì “saggezza di vita”, si avranno le coordinate per comprendere le ragioni di una fortuna che non ha tollerato i ristretti recinti disciplinari della filosofia universitaria». E.C. Lutero, riformatore del servo arbitrio È stato tradotto in italiano il testo integrale del SERVO ARBITRIO (trad. it. di F. De Michelis Pintacuda, Claudiana, Torino 1993) di Martin Lutero. L’opera, che costituisce la risposta del monaco di Wittemberg a quello precedente sul libero arbitrio di Erasmo da Rotterdam, giustifica la subordinazione dell’uomo alla volontà imperscrutabile di Dio. Il testo riflette la personalità cupa e tempestosa del riformatore tedesco, di cui è uscita recentemente anche una biografia, la VITA DI MARTIN LUTERO (Rusconi, Milano 1993), di Claudio Pozzoli. Scritto nel 1525, Il servo arbitrio costituisce la risposta di Martin Lutero al De libero arbitrio di Erasmo da Rotterdam, pubblicato l’anno precedente. Il rapporto tra l’umanesimo di Erasmo e la riforma di Lutero dà la struttura al testo, che affronta, da diverse angolature, la relazione tra l’uomo e Dio. Se l’ideale del rinnovamento e della purificazione della Chiesa e la ricerca dell’originalità della parola di Dio accomunano i due pensatori, l’ingresso effettivo di Lutero nelle questioni teologiche li separa definitivamente. Dalle pagine del Servo arbitrio cogliamo da un lato il timore di Lutero di fronte allo stile e all’eloquenza dell’Erasmo letterato e dall’altro il vigore con cui il monaco tedesco affronta l’umanista nelle questioni più propriamente dottrinali. Attraverso una minuziosa, e fin quasi pedante, analisi dei testi, Lutero riprende le parole di Erasmo per poi confutarle. Il testo è suddiviso in tre parti: Lutero inizia l’esposizione confutando l’attendibilità di quei brani che, secondo Erasmo, giustifica- PROSPETTIVE DI RICERCA vano il libero arbitrio, per poi mostrare la veridicità di quelli invece che Erasmo considerava un’erronea difesa del servo arbitrio. Da ultimo, il Riformatore legittima, grazie alle proprie argomentazioni, la sua dottrina: il divino è nettamente superiore all’umano che, non possedendo la capacità di salvezza, appare svilito e sminuito rispetto alla posizione erasmiana, considerata eretica e blasfema. Grazie a un’accurato esame filologico dei testi sacri, Lutero riscontra una sottile continuità tra Antico e Nuovo Testamento: se il primo rappresenta la dimensione del peccato e della carne, il secondo apre alla salvezza e alla possibilità della Redenzione. La venuta di Cristo, che offre a Lutero i migliori spunti per la sua ricerca, diventa possibilità di salvezza per l’uomo, possibilità che risiede unicamente nel giudizio imperscrutabile di Dio. Cristo offre quindi una sorta di possibilità passiva che può essere solo accolta, e non scelta, dall’uomo. L’individuo viene definito come «una bestia da soma cavalcata da Dio o da Satana», al di là della propria intenzione. Lutero appare quasi ipnotizzato dalla figura di questo Dio assolutamente lontano, che può scegliere tra il lasciare l’uomo in balia del demonio e il salvarlo. La visione della vita che sottende la riforma luterana si mostra così in tutta la sua complessità: il tormento e l’angoscia dell’uomo si rivelano impotenti di fronte all’assoluta trascendenza di Dio. Le categorie che attraggono e terrorizzano Lutero sono così, da un lato, la forma severa e imperscrutabile dell’autorità di Dio e dall’altro quella del peccato e della carne, dimensione diabolica in cui si trova sprofondato l’uomo sin dalla nascita. Sono questi i caratteri che d’altra parte emergono anche nel La vita di Martin Lutero di Claudio Pozzoli, che affronta la vita del Riformatore, sottolineando il contesto storico che la caratterizza. In particolare viene affrontata l’opera di Lutero come strumento di trapasso dall’età medievale all’età moderna, sia per quanto riguarda la concezione religiosa, sia per quanto riguarda la questione linguistica. La biografia è divisa in tre parti principali. Inizialmente Pozzoli affronta l’origine psicologica e filosofica della Riforma; sin dall’adolescenza, Lutero appare profondamente tormentato dal senso del peccato e oppresso da una visone tragica della vita. L’autorità del padre, la cui figura concorre a costituire quell’immagine di un Dio lontano e severo, segna in maniera esemplare il giovane Martin che, ossessionato da un’angoscia quasi parossistica, si ritira in convento. Qui, durante gli anni seguenti, il monaco, scoperta la forza della parola, sposta tutta la propria energia verso la combattività rivoluzionaria che lo spinge a formulare i principi della Riforma. Di questo si occupa la seconda parte della biografia, che analizza la fase più produttiva della vita del monaco e cioè l’affissione delle 95 tesi sul portale della cattedrale di Wittem- berg e la stesura della Bibbia in tedesco. La terza parte si dedica alla rivolta dei contadini e alla rigida opposizione mostrata da Lutero nei loro confronti. Dopo la rivoluzione fallita, Lutero torna a quella dimensione di solitudine e di oscurità che lo ha caratterizzato da giovane. E‘ appunto questa l’atmosfera che lo avvolge durante la stesura del Servo arbitrio che risulta, in effetti, un testo complesso, dottrinale, quasi ferraginoso, in cui il vigore di Lutero viene legittimato sia dalle auctoritas di S. Paolo e S. Agostino, sia dalla profonda convinzione di interpretare direttamente la parola di Dio: presupposti necessari per prendere, definitivamente, le distanze dall’umanista di Rotterdam. A.S. Le ‘Opere’ di Epicuro Con il titolo OPERE (Tea, Milano 1993), Margherita Isnardi Parente ha raccolto e curato l’intera produzione di pensiero di Epicuro, affiancando all’opera del filosofo diverse testimonianze sulla sua vita e sul suo pensiero. Con oltre seicento pagine questa edizione delle Opere di Epicuro contiene la lettera a Erodoto, a Pitocle e a Meneceo; le Massime capitali, le Sentenze Vaticane e il frammento Sulla natura. I testi originali di Epicuro costituiscono, però, solo un quarto dell’intero volume, la cui mole è costituita soprattutto da testimonianze sulla vita del filosofo, sulla sua filosofia e sui discepoli principali, tra cui spicca il nome dell’allievo prediletto di Epicuro, Metradoro. Il lavoro di Margherita Isnardi Parente è consistito, soprattutto, nel sottolineare i rapporti della filosofia epicurea con il periodo storico in cui si è sviluppata, al fine di renderla paradigmatica del periodo stesso. Perciò l’opera di Epicuro viene affiancata a diverse testimonianze, biografiche e concettuali, dell’epoca, che contribuiscono a chiarirne i punti più complessi e oscuri. La scelta delle testimonianze e la lunga introduzione della curatrice presentano la filosofia epicurea come la risposta dell’età ellenistica alla filosofia di Platone. Il Kepos epicureo si fonda sulla filosofia intesa come conoscenza della natura e sull’amicizia tra i discepoli. La crisi della polis e la dissoluzione dell’Impero alessandrino, infatti, determinano, da un lato, il declino degli ideali metafisici e politici e, dall’altro, l’interesse per quegli aspetti finiti dell’esistenza che si concretizzano, ad esempio, nella philia. L’Epistola ad Erodoto si occupa sostanzialmente della fisica: gli infiniti atomi, fondamento degli infiniti mondi, aprono la fisica epicurea a spazi sconfinati. Per di più la teoria del clinamen fornisce alla filosofia di Epicuro quel margine di casualità che la allontana definitivamente dai sistemi de54 terministici dell’età platonico-aristotelica. Viene dato spazio anche alla teoria degli eidola e di conseguenza alla conoscenza; l’empirismo su cui Epicuro fonda la sua canonica diventa l’ulteriore manifestazione del materialismo assoluto che fonda il suo sistema. L’Epistola a Pitocle si occupa ancora di fisica, in particolare della genesi dei fenomeni naturali. Al di là di fisica e canonica è, comunque, l’etica che costituisce il fulcro del pensiero epicureo: la Lettera a Meneceo presenta la ricetta per la felicità, raggiungibile esclusivamente con la messa in pratica dell’aponia e con l’esaltazione dell’amicizia, sentimento nobile e lontano dai turbamenti dell’animo. Anche le testimonianze interessano soprattutto quest’ambito. Cicerone, Seneca e Plutarco, ad esempio, commentano in diversi passi la filosofia epicurea, soffermandosi a lungo sui problemi concernenti l’atarassia e la felicità. Da segnalare, in particolare, è il lungo brano, tratto dal De finibus di Cicerone, che illustra il concetto di piacere come aponia. Secondo l’autore latino la saggezza fornisce all’individuo i mezzi per comprendere che solo il piacere immobile conduce alla felicità, intesa come serenità d’animo, mentre quello in movimento è causa di rimpianti, turbamenti e dolore. Chiudono il volume diverse note e commenti che verificano, in maniera puntuale, le diverse lezioni e traduzioni dei testi di Epicuro. A.S. Plutarco politico A partire da 1988 (presso l’editore M. D’Auria di Napoli) è in corso la pubblicazione di tutti gli scritti “morali” di Plutarco, il CORPUS PLUTARCHI MORALIUM, diretto da Italo Gallo e Renato Laurenti. Sono usciti finora quasi una ventina di volumi, già rappresentativi della varietà degli interessi contenuti nell’opera: dalla filosofia all’etica, ai racconti delle amatoriae narrationes, alla politica. Tra gli ultimi volumi pubblicati figurano i PRECETTI POLITICI (M. D’Auria, Napoli 1993) a cura di Antonio Caiazza. Di Plutarco è stato pubblicato recentemente anche LE CONTRADDIZIONI DEGLI STOICI (trad. it. di M. Zanatta, Rizzoli, Milano1993), opera che fornisce un’esposizione dettagliata della filosofia e del pensiero stoico attraverso le sue contraddizioni più o meno profonde. L’edizione dei Precetti politici (Praecepta gerendae reipublicae) si fa apprezzare per lo studio di tutte le fasi della tradizione manoscritta, per la versione scorrevole e per l’ampio commento, in cui sono discussi i molteplici aspetti testuali, linguistici e stilistici di quest’opera nel contesto del Corpus plutarcheo. I Praecepta dovevano PROSPETTIVE DI RICERCA costituire una sorta di appendice pratica ad una breve trattazione teorica, almeno parzialmente coincidente con il frammento “de unius in republica dominatione, populari statu et paucorum imperio”. La stessa finalità pratica dei Precetti spiega e giustifica una certa loro apparente disorganicità e la discussione minuta dei problemi che doveva affrontare chi intraprendesse la carriera politica in una provincia come l’Ellade dell’inizio del II secolo d.C. Per i Praecepta, come per tutti gli altri opuscoli dei Moralia, la critica s’è impegnata in passato, da K. Mittelhaus a K. Ziegler, nella ricerca di una fonte unica o almeno principale, dalla quale Plutarco avrebbe desunto più o meno pedissequamente materiali e idee. S’è parlato in particolare di Teofrasto e di Aristone (di Ceo, secondo alcuni, di Chio, secondo altri). Più recenti commentatori, come J. C. Carrière e lo stesso A. Caiazza, hanno giustamente insistito sull’appartenenza dei concetti esposti da Plutarco ad un patrimonio comune a diverse correnti di pensiero e sulla personale rielaborazione fattane dallo stesso Plutarco. I valori fondamentali sottesi allo scritto restano quelli della filosofia politica della stagione di Aristotele e Platone. La scelta di intraprendere la vita pubblicas deve realizzarsi in una proairesis, scaturita da un giudizio razionale; e colui il quale compia tale scelta non deve prefiggersi altro scopo che il bene in sé. Strumento essenziale dell’uomo politico nella sua opera di educazione del popolo è, inevitabilmente, la retorica. Ma in questo caso Plutarco sembra elaborare con maggiore libertà il patrimonio ereditato dagli antichi. La capacità di persuadere non è più esaltata come presso i sofisti, demonizzata come in Platone o semplicemente fatta oggetto di studio approfondito come in Aristotele. Plutarco, il quale tra i primi consigli al futuro uomo politico dà quello di esibire un comportamento irreprensibile, non può certo sminuire il valore dei costumi morali, ma fa della retorica la collaboratrice del trópos nel persuadere. Altre volte il rapporto con la filosofia politica dell’età di Platone e Aristotele è più sfumato. Così sembra essere per il motivo dell’uomo politico che è “capo per natura”. Platone parla di filosofi generati ed allevati in modo tale da essere straordinariamente capaci di guidare la polis; il loro è un potere grande, prestigioso e soprattutto illimitato nel tempo. Più articolata la posizione di Aristotele, il quale definisce “capo per natura” «l’essere in grado di prevedere con l’intelligenza», accogliendo implicitamente sotto questa definizione figure dotate di un potere sia illimitato, sia limitato nel tempo, come l’uomo di Stato (polotikos) e l’amministratore. In Plutarco, il motivo del “capo per natura” si riferisce più all’ascendente morale esercitato sui concittadini, che al potere effettivamente detenuto dall’uomo politico, data la modesta importanza che ormai rivestono le magistrature della polis. Una questione diversa implica certa ingenua disinvoltura, esibita da Plutarco nel suggerire che gli uomini politici, quando pure siano d’accordo su una misura importante e “salutare” (quindi, impopolare), simulino da principio divergenze d’opinione per fingere poi di riconciliarsi e persuadere così il popolo della bontà e della convenienza dell’iniziativa già decisa. Non sembra tuttavia opportuno parlare a questo proposito di macchiavellismo; non solo, infatti, nei Praecepta, e in genere in Plutarco, la tensione morale è largamente prevalente sulla ragione di Stato e sulle esigenze della politica; ma mentre Macchiavelli intende indicare i mezzi per costruire e consolidare uno Stato, oltre che per difenderlo, Plutarco è interessato solo al mantenimento dell’equilibrio in atto tra le forze sociali e politiche e sempre nell’assoluto, cauto rispetto dell’unica autorità statuale esistente: quella di Roma e dei funzionari che la rappresentano. Inoltre, se il protagonista del progetto di Macchiavelli è un individuo, deciso ad affermare il potere personale, l’opuscolo plutarcheo, benché dedicato a Menemaco di Sardi, un giovane il quale aspira ad impegnarsi nella vita pubblica, finisce per delineare il dramma di un ceto, già classe politica nel senso più alto e ormai confinato nell’espletamento di compiti di modesto respiro. Parecchi indizi si colgono nei Praecepta della crisi di questo ceto, che Plutarco conosce bene. Proprio all’inizio si legge che Menemaco non ha tempo di seguire da vicino la vita di un filosofo il quale si dedichi alla politica. L’espressione riesce alquanto oscura se presa in senso generale, ma diviene chiara se, seguendo l’acuto suggerimento di Ziegler, la si intende, riferita allo stesso Plutarco ed alla sua attività di amministratore della piccola comunità di cui fa parte, come orgogliosa rivendicazione della dignità di chi, anche occupando magistrature di scarso rilievo, sappia operare costantemente e disinteressatamente a favore della polis. L’uomo politico, respingendo l’ataraxìa epicurea, deve insomma impegnarsi a fondo ed esclusivamente nella ricerca della homonoia all’interno della città e, per il resto, rinunciare ad inseguire gli altri ideali di un’epoca eroica come il quinto ed il quarto secolo, stagione irripetibile in cui, con l’assoggettamento a Roma, eleutheria e polemos sono scomparsi insieme dall’orizzonte politico ellenico. In Plutarco, questa presa di posizione assume, tuttavia, un particolare valore, sia perché ne scaturisce la condanna di tutto un repertorio di aneddoti cari agli oratori del tempo, sia soprattutto perché il rifiuto dell’esaltazione dei fasti militari del passato e la preoccupazione di plasmare il carattere dei contemporanei attraverso esempi tratti piuttosto dalla vita civile e morale degli antichi possono gettare luce sulla stessa 55 struttura delle Vite e sulle finalità perseguite da Plutarco con la loro composizione, confermando, in una nuova prospettiva, l’esistenza di stretti rapporti tra gli Ethika e i Bioi paralleloi. Di Plutarco è ora anche disponibile, in una recente edizione, l’opera principale, Le contraddizioni degli stoici, in cui Plutarco presenta, in maniera vivace e brillante, diversi passi dell’opera stoica con l’intento di evidenziarne le reciproche contraddizioni. Questa sua analisi non riesce tuttavia a toccare le argomentazioni reali della filosofia stoica e le contraddizioni riscontrate sono deboli e superficiali. Il risultato è un’esposizione delle linee essenziali della filosofia stoica, dove la componente critica appare debole e quasi inconsistente. Plutarco, che si serve per le sue analisi sia delle fonti originali di Zenone e Crisippo, sia dei lavori del commentatore Carneade, seguendo la classica tripartizione della filosofia stoica, distingue le argomentazioni in logica, a cui dedica poco spazio, fisica ed etica. Le contraddizioni riscontrate da Plutarco riguardano contrasti interni alle argomentazioni o contrasti tra le tesi proposte e la vita reale dei filosofi. Di questo tipo è la contraddizione riguardante la vita politica. Secondo Plutarco la posizione stoica a riguardo, e cioè la partecipazione attiva, più volte dichiarata come necessaria, risulta in antitesi sia con l’astensione di Crisippo dall’azione politica, sia con l’impegno, assunto più volte da giovani stoici, d’intervenire nella politica della polis: l’impegno fattuale e limitato ad una singola città, secondo Plutarco, contraddiceva infatti l’ideale cosmopolita, di diritto considerato l’ideale politico della Stoà. E’, tuttavia, il piano etico in senso stretto che offre a Plutarco più spunti per i suoi studi. La visione plutarchiana, fondata su un rigido dualismo platonico, non riesce ad accettare il panteismo stoico, che non risolve i diversi scolii in cui si imbatte. La dottrina del lógos, inteso come Provvidenza e come fondamento immanente al mondo, infatti, risulta in contrasto con diverse posizioni stoiche. Se gli eventi dipendono interamente dal lógos, inteso come assoluta giustizia, anche le guerre e i fatti dolorosi diventano un’espressione ingiusta della giustizia. E ancora, se anche gli atti malvagi trovano la loro ragion d’essere nel lógos, che senso ha la loro punizione? Ovvero, che potere ha l’uomo di combattere il Fato? E sempre parlando dei comportamenti attuabili dall’uomo, è nota la distinzione tra la virtù, intesa come azione razionale svolta in rispetto del lógos, e le azioni indifferenti. Ora, Zenone indica spesso la salute come un bene indifferente. Se però si intende la salute come autoconservazione, ecco che questa diventa razionale, cioè conforme a natura, e diventa un ulteriore impasse di cui gli Stoici, secondo Plutarco, non si avvedono. A.S./C.S. NOTIZIARIO Superati i problemi di gestione e le questioni burocratiche degli ultimi anni, il SIGMUND FREUD INSTITUT di Francoforte, sotto la guida di Horst Eberhard Richter, direttore dall’aprile del 1992, riprende in grande stile la propria tradizione di istituto di ricerca. Come avveniva nel passato, l’attività di ricerca scientifica investe ora nuovamente l’ambito sociale e la psicoanalisi torna a presentarsi nella sua veste di strumento euristico ed ermeneutico concretamente applicato al contesto sociale. Questo cimentarsi con le tensioni e i conflitti di più scottante attualità trova ora riscontro, ad esempio, nell’analisi di fenomeni sociali quali radicalismo di destra, xenofobia, violenza sociale e antisemitismo, nel tentativo di individuare in che misura l’esplodere della violenza xenofoba sia da considerarsi un ritorno del rimosso e in che misura sia invece il frutto di nuove dinamiche psicologiche. Concerne direttamente tale argomento il progetto di ricerca di Wolfgang Leuschner, che mettendo a confronto musiche e testi delle attuali canzoni nazi-rock con i Lieder dell’era hitleriana, ha messo in evidenza come le manifestazioni neo-naziste mirino ad allestire un fronte antirazzista compatto e armato, piuttosto che a promuovere un messaggio rivolto a grandi masse. Di fronte a fantasie violentemente razziste e antisemite si è trovata anche Hanna Gekle nel corso di terapie psicoanalitiche da lei condotte presso l’Istituto. Fantasie tanto più pericolose, ha fatto rilevare Gekle, in quanto proprie di individualità psichiche estremamente diverse e soddisfacenti a bisogni di natura differente, e quindi pronte a esplodere come un’epidemia in determinati momenti storico-politici, proprio per la loro capacità di offrire a molti un apparente fondamento comune. Sono invece al centro dello studio intrapreso da Kurt Grünberg le relazioni di coppia intercorrenti fra i discendenti degli ebrei sopravvissuti agli stermini nazisti e i figli dei responsabili di tali crimini. L’analisi clinica ha messo in luce il complesso intreccio di vissuti e di rapporti conflittuali che mina alla base tali relazioni e che è da imputare all’incidenza che gli avvenimenti del passato ancora esercitano, sui discendenti, conducendo nella maggior parte dei casi al fallimento dei rapporti sentimentali. Lo studio di Christian Schneider, ha invece preso in considerazione le relazioni affettive e comportamentali intercorrenti fra gli ex allievi dell’istituto nazista per l’educazione, la scuola Napola, e i loro figli. L’analisi ha in particolare messo in rilievo l’incapacità dei padri ad accettare l’alterità dei figli: l’esigenza della prole di costruire una vita propria sviluppa negli ex allievi «un aggressivo rifiuto di identificazione». N.C. Arrestato nell’aprile del 1943, durante gli anni di prigionia, dapprima a Tegel, poi a Buchenwald e quindi a Flossenbürg, dove ebbe luogo la sua esecuzione, DIETRICH BONHOEFFER non NOTIZIARIO smise mai di esercitare la propria attività intellettuale. A testimonianza di una riflessione ininterrotta sui temi della fede e della religione, l’insieme di questi scritti sono stati raccolti e pubblicati postumi, una prima volta, nel volume Widerstand und Ergebung. Briefe und Aufzeichnungen aus der Haft (Resistenza e resa. Lettere ed annotazioni dal carcere, a cura di E. Bethge, Kaiser, München 1951). Del periodo della prigionia è anche un carteggio tra Bonhoeffer e Maria von Wedemeyer, alla quale il teologo protestante, al tempo trentasettenne, era legato da un rapporto d’amore e d’amicizia. Le lettere furono custodite inedite da von Wedemeyer fino alla sua morte. In una sola occasione venne concessa la possibilità di intuire la delicatezza dei toni che animava queste lettere dalla pubblicazione di alcuni stralci delle stesse, contenuti in un breve saggio che compare nella traduzione italiana del volume degli scritti della prigionia sopra citato (D. Bonhoeffer, Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere, trad. it. a cura di A. Gallas, Ed. Paoline, Milano 1988). Solamente poco prima della morte, avvenuta nel 1977, von Wedemeyer consegnò la corrispondenza alla sorella Ruth Alice von Bismarck; il carteggio è ora pubblicato, corredato da un commento sintetico ma esaustivo, con li titolo: Brautbriefe Zelle 92. Dietrich Bonhoeffer-Maria von Wedemeyer 1943-1945. (a cura di R. A. v. Bismarck e U. Kabitz, con una postfazione di E. Bethge, C.-H.-Beck, München 1992). Spirito poco incline alla speculazione teologica, von Wedemeyer si ribellava di fronte alla razionalizzazione della fede, che la rende intellettualismo astratto e non più movimento del cuore. Un tale principio non poteva non essere condiviso da Bonhoeffer, che sentiva l’esigenza di concepire un linguaggio nuovo per parlare dell’esperienza della fede al di là delle cristallizzazioni operate dalla tradizione religiosa, colpevole di aver smarrito il senso del messaggio cristiano. Così, nei brevi incontri di Bonhoeffer con von Wedemeyr, la discussione astrattamente intellettuale veniva di proposito bandita, per lasciare spazio al godimento reciproco che la vita dell’uno rappresentava per l’altro, finché la sua militanza religiosa e la sua opposizione politica non valsero a Bonhoeffer l’impiccagione, avvenuta nel ’45. N.C. Alla vigilia del centocinquantenario dalla nascita di NIETZSCHE, avvenuta nel 1844 a Röcken in Sassonia, la città di Weimar, in cui Nietzsche morì nel 1900 assistito dalla sorella Elisabeth Förster, dedica al filosofo, grazie all’interesse della Fondazione Weimarer Klassik, una serie di convegni che si succederanno in otto cicli fino al 1995 e che porranno in luce di volta in volta aspetti diversi della vita e dell’opera del filosofo. L’iniziativa testimonia un interesse e una volontà di ricerca intorno al pensiero di Nietzsche, che fino a pochi anni fa sarebbero stati impensabili, allorché le sue opere ancora cadevano, nell’ex DDR, sotto il rigido controllo della censura, come documenta la mostra “Der rote Punkt”, tenutasi recentemente nella stessa Weimar - il titolo dell’esposizione allude al simbolo, un punto rosso, con cui venivano bollate le opere degli scrittori ritenuti ideologicamente sospetti o pericolosi. La prima serie di conferenze, tenutesi intorno alla metà di ottobre 1993, aveva come oggetto di studio l’infanzia e la giovinezza di Nietzsche nell’arco di tempo che lo vide trasferirsi dalla nativa Röcken a Basilea, ivi chiamato ad occupare una cattedra di lingua e letteratura greca, grazie all’interessamento del filologo Friedrich Ritschl, suo maestro a Lipsia. Hanno tenuto le loro relazioni sul tema Klaus Goch, Pia Daniela Volz, Renate Müller-Buck, Johann Figl, Martin Pernet, Fritz Bornmann, Steffen Dietzsch. Il programma culturale annunciato dalla Fondazione Weimarer Klassik per il 1994 prevede, per la fine di luglio, un simposio sul pensiero di Nietzsche relativamente al tema: “Popoli e patrie - L’Europa fra decadenza e rinascita”; ancora da definire invece la data per il convegno sulla ricezione di Nietzsche nella DDR. Alla Fondazione Weimarer Klassik si deve anche l’allestimento nel 1990 del piccolo museo nelle sale inferiori della casa in cui il filosofo morì nel 1900. Il compito di coordinare l’iniziativa è stato affidato a Roswitha Wollkopf, già collaboratrice dell’Archivio Goethe-Schiller. Nel piccolo museo viene documentata la storia dell’archivio in base alla gestione del patrimonio letterario ad opera della sorella del filosofo, Elisabeth Förster, che passò da una iniziale collaborazio- 56 ne con l’allora direttore del Weimarer Museum, Harry Graf Kessler, in vista di una Weimar centro di cultura, all’adesione sempre più fanatica di Elisabeth al nazismo, che la portò a consegnare gli scritti del fratello al momento politico imperante. N.C. Una nuova rivista, RAGION PRATICA, pubblicata dall’editore Anabasi di Milano, si propone di affrontare in maniera chiara e non specialistica problemi attuali di natura politica, etica e giuridica. Una “ragion pratica”, quindi, che più che un omaggio a Kant vuole essere un richiamo al significato ampio e diversificato di questo termine, un significato che opportunamente figura al centro del primo numero di questa rivista, dedicato appunto alla definizione concettuale e metodologica di “ragion pratica”. Si tratta innanzitutto di un richiamo alle “ragioni”, nel senso delle argomentazioni, delle giustificazioni, che stanno alla base delle nostre riflessioni e dei nostri comportamenti quotidiani: «le ragioni non come semplici strumenti al servizio di chi li usa, ma come veri e propri vincoli al ragionamento e, indirettamente, all’azione». Le caratteristiche più originali della rivista sono, da un lato, l’accostamento multidisciplinare delle materie, assegnate in base a criteri di rigida competenza e in virtù del pluralismo delle tradizioni filosofiche a cui gli autori appartengono, dall’altro l’originale impostazione contenutistica e stilista. Gli ambiti disciplinari di riferimento vanno dalla filosofia del diritto, della morale, della politica, alle scienze economiche e al diritto positivo; gli approcci tematici mostrano la presenza di varie tradizioni filosofiche, anche se un ruolo predominante sembra avere la tradizione ermeneutica e, soprattutto, quella analitica. “Ragion pratica” vuole dunque essere luogo d’incontro, e nel caso di scontro, fra posizioni che, «proprio perché diverse, sono interessate a confrontarsi». Compongono, fra gli altri, il comitato scientifico il costituzionalista Zagrebelsky, il giurista Michele Taruffo, il filosofo Eugenio Lecaldano. Lo stile intellettuale della rivista si mostra rigoroso, dal punto di vista argomentativo, ma vivace ed attento per quanto riguarda l’attualità, improntato al gusto della distinzione e della chiarezza. “Ragion pratica” non vuole essere, d’altra parte, né una rivista a carattere accademico o speculativo, né a carattere scrupolosamente filologico; essa si rivolge ad un pubblico colto, che al di là delle semplici opinioni aspira ad una informazione-formazione più critica, attraverso, appunto, la ragione argomentativa e le giustificazioni razionali. Saranno i fascicoli in uscita nei prossimi mesi ad inquadrare più chiaramente il senso di questo nuovo progetto attraverso l’analisi di questioni d’attualità, quali “Razzismo e xenofobia”, “Garantismo, mafia e corruzione”, “Liberalismo versus comunitarismo”. S.C. NOTIZIARIO Due nuove riviste, apparse recentemente in Inghilterra, EUROPEAN JOURNAL OF PHILOSOPHY (quadrimestrale, B. Blackwell, Oxford) e PHILOSOPHY NOW (trimestrale, Philosophy Now), tentano di fornire una risposta a quelle che vengono sentite come gravi carenze nel panorama filosofico anglosassone: la mancanza di comunicazione tra filosofia analitica e tradizione filosofica europea, e la necessità di rendere la filosofia maggiormente fruibile per un pubblico di non specialisti. Il problema del dialogo tra filosofia analitica e tradizione continentale, al centro della rivista “European Journal of Philosophy”, è stato affrontato mettendo in particolare rilievo i contesti sociale e storico del dibattito filosofico, spesso assente nella prospettiva analitica. Emblematico in tal senso un intervento nella rivista di Ulrich Preuss, filosofo politico tedesco, che affrontando il problema dell’integrazione europea sottolinea la necessità di un’integrazione che non sia solo economica, ma soprattutto morale, schierandosi così dalla parte di una tradizione europea che intende individuare soluzioni per i problemi contemporanei attingendo a numerosi concetti filosofici e politici, mutuati dalla storia della filosofia. A questa posizione fa riscontro la proposta di Philip Pettit, che vede invece nei soli Machiavelli, Rousseau e Montesquieu quei pensatori europei degni di menzione in un tale contesto problematico. A Ursula Wolf, filosofo tedesco che opera all’interno della tradizione analitica, è toccato allora di cercare, in un suo articolo sulla rivista, un possibile collegamento tra le due tradizioni attraverso il richiamo a norme etiche universali, al di là dello scetticismo contemporaneo. La polemica tra filosofia analitica e filosofia continentale si fonda su accuse reciproche, spesso ricorrenti. I filosofi analitici, per esempio, lamentano il fatto che la filosofia europea è spesso oscura e poco rigorosa da un punto di vista metodologico nello stabilire le proprie conclusioni, in quanto poco propensa ad analizzare rigorosamente, appunto, i propri argomenti; emblematico, da questo punto di vista, il dibattito apertosi attorno al post-strutturalismo. Per i filosofi europei, invece, la filosofia analitica pecca di un certo astrattismo, ignora cioè le difficoltà ermeneutiche presenti in una comprensione adeguata del significato di un soggetto filosofico, isolandolo dal suo reale contesto storico e sociale. Una mediazione tra questi due approcci appare difficile, come dimostrano Eva Picardi e Kendall Walton nei loro interventi nella rivista. Interessante, in questo contesto di dibattito, la proposta di Bernard Williams in un suo intervento sulla rivista, dedicato alla psicologia morale di Nietzsche, in cui l’autore suggerisce l’idea che la divisione tra filosofia analitica e filosofia continentale sottintenda una cesura di tipo metodologico senz’altro bizzarra, come se si volessero classificare le automobili in auto “a trazione anteriore” ed auto “giapponesi”. Tuttavia Williams condiziona la sua proposta, non considerando importante ciò che Heidegger, uno dei più importanti commentatori di Nietzsche per la tradizione europea, ha scritto su questo filosofo, facendo proprio il pregiudizio “analitico” secondo cui Heidegger, ma anche Adorno, Derrida, non sarebbero filosofi, o meglio, sarebbero filosofi “giapponesi”, opposti a Williams, filosofo “a trazione anteriore”. Totalmente differente è invece il percorso affrontato dalla rivista “Philosophy now”, che intende occuparsi di temi d’attualità come eutanasia, vivisezione etc.., in uno stile facilmente comprensibile anche ad un pubblico di non specialisti. Il tentativo che sta dietro a una tale impostazione è essenzialmente quello di aprire la filosofia ad aree di riflessione nuove, particolarmente dense di motivi di grande interesse pubblico. S.C. come caratteri distintivi di queste teorie. Gerald Sfez ha infatti messo in evidenza l’affinità fra il pensiero di Machiavelli e la concezione classica del kairos. Il prossimo convegno di questa serie si terrà a Parigi, nel giugno 1994, sul tema: “Che cosa e come cambia la filosofia quando passa alle lingue vernacolari?”. F.M.Z. Ad opera della casa editrice BollatiBoringhieri di Torino è ora disponibile la raccolta completa della rivista IL CAFFÈ, in cui sono riuniti tutti gli articoli pubblicati sul “foglio” (176466) fondato da Pietro Verri, insieme al fratello Alessandro, come organo della Società dei Pugni. Accompagnano la raccolta due saggi introduttivi di Sergio Romagnoli e Gianni Francioni; il primo ripropone una riflessione storica sulle vicende de “Il Caffè”, il secondo ricostruisce la storia editoriale della rivista. Nei loro saggi, Romagnoli e Francioni ripercorrono le tappe evolutive che segnarono la pubblicazione della rivista in un’epoca che fece molto discutere intellettuali e studiosi d’ogni genere per le pesanti censure, che venivano sistematicamente esercitate su ogni nuova idea che venisse comunicata per iscritto. Attraverso testimonianze e immagini eloquenti dell’epoca, ai lettori è data l’occasione di rientrare nel clima dell’illuminismo lombardo, con le sue problematiche, i suoi pregi, i suoi difetti. Il difficile clima politico e culturale in cui si trovarono ad operare i fratelli Verri, per cui “Il Caffè” può essere considerato un esempio di informazione e di forte provocazione al tempo stesso, è ben reso dalla risposta di Pietro Verri alla domanda: «Che cos’è questo Caffè?». «È un foglio di stampa - rispose Verri - che si pubblica ogni dieci giorni. Contiene cose varie, cose disparatissime, cose inedite. Cose tutte dirette alla pubblica utilità, con il fine di spargere delle utili cognizioni fra i vostri cittadini...». Vari erano di fatto i temi proposti sulla rivista: letteratura, commercio, agricoltura, pregiudizi, lotta contro l’indifferenza, contro la modernizzazione del paese, contro il permanere dei vecchi costumi: «quanto poteva servire per accrescere i lumi e la cultura». La breve vita della rivista non tolse nulla alla ricchezza dei contenuti e al potere di una voce nuova che ridestò interessi spenti, ne accese di nuovi, e ne acuì il dibattito. D.M. Il Collège International de Philosophie di Parigi e il Zentrum fur Kulturwissenschaften und Kulturtheorie di Stoccarda hanno da un paio d’anni un programma comune: studiare LE ORIGINI DELLA MODERNITA’ NEL SECOLO XVI, in un periodo, cioè, in bilico fra la fine della scolastica e l’incipiente razionalismo; un periodo ricco di contraddizioni e di sviluppi in nuce, decisivi per la nascita delle culture nazionali: cujus regio, ejus philosophia. All’origine di questo progetto vi è il lavoro di ricerca sulla sofistica, iniziato negli anni ’80 a Parigi da Barbara Cassin e Michel Narcy. A seguito di questa iniziativa si sono avuti alcuni incontri di grande interesse: un primo colloquio a Stoccarda, nel 1992, sulla “Retorica come modello teorico” e un secondo convegno, sempre a Stoccarda, nel 1993, su: “Discorso, figura e temporalità”. E ancora sono previsti ulteriori incontri collegiali su Machiavelli, sul tema della phantasia e della mimesis, sul passaggio dal latino alla lingua vernacolare e sulla nascita delle nuove scienze. Due aspetti hanno contraddistinto questi incontri: un respiro europeo, un “concerto” di voci e di prospettive differenti, e un approccio filosofico a un’epoca considerata poco “filosofica”. Gisela Febel e Gerhard Schroder hanno parlato del secolo XVI come di “una terza sofistica”; Michel Narcy si i è interrogato sullo scetticismo e sulla sofistica nell’Âge Classique, rilevando come molti legami sembrano collegare la sofistica antica ai tempi moderni. Persino l’antica querelle fra Aristotele, Platone e la Sofistica sembra ritornare, sebbene in modo diverso; viene ripresa, in ogni caso, la concezione di una lingua performativa, fondatrice di realtà, che si era formata con la sofistica antica. Anche l’idea di tempo sembra incidere notevolmente sulle teorie letterarie e scientifiche di questo secolo; mentre dal punto di vista delle teorie politiche e le pratiche artistiche, l’idea di prudentia sembra tesa decisamente all’eliminazione di ogni telos, a un’immanenza e a una contingenza L’Istituto Banfi indice per l’anno 1993 un concorso per il conferimento del PREMIO ENNIO SCOLARI di L. 5.000.000, istituito in memoria di Ennio Scolari, per onorarne l’impegno civile e scientifico di studioso e organizzatore di cultura. Il Premio è destinato a ricerche inedite in lingua italiana nell’ambito della “Storia delle istituzioni e dell’organizzazione della cultura”. La domanda di partecipazione, in carta legale, indirizzata al Presidente dell’Istituto Banfi, do- 57 vrà recare l’indicazione del nome, cognome, data, luogo di nascita e domicilio del candidato, e dovrà pervenire entro il 30 settembre 1994 alla sede dell’Istituto Banfi (via Pasteur 11, 42100 Reggio Emilia). Il candidato dovrà allegare alla domanda il proprio elaborato dattiloscritto in 5 copie, che non verranno restituite. Il candidato dovrà altresì allegare una dichiarazione con cui assicura di non aver ricevuto altri Premi per la ricerca che presenta al concorso. La consegna del Premio verrà effettuata nel corso di una pubblica iniziativa che si terrà a Reggio Emilia. Per l’anno accademico 1993-1994, l’ ACCADEMIA DI STUDI ITALOTEDESCHI di Merano ha indetto un concorso a 12 premi di studio a favore di laureati o diplomati di Istituti di grado universitario del biennio accademico 1992/93-1993/94 e di studenti universitari laureandi (dell’ultimo anno del corso universitario) del mondo culturale di lingua italiana e del mondo culturale di lingua tedesca, che si siano distinti con profitto negli studi. In conformità al carattere internazionale dell’Accademia, il concorso è aperto a tutti i cittadini italiani, a quelli della Repubblica Austriaca, della Repubblica Federale di Germania e della Confederezione Elvetica. L’ammontare di ogni Premio è fissato in L. 3.000.000. I lavori di tesi e le eventuali pubblicazioni devono riguardare le relazioni culturali tra il mondo di lingua italiana e il mondo di lingua tedesca considerate come contributo alla unità culturale europea; devono cioè essere rivolti all’analisi e all’approfondimento dei reciproci rapporti tra la cultura di lingua italiana e quella di lingua tedesca. Le attività di ricerca vanno documentate con una lettera di un professore universitario che ne garantisca esplicitamente il valore scientifico. Per essere ammessi al concorso i concorrenti dovranno inviare domanda in carta semplice entro il 30 novembre 1994, a mezzo raccomandata, indirizzata al Consiglio di Presidenza dell’Accademia di Studi Italo-Tedeschi di Merano (via Cassa di Risparmio 20, 39012 Merano). La domanda va corredata da copia del certificato di Laurea o Diploma, oppure dal certificato di tutti gli esami e dei colloqui universitari sostenuti, se i concorrenti sono studenti laureandi. Jacques Derrida, Maurizio Ferraris, Hans-Georg Gadamer, Aldo Giorgio Gargani, Eugenio Trias, Gianni Vattimo e Vincenzo Vitiello si sono recentemente ritrovati a Capri in un incontro a porte chiuse, invitati dalle case editrici Laterza e Editions du Seuil e dall’Istituto di Studi Filosofici Europei, per discutere del progetto di un ANNUARIO FILOSOFICO EUROPEO. Altri filosofi italiani e stranieri di diverso orientamento hanno già annunciato la loro collaborazione. Ogni anno l’annuario affronterà un tema cruciale sul quale dibatte- NOTIZIARIO NOTIZIARIO CONVEGNI E SEMINARI ranno filosofi e intellettuali di diversa estrazione, accomunati dall’interesse nel confrontare la filosofia con le questioni cruciali del mondo contemporaneo. Il primo volume, che uscirà in italiano, francese e altre lingue, sarà dedicato alla religione. L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici bandisce un concorso per il PREMIO MARZIA ROCCA , di L. 3.000.000, per una tesi di laurea in discipline estetiche (Estetica, Poetica, Teoria della critica), discussa nell’anno accademico 1994-95 in uno degli Atenei italiani. Possono partecipare al concorso tutti coloro che siano laureati presso facoltà di Lettere e Filosofia, di Magistero, di Lingue, o di Architettura e che abbiano discusso la tesi entro il 30 marzo 1995. I concorrenti dovranno far pervenire entro il 30 aprile 1995 all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Premio Marzia Rocca (via Monte di Dio 15, 80132 Napoli), una copia della loro tesi corredata da: 1) una domanda in carta semplice; 2) un certificato di laurea con i voti riportati nei singoli esami; 3) un curriculum studiorum; 4) lettere e/o attestati di professori sotto la cui guida si sia svolta la dissertazione di laurea. Presso Raffaello Cortina Editore di Milano è stata inaugurata una nuova collana, dal titolo SCIENZA E IDEE, diretta da Giulio Giorello. La collana si rivolge a tutti coloro che ritengono che nella cultura conti di più il conflitto tra modi alternativi di vedere il mondo che il paesaggio gelato dal conformismo. E’ dunque aperta a tutti quei contributi che non esitano a sfidare la costellazione dei dogmi consolidati. Da un lato la collana guarda alla storia delle idee e delle mentalità; dall’altro, mira a rendere trasparenti i problemi che attraversano le singole discipline. Essa si rivolge dunque al vasto pubblico che non si riconosce nelle rigide contrapposizioni tra cultura letteraria, storica e scientifica. Con “scienza” ci si riferisce così a un ventaglio di ricerca che va dalla matematica alle scienze del vivente, dalla fisica alla psicologia e alle cosiddette scienze umane, senza trascurare la dimensione tecnologica dell’impresa scientifica. Con “idee” ci si riferisce invece a tutti quei tentativi che mirano a individuare un senso della ricerca scientifica, del progresso tecnologico e della stessa convivenza civile. Saranno a breve in libreria: Terra patria, di Edgar Morin; Linguaggio e filosofia, di Ian Hacking; Spettri di Marx, di Jacques Derrida; La dimensione sociale della conoscenza, di David Bloor. Tra i volumi in preparazione: Dove si nasconde la salute, di Hans-Georg Gadamer; Paura della fisica, di Lawrence M. Kraus; Sulla psicanalisi, di Louis Althusser; La sfida della conoscenza, di Tom Wilkie. Baruch Spinoza nel 1673 58 CONVEGNI E SEMINARI CONVEGNI E SEMINARI Spinoza per tutti Si è svolto a Parigi dal 13 al 15 maggio 1993 un convegno dedicato al pensiero di Spinoza, dal titolo: “PUISSANCE ET ONTOLOGIE”. Al convegno, organizzato dal Collège International de Philosophie, hanno preso parte filosofi di diversi paesi oltre ai maggiori studiosi francesi del pensiero spinoziano. A riprova del contemporaneo interesse per Spinoza è uscito negli stessi giorni in Italia un testo di Paolo Cristofolini, SPINOZA PER TUTTI (Feltrinelli, Milano 1993), in cui si dichiara apertamente l’attualità e l’esigenza di una riscoperta del pensiero del marrano olandese, eretico e felicemente dissacratore. Periodicamente Baruch Spinoza sembra tornare d’attualità in filosofia e nelle politiche d’emancipazione, come espressione di un pensiero non archiviabile quale uno dei grandi momenti del pensiero razionale seicentesco, storicamente risolto nella sua epoca, bensì capace di rispondere alle più profonde esigenze del nostro tempo. Una sorta di pensiero alternativo alla linea dominante del pensiero moderno, dall’Illuminismo in poi, che si tratterebbe ora di riscoprire, di ripensare. Il convegno di Parigi, organizzato da Hadi Rizk e Myriam Revault, non ha smentito questa visione del problema. Così Pierre Macherey e Alexandre Matheron, due dei maggiori studiosi francesi di Spinoza, si sono occupati di smontare i più tradizionali “pregiudizi” sul suo pensiero. Macherey ha attaccato la visione di Spinoza come filosofo dell’Uno unico, monista e panteista, mostrando come non sia possibile pensare l’unità in sé o la pluralità in sé, ma solo il reciproco presupporsi dell’una e dell’altra. Che Dio sia unico, significa solo che è distinto dalle cose che sono plurime; unità e unicità applicati a Dio sono, per Spinoza, termini impropri, poiché nessuna cosa è unica se non in rapporto a un’altra, che conviene con essa. La coincidenza assoluta in Dio di essenza ed esistenza indica dunque che non si può ragionare dell’una senza l’altra. Matheron ha affrontato invece il pensiero politico spinoziano, la cui originalità consiste nell’essere al tempo stesso contro la visione di Hobbes, secondo il quale l’associarsi degli uomini richiede di necessità un potente artificio giuridico, e contro la visione edificante della politica che nasce dall’indignazione. Per Spinoza l’indignazione, funzione dell’immaginazione e non della ragione, è il sentimento più equamente distribuito tra gli uomini; essa genera tanto lo Stato, quanto le rivoluzioni, dal momento che in ogni conflitto vi è un testimone, che s’indigna. La società politica si originerebbe così, nella tristezza e per mezzo dell’indignazione, da un ipotetico stato di natura. Spinoza opta invece per l’idea di una politica fondata sulla ragione come potenziamento della gioia, e non più sull’indignazione come potenziamento della tristezza nel risentimento. Alain Badiou ha preso in esame l’arduo problema della conoscenza in Spinoza. Qui la centralità del metodo matematico indica una cesura tra intelletto finito e intelletto infinito: una conoscenza vera è possibile solo per il secondo. Di fatto del corpo singolare, di cui il nostro spirito è l’idea, non si dà vera idea; ma del corpo collettivo si dà idea vera in quanto idea comune, dove però l’essere di questa idea non si può pensare se non, more geometrico, come ciò che è comune a tutti. La matematicità è la sola garanzia di un’idea vera per un intelletto finito, e Dio è il matema stesso. A questo proposito Jean-François Lyotard si è chiesto, allora, come sia possibile conoscere le cose singolari se sosteniamo che l’unica conoscenza adeguata è la conoscenza di quel che è comune alle cose. Secondo Badiou, le cose singolari non sono per Spinoza conoscibili se non attraverso la conoscenza comune, ossia la conoscenza matematica. Unico italiano presente al convegno, Antonio Negri ha messo in evidenza due linee di pensiero nell’Etica di Spinoza, una mistica e una ascetica, imperniate rispettivamente sul concetto di eternità e di libertà, che non si contrappongono, ma s’intersecano e si alimentano a vicenda, convergendo nella tematica della moltitudo. Da ultimo è stato preso in considerazione il confronto tra Heidegger e Spinoza, a cui hanno fatto riferimento le relazioni di Jeffrey Barash e Jean-Luc Nancy, che hanno proposto entrambi un’interpretazione di 59 Spinoza in funzione antiheideggeriana. Secondo Barash, in Heidegger, nel porre la questione dell’essere, vi è un oblio dell’etica; ogni Seinsfrage (domanda sull’essere) deve invece presupporre un’etica, proprio perché privilegiare la Seinsfrage è già una scelta etica. Nancy ha mostrato invece che se il pensiero di Heidegger è incentrato sulla finitezza dell’uomo e sul rapporto con la morte, quello di Spinoza è incentrato sul rapporto finito-infinito e sulla vita e il suo potenziamento come sola realtà dell’uomo; ma soprattutto l’essere spinoziano, derivando dalla sua stessa definizione dalla coincidenza di essenza ed esistenza, escluderebbe la differenza ontologica, relegandola a mero artificio discorsivo. L’insieme di queste considerazioni trova un interessante riscontro e approfondimento nel recente studio di Paolo Cristofolini, Spinoza per tutti, che si distingue subito per una peculiarità: la corrispondenza tra la “struttura formale” del testo e i “contenuti” che vi trovano posto. In altre parole, non si tratta, come pure qualcuno ha voluto pensare, di uno Spinoza ridotto in pillole per una larga divulgazione, o anche per l’edificazione morale del maggior numero di lettori, compresi quelli digiuni di cose filosofiche. Né ancor meno si tratta di un’introduzione “per profani” (magari, in quanto tale, fatalmente mancata), nell’arco di poche pagine, al pensiero spinoziano. Piuttosto, lo Spinoza per tutti, proposto da Cristofolini, è uno Spinoza ripercorso “spinozianamente” dal di dentro, lungo la tensione fondamentale che attraversa l’Ethica more geometrico demonstrata, e cioè quella tra “infinito” e “finito”. Dove appunto il finito (il “noi umano”, il “tutti” del titolo) è chiamato per soddisfare il proprio conatus all’autoconservazione e, insieme, al potenziamento di sé a ritagliarsi il suo pezzo d’infinito, ed anzi, meglio, a rintracciare la sua parte di quella infinita “potenza dell’essere” che è rappresentata dalla Sostanza-Dio-Natura. E’ una potenza infinita dell’essere che, pur senza cadere nel pregiudizio antropocentrico (a cui, anzi, Spinoza vibra uno tra i colpi più poderosi di tutta la storia della filosofia), si mette al servizio, attraverso Spinoza e Cristofolini suo interprete, dell’uomo, e cioè dell’essere finito di cui è, per noi, più doveroso e insieme CONVEGNI E SEMINARI decente occuparci: «Noi abbiamo sì - afferma Cristofolini - un interesse peculiare per l’uomo, ma perché siamo uomini, e per nessun altro motivo». In altre parole, nella totalità immanente della Sostanza non si può che scegliere, come già aveva fatto Spinoza, e come fa ora Cristofolini, quando propone i suoi sette “tracciati” (o sentieri, percorsi) attraverso l’Etica, corredandoli con una piccola scelta dall’epistolario di Spinoza. E non è certo un caso se Cristofolini sceglie di partire (già nella breve premessa, «Etica e geometria», e poi nel primo percorso) da una riflessione sul “metodo geometrico” di Spinoza, di cui si deve intendere, nella prospettiva spinoziana, la necessità e, al contempo, la peculiarità. Il metodo geometrico è, per Spinoza, più “quadro immanente” (sia pure rigoroso), che non univoca costrittività logica. Lo sta a dimostrare anche la particolare natura delle definizioni presenti nell’Etica (e soprattutto quelle, fondamentali, in apertura del libro De Deo), ben distinte, a differenza del classico modello euclideo, dagli assiomi, e la cui provenienza dall’ “intelligenza” come “vita della mente” (nella sua «dimensione della quotidianità»), osserva Cristofolini, si fa chiara e semplice «una volta che sia raggiunta la visione d’insieme dell’Etica ». Anche qui c’è un senso del “per tutti” di cui sopra: la percorribilità in tante direzioni diverse dell’Etica significa che alla verità, “per quanto univoca”, non può e non deve corrispondere l’angusta univocità dell’interpretazione “di un solo uomo”; a partire, beninteso, dallo stesso Spinoza. Per quel che riguarda i percorsi proposti da Cristofolini, è significativo il modo in cui egli stesso li caratterizza: “dall’intelligenza alla definizione”; “dalla sostanza infinita ai modi finiti”; “dal corpo alla potenza della mente”; “dall’immaginazione alla conoscenza adeguata”; “dagli attributi divini all’essenza umana”; “dalle passioni all’amore intellettuale”; e, infine, “dalla saggezza alla libera repubblica”. Ma il “meta-percorso” davvero obbligato, che ha fatto scegliere a Spinoza il titolo di Etica (sia pure, appunto, “dimostrata con metodo geometrico”) per la sua “ricerca di una vita”, è quello “dal Dio-Sostanza all’uomo”. Proprio questo dichiara a chiarissime lettere la brevissima premessa alla seconda parte dell’Etica, il De Mente; ed è questo ciò a cui volentieri Cristofolini acconsente. Ma l’uomo di cui qui si parla è un uomo al suo meglio, capace di volgere in potenza, gioia e pienezza del proprio essere (sia pure sempre entro i limiti imposti dalle “cause esterne”) anche le forze, emancipate dalle loro servitù, delle proprie passioni e della propria immaginazione. Un uomo che, secondo una linea interpretativa propria a Cristofolini, fa della “scienza intuitiva” cioè, per Spinoza, del terzo e sommo genere di conoscenza, quello che apre all’Amor Dei intellectualis e che è preposto alla conoscenza delle “cose singole” e delle loro essenze - la scienza applicabile per eccellenza alle cose umane, alle cose del “noi”, situata oltre la ratio dimostrativa e procedente soltanto per leggi della scienza moderna, in questo affine, per qualche aspetto, alla futura Scienza nuova di Giovambattista Vico. Ma soprattutto, e in conclusione, i “tutti” a cui l’Etica spinoziana, almeno in potenza, si rivolge, sono davvero tutti gli uomini senza distinzione. Non soltanto coloro che sapranno elevarsi alla saggezza e all’amore intellettuale di Dio, secondo l’immagine più tradizionale e consolidata dell’ideale filosofico spinoziano, e secondo quanto ricostruisce il penultimo percorso di Cristofolini (il “penultimo”, si badi); ma anche quanti, e cioè “tutti”, appunto, senza distinzione tra sapienti di oggi, sapienti di domani e “ignoranti” di sempre, sapranno, potranno e saranno messi in grado di trovare un proprio spazio di espressione e libertà entro la “libera repubblica” degli uomini. M.C./F.E. Umanismo e modernità in Germania Si è svolto a Strasburgo tra il 13 e il 15 maggio 1993 un convegno su “UMANI SMO E UMANITÀ NEL PENSIERO TEDESCO DEGLI ULTIMI DUE SECOLI”, sotto la direzione scientifica di Louis Dupeux, uno degli animatori della “Revue d’Allemagne”, su cui successivamente (luglio-agosto 1993) sono apparsi gli atti del convegno. Numerosi i partecipanti, di cui sono intervenuti, tra gli altri, P. Vaydat, G. Imhoff, J. Gandouly, M. Löwy, A. Doremus, Y. Guèneau, J-Y. Calvez, JM. Vincent, G. Merlio, J. Nourdin, B. Massin, A. Betz, D. Goeldel, J. Favrat, J. Poisot e T. Keller. Le relazioni presentate al convegno erano organizzate per coprire, con un certo ordine cronologico, un arco di duecento anni, che va da Lessing ai giorni nostri. Con una relazione su Lessing ha aperto i lavori Pierre Vaydat, che ha inteso mettere in luce il carattere massonico dell’ideale umanistico lessinghiano, ponendo appunto al centro della sua analisi i Dialoghi massonici, testo che sia per il periodo della sua compilazione (1778-1780,) sia per l’affinità tematica è da porre accanto alla più nota Educazione del genere umano, apparsa nel 1780. In particolare Vaydat ha cercato di sviluppare la concezione lessinghiana secondo cui solo la massoneria è in grado di assicurare il progresso dell’umanità, inteso non in senso tecnico o scientifico, ma in un’accezione morale o politica. Su Herder si è pronunciato invece Gérard Imhoff, che ha tentato di mettere in luce cesure e svolte nel pensiero di Herder che hanno dato adito alla ricezione proteiforme della 60 sua opera, a quella “multivalenza delle interpretazioni”, che ha fatto di Herder ora un nostalgico della classicità, ora un apostolo di un nuovo umanismo, ora uno scopritore ed uno estimatore della pari degnità dei popoli, ora un nazionalista, un pangermanista, un razzista, una sorta di precursore dell’hitlerismo. Di Wilhelm von Humboldt si è occupato Jacques Gandouly con una relazione sulla concezione humboldtiana dell’uomo sotto tre aspetti, che corrispondono ad altrettanti momenti chiave del suo pensiero: l’affermazione della priorità dell’individuo di fronte allo Stato, i principi educativi messi in atto nel 1809/1810, il ruolo del linguaggio all’interno di una visione umanistica. Alla base di tutti e tre questi momenti, ha mostrato Gandouly, vi è l’ideale humboldtiano della Bildung. Dell’umanismo romantico si è invece occupato Michael Löwy, precisando che dal suo punto di vista il romanticismo, in quanto caratterizzato essenzialmente dalla dialettica tra universalità umana e particolarità nazionale, non è un fenomeno limitato a certe correnti letterarie e artistiche dell’inizio del XIX secolo; esso piuttosto deve essere assunto come una Weltanschauung (visione del mondo), in cui si esprime la protesta contro la civiltà moderna in nome di certi valori del passato. Per quanto riguarda il possibile rapporto tra Schopenhauer e la questione dell’umanismo, André Doremus ha fatto notare che nonostante la determinazione della volontà di forgiare il mondo in base ad una sua progettualità autonoma, anche per Schopenhauer il mondo rimane una costruzione umana, e l’uomo stesso un prodotto del suo determinarsi. Mentre, per quanto concerne il rapporto di Nietzsche con la tradizione umanista, Yves Guéneau, ricostruendo il carattere di rottura radicale e deliberata della riflessione nietzscheana nei confronti dell’umanismo tradizionale, ha mostrato come questo anticipi e si ricongiunga con l’anti-umanismo proprio dell’epoca moderna. Sull’umanismo in Marx si è soffermato Jean-Yves Calvez, che dopo aver individuato in Marx una dicotomia tra umanismo e materialismo, ha indicato nell’idea marxiana di praxis il criterio del suo superamento, pur restando, la concezione umanista di Marx, alquanto indeterminata. “Umanità come utopia” è il tratto con cui Jean-Marie Vincent ha cercato di cogliere il rapporto che ha avuto la Scuola di Francoforte con l’umanismo. Se si interrogano i testi di Horkheimer e Adorno, ha notato Vincent, non troveremo alcun riscontro intorno a una natura umana o a una antropologia in grado di sviluppare una filosofia sovrastorica di valori e di cultura. Di altro taglio è stato l’intervento di Louis Dupeux, che si è proposto di esaminare uno dei tratti più sorprendenti del pensiero tedesco, sia dal punto di vista idealista che marxista, vale a dire la riduzione dell’uo- CONVEGNI E SEMINARI mo a “tipo” ideologico: il tipo romantico dell’eroe, il tipo nazionale o razziale, il tipo del superuomo, il tipo dell’operaio o del lavoratore, e così via. In linea con un tale impianto di grande sintesi tematica, Gilbert Merlio ha presentato invece un percorso di riflessione, che dall’ideale romantico del genio giunge fino alla figura dell’Arbeiter di Ernst Jünger, mostrando come, in risposta alle discrasie del mondo moderno, l’estetismo si sia caricato di istanze salvifiche non soltanto per nostalgia del bello, ma anche attraverso una assunzione mimetica in proprio delle sue disarmonie. Una ricostruzione dell’idea di “declino” nella cultura tedesca in rapporto alla tradizione umanistica dell’occidente è stata proposta da Jean Nourdin. Benoit Massin si è invece preoccupato di mostrare, attraverso tre figure chiave come quelle di Virchow, Luschan e Fischer, il passaggio dall’antropologia fisica liberale alla biologia razziale eugenetica degli anni compresi tra il 1870 e il 1914. Un’annotazione sull’umanismo in Heinrich Mann è stata presentata invece da Albrecht Betz. Mentre del versante politico del principio umanistico cristiano si è occupato Denis Goeldel, che ha ricostruito l’idea del principio di sussidiarietà all’interno della dottrina sociale della Chiesa, per vedere poi come esso ha influenzato le politiche dei partiti tedeschi di ispirazione cristiana, come la CDU e la CSU. Il tema del rapporto tra umanismo e conservatorismo è stato affrontato da Jean Favrat, che nel cogliere il nesso neoconservatore che lega l’antropologia di Arnold Gehlen e la sociologia di Helmut Schelsky, da una parte, e le concezioni di filosofi come Hermann Lübbe e Robert Spaemann, dall’altra, ha centrato le sue analisi sul rapporto tra l’uomo e la moderna civilizzazione tecnico-scientifica. Particolare significato Favrat ha attribuito alla posizione di Spaemann, secondo il quale, di fronte alle minacce che il mondo della tecnica comporta per l’uomo, è possibile ancora fare appello all’idea di una natura che gli è intrinseca, e trovare in essa il proprio fondamento. La relazione, infine, di Jacques Poisot ha preso in considerazione il tema del rapporto tra umanismo e sport nella ex DDR, mentre quella di Thomas Keller ha affrontato la questione se l’ “ecologia umana” sia anch’essa un umanismo. Se l’ecologia di per sé non è né un umanismo, né un anti-umanismo, ha in particolare osservato Keller, ma soltanto qualcosa che attiene al discorso della scienza intorno al rapporto tra l’uomo e l’ecosistema, l’ecologia umana, invece, affronta, da un’ottica propriamente normativa, la questione dei riflessi sociali inerenti al rapporto tra uomo e ambiente, rendendo possibile una nuova versione dell’umanismo a partire dall’istanza ecologista. G.B. Ideologie della guerra nel Novecento Obiettivo del seminario dal titolo: “PER UNA STORIA DELL ’IDEOLOGIA DELLA GUERRA NEL NOVECENTO”, che Domenico Losurdo ha tenuto nella sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli dal 13 al 17 settembre 1993, è stato quello di dimostrare, in una prospettiva di storia delle idee, l’esistenza di una linea di continuità fra l’ideologia che domina le guerre coloniali, l’ideologia di guerra dell’Intesa e l’ideologia dell’attuale potere di polizia internazionale che sembra dover presiedere ad una ricolonizzazione del Terzo Mondo. La tesi fondamentale proposta da Domenico Losurdo è che la pratica delle guerre coloniali abbia costituito una sorta di laboratorio delle novecentesche ideologie della guerra. Secondo Losurdo, il Novecento porta a una secolarizzazione dei conflitti di religione e non alla loro scomparsa, come vorrebbe Carl Schmitt, che istituisce un nesso fra i genocidi del XX secolo e la Francia della Rivoluzione, considerando quest’ultima colpevole di aver reintrodotto la guerra di religione, mentre la cultura occidentale avrebbe cancellato l’idea di guerra sacra con la pace di Vestfalia (1648). Ma già Bacone teorizzava il bellum sacrum contro gli indios, richiamandosi al Deuteronomio; e il presidente degli Stati Uniti, Wilson, paragonerà l’intervento americano nel primo conflitto mondiale alla crociata che a suo tempo portò alla conquista della Terra Santa. L’idea della “guerra per la pace” (Salvemini), della crociata per la diffusione della civiltà contro vecchi e nuovi barbari, è uno dei motivi ricorrenti, ha fatto notare Losurdo, nella propaganda ideologica dell’Intesa: civili sono le istituzioni liberali; barbari i popoli militaristi di lingua tedesca. Ora, se si considera che dell’Intesa facevano parte le più grandi potenze coloniali dell’epoca, in particolare l’Inghilterra “liberale”, si può individuare l’origine coloniale dell’ideologia. D’altra parte, John Stuart Mill, nelle Considerazioni sul governo rappresentativo (1861), prometteva il conseguimento della pace universale, rivendicando la necessità di una serie di guerre coloniali che portassero alla generalizzazione del dominio delle nazioni civili su quelle barbare. Nel primo conflitto mondiale la Germania fa invece ricorso, secondo Losurdo, ad una diversa ideologia della guerra, che tende a giustificarla come valore in sé; la guerra permette di attingere una dimensione dell’esistenza fuori dalla banalità quotidiana meditatio mortis - in cui le contraddizioni sociali si compongono in una superiore unità: scompare la lotta di classe e si costituisce il corpo mistico della nazione tedesca. Losurdo ha però mostrato come anche dietro tale ideologia permanga un aspetto della tradizione coloniale, quello per cui 61 Benjamin Disraeli, contro gli agitatori socialisti, parlava di un’Inghilterra che grazie alle guerre coloniali rinsaldava l’unità della comunità civile, superando i conflitti di classe. Un’ulteriore interessante laboratorio delle ideologie della guerra di questo secolo si può ritrovare, ha aggiunto Losurdo, nella guerra di secessione americana (18611865). La guerra è intesa dagli abolizionisti del Nord come missione per la libertà, dal Sud come lotta per la difesa della propria storicità. Ma ciò che svela il carattere ideologico di queste formulazioni di parte, ha osservato Losurdo, è la scoperta che lo stesso tema della crociata per la libertà si colora di motivi razziali nel momento in cui gli americani del Sud sono considerati dagli abolizionisti come congenitamente incapaci di comprendere il valore della libertà. In altri termini, la celebrazione di determinati valori come innati ed esclusivi di un certo popolo porta alla razzizzazione degli altri; questa stessa dialettica peraltro si svilupperà nel primo conflitto mondiale sia all’interno dell’ideologia dell’Intesa, sia nella Kriegsideologie (ideologia della guerra) tedesca. Nella tradizione marxista, ha inoltre fatto notare Losurdo, la tesi di Trotzkij dell’esportazione della rivoluzione, della rivoluzione mondiale, ci conduce ancora una volta alla realtà delle guerre coloniali. Marx ed Engels avevano infatti espresso un giudizio sostanzialmente positivo sulla conquista inglese delle Indie. L’ambiguità di questa posizione è sciolta da Lenin, secondo il quale l’Occidente non esporta rapporti sociali e politici più avanzati, ma impedisce l’emancipazione e la crescita democratica dei popoli. Comunque la tesi di Trotzkij, sconfitta in politica internazionale, finisce per trionfare sul piano interno, dove la Russia europea “esporta la civiltà” nella Russia asiatica; da ultimo, già con Stalin, ma soprattutto con Breznev, la tesi dell’esportazione della rivoluzione viene ripresa sul piano internazionale, dove la dittatura internazionale del proletariato annulla il diritto all’indipendenza e all’autodeterminazione dei popoli dell’Est europeo. Oggi, dopo la guerra del Golfo e coerentemente con l’ideologia della “guerra vincente” nel Novecento, si assiste, secondo Losurdo, ad una riabilitazione del colonialismo. Popper, affermando che gli stati civili hanno il diritto-dovere di imporre la pax-civilitatis, riprende la metafora di Stuart Mill per cui i popoli coloniali, come “razze minorenni”, hanno bisogno di tutori. E come già dopo il 1918 la guerra si configurava quale esecuzione di un mandato della Società delle Nazioni, così oggi l’ONU definisce gli interventi militari “operazioni di polizia internazionale”. Questa riabilitazione del colonialismo, ha concluso Losurdo, non è che una reviviscenza del razzismo e di altri stereotipi, sia nei rapporti fra Nord e Sud del pianeta, sia all’interno dell’Occidente evoluto. A.I. CONVEGNI E SEMINARI René Magritte, Golconda, 1953 L’idea di persona In linea con i tre seminari tenutisi gli anni scorsi sul tema “Analogia e partecipazione”, si è svolto nei giorni 15-1617 novembre 1993, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, un convegno dal titolo: “L’IDEA DI PERSONA. SEMINARIO DI FENOMENOLOGIA E ONTOLOGIA”. Se per un verso questo seminario ha ribadito l’inafferrabilità teoretica della persona e del suo concetto, intento comune ai diversi interventi è stato di ricercare in un orizzonte trascendentale il concetto di persona quale realtà permanente fra le sue sfuggenti manifestazioni e, pertanto, quale entità mai ultimamente circoscrittibile o definibile. Con la partecipazione di Paul Ricoeur, il convegno proseguirà nel novembre 1994 con una nuova serie di incontri sul medesimo tema. Il convegno si è aperto con la lettura della relazione di Paul Beauchamp (“Persona, elezione e universalità nella Bibbia”), che attraverso un’attenta analisi del Libro dei Salmi, ha affrontato lateralmente la delicata questione dell’identità personale, prendendo in esame non direttamente la persona, ma la figura dell’ “eletto”, che contrapponendosi ai “molti” e ai “tutti” rappresenta certamente l’ “unico” scelto da Dio, pur restando espressione della collettività e dell’universalità in cui si trova inserito. L’eletto risulta quindi l’incarnazione più perfetta della persona, dal momento che esso mostra quel rapporto fra uno e molti, che è essenziale anche alla costituzione della persona. La parola del salmista universalizza l’esperienza individuale; per di più il salmista rimane fino alla fine senza nome e senza volto, realizzando così l’andirivieni perfetto tra l’unico e l’universale. Solo che l’universale di cui si parla qui non è l’universale senza volto, ma è l’universale che l’eletto chiama attorno a sé, è il popolo nuovo che nasce dopo la sua sfida alla morte. Il movimento dialettico fra uno e molti è risultato dunque essere il nucleo essenziale dell’intervento di Beauchamp, che ha sviluppato ulteriormente questo rapportarsi del singolo con i “molti” e con i “tutti” attraverso l’analisi della figura del re. Insistendo sull’incessante divenire del tempo e sull’inafferrabilità dell’animo umano, Aldo Masullo (“Persona e tempo”) ha rivolto la sua attenzione al paradigma metaforico della teatralità del mondo, che deve le sue origini alla radice etimologica del termine “persona”, che deriva dall’etrusco fersu e, proprio come il greco prosopon, designa la maschera con cui nel mondo antico gli attori si ricoprivano il volto durante le rappresentazioni teatrali. “Persona”, dunque, significa “maschera”, cioè “ciò che appare”, “ciò che si vede”. Ma allora, si è chiesto Masullo, se persona è 62 l’artificiale fisionomia assunta dall’attore per il tempo della rappresentazione, ci si trova di fronte al paradosso per cui da una parte abbiamo un’anima che non si lascia conoscere dietro la fissità, spesso ingannevole, del volto, dall’altra abbiamo delle maschere che, se è vero che si manifestano, coincidono d’altro canto solo con delle rappresentazioni, dei “simulacri” della vera natura umana. Tuttavia, ha osservato Masullo, il raccogliersi dell’uomo attorno alla sua persona, alla sua fittizia unità e stabilità che egli ritrova nel suo volto al di là degli interiori cambiamenti dell’anima, non costituisce per lui una condanna, ma, anzi, la sua unica possibilità di salvezza, per non disperdersi nell’incessante divenire temporale, nell’irrequietezza del pathos che tormenta l’anima. Questo quid salvifico, ha concluso Masullo, non è altro che la “memoria”, che in quanto “autocoscienza”, trattenendo il passato e anticipando il futuro, permette di unificare gli istanti dando loro una certa continuità e coerente unità. L’unità su cui ha richiamato l’attenzione Paul Gilbert nel suo intervento (“Differenza e persona”), è sia l’unità metafisica (il logos), sia l’unità dell’identità personale che si fonda, proprio come per Masullo, nell’autocoscienza e, in forza di questa, nella conseguente “responsabilità”. L’importanza attribuita al principio unificante, tuttavia, non deve distrarre il metafisico sino al punto da fargli negare le differenze CONVEGNI E SEMINARI reali e positive che sussistono fra gli enti. Il principio unificante deve confermare le singole e particolari identità che partecipano dell’unità in maniera diversa. La sostanza più perfetta, ha osservato Gilbert citando San Tommaso D’Aquino, è la persona, in quanto non subisce gli eventi, ma è in grado di modificarli e causarli, assumendosene la responsabilità. In questa direzione, ha aggiunto Gilbert, è possibile rileggere anche la classica formula agere sequitur esse, nel senso che per le sostanze, e in particolare per la persona, essere è agire, è agire mostrandosi a sé e agli altri, per poi riprendersi in un atto di autocoscienza e responsabilità. Agendo insieme nel mondo, ha concluso Gilbert, costruiamo un mondo che è “nostro” in cui noi ci riconosciamo come esseri liberi, responsabili e trascendenti la natura. L’aporia dell’inconoscibilità dell’interiorità e della artificiosità dell’esteriorità, è stata oggetto anche della relazione di Nicolas Grimaldi (“Lo statuto dell’interiorità”), che ha preso spunto da due paradossi. Da una parte, come già aveva rilevato Pascal, se della persona è conoscibile solo il suo apparire esteriore, ne deriva necessariamente che nessuno può mai essere amato per quello che realmente è, ma solo per ciò che appare. Dall’altra parte, questa “interiorità assolutamente inconoscibile” sembra essere solamente un limite della conoscenza e come tale superabile, come la scienza, per molti versi, ha dimostrato. Nello stesso tempo, ha osservato Grimaldi, il nostro atteggiamento esteriore, il nostro corpo manifesto, che a volte sembra così ben rivelare l’io più profondo, spesso riesce a mascherare perfettamente pensieri e reali intenzioni: ne sono prova la menzogna e l’impostura. In altre parole, la possibilità dell’inganno riposa su quella ricca interiorità, che non si esaurisce nell’esteriorità finita. Ma proprio quest’apertura a nuovi possibili ci distingue nel nostro essere personale, che ci caratterizza. Insomma, è proprio quel “non essere ancora”, quel “tendere verso” che ci definisce e che, intimamente, ci fa amare. Questa “tensione verso” figura al centro della prospettiva di Edith Stein, che è stata analizzata da Philibert Secretan (“Il problema della persona in Edith Stein”). La chiave di volta fra l’ordine della natura e quello dello spirito è per Stein l’anima, forza dinamica e strutturante che garantisce continuità e corrispondenza fra questi ordini. L’anima, più che essere la “forma” delle cose, ne è la “vita”, e si esprime sia nelle facoltà sensibili, sia in quelle spirituali, intellettiva e volitiva. Tuttavia, ciò che esprime in modo più proprio la persona è il suo “mondo dei valori”: con il suo sistema di valori la persona e l’anima si aprono alla realtà esterna. Tuttavia, il personalismo di Stein, ha rilevato Secretan, è sì di natura etica, ma cum fundamento in re: la persona non è chiamata a realizzare un ideale ad essa totalmente estraneo, ma a realizzare ciò che “è già essa stessa”, anche se nel modo del non-ancora. Se l’uomo è “da subito” unità di corpo e anima, la persona è il “risultato” dello sforzo di liberare l’anima dall’universo sensibile e introdurla alla sfera spirituale, di cui fin dall’origine la persona partecipa. La persona, quindi, non è un avere che si possiede ma un essere che si conquista. Nel suo intervento su Max Scheler (“Prospettive scheleriane sulla persona”), Michele Lenoci ha messo in evidenza come anche per Scheler l’essenza dell’uomo non si esaurisca né nella sua, per così dire, “naturalità”, né nella sua “spiritualità”. L’uomo, secondo Scheler, è in grado di intenzionare significati unitari e universali, di afferrare nel particolare contingente il carattere universale; in altri termini, di parlare e di ideare strumenti in funzione dei fini che vuole perseguire. Lo spirito libera l’uomo dai vincoli della natura, gli permette di elevarsi al di sopra dello scorrere del tempo, di non frammentarsi fra le cose che lo circondano, di non disperdersi nei momenti successivi della sua esistenza. La persona consiste proprio in questo spirito, che le consente di mantenersi identica a sé, pur nella diversità degli atti che da essa procedono. Se è così, se cioè la persona è essenzialmente spirito, si può ben comprendere, ha concluso Lenoci, perché Scheler si spinga a dire che il termine “persona” spetta primariamente a Dio e solo analogica- mente all’uomo, e perché le variazioni sul modo di intendere l’idea di Dio si ripercuotano anche sulla sua antropologia filosofica. Che l’uomo sia essenzialmente autocoscienza e libera capacità d’azione è stato ribadito anche da Ada Lamacchia (“Personalismo americano tra otto- e novecento”), con particolare riferimento a Borden Parker Bowne, nel quale la presa di coscienza delle caratteristiche proprie della persona si compone con l’esigenza di conciliare le rigide leggi meccaniche della natura e la spontanea causalità dell’uomo. Secondo Parker Bowne, l’unità reale non può consistere in una realtà spazio-temporale, perché in tal caso ogni cosa potrebbe disperdersi nella sua infinita divisibilità. Piuttosto, è l’unità dell’ “Io autocosciente”, dell’Io che rimane se stesso pur nel fluire delle molteplici sensazioni, che, oltre a definire la persona, risulta essere la condizione di possibilità di ogni conoscere. Tuttavia, ha fatto rilevare Lamacchia, anche per Parker Bowne il pensiero non esaurisce la realtà, non decide mai dell’esistenza dell’oggetto percepito e conosciuto; esso semplicemente riproduce un contenuto esistente e a lui indipendente. L’uomo ha bisogno della natura per realizzare i suoi fini e, viceversa, la natura ha bisogno dell’uomo per arrivare a mete che da sola non sarebbe mai riuscita a conquistare. Ha concluso la serie degli interventi Roberta Corvi (“La persona nella filosofia analitica: la prospettiva di Strawson”), che Vincenzo Balocchi, Gente per strada, 1942 63 CONVEGNI E SEMINARI ha illustrato la posizione analitica di Strawson in relazione al problema fondamentale del dualismo anima-corpo. Attraverso un attento esame del linguaggio ordinario, Strawson si accorge che il termine “persona” si accompagna sia a predicati che designano caratteristiche fisiche (“predicatiM”), sia a predicati che indicano stati di coscienza e elementi psicologici (“predicati-P”). Ma in nessun caso, egli nota, affiora l’esigenza di diversificare il soggetto, parlando di due “io” differenti: nel linguaggio, io corporeo e io spirituale sono assolutamente inscindibili; questo significa che se l’io personale non è definibile solo in rapporto ai predicati-M, esso non è nemmeno circoscrivibile ai suoi unici attributi inerenti la coscienza. In tal caso, la persona non sarebbe in alcun modo identificabile se non in riferimento a delle coordinate spazio-temporali e, dunque, al corpo che le appartiene. Conseguentemente il corpo, inscindibilmente legato alla coscienza, diviene l’unico modo che l’individuo possiede per superare la privatezza degli stati mentali e per attribuirli a qualcuno, sia lui stesso o un altro da sé. In questo modo, ha concluso Corvi, superando il dualismo, Strawson supera anche l’ombra sempre incombente del solipsismo. M.Co. Ethos e Gheometria Dal 27 settembre al 1 ottobre 1993 Imre Toth ha tenuto all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli un interessante seminario dal titolo: “GEOMETRIA MORE ETICO . L’ALTERNATIVA TRA GEOMETRIA EUCLIDEA E ANTIEUCLIDEA E LA LIBERTÀ DI SCELTA”, incentrato sull’anali- si di alcuni stralci del “Corpus Aristotelicum”, in cui Aristotele precorre inconsapevolmente certi risvolti della geometria ottocentesca. Secondo Imre Toth in alcuni testi di Aristotele come Analitica priora (66a 5-15), Analitica posteriora (77b 16-28, 90a 1134, 93a 31-35), De caelo (281b 5-7), Ethica Nicomachea (1140b 13), Magna Moralia (1187a 29), Ethica Eudemea (1222b 1543), vi sono accenni di ragionamenti antieuclidei, cautamente presentati come mere possibilità logiche, legittimamente formulabili, purché non antinomiche. Tuttavia, ha precisato Toth, questi accenni non possono considerarsi vere e proprie preconizzazioni della geometria reimanniana, come peraltro affermano alcuni interpreti. In particolare, Aristotele nega il primo asserto euclideo, secondo cui la somma degli angoli interni di un triangolo corrisponde necessariamente ad un angolo piatto, sostenendo la liceità della tesi opposta e cioè che la somma può supporsi anche diversa da zero. Aristotele sostiene altresì, ha osservato Toth, l’indimostrabilità, il carattere congetturale e non cogente del quinto postulato euclideo, secondo cui se la somma degli angoli contigui interni di due rette tagliate da una trasversale è minore di un angolo piatto, allora dette rette s’incontrano in un punto del piano comune. Essendo impossibile la dimostrazione di questo enunciato, l’ipotesi euclidea assume, per Aristotele, il significato di postulato, poiché tale enunciato va accettato come vero senza il suggello dell’ostentazione, diventando quindi un archè, un principio primo non connesso agli altri da reciproca implicanza e non rappresentativo della stretta circolarità sillogistica, nelle cui modalità s’esprime la logica: non un’asserzione ostensibile, né inferenziale, ma opinabile, perché si può accettare o no come vera. Il quinto postulato di Euclide, ha fatto notare Toth, è, rispetto ad altri postulati, il più complesso, tant’è che nei secoli vari studiosi arabi e greci, antichi e moderni hanno tentato di tramutarlo in teorema, escogitando sistemi che fossero in grado di dimostrarlo. Tra questi il matematico Giovanni Girolamo Saccheri (1677-1733), che nell’opera Euclides ab omni naevo vindicatus (1733) giunge involontariamente ad anticipare le geometrie non-euclidee pur non avendo mai letto i trattati aristotelici. Saccheri si cimenta in una dimostrazione “per assurdo”, da cui però non derivano conseguenze illogiche, inaccettabili, ma dati possibili, plausibili. Tornando ad Aristotele, Toth ha messo in evidenza come per questi la geometria sia in definitiva una costruzione logica operata arbitrariamente dall’intelletto umano, in cui ogni ipotesi è ammissibile, purché non infranga le leggi della logica. Ora, ha aggiunto Toth, negli Analitici posteriori, Aristotele introduce il concetto di proairesis o libero arbitrio, cioè libertà in senso lato, deliberazione non compulsata e praxis, decisione, azione, senso di responsabilità. L’uomo morale in quanto tale può agire operando una scelta che è morale nella misura in cui è scevra da condizionamenti esterni. La libertà dell’uomo presuppone scelta, azione e assunzione delle responsabilità relative alle conseguenze del suo agire. Se ora poniamo in relazione etica e geometria, ha rilevato Toth, si può mostrare come Aristotele capovolga quelli che saranno poi i termini del celebre motto spinoziano, Etica more geometrico (Ethica ordine geometrico demonstrata, 1677), ponendo la geometria more ethico, per cui in questa disciplina non si può assegnare un’importanza maggiore ad una teoria non necessitata piuttosto che ad un’altra. Ciò che non è coattivo, è frutto di una scelta preferenziale, di arbitraria deliberazione; allo stesso modo l’Etica consiste nell’esercitare la libera decisionalità umana, nell’operare costantemente delle scelte che non siano imposte dalla necessità. L’uomo è l’unico essere che può generare archai, l’uomo è archè della sua praxis. Ecco come, secondo Toth, l’edificazione assiomatica della 64 geometria si presta ad essere esempio paradigmatico del libero arbitrio umano. In tal senso Aristotele ha avuto il merito di aprire un varco nella storia dell’epistemologia e dell’etica, riempiendo lo spazio della ricerca umana di infiniti percorsi, direzioni, peregrinazioni possibili. L.G. In memoria di Jerzy Giedymin Il 20 ottobre 1993, si è tenuta presso la London School of Economics una commemorazione dal titolo: “JERZY GIEDYMIN MEMORIAL MEETING ”, in memoria del logico e filosofo della scienza polacco, morto a Pila, in Polonia, il 24 giugno 1993. Sono intervenuti J. Watkins, D. Gillies, D. Pearce e P. Williams. Nato nel 1925, Jerzy Giedymin studia logica e filologia alle Università di Cracovia e Poznam. A Cracovia, frequenta i corsi di Roman Ingarden (allievo di Husserl), affrontando questioni di epistemologia, estetica e filosofia della logica da una prospettiva fenomenologica. A Poznam si dedica principalmente alla filosofia della scienza sotto l’influenza di Kazimierz Ajdukiewicz. Dal 1950 insegna economia e pianificazione economica, prima, e logica e filosofia della scienza, poi, all’Università di Poznam, dove ottiene la cattedra nel 1961. In questi anni Giedymin ha occasione di confrontarsi con Kotarbinski e Janina Kotarbinska, e con logici quali Suszko, Mostowski e Grzegorczyk. Fra il 1957 e il 1961, in qualità di “Ford Foundation Scholar”, è in visita al Dipartimento di filosofia di Karl Popper, presso la London School of Economics. Ritorna in Inghilterra nel 1966 per insegnare alla University of Sussex. Dal 1983 al 1985 è presidente della British Society for the Philosophy of Science. David Pearce e Peter Williams sono intervenuti a ricordare il loro “maestro”, rilevando come Giedymin sia stato influenzato da tre differenti scuole di pensiero: la fenomenologia di Ingarden, l’approccio convenzionalista di Ajdukiewicz, e il razionalismo critico di Popper. Giedymin, inoltre, per riuscire a sopravvivere come professore universitario nel suo paese era arrivato ad acquisire una buona conoscenza dell’economia e della filosofia marxista. John Watkins ha sottolineato come la capacità di conciliare posizioni filosofiche così distanti fosse una caratteristica della personalità di Giedymin. Anti-determinista e convinto sostenitore del libero arbitrio, Giedymin ha simpatizzato col fallibilismo epistemologico di Popper, senza tuttavia condividerne il totale rifiuto dell’induzione. L’interesse per il convenzionalismo - le sue origini e il suo significato - è stato una costante della sua vita di studioso, che ha trovato piena espressione nel suo studio, Science and Convention. Essays on CONVEGNI E SEMINARI Henri Poincaré’s Philosophy of Science and Conventionalistic Tradition (1982). Al momento della morte, come ci informa Donald Gillies, Giedymin aveva in programma un libro sulla storia dell’ elettromagnetismo alla fine del XIX secolo, che avrebbe esposto e documentato la concezione “pluralista” della scoperta delle teorie scientifiche. In sintonia con il punto di vista avanzato da un altro epistemologo polacco, Ludwig Fleck, le teorie scientifiche non sono, secondo Giedymin, il prodotto di una mente individuale, ma piuttosto il risultato del lavoro di ricerca di un “gruppo sociale”. Intervenendo, per esempio, sulla controversa attribuzione della scoperta della relatività speciale, in Polish Philosophy in the inter-war Period, and Ludvig Fleck’s Theory of Thought-Stiles and Thought-Collectives (1986) Giedymin precisò che «i critici [...] hanno unanimamente difeso la tradizionale concezione della scoperta a opera di un uomo solo; [...] la mia idea al proposito [...] è che si tratti di una scoperta simultanea da parte di Einstein, Lorentz e Poincaré, secondo quanto rilevato da Fleck e Robert Merton a proposito della genesi delle scoperte scientifiche». Nonostante vivesse in Inghilterra da trent’anni, Giedymin non aveva perso i contatti con i suoi amici e colleghi in Polonia; là si trovava al momento della morte. M.Mo. Interpretazioni ed utopie della società industriale La rilettura di alcune teorie della società industriale compiuta da Pietro Rossi in un seminario su: “LA SOCIETÀ INDUSTRIALE FRA INTERPRETAZIONI E UTOPIE”, tenutosi nella sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli dall’11 al 15 ottobre 1993, ha inteso scoprire in queste teorie l’intreccio, più o meno evidente, fra elemento critico, pretese scientifiche e componente utopistica. Una vera e propria riflessione sulla rivoluzione industriale, ha esordito Pietro Rossi, non è rinvenibile nell’economia politica classica. Di fatto, nelle opere degli economisti classici si trovano davvero pochi esempi riconducibili al modo di produzione industriale, anzi lo stesso termine “industria” designa qui il lavoro produttivo in generale. L’economia politica classica sembra, quindi, non essere consapevole della svolta rivoluzionaria che si veniva compiendo con la rivoluzione industriale, avendo di mira una struttura economica non ancora caratterizzata dal prevalere dell’industria sull’agricoltura. Affinché tale consapevolezza potesse svilupparsi, ha osservato Rossi, occorreva un osservatorio diverso da quello inglese, un luogo dove il ritardo della penetrazione industriale consentisse un distacco sufficiente alla riflessione nei confronti dei fenomeni contemporanei. Era appunto Saint-Simon in Francia che teorizzava un nuovo sistema industriale soprattutto nella rivista “L’industria” (1817) - all’interno di una visione globale della storia. Al Medioevo, il luogo storico di una società europea unificata sulla base della fede cristiana, succede un nuovo sistema che ha la propria base nei “progressi dell’industria” e nell’alleanza fra la classe degli industriali e la classe degli scienziati positivi. Tuttavia il soggetto storico che segna la transizione dal vecchio al nuovo sistema, la civiltà dei lumi, provoca la rovina del primo, ma non è di per sé veicolo del nuovo. Pertanto, quando Saint-Simon, nel Catechismo degli industriali (182324), postula una fondamentale comunanza di interessi fra industriali e lavoratori, l’elemento utopico si mostra del tutto prevalente. Per Auguste Comte, discepolo e collaboratore di Saint-Simon fino al 1824, compito della nuova società “organica”, ha fatto notare Rossi, è invece la conciliazione di ordine e progresso. Ciò che deve distinguere il nuovo ordine da quello vigente nella società medievale è che esso non può essere imposto, ma deve poggiare sul consenso, ossia sull’adesione spontanea ad una politica positiva, fondata su di un sapere positivo, sociologico, per sua natura incontrovertibile, in quanto esito finale dello sviluppo storico delle scienze. Ma la nozione di consenso è di per sé portatrice di una visione armonicistica della società e postula la convergenza di interessi contrapposti, per cui Comte, ha rilevato Rossi, posto di fronte all’esperienza storica dei conflitti di classe, doveva necessariamente ricondurre, proiettandole nel futuro, le lotte sociali alla mancata piena realizzazione della società organico-industriale e dell’unità del sapere. Il richiamo, in questo contesto di riflessione, all’opera di Charles Fourier, è da intendersi, ha precisato Rossi, in chiave “negativa”. Infatti se è fuor di dubbio che la sua opera appartenga in toto alla letteratura utopistica, è vero però che l’utopia fourierana è un’utopia anti-industriale, che postula il carattere transitorio della civiltà a favore di una società armonica, organizzata per “falangi” e non fondata sulla famiglia, istituzione che è alla base della repressione delle passioni, propria dell’attuale società commerciale, fonte di nuove servitù personali: l’organizzazione industriale del lavoro è la forma tipica di un’organizzazione schiavistica; al lavoro coercitivo bisogna sostituire il “lavoro attraente”. L’opera di Marx vuole invece delineare, ha osservato Rossi, una scienza della società che condivide con le concezioni sopra esposte il carattere di globalità, ma che, a differenza di queste, vuole porsi come “scienza” costruita sulla base del confronto tra forma storica della proprietà, struttura della società e lotta di classe e sul rapporto dialettico tra sviluppo delle forze produttive e assetto storico dei rapporti sociali. A differenza di Saint-Simon e Comte, ha fat65 to notare Rossi, Marx ritiene “scientificamente fondato” parlare di società borghese più che di società industriale, essendo questa solo una fase, sebbene l’ultima, all’interno del modo di produzione capitalistico. In Marx quindi, ha concluso Rossi, l’elemento utopico rinasce proprio all’interno della scienza, nella forma di un’escatologia, ovvero nella scoperta di un fine immanente allo sviluppo storico, consistente nella riappropriazione da parte dell’uomo della propria essenza smarrita nel corso della storia. A.I. Ragione e ‘Sacre Scritture’ Dal 18 al 22 ottobre 1993, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, Antonio Rotondò ha tenuto un seminario dal titolo: “SCRITTURE, RAGIONE E STORIA: PRIMI ANNI E PRIMI SCRITTI DI JOHANN JACOB WETTSTEIN DURANTE IL SUO (1730-1736)”, che ha affrontato il controverso problema della contrapposizione tra Ragione, intesa come strumento critico e autonomo, e Sacre Scritture; un contrasto che ha segnato e caratterizzato non solo la cultura e il mondo cattolico, ma anche la tradizione protestante più apparentemente libertaria. ESILIO IN OLANDA La questione di un’interpretazione rigorosamente filosofica delle Sacre Scritture è stata affrontata da Antonio Rotondò prendendo spunto dalle emblematiche vicende di un’illustre vittima dell’intolleranza religiosa d’oltralpe, Johann Jacob Wettstein, filologo neo-testamentario, nativo dell’austera Basilea, che nella prima metà del Settecento intraprese, senza riuscire, una editio accuratissima del Nuovo Testamento, svincolandosi però dalla versione canonica del Textus Receptus, e che perciò fu allontanato dalla sua Università, dagli uffici ecclesiastici e infine dal suo paese. Wettstein intese applicare ai testi sacri tutte quelle norme filologiche che valevano in genere per gli altri testi antichi. Ma un approccio così rigorosamente metodologico al Nuovo Testamento significava metterne in discussione l’autorevolezza, l’intoccabilità. Secondo Wettstein, ha fatto rilevare Rotondò, il filologo doveva avere come obiettivo primario la restituzione del testo alla sua originalità, lavorando ope codicum, vale a dire collazzionando, confrontando le diverse lectiones che i codici offrivano e preferendo sempre quella difficilior, perché probabilmente la meno emendata e dunque più vicina al testo originale. Ma il filologo doveva operare anche ope ingenii, elaborando congetture, che in quanto tali andavano accettate con estrema prudenza, ma con la medesima cautela rigettate, e soprattutto - nodo cruciale - tra due lezioni, quella che sembrava più ortodossa, CONVEGNI E SEMINARI nel senso che collimava meglio col dogma religioso, non era per questo da preferire a priori. Immediata fu la reazione del Convegnus Theologicus, l’organismo che potremmo paragonare alla S. Inquisizione e che vegliava sull’ortodossia religiosa degli insegnanti. Wettstein fu messo sotto processo, destituito dal suo incarico all’Università di Basilea e sospeso dalle sue funzioni ecclesiastiche. A condannarlo, ha rilevato Rotondò, non fu solo il potere religioso, ma anche quello politico e sociale. Infatti Wettstein, inficiando la validità del testo canonico, metteva in forse anche l’ordine e la stabilità sociali che ad esso si riferivano. Così, privato anche dell’onore cittadino, Wettstein fu costretto a riparare in Olanda dove egli credeva di poter continuare il suo lavoro e darlo finalmente alle stampe. Ma anche nella tollerantissima Amsterdam, dove tutto, o quasi tutto, poteva essere editato, egli venne dapprima ignorato e in seguito deluso nelle sue aspettative. Infatti, quando nel 1731 videro finalmente la luce i Prolegomena, nei quali Wettstein illustrava esclusivamente i criteri che intendeva seguire, le autorità religiose riuscirono a bloccare il seguito della pubblicazione e nessun editore fu più disposto a pubblicare clandestinamente l’opera. Solo nel 1831, ha sottolineato Rotondò, Karl Lachmann riuscì a curare un’edizione del Nuovo Testamento, rinnovando i criteri filologici; fino ad allora, tutti quelli che, come Wettstein, tentarono di anticipare i tempi, rimasero bloccati ai Prolegomena. Ad Amsterdam Wettstein riuscì alla fine ad inserirsi faticosamente nel mondo accademico; la reazione sdegnata di alcuni calvinisti non tardò tuttavia a farsi sentire, esigendo una completa riabilitazione dello studioso in patria. Cosicché Wettstein dovette ritornare a Basilea e sottoporsi ad un secondo giudizio, ottenendo piena riabilitazione da parte del Senato, ma non dalla Chiesa. In Olanda questa riabilitazione non parve tuttavia sufficiente e Wettstein ebbe il permesso di insegnare all’Università a patto che non si interessasse di testi sacri. Dal 1736 lavorò silenziosamente alla raccolta di codici e testi che culminò nel 1751 con la pubblicazione di un’edizione del Textus Receptus. D.T. Sociologia del tempo Dal 26 al 29 ottobre 1993, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, Giovanni Gasparini ha tenuto un seminario dal titolo: “QUATTRO MEDITAZIONI SOCIOLOGICHE SUL TEMPO ”, in cui il concetto di tempo è stato analizzato a partire dai presupposti socio-culturali che da sempre condizionano la sua determinazione. Giovanni Gasparini ha esordito facendo rilevare che Durkheim fu il primo, insieme al suo allievo Henri Hubert, a riflettere sul tempo come creazione socio-culturale, esaminando la distinzione tra tempo quantitativo e tempo qualitativo. Una prima considerazione sulla dimensione sociale del tempo riguarda, secondo Gasparini, la sua collocazione tra natura e cultura. Il tempo naturale coincide con quello astronomico, sul quale è modellato a sua volta il tempo dell’orologio; fisicamente il tempo è una grandezza definita solo relativamente, a seconda del metodo usato per la sua misurazione. Alcune scansioni temporali si rifanno chiaramente a fenomeni naturali periodici; altre sono invece di origine culturale. Il tempo sociale, ha osservato Gasparini, è una mediazione tra tempo individuale, infinitamente piccolo, e tempo naturale, infinitamente grande, al fine di “addomesticare” il tempo, di far sì che l’uomo possa controllarlo, se non dominarlo. Primo strumento ideato a tale scopo fu il calendario: la ripetizione ciclica del tempo sacro consentiva infatti di governarlo meglio. Ciò apre alla considerazione del rapporto tempo-potere. Chi, infatti, regola il tempo, rendendocene più o meno schiavi? La natura, la società? Secondo Lewis Mumford, simbolo dell’era industriale non è la macchina a vapore, bensì l’orologio. In Cina, ha fatto notare Gasparini, ogni nuovo imperatore dava inizio ad una nuova epoca; era lui il “signore del tempo”, e a questo riguardo i sudditi erano totalmente suoi schiavi. Anche il governo rivoluzionario francese cercò di imporre un nuovo calendario che fosse, secondo lo spirito dei tempi, più razionale; fu questo il primo tentativo di calendario perpetuo, in cui la successione dei giorni era identica anno dopo anno. Tra gli ultimi decenni dell’800 e la prima guerra mondiale, cambia, secondo Gasparini, la concezione del tempo, perché cambia il rapporto tra tempo e spazio grazie soprattutto a innovazioni tecniche quali l’aereo, il telegrafo senza fili, il cinematografo, il telefono, la bicicletta, che portano ad un “restringimento” dello spazio, e conseguentemente a una concezione del mondo come “villaggio globale”. Le manifestazioni culturali più eclatanti di questa diversa concezione sono, in pittura, l’astrattismo, il cubismo; in letteratura, le opere di Proust e Joyce. Una conseguenza pratica di tale diverso rapporto spazio-tempo fu invece l’introduzione dei fusi orari. Mentre il centro nodale della dimensione spazio-tempo divenne la città, la metropoli post-industriale; suo aspetto fondamentale fu proprio quello di occupare uno spazio unico, caratterizzato dalla centralità. La vita urbana si svolge ora sotto il segno della sincronizzazione, che permette ad ognuno di ricoprire giorno per giorno il proprio ruolo sociale. Una terza considerazione, proposta da Gasparini, ha riguardato il tempo “debole”, “interstiziale”: il tempo dell’attesa, che mette in luce l’importanza sociologica di 66 fenomeni apparentemente marginali. Aspettare qualcuno, per esempio, è anche aspettarsi che questa persona arrivi, cioè prevedere l’incontro, farci assegnamento, magari con timore e speranza. Un tipo particolare di attesa, fondamentale per la sociologia, è l’aspettativa connessa al ruolo che ciascuno ricopre, a ciò che ci si aspetta che gli altri facciano, relativamente ai ruoli che vengono ad assumere. Da menzionare infine, ha aggiunto Gasparini, l’importanza dell’attesa nel tempo sacro: l’Avvento, la Vigilia, l’attesa del ritorno di Cristo. Un’ultima considerazione sollevata da Gasparini ha riguardato il tempo come valore. Una regolamentazione dell’uso del tempo si può far risalire in Occidente alla regola monastica di San Benedetto, ora et labora, con la definizione delle sette ore canoniche per la preghiera. Un’espressione ricorrente riguardo al valore del tempo, che si fa risalire a Benjamin Franklin, è invece che “il tempo è denaro”, per cui la nostra cultura giudica negativamente il “perdere tempo”, ed è orientata piuttosto alla velocizzazione, alla programmazione. Fondamentale a tale proposito anche la teoria marxiana, con la catena tempo-produzione-plusvalore. In tal senso Richard Hall, ha osservato Gasparini, ha proposto una distinzione tra tempo monocrono, ovvero specializzato, in cui si fa, generalmente, una cosa per volta, proprio delle società occidentali, o meglio industrializzate (il Giappone ad esempio è riuscito ad integrare la propria cultura tradizionale con quella occidentale, esasperando anzi l’ottimizzazione dell’uso del tempo), e tempo policrono, tipico del Vicino e Medio Oriente, nel quale si svolgono contemporaneamente diverse attività. M.Ga. Antropologia filosofica del Novecento Jan Sperna Weiland ha tenuto presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli dal 4 all’8 ottobre 1993 un seminario di studio su ”L’ANTROPOLOGIA FILOSOFICA DEL NOVECENTO”. Il fascino dell’antropologia filosofica consiste nel legame tra teoria e prassi sociale e politica. Alla luce di una tale affermazione, Sperna Weiland passa in rassegna la filosofia utopica e della speranza di E. Bloch, le forme elementari dell’esistenza proposte da L. Binswanger, la filosofia della svolta di M. Heidegger, le tematiche dell’esistenzialismo e del marxismo di J. P. Sartre e quelle di umanesimo e terrore di M.Merleau-Ponty. Secondo Jan Sperna Weiland, Bloch ha assimilato il pensiero della sinistra hegeliana, cioè di Feurbach e Marx, già a partire dallo Spirito dell’utopia (1918-23); subito CONVEGNI E SEMINARI dopo la rivoluzione russa di ottobre, egli tuttavia critica Marx di non chiarire la proporzione tra l’ “interazione”, come momento volontaristico, e l’ “idea”, come momento quasi provvidenziale e panlogistico, che caratterizzano il divenire storico, facendo del processo di produzione una sorta di panteismo-misticismo simile all’Idea di Hegel che spiega tutto, perfino le irrazionalità della storia come la religione. Secondo Bloch, ha fatto notare Sperna Weiland, nella storia nulla è deciso in anticipo; moltissimo dipende dalla determinazione, dalla risolutezza, dal coraggio del soggetto. Sperna Weiland ha descritto l’uomo blochiano del Principio speranza (1954-59) come un essere di possibilità; le volontà associate degli uomini determinano lo sviluppo storico; come passaggio dalla possibilità reale alla realtà. La “scontentezza” genera nell’uomo i “sogni del giorno”, che non si rivolgono al passato, ma all’avvenire. La Speranza muove l’uomo a cambiare il suo mondo, lottando contro l’avversità sorda della realtà, l’emergere della sfera dell’effettività del male. Scienza e filosofia, ha osservato Sperna Weiland, hanno l’obbligo per Bloch di istruire la Speranza, rendendola “docta”, cioè in grado di scegliere coraggiosamente il possibile reale al momento giusto, cioè allorquando si realizza una coincidenza felice degli sforzi dell’uomo con una tendenza della realtà. La Speranza diviene così principio della vita umana. Il lavoro filosofico di Binswanger, secondo Sperna Weiland, è vicino alla filosofia della speranza di Bloch per il tentativo di recupero dell’essenza dell’uomo. La filosofia di Binswanger è una sorta di descrizione fenomenologica dell’essere umano, una psicologia con fondamenti antropologici. Per Binswanger la verità dell’uomo consiste nell’essere nel mondo al di là del mondo, attraverso un tentativo di conciliare la storicità dell’aver cura con l’eternità dell’amore. L’importanza del lavoro di Binswanger, ha osservato Sperna Weiland, deve essere rintracciata nella critica che questi muove all’ontologia heideggeriana di Essere e Tempo, che al di là dell’importanza della coincidenza dell’essere dell’esserci con l’aver cura, ha trascurato la struttura fondamentale propria dell’esserci, lo stare insieme nell’amicizia e nell’amore. Se per Heidegger l’aver cura rappresenta l’essere-nel-mondo, per Binswanger l’amore rappresenta l’essere-a-casa in un modo ancor più originario. Sperna Weiland ha fatto notare che se Essere e Tempo (1927 rappresenta il pensiero che sta abbandonando la soggettività, negli scritti successivi di Heidegger il pensiero si trova difronte la soggettività risoluta della tecnica. In Sentieri interrotti (1950) Heidegger afferma che l’uomo della tecnica si distacca dall’Aperto (con chiaro riferimento a Rilke) e si volge verso il mondo Ernst Bloch, Jean-Paul Sartre, Martin Heidegger 67 CONVEGNI E SEMINARI per costruirlo tecnicamente, illudendosi di esserne il soggetto; in realtà ne è solo un funzionario; il vero soggetto del mondo della tecnica è la tecnica stessa. L’uomo tecnico si procura la morte per l’incondizionatezza del suo puro volere violentemente la tecnica, nell’illusione di generare non distruzione, ma vita e pace. Ma l’uomo tecnico, ha osservato Sperna Weiland, è costretto ad essere nel mondo della tecnica senza illusioni. Per Heidegger solo il pensiero meditativo (Sperna Weiland lo ha chiamato “contemplativo”), che si contrappone al pensiero calcolante del funzionario della tecnica, consente di trovare nel mondo chiuso della tecnica il sentiero, la traccia verso l’essere e, nell’abbandono a questo, l’umanità dell’uomo: la dimenticanza dell’essere è la dimensione della disumanità dell’uomo tecnico. Nella filosofia sartriana, ha proseguito Sperna Weiland, non c’è una svolta dall’esistenzialismo al marxismo senza soluzione di continuità. Sartre dice “si” alla rivoluzione, intesa come liberazione di coloro che nella lotta di classe sono avviliti, ma dice “no” alla teoria-prassi della rivoluzione. Dopo l’ontologia fenomenologica dell’Essere e il nulla (1943), Sartre progetta una antropologia che sia al contempo storica e strutturale, tale, però, da superare l’Antropologia strutturale (1958) di C. Lévi-Strauss, che per Sartre rappresenta la negazione di ciò che è al centro del suo filosofare, anche nella Critica della ragione dialettica (1960), cioè il progetto, la libertà, il farsi dell’uomo attraverso il suo progetto. Già nell’Essere e il nulla, ha fatto notare Sperna Weiland, Sartre adopera il termine struttura; ma per realizzare un’antropologia strutturale e storica, Sartre ha bisogno di un congiungimento della struttura dell’essere per-sé, descritta nell’Essere e il nulla, con la filosofia della storia del marxismo, che è almeno, implicitamente, anche un’antropologia. Sartre infatti considera il marxismo l’unica filosofia vivente, l’orizzonte di ogni cultura; solo che considera l’uomo, la materialità della sua condizione, il lavoro come dialettica di appropriazione e alienazione, la lotta di classe, la solidarietà operaia sempre astrattamente e trascuratamente, dimenticando, soprattutto, la concretezza e la singolarità dell’uomo. La sola ragione per cui Sartre ha ricercato un accordo col marxismo, ha osservato Sperna Weiland, sta nel fatto che il marxismo si è presentato come il movimento della rivoluzione, della liberazione, dell’utopia di un mondo, in cui l’uomo sarà uomo in tutta la sua complessità e totalità. Meglio di Sartre, Merleau-Ponty, secondo Sperna Weiland, ha visto l’ambiguità e la contingenza dell’esistenza. Nel visibile sussiste l’invisibile; l’esistenza è un chiaro-scuro, ma, tuttavia, è pervasa dalla libertà, condizione necessaria per essere un eroe. L’eroe che Merleau-Ponty descrive in Senso e non-senso(1948) non è un Luci- fero, né un Prometeo, né uno Spartaco; semplicemente rischia la vita senza potersi riferire ad un assoluto come la patria, la lotta della classe operaia, Dio. L’eroe di Merleau-Pontyu non è neppure Sisifo, perché il mondo di Merleau-Ponty non è “assurdo”; se esiste un non-senso è anche grazie ad un senso. Ciò che spinge l’eroe ad agire è la “fede”, non verso degli assoluti, appunto, ma verso il movimento naturale che ci getta verso le cose e verso gli altri. La “guerra fredda”, nel momento storico durante il quale Merleau-Ponty scrive Umanesimo e terrore (1947), è avvertita da questi come l’irrompere di una estrema irrazionalità nella storia, contro la quale l’intellettuale è impotente. Umanesimo e terrore divengono, per Merleau-Ponty, prerogative sia dell’Occidente, sia dell’Unione Sovietica; in entrambi gli schieramenti la “guerra fredda” ha impedito la realizzazione storica dei valori umani. Con MerleauPonty, anche Sperna Weiland ha ribadito che l’unico modo per raggiungere la libertà è semplicemente “comprendere”. Purtroppo gli uomini non posseggono tale volontà ed è, perciò, difficile tradurre la razionalità del comprendere nella prassi politica di ogni epoca storica. Anche se nella storia tutto è bene e nello stesso tempo male, per Merleau-Ponty l’uomo non deve essere solo spettatore della propria vita, ma ha l’obbligo morale di dover scegliere responsabilmente e dignitosamente, secondo quella “fede” naturale che ci getta verso le cose e verso gli altri. P.S. L’impersonale Come ideale prosecuzione e approfondimento del convegno tenutosi lo scorso anno sul tema ”LA PERSONA E LE SUE IMMAGINI”, organizzato dalla cattedra di Filosofia Morale in collaborazione con il Dipartimento di Ricerche Filosofiche dell’Università di Roma “Tor vergata”, quest’anno tema del convegno è stato ”L’IMPERSONALE. STATUTO ONTOLOGICO , STRUTTURE CONOSCITIVE, PROBLEMATICHE MORALI”, svoltosi nei giorni 21-22-23 ottobre 1993 presso l’Università di Roma “Tor Vergata”, che ha costituito l’occasione per riflettere su quest’insolita problematica, per certi versi opposta e speculare a quella della persona, eppure ad essa complementare, contigua, adiacente. Un primo significativo contributo alla definizione dello statuto ontologico dell’impersonale è venuto dalla relazione di Carlo Sini, il quale ha individuato nel pensiero di Spinoza, e nell’Ethica in particolare, la prima grande sistemazione teoretica di una moderna filosofia dell’impersonale, per la sua negazione di ogni sostanzialità degli 68 individui (i modi), cui si sono in seguito richiamati i due “maestri del sospetto”, Nietzsche e Freud. Facendo inoltre riferimento alle riflessoini di Levinas e Blanchot, Sini ha rilevato che un’ontologia dell’impersonale è possibile a partire dalla differenza, differenza dell’(dall’) altro, ontologicamente costitutiva, assunta come criterio ermeneutico di per sè indeducibile. Franco Chiereghin, distinguendo tre forme diverse in cui la persona incontra l’impersonale, - impersonale “dentro” di noi, connesso alle categorie dell’agire, l’istinto, “fuori” di noi, il mondo esterno, la natura, e “sopra” o “dopo” di noi, che chiama in gioco il motivo della libertà - ha sottolineato le difficoltà del tentativo di un completo autopossesso della persona e quindi le ragioni di una rinuncia ad una soggettività di tipo soverchiante. In effetti, pensare fino in fondo l’impersonale, ha osservato Armando Rigobello, significa ripensare in profondità la persona stessa nel suo concreto esercizio, in cui personale e impersonale interagiscono, richiamando ad una autenticità morale che vive la differenza come “estraneità interiore” e che sottrae, da un lato, la persona ad un soggettivismo esasperato e, dall’altro, l’impersonale ad un mero formalismo ontologico. Questa visione dell’impersonale come condizione e componente essenziale della persona è stata richiamata pure da Marco Olivetti, che si è soffermato sulla forma grammaticale della “terza persona”, che rappresenta uno dei modi in cui è possibile pensare e dire l’impersonale, dove l’altro rappresenta l’istanza ultima del mio dovere. Intervenendo sul piano morale, Giuseppe Riconda ha parlato di un’ermeneutica dell’esperienza religiosa che fornisce il criterio interpretativo della vita morale e insieme di un personalismo ontologico ed escatologico. In direzione opposta si è invece espresso Eugenio Lecaldano, il quale, negando la possibilità di un’etica personalistica e un concetto di persona fondato sia ontologicamente che metafisicamente, ha sostenuto un’etica laica centrata sulla nozione di individuo in cui l’impersonale funziona come da guida per una comprensione razionale dell’esistenza. Sulla necessità e l’insufficienza di un’etica dell’impersonale ha poi riflettuto Aldo Zanardo, sollevando il problema di quell’insieme di realtà che non giungono ad essere persona e che tuttavia chiamano la persona stessa ad una serie di obblighi etici. In direzione di una messa in questione dell’io personale come completo autopossesso si è pure svolta la relazione di Ugo Perone, che ha ripreso l’idea dell’impersonale come differenza, limite, che l’io, il soggetto porta con sé al proprio interno come elemento che rompe la propria compiuta totalità.Il convegno si è concluso con una discussione generale sul tema, coordinata da Pietro de Vitiis. G.P. CONVEGNI E SEMINARI Rosmini, filosofo del cuore? L’interrogativo di Romano Guardini, “ANTONIO ROSMINI, FILOSOFO DEL CUORE?”, ha dato il titolo al IV Convegno Internazionale di Studi Rosminiani, organizzato dall’Istituto di Scienze Religiose di Trento e svoltosi dal 6 all’8 ottobre 1993 a Rovereto. Il convegno ha in particolare messo in evidenza la molteplicità di letture che la filosofia di Rosmini lascia intravedere nel panorama filosofico contemporaneo. Una storia della theologia e della philosophia cordis nel pensiero occidentale nel periodo antecedente e anche successivo all’opera di Antonio Rosmini, è ciò che è emerso nelle tre giornate del Convegno di Rovereto, dedicato al filosofo. Una prima parte del Convegno dedicata all’analisi della tradizione classica e medievale della “filosofia del cuore”, ha visto interventi di Giovanni Pozzi, di Giovanni Reale e di Tomas Spidlik. Dall’iniziale centralità della metafora del cuore, sede contemporaneamente di vita biologica e culturale nella tradizione semitica e biblica, e ravvisata nella diade anima/spirito della classicità greca e romana, si è passati poi alla perdita di senso e alla sfumatura semantica leggermente negativa che emerge dalla lettura evangelica di Paolo. Il recupero agostiniano della metafora nel suo valore integrale, la centralità della pietas cristiana nella mistica medievale, ha puntualizzato Pozzi, hanno segnalo l’evoluzione storica e iconografica del simbolo “cuore”: da un lato è per sineddoche la parte per il tutto, il referente unico per tutta la persona (anche quella del Cristo), dall’altro rappresenta il polo oppositivo - debole - nell’antitesi sentimento/intelletto. Nella Patristica, ha poi sottolineato Spidlik, la dicotomia netta fra la conoscenza intellettuale e quella sentimentale segnala, in qualche modo, la presenza di una meta-metafisica che assicura al cuore il dominio della (...) di contro alla priorità del visum intellectuale, della (...) che lega alla visibilità del dato la possibilità di garantirsi della sua efficacia. A questo punto sembrerebbe dunque segnata la data d’inizio della theologia cordis nella filosofia occidentale. Eppure, come ha rilevato Giovanni Reale nel Simposio platonico eros e ascesi si compenetrano e diventano perciò il segno dell’indissolubilità di amore e conoscenza. «Io amo ciò che conosco»: dalla lezione platonica, Galilei e la filosofia dell’età moderna recuperano questa valenza del sapere. E proprio nel 1600, secolo tradizionalmente d’esprit, troverà largo seguito quella “teologia del cuore” che in autori come Pascal, Condren, Bérulle è presente e sempre molto variamente. Nella seconda parte del Convegno, l’intervento di Benedetta Papasogli e il contributo di Denise Leduc-Fayette hanno sottolineato la presenza di una serie di antitesi descrittice, intérieur/éxterieur, surface/profondeur, che ravvisano nel cuore il luogo della coscienza, dell’anima fragile ma capace di ascoltare Dio. Nel puntualizzare ulteriormente la profonda attualità dell’ “etica del cuore” rosminiana, Antonio Autiero ha posto l’accento sulla grande complessità del panorama etico contemporaneo, ricco di spunti alternativi all’ideale razionalistico e formalista della prassi dell’autonomia. Il programma etico nella riflessione di Rosmini diventa dunque programma politico, come ha ricordato Michele Nicoletti, presentandosi fondamentalmente come programma pedagogico. Nella terza parte del convegno, questo tema è stato ampiamente dibattuto. L’esistenza è infatti imago cordis: il cuore è l’elemento decisivo nell’educazione dell’individuo, che solo modellando la sua più intima natura, la propria interiorità può giungere a completa armonia con l’universo, con l’Essere delle cose. M.P.R. Filosofia e religione in Pareyson A poco più di tre anni dalla scomparsa di Luigi Pareyson, il Dipartimento di Filosofia e Scienze Umane dell’Università di Macerata ha colto l’occasione per ritornare sugli stimolanti percorsi della riflessione di Pareyson nel VI ”COLLOQUIO SU FILOSOFIA E RELIGIONE”, tenutosi dal 7 al 9 ottobre 1993 nell’Antica Biblioteca dell’Università. A dire il vero, il convegno di Macerata ha inteso riferirsi a Luigi Pareyson con lo scopo di riproporre il tema del rapporto tra filosofia ed esperienza religiosa attraverso la riconsiderazione di alcuni autori della tradizione filosofica che hanno svolto un ruolo decisivo all’interno del pensiero pareysoniano. Così a Pascal è stata dedicata la relazione di Adriano Bausola, a Schelling quella di Xavier Tiliette, a Kierkegaard quella di Vittorio Melchiorre; mentre Reinhardt Lauth ha affrontato Dostoevskij, altro autore molto caro a Pareyson. La relazione introduttiva su “Filosofia ed ermeneutica dell’esperienza religiosa in Luigi Pareyson” è stata presentata da Giedymin Ferretti, che ha ripercorso l’itinerario intellettuale di Pareyson, evidenziandone la nuova fase di sviluppo a partire dal saggio pubblicato nel 1985, che ha dato il titolo al convegno marchigiano. La svolta, ha osservato Ferretti, era già stata annunciata alla metà degli anni ’70, quando Pareyson, sviluppando la propria adesione all’esistenzialismo, indicava il nuovo programma da svolgere nei termini di ontologia della libertà. L’esistenzialismo di Pareyson prende le mosse dalla costatazione della dissoluzione dell’hegelismo e dalla critica all’idea della verità come totalità e della complementarietà-implicanza di fi69 nito e infinito. Attraverso il decisivo contributo offerto da Kierkegaard e da Feuerbach, Pareyson riconosce nella filosofia hegeliana «la conciliazione di finito e infinito dal punto di vista dell’infinito, sì che il finito è negato nell’infinito e dall’infinito». Sussisterebbe così «un nesso necessario e inseparabile di finito e infinito, in tal modo considerati come complementari, nel senso che la somma della loro realtà è una costante». Ricostruendo criticamente la riflessione del filosofo danese, l’intervento di Virgilio Melchiorre su “Filosofia ed esperienza religiosa in Kierkegaard” ha lasciato intravedere nella radicale rottura tra finito e infinito, nell’impraticabilità di ogni analogia entis, un limite riconducibile al rifiuto kierkegaardiano di ogni “mediazione” in senso hegeliano. Kierkegaard tuttavia, a giudizio di Melchiorre, non potrebbe sostenere il suo discorso se non supponendo «almeno in linea di principio un rapporto analogico» (tra finito e infinito). In ciò risiederebbe anche la verità della critica di Pareyson a Kierkegaard, per il quale l’insistenza sulla separazione tra finito e infinito, tuttavia, rimarrebbe pur sempre all’interno dell’orizzonte hegeliano proprio laddove si considera il finito come “negazione”. In realtà finito e infinito non sono né conciliabili, né separati: Pareyson invita a pensarli come incommensurabili. Il finito si presenta infatti «come insufficiente, ma non negativo, e come positivo, ma non sufficiente». Il finito trova nell’infinito il suo fondamento trascendente e ne implica la positiva affermazione. Ne consegue che la filosofia come opera dell’uomo non potrà definirsi che come analisi riflessiva, come interpretazione dell’esistenza: l’essere infatti è dato all’uomo non come oggetto postogli di fronte, ma solo in quell’apertura all’essere che l’uomo stesso è. L’essere è inogettivabile, presente nel rapporto solo come irriducibile e inconfigurabile e l’uomo stabilisce un rapporto con l’essere «in quanto egli è costitutivamente questo rapporto stesso: l’uomo non ha, ma è rapporto con l’essere». Situandosi all’incrocio tra crisi dell’hegelismo e ripresa teoretica, la riflessione di Pareyson, però, pone addirittura come pregiudiziale la decisione per o contro il cristianesimo, una volta rivelatasi impraticabile la strada hegeliana. Il contributo di Ferretti ha lucidamente posto in evidenza la portata non solo religiosa, ma squisitamente filosofica dell’alternativa, che si risolve in Pareyson in una dichiarazione esplicita di cristianesimo. Si rivelerebbe così una struttura teologica del filosofare di Pareyson, che nella considerazione del cristianesimo come “fatto esterno”, non coincidente con nessuna delle sue realizzazioni storiche, è in grado di problematizzarle e nuovamente produrle. Ma la svolta nel pensiero di Pareyson prende anche le mosse da una più intensa con- CONVEGNI E SEMINARI CONVEGNI E SEMINARI siderazione del problema del male, della libertà e di Dio. L’incontro con Dostoevskij, Schelling, Pascal, Plotino, ma anche con Eckart e Silesius, come la relazione Xavier Tiliette, “Filosofia ed esperienza religiosa in Schelling”, ha mostrato, porta il tragico del cristianesimo “all’incandescenza”. Tilliette ha richiamato la continua ispirazione di Pareyson a Schelling, soprattutto per quanto concerne i temi dello scontro tra bene e male, della creazione attraversata dal non essere e resa fragile dal ritrarsi di Dio. La lezione di Pascal è stata invece richiamata da Adriano Bausola nella sua relazione “Filosofia ed esperienza religiosa in Pascal”. Ricordando le vicende dell’interpretazione recente, che tendono a leggere Pascal in chiave di scetticismo o di tragicità, Bausola ha suggerito una considerazione più sfumata dell’alternativa fede-ragione, che un Pascal troppo giansenista sembra supporre. Il tema della “scommessa” non sembrerebbe infatti escludere l’idea che «l’uomo possa fare qualcosa per la propria salvezza anche al di fuori della grazia». Quanto al male, la nota dominante di Pareyson, che in questo riconosce una certa plausibilità del manicheismo, intende sottolinearne la positiva realtà. Il male non è assenza di essere, ma “positiva negazione”, che si determina nell’esercizio della libertà. E davanti a Dio, libertà e male svelano il volto tragico dell’esistenza. In questa prospettiva, come ha rilevato Reinhardt Lauth nella sua relazione “Innocenza e colpa della donna”, la lezione di Dostoevskij appare in tutta la sua potenza laddove questi, affrontando direttamente il paradosso scandaloso della sofferenza innocente, offre una risposta cristologica ponendo nella figura e nella realtà di Cristo il riscatto dal peccato dell’uomo. Tramite Dostoevskij, la sofferenza è in tal modo portata in Dio, così che la sua stessa natura è da intendersi dialetticamente, in quanto il dissidio per cui Dio si nega in se stesso è posto in Dio stesso. Si giunge così alla vera e propria svolta di Pareyson. Dio si rivela anzitutto come libertà: Egli è perché lo vuole, e in ciò non è riscontrabile alcuna necessità. Ma poiché Egli liberamente vuole essere, ne deriva che nello stesso momento il non essere, il male viene scartato. All’interno della stessa alternativa che Dio ha posto si trova situato l’uomo: nella realtà della vicenda della caduta originaria l’uomo non ha fatto che sostituirsi a Dio, scegliendo ciò che Dio aveva rifiutato. Dalla concezione di Dio e della realtà come libertà deriva ora in Pareyson l’idea della filosofia come ermeneutica del mito, così che filosofia della libertà ed ermeneutica religiosa reciprocamente si giustificano. G.T. 70 CALENDARIO CALENDARIO L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, in collaborazione con l’Università della Calabria - Facoltà di Lettere e Filosofia, ha organizzato per il giorno 4 marzo 1994 una lezione di H.-G. Gadamer su: Il futuro dell’Europa e il problema della molteplicità delle lingue. La presentazione è stata affidata a G. Vattimo. ● Informazioni: Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, via Monte di Dio 14, 80132 Napoli. Il 7 marzo 1994, l’Università degli Studi di Messina, in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli e l’Accademia Peloritana dei Pericolanti, ha organizzato una conferenza di H.-G. Gadamer sul tema: La filosofia nell’età della tecnica. ● Informazioni: Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, via Monte di Dio 14, 80132 Napoli. Il Goethe-Institut di Roma, in collaborazione con il Dipartimento di Filosofia della III Università degli Studi di Roma e l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, ha organizzato nei giorni 16 e 18 marzo 1994 due incontri con H.-G. Gadamer: 16 marzo, Il pluralismo linguistico dell’Europa e il suo futuro, conferenza introdotta da V. Verra; 18 marzo, discussione con F. Bianco, M. Freschi, G. Marramao e V. Verra sul tema: Ermeneutica come metodologia delle scienze o come filosofia? Per l’occasione è stato presenta- to il volume Beiträge zur Hermeneutik aus Italien, a cura di F. Bianco (Alber-Verlag, Freiburg-München 1993). Sempre grazie alla collaborazione tra il Goethe-Institut di Roma e la III Università degli Studi di Roma, il 24 e il 25 marzo 1994 ha avuto luogo un Convegno internazionale su: Il ritorno del mito nella società e nella cultura del Novecento. Il calenda- rio dei lavori è stato il seguente: 24 marzo, A. Schmidt: “Grundmuster der aufklärerischen Kritik des Mythos (Modelli della critica illuministica del mito); S. Givone: “Mito e poesia”; R. Mate: “Polimitismo, filosofia, religione”; H. R. Jauss: “Miti dell’inizio. Una nostalgia segreta dell’Illumini- 70 smo”; M. Freschi: “Il risveglio di Odino: Neopaganesimo nella letteratura tedesca degli anni Trenta”; W. Menninghaus: “Chaos- Mytologie in Romantik und Moderne (Caos - Mitologia nel Romanticismo e nel Moderno). 25 marzo, G. Marramao: “Il mito dello stato: una ridefinizione del tema”; K.-H. Bohrer: “Progetti del moderno, tabù del Moderno. Le condizioni di una possibile attualizzazione del mito”; P. De Nardis: “Le nuove mitologie nella coscienza sociologica del Novecento”; R. Vogt: “Teoria e metodo dell’interpretazione psicoanalitica dei miti”; A. Carotenuto: “La realtà psicologica del mito”. ● Informazioni: Goethe-Institut Rom, via Savoia 15, 00100 Roma. In occasione della pubblicazione del volume Negli specchi dell’Essere. Saggi sulla filosofia di MerleauPonty, a cura di M. Carbone e C. Fontana (Hestia Edizioni), il 17 marzo 1994, presso la Sala Incontri I.S.U., si è svolta una conversazione con M. Carbone, E. Franzini, P. A. Rovatti e C. Sini su: Il pensiero dell’ultimo Merleau-Ponty. ● Informazioni: I.S.U., corso di Porta Romana 19, 20100 Milano. In occasione dell’inaugurazione della Scuola di Lessicografia ed Ermeneutica tomistica computerizzata, fondata da Padre Roberto Busa, la Pontificia Università Gregoriana - Facoltà di Filosofia, ha organizzato, nei giorni 17 e 18 marzo 1994, una conferenza su: Computer, Parola, Pensiero. Questo il calendario degli interventi: 17 marzo, R. Busa: “Recenti conquiste di lessicologia computerizzata: censimenti delle eterogeneità delle parole dell’Index Thomisticus e delle loro strutture. Saggi di metodo”; Tavola rotonda con la partecipazione di J. Berleuer, U. Berni Canani, V. Cappelletti, G. Cottier, J. Hamesse e G. Salvini. 18 marzo: A. Bartola: “Fabula, integumentum e involucrum nella tradizione latina medievale fino ad Alano di Lilla. Dal mito pagano alla verità filosofica”; A. Di Maio: “Communico e communicatio in Tommaso d’Aquino. Analisi lessicale e dottrinale”; E. Portalupi: “L’uso dell’ Index Thomisticus nello studio delle fonti di Tommaso d’Aquino. Consi- CALENDARIO derazioni generali e questioni di metodo”; R. Quinto: “Una data-base per le questiones medievali. Il catalogo delle questiones theologiae di Stefano Langton”; T. Sterli: “L’elaborazione elettronica della Tabula Aurea di Pietro da Bergamo”; F. Antonacci: “Computer e analisi testuale”; A. Labella: “Analisi e generazione di un testo musicale: una proposta”. ● Informazioni: Pontificia Università Gregoriana, piazza della Pilotta 4, 00187 Roma, tel. 06/67011. Il Centro Studi Religiosi della Fondazione Collegio San Carlo di Modena ha organizzato un Seminario di studio, svoltosi nei mesi di marzo e aprile 1994, dal titolo: Islam e modernità. Questo il calendario degli incontri: 10 marzo, P. Branca: “Movimenti e figure dell’Islam moderno”; 21 marzo, F. Khaled Allam: “Letture dell’Islam contemporaneo”; 28 marzo, R. Aluffi: “La donna nella famiglia islamica fra tradizione e modernità”; 11 aprile, D. Atighetchi: “Elementi di bioetica nell’Islam”; 18 aprile, S. Allievi: “Il ritorno dell’Islam. I musulmani in Italia”. Sempre organizzato dal Centro Studi Religiosi, il 10 maggio 1994 si tiene un pomeriggio di studio sul tema: La Chiesa di fronte al mondo. A trent’anni dalla ‘Gaudium et spes’, con la partecipazione di G. Alberigo, G. Ruggieri, R. La Valle, G. Piana. Il Centro Culturale della Fondazione Collegio San Carlo organizza per il giorno 16 maggio 1994 una Giornata di studio su Hans Blumenberg, con la partecipazione di R. Bodei, G. Carchia, P. A. Rovatti, F. Rigotti. ● Informazioni: Fondazione Collegio San Carlo, via San Carlo 5, 41100 Modena, tel. 059/222315. Dal 21 al 24 marzo 1994, organizzato dalla Stiftung Weimarer Klassik, si è tenuto presso lo Schiller-Museum di Weimar un Simposio sul tema: Ernst Cassirer: Kulturkritik in 20. Jahhundert. Questo il calendario dei lavori: 21 marzo, E. Wolfgang: “Geschichte und Literatur als Orientierungsdimensionen in der Philosophie Ernst Cassirers”; O. Scwemmer: “Cassirer und die Renaissance”; F. Volpi: “Cassirer und die Schule von Padua”; H. Holzhey: “Kants Geschichtsphilosophie im Neukantianismus”; M. Ferrari: “Cassirer und Duhem. Eine Fallstudie in der Wissenschaftsphilosophie unseres Jahrhunderts”. 22 marzo, H. G. Dosch: “Goethe und die exakten Naturwissenschaften aus der Perspektive Ernst Cassirers”; I.-O. Stamatescu: “Anschauung und wissenshaftliche Erkenntnis”; Y. Mori: “Goethe und die mathematische Physik. Zur Tragweite der Cassirerschen Kulturphilosophie”. 23 marzo, Dibattito su: “Kulturphilosophie und politische Philosophie bei Ernst Cassirer”, con interventi di A. Bolaffi, F. Capeillères, M. B. de Launay, H. Wismann; H. Turk: “Zum Kulturbegriff Cassirers im Licht der derzeitigen philolo- gischen und ethnologischen Debatten”; S. Poggi: “Cassirers Auseinandersetzung mit dem gestaltphychologischen Ansatz”; S. Mayer: “Cassirer Analyse von Schillers Philosophischer Weltansicht”. 24 marzo, John Michael Krois: “Kunst und Leben. Cassirer als Goethe-Interpret; H. Paetzold: “Mythosund Moderne in der Kulturphilosophie Ernst Cassirers”; J. Seidengart: “Symbolische Konfiguration und Realität. ● Informazioni: Stiftung Weimarer Klassik, Burgplatz 4, 99423 Weimar. contro natura”; E. Giannetto: “Note sul concetto di natura fra Oriente e Occidente: il pensiero di R. Tagore”; C. Gily Reda: “R. Cantoni: la natura poetica del mito”; T. Griffero: “Astri e comete nella filosofia dell’identità di Schelling”; R. Klein: “Natura, logos, linguaggio”; C. La Rocca: “Heidegger: opera, terra, natura”; M. Macciantelli: “Il simbolico tra natura e arte”; G. Maragliano: “Il corpo come un paesaggio. Espressione e descrizione in Winckelmann”; F. Mariani Zini: “Natura e artificio nel XV secolo italiano”; G. Marrone: “Figuratività e mondo naturale”; E. Matassi: “La “seconda natura” in Hegel e Adorno”; G. Moretti: “Il ‘superamento’ della natura. Heidegger e Hölderlin”; G. Panella: “Storia del sublime in Inghilterra: Addison, il piacere, l’immaginazione”; G. Pasqualotto: “La natura nell’estetica del vuoto”; G. Pinna: “Identità e natura: la messa in parentesi del bello naturale nelle estetiche dell’idealismo tedesco”; F. Rella: “La natura in Leopardi”; C. Resta: “Parole come fiori. Natura e arte in M. Heidegger”; R. Salizzoni: “Natura, città, macchina in A. Platonov; F. Solitario: “Gli animali nel libro del Pancatranta e nella Prima veste dei discorsi degli animali di A. Firenzuola”; E. Tavani: “I concetti di ‘estetico’ e ‘naturale’ nella ‘teoria estetica’ di Adorno”; F. Testa: “Il giardino come rappresentazione della natura”; R. Troncon: “Filosofia dell’acqua”; F. Vercellone: “Simbolo e storicità della natura in Goethe e in Novalis”. ● Informazioni: Dr. Renato Troncon, Dipartimento di Scienze storiche e Filologiche, via S. Croce 65, 38100 Trento, tel. 0461/881757. L’Accademia di Studi Italo-Tedeschi di Merano ha organizzato dal 9 all’11 maggio 1994 un Convegno internazionale sul tema: Il concetto di amicizia nella storia della cultura europea, con la partecipazione di M, Scotti, G. Plangg, E. Berti, W. Suerbaum, L. Alici, K. Strnad-Walsh, S. Marcucci, A. Schurr, M. Cataudella, R. Scrivano, H. Seidl, R. Schneider, L. Quattrocchi, M. Heitger. ● Informazioni: Accademia di Studi Italo-Tedeschi, via Cassa di Risparmio 20, 39012 Merano. IL’A.I.S.E., Associazione Italiana per gli Studi di Estetica, ha organizzato dal 11 al 12 aprile 1994 a Trento, in collaborazione con l’Università degli Studi di Trento, un Convegno nazionale sul tema: Significati e valore della natura nel pensiero estetico d’Occidente e Oriente. Qui di se- guito l’elenco dei relatori e dei temi degli interventi: L. Amoroso: “Passeggiando con Fedro”; G. Baffo: “Nichilismo e natura nell’estetica di L. Klìma; S. Benassi: “Etica naturalistica e modelli estetici in età rinascimentale”; L. Bonesio: “Per un nuovo pensiero della terra”; C. Cantelli: “Estetica e natura nel pensiero di V. Solov’ev”; A. Contini: “Arte e “natura vivente”: l’emergere di nuovi paradigmi nell’estetica post-positivistica”; R. Copioli: “Natura e immaginazione in Leopardi. con altri esempi per la poesia di oggi”; F. P. Cuniberto: “Terra e paesaggio celeste nella teosofia di Jacob Boehme; P. D’Angelo: “Per una critica dell’estetica ecologica”; E. De Caro: “Rilievi storici sulla nozione di natura nell’estetica contemporanea”; R. Diodato: “La natura e la sua immagine. Spinoza e Vermeer”; M. Ferrando: “La virtualità della natura nell’opera teorica di Shitao”; M. Ferraris: “L’immaginazione tra physis e techne. Locke, Leibniz, Kant”; R. Franciolli: “Motivi orientali nella concezione heideggeriana della natura”; E. Franzini: “Arte, fenomenologia e interpretazione della natura”; E. Fubini: “Natura e storia del linguaggio musicale”; L. Galliano: “Estetica del rumore: i suoni della natura nella musica”; M. Garda: “Dal sublime naturale al sublime musicale: un itinerario dell’estetica musicale settecentesca”; G. Garelli: “Melanconia e memoria. In margine all’ “analitica del sublime” di Kant”; C. Gentili: “Edipo e Odisseo: figure del sapere In occasione della recente riedizione dell’Estetica del Brutto di Karl Rosenkranz, il Centro Internazionale Studi di Estetica di Palermo, in collaborazione con l’Università degli Studi di Palermo, ha organizzato, per il 18 aprile 1994, una Giornata di studio sul tema: Karl Rosenkranz e l’estetica del Brutto. All’incontro sono intervenuti L. Russo, R. Bodei, U. Carpi, G. Scaramuzza. ● Informazioni: Centro Internazionale studi di Estetica-Università degli Studi, viale delle Scienze, 90128 Palermo. Presso il Centro Italiano di Ricerche Fenomenologiche di Roma, il 12 marzo 1994, D. Conci, R. Laurenti, M. Ruggenini hanno discusso su: Alle radici del pensiero occidentale. Heidegger e Fink su Eraclito, in occasione della pubblicazione del libro: Heidegger e Fink. Dialogo intorno a Eraclito (Garzanti 1992), a cura di M. Ruggenini. Il 23 aprile 1994, B. M. D’Ippolito, A. Masullo, G. Invitto e A. Montano hanno parlato su: Morale ed esistenza negli scritti postumi di Sartre, in occasione della pub- blicazione del libro: Gli scritti postumi di Sartre (Marietti 1993), a cura di G. Invitto e A. Montano. 71 Il 21 maggio, in occasione della pubblicazione del libro: Il sapere teologico e il suo metodo, a cura di I. Sanna (Ed. Dehoniane 1993), G. Ferretti e M. Bordoni introducono la discussione sul tema: Ermeneutica e Teologia, a cui partecipano F. Brezzi, N. Ciola, S. Lanza, G. Mura. ● Informazioni: Centro Italiano di Ricerche Fenomenologiche, via dei Serpenti 100, 00100 Roma. Dal 11 al 14 maggio 1994, organizzato dall’Università degli studi dell’Aquila in collaborazione con il Goethe Institut di Roma, avrà luogo un Convegno di studi dal titolo: I confini dell’anima. Filosofia e psicologia da Herbart a Freud. I lavori avranno il seguente svolgimento: 12 maggio, R. Pettoello: “Scatole quadrangolari e recipienti vuoti. Genesi psicologica delle categorie e forme dell’esperienza nella critica di Herbart a Kant”; H. Holzhey: “Fries’ Vernunftkritik zwischen Transzendentalphilosophie und Psycologie”; F. Moiso: “La Psychiatrik di D. G. Kieser”; L. Bertolini: “Colore e spazio in Helmholtz: l’«enigma della possibilità di vedere»”; E. W. Orth: “Psyche und Psychologie bei R. H. Lotze”; B. Centi: “Il lato spirituale della vita dell’anima. La psicologia di W. Wundt”. 13 maggio, P. Spinnici: “I nomi dei colori: A. Marty e il dibattito sull’evoluzione del senso cromatico”; R. Egidi: “Filosofia e psicologia del pensiero tra Frege e Külpe”; E. Picardi: “Sigwart: leggi della logica e leggi del pensiero”. 14 maggio, M. Lenoci: “Apriori ed esperienza nelle analisi gnoseologiche di A. Meinong”; Franco Volpi: “La psicologia senza anima di Brentano: dalla metafisica alla scienza”; M. Failla: “Dal tempo allo spazio. Il ruolo dello spazio nella psicologia di Dilthey”; L. Grosso: “W. Griesinger tra fisiopatologia del sistema nervoso e psicologia dell’io”; R. Bernet: “Husserls Begriff des Bewusstseins und des Unbewussten”; F. M. Ferro: “Il laboratorio culturale del modello freudiano”. ● Informazioni: Antonello Rossi, Segreteria del Convegno, tel. 0862/ 432120-432122. Dal 20 al 22 maggio 1994, organizzato dall’Associazione Scientifica Goetheanistica Italiana in collaborazione con la Cattedra di Filosofia della Scienza, Università degli Studi di Milano, e dalla Frei Hochschule für Geisteswissenschaft, Dornach, si svolge alla Villa Griffoni di Castelgabbiano (CR) un Convegno internazionale sul tema: Goethe Scienziato. Percorsi goethiani tra scienza etica e arte. 20 maggio, C. Hitsch: “Conoscenza della natura e creazione artistica in Goethe”. 21 maggio, Tavola rotonda: “Il soggetto di fronte al fenomeno; pensiero e percezione alla luce dell’empirismo razionale”; Tavola rotonda: “L’apparire del bello e il manifestarsi del vero: estetica e oggettività”. 22 maggio, Tavola rotonda: “La fecondità della concezio- CALENDARIO ne goethiana del mondo per il presente: responsabilità nei confronti della natura”. Alle tavole rotonde partecipano: M. Basfeld, J. Bockemühl, M. Bottero, P. Bozzi, D. Cohn, E. J. Dreyer, D. von Engelhardt, K. J. Fink, F. Gil, G. Giorello, B. G. Goodwin, P. Giacomoni, A. Grieco, C. Hitsch, G. Maier, F. Moiso, V. Melchiorre, F. Mondella, M. Sarà, H. Schmitz, G. Sermonti, C. Sini, S. Tagliagambe, R. Thom, G. C. Webster, G. Rickey Welch, S. Zecchi, R. Ziegler. ● Informazioni: Elisabetta Grigorieff, Segreteria del Convegno, tel. 039/58695. L’Università degli Studi della Repubblica di San Marino, in collaborazione con il Centro Internazionale di Studi Semiotici e Cognitivi, organizza, dal 24 al 27 maggio 1994, un convegno dal titolo: Vestigia, Imagines, Verba. Semiotic and Logic in Medieval Theological Texts (XII-XIV Century). Questo il pro- gramma degli interventi: 24 maggio, J. Jolivet: “Platonisme et sémantique de Bernard de Chartres aux Porrétains”; L. Valente: “Le concept de consignificatio chez les théologiens de la seconde moitié du XII siècle”; C. H. Kneepken: “Alexander Neckham and the enuntiabile”; P. A. Streveler: “Roger Bacon, Richard Rufus and the “Magister Abstractionum” in Empty Names”; A. De Libera: “Les enjeux logico-sémantiques de la formule de consécration eucharistique”; I. Rosier: “Les difficultés logico-grammaticales de la formule Hoc est corpus meum”; P. Bakker: “Some Semantical Aspects of the 14th Century Discussions on the Eucharistic Formula”. 25 maggio, L. M. De Rijk: “On Guiral Ot’s (1273-1349) Ontology: His View of Copulative Being in his Commentary on the Sentences”; R. Friedman: “Conceiving and Signifying Modified Reality: modi significandi and modi concipiendi in Peter Aureol”; H. Thijssen: “The Semantic Debate over virtus sermonis and the Hermeneutic Program of the Ockhamists: the Theological Significance of the Prohibition of 1340”; Y. Iwakuma: “Instantiae in late 12th Century Theology”; A. Maierù: “I precedenti delle discussioni su logica e trinità nelle Summae dei secoli XII-XIII”; S. Ebbesen: “Doing Theology with sophismata”; A. Bäck: “Reduplicative Propositions in the Theology of John Duns Scotus”; K. H. Tachau: “The Reach of God’s Omnipotence: Some Aspects of Possibility and Necessity according to Peter Aureol”. 26 maggio, E. P. Bos: “A Scotistic Discussion of “Deus est” as a proposito per se nota”; C. Martin: “Positio and Power. The Use of Obligationes by Holcot and Bradwardine in Dealing with Problems of Foreknowledge and Freedom”; S. Knuuttila: “Positio impossibilis and Trinitarian Theology”; A. D’Ors: “Insolubilia in Some Medieval Theological Texts”; M. Sirridge: “The Wailing of the Orphans and the Bawling of Calves: The Influence of Augustine’s Theory of Language on Some Theories of Interjections; C. Marmo: “Inferential Signs in the Summae of XIIXIII Century”; J. Halverson: “Towards a Perfect Conception of God: The Moral Virtues as Signs of the Divine Essence in Late Medieval Scholastic Thought”. 27 maggio, L. O. Nielsen: “Signs by Divine Imposition”; M. Kaufmann: “Ockham on Representative and Natural Signs”; S. Vecchio: “Mensogne, simulation, dissimulation. Primauté de l’intention er ambiguité du langage dans la théologie morale du bas Moyen Age”; E. J. Ashworth: “Analogy and Equivocation in Thomas Sutton, O.P.”; C. Panaccio: “Angels’ Talk, Mental Language, and the Trasparency of the Mind”; D. Perler: “Crathorn on Mental Language”; J. Biard: “La science divine entre signification et vision chez Grégoire de Rimini”. ● Informazioni: Università di San Marino, Contrada Omerelli 77, 47031 San Marino, tel. 0549/882516. La Guerini e Associati ha organizzato due incontri, che si svolgeranno presso la Casa della Cultura di Milano. Il giorno 3 maggio 1994 si parlerà su Realismo senza dogmi, presentazione dell’omonimo libro di F. Minazzi. Interverranno: L. Magnani, F. Minazzi, F. Papi e S. Tagliagambe. Il 17 maggio, in occasione della presentazione del libro di Paul Thagard, Rivoluzioni concettuali, a cura di L. Magnani e del Laboratorio di Filosofia Computazionale-Dipartimento di FilosofiaUniversità di Pavia, si discuterà su: Filosofia e intelligenza artificiale. ● Informazioni: Edizioni Angelo Guerini e Associati, via Verona 9, 20135 Milano, tel. 02/58305371. n occasione della pubblicazione del libro Essere due, di L. Irigaray (Bollati Boringhieri, 1994), la Casa della Cultura di Milano ha organizzato per il giorno 11 aprile 1994 un incontro sul tema: L’amore tra oriente e occidente, a cui hanno partecipato, oltre all’autrice, R. Imbeni, S. Veca, S. Vegetti Finzi. Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Via Monte di Dio 14, Napoli 2-5 maggio Marc Fumaroli 30 maggio-3 giugno Jacques Derrida La querelle degli antichi e dei moderni (1684-1724). Nuovi dati e interpretazioni Le secret, le témoignage, la responsabilité 6-10 giugno Marco Diani - Massimo Riva I primordi della querelle: la Laudatio Regis Galliae - L’approfondimento: scienza e retorica, filosofia e poesia. Paradossi del moderno Paradossi del moderno: lineamenti teorici. 2-5 maggio Paul Ricoeur 6-10 giugno Andrea Battistini Les normes de l’action entre l’exigence d’universalisme et la condition historique des cultures La sapienza retorica di Giambattista Vico Vico nella cultura retorica e filosofica del suo tempo - I topoi autobiografici della Vita di Vico. Les normes de l’action - L’exigence d’universalisme. 9-12 maggio Donald Philip Verene 13-16 giugno Carlo Augusto Viano Vico in the anglo-saxon world La leggenda della filosofia The development and current state of Vico Studies in America - Vico’s universale fantastico and the logic of metaphor. Una madre generosa - Il filosofo e il principe. 13-17 giugno Imre Toth 9-13 maggio Mario Castellana «L’immagine potenza del negativo...». Libertà e verità: le dimensioni politiche della controversia sulla geometria noneuclidea Per una storia dell’epistemologia neorazionalista 16-20 maggio Khaled Fouad Allam La filosofia nell’Islam contemporaneo 20-23 giugno William R. Shea La riforma islamica moderna - La crisi degli intellettuali islamici: la tematica del ritardo. Il pensiero scientifico e la filosofia naturale di Blaise Pascal 23-27 maggio Antonio Pieretti 7 giugno-1 luglio Remo Bodei Vico e il mito Se la storia ha un senso Il mito come ritrovamento e come invenzione - L’origine del mito. Le ragioni dell’attuale discredito della filosofia della storia - La percezione diffusa dell’attenuarsi del senso storico. 30 maggio-1 giugno Hilary Putnam Truth, perception, logic 72 Il 7 maggio 1994, organizzato dalla Casa della Cultura con il patronato della Regione Lombardia, avrà luogo un dibattito su: “Noi non siamo uno solo”. Il Pensiero e l’Umanità di Cesare Musatti. Questi gli interven- ti: Vegetti: “Musatti: una vita per la psicoanalisi”; R. Reichmann: “Musatti e il cinema”; M. Cesa Bianchi: “Musatti nella psicologia sperimentale”; D. Meghnagi: “Musatti e l’umorismo”; E. Funari: “Il pensiero di Musatti tra sogno e ragione”; G. della Giusta, F. Novara, A.Todisco, A.Voltolin: “Musatti uomo di cultura”; S. Ceccato, E. Collotti Pischei, R. Musatti, A. Olivi: “L’umanità di Cesare Musatti”. Al termine verrà proiettato un film dal titolo “Cesare Musatti: un matematico veneziano” per la regia di F. Carpi. ● Informazioni: Casa della Cultura, via Borgogna 3, 20122 Milano, tel. 02/795567. L’Istituto di Scienze Religiose di Trento ha organizzato dall’11 al 12 maggio 1994 un Convegno dal titolo: Sociologia e Teologia di fronte al futuro. Il convegno, che ha un carattere interdisciplinare, si inserisce nella serie delle iniziative dell’ISR di Trento sul Rinnovamento del metodo teologico e partecipa all’itinerario tematico dei teologi italiani, centrato su Teologia e terzo millennio. Questo il calendario degli incontri: 11 maggio, I. Rogger (Direttore ISR) farà il saluto di apertura; P. Donati: “Il punto di vista teologico”; G. Capraro: “Sociologi e teologi a confronto sulle prospettive future”; Discussione con C. Cipolla. 12 maggio, A. Ardigò (Presidente ITC) introdurrà i lavori; S. Dianich: “Nuove prospettive dell’ecclesiologia di fronte alle sfide del futuro”; discussione con S. Burgalassi; I. De Sandre: “Passaggio al futuro: complessità e comunicazione”; G. Ambrosio: “Indagine sugli scenari futurologi presenti nei documenti sinodali della chiesa cattolica”; P. Zulehner: “Bilancio propositivo della prospettiva futurologica per la teologia pratica”; L. Sartori concluderà i lavori. ● Informazioni: Barbara Gazzoli, Istituto di Scienze religiose in Trento, via S.Croce 77. 38100 Trento, tel. 0461/210111. Il 6 maggio 1994 Mary Douglas, decana dell’antropologia sociale inglese, sarà a Modena per una lezione sul tema: Immigrati e stranieri. L’idea di straniero nella Bibbia, organizzata dal Centro Culturale della Fondazione Collegio San Carlo, nell’ambito del ciclo dedicato a La prova dello straniero. Figure per il confronto tra le culture. A discutere con Mary Douglas saranno presenti S. Lukes, G. Poggi, A. Destro, F. La Cecla e L. Leonini. ● Informazioni: Andrea Bersari, Segreteria Centro Culturale San Carlo, via San Carlo 5, 41100 Modena, tel. 059/222315. DIDATTICA DIDATTICA a cura di Riccardo Lazzari Didattica della filosofia Il disagio degli insegnanti di filosofia nasce per lo più da uno stato di “crisi” della loro identità professionale e culturale, che è anche crisi del sapere che ha prodotto finora i modelli di professionalità docente. Da questa diagnosi e da un concreto bisogno di ricerca teorica sulla didattica nasce lo studio di Mario De Pasquale, DIDATTICA DELLA FILOSOFIA. LA FUNZIONE EGOICA DEL FILOSOFARE (Franco Angeli, Milano 1994), che ha come fine quello di definire in termini operativi la peculiarità del “filosofare”, individuandone gli obiettivi di natura cognitiva, affettiva, relazionale, le modalità del suo insegnamento e del suo apprendimento, anche mediante la discussione dei tradizionali schemi entro cui si è svolto il dibattito negli ultimi decenni. Nella Premessa a Didattica della filosofia Davide Bigalli mette in luce come il lavoro di Mario De Pasquale sappia coniugare la riflessione attorno a concrete esperienze e concreti progetti (l’autore insegna infatti in un Liceo) con un robusto impianto teoretico. Quest’ultimo non si sovrappone astrattamente ai compiti dell’indagine “sul campo” e alla ricerca di soluzioni praticabili, relative all’esercizio del filosofare, in un momento di crisi dell’identità professionale e culturale del docente, ma offre i necessari referenti teorici e il respiro di carattere generale per una ricerca che non ripieghi soltanto su rimedi di tipo tattico. Non è dunque semplice ripetizione di ciò che è già noto lo sforzo dell’autore di ripercorrere, in apertura del libro, le caratteristiche generali del filosofare, individuandole nella peculiare tensione alla verità, nella radicalità e problematicità della ricerca, che oggi esige di mediarsi con il policentrismo e con il significato multidisciplinare di molti problemi del sapere contemporaneo. Così la tensione della filosofia all’unità, cioè all’intierezza e alla totalità, permane oggi solo «come esigenza insopprimibile del desiderio umano di sapere, quindi come ideale regolativo della ricerca e della comunicazione filosofica intersoggettiva», senza che tuttavia sia possibile riproporre l’idea di una filosofia come enciclopedia unitaria del sapere, incentrata su di un unico modello di razionalità. Alla domanda circa il modello di razionalità filosofica da insegnare, l’autore risponde preliminarmente che «un impianto storico dell’insegnamento della filosofia, anche se ridotto e lasciato in parte alla responsabilità e alla libera scelta del docente, nella costruzione dei propri curricoli, garantisce la possibilità di conoscere e usare una molteplicità di modelli di razionalità filosofica». I principali modelli odierni sono, secondo De Pasquale, il modello problematicista-popperiano-fallibilista, il modello ermeneutico e il modello di razionalità filosofica che si può definire tuttora “classico”. Da una discussione di questi modelli l’autore vuol far scaturire alcuni elementi generali di una ideale razionalità filosofica, incentrata sul concetto di logica argomentativa, sulla pretesa di universalità del linguaggio filosofico, su un’impostazione strutturata secondo la dialettica domanda-risposta, sulla tensione all’unità non contradditoria del discorso. Ma, soprattutto, la razionalità filosofica coinvolge la totalità del soggetto che filosofa; ha dunque valenze “egoiche”, nel senso di svolgere una funzione unificante e ordinatrice, che ottemperi insieme a esigenze sia di distacco che di partecipazione, sia di ascolto che di controllo. «Essa ha valenze “egoiche” in quanto svolge una funzione molto vicina ed analoga a quella che svolge l’io nella complessità della nostra psiche: tiene conto di una grande molteplicità di istanze e le riduce ad unità secondo le esigenze di un dominio realistico degli ambiti di vita». In questo senso l’insegnamento della filosofia può aiutare, in una società complessa come l’attuale, a formare “personalità polivalenti ed elastiche”, che dispongono di un “io” forte, sicuro, equilibrato, ma al tempo stesso capace di aprirsi alle nuove esperienze. De Pasquale affronta, in questa chiave problematica, il problema delle finalità e degli obiettivi dell’insegnamento della filosofia, soffermandosi più volte sui recenti programmi elaborati dalla Commissione Brocca e distinguendo fra obiettivi di natura cognitiva, affettiva e relazionale. Per quanto riguarda invece la questione di come 73 insegnare filosofia, De Pasquale non offre una risposta univoca, che pretenda di identificare una volta per tutte il “metodo” dell’insegnamento con quello definito “storico” oppure “teoretico-sistematico” o “problematico”. Non c’è infatti un metodo privilegiato: «il docente è come un “architetto” che progetta i suoi itinerari didattici scegliendo tra una molteplicità di metodi, di procedimenti, di tecniche». Dopo essersi soffermato esaurientemente sul problema della lettura dei testi nell’insegnamento della filosofia, De Pasquale affronta i temi relativi alla creatività del filosofare in classe, analizzandone gli aspetti d’ordine cognitivo, emotivo, e comunicativo-relazionale. Ne esce una ridefinizione dell’identità dell’insegnante di filosofia, non più incentrata esclusivamente sugli oggetti di cui si occupa, ma principalmente sulla peculiarità del proprio approccio ai diversi problemi e alle domande che egli stesso sa sollecitare negli allievi. R.L. Storia della filosofia al computer Un software didattico per studiare la storia della filosofia, calibrato sui programmi d’insegnamento del nostro paese e recentemente ideato da un insegnante di liceo: questo è TEACHER. L’ideazione del programma è dovuta a Piero Carelli; la realizzazione ad un suo ex-allievo, Paolo Gatti. Alla prima versione, che risale al 1990, si sono puntualmente susseguite altre versioni più elaborate. Il “file-utente” ci informa che Teacher è un «programma per l’apprendimento guidato via computer», si inscrive cioè nell’ambito della computer aided instruction, e si propone non di sostituire, ma di “integrare” l’insegnamento tradizionale. Teacher, infatti, può essere usato tanto in classe, come strumento di apprendimento e di verifica, quanto a casa, in funzione di un’autoverifica. E’ soprattutto sul momento della verifica che si insiste nelle videate di auto-presentazione: Teacher «è in grado di fornire una valutazione obbiettiva» DIDATTICA del livello di apprendimento raggiunto dallo studente e presenta una serie di vantaggi specifici sia rispetto alla “tipica” interrogazione, consentendo l’interrogazione contemporanea di più studenti, la registrazione su disco delle risposte e la possibilità di rivederle in un momento successivo, sia rispetto alla “tipica” prova scritta (è “elastico”, ossia a seconda della risposta data a una domanda è possibile modificare il corso delle domande successive, instaurando una dimensione colloquiale); consente inoltre di conoscere immediatamente la valutazione e, infine, offre al docente la possibilità di codificare le lezioni per prevenire ipotesi di raggiro da parte di studenti. Teacher si compone di una serie di files, ognuno dei quali ha come contenuto o un problema filosofico (“anima”, “Dio”, “problema mente/corpo”, “epistemologia”), o una disciplina (“astronomia”, “fisica”, “logica”, “economia”). La trattazione si svolge quasi sempre sul piano della storia delle idee, per cui più files sono dedicati a un determinato problema o ad una determinata disciplina. Il discorso sull’astronomia, ad esempio, si sviluppa in vari files: dai Presocratici ad Aristotele (“ASTRO1”), da Copernico a Newton (“ASTRO2”), ecc. Solo “Logica” ed “Economia” sono files strutturati diversamente: il primo è un “eserciziario” e il secondo mette alla prova la capacità dello studente di analizzare situazioni concrete (inflazione, disavanzo pubblico, occupazione, ecc.), senza presupporre particolari conoscenze tecniche. Entrando in un file, lo studente si trova di fronte ad una serie di videate, ognuna delle quali presenta una questione specifica e propone una serie di risposte (da due a cinque), tra le quali occorre scegliere la risposta o le risposte giuste (possono darsi anche tre risposte corrette su cinque) [figg. 1 e 2]. In caso di risposta errata a volte compare un “quesito di riserva”, ma non viene mai proposto (almeno nella versione qui analizzata) un percorso parallelo che cerchi di chiarire le motivazioni dell’ “errore” e di svilupparne magari la “logica” interna. Gli aspetti positivi di Teacher, a parte il non piccolo merito di costituire uno dei primi programmi finalizzati all’insegnamento della storia della filosofia nei licei, sono così riassumibili: 1. il tentativo di stabilire dei percorsi di apprendimentoverifica interni a “problemi filosofici determinati”, permettendo allo studente di rispondere alle domande del programma attraverso le soluzioni proposte dai diversi filosofi, confrontandole ed esplorandone il significato e l’interna coerenza; 2. la tendenza a travalicare i limiti tradizionali dell’insegnamento della filosofia in due direzioni: dedicando molto più spazio del solito ai problemi scientifici, in particolare alla storia della scienza antica e moderna; includendo la trattazione di tematiche attuali che stimolino le capacità di compren- sione e di ragionamento dello studente; 3. l’esclusione di risposte alle domande basate semplicemente sulla coppia di valori vero/falso, proponendo al contrario più risposte corrette, risposte più o meno corrette e risposte sbagliate, che tuttavia contengono qualche elemento valido (ciò puntualmente si ripercuote sul punteggio finale); 4. la possibilità data all’utente-docente di incrementare il programma, modificando le lezioni esistenti e creando lezioni aggiuntive (a questo scopo il manuale fornisce dettagliate istruzioni). A parte l’aspetto grafico, non molto attraente, ma certo facilmente migliorabile, i limiti di Teacher possono essere così riassunti: 1. i percorsi sono molto “rigidi” e il programma non presenta una vera “elasticità”, poiché la modifica del corso delle domande in rapporto alle risposte è del tutto marginale: la risposta sbagliata non viene mai presa come punto di partenza per lo sviluppo di un “ramo” secondario e lo studente suole essere sbrigativamente e rudemente riportato sulla “via maestra” (tanto meno sono contemplati percorsi diversi, non semplicemente errati, bensì alternativi rispetto a quello “principale”); 2. la felice scelta di partire dall’analisi di determinati problemi non viene sfruttata appieno a causa della disposizione delle domande in uno schema storicistico, spesso di tipo puramente informativo, che non favorisce l’approfondimento teoretico e lo sviluppo conseguente delle capacità di ragionamento autonomo dello studente; 3. il pericolo di indurre nella mente dello studente l’impressione di un’artificiosa “compartimentazione del sapere” che, anche e soprattutto in relazione a determinati periodi storici (età antica, nascita della scienza moderna), può risultare fuorviante, anche se l’opera del docente diventa qui essenziale e il “difetto” può essere eliminato con un uso intelligente del programma (ma non viene superato, se lo studente usa il programma a casa); 4. lo sfondo teoretico di Teacher è uno sfondo di tipo popperiano, che comporta, non certo per l’opzione teoretica di fondo, perfettamente legittima, quanto piuttosto per la rigidezza (l’assenza di alternative) con cui questa viene sviluppata, caratteristiche omissioni e sottovalutazioni: viene, ad esempio, praticamente ignorato il problema del rapporto scienza-fede e sono in genere sottovalutate le tesi dei razionalisti rispetto a quelle degli empiristi. L’analisi di un programma come Teacher induce ad alcune riflessioni generali sull’uso del computer nella didattica della filosofia. Costruire un programma che funzioni principalmente come strumento di verifica dell’apprendimento può essere relativamente utile, ma non è veramente innovativo sul piano della didattica. Molto più utile e veramente nuovo sarebbe un programma che potesse offrire allo studente qualcosa che né la lezione, né la discussione in classe, né le prove orali e 74 scritte e nemmeno la lettura di un testo potrebbero offrirgli. Gli stimoli a procedere in questa direzione vengono, ad esempio, da Dialog, un programma di simulazione dell’Eutifrone platonico (si veda l’articolo di L. Rossetti, Due versioni informatiche dell’”Eutifrone” di Platone, apparso nel numero di questa rivista), con l’idea dello sviluppo articolato dei “rami” laterali dell’argomentazione (vale a dire dei percorsi “errati”), e dallo stesso Teacher con l’idea dei percorsi sui problemi. In un software didattico di storia della filosofia i percorsi “errati” non solo dovrebbero essere analizzati, esplorandone la logica interna, ma andrebbero trasformati in “percorsi alternativi”. In tal caso il programma assumerebbe l’aspetto di una serie di percorsi “compossibili”, logicamente coerenti al loro interno. Sarebbe necessario, però, lasciar cadere lo schema storico-manualistico e affrontare i diversi problemi filosofici con taglio teoretico (di discussione filosofica), tenendo conto, ovviamente, delle informazioni di cui è in possesso lo studente e delle letture filosofiche da lui effettuate. Il problema “Dio”, ad esempio, potrebbe ammettere una trattazione ampia e argomentata, senza schemi precostituiti, che si verrebbe a configurare come una struttura ad albero molto complessa: prove a posteriori e loro struttura, prove a priori, confutazioni e risposte, negazione della stessa legittimità del problema (Trilemma di Münchhausen), ecc. Il problema etico, per fare un altro esempio, potrebbe essere trattato proponendo una tipologia dell’etica, come quella elaborata da F. von Kutschera in Fondamenti dell’etica (Milano 1991) o a quella abbozzata da A. MacIntyre in Dopo la virtù (Milano 1988). Verrebbe in tal modo favorito non solo l’apprendimento, ma lo sviluppo della consapevolezza critica dell’utente del programma, che sarebbe portato a comprendere in modo non superficiale: a) che i diversi percorsi-rami (posizioni filosofiche) hanno una loro “coerenza interna”; b) che il dibattito filosofico deve risalire ai “presupposti” delle diverse posizioni (i punti “a” e “b” costituiscono ciò che si chiama “critica immanente”); c) che i problemi filosofici si richiamano l’un l’altro in un complesso gioco di rimandi, che esclude ogni semplificazione e rinvia alla consapevolezza della “complessità”. Tornando a Teacher, una, tra le possibili modalità di espansione di questo programma, sembra soprattutto raccomandarsi: l’eventualità che quando una risposta viene dichiarata sostanzialmente errata, o almeno errata in prima approssimazione, si introducano una o più ulteriori videate nel corso delle quali il programma fornisca un’idea dei presupposti in base ai quali anche certe risposte a prima vista inaccettabili potrebbero essere fatte ugualmente valere come plausibili. Si prenda, ad esempio, la videata del file ANIMA relativa alle conseguenze etiche derivanti dalla critica DIDATTICA Fig. 1. Una sequenza di Teacher (col commento alle risposte errate) Fig. 2. Una sequenza di Teacher ( col commento alle risposte corrette) Fig. 3. Una sequenza di Teacher nella quale una risposta coerente viene sbrigativamente scartata come non corretta 75 DIDATTICA al concetto tradizionale di “anima” in Hobbes e Spinoza [fig.3]: se viene scelta la risposta C, il commento, dopo aver riconosciuto che essa addirittura “non fa una grinza”, la dichiara errata e sbrigativamente la scarta. Invece, sviluppare almeno un poco il percorso abbozzato dalla risposta “errata” consentirebbe di individuare una serie di problemi fondamentali (rapporto libertà-norma, possibilità-impossibilità di un’etica naturalistica, ecc.) e di evidenziare le ragioni che pur sempre militano per una varietà di possibili “soluzioni”. Disponibile in versione Amiga o MSDOS, Teacher può essere richiesto a Teacher Development, c/o Paolo Gatti, via Boldori 17, Crema. G.S. Interventi, proposte, ricerche Nella rivista “Sensate esperienze” (n. 19/20, giugno-settembre 1993; con una prosecuzione nel n. 21, gennaio 1994) è apparsa, a cura di R. Ansani, L. Bolognini, A. Cardi, L. Marchetti e M. Villani, la presentazione di UN ESPERIMENTO DI ATTUAZIONE DEL PROGETTO BROCCA PER L’ INSEGNAMENTO DELLA FILOSOFIA NELLA SCUOLA SECONDARIA SUPERIORE, nato dall’attività del Coordinamento di filosofia del Liceo-ginnasio “L. Ariosto” di Ferrara, un istituto impegnato in una maxisperimentazione con più indirizzi. Di taglio più “astratto” è la proposta avanzata da A. Cavadi nella rivista “Nuova secondaria” (n. 4., dicembre 1993), relativa a DUE MODI PER FARE FILOSOFIA, alla quale si affianca una scheda di F. Bonsignore dal titolo: LEGGERE I TESTI FILOSOFICI. Nella prima parte dell’articolo Un esperimento di attuazione del progetto Brocca per l’insegnamento della filosofia nella scuola secondaria superiore sono fissati i criteri di definizione del progetto, l’ipotesi critica che lo sorregge e una proposta di scansione triennale dei contenuti. Nella seconda parte, viene presentato l’intero piano di lavoro predisposto nell’anno scolastico 1992/93 per la classe terza. L’esperimento in questione nasce da una condivisione delle linee di fondo del Progetto Brocca, che assegna una peculiare valenza formativa all’insegnamento della filosofia nei trienni delle scuole secondarie superiori. Tale valenza, così come gli autori presentano nell’articolo il loro “esperimento” didattico, si precisa solo coniugando obiettivi formativi e contenuti culturali, i quali ultimi vanno reperiti individuando alcuni assi tematici e scegliendo una campionatura di filosofi e di nuclei teorici sulla base della loro rilevanza storico-problematica. A sua volta, la scelta dei testi deve tener conto dei criteri di leggibi- lità, di congruenza con gli assi tematici individuati e, ancora, di rilevanza storicoproblematica. L’ipotesi critica che sorregge il progetto didattico suppone, secondo le parole degli autori, «che esista una specificità del sapere filosofico definita per la prima volta dalla filosofia greca..., e che tutta questa impostazione realistico-oggettivistica permanga per tutto il Medioevo ed entri in crisi con l’avvento della Modernità, definita emblematicamente dalla centralità del soggetto e dal nuovo paradigma scientifico (Cartesio-Galilei). Lo sviluppo di queste due linee approda alla definizione di sistemi forti, interpretativi del mondo naturale e umano (idealismo, marxismo, positivismo). La crisi di questi sistemi apre all’età contemporanea». Da questa ipotesi discende una indicazione dei contenuti, che, per la classe terza, ruota intorno a testi di Platone e Aristotele, con uno snodo fondamentale intorno alle filosofie ellenistiche e con tre nuclei integrativi, relativi all’origine della filosofia e alle rielaborazioni cristiano-medievali della filosofia classica. Per la classe quarta, l’indicazione s’impernia sul tema della centralità del soggetto e della nascita di un nuovo paradigma scientifico, con proiezioni su testi di Cartesio, Galileo, Kant e Hegel, uno snodo, inoltre, relativo all’illuminismo e una integrazione, infine, riguardante la dimensione del politico. Per la classe quinta, vengono indicati i temi del soggetto e della scienza, mostrandone la crisi delle rispettive nozioni in senso forte attraverso un lavoro incentrato su testi di Nietzsche, Heidegger, Wittgestein, Popper, Marx e della Scuola di Francoforte. Il segmento di piano di lavoro relativo alla classe terza è ripreso e approfondito nell’articolo Un esempio di articolazione dei programmi Brocca. L’organizzazione dei contenuti prevede la lettura del Fedone, della Repubblica (libri I-VII, X) di Platone e del libro A della Metafisica di Aristotele. Vengono illustrate dettagliatamente dagli autori le operazione relative a questi testi, così come le integrazioni che richiedono l’uso del manuale (il ricorso a quest’ultimo, pur riconosciuto come necessario, ha presentato le maggiori situazioni di problematicità), ed inoltre i passaggi dal testo allo snodo fondamentale e ai nuclei problematici che costituiscono, per così dire, le diverse espansioni del lavoro sui testi. L’organizzazione dei contenuti si basa su una impostazione del tipo: dal testo all’autore, dall’autore ai temi-problemi. Essa segue «una progettazione a maglie larghe che consente scelte metodologiche diversificate in relazione agli indirizzi, alla peculiarità delle classi, ai “gusti” dell’insegnante», ma che tuttavia «mantiene ferme scelte interpretative di fondo e procedure comuni di metodo». A conclusione dell’articolo viene pubblicata una “scheda di introduzione e motiva76 zione allo studio” della filosofia, curata da Laura Bolognini e Lucia Marchetti. Lo scopo della scheda è «di sollecitare gli studenti a porsi domande su di sé e sul mondo, avviando o rafforzando... i processi di riflessione, e di far nascere il desiderio di trovare risposte; atteggiamento questo che avvicina lo studente ad una delle forme del pensare filosofico». La proposta di Augusto Cavadi, Due modi per fare filosofia, mostra come un’impostazione storico-diacronica dell’insegnamento della filosofia occidentale rischi oggi solo di smarrire lo studente, essendosi ormai perduta quella chiave di lettura che faceva da “bandolo della matassa” nella visione propugnata un tempo dai fautori del neoidealismo. Si direbbe che oggi la storia della filosofia è diventata, nell’insegnamento di molti docenti, solo una “matassa confusa”. Da qui nasce il tentativo di Cavadi di individuare due ipotesi di lettura della storia della filosofia occidentale. La prima consiste in una riflessione sulla storia delle idee, che parte dall’assunto teorico, fondato su argomentazioni essenzialmente storico-sociologiche, secondo cui «la filosofia, anacronistica come forma di sapere nell’epoca contemporanea, merita tuttavia di essere studiata nelle sue concretizzazioni del passato, in quelle epoche storiche in cui “era ancora una componente essenziale e fondamentale della cultura”, dal momento che le varie parti politiche esprimevano le proprie posizioni con la massima ampiezza in termini filosofici» (l’ulteriore rinvio all’interno della citazione è al contributo di E. Guarneri, Ma c’è ancora una filosofia? Dall’impegno filosofico alla ricerca storiografica, in AA.VV., Filosofia: perché?, Augustinus, Palermo 1991). La seconda ipotesi, che viene argomentata dall’autore con ampi riferimenti alla riflessione di Cornelio Fabro, consiste in una ricerca intorno a due concetti fondanti: l’oggettività dell’essere e il primato della coscienza. Entrambe le ipotesi intendono restituire all’insegnamento della filosofia la rilevanza formativa che merita. In Leggere i testi filosofici, Fiammetta Bonsignore prende spunto da quelle che sono le domande più diffuse circa il problema della lettura dei testi nell’insegnamento filosofico (Cosa leggere? Il testo nella sua integralità? Una raccolta antologica? Passi scelti di un solo autore o di vari autori? E con quale criterio adottare la selezione?) e cerca di offrire, in riferimento alle proposte programmatiche elaborate dalla Commissione Brocca, «una sorta di scheda-guida orientativa alla lettura e all’analisi del testo filosofico, da cui partire per poi organizzare il lavoro, sviluppare il dibattito, far scaturire il dialogo e la riflessione produttiva». La griglia si compone di dodici punti, ognuno dei quali risponde ad un obiettivo didattico-operativo. R.L. DIDATTICA 77 DIDATTICA 78 STUDIO STUDIO Le ‘Meditationes’ di Descartes Lo studio di Georges Dicker, DESCAR- TES . AN ANALYTICAL AND HISTORICAL INTRO- (Descartes. Un’introduzione analitica e storica, Oxford University Press, Oxford 1993), costituisce un’utile strumento di studio per tutti coloro che avvicinano per la prima volta le MEDITATIONES DE PRIMA PHILOSOPHIA di Descartes. DUCTION Il testo di Descartes più adottato in tutti i corsi di filosofia non è quello che egli scrisse appositamente, cioè i Principia Philosophiae, ma le Meditationes, in cui il filosofo ricerca il metodo che dalla certezza soggettiva conduca alla conoscenza oggettiva, passando attraverso il tentativo di dimostrare l’esistenza di Dio e l’indagine della natura del mondo materiale e delle sue relazioni con la mente umana. L’opera doveva essere una pubblicazione per dotti, ma la sua forma letteraria è stata da sempre più vicina alla sensibilità delle successive generazioni. Infatti il fascino e l’immediatezza comunicativa esercitato dal pensatore solitario che cerca, sprofondato nel dubbio, un punto d’appoggio a cui ancorare la fondazione della conoscenza umana è certamente maggiore di quello dei Principia, redatti secondo i dettami della pedagogia seicentesca. Il tentativo di alleviare le difficoltà, che l’arditezza delle argomentazioni delle Meditationes comporta per i neofiti, è probabilmente la ragione che ha spinto Georges Dicker a raccogliere in volume le sue lezioni. Scegliendo sostanziosi brani dall’opera di Descartes, Dicker li analizza passo passo seguendo un metodo che Descartes stesso approverebbe: divide il ragionamento in pezzi semplici e ne enumera le premesse, esemplificando in tal modo le cartesiane “regole del metodo”, evidenza, analisi, sintesi ed enumerazione e revisione; in questo si riassume il compito didattico, che l’autore stesso attribuisce a queste sue lezioni. Da rilevare tuttavia, tra i brani scelti da Dicker, la mancanza totale della quarta meditazione, dove il meditatoreDescartes analizza l’aporia classica del- la natura dell’errore, cioè come esso possa essere reale e che relazione abbia con il conoscere, aporia che Descartes risolve imputandola allo squilibrato rapporto tra la volontà illimitata e l’intelletto limitato e riducendola in tal modo ad una forma di privazione, come già Agostino aveva fatto per il peccato. Alla disanima testuale l’autore fa seguire un’attenta scelta di interpretazioni, partendo dai critici contemporanei di Descartes per giungere a quelli dei nostri giorni e infine alla propria. Ciò permette di rilevare anche in che misura il pensiero di Descartes sia stato recepito da altri pensatori, come questi lo abbiano chiarito, confutato, e quali delle sue idee siano divenute capisaldi nella storia della filosofia. Le riflessioni di Dicker sono meticolose, lucide e il suo stile espositivo chiaro e privo degli oscuri tecnicismi del gergo accademico. Tali caratteristiche rendono la sua introduzione a Descartes uno strumento accessibile a chiunque voglia affrontare questa pietra miliare della storia del pensiero occidentale. Tuttavia non sempre le osservazioni di Dicker sono pervicaci, come ad esempio quelle sul finalismo in fisica e sul dualismo. Nel primo caso, Dicker ritiene che il rifiuto di Descartes del teologismo della fisica aristotelica sia imputabile alla scelta dualistica e non all’opzione meccanicistica che riduce tutto a spazio e movimento. Nel secondo caso, sebbene riconosca che l’argomento cartesiano circa il dualismo intende dimostrare la concepibilità indipendente di res extensa e res cogitans, egli inferisce che l’indipendenza logica può comunque implicare la loro dipendenza causale. Dicker dimentica che per Descartes l’anima, che è pensiero, può esistere pura e separata dalla materia in qualche mondo possibile, mentre ciò non si dà per altre funzioni, come la digestione, che è inseparabile dall’esistenza dello stomaco o di organi simili. Quindi il campo delle possibilità logiche chiude quello delle possibilità causali e nega che la mente possa essere ridotta alla materia, rivelando la lontananza di Descartes dal materialismo. M.G. 77 Prospettive di ermeneutica universale La monografia di Werner Alexander, HERMENEUTICA GENERALIS. ZUR KONZEPTION UND ENTWICKLUNG DER ALLGEMEINEN VER STEHENSLEHRE IM XVII UND XVIII JAHRHUNDERT (Ermeneutica universale. Sulla concezione e lo sviluppo della teoria generale dell’interpretazione nel XVII e XVIII secolo, Metzler & Poeschel, Stuttgart 1993) offre al lettore la possibilità di documentarsi intorno ai primi progetti di ermeneutica universale. L’analisi dettagliata di alcune posizioni dell’epoca permette infatti di ricostruire lo sviluppo storico della teoria dell’interpretazione, seguendone l’evoluzione attraverso il successivo mutamento di metodi e obiettivi. Dal momento in cui, intorno alla prima metà del secolo XVII, emerse la consapevolezza che le regole dell’ermeneutica fin ad allora adottate in sede biblica potevano in realtà valere nei confronti di qualsiasi genere di testo, l’ermeneutica perse via via le proprie caratteristiche di disciplina specifica, per inoltrarsi in un cammino che l’avrebbe condotta sempre più prossima ad una dimensione filosofica vera e propria. Nel corso di tale processo di universalizzazione filosofica, l’ermeneutica si emancipò gradatamente da una considerazione prettamente tecnicometodologica sino a divenire struttura ontologica dell’esistenza umana, attraverso il punto di svolta rappresentato dagli scritti di Schleiermacher. Questi, infatti, postosi dinanzi all’esigenza di determinare “la portata e i principi del metodo”, elencò retrospettivamente quali punti programmatici - nel secondo discorso accademico Sul concetto di ermeneutica - l’esigenza di un’analisi della comprensione, l’elaborazione di una filosofia del linguaggio e l’esplorazione del rapporto interpretante-interpretato, con una consapevolezza crescente nei confronti di tematiche quali quella del circolo ermeneutico o dell’infinità del compito interpretativo. I progetti di ermeneutica universale antecedenti agli scritti di Schleiermacher sono ora oggetto dello studio di Werner Alexander, dedicato alla storia dell’ermeneutica nella sua vocazione filosofica, in cui vengono STUDIO ricostruiti i primi tentativi di una sistematizzazione autonoma della teoria dell’interpretazione e gli sforzi diretti a conquistare per essa uno spazio autonomo nel campo del sapere attraverso una definizione dei rapporti con le altre discipline. Frutto di un’analisi dettagliata, l’opera rende conto anche degli infaticabili studi che ormai da anni sono stati condotti in Germania intorno al tema. Valga per tutti il nome di Lutz Geldsetzer, cui spetta il merito di aver curato e dato alle stampe, fra gli altri, gli scritti di M. Flacius Illyricus, J. M. Chladenius e G. F. Meier, e le cui introduzioni rimangono ancora, insieme al saggio sull’ermeneutica, come autorevole testimonianza di un fine studio storico, critico e filologico. Alexander presenta nella sua opera un percorso guida relativo ai secoli considerati, inclinato particolarmente sul versante letterario e sviluppato sulle tracce di autori quali J. C. Dannhauer, J. Clauberg, C. Weise, J. H. Ernesti, H. von der Hardt, più noti e compresi anche nelle più recenti storie dell’ermeneutica per l’ampiezza e la portata delle rispettive teorie, J. M. Chladenius e G. F. Meier. In questo quadro, il primo riferimento al progetto di un’ermeneutica universale, già considerato del resto quale primo prospetto di un’ermeneutica filosofica da H. E. Jaeger, appartiene all’ Idea boni interpretis et malitiosi calumniatoris (1630) del teologo protestante J. C. Dannhauer; quest’opera rappresentò un punto di riferimento per l’intero XVIII secolo, ma venne in seguito dimenticata. Quale parte della logica, Dannhauer inserì l’ermeneutica nel trivium, accanto a retorica e grammatica - delle quali condivide l’universalità - e si occupò di riordinare scientificamente e conferire una sistemazione organica alle sparse regole dell’interpretazione sino ad allora tramandate. A questa stessa opera fece riferimento J. Clauberg, rendendola in una forma più agile. L’attenzione di Alexander è dedicata, in particolare, alla Logica Vetus et Nova (1654), nella quale Clauberg indaga anche intorno alla “ricerca del vero senso del discorso oscuro”. Rispetto alle posizioni di C. Weise e J. H. Ernesti, Alexander si sofferma in particolare ad esaminare gli aspetti pratico-applicativi dell’ermeneutica, mentre di H. von der Hardt focalizza da un lato l’aspetto che ne fa un antesignano di F. Schlegel nell’apertura alle lingue e alle letterature orientali, dall’altro la sensibilità pietistica e il fecondo innesto di motivi caratteristici della teoria dell’interpretazione pietistica in una ermeneutica non più sacra, bensì profana. Negli scritti più famosi di J. M. Chladenius e G. F. Meier, caratterizzati gli uni da un’estensione dell’ermeneutica anche al discorso orale e da un’attenzione precipua al versante letterario, gli altri dal riferimento originale all’arte dell’interpretazione come teoria della decifrazione dei segni, interessa soprattutto ad Alexander ricercare il ruolo riservato alla poesia, nell’ipotesi di un collegamento possibile fra teoria estetica emergente ed ermeneutica. N.C. Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher 78 RASSEGNA DELLE RIVISTE RASSEGNA DELLE RIVISTE a cura di Silvia Cecchi IL CANNOCCHIALE n. 2, maggio-agosto 1993 Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli in relazione al problema della fondazione dell’etica. ropea. Al rapporto tra teologia e logica, che caratterizza la filosofia di Melandri, si lega anche la riflessione del Circolo di Cracovia, a cui sono dedicati gli articoli della prima parte della rivista. STUDI DI ESTETICA Thomism and modern formal logic. Remarks on the Cracow Circle, di R. Puciato. Tema della rivista: “L’eredità di Marx”. La spinta della percezione verso il giudizio (Platone, Aristotele, Hume, Marx), di G. Traversa: sulla continuità che esiste tra platonismo, aristotelismo, scetticismo humeano e marxismo per quanto riguarda la convinzione che la percezione sensibile porti in sé il giudizio. Metafisica dell’illuminismo. Epicuro e Democrito nell’idealismo dialettico di Marx, di G. Cantarano: la dissertazione di laurea di Marx (Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro) non solo corregge in senso illuministico l’hegelismo alla luce del materialismo democriteo e dell’ateismo epicureo, ma dimostra soprattutto come la filosofia greca non possa essere compresa e valutata adeguatamente senza il contributo dei due pensatori. Intervista sul marxismo: intervista di G. Cantarano ad Agnes Heller. Una critica del materialismo storico. Gentile su Marx, di P. Serra: il materialismo storico nella prospettiva gentiliana; un interesse casuale, non politico, ma esclusivamente filosofico. Anno X, n. 6, 1992 Mucchi Editore, Modena On logical “relativism”, di J. M. Bochenski. Il presente fascicolo si lega ai precedenti numeri monografici, dedicati al tema della lettura, presentando gli appunti di alcune lezioni tenute da Luciano Anceschi su questa tematica. In continuità ideale con queste pagine, i prossimi numeri saranno dedicati al tema della mimesis e offriranno scritti di Bompaire, Flashar, Kapp, Reiff, Spariosu, Gebauer, Wulf, Koller. Ricerca sulla lettura, di L. Anceschi. “Purezza dell’estetico” e belle arti come linguaggio in Kant di L. Cozzoli: il rapporto tra bellezza libera e bellezza aderente e la presunta prevalenza, secondo le interpretazioni più recenti, della seconda sulla prima, è alla base di un supposto panestetismo kantiano di fatto sia per quanto riguarda la natura, che i prodotti di cultura. Presagi jenesi. Sui presupposti esteticofilosofici del romanticismo, di M. Macciantelli. Al di là di teologia e antropologia, di E. Scoditti: una lettura della filosofia sociale di Marx in una prospettiva di superamento del giusnaturalismo e della tradizione illuminismica. Il grottesco nell’indagine psicoanalitica, di G. Storchi: il grottesco è stato studiato come oggetto dell’estetica, mentre più raramente esso è stato anche considerato da un punto di vista psicologico. Sulla teologia della liberazione, di V. H. Gerhard. Friedrich Schlegel e il postmoderno, di A. Larcati. L’India confina con l’Italia, di B. Antomarini. I formalisti russi e l’arte del cinema di J. Bardos. La fondazione ultima dell’etica in Karl Otto Apel e gli esiti del confronto con il razionalismo critico, di P. Vasconi: una risposta critica alle obiezioni di Apel al razionalismo critico, da Popper a Albert, AXIOMATHES Anno IV, n. 2, settembre 1993 Il Poligrafo, Padova Il fascicolo si apre con un ricordo di Enzo Melandri (1926-1993), primo presidente del Centro Studi per la Filosofia Mitteleu79 Comparisons between scholastic logical tools and modern formal logic, di J. Salamucha. Neoscholasticism and the demands of modern science, di J. F. Drewnowski. Le parti e l’intero nella concezione di Aristotele (II), di L. Dappiano: dopo aver inquadrato in maniera generale l’holologia aristotelica in un articolo precedentemente apparso su questa rivista, l’autore analizza qui le caratteristiche delle parti, a partire da quelle concettuali. Robert Musil tra letteratura e filosofia, di M. Libardi: il pensiero di Musil in rapporto alla filosofia austriaca. Riflessioni sulla didattica della filosofia, di C. Tamaini. CRITERIO Anno X, numero unico, 1992 Considerazioni su ‘La coscienza liberale come coscienza della vita’ di B. Croce, di M. Corsi: ripresa dell’analisi sulla concezione liberale della vita in opposizione alle metafisiche della trascendenza, che negano all’individuo la sua spontaneità e la sua umanità. Croce, Collingwood and the Characterization of historical Knowledge, di B. Haddock: l’ambiguità dell’influenza di Croce sul pensiero e l’opera di Collingwood intorno alla delicata concezione della conoscenza storica definita in rapporto alla dimensione temporale dell’umana esperienza. RASSEGNA DELLE RIVISTE L’esperienza del conoscere: incontri tra il casuale e il necessario, di A. Agodi. L’ultimo meridionalista di G. Cotroneo: significativo ritratto della personalità e dell’opera di Francesco Compagna, illustre meridionalista che ha dato un volto nuovo al dibattito intorno alle questioni relative all’emigrazione, all’apparato amministrativo statale, al regionalismo e al mercato del lavoro, polemizzando con il “massimalismo liberista”. Albert Camus. Un mistico senza Dio, di A. Montano: indagine sulla radice del male e dell’ingiustizia, alla luce del tormentato rapporto di Camus con il Cristianesimo nella negazione del suo aspetto provvidenziale e nel rifiuto della dimensione sovrastorica dell’individuo. Grecità e “Germanicità”. Le lezioni universitarie di Heidegger sulla poesia di Hölderlin, di C. Jamme. Il senso della storia e la questione del giudizio nel pensiero di Alfredo Parente di R. Viti Cavaliere: riflessione sul senso della storia come manifestazione di eventi oggettivamente autonomi, ma anche espressione “dell’infinita creatività dello spirito” in costante dialogo con la soggettività che conosce. dibattito sulle riforme istituzionali dei giuspubblicisti tedeschi, attivi sia nell’ultimo periodo della Repubblica di Weimar, sia nel secondo dopoguerra. Variazioni in tema di processo, di S. Cotta. Kelsen, Ullmann e la ierocrazia, di F. de Aloysio. Una migrazione americana di Kant: la neutralità politica della giustizia e il valore della libertà, di M. C. Pievatolo: la riflessione su una filosofia politica moralmente neutra in Rawls e Larmore. Un criterio di giustificazione del diritto: la prospettiva ontofenomenologica di Sergio Cotta, di S. C. Sagnotti: recensione di S. Cotta: Il diritto nell’esistenza. Linee di ontofenomenologia giuridica (Giuffré, Milano 1991). La filosofia del diritto tra normativismo e metaetica secondo Gaetano Carcaterra, di S. C. Sagnotti: recensione di G. Carcaterra: Lezioni di filosofia del diritto. Norme giuridiche e valori etici (Bulzoni, Roma 1991-92). Il rapporto Croce-Gentile nella corrispondenza tra Croce e Prezzolini, di V. Regina. Storia e argomentaziome, di G. Furnari Luvarà: valorizzazione e presentazione del carattere della ragione storica che, posta a fondamento delle scienze umane, consente la scoperta della dimensione del verosimile in opposizione all’aspetto rigidamente dimostrativo delle proposizioni scientifiche. Due modelli di virtù: Aristotele e Kant, di I. Crispini. RIVISTA INTERNAZIONALE DI FILOSOFIA DEL DIRITTO Vol. LXX, luglio-settembre 1993 Giuffré Editore, Milano Validez pragmatica. Una discussion con A. G. Conte, di C. A. Cabrera. La componente plebiscitaria nella democrazia rappresentativa di Fraenkel, di L. Ciaurro: nell’attuale momento storico appare molto interessante una rilettura del Aspetti letterari nell’opera di Anselmo: le citazioni dei classici latini nelle ‘Epistole’, di F. Bertini. Le ‘Meditationes’ di Anselmo, di C. Leonardi: l’articolo si occupa delle tre Meditationes di Anselmo che, accanto alle 19 Orationes, non sono mai state oggetto di approfonditi esami. Se le Orationes hanno la struttura di un dialogo tra orante ed orato che assume in Anselmo la forma di un monologo dell’orante, le Meditationes hanno la forma di un colloquio con se stesso. Les florilèges à l’époque de Saint Anselme, di J. Hamesse. Création, péché et joie, di P. Gilbert: una riflessione sulle pagine del Proslogion dedicate al rapporto tra creazione e peccato e alla meditazione come attività che libera dal peccato ed unisce a Dio. A proposito del progetto europeo”Per la pace perpetua. Kant, un’idea dell’Europa”, B. Troncarelli: la presentazione dell’omonimo progetto a Roma (4 giugno 1993). “Aliquid quo nihil maius cogitari possit” counterpart of “homo mortuus”, di D. P. Henry. RIVISTA DI STORIA DELLA FILOSOFIA L’artefice e l’opera nelle pagine di Anselmo, di M. Parodi: nelle pagine del Proslogion e del Monologion viene analizzato il tema dell’arterfice in rapporto alla propria opera prima e dopo la sua realizzazione. Anno XLVIII, n. 3, 1993 Franco Angeli, Milano Anselm on the angels, di D. Luscombe. Relazioni, saggezza divina e principio di ragion sufficiente in Leibniz, di G. Giannetto. Una introduzione alla ‘Città del Sole’ di Tommaso Campanella, di S. Coppolino. celebre argomentazione anselmiana, mentre cruciale, nel nostro secolo, è la svolta impressa da Karl Barth che colloca il pensiero del filosofo all’interno di una “teologia del credente”. In Italia particolarmente significative sono state le interpretazioni fornite da Mario Dal Pra e da Sofia Vanni Rovighi. Tema della rivista: “Anselmo d’Aosta: logica e dottrina”. La rivista contiene studi inediti che analizzano i diversi aspetti dell’opera di Anselmo: lo stile dei suoi scritti nel contesto della letteratura del periodo, la logica del celeberrimo argomento ontologico e i contenuti della dottrina, le relazioni tra Anselmo ed altri autori a lui legati da analogie tematiche. Come sottolinea Maria Teresa Fumagalli nella Premessa, quella del primate di Canterbury è una figura sui generis nel panorama filosofico medievale: monaco amante della meditazione solitaria, più che alla tradizione filosofica pagana guardava ad Agostino e ai Padri; meditava e dialogava con gli allievi, più che impartire loro lezioni. Si tratta comunque di una figura di eccezionale levatura filosofica, soprattutto per quanto riguarda le sue competenze in campo logico, grammaticale e retorico. Tale eccezionalità viene rilevata, dopo un secolo di silenzio, da Guglielmo di Auxerre, che per primo cita l’argomento anselmiano del Proslogion. E’ tuttavia la filosofia moderna, da Cartesio ad Hegel, ad interessarsi profondamente alla 80 Anselm and the tradition of the Song of Songs, di E. A. Matter: il contributo di Anselmo alla storia dell’interpretazione della Bibbia. On the eve of nominalism: consignification in Anselm, di W. J. Courtenay. Verità e inerenza. Un’analisi del De Veritate anselmiano, di W. Cavini. Aspetti problematici dell’argomento modale di Anselmo, di S. Galvan: il rinnovato interesse logico per l’argomento ontologico anselmiano è legato anche agli enormi sviluppi che negli ultimi anni hanno caratterizzato la ricerca logica modale. In quest’ambito di studi è stato evidenziato come in Anselmo possano essere individuati due distinti argomenti per la dimostrazione dell’esistenza di Dio: il primo giunge all’esistenza dell’Essere Massimamente Perfetto a partire dal fatto che l’esistenza è una perfezione (Proslogion, cap. 2); il secondo, riformulato poi anche dallo stesso Leibniz, parte dal presupposto che l’Ente Massimamente Perfetto deve esistere necessariamente e non RASSEGNA DELLE RIVISTE contingentemente, perché un ente contingente è meno perfetto di uno che esiste per necessità (idem, cap. 3). Su quest’ultima forma dell’argomentazione anselmiana ha in particolare incentrato le sue analisi Hartshorne, studioso di logica modale. PARADOSSO Il fascicolo contiene i materiali più significativi presentati al convegno: “Le forme e il tempo nel pensiero di Georg Simmel” (Modena, 11-12 maggio 1990), con il contributo del Centro Culturale della Fondazione San Carlo di Modena. Lo scopo era quello di riflettere sull’intera produzione simmeliana a partire dal tema delle forme e della temporalità, tema che, pur in mancanza di una formulazione unitaria e definitiva, sottende a tutta la sua riflessione filosofica e sociologica. Si sottolinea in proposito come questo rinnovato interesse per il pensiero simmeliano si accompagni all’ edizione in ventiquattro volumi delle opere complete del filosofo, giunta al settimo volume. Questa iniziativa dovrebbe contribuire a dissolvere il pregiudizio secondo cui Simmel sarebbe da un lato un pensatore frammentario e impressionistico, attento ad aspetti secondari e superficiali della vita, dall’altro, in contrapposizione, un “classico” della sociologia, non proponibile per una lettura filosofica. n. 5, 1993 Pagus Editore, Treviso Il problema dello stile, di G. Simmel. Tema della rivista: “Forme del male”. Istantanee sub specie aeternitatis, di G. Simmel. Al-Ghazali ed Anselmo: elementi di confronto, di M. Campanini. Anselmo, Gilbert Crispin e l’uso della ratio nella polemica contro gli Ebrei, di G. Fioravanti. L’argomento del ‘Proslogion’ in alcuni autori del XIV secolo di O. Grassi: la discussione sull’argomento del Proslogion in Scoto, Ockham, Durando di S. Porziano ed altri autori del XIV sec. Filosofia moderna e problematica del male nelle ‘Untersuchungen über das Wesen der menschlichen Freiheit’ di Schelling, di G. Riconda: anche in quest’opera di Schelling troviamo la caratteristica costante del suo pensiero, cioè accompagnare l’esposizione teoretica personale con notazioni di storia della filosofia moderna, analizzata nell’ottica dell’Assoluto e dei suoi rapporti con il mondo. L’articolo si sofferma in particolare sulle riflessioni di Schelling riguardo all’opera di F. Schlegel: Über die Sprache und die Weisheit der Inder. Uno sguardo dal nulla, di S. Givone: una meditazione sul nichilismo di Leopardi. Cette chanson d’amour qui toujours recommence..., di A. Emo: vengono qui pubblicati alcuni frammenti del filosofo Andrea Emo. Il male, l’impossibilità della teodicea e il perdono, di L. Bottani: l’impossibilità della teodicea in relazione al male e alla sofferenza, la ricomposizione dell’infranto e il per-dono. Denaro o vita. Uno studio metaforologico sulla consistenza della filosofia di Georg Simmel, di H. Blumenberg: il saggio mette in luce l’unità profonda del pensiero di Simmel a partire dalle metafore di denaro e vita. RIVISTA ROSMINIANA Anno LXXXVII, n. 4, ottobre-dicembre 1993 Centro Int. Studi Rosminiani, Stresa Sull’ecclesiologia di Rosmini, di G. Campanini: durante gli ultimi anni si è assistito ad una ripresa dell’interesse per Rosmini, che ha riguardato anche la sua lezione teologica, all’interno della quale un aspetto importante è rappresentato dall’ecclesiologia. Proprio in essa troviamo alcune considerazione importanti sul ruolo del laicato all’interno della Chiesa, considerazioni che verranno riprese e sviluppate anche nel Concilio Vaticano II. Rosmini en langue française, di J. M. Trigeaud: nota bibliografica, premessa alla traduzione francese dell’ Introduzione alla Filosofia, di Rosmini (Bière, Bordeaux, 1992). Fede e giustificazione nel pensiero teologico di Rosmini, di E. Pederzani: il recupero della metafisica in Rosmini; l’idea dell’essere, rivelazione, grazia e fede. Il carteggio Moglia-Bonomelli, a cura di B. Perazzoli: il carteggio tra Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona (1831-1914) e Agostino Moglia, sacerdote e rosminiano (1829- 1898). Le cose che chiamano. Tempo e istituzioni in Simmel, di B. Accarino: una ricostruzione del tema della temporalità specifica nelle formazioni e nel significato sociale delle istituzioni. RIVISTA DI FILOSOFIA NEOSCOLASTICA Tempi e mondi possibili: arte, avventura, straniero in Georg Simmel, di R. Bodei. Questo fascicolo triplo della rivista è dedicato alla Metafisica di Aristotele, considerata da un punto di vista storico-interpretativo, storiografico, teoretico e contiene gli interventi al convegno tenutosi a Napoli, presso l’Istituto Suor Orsola Benincasa (46 ottobre 1993). La scelta di Aristotele e della Metafisica è stata determinata dalla necessità di riflettere su un pensiero che mantiene ancor oggi ampi spazi di riflessione ed interpretazione, rivestendo un ruolo centrale nella prospettiva teoretica odierna. Interessanti anche gli studi relativi all’interpretazione di Aristotele nella storia ed alla ricezione della sua opera principale anche in paesi considerati marginali dalla storiografia. La categoria del tempo in Simmel: una lettura sociologica, di A. Cavalli: le analisi simmeliane della temporalità in una prospettiva empirico-fenomenologica. Le antinomie dell’esistenza. Simmel e la filosofia della vita, di A. Dal Lago: testo tratto dalla monografia dell’autore dal titolo: Georg Simmel. Il conflitto della modernità (cap. V, Il Mulino, Bologna 1994). L’aporia del Male, di Proclo: alcuni frammenti tratti dai Commentari al Timeo di Proclo, a cura di M. Cacciari. Il confine delle forme. Dalla ‘Philosophie des Geldes’ alla Lebensanschauung, di F. Desideri: la tensione tra vita e forme nel continuo procedere della vita. AUT-AUT Accelerazione della vita moderna ed Erleben, di B. Nedelmann: il nesso tra accelerazione della vita e denaro in un progetto di sociologia politica di ispirazione simmeliana. n. 257, settembre-ottobre 1993 La Nuova Italia, Firenze Tema della rivista: “Georg Simmel. Le forme ed il tempo”. 81 Anno LXXXV, n. 2-4, aprile-dicembre 1993 Vita e Pensiero, Milano Struttura paradigmatica e dimensione epocale della Metafisica di Aristotele, di G. Reale: la Metafisica aristotelica rappresenta una pietra miliare nella storia del pensiero occidentale, perché presenta un’originalità teoretica che spesso è stata dimenticata dalle riletture che ne sono state date. Infatti la metafisica nasce presso i Greci essenzialmente come un approccio alla problematica dell’intero sia da un punto di vista RASSEGNA DELLE RIVISTE henologico, incentrato cioè sulla problematica dell’uno, sia da un punto di vista ontologico, centrato sulla problematica dell’essere. Aristotele riveste in quest’ottica un ruolo centrale, poiché sviluppa una metafisica intesa come scienza dell’essere in quanto essere, da cui deriverebbe il paradigma ontologico, mentre per i Greci prearistotelici prevalente era il paradigma henologico. Il Medioevo e l’età moderna hanno poi rafforzato questa prospettiva, consolidando l’idea dell’ontologia come unica forma di metafisica, idea cui sembra aderire lo stesso Heidegger quando parla dell’intera metafisica occidentale come “dimenticanza dell’essere”. In realtà l’autore nega proprio che in Aristotele ci sia un oblio totale del paradigma henologico. Semantizzazione dell’essere e principio di non contraddizione, di C. Vigna: una lettura del libro “gamma” della Metafisica come emblema di una filosofia che, pur essendo aperta all’Intero dell’essere, custodisce anche il frammento dell’Essere. L’analogia in Aristotele, di V. Melchiorre: il pensiero di Aristotele sull’analogia partecipa della tradizione matematica tipica di tutta la tradizione greca, per cui, quando lo Stagirita parla di analogia, lo fa in termini di proporzionalità. La ‘Metafisica’ di Aristotele: “onto-teologia” o “filosofia prima”?, di E. Berti: sull’interpretaziome critica di Heidegger della metafisica di Aristotele. In margine al concetto di forma nella ‘Metafisica’ di Aristotele, di M. Mignucci: l’articolo intende analizzare alcune tesi aristoteliche sulla dottrina della forma all’interno della sua filosofia, individuandone peso, senso e motivazioni in rapporto alla sua visione del mondo. La noesis noeseos e la sua posizione nella ‘Metafisica’ di Aristotele, di H. Krämer: la riflessione della teologia aristotelica sul nous. Attività di Dio e attività dell’uomo nella ‘Metafisica’ di Aristotele, di C. Natali: alcuni aspetti del confronto che Aristotele fa nella Metafisica tra l’attività di Dio e quella dell’uomo, prendendo le mosse da alcune considerazioni dell’Etica Nicomachea. La prosecuzione di spunti platonici nella ‘Metafisica’ aristotelica, di T. A. Szlezàk: vengono qui individuati alcuni problemi, spunti di riflessioni e soluzioni che possono costituire un possibile confronto tra Platone e Aristotele, alla ricerca di concordanze basate più che su contenuti dottrinari, su motivi di fondo e metodi. La dialettica e il suo ruolo nella ‘Metafisica’ di Aristotele, di C. Rossitto: gli ultimi sviluppi dell’esegesi aristotelica hanno escluso una netta separazione tra dialettica e filosofia, ammettendo una certa dialetticità di alcuni momenti della filosofia prima aristotelica. Tuttavia, apparentemente in contrasto con questa interpretazione, nella Metafisica il termine “dialettica” ricorre solo cinque volte; l’articolo analizza queste citazioni, sottolineando che, quando Aristotele parla di dialettica, si riferisce non alla propria teoria elaborata nei Topici, ma alla dialettica di Platone, coincidente appunto con la filosofia. La ‘Metafisica’ di Aristotele alla luce del trattato ‘De Mundo’, di A. P. Bos: prescindendo dalla questione della paternità del De Mundo, viene proposto un confronto tra questo trattato e la Metafisica sulla base di tre temi: il concetto di filosofia come liberazione; la noziome di dynamis divina, la dipendenza della natura da Dio. Rapporti tra la ‘Metafisica’ e la ‘Fisica’ di Aristotele, di L. Ruggiu: i rapporti tra la Metafisica e la Fisica sul piano dei contenuti ontologici, l’essere in quanto essere e l’essere in divenire, dei rispettivi statuti epistemologici e dei rispettivi principi. Rapporti tra la ‘Metasica’ e il ‘De Generatione et Corruptione’ di Aristotele, di M. Migliori: il rapporto tra fisica e metafisica aristotelica si fonda sul fatto che la fisica è in realtà un’ontologia del sensibile le cui affermazioni spesso si sovrappongono con quelle della metafisica. Il senso di “Gamma”. La strategia di Aristotele contro i presocratici in ‘Metafisica’ IV, di B. Cassin. Socrate nella ‘Metafisica’ di Aristotele, di G. Giannantoni. Percorsi significativi della ‘Metafisica’ di Aristotele nel Medioevo, di A. Ghisalberti. Hegel e la lettura logico-speculativa della ‘Metafisica’ di Aristotele, di V. Verra: l’approccio di Hegel alla Metafisica di Aristotele presenta alcune difficoltà esegetiche legate sia a problemi di ordine testuale, sia a problemi di carattere terminologico, soprattutto relativi all’uso del termine metafisica. L’edizione rinnovata della ‘Metafisica’ di Aristotele curata da Giovanni Reale e le ricerche metafisiche presso l’Università Cattolica, di A. Bausola. Aristotele ed aristotelismo all’Università Cattolica polacca di Lublino, di E. I. Zielinski. La ‘Metafisica’ di Aristotele in Polonia e in Russia nel ‘900, di M. Wesoly. Opere monografiche e miscellanee pubblicate nel XX secolo afferenti alla ‘Metafisica’ di Aristotele, di R. Radice. 82 PARADIGMI Anno IX, n. 33, settembre-dicembre 1993 Schena Editore, Brindisi Invarianti assiologiche, di M. Reale: una riflessione sulle invarianti assiologiche, cioè su quei valori fondamentali e fondanti che guidano l’uomo nella sua vita, tenendo presenti anche i contributi che sono venuti dalla storia della filosofia. Ideologia e ricerca pedagogica, di R. Laporta: attingendo a un ricco patrimonio storico di interpretazioni in merito, l’articolo analizza alcuni aspetti dell’ideologia necessari alla crescita della coscienza individuale e sociale e quindi significativi in una teoria dell’educazione. Dimostrazioni trascendentali, di I. Cubeddu: una lettura della quarta e ultima sezione del primo capitolo della seconda parte della Critica della ragion pura, sezione poco analizzata dagli studiosi di Kant. Il silenzio e il tacere tra segni e non segni, di A. Ponzio: prendendo spunto dalla distinzione tra “silenzio” e “tacere”, fornita da Bachtin, l’articolo analizza questi concetti alla luce della riflessione linguistica. Aspetti della teoria aristotelica delle parti e dell’intero, di R. Poli, L. Dappiano, M. Libardi: la differenza tra vita e morte formulata attraverso concetti mereologici, cioè relativi ad una teoria dell’intero e delle parti, di stampo aristotelico, di cui si dà qui una rapida disamina. Interrogazione filosofica e narrazione, di B. Coppola: una lettura filosofica dell’opera di Eliot sulla base, da un lato, del rifiuto di una rigida demarcazione stilistica tra arte e filosofia, aventi entrambe per oggetto un’interrogazione radicale sull’uomo, dall’altro, della consapevolezza che non è possibile neppure ridurre la teoresi filosofica alla pura espressività della letteratura; di qui il tentativo di una lettura di un testo narrativo che utilizzi categorie e concetti filosofici elaborati storicamente. Finitudine dell’uomo e ricerca della saggezza, di C. Cantillo: il convegno “Filosofia, etica e scienze dell’uomo” (Salerno, 11-13 novenbre 1992), dedicato alla figura di Abbagnano. La memoria e l’oblio, di L. Bottani: recensione di P. Rossi: Il passato, la memoria, l’oblio (Il Mulino, Bologna 1992) Didattica filosofica e coscienza contemporanea, di R. M. Calcaterra. La didattica della filosofia, di S. Cicatelli. RASSEGNA DELLE RIVISTE ITINERARI FILOSOFICI Anno III, n. 6/7, maggio-dicembre 1993 Soc. It. per la Ricerca Filosofica, Milano La trappola. La filosofia heideggeriana ed il nazionalsocialismo, di J. P. Faye. Tra parola filosofica e silenzio mistico, di P. D’Alessandro: in rapporto alla parola, da un punto di vista teoretico, il silenzio può essere definito come estasi; ad esso fanno riferimento non solo Heidegger, ma anche la tradizione mistica e teologica e soprattutto Schelling. Per un’antropologia della democrazia. Osservazioni sul mutamento sociale, di U. Fadini. Le esigenze della ragione, di M. Fortunato: una riflessione sull’opera di G. Rensi, La filosofia dell’assurdo (Adelphi, Milano 1991) ricostruire geneticamante la problematica dell’Aristotele logico, dialettico ed epistemologo. Il secondo volume di quest’opera, tuttavia, non è mai apparso, anche se negli anni successivi sono stati numerosi gli studi in merito da parte dell’autore, tanto che, da un punto di vista tematico, si può dire che il secondo volume sia ormai pronto. Questo saggio rappresenta appunto un capitolo di quest’opera non ancora pubblicata e, pur risalendo al 1973, mantiene ancora intatta la sua validità storiografica. REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN Tema della rivista: “Aristotele”. Per una filosofia del cinema: Gilles Deleuze, di F. Mazzocchi: la relazione tra cinema e riflessione filosofica in Deleuze, uno dei pochi pensatori che si è occupato di cinema in chiave teorica, mostra due importanti punti di riferimento teoretici, Bergson e Peirce. La pensée et le mot dans les ‘Réfutations sophistiques’, di M. Hecquet-Devienne: tra i tipi di procedimenti adottati nelle discussioni eristiche, secondo Aristotele la più importante è la confutazione apparente, a cui lo Stagirita dedica la parte più ampia delle Confutazione Sofistiche. Aristotele e noi, di R. De Monticelli: lettera aperta ad Enrico Berti sul suo libro Aristotele nel Novecento (Bari, Laterza, 1992). Division, définition et essence dans la science aristotélicienne, di R. Bolton. “In principio era il verbo, poi venne la conversazione: inediti di Andrea Emo tratti da Quaderni 1964-1981, a cura di R. Gasparotti. TEORIA Vol. XIII, n. 2, 1993 ETS, Pisa Questo numero della rivista presenta un unico saggio di V. Sainati dal titolo: Aristotele dalla Topica all’Analitica. L’intervento è un inedito risalente al quinquennio successivo al 1968, anno in cui comparve, presso la casa editrice Le Monnier di Firenze, il primo volume della Storia dell’Organon aristotelico, in cui Sainati mirava a La ‘Rhétorique’, la dialectique et les passions, di J. M. Cooper: nel II libro della Retorica Aristotele analizza numerose passioni ed emozioni non sufficientemente scandagliate dai commentatori da un punto di vista filosofico. n. 2, aprile-giugno 1993 PUF, Paris Le statut catégoriel des différences dans l’Organon, di D. Morrison: parlando di enigma a proposito dello statuto categoriale della differenza, l’articolo si sofferma sulle informaziani cruciali che possiamo trarre a questo proposito dalle Categorie e dai Topici. La non. contemporaneità di Bloch, di P. Ferri: a proposito dell’opera di E. Bloch, Eredità del nostro tempo (1935). Que fait le premier moteur d’Aristete?, di S. Broadie: la teologia nel libro L della Metafisica. REVUE PHILOSOPHIQUE DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER La nozione di Totalität nella lettura heideggeriana di Kant, di F. Cassinari: differenze tra Kant e Heidegger in relazione alla nozione di totalità, nozione che Heidegger rintraccia nella “Dialettica trascendentale” kantiana, mostrandone l’inadeguatezza da un punto di vista ontologico. Attualismo come nichilismo, di V. Vitiello: note sul saggio di F. S. Chesi, Gentile e Heidegger. Al di là del pensiero. La sémantique des termes généraux chez Aristote, di M. Mignucci: la rinuncia aristotelica alle forme platoniche apre diverse questioni, come ad esempio quello della referenza dei termini generali. La structure du qualitativisme aristotélicien, di V. P. Vizguine: l’articolo sottolinea l’aporeticità, l’incoerenza e la problematicità della nozione di qualità in Aristotele. Du troisième genre au cinquième corps. Notes sur la critique du ‘Timée’ de Platon dans le premier livre du traité ‘De l’âme’ d’Aristote, di R. Bodéüs. Aristote voit du rouge et entend un “Do”: combien se passe-t-il de choses? Remarques sur le ‘De anima’ II 7-8, di M. Burnyeat. Vol. 91, agosto 1993 Institut supérieur de philosophie Louvain La Neuve Les Grecs et la quête du divin, di A. Motte: attraverso un’analisi del valore della religione in rapporto alla natura, all’anima ed alla città, viene messo in evidenza un legame tra religione e filosofia tipico della cultura greca, legame che emblematicamente affiora nel rapporto mythos-logos che si instaura nella poesia. Amitié, attirance et amour chez Thomas d’Aquin, di J. McEvoy: l’articolo analizza l’essenza dell’amore e della carità nella Summa Theologiae. Vengono anche individuate le fonti di questi concetti in Agostino, Aristotele e lo Pseudo-Dionigi. L’originalità delle idee di Tommaso è dato dal ruolo attribuito all’amicizia, elemento di mediazione tra amore e carità. Raison critique ou raison herméneutique, di J. M. Aguirre Oraa: prendendo spunto dalla controversia tra Gadamer e Habermas, l’autore delinea le differenze tra ermeneutica e teoria critica. Tuttavia all’interno delle due teorie è possibile individuare punti di convergenza, come il valore accordato alla critica all’interno della ragione ermeneutica ed il carattere storico e limitato della ragione critica. Si pone comunque il problema di una fondazione critica della verità e del rapporto tra ragione pratica ed emancipazione umana. Aristote et l’éthologie , di J. L. Labarrière: nonostante Aristotele ignorasse il termine etologia, i libri VIII e IX della Storia degli animali, dedicati allo studio dei comportamenti degli animali nel loro ambiente, possono essere definiti come tali. Éléments pour une philosophie de l’enseignement de la philosophie, di H. Leonardy: la questione della legittimità di un corso di filosofia dell’insegnamento nella scuola superiore belga. Le rôle des nombres figurés dans la cosmologie pythagoricienne d’après Aristote, di B. Besnier: alcuni passaggi della Fisica e della Metafisica relativi alla cosmologia pitagorica. Une nouvelle étude sur le platonisme antique, di A. Neschke-Hentschke: recensione di H. Dörrie: Die geschichtlichen Wurzeln des Platonismus (Frommann- Holzboog Stuttgart 1987) 83 RASSEGNA DELLE RIVISTE REVUE DE MÉTAPHYSIQUE ET DE MORALE teorici dello storicismo assoluto ma anche delle sue difficoltà . Vol. 98, n. 3, luglio-settembre 1993 A. Colin, Paris Hegel en Italie au XX siècle, di L. Sichirollo. La tâche actuelle de la philosophie (1934), di E. Husserl: l’intervento di Husserl all’VIII Congresso Internazionale di Filosofia a Praga che ha rappresentato un passo importante sulla via della stesura della Crisi . Crises et révolutions scientifiques selon A. A. Cournot, di B. Saint-Sernin: l’espressione “rivoluzione scientifica” è stata resa popolare da Kuhn nel 1962. Tuttavia nel 1872 A. A. Cournot propone una teoria di rivoluzione scientifica che è stata poi completata da Kuhn. Etre, vivre, exister. Note sur le commencement de l’homme, di J. Y. Lacoste: una riflessione sull’inizio della vita dell’embrione umano. La catégorie naturelle ultime, di M. Espinoza: una riflessione sulla sostanza come categoria naturale ultima, indispensabile dal punto di vista scientifico e filosofico. Essa è l’oggetto della metafisica realistica. Suarez et le problème de la métaphysique, di F. Volpi: recensione di J. F. Courtine: Suarez et le système de la métaphysique (PUF, Paris 1990). Vers une herméneutique du soi: la voie courte et la voie longue, di J. Greisch: recensione di P. Ricoeur: Soi- même comme un autre (Ed. du Seuil, Paris 1989). ARCHIVES DE PHILOSOPHIE Vol. 56, n. 4, ottobre-dicembre 1993 Beauchesne, Paris Tema della rivista: “Filosofi in Italia” (I) Tommaso Campanella entre grammaire “monumentale” et grammaire générale, di C. Alunni: le ricerche di grammatica di Campanella caratterizzate da un tendenza alla scientificità. Diis Manibus ou Vico chez les morts, di B. Pinchard: la “bellezza” della morte secondo Vico. Le Marx actualiste de Gentile et son destin, di A. Tosel: secondo l’autore la filosofia italiana è stata l’unica in Europa ad essersi misurata con Marx attraverso il dibattito tra Labriola, da un lato, e Croce e Gentile dall’altro. E’ alla fine di questo confronto che nasce il neo-idealismo, che riforma l’idealismo di Hegel. La lettura attualista di Marx fornita da Gentile è emblematica dell’originalità degli esordi Philosophie et autobiographie chez Benedetto Croce, di M. Ciliberto: un’analisi del Contributo alla critica di me stesso di Croce, che pone il problema del rapporto tra opera e individuo, la relazione tra autobiografia e problema teoretico della conoscenza e della coscienza di sé. Le propre du discours. Le Christianisme et la pensée comme symptôme, di G. Dalmasso: la filosofia cristiana in Italia: neotomismo e Università Cattolica; la figura di Bontadini; lo spiritualismo. La connaissance objective comme valeur historique: le “néo-illuminisme” italien, di F. Minazzi e J. Petitot: Banfi, Preti, Geymonat nel panorama filosofico italiano ed europeo. Un autre comme soi même, di R. Bodei. Seguono il “Bollettino di letteratura hegeliana IX” e il “Bollettino di letteratura spinoizista XV”. ra politica si verifica un’antinomia a livello di legittimità dello Stato. Il tentativo di elaborare una politica sulla base della ragione si fonda in Kant anche sulla riflessione sul diritto e sulla storia. ‘Du droit de vie et de mort’. Liberté et appropriation de soi dans la politique de Rousseau, di J. P. Paccioni. Locke et la formation des concepts de la politique moderne, di J. F. Spitz: l’elaborazione del concetto di potere legislativo come arbitro permette di distinguere lo stato di natura dalla società civile. Tuttavia il concetto di potere legislativo non è scevro da ambiguità attraverso cui è possibile individuare la difficoltà nella costruzione degli strumenti concettuali della politica moderna. REVUE PHILOSOPIQUE DE LA FRANCE ET DE L’ÉTRANGER n. 3, luglio-settembre 1993 PUF, Paris Tema della rivista: “Epicuro; il formalismo”. Commentaire de la lettre d’Épicure à Ménécée, di J. Salem. LES ETUDES PHILOSOPHIQUES luglio-settembre 1993 PUF, Paris Tema della rivista: “Filosofia politica”. La fonction de la formule “la liberté est le discernement de la nécessité” dans la sphère de la praxis politique, di C. Axelos: l’analisi del concetto di libertà nella letteratura marxista. Gramsci et Hegel, di E. Buissière: tenendo presenti i recenti contributi di Del Noce, Losurdo e Racinaro sul ruolo di Hegel nella formazione del pensiero di Gramsci, l’articolo vuole ricostruire, a partire dai Quaderni dal carcere, l’immagine che Gramsci ha di Hegel, per chiarire il senso della filosofia della prassi. Religion naturelle et religion civile chez Rousseau, di F. de Buzon: sulla coerenza di alcune funzioni religiose in rapporto alle relazioni sociali. Viene analizzato il concetto di religione naturale, in rapporto alla teorizzazione giusnaturalistica, e l’originale passaggio rousseauiano alla religione civile. L’arbitraire du pouvoir. Au sujet d’une antinomie dans la fondation del l’état chez Kant, di J. E. Joos: nel momento in cui Kant tenta di assicurare la fondazione dello Stato sulla ragione, cioè di definire razionalmente la sua legittimità, nella sfe84 Les ambiguités du formalisme, di J. L. Gardies: il rapporto tra il carattere fonetico ed il ricorso agli ideogrammi della matematica greca, alla luce della formalizzazione della matematica moderna. J. B. S. P. Vol 24, n. 3, ottobre 1993 Università di Manchester, Manchester Tema della rivista: “L’altro, coscienza e valori”. An alternative husserlian account of the other, di K. Arp: Husserl e la questione del Leib nelle Meditazioni cartesiane Levinas, Sartre and understanding the other, di D. Jopling: le diversità di pensiero tra Sartre e Levinas sui temi di ontologia, etica, razionalità, relazione Sè-Altro. Relativamente alla comprensione psicologica vengono inoltre analizzate due questioni di ordine epistemologico e morale. Sartre and the long distance truck driver: the reflexivity of consciousness, di K. Wider: origini cartesiane di una delle più importanti affermazioni di Sartre in Essere e Nulla: «la coscienza è autocoscienza». L’articolo analizza la portata di questa affermazione in Sartre anche RASSEGNA DELLE RIVISTE attraverso l’analisi di Psicologia dell’immaginazione. Hermeneutics, language and science: Gadamer’s distinction between discursive and propositional language, di N. Davey. Are values independent entities? Scheler’s discussion of the relation between values and persons, di I. Moosa: il punto di vista di Scheler sullo statuto ontologico dei valori, prima del 1922: i valori hanno il ruolo di entità indipendenti? Viene infatti sottolineata la differenza tra questa posizione e quella che si evidenzierà negli anni successivi. Heidegger and Scheler - a dialogue -, di P. Gorevan: le valutazioni di Scheler dopo aver ricevuto e letto Essere e Tempo. “Measure” of time or “scansion” of time?, di A. Ales Bello: la dimensione del tempo nella prospettiva fenomenologica. Time and Kairos in the philosophy of Evanghelos Moutsopoulos, di D. D. Moukanos. Vol. XXXIII, n. 4, dicembre 1993 Fordham University, New York A dialectical encounter between MacIntyre and Lonergan on the thomistic understanding of rationality, di M. P. Maxwell. Schopenhauer’s style, di J. Snow: sulla relazione tra metodo di presentare le idee e le idee stesse di Schopenhauer, riguardo anche alla complementarietà dei due aspetti. The ends of metaphysics, di R. Kane: l’attacco alla metafisica che proviene da alcune correnti della filosofia contemporanea. Why “cantorian” arguments against the existence of God do not work, di G. Mar: le ricerche matematiche di Cantor sono guidate anche da riflessioni religiose relative alla natura del “transfinito”; queste riflessioni sono state di recente riprese da filosofi della religione contemporanei. Kierkegaard’s “Individual”, di A. Imbrosciano. A transcendental deduction of the categories without the categories, di J. Rosenthal: il problema della deduzione in Kant. PHENOMENOLOGICAL INQUIRY Vol. 17, ottobre 1993 The World Institute for Advanced Phenomenological Research and Learning Belmont, USA Phenomenology in East-central Europe and the Baltics, di J. S. Smith: vengono analizzati alcuni recenti testi critici sulla fenomenologia in Europa. Hume, conjectural history and the uniformity of human nature, di S. Evnine. Method and “kairic” intentionality, di E. A. Moutsopoulos. Propitious moments with greek ladies: Goethe’s Orestes and Ifhigenia, Faust and Helena, di W. Wittkowski. “Before the mellowing year”: Milton’s ‘Lycidas’ and the problem of the unpropitious moment, di H. Ross. Propitious moments in Tagore’s life and creations di S. Ray. Time and nature: Merleau-Ponty and Mead, di P. L. Bourgeois e S. B. Rosenthal. INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL QUARTERLY Some aspects of the philosophical work of Catharine Trotter, di M. Brandt Bolton: alcuni aspetti delle dottrine morali di Trotter, autrice legata alla figura di Locke. The dialogical dimension of the person in Mead: creativity and time, di L. Gordillo: a partire da Mind, Self and Society dello psicologo behaviorista George Herbert Mead, l’articolo delinea la teoria della persona dello studioso, cercando di mostrarne anche le insufficienze. Does the future exist?, di J. Brunning: l’analisi del tempo in Peirce. ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE FORSCHUNG Vol. 47, n. 4, ottobre-dicembre 1993 Klostermann Verlag, Frankfurt a/M Der blinde Fleck der Moral. Überlegungen im Anschluss an Nietzsches ‘Genealogie der Moral’, di B. Waldenfels: il rapporto tra natura e cultura nella morale di Nietzsche. Aristotles über die Rechtfertigung des Satzes vom Widerspruch, di C. Rapp: il libro gamma della Metafisica e la questione della contraddizione. Die innere Struktur der Zeit als ein Problem für die formale Logik, di G. Prauss. Das hermeneutische “als”. Heidegger über Vestehen und Auslegung, di A. Graeser: il problema dell’Essere e la questione del senso in Heidegger. Freedom and creativity, di A. Zvie BarOn: fenomenologia e dialettica del concetto di libertà. RECHTSPHILOSOPHISCHE HEFTE The voice of death in Africa, di J. Murungi. n. 2, 1993 Peter Lang, Frankfurt a/M JOURNAL OF THE HISTORY OF PHILOSOPHY Fichtes transzendentale Gerechtigkeitskonzeption, di H. G. von Manz: un’articolata analisi della teoria fichtiana della giustizia, del diritto, della moralità ed il rapporto con la politica. Vol. XXXI, n. 4, ottobre 1993 Washington University, St. Louis The role of scepticism in modern philosophy reconsidered, di R. H. Popkin: il ruolo dello scetticismo antico nelle argomentazioni e nelle controversie del XVII secolo. Animal souls metempsychosis and theodicy in seventeenth century english thought, di P. Harrison: il problema del rapporto tra uomo e animali nella filosofia moderna presenta tre diverse posizioni relative a precise concezioni della natura: la posizione meccanicistica cartesiana, quella altrettanto radicale del panpsichismo, che non individua differenze tra l’uomo e le altre creature della natura, e quella mediana, che fa capo alla scuola platonica di Cambridge. Ignoring the Demon? Spinoza’s way with doubt, di R. V. Mason: la risposta di Spinoza al dubbio cartesiano. 85 Ethische Prinzipien der Friedenssicherung, di V. Hösle: la riflessione di Friedrich von Weisäcker. Die Kunst der Differenzierung, di D. Buchwald: l’analisi del testo di Michael Walzers: Spheres of justice. A defence of pluralism and equality (Oxford, New York 1983). Der Kälteschock des Rechtsstaats. Die Gegner des Unrechtssystems haben Gerechtigkeit erwartet - was haben sie bekommen, di A. Zielcke. Gerechtigkeit im “Fall Stolpe”? Die Denkfigur des “Gefangenendilemmas” als Beitrag zur Versachlichung einer bisher vorwiegend politich geführten Debatte, di J. C. Joerden. Das positive Recht und seine Grenzen, di M. Pawlik: la riflessione politica nella ex DDR. dopo la caduta del muro. RASSEGNA DELLE RIVISTE Verantwortungszuweisung, Gafahrensteuerung und Verteilungsgerechtigkeit. Zielkonflikte bei der Akzessorietät des Strafrechts gegenüber anderen Rechtsgebieten, di K. Seelmann. Politik und Recht im Spannungsfeld von Geschichte und Norm, di V. Steenblock: il dibattito sul significato del diritto: Carl Schmitt e Vittorio Hösle. to tra etica e questione ambientale. Su questo tema è possibile un incontro interdisciplinare tra economia, sociologia, filosofia e politica. In quest’ottica la rivista propone tre interventi sulla qustione ambientale di D. Piacentino, economista, S. Scamuzzi, sociologo, e S. Dallavalle, autore di vari articoli sul pensiero ecologista. NUOVA CORRENTE (Anno XL, gennaio- Menschenrechte. Utopie eines Lebens in Gerechtigkeit?, di H. Folkers: diritti umani e fine del socialismo reale. giugno 1993, Tilgher, Genova) presenta un intervento sul pensiero di Deleuze (Carnaval: la cosmodicea di Deleuze, di F. Meni) e una recensione di S. Mele del volune di R. Bodei, Geometria delle passioni (Feltrinelli, Milano 1991) TOPOS INTERSEZIONI (Anno XIII, n. 3, dicem- n. 1, 1993 Pahl Rugenstein Verlag, Bonn bre 1993, Il Mulino, Bologna) presenta un articolo di G. Blasi dal titolo: Similia similibus gaudeant. Similarità e consenso nella filosofia di Francis Bacon, in cui viene definito l’atteggiamento di Bacone nei confronti della dottrina rinascimentale del consensus. Tema della rivista: “Weltgeschichte”. Das Zeitalter der Weltgeschichte, di H. H. Holz: l’analisi della filosofia della storia classica come alternativa alla filosofia della storia maturata dopo l’Illuminismo. Columbus 1492. Beginn einer neuen Weltordnung, di V. Bialas: la storia del mondo come storia della dominazione del mondo ha inizio con il viaggio di Colombo e l’adeguamento del mondo al modello cristiano-occidentale. Marx und die Geschichte des Totalitarismus, di D. Losurdo. Schicksal versus Geschichte, di A. Gedö: il ruolo di Spengler per la filosofia della storia del XX secolo. Proletarier aller Länder..., di G. Pala: le contraddizioni sociali ed economiche del capitalismo emergenti da un’autocoscienza internazionale del proletariato come classe. Zwei Savigny-Voten über Eduard Gans nebst Chronologie und Bibliographie, di H. Klenner e G. Oberkofler. TEOLOGIA (Anno XVIII, n. 3, settembre 1993, Glossa, Milano) presenta un articolo di A. Bertuletti dal titolo: Teoria etica ed ontologia ermeneutica nel pensiero di P. Ricoeur, in cui viene analizzata la più recente opera del filosofo francese, Soi même comme un autre (1990), che approfondisce e recupera l’ermeneutica di sé intesa come radicalizzazione di un progetto ermeneutico già tracciato fin dagli esordi del percorso teoretico di Ricoeur. NOTIZIE DI POLITEIA (Anno 9, n. 30, 1993) presenta, nella sezione “Discussioni”, una serie di interventi sul rappor- KAMEN’ (Anno III, n. 4, dicembre 1993) pubblica la traduzione della terza parte dei Frammenti di estetica di Gustav Spet, filosofo russo nato nel 1879 e morto nel 1940. Docente all’Università di Mosca e seguace di Husserl, contribuì a diffondere la fenomenologia in Russia. Ricordiamo che nel n. 2 (ottobre 1992) e nel n. 3 (maggio 1993) della rivista sono stati pubblicati la prima e la seconda parte della medesima opera. PROSPETTIVA PERSONA (Anno II, n. 4, Demian, Teramo) presenta un intervento di P. Ricoeur dal titolo: L’identità personale. Il self, testo di una relazione tenuta dal filosofo a Oxford nel 1992. Troviamo inoltre un articolo di G. Galeazzi su Il personalismo ermeneutico di Italo Mancini ed uno di V. Sorrentino su Verità e opinione in H. Arendt. PER LA FILOSOFIA (X Anno, n. 29, settembre-dicembre 1993, Massimo Editrice, Milano) presenta un fascicolo monografico dal titolo “Sacro e Religioso”. Il significato del sacro è uno dei temi maggiormente discussi del nostro tempo, ma tale discussione richiede preliminarmente una riflessione di ordine metodologico che pone al proprio centro il ruolo stesso dell’indagine filosofica. E’ in quest’ottica che si pongono alcuni degli interventi nella rivista, tendenti a individuare nel sacro una dimensione autonoma che deve essere indagata in modo qualitativamente diverso rispetto ad altri ambiti del sapere. Si segnalano inoltre una riflessione di D. A. Conci sulla fenomenologia della religione come via di approccio al sacro e un percorso esistenzialistico verso il sacro analizzato da G. Penzo e A. Capecci. 86 RAGION PRATICA (n. 1, Anabasi, Mila- no), presenta una parte monografica dedicata alla questione: “Che cos’è la ragion pratica?”, con interventi di M Barberis (La fondazione di regole ed i suoi limiti), E. Lecaldano (La ragione e l’etica), C. S. Nino (Breve nota sulla struttura del ragionamento giuridico), U. Pagano (E’ la razionalità economica ragionevole?), M. Taruffo (Ragione e processo: ipotesi di una correlazione), F. Viola (Ragion pratica e diritto naturale: una difesa analitica del giusnaturalismo), G. Zaccaria (Complessità della ragione giuridica), S. Zamagni (Razionalità pratica, etica, teoria economica). Nella sezione “Studi” troviamo i seguenti aritcoli: Decisionismo versus cognitivismo, di P. Becchi; Vico e la filosofia pratica: ragioni di attualità, di F. Botturi; Il diritto come sistema di garanzie, di L. Ferrajoli; Impegno e scelta. Saggio sulla razionalità dei progetti, di D. Gauthier; Fini e mezzi: un approccio ai diritti, di R. A. Guibourg. Nella sezione “Note” troviamo: Una ragionevole proposta di legalizzare la droga, di E. Diciotti; Controllo in Cassazione e giustificazione della decisione giudiziaria di B. Pastore. Per la sezione “Il caso” troviamo: Una nuova legge contro i neofascisti? Per una deontologia del giuristainterprete, di P. Chiassoni. FILOSOFIA E TEOLOGIA (Anno VII, n. 3, settembre-dicembre 1993, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli) è dedicata al tema: “Finitezza e questione di Dio”. Tra gli altri articoli segnaliamo: Il Dio di Malebranche. La metafisica tra ontologia e teologia, di E. Barone; Dalla differenza ontologica al paradosso dell’icona. Heidegger, Lévinas, Marion, di P. Burzio. NUOVA CIVILTA’ DELLE MACCHINE (Anno XI, n. 3-4/1993, Nuova Eri, Roma) presenta un fascicolo dal titolo: “Le scienze e i problemi della filosofia”, che contiene le relazioni presentate in occasione del convegno “Le scienze e i problemi della filosofia. Verso una nuova filosofia scientifica?” (Forlì, 24-26 marzo 1993). La questione di fondo è quella relativa al superamento della rivalità tra scienza e filosofia, paradigma dominante nella tradizione culturale occidentale, anche nel nostro secolo, in vista di una reale collaborazione tra questi due ambiti, soprattutto nel campo matematicofisico e biologico-medico. STUDI SCIACCHIANI (Vol. IX, n. 17-18, 1993, Edizioni dell’Arcipelago, Genova) presenta una serie di articoli dedicati al pensiero di Michele Federico Sciacca, tra cui L’umanesimo integrale di Sciacca, di G. Zen, e L’ontologia dinamica di Sciacca, di G. Marconi. NOVITÀ IN LIBRERIA AA.VV. Carrefour des littératures européennes. Penser l’Europe à ses frontières: géophilosophie de l’Europe. pref. D.Guénon e J.L. Nancy Ed de l’Aube, gennaio 1994 pp. 126, F 80 Si tratta degli atti di questa quarta edizione del convegno tenutosi a Strasburgo dal 7 al 10 novembre 1992, organizzato dalla Facoltà di Filosofia dell’università. Gli studiosi intervenuti si sono interrogati sull’origine dell’Europa. Si tratta di una giustapposizione di nazioni o al contrario del tentativo di liberarsi dell’identità nazionale? NOVITÀ IN LIBRERIA Bernstein, Richard La nuova costellazione Feltrinelli, gennaio 1994 pp. 416, L. 80.000 Il volume raccoglie dieci saggi pubblicati su riviste specializzate tra il 1986 e il 1990, parzialmente riscritti e dedicati allo stesso tema: le conseguenze e le debolezze etico-politiche del pensiero post-moderno (Heidegger, Derrida, Foucault, Rorty). AA.VV. L’Orient au miroir de la philosophie Pocket, gennaio 1994 s. pp., F 50 Si tratta di diversi testi che testimoniano come fu considerato l’Oriente a partire dal XVII secolo, come è stato utilizzato per i fini occidentali, come modello da assumere o da rifiutare. Si tratta di un’antologia che permette di capire la storia di un incontro intellettuale, la cui influenza si fa ancora sentire ai giorni nostri. Auroux, Sylvain La Logique des Idées Vrin Bellarmin, dicembre 1993 pp. 279, F 192 Tutte le storie di questa disciplina menzionano La logica di Port-Royal ma si interessano poco di quella che si chiama la logica classica che va dalla comparsa di Port-Royal (1662) fino ai lavori di Boole e De Morgan, cioè fino a metà del XIX secolo. Una rappresentazione realistica della logica classica a partire da un modello che ne permette la comprensione viene offerta da questo volume. AA.VV. Galileo ritrovato Franco Angeli, febbraio 1994 pp. 112, L. 22.000 Molto attuale appare oggi una rilettura dell’opera di Galileo alla luce delle posizioni che ha assunto la nuova scienza, la scienza postmoderna, a confronto con quelle della scienza moderna, che con lui è nata. Bachtin, M.M. Toward a Philosophy of the Act trad. e note di Vadim Liapunov University of Texas, dicembre 1993 pp. 128, $ 10 Recuperato nel 1972 in un archivio, questo testo è una delle opere più importanti di M.M. Bachtin, il grande filosofo russo, scritta tra il 1919 e il 1921. Bellet, Maurice La Seconde Humanité: de l’impasse majeure à ce que nous appelons l’économie Desclée De Brouwer, dicembre 1993 pp. 220, F 125 Il filosofo, autore di questo libro, riflette sul punto in cui si incontrano la filosofia, la psicoanalisi e la religone. Si interroga sulla situazione della società nel momento in cui il ruolo riservato all’economia si rivela equivoco. Baudrillard, Jean Le Miroir de la production ou l’illusion critique du metérialisme historique LGF, gennaio 1994 pp. 124, F 30 Citando dal testo: “uno spettro si aggira e minaccia l’immaginario rivoluzionario: è il fantasma della produzione. Alimenta da ogni parte un romaticismo sfrenato della produttività. Il pensiero critico del modo di produzione non riguarda il principio della produzione.” Questo è quanto sostiene l’autore, nel saggio scritto nel 1975. Benedetto, Croce La mia filosofia a cura di G. Galasso Adelphi, gennaio 1994 pp. 384, L. 24.000 Commissionata nel 1945 dall’editore Conctat di Londra, questa apologia ebbe una storia travagliata e non apparve mai, fino ad oggi, nella forma che l’autore aveva auspicato. La sua pubblicazione sarà perciò una preziosa occasione per verificare come Croce vedeva se stesso e come sapeva illuminare le innervature del suo pensiero. Behler, Ernst Studien zur Romantik und zur idealistischen Philosophie vol. II Schöhning, dicembre 1993 pp. 290, DM 88 Anche questo secondo volume, che come il primo (apparso nel 1988) raccoglie gli interventi di Behler sul Romanticismo e l’idealismo, copre un vasto spettro della storia del pensiero e dello spirito europei intorno al 1800. Benhabib, Seyla Selbst und Kontext. Geschlecht, Gemeinschaft und Postmoderne in der zeitgenössischen Ethik Suhrkamp, gennaio-febbraio 1994 pp. 300, DM 20,80 La posizione che viene qui presentata è un difesa radicale della teoria universalistica, che comprende anche i nuovi indirizzi filosofici. Ach, J.S. - Gaidt, A. (a cura di) Herausforderung der Bioethik Frommann-Holzboog gennaio-febbraio 1994 pp. 290, DM 80 Vengono presentati alcuni degli argomenti principali della bio-etica: la metaetica bio-etica, le applicazioni bio-etiche, le conseguenze della bio-etica. Agamben, Giorgio Stanze: parole et fantasme dans la culture occidentale Rivages, gennaio 1994 Angulvent, Anne-Laure Hobbes et la morale politique PUF, gennaio 1994 pp. 128, F 40 Hobbes si trova all’incrocio tra l’ambizione utopica, la prefigurazione del tentativo leibniziano, che ricerca il meglio possibile, e la filosofia classica, che cerca il bene supremo. Arndt, Andreas Dialektik und Reflexion. Zur Rekonstruktion des Vernunftbegriffs Meiner, gennaio-febbraio 1994 pp. 384, DM 86 Platone, va al di là del testo stesso: Callicolo, questo personaggio ambizioso, di tiranno politico messo in scena in Gorgia, è il pericolo più grande che abbia tentato di mettere in crisi l’opera di Platone. Negli ultimi anni abbiamo assistito al riaccendersi dell’interesse per la filosofia politica di Immanuel Kant. Questo volume, scritto da affermati ed autorevoli ma anche da giovani studiosi di Kant, spiega come il pensiero dei filosofi contemporanei sulla filosofia kantiana sia venuto diversificandosi e testimonia dell’eredità lasciata da Kant per quanto riguarda le teorie politiche ed etiche. Benoist, Jean-Marie Tyrannie du logos PUF, dicembre 1993 pp. 192, F 55 Non si tratta di fare il processo a Platone, ma di mostrarsi attenti all’insistenza di una teoria del desiderio, che anche all’interno del testo di Beiner, R. - Booth, W.J. (a cura di) Kant and Political Philosophy. The Contemporary Legacy Yale University, dicembre 1993 pp. 432, $ 43 87 Bloch, Ernst Tracce Garzanti, febbraio 1994 pp. 254, L. 25.000 Tracce è un’opera dalla genesi complessa, programmaticamente eccentrica, sospesa tra narrazione e riflessione filosofica; o meglio, rappresenta il frutto esemplare di quel “pensare anche affabulando” teorizzato dallo stesso autore. Apologhi, motti di spirito, proverbi, fiabe romantiche, leggende chassidiche e orientali, frammenti di dialoghi e conversazioni, vengono riletti, interpretati, trasfigurati. Böhme, Gernot Am Ende des Baconschen Zeitalters. Studien zur Wissenschaftsentwicklung Suhrkamp, dicembre 1993 pp. 480, DM 29,80 Attraverso gli studi sull’evoluzione della scienza, il riconoscimento delle sue prestazioni, il suo legame imprescindibile con la tecnica ed il riconoscimento delle particolarità di questo “sapere”, si giunge - da una parte - ad un atteggiamento di distanza rispetto alla scienza e - dall’altra - al riconoscimento e allo sviluppo di altre forme di sapere. Böhmer, Otto A. Sternstunden der Philosophie. Schlüßelerlebnisse großer Denker von Augustinus bis Popper C.H. Beck, dicembre 1993 pp. 250, DM 19,80 Si tratta di una raccolta delle trascrizioni delle trasmissioni radiofoniche tenute da Böhmer (tra l’altro alle reti WDR, SFB, NDR, Radio Bremen e Deuschlandfunk). Qui le trasmissioni radiofoniche diventano letteratura. Bonanate, Ugo Nascita di una religione Bollati Boringhieri, gennaio 1994 pp. 232, L. 30.000 Un laico, docente universitario di filosofia, affronta questioni di eccezionale rilievo in modo semplice, misurato e avvincente, lontano sia dai fervori dell’apologetica cattolica sia da quel risentimento anticlericale che fa velo alla comprensione del sacro e delle sue istituzioni. NOVITÀ IN LIBRERIA Borradori, Giovanna The American Philosopher. Conversations with Quine, Davidson, Nozick, Danto, Rorty, Cavell, Macintyre and Kuhm University of Chicago dicembre 1993 pp. 168, £ 15 In converasazioni informali, i partecipanti alla discussione commentano il sorgere della filosofia post-analitica in America ed i suoi rapporti con il pensiero europeo e con la tradizione del pragmatismo americano. Commentano anche l’evoluzione del loro pensiero e forniscono delle recensioni delle loro opere, in un continuo scambio di idee. Borsche, T. et al. (a cura di) Zeit und Zeichen W. Fink, gennaio-febbraio 1994 pp. 272, DM 78 Lo scopo dei simposi della Academie du Midi è di riunire il pensiero filosofico ed il paesaggio meridionale, non solo dal punto di vista spaziale. Dal lavoro dei primi due simposi, tenutisi a Lagrasse, nel sud della Francia, sulla lingua e la metafisica (1989) e su segno e tempo (1990) è nato questo volume. Boudoit, Pierre Nietzsche en miettes PUF, dicembre 1993 pp. 128, F 49 Zarathustra, gravato da un sistema di pensiero anteriore a Copernico, esalta la bellezza a condizione che sia un marmo, decidendosi per la morte violenta pur di non assistere alla sua trasformazione. Egli riduce la “parola non parola” da creatore ai soffi di un ectoplasma. Bouin, Jean Les Six livres de la République a cura di Gérard Mairet LGF, dicembre 1993 pp. 608, F 60 Si tratta di un’importante opera della tradizione filosofica occidentale: è il trattato apparso nel 1576, che ha preparato la venuta della modernità politica. Jean Bodin elabora il concettochiave di Stato moderno, la sovranità, a partire dal quale sarà rimodellato lo spazio teorico del pensiero politico. L’autore, che svolge anche l’attività di economista e teologo, sviluppa una moderna etica del mercato di capitali, pertendo dal rapporto tra lavoro e capitale nella società basata sulle leggi sociali di mercato. po di filosofi di questo paese, sono stati introdotti in università europee. Camhy, Daniela Childeren: Thinking and Philosophy. Proceeding of the 5th International Conference of Philosophy for Chidren in Graz. Das philosophische Denken von Kindern Academia, gennaio-febbraio 1994 pp. 452, DM 68 Brunner, R. - Deiters Fr.-J. (a cura di) Das Politische der Philosophie. Über die gesellschaftliche Verantwortung politischen Denkens Talheimer, gennaio-febbraio 1994 pp. 208, DM 28 Canziani, Guido - Zarka Yves C. (a cura di) L’interpretazione nei secoli XVI e XVII Franco Angeli, febbraio 1994 pp. 848, L. 90.000 Il volume raccoglie gli atti di un convegno internazionale nel quale storici della filosofia si sono riuniti per esaminare, in alcuni casi significativi, le forme e le funzioni argomentative che all’interpretare furono conferite nei primi secoli del pensiero moderno. Burckhardt, Jacob Lettere (1838-1896) Sellerio, gennaio 1994 pp. 295, L. 28.000 Questa scelta dell’epistolario di Burckhardt propone per la prima volta al lettore italiano una selezione rilevante del complesso monumentale (oltre duemila lettere) della corrispondenza del grande storico del Rinascimento italiano, comprendente il carteggio con Nietzsche. Bühler, A. (a cura di) Unzeitgemäße Hermeneutik. Verstehen und Interpretation im Denken der Aufklärung Klostermann, dicembre 1993 pp. 220, DM 68 L’ermeneutica dell’Illuminismo non è al passo con il tempo, perché nella sua insistenza sulla possibilità dell’obiettività ermeneutica e dello scopo di chiarificazione e nello svelamento delle intenzioni dell’autore, è in contraddizione con le correnti del pensiero ermeneutico del XX secolo, cioè con l’ermeneutica filosofica di Gadamer e Heidegger. Buican, Denis Biognoséologie: évolution et révolution de la connaissance Kimé, dicembre 1993 pp. 192, F 135 Quest’opera poggia su di una nuova teoria della conoscenza, elaborata dall’autore, la biognoseologia. Viene qui tracciato il quadro dell’evoluzione della conoscenza. Brogi, Stefano Il cerchio dell’universo Libertinismo, spinozismo e filosofia della natura in Boulainvilliers L. S. Olschki, gennaio 1994 pp. 322, L. 55.000 Uno spaccato dell’età della crisi della coscienza europea attraverso il pensiero di uno dei suoi inquieti protagonisti. Burnyeat, Miles (a cura di) Vlastos, Gregory. Socratic Studies Cambridge University gennaio-febbraio 1994 pp. 158, £ 10 Si tratta di un volume che va considerato insieme all’altro libro dello stesso autore, Socrates: Ironist an Moral Philosopher. Raccoglie quattro saggi che sono alla base della sua comprensione di Socrate, che vengono qui presentati in forma riveduta e corretta. Vengono esaminati il metodo di argomentazione investigativa ed il suo rigetto del sapere. Brüggemann, Ernst Die menschliche Person als Subjekt der Arbeit. Das ‘Prinzip des Vorgangs der Arbeit vor dem Kapital’ und seine Umsetzung in der heutigen Gesellschaft Schöningh, gennaio-febbraio 1994 pp. 451, DM 56 Butterworth, Charles E. et al. (a cura di) The Introduction of Arabic Philosophy into Europe Brill, dicembre 1993 pp. 180, FL 95 Si tratta di una raccolta di studi che descrivono come gli scritti di un filosofo arabo in particolare, o di un grup- Collobert, Catherine L’Etre du Parménide ou le Refus du temps Kimé, gennaio 1994 pp. 308, F 190 Dimostra come Parmenide abbia eliminato la dimensione temporale dal concetto di Essere, come l’Essere abbia cessato di significare divenire, cioè “essere nel tempo”. Comte-Sponville, André Je ne suis pas philosophe: Montaigne et la philosophie Champion, gennaio 1994 pp. 46, F 70 Montaigne scrive nei suoi Saggi: “io non sono un filosofo”. Questo testo vuole però dimostrare che Montaigne è filosofo, a modo suo, con la sua lucidità, senza illudersi sulla filosofia. Casati, Roberto - Varzi Achille C. Holes and other Superficialities MIT Press, gennaio-febbraio 1994 pp. 288, $ 44 Il volume studia i fenomeni di confine della metafisica, la geometria quotidiana e la teoria della percezione. Il libro si prefigge di rispondere a due domende: esistono i buchi e, se sì, che cosa sono? Gli autori propendono per la loro esistenza e si interrogano sulle conseguenze di questa ipotesi. Comte-Sponville, André Valeur et verité: études cyniques PUF, gennaio 1994 pp. 288, F 149 Il cinico si distingue perché egli tende a separare ciò che è legato da una gerarchia di ordini. Egli non si fa illusioni né sulla verità (che è senza valore intrinseco), né sui valori (che non hanno verità aggettiva), ma non rinuncia né all’una né agli altri. Cavalieri, Paola Singer, Peter (a cura di) The great Apes Project Equality beyond humanity Fourth Estate, gennaio 1993 pp. 312, £ 9.99 Illustri etologi, primatologi, biologi e filosofi morali contribuiscono a questo volume che offre argomenti per l’eguale considerazione degli interessi di esseri umani e altre specie appartenenti ai grandi antropoidi: scimpanzè, gorilla e orangutang. Tutti gli autori sottoscrivono una “Dichiarazione sui grandi antropoidi” che stabilisce per essi il diritto alla vita, la protezione della libertà individuale e la proibizione della tortura. E’ questo un primo importante passo per il superamento di una visione “specista” nell’ambito dell’etica. Conche, Marcel Le Fondament de la morale PUF, dicembre 1993 pp. 160, F 98 Le etiche consistono in deontologie particolari (del giornalista, del medico...) o, considerate filosoficamente come arti della felicità, dipendono dal sistema che le prende in considerazione. La la morale dei diritti dell’uomo può essere fondata a livello universale. Cavell, Marcia The Psychoanalytic Mind: from Freud to Philosophy Harvard University gennaio-febbraio 1994 pp. 288, $ 35.95 Quando gli psicoanalisti ed i filosofi parlano di significato, che cosa intendono? Parlano della stessa cosa? E qual’è il ruolo del “significato” nelle loro concezioni della mente? Nel suo libro, l’autrice svela le sottigliezze del concetto di significato che accomunano gli psicoanalisti ed i filosofi. 88 Chaptal, Jean De l’Industrie française a cura di Louis Bergeron Imp. national, dicembre 1993 Conrad, Elfriede Kants Logikvorlesungen als neuer Schlüssel zur Arkitektonik der Kritik der reinen Vernunft. Die Ausarbeitung der Gliederungsentwürfe in den Logikvorlesungen als Auseinandersetzung mit der Tradition Frommann-Holzboog gennaio-febbraio 1994 pp. 160, DM 68 Cossutta, Frédéric Le Scepticisme PUF, gennaio 1994 pp. 128, F 40 Il volume illustra come l’ispirazione scettica ha preso forma nell’antichità greca, conformemente all’ideale greco della saggezza filosofica. Coursault, René L’Action a-t-elle une valeur morale? Maisonneuve et Larose dicembre 1993 pp. 123, F 98 NOVITÀ IN LIBRERIA L’esistenza di una coscienza morale è stata ricercata, nel corso della civilizzazione umana, attraverso le principali religioni e filosofie. In questa fine secolo, nel momento in cui la civiltà occidentale ha subito diverse crisi che hanno scosso i fondamenti della morale tradizionale. Per l’autore è importante fare il punto della situazione. Craig, W.L. - Smith, Qu. Theism, Atheism and Big Bang Cosmology Clarendon Press, dicembre 1993 pp. 360, £ 35 Il volume presenta due punti di vista contrapposti, rappresentati da due filosofi che si interrogano sul fenomeno del Big Bang. Si trattò di un evento creato da Dio o successe senza un motivo? La discussione si basa sulla teoria della relatività di Einstein e comprende anche la cosmologia dei quanti, sviluppata di recente da Stephen Hawking. D’Arcais, Paolo Flores Il disincanto tradito Bollati Boringhieri, gennaio 1994 pp. 112, L. 15.000 Il disincanto tradito costituisce il manifesto filosofico-politico all’origine di “MicroMega”. Pubblicato sul secondo numero della rivista, quasi otto anni fa, sollevò un impegnato e polemico dibattito nella rivista stessa, con interventi di Vattimo, Veca, Rusconi, Giorello, Canfora, Esposito, Dal Lago. Il testo costituisce un progetto di filosofia dell’individuo libertario, in contrapposizione sia alle apologie acritiche dell’esistente che alle tradizionali risposte ideologiche della sinistra. Dahms, Hans-Joachim Positivismusstreit. Die Auseinandersetzungen der Frankfurter Schule mit dem logischen Positivismus, dem amerikanischen Pragmatismus und den kritischen Rationalismus Suhrkamp, dicembre 1993 pp. 240, DM 19,80 Delboeuf, Joseph Le Sommeil et les rêves: et autres textes, 1885 Fayard, gennaio 1994 s. pp., F 260 Delboeuf, uno spirito di impronta enciclopedica ed un brillante teorico ed ingenioso sperimentatore, difende - nei suoi scritti e tramite i suoi insegnamenti - fondandosi solo sull’osservazione e gli esperimenti, l’idea della psicologia come scienza naturale, indipendente dalla metafisica. Deschamps, Léger-Marie Oeuvres philosophiques a cura di Bernard Delhaume Vrin, gennaio 1994 pp. 692, F 300 Diderot scriveva a Sophie Volland, nel 1769: “Un monaco, chiamato Deschamps, mi ha fatto leggere una delle opere più violente e più originali che io conosca. In cui si sostiene che la specie umana sarà infelice fin- ché ci saranno i re ed i preti, i magistrati, le leggi, le parole dei vizi e del piacere. Giudicate voi quanto possa avermi fatto piacere quest’opera.” limiti delle sue forze. Questo è il motivo per cui le parole di chi parla della sua sconfitta cadono nel vuoto e nella pura apparenza: la scrittura di W. Benjamin ha aperto la scrittura a nuove possibilità. Dinzelbacher, P. (a cura di) Europäische Mentalitätsgeschichte. Ihre Hauptthemen in Einzeldarstellungen Kröner, gennaio-febbraio 1994 pp. 600, DM 42 Le diciotto presentazioni dettagliate seguono delle idee comuni e condivise ed i loro cambiamento in fondamenti della vita umana: il rapporto corpo-anima, la durata della vita, la sessualità e l’amore, le paure e le speranze, la morte, la proprietà del singolo e degli altri, lavoro e vacanza, la religiosità, la comunicazione, l’ambiente e la natura, lo spazio, il tempo e la storia ed altri temi. Dumont, Louis Saggi sull’individualismo Adelphi, gennaio 1994 pp. 368, L. 60.000 Individuo, individualismo: parole ovvie a prima vista; ma se le analizziamo, seguendo Dumont, ci accorgiamo che è vero il contrario: queste categorie sono una assoluta singolarità, nella storia del mondo, un’eccezione che si è manifestata molto recentemente e che si oppone a tutte le altre forme di società, siano tribù o imperi. Duns Scot, John L’Image a cura di Gérard Sondag Vrin, gennaio 1994 pp. 269, F 210 Questa traduzione commentata dell’opera De l’image di Duns Scot contiene la sua psicologia della conoscenza. La psicologia di Scot tentava di coniugare la natura intellettuale e quella materiale per produrre un effetto comune che è uno ed indivisibile. G. Sondag, riprendendo gli aspetti di questa teoria, riunisce la filosofia dello spirito alle scienze sperimentali della cognizione. Dinzelbacher, Peter Christliche Mystik im Abendland. Ihre Geschichte von den Anfängen bis zum Ende des Mittelalters Schöningh, dicembre 1993 pp. 400, DM 78 Dinzelbacher, un pensatore libero da ogni punto di vista troppo limitato, si occupa di uno dei capitoli più affascinanti della storia dello spirito europeo. Dioguardi, Gianfranco Il museo dell’esistenza. Divagazioni intorno ai musei, alle città, alle imprese Sellerio, gennaio 1994 pp. 132, L. 25.000 In questo libro Dioguardi ha scelto come luogo in cui la complessità (tema centrale di tutti i suoi lavori) si possa mostrare il museo, quella struttura fisica in cui il passato è conservato in esempi all’esperienza umana, e che l’esperienza umana del presente continuamente riorganizza. Dupré, Louis Passage To Modernity. An Essay in Hermeneutics of Nature and Culture Yale University, dicembre 1993 pp. 320, $ 38 L’epoca moderna inizia con il Rinascimento e finisce con il post-moderno? In questo volume, un accreditato studioso confuta queste ipotesi. Non si tratta semplicemente di una critica, quanto di una ricerca dell’importanza, a livello filosofico, del passaggio da un’epoca ad un’altra. Douiller, Stéphane Philosophie, France, XIXe siècle: écrits et opuscules LGF, gennaio 1994 pp. 1016, F 70 Il volume contiene una serie di testi essenziali, sempre presentati nella loro versione integrale. Il testo è strutturato in capitoli tematici che riprendono i principali fili conduttori della riflessione del periodo in cui si inseriscono. Quest’opera di consultazione contiene anche dei cenni biografici sui principali filosofi francesi del XIX secolo. Earman,J. (a cura di) Philosophical Problems of the Internal and External Worlds. Essays Concerning the Philosophy of Adolf Grünbaum Univ.Konstanz, dicembre 1993 pp. 624, DM 128 Enders, Markus Das mystische Wissen bei Heinrich Seuse Schöningh, gennaio-febbraio 1994 pp. 350, SF 74.80 Questa tesi di laurea si occupa di due testi di Seuse, in particolare: Vita e Büchlein der ewigen Weisheit. Si tratta di una rilettura, in una prospettiva che sottolinea l’unità dell’uomo con la Trinità. Vengono evidenziati gli aspetti strutturali, contenutistici e letterari dell’opera. L’unità sperimentabile da parte dell’uomo con la coscienza di Dio omnicomprensiva e con il Figlio all’interno della Trinità è il tratto fondamentale di questa interpretazione. L’opera di Seuse può quindi essere inserita nel filone cristiano che si oc- Doyé, Sabine J.G. Fichte-Bibliographie 1968-1992/93 Editions Rodopi gennaio-febbraio 1994 pp. 383, FL 180 Dufour-El Maleh, Marie-Cécile La Nuit sauvée: Walter Benjamin et la pensée de l’histoire Oussia, dicembre 1993 pp. 180, F 95 Per salvare l’allegoria-scrittura dalla sua distruzione nel tempo omogeneo e vuoto, Benjamin è andato fino ai 89 cupa della Christförmigkeit (“la forma assunta da Cristo”). Fenves, Peter ’Chatter’. Language and History in Kierkegaard Stanford University gennaio-febbraio 1994 pp. 310, $ 42,50 Questo volume mostra che nelle “chiacchiere”, Kierkegaard scopre una modalità negativa specificatamente linguistica. L’autore esamina nei dettagli i lavori di Kierkegaard in cui egli tratta e discute sotto la minaccia, ma anche la promessa, della chiacchiera. Ferber, Rafael Philosophische Grundbegriffe. Eine Einführung C.H. Beck, gennaio-febbraio 1994 pp. 180, DM 19,80 Questo libro è un manuale ed una scuola di pensiero per gli studenti di filosofia e per i non conoscitori interessati alla filosofia. Fichte, Jihann Gottlieb La Querelle de l’athéisme: et divers textes sur l’athéisme Vrin, gennaio 1994 s. pp., F 180 L’accusa di ateismo, che costò a Fichte la sua cattedra all’univesità di Jena, concentra tutti gli anatemi attraverso i quali lo spirito calunnioso cercave di impedire l’azione ad un pensiero troppo libero, perché non potesse plasmare il suo secolo, fornendo un’immagine più forte e più coraggiosa dell’avvenire del mondo. Fuchs, E. - Jakobs, W. G. Schieche, W. (a cura di) J.G. Fichte in zeitgenössischen Rezensionen Frommann-Holzboog gennaio-febbraio 1994 pp. 1600, DM 2000 L’opera, in quattro volumi, presenta le principali recensioni dell’opera di Fichte, positive o negative che siano. Raccoglie anche recensioni di importanti personaggi, commentate anche da Fichte stesso. Gabel, Gernot U. Heidegger. Ein internationales Verzeichnis der Hochschulschriften 1930-1990 Ed. Gemini, gennaio-febbraio 1994 pp. 83, DM 22 Gadamer, Hans-Georg Elogio alla teoria Discorsi e saggi a cura di F. Volpi Guerini e Associati, gennaio 1994 pp. 130, L. 20.000 Un’appassionata riaffermazione del ruolo della filosofia in rapporto al pensiero scientifico contemporaneo. Gadamer, Hans-Georg L’inizio della filosofia occidentale Guerini e Associati, gennaio 1994 pp. 150, L. 26.000 L’inizio della filosofia occidentale un tema affascinante che da sempre NOVITÀ IN LIBRERIA ha impeganto la stessa filosofia e la storiografia filosofica - ci viene riproposto da un grande maestro del pensiero contemporaneo, che non ha mai cessato di dialogare con gli antichi per comprendere il mondo moderno e il suo destino. Gattung, Christiane Der Mensch als Glied der Unendlichkeit. Zur Antropologie von Spinoza Königshausen & Neumann dicembre 1993 pp. 182, DM 38 Gauthier, D. - Sugden, R. (a cura di) Rationality, Justice and the Social Contract. Themes from ‘Morals by Agreement’ University of Michigan dicembre 1993 pp. 192, $ 40 In questo volume, un gruppo di filosofi, economisti e teorici di politica discutono l’opera di Gauthier e si interrogano sulle possibilità e le limitazioni della visione contrattuale rispetto alle questini della giustizia. Gauthier, Yvon (a cura di) Le Dialogue humaniste: mélanges en l’honneur de Venant Cauchy Univers. de Montréal, gennaio 1994 pp. 192, F 110 Vengono trattati i temi dell’alterità, dell’amicizia, della solidarietà umana, dell’impegno sociale e morale del filosofo, della libertà, della diversità culturale e del rifiuto del dogmatismo. Gethmann-Siefert, Annemarie Ist die Kunst tot und zu Ende? Palm und Enke, dicembre 1993 pp. 30, DM 18 Giorello, Giulio Filosofia della scienza Jaca Book, gennaio 1994 pp. 220, L. 16.000 Giulio Giorello ci introduce alla filosofia della scienza, dalle premesse teoriche di definizione della disciplina al punto sul dibattito attuale. Goetz, Rose Destutt de Tracy: philosophie du language et science de l’homme Droz, gennaio 1994 pp. 456, F 315 L’originalità del sistema di A. Destutt de Tracy (1754-1836) si fonda sull’accostamento e la fusione tra le scienze morali e politiche e la filosofia del linguaggio. Granger, Gilles-Gaston (a cura di) L’Age de la science, n° 5; Philosophie de la logique et philosophie du langague: seconde partie O. Jacob, dicembre 1993 pp. 276, F 260 Una rassegna critica delle opere di filosofia che permette al lettore di orientarsi all’interno del pensiero filosofico moderno. Greisch, Jean Hermeneutik und Metaphysik. Eine Problemgeschichte W. Fink, dicembre 1993 pp. 220, DM 48 In una prospettiva storica, che prende in considerazione anche gli aspetti problematici, viene illustrata la storia dell’ermeneutica, dai suoi inizi precendenti la filosofia fino ai tempi nostri. Grazie ad un’ottica sistematica, vengono elaborati i criteri che permettono di rendere più positivi i rapporti che intercorrono tra l’ermeneutica e la metafisica. Si tratta di una raccolta di saggi su argomenti legati al realismo ed ai suoi concorrenti: la metafisica, la logica, la matematica, l’epistemologia. Anche se non si tratta di una raccolta storica, vengono discusse le idee di filosofi dal Medioevo fino ai giorni nostri, da Tomaso d’Aquino a Wittgenstein. Hamada, Junko Japanische Philosophie nach 1868 Brill, gennaio-febbraio 1994 pp. 280, FL 100 Hauser, Christian Selbstbewußtsein und personale Identität. Positionen und Aporien ihrer vorkantischen Geschichte. Locke, Leibniz, Hume und Tetens Frommann-Holzboog gennaio-febbraio 1994 pp. 230, DM 70 Grossheim, Michael Ludwig Klages und die Phänomenologie Akademie-Vlg gennaio-febbraio 1994 pp. 436, DM 74 Grun, Jürgen Zeitrichtung. Ein philosophischer Grenzgang Haag und Herchen gennaio-febbraio 1994 pp. 304, DM 48 Al centro di questa tesi di laurea c’è il tempo, non in senso tradizionale, ma così come viene considerato e descritto dalle diverse discipline scientifiche. Il lettore viene portato negli ambiti di confine tra scienze naturali e scienze dello spirito. Hegel, Georg Wilhelm Friedrich Leçons sur les preuves de l’existence de Dieu trad. di Jean-Marie Lardie Aubier, gennaio 1994 pp. 170, F 120 Queste lezioni documentano l’ultima evoluzione della filosofia di Hegel, ed in particolare il problema essenziale riguardante l’interpretazione del suo pensiero: il rapporto tra filosofia e religione. Si tratta dell’unico testo filosofico in cui il problema di Dio e tutte le sue implicazioni vengono individuati ed analizzati. Grundmann, Thomas Analytische Transzendentalphilosophie. Eine Kritik. Schöningh, dicembre 1993 pp. 320, DM 68 Grundmann analizza e valuta la posizione di Strawson ed illustra le posizione che si sono evidenziate nel corso del dibattito sollevato dalla filosofia trascendentale analitica. Hacking, Ian Il caso domato Theoria, febbraio 1994 pp. 336, L. 48.000 L’autore ci fa rivivere i momenti salienti della grande trasformazione che ha sollevato il caso dalla “superstizione popolare”, come sosteneva Hume, a strumento di spiegazione, previsione e controllo degli eventi fisici, bilogici e sociali. Haker, H. et al. (a cura di) Ethics of Human Genome Analysis. European Perspectives Attempo, dicembre 1993 pp. 300, DM 70 Studiosi di diverse discipline, provenienti da dieci nazioni europee, cercano di enucleare i problemi etici legati all’analisi del genoma, di considerarne le diverse applicazioni, di trovare delle soluzioni e di mostrare quali nuovi campi di ricerca potrebbe aprire quest’analisi. Hoffmann, D.M. (a cura di) Rudolf Steiner und das Nietzsche-Archiv. Briefe von R. Steiner, E. Förster-Nietzsche, F. Koegel C.G. Naumann, G. Naumann und E. Horneffer, 1894-1900 R. Steiner, dicembre 1993 pp. 304, DM 48 Quest’edizione, introdotta e commentata dal curatore, costituisce un volume documentaristico, in cui tutte le lettere rimaste, relative al complesso problema dell’archivio di Nietzsche, nel lascito di Rudolf Steiner vengono pubblicate per la prima volta. Hofmann, Hasso Gebot, Vertrag, Sitte. Die Urformen der Begründung von Rechtsverbindlichkeit Nomos, gennaio-febbraio 1994 pp. 49, s.p. Holzhey, H. - Leyvraz, J.P. (a cura di) Die Philosophie und das Böse. La philosophie et le mal Haupt, dicembre 1993 pp. 272, DM 76 Hengstenberg, Hans-E. Erkenntnis als Urphänomen. Thesen zur Evidenz und Erkenntniskreativität Röll, dicembre 1993 pp. 80, DM 24 Houdé, Olivier - Miéville, Denis (a cura di) Penséer logico-mathématique: nouveaux objets interdisciplinaires PUF, dicembre 1993 pp. 256, F 172 Il volume riunisce i contributi diversi, il cui obiettivo è di selezionare e rendere conto dell rinnovamento che si è avuto negli anni 70-90 all’interno dello studio del pensiero logico-matematico, riflettendo la molteplicità degli approcci attuali al problema, all’interno delle scienze della cognizione, nella logica, nella psicologia, nelle neuro-scienze cognitive, nella scienza dell’intelligenza artificiale... Hinske, N. et al. (a cura di) Der Aufbruch in den Kantianismus. Der Frühkantianismus an der Universität Jena 1785-1800 und seine Vorgeschichte Frommann-Holzboog gennaio-febbraio 1994 pp. 250, DM 84 90 Hiusman, Denis (a cura di) Dictionnaire des philosophes La struttura di questo dizionario corrisponde ad un’esigenza e ad un principio precisi: confrontare ogni filosofo con la sua vita (la biografia), collocarlo nel suo ruolo di pensatore (la problematica), sottoporlo al giudizio degli altri filosofi (bibliografia). Hein, Isolde - Heinekamp, Albert (a cura di) Leibniz und Europa Schlütersche, dicembre 1993 pp. 168, DM 59,80 Questo volume di fotografie ritrae la personalità molteplice del famoso studioso di Hannover, Gottfried Wilhelm Leibniz. Testimonia inoltre l’influsso del suo pensiero in Europa, dei suoi ideali, delle sue proposte di riforma e traccia un ritratto delle sue qualità geniali. Hennigfeld, Jochem Geschichte der Sprachphilosphie, Antike und Mittelalter de Gruyter, dicembre 1993 pp. 345, DM 178 Ecco alcuni degli argomenti e degli autori trattati: Eraclito, Parmenide, Platone, Aristotele, la stoa, Agostino, Anselmo di Canterbury, Tomaso d’Aquino, Meister Eckhart, Wilhelm von Ockham, Noklaus von Kues. Haldan, John et al. (a cura di) Reality, Representation and Project Oxford University gennaio-febbraio 1994 pp. 416, £ 40 Il volume ricostruisce le prime recensioni spontaneee alla pubblicazione della Critica della region pura, una delle tappe più stimolanti della storia della filosofia moderna. Honneth, A. (a cura di) Kommunitarismus. Eine Debatte über die moralischen Grundlagen moderner Gesellschaft Campus Vlg., gennaio-febbraio 1994 pp. 226, DM 39 Hülsen, C. Reinhard Recordatio rei entelatae. Zur Semantik anaphorischer Pronomina. Untersuchungen scholastischer und moderner Theorien Brill, dicembre 1993 pp. 480, FL 220 NOVITÀ IN LIBRERIA Hume, David Discours politiques trad. dall’inglese di F.Grandjean TER, gennaio 1994 pp. 260, F 169 Questi discorsi (scritti nel periodo 1752-1760) sono in realtà sedici saggi che trattano nella maggior parte dei casi di economia. E’ come filosofo che Hume si accosta all’economia, opponendo il suo naturalismo scettico ad ogni impresa metafisica che tende a trattenere lo sviluppo illimitato dell’attività. La traduzione qui presentata segue The Philosophical Works, edito da Green and Grose, Londra, 1882. Husserl, Edmund Notes sur Heidegger Minuit, gennaio 1994 pp. 152, F 180 Il volume contiene gli appunti che Husserl scrisse ai margini di Essere e tempo e di Kant e il problema della metafisica, la conferenza in cui prese posizione pubblicamente rispetto a Heidegger. Contiene anche le due prime versioni dell’articolo “Fenomenologia” dell’ Enciclopedia Britannica, che testimonia della collaborazione tra Heidegger e Husserl. Ivekovic, Rada Poulain, Jacques (a cura di) Europe, Indie, postmodernité. Actes/colloque de Céret, 15-22 septembre 1991 N. Blandin, gennaio 1994 pp. 372, F 200 Filosofi francesi, tedeschi e provenienti da diverse regioni dell’ex Jugoslavia, si sono incontrati a Céret in occasione di un convegno relativo ai rapporti tra le diverse filosofie. In questa occasione, è stata esplorata l’interazione tra filosofi indiani ed occidentali, nonché la loro reciproca permeabilità. Jacobson, Marcus Foundation of Neuroscience Plenum, dicembre 1993 pp. 374, $ 96 L’autore fornisce un contributo unico alla ricerca nel campo delle neuroscienze, tracciandone e discutendone la storia e la filosofia e quindi sviluppando un atteggiamento critico che integra tecniche, teoria ed etica. Il lavoro di Jacobson costituisce anche una cornice coerente, che è anche molto valida dal punto di vista umano, per le ricerche future in questo campo. Jaeschke, W. (a cura di) Religionsphilosophie und spekulative Theologie. Der Streit um die göttlichen Dinge 1799-1812 Meiner, gennaio-febbraio 1994 pp. 258, DM 86 Jaffro, Laurent Labrune, Monique (a cura di) Gradus philosophique. Un répertoire d’introductions méthodiques à une lecture des oeuvres Flammarion, gennaio 1994 pp. 750, F 60 Si tratta di una presentazione in ordine alfabetico di opere filosofiche. Per ogni filosofo, viene proposto un possibile itinerario di lettura e non un semplice riassunto dell’opera. Jesseph, Douglas M. Berkley’s Philosophy of Mathematics University of Chicago, dicembre 1993 pp. 384, $ 69 Il volume costituisce la prima affermazione critica autorevole dell’importanza della matematica nella filosofia di Berkley e di quella di Berkley stesso per la storia delle scienze matematiche: Jesseph fornisce anche una decisa rinterpretazione dell’opera di Berkely. Janke, Wolfgang Entgegensetzungen. Studien zu Fichte-Konfrontationen von Rousseau bis Kierkegaard Editions Rodopi gennaio.febbraio 1994 pp. 205, FL 50 Vengono trattati i seguenti argomenti: le modifiche apportate da Fichte allo stato di natura di Rousseau; il cammino tracciato da Humboldt verso la lingua ed i trattati di linguistica di Fichte; il giudizio tetico e la frase speculativa; la contemplazione estetica ed intellettuale; la religone e la mistica; il rifiuto del misticismo da parte di Fichte. Jubien, Michael Ontology, Modality and the Fallancy of Reference Cambridge Univ., dicembre 1993 pp. 224, £ 27.95 Questo volume si occupa della concezione di un oggetto fisico e di come i nomi delle cose siano collegati alle cose che denominano. Viene messa in discussione l’idea che le cose siano legate a ciò che denominano o che denotino ciò che denominano. Suggerisce invece che i nomi esprimono alcune caratteristice delle cose che denominano. Jankélévitch, Vladimir Penser la mort Liana Levi, gennaio 1994 pp. 160, F 98 Il volume raccoglie sei conversazioni, di cui alcune sono anche state pubblicate in alcune riviste, riguardanti delle questioni molto diverse come l’eutanasia, la bio-etica, il genocidio del popolo ebreo. Si tratta di temi essenziali, che servono da base a riflessioni filosofiche più ampie. Kant, Emmanuel Métaphisique des moeurs Vol. I: Fondation, Introduction Vol. II: Doctrine du droit, Doctrine de la vertu trad. di Alain Renaut Flammarion, gennaio 1994 pp. 538, F 83 Nel primo volume, viene sviluppato il principio supremo della morale, cioè la legge morale. Quest’opera è presentata in una nuova traduzione. Nel secondo volume, viene analizzata la morale: come esserne possessori senza intaccare la libertà altrui? Come ipotizzare un diritto dei popoli senza anarchia? L’orizzonte di Kant qui è più che mai quello della libertà, poiché la sola azione morale permette di affermarne la forza. Jànoska - Blondel - Kindle - Hofer Das Methodenkapitel von Karl Marx. Ein historischer und systematischer Kommentar Schwabe, gennaio-febbraio 1993 pp. 290, SF 65 Jaspers, Karl Philosophie I-III Philosophie I: Philosophische Weltorientierung Philosophie II: Existenzerhellung Philosophie III: Metaphysik Piper, gennaio-febbraio 1994 pp. 1056 Si tratta di una delle prime opere di Karl Jaspers, che viene per la prima volta pubblicata in edizione economica. Kaufmann, Matthias Begriffe, Sätze, Dinge. Referenz und Wahrheit bei Wilhelm von Ockham Brill, gennaio-febbraio 1994 pp. 240, FL 135 Jaspers, Karl Initiation à la méthode philosophique Payot, gennaio 1994 pp. 168, F 48 Jaspers (1883-1969), professore all’università di Heidelberg prima della guerra e poi a quella di Bâle dal 1947, è tra i filosofi di tendenza esistenzialista, quello che ha concepito il sistema più completo e più vicino alla metafisica. Questo testo ha, alla sua origine, una serie di trasmissioni radiofoniche. Keirkegaard, Soren Prefazioni. Lettura ricreativa per determinati ceti a seconda dell’ora Guerini e Associati, gennaio 1994 pp. 149, L. 22.000 Otto prefazioni a libri inesistenti: un divertissemet socratico che vuole sospendere il lettore sulla soglia di un testo che non si manifesterà per costringerlo alla domanda: che cos’è un libro? Kerstin, Wolfgang Wohlgeordnete Freiheit. Immanuel Kants Rechts und Staatsphilosophie Suhrkamp, dicembre 1993 s. pp., DM 34,80 Jeck, Udo R. Aristoteles contra Augustinum. Zur Frage nach dem Verhältnis von Zeit und Seele bei den antiken Aristoteskommentatoren im arabischen Aristotelismus und im 13. Jahrhundert Grüner, gennaio-febbraio 1993 pp. 521, DM 150 91 Kessler, H. (a cura di) Gestalt und Idee Die graue Edition gennaio-febbraio 1994 pp. 202, DM 34 La “Sokratisce Gesellschaft” presenta otto contributi, raccolti in questo volume, che conferiscono nuova luce alla complessità dell’ “enigma Socrate”. Particolare attenzione va riservata al lavoro di Hans-Georg Gadamer: Sokrates und das Göttliche. Kierkegaard, Soren La ripetizione Un esperimento psicologico di Costantin Costantius Guerini e Associati, gennaio 1994 pp. 189, L. 26.000 La prima edizione critica mondiale di una delle più importanti opere di Kierkegaard, nella quale il lettore troverà qualche cosa meno della filosofia, una storia d’amore; e qualcosa più, una smentita sonora di ogni metafisica. Kimmerle, H. - Mall, R.A. (a cura di) Philosophische Grundlagen der Interkulturalität Editions Rodopi gennaio-febbraio 1994 pp. 264, FL 85 Ecco alcuni dei temi trattati: il concetto, il contenuto, il metodo e l’ermeneutica della filosofia interculturale; approcci ad una filosofia interculturale; l’archeologia fenomenologica delle culture; i limiti della nostalgia e dell’ambiente straniero; il superamento dell’ethos della nostalgia. Kirk, Robert Raw Feeling. A Philosophical Account of the Essence of Consciousness Clarendon, gennaio-febbraio 1994 pp. 264, £ 27,50 Il volume offre un’analisi del problema della consapevolezza e suggerisce un nuovo approccio per la sua risoluzione. Utilizza l’espressioe raw feeling (“sentimento grezzo”) per colmare il gap tra la consapevolezza di noi stessi come organismo fisico e la nostra consapevolezza di noi stessi come soggetti di esperienza. Kleger, Heinz Der neue Ungehorsam. Widerstände und politische Verpflichtung in einer lernfähigen Demokratie Campus, dicembre 1993 pp. 480, DM 98 La moderna ribellione civile ha origine dall’esperienza della mancanza di capacità di risoluzione dei problemi da parte delle istituzioni politiche. Si pone quindi una domanda che ha un ruolo centrale nella filosofia politica: quale deve essere la base degli obblighi di obbedienza nei confronti delle decisioni che riguardano la collettività? NOVITÀ IN LIBRERIA Klotz, Christian Kants Widerlegung des problematischen Idealismus Vandenhoeck & Ruprecht dicembre 1993 pp. 136, DM 40 Il volume si propone di evidenziare in primo luogo il motivo della rivalutazione della problematica dello scetticismo, dal punto di vista della nuova discussione sullo scetticismo di Kant e quindi di discutere criticamente i tentativi argomentativi di Kant nei confronti dello scetticismo, inquadrandoli nel contesto problematico a cui appartengono. Koslowski, Peter Die Ordnung der Wirtschaft. Studien zur Praktischen Philosophie und Politschen Ökonomie Suhrkamp, gennaio-febbraio 1994 pp. 460, DM 98 Il volume fornisce una presentazione esaustiva del campo di interesse che si trova tra l’economia e la filosofia. Peter Koslowski apre nuove vie all’etica dell’economia e mostra come la filosofia possa essere applicata alla teoria della politica sociale, dello stato sociale, dell’economia della salute. Kremer-Mariette, Angèle Les Apories de l’action: essai d’une épistémologie de l’action morale et politique Kimé. dicembre 1993 pp. 248, F 190 Viviamo in città, in un coacervo di comunità che, dal punto di vista delle nostre azioni personali, sono in un rapporto di riferimento incrociato. L’azione cosciente di questa comunicazione nella permanenza di una comunità non è altro che l’azione morale o politica, di cui viene qui proposta un’epistemologia. Küng, Hans Große christliche Denker Piper, gennaio-febbraio 1994 pp. 288, DM 34 Hans Küng mostra l’evoluzione della teologia occidentale, sulla base del pensiero di sette grandi pensatori del Cristianesimo: Paolo, Origene, Agostino, Tomaso d’Aquino, Martin Lutero, Friederich Schleiermacher, Karl Barth. Kunzmann, Peter Vorentscheidung als personale Initiative Dettelbach, gennaio-febbraio 1994 pp. 197, DM 38 L’indagine segue la tradizione del concetto di decisione provvisoria e sancisce la sua importanza per l’antropologia, intesa come una scienza attenta ai moti personali. La Technique PUF, gennaio 1994 pp. 424, F 149 L’analisi del “fenomeno tecnica”, dimostra che la tecnofobia, insidiosa o esplicita, non è l’ultima parola di una filosofia realmente desiderosa di pensare il presente ed il nostro avvenire. Lamore, Charles Modernité et morale PUF, dicembre 1993 pp. 264, F 160 Non possiamo rifugiarci nelle certezze “pre-moderne”, né precipitare nell’abisso del post-moderno. Al contrario, bisogna accettare che la modernità costituisce l’orizzonte ineluttabile della nostra riflessione morale. Lenk, Hans Von Deutungen zur Wertungen. Eine Einführung in aktuelles Philosophieren Suhrkamp, dicembre 1993 pp. 260, DM 19,80 Fare filosofia significa continuare a pensare in modo costruttivo e critico su questioni e problematiche di grande rilievo, si tratta di un work in progress. Hans Lenk non si prefigge di presentare la filosofia in quanto disciplina tradizionale, ma di mettere “in movimento” il fare filosofia, proprio nel senso indicato. Laz, Jacques Bolzano critique de Kant pref.J. Bouveresse e M. Zarader Vrin, dicembre 1993 pp. 212, F 180 B. Bolzano (1781-1848) sta a Kant come Leibniz sta a Cartesio. Logico, rifiuta l’intuizionismo, oppone alla deduzione transcendentale una metadeduzione dei principi e sostituisce all’analitica kantiana un’analitica del senso. Questo libro costituisce una riabilitazione filosofica del più grande avversario dell’idealismo tedesco. Levinas, Emmanuel Peperzak, Adrian Etica come filosofia prima Guerini e Associati, gennaio 1994 pp. 185, L. 27.000 Con un commentatore d’eccezione, quattro saggi di Levinas sul primato dell’etica; un libro animato di straordinaria passione intellettuale e morale. Leibniz, Gottfried Wilhelm Protogaea a cura di J.-M. Barrande Univers.du Mirail-Toulouse dicembre 1993 pp. 250, F 112 Questo testo, scritto da Leibniz tra il 1690 ed il 1691, fu pubblicato in Germania nel 1749. Fino a questa edizione, non esisteva che una traduzione francese, del 1859. Questa traduzione è stata rivista e completata da delle note e da un’introduzione mostrando il contributo della Protogaea allo sviluppo delle scienze della natura. Lotman, Jurij M. Cercare la strada. I modelli della cultura Marsilio, febbraio 1994 pp. 144, L. 26.000 In questo volume, che può essere considerato il testamento spirituale di Jurij M. Lotman, l’autore indaga i processi esplosivi che sempre si alternano allo sviluppo graduale della cultura. La coesistenza di una pluralità di linguaggi, l’esigenza della loro traducibilità, la funzione della moda, della letteratura e l’importanza dell’arte come attività rivelatrice di nuove norme comunicative, sono i temi fondamentali di questo testo. Leibniz, Gottfried Wilhelm Discours de métaphysique; sur la liberté, le distin, la grâce de Dieu; Correspondance avec Arnauld a cura di Jean-Baptiste, Rauzy Pocket, dicembre 1993 pp. 306, F 36 Il discorso, partendo dalla nozione di Dio per andare verso il mondo fisico, contiene l’insieme dei pensieri di Leibniz in una forma concisa e rigorosa, commentata da Rauzy, un allievo della Scuola normale e professore aggregato di filosofia. Luckner, Andreas Genealogie der Zeit. Zu Herkunft und Umfang eines Rätsels. Dargestellt an Hegels Phänomenologie des Geistes Akad-Vlg. gennaio-febbraio 1994 pp. 252, DM 88 Maggiori, Robert La Philosophie au jour le jour Flammarion, gennaio 1994 pp. 508, F 180 Il volume raccoglie le cronache filosofiche di Maggiori, apparse nel supplemento letterario di “Libération”, in cui egli ci invita a scoprire un pensiero in perpetuo divenire. Leibniz, Gottfried Wilhelm Système nouveau de la nature et de la communication des substances: et autres textes a cura di Christiane Frémont Flammarion, gennaio 1994 pp. 350, F 43 Scritto direttamente in francese nel 1695 per il Journal des Savants, questo è il primo trattato completo di una filosofia che, per quanto cartesiana, si oppone a tutti i suoi predecessori. Tratta dell’unione tra anima e corpo, fondandosi sul concetto di sostanza e sul tema dell’armonia prestabilita. Malinowski, Grzegorz Many-valued Logics Clarendon, gennaio-febbraio 1994 pp. 144, £ 25 Il volume fornisce una facile esposizione degli argomenti legati alla multi-valutazione. Il libro rende un resonto anche delle costruzioni multivalutative fin dalla loro origine, per esempio, quelle ottenute tramite un’introduzione mirata dei valori logici vicini al vero o al falso. Leitner, Heinrich Systematische Topik. Methode und Argumentation in Kants kritischer Philosophie Königshausen u. Neumann gennaio-febbraio 1994 pp. 355, DM 68 Mann, Heinrich Nietzsche Il Saggiatore, gennaio 1994 pp. 96, L. 12.000 Scritto nel 1938 questo testo esegue 92 una difesa del pensiero di Nietzsche da un lato utiliristicamente usato nella propaganda nazista, dall’altro attaccato dagli intellettuali progressisti. Mann interpreta l’itinerario del filosofo alla luce del rapporto con Wagner, insistendo sulla critica alla cultura tedesca. Manstetten, Reiner Esse est Deus. Meister Eckerharts Versöhnung von Philosophie und Religion und ihre Ursprünge in der Tradition des Abendlandes Karl Alber, dicembre 1993 pp. 630, DM 158 Marciszewski, Witold Logic from a Rhetorical Point of View de Gruyter, gennaio-febbraio 1994 pp. 312, DM 154 Il libro tratta del feedback del pensiero e del linguaggio nell’argomentazione intelligente. Si tratta di un’analisi basata sul predicato logico, soprattutto sulle procedure dei predicati nominativi, sul concetto di inferenza e definizione, e su alcune idee dei programmi di logica del XVII secolo. Marcuse, Ludwig Philosophie des Unglücks. Pessimismus - ein Stadium der Reife Diogenes, gennaio-febbraio 1994 pp.256, DM 16,80 Marcuse, Ludwig Philosophie des Glücks von Hiob bis Freud Diogenes, gennaio-febbraio 1994 pp. 336, DM 19,80 Margolin, Jean-Claude Matton, Sylvain Alchimie et philosophie à la Renaissance: actes/colloque international de Tours, 4-7 décembre 1991 Vrin, dicembre 1993 pp. 478, F 270 L’originalità dei contributi a questo convegno consiste nell’aver presentato l’alchimia rinascimentale non come un tutto coerente, nella dimensione astorica di una scienza segreta, ma come un corpo teorico attraversato da una molteplicità di tendenze. Vengono studiate la rappresentazione dell’alchimia e la sua influenza presso i filosofi. Marx-Engels- Stiftung E.V. Bonn (a cura di) Marxistisches Menschenbild Eine Utopie? Beiträge des Kolloquiums am 17. und 18. Oktober 1992 pp. 192., DM 24 Matzker, Reiner Das Medium der Phänomenologie. Wahrnehmungs und erkenntnistheoretische Aspekte der Medientheorie und Filmgeschichte Fink, dicembre 1993 pp. 216, DM 48 Vengono sollevati e discussi i problemi umani toccati dalla fenomenologia: la solitudine umana, la ricerca di NOVITÀ IN LIBRERIA identità ed i rapporti umani. La sezione chiave del libro è costituita dalla relazione sugli studi esitenzialisti sul ruolo del cinema e dei media in JeanPaul Sartre e Merleau-Ponty. McCall, Storrs A Modell of the Universe. Space-time, Probability and Decision Clarendon, gennaio-febbraio 1994 pp. 336, £ 30 Il volume presenta una teoria filosofica originale della natura dell’Universo, basata su un nuovo modello della struttura spazio-temporale. Viene mostrato come il modello illumina un ampio spettro di soggetti, includendo la causazione, la probabilità, la meccanica dei quanti, l’identità, il libero arbitrio. Mercier-Josa, Solange Théorie allemande et pratique française de la liberté: de la philosophie à la politique ou au socialisme? L’Harmattan, dicembre 1993 pp. 393, F 190 Il merito di A. Ruge, sottolinea l’autore, specialista di filosofia tedesca del XIX secolo, è di aver messo in luce il carattere liberale dell’hegelismo. Si tratta di una lettura attenta del testo di Ruge, situandolo nel contesto del dibattito del 1843-44 tra il giovane Marx e gli hegeliani di sinistra. Mishra, R.K. (a cura di) On Self-organization. An Interdisciplinary Search for a Unifying Principle Springer, gennaio-febbraio 1994 pp. 297, DM 98 Questo libro analizza il ruolo dell’auotorganizzazione in un’ampia varietà di discipline, includendo la fisica, la chimica, la biologia, l’economia, la scienza sociale e politica. I contributi sono di scienziati di fama mondiale e di filosofi, ma sono di un livello accessibile a tutti. Nagel, Thomas Le Point de vue de nulle part Eclat, dicembre 1993 pp. 304, F 220 Come combinare la prospettiva di una persona particolare all’interno del mondo con un punto di vista oggettivo di questo stesso mondo che può includere anche la persona ed il suo punto di vista? E’ un problema che incontrano tutti gli esseri viventi che possiedono la capacità di trascendere il loro punto di vista particolare e di concepire il mondo come un tutt’uno. Oesterreich, Peter Lothar Philosophen als politische Lehrer. Beispiele öffentlichen Vernunftegebrauchs Wiss. Buchges gennaio-febbraio 1994 pp. 206, DM 39,80 Ogien, Ruwen La Faiblesse de la volonté PUF, dicembre 1993 pp. 352, F 198 In quali condizioni un agente razionale può scegliere la linee di azione, la cui utilità è inferiore alle altre, scegliere cioè il peggio quando è accessibile il meglio? Determinare i limiti psicologici della filosofia morale può condurre anche ad incontrare i limiti morali della psicologia. Naumann, Frank Erkenntnis zwischen Abbild und Konstruktion. Evolutionäre Erkenntnistheorie und genetische Epistemologie im Vergleich Kovac, gennaio-febbraio 1994 pp. 206, DM 79,80 Pacherie, Elisabeth Naturaliser l’intentionnalité: essai de philosophie de la psychologie PUF, dicembre 1993 pp. 320, F 198 L’intenzionalità è tradizionalmente considerata come il tratto distintivo della sfera mentale. Se ne può fare una teoria naturalista? Quali esigenze dovrà soddisfare una teoria di questo tipo? L’intenzionalità comporta, al contrario, una dimensione essenzialmente normativa? Nedo, M. Einführung/Introduction zu Ludwig Wittgenstein ’Wiener Ausgabe’ Springer, dicembre 1993 pp. 150, DM 20 Il volume, redatto in tedesco ed inglese, introduce alla lettura della ‘Wiener Ausgabe’, i cui manoscritti vengono riprodotti fedelmente per la prima volta. Il volume introduttivo chiarifica i criteri di edizione del testo ed offre anche del materiale e dei documenti di lavoro per lo studio delle opere di testi di Wittgenstein: una breve biografia mostra i legami tra vita e produzione. Pape, H. (a cura di) Kreativität und Logik. Charles S. Peirce und das philosophische Problem des Neuen Suhrkamp, gennaio-febbraio 1993 pp. 280, Dm 19,80 Tramite sedici contributi di logica, teoria scientifica e della coscienza, viene illustrato il rapporto di tensione tra l’esperienza di processi creativi e la costruzione programmata di sistemi formali della logica e della semiotica. Nerlich, Graham What Space-time Explains. Metaphysical Essays on Space and Time Cambridge University gennaio-febbraio 1994 pp. 320, £ 35 Raccoglie undici saggi sull’ontologia e la metodologia nello studio della curvatura variabile, ed in generale della relatività, del tempo e dello spazio. Most, Gl.W, - Petersmann, H. Ritter, A.M. (a cura di) Eusebia kai Philosophia. Festschrift für Albrecht Dihle zum 70. Geburtstag Vandenhoecke & Ruprecht dicembre 1993 pp. 528, DM 148 Si tratta di un’importante raccolta di saggi che illustrano degli aspetti fondamentali della storia della letteratura e della filosofia pagane, della vita e degli scritti dei primi Cristiani e delle influenze reciproche che paganesimo e Cristianesimo hanno avuto. Neumann, Rolf Natur, Geschichte und Verantwortung im ‘Nachmetaphysischen Vernunftdenken’ von Georg Picht M & P Verlag, dicembre 1993 pp. 340, DM 39,80 Mulligan, Kevin - Roth, Robert (a cura di) Regards sur Bentham et l’utilitarisme: actes/colloque de Genève, novembre 1990 Droz, dicembre 1993 pp. 128, F 125 Si tratta dei contributi su Jeremy Bentham (1748-1832), filosofo e giureconsulto britannico. La sua morale utilitaria si fonda sul calcolo del piacere rispetto al dolore. Oestermann, Rainer Die Freiheit des Individuums. Eine Rekonstruktion der Gesellschaftstheorie Wilhelm von Humboldts Campus, dicembre 1993 pp. 254, DM 48 Il contributo di W. von Humboldt si esprime in una teoria dello Stato fondata dal punto di vista antropologico, storico ed umanistico, che costituisce un contrappunto alla tradizione inglese. Peillon, Vincent La Tradition de l’esprit. Itineraires de Maurice Merleau-Ponty Grasset, gennaio 1994 pp. 294, F 125 A lungo l’opera e la vita di Maurice Merleau-Ponty sono state considerate come la versione accademica dell’opera e della vita di Sartre. Peillon, professore di filosofia alla Sorbona e all’Università di Princeton, vuole riparare a questa ingiustizia. MerleauPonty è nel programma dell’incontro di filosofia del 1994-95. Norton, David Fate The Cambridge Companion to Hume Cambridge University gennaio-febbraio 1994 pp. 448, £ 13 Discute tutti gli aspetti del lavoro di David Hume. Pieper, A. (a cura di) Die Gegenwart des Absurden. Studien zur Albert Camus Francke, gennaio-febbraio 1994 pp. 120, DM 36 Platone ’Philebus’. The Tragedy and Commedy of Life trad. di F. Bernardete University of Chicago dicembre 1993 pp. 264, DM 44 Benardete riesce ad unire un commento corposo che evidenzia ed illu- 93 mina le complessità di questo dialogo e la migliore traduzione in inglese del Filebolo. Platone La Rèpublique: du régime politique traduzione di Pierre Pachet Gallimard, dicembre 1993 s. pp., F 68 Questa traduzione mette in risalto la forza letteraria, romanzesca dell’opera. Essa rimanda ad un Platone senza platonismo, senza teoria delle idee, senza idealismo. Platone Du bonheur selon Socrate (Gorgias) trad. dal greco di Paul Chemia Arléea, gennaio 1994 pp. 158, F 95 In questo saggio compaiono i miti escatologici viene; anche celebrata l’uguaglianza, il fondamento della giustizia. Platone Théétète trad. dal greco di Michel Narcy Flammarion, gennaio 1994 pp. 348, F 48 Si tratta di un dialogo che propone tre risposte successive sulla scienza: è sensazione, opinione vera ed opinione vera accompagnata da definizione. Plotino Les Deux matières: Ennéades II, 4 trad. di Jean-Marc Narbonne Vrin, dicembre 1993 pp. 378, F 235 La materia, onnipresente nelle Enneadi, è senza dubbio una delle realtà di fronte a cui nascono le più grandi difficoltà del sistema metafisico di Plotino. Bisogna dire che è con la materia che si apre il gioco filosofico di Plotino e con essa Plotino è costantemente portato a mettere in crisi il suo sistema. Poland, Jeffrey Physicalism. The Philosopcal Foundation Clarendon, gennaio-febbraio 1994 pp. 392, £ 35 Si tratta di un’esplorazione del fisicalismo contemporaneo: la visione che ogni cosa è la manifestazione degli aspetti fisici dell’universo. Port, Kurt Philosophiosche Schriften. Vol. I: Wertphilosophie und Ethik Port Verlag, gennaio-febbraio 1994 pp. 604, DM 78 Si tratta dei primo di sei volumi di scritti filosofici. Portalès, Guy de Nietzsche en Italie Age d’homme, dicembre 1993 s. pp., F 120 Attraverso i viaggi ed i soggiorni di Nietzsche in Italia, G. de Portalès traccia il ritratto di un uomo che riuscì a decifrare, nella sua coerenza e nella sua unità, un’opera filosofica difficile da capire. Questo testo, già apparso in formato tascabile e qui ripreso, è NOVITÀ IN LIBRERIA accompagnato dai testi che esplicitano il percorso dell’autore e precisano il contesto in cui fu scritto il libro. Postman, Neil Technopoly. La resa della cultura alla tecnologia Bollati Boringhieri, gennaio 1994 pp. 191, L. 27.000 Il giudizio di Thamus. Dagli utensili alla tecnocrazia. Dalla tecnocrazia al tecnopolio. Il mondo improbabile. Il crollo delle difese. L’ideologia delle macchine: a) la tecnologia medica; b) la tecnologia del computer. Le tecnologie invisibili. Lo scientismo. Lo svuotamento dei grandi simboli. Pugnet, Jacques (a cura di) Sur la notion d’école scientifique et philosophique: essais épistémologiques Univer. d’Aix-Marseille gennaio 1994 pp. 212, F 130 Il volume esplora la concezione di scuola come raggruppamento di individui, rete di organizzazione di un campo disciplinario, al fine di determinare le condizioni di comparsa e di precisare ciò che permette la costituzione e di definirne le caratteristiche, di invetariare i mezzi e le strategie e di fare un repertorio delle diverse modalità. Rahn, Dieter Die Plastik und die Dinge. Zum Streit zwischen Philosophie und Kunst Rombach, gennaio-febbraio 1994 pp. 416, DM 76 Rahner, Mechthild ’Tout est neuf ici, tout è à recommencer...!?’ Die Rezeption des französischen Existentialismus im kulturellen Feld Westdeutschlands (1945-1949) Königshause & Neumann dicembre 1993 pp. 353, DM 78 Rapp, Fr.(a cura di) Neue Ethik der Technik? Philosophische Kontroversen Dt. Univ. Vlg., dicembre 1993 pp. 234, DM 45 Reale, Giovanni Storia della filosofia antica Jaca Book, gennaio 1994 pp. 80, L. 9.000 In questa prolusione si tracciano alcune linee essenziali che possono portare al recupero di quelle domande filosofiche di fondo che rimangono essenziali per chiunque voglia fare filosofia: il problema di filosofia e felicità, la questione della bellezza, i motivi dell’amicizia e dell’amore. Rebrenau, Mircea Der Sinn unseres Lebens: der Mensch als Prometheus und Kosmosherold R.G Fischer, gennaio-febbraio 1994 pp. 132, DM 18 Renan, Ernest Che cos’è una nazione? Donzelli, gennaio 1994 pp. 180, L. 32.000 Renan elabora l’idea elettiva di nazione nutrendola con il senso acutissimo della patria come identità culturale: un antidoto ancor oggi potente contro la virulenza delle degenerazioni tribali e al tempo stesso totalizzanti. te di andare a passeggio è un’istruzione gioiosa, con divagazioni e colti riferimenti su come ben condursi e proficuamente nella passeggiata, fragile esercizio etico-estetico. Schelling, F. Wilhelm Joseph ’Timaeus’ (1794). Ein Manuskript zu Platon a cura di Hartmut Buchner Frommann-Holzboog gennaio-febbraio 1994 pp. 180, DM 68 Il testo qui presentato per la prima volta fa parte del lascito berlinese di Schelling ed è lo scritto più importante. Contiene un’interpretazione conclusa di alcuni passi del Timoteo di Platone e di alcuni brani del Filebolo. Si tratta di un testo di cinquatasette pagine manoscritte. Rippe, Kalus Peter Ethischer Relativismus. Seine Grenzen, seine Geltung Schöningh, dicembre 1993 pp. 340, DM 78 Questo lavoro mostra che sia l’indottrinamento che l’indifferenza accademica poggiano su dei pregiudizi. Viene invece difeso un relativismo etico incondizionato ed illimitato. Scherzer, Johann Vademecum sive manuale philosophicum a cura di S. Maier-Oeser Frommann-Holzboog gennaio-febbraio 1994 pp. 957, DM 350 L’opera del professore di filosofia e teologia di Lipsia Johann Adam Scherzer (1628-1683) è un manuale di concetti filosofici ed un libro di testo insieme. Il vademecum è quindi sia una strumento utile per la comprensione del concetto di filosofia del XVII e XVIII secolo che una testimonianza caratteristica di quella fase della tarda metafisica scolastica. Rollinger, R.D. Meinong and Husserl on Abstraction and Universals. From Hume Studies I to Logical Investigations II Edition Rodopi gennaio-febbraio 1994 pp. 196, FL 65 Ecco alcuni degli argomenti trattati: contesto storico; Meinong on Abstraction and Universals (form Hume Studies I to Abstracting and Comparing); Husserl sulle astrazioni e gli universali (from Philosophy I to Logical Investigations II); conclusioni. Sandkühler, Hans Jörg (a cura di) Konstruktion und Realität. Wissenschaftsphilosophische Studien Peter Lang, febbraio 1994 pp. 196, DM 59 Il moderno dibattito tra i difensori della “realtà” o della “costruzione” non si esprime più la dove è nato, cioè all’interno dell’ontologia, ma attraverso i mezzi forniti dalla teoria della conoscenza. Gli studi presentati in questo volume non trattano di realtà o costruzione, ma di indagini filosofico-scientifiche che possono rivelare le scienze moderne delle forme di pensiero e di azione. In che modo le nostre esperienze e la nostra empiria sono teoriche ed in che misura la nostra realtà è il mondo delle nostre interpretazioni? Schink, Peter Kritik des Behaviourismus Kovac, dicembre 1993 pp. 394, DM 145 Schönberger, R. - Kible, B. Repertorium editierter Texte des Mittelalters aus dem Bereich der Philosophie und angrenzender Gebiete Akademie, gennaio-febbraio 1994 pp. 900, DM 220 Schönrich, Gerhard Bei Gelegenheit Diskurs. Von der Grenzen der Diskursethik und dem Preis der Letztbegründung Suhrkamp, gennaio-febbraio 1994 pp. 180, DM 16,80 Schönrich presenta le azioni più libere ed anche immorali di frante al problema dell’immanenza - si tratta cioè del problema del male - . Il concetto di libertà, reso più forte dalla possibilità di consenso di fronte ad un’argomentazione, produce una dinamica che diventa addiritrtura condizionante per il sistenma. Savater, Fernando Invito all’etica Sellerio, gennaio 1994 pp. 156, L. 22.000 L’autore si interroga su quelli che si chiamano i fondamenti dell’etica, in cui la persona umana è intesa come centro di volontà di scelta e di azione responsabile, in cui essa è assunta, in una parola, come personalità. Schopenhauer, Arthur Contre la philosophie universitaire trad. di Auguste Dietrich Rivages, gennaio 1994 pp. 160, F 59 Si tratta di un pamphlet contro la filosofia dominante allora da Schelling e Hegel, ma anche di una riflessione ponderata su una certa concezione della filosofia. Per Schopenhauer, il rigore del pensiero Schelle, Karl Gottlob L’arte di andare a passeggio Sellerio, gennaio 1994 pp. 190, L. 12.000 K.G. Schelle fu filosofo di quella corrente cosiddetta “filosofia popolare”, che godette di una certa diffusione e che polemizzava con gli speculativi e i metafisici in favore di un pensiero del vivere quotidiano. L’ar- 94 non può fare dei compromessi che nascono inevitabilmente dal tendere all’agiatezza. Schüssler, Ingrid (a cura di) Martin Heidegger: Hegel Klostermann, gennaio 1994 pp. 154, SF 39.20 Basterebbe citare un giudizio di Heidegger su Hegel, quale esemplificazione: “La negatività di Hegel non è tale, perché non intende seriamente negare né distruggere - egli ha già eliminato il No con il Sì.” Schwabe, K.-H. - Sant’Agostino (a cura di) Naturzweckmäßigkeit und ästhetische Kultur. Studien zu Kants Kritik der Urteilskraft Academia-Vlg., dicembre 1993 pp. 168, DM 489 Schweppenhäuser, Gerhard Ethik nach Auschwitz. Adornos negative Moralphilosophie Argument-Vlg., dicembre 1993 pp. 200, DM 25 Schweppenhäuser, Hermann Kierkegaards Angriff auf die Spekulation. Eine Verteidigung. Ed. Text und Kritik, dicembre 1993 pp. 220, DM 50 Lo studio dimostra la superiorità dialettica di Hegel rispetto a Kierkegaard. In Hegel, si manifesta l’elemento realistico del suo idealismo, di fronte al quale gli attacchi esistenzialisti di Kierkegaard devono confessare la loro impotenza idealista. Scmitz, Philipp Wohin treibt die Politik? Über die Notwendigkeit von Ethik Herder, gwennaio-febbraio 1994 pp. 280, DM 58 Seneca De la brevité de la vie trad. di Xavier Bordes Milles et une Nuits, gennaio 1994 pp. 63, F 10 Seneca cerca il modo per prolungare la vita umana, partendo dalla sua esperienza, e liberando l’esistenza di tutte le futilità che la ingombrano senza darle ulteriori ricchezze. Serres, Michel - Latour, Bruno Eclaircissements: cinq entretiens avec Bruno Latour Flammarion, gennaio 1994 pp. 299, F 48 M. Serres, con l’aiuto di B. Latour e sotto forma di conversazioni, rintraccia la formazione di Latour, il suo passaggio dalle scienze alla filosofia, spiega il suo metodo e colloca il suo pensiero nel panorama della riflessione contemporanea. Sève, Bernard La Question philosophique de l’existence de Dieu PUF, gennaio 1994 pp. 352, F 128 Le questioni dell’esistenza di Dio NOVITÀ IN LIBRERIA vengono qui analizzate nella loro struttura prettamente filosofica. Viene dimostrato che il problema della validità della prova dell’esistenza di Dio rimanda alla questione dei poteri della ragione. Simmel, Georg Das Individuum und die Freiheit. Essais S. Fischer, dicembre 1993 s. pp., DM 19,90 Il volume contiene i più importanti saggi del filosofo e sociologo Georg Simmel sulla libertà dell’individuo. Sipos, Joël Lacan et Descartes: la tentation métaphysique PUF, gennaio 1994 pp. 352, F 128 In Lacan il soggetto, l’altro e la lettera hanno ragione di esistere solo partendo dal “cogito” cartesiano. L’esame ed il confronto tra Lacan e la tentazione metafisica, partendo da uno studio dei testi che testimoniano l’evoluzione di questa tendenza. Sluga, Hans Heidegger’s Crisis. Philosophy and Politics in Nazi Germany Harvard University gennaio-febbraio 1994 pp. 320, $ 35.95 Il passato nazista di Martin Heidegger è noto. Sluga considera l’importanza della filosofia e di altri filosofi per la nascita e lo sviluppo del nazionalsocialismo. Offre anche un breve approfondimento dei rapporti tra filosofia e politica. Smith, George P. Bioethics and the Law. Medical, Socio-legal and Philosophical Directions for a Brave New World University Press of America gennaio-febbraio 1994 pp. 352, $ 50 Soetard, Michel (a cura di) Valeurs dans le stoïcisme: du portique à nos jours pref. di Maurice Schumann Univer. de Lille, gennaio 1994 pp. 304, F 150 In occasione della proclamazione, con il titolo di emerito, del decano Michel Spanneut, autore di una famosa tesi sullo stoicismo e sui Padri della Chiesa, i suoi colleghi, universitari e ricercatori, sia francesi che stranieri, hanno colaborato allo studio di un movimento di pensiero che travalica i limiti di un periodo storico preciso per costituirsi in una categoria del pensiero occidentale. la cibernetica si affiancano qui i fondamentali contributi di Simon, Samuel, McCarthy e Minsky, i fondatori dell’IA, l’intelligenza artificiale, che ne illustrano le prime realizzazioni e la portata nell’ambito dei problemi di filosofia della mente. Stein, Christian A. Regeln und Übereinstimmung. Zu einer Kontroverse in der neueren Wittgenstein-Forschung Centaurus-Vlgsgesellschaft dicembre 1993 pp. 170, DM 39,80 Souche-Dagues, Denise Le Développement de l’intentionalité dans la phénoménologie Husserlienne Vrin, dicembre 1993 pp. 306, F 198 ”Questo libro, che ha più di vent’anni, meriterebbe senz’altro un rimaneggiamento generale. Ma, come la tesi che viene qui presentata, sapendo che lo sviluppo di tutta la fenomenologia husserliana si opera sul terreno della rappresentatività, mi pare essere sempre valido, e non azzardo a ridire la stessa cosa”, così scrive l’autore nella seconda edizione. Sternberg, R.J - Wagner, R.K. The Mind in Context. Interactionist Perspectives on Human Intelligence Cambridge University gennaio-febbraio 1994 DM 14 Lo scopo del volume è fornire un legame tra il lavoro dei costruttivisti radicali, che propongono che tutte le cognizioni dependono dall’interazione con il mondo esterno e gli scienziati tradizionalisti, che sentono che la cognizione risiede nella mente. Soulez, Antonia (a cura di) L’architecte et le philosophe Mardaga, dicembre 1993 pp. 149, FF 165 La portata filosofica della nozione di “costruzione” costituisce l’oggetto di questo libro in cui autori di varia estrazione (tra cui N. Goodman e M. Lagueux) discutono, ripercorrendo il pensiero degli ultimi cento anni, delle relazioni possibili tra una filosofia che intende essere scientifica e le teorie delle forme espresse nei differenti domini dell’arte del nostro secolo. Spinoza, Baruch L’Ethique trad. dal latino di Roland Callois Gallimard, gennaio 1994 pp. 398, F 44,50 Il volume riprende l’edizione della Pléiade del testo scritto nel 1632 e nel 1677, che il filosofo ha finito di redarre poco prima della sua morte. Streminger, Gerhard David Hume. Sein Leben und sein Werk Schöningh, dicembre 1993 pp. 500, DM 1000 A Hume, l’importante filosofo scozzese, uno dei predecessori di Kant, viene dedicata una biografia degna del grande filosofo. La competenza di Streminger fornisce al lettore una sicura garanzia di esaustività. Terray, Emmanuel Une Passion allemande: Luther, Kant, Schiller, Hölderlin, Kleist Seuil, gennaio 1994 pp. 439, F 178 Uno studio dell’assoluto attraverso l’opera dei filosofi tedeschi che ci hanno portato a constatare che non possiamo vivere né con lui né senza lui. Riconoscere questa contraddizione significa accettarne gli effetti, questa è la vita che ci indica questa “passione tedesca”. Tesak-Gutmannsbauer, Gerhild Der’Wille zum Sinne’. Das Wahre, Gute und Schöne bei Albert Camus Kovac, dicembre 1993 pp. 126, DM 54 Tharakan, Jacob Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft. Zur Kantischen Arbeit an der Theorie des Übergangs von der Metaphysik zur Physik Franz Steiner gennaio-febbraio 1994 pp. 151, DM 56 Theis, Robert Untersuchung zur Entwicklung des theologischen Diskurses in Kants Schriften zur theoretischen Philosophie bis hin zum Erscheinen der Kritik der reinen Vernunft Frommann-Holzboorg gennaio-febbraio 1994 pp. 370, DM 135 ✂ Osservazioni ………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………… Suggerimenti Somenzi, Vittorio Cordeschi, Roberto La filosofia degli automi Bollati Boringhieri, febbraio 1994 pp. 376, L. 34.000 A trent’anni dalla prima edizione, la raccolta di saggi qui presentata vive una seconda giovinezza presso il pubblico dei lettori colti e degli studenti universitari. Ai saggi dei “padri” del- Stoecker, R.(a cura di) Reflecting Davidson. Donald Davidson Responding to an International Forum of Philosophers de Gruyter, dicembre 1993 pp. 193, DM 218 Si tratta dei contributi e delle relazioni presentate durante il convegno che si è svolto nel febbraio del ’91 nel Center for Interdisciplinary Research di Bielefeld. Le relazioni riguardano la maggior parte della filosofia di Davidson: la sua semantica, la filosofia della mente, la teoria dell’azione ed il suo recente lavoro su autorità di rilievo. Tanner, Klaus Der lange Schatten des Naturrechts. Eine fundamentalistische Untersuchung Kohlhammer, dicembre 1994 pp. 248, DM 54 ……………………………………………………………… ………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………… 95 NOVITÀ IN LIBRERIA Tiercelin, Claudine C.S. Peirce et le pragmatisme PUF, dicembre 1993 pp. 128, F 45 Il volume sviluppa tre caratteristiche del pragmatismo fondato da Peirce (1839-1914): metodo filosofico terapeutico di “manipolazione dei segni”, metodo scientifico di fissaggio delle convinzioni vere. In questo risiede la specificità del pragmatismo di Peirce, che impadisce di confonderlo con quello di William James o di John Dewey. Vandrepote, Pierre Max Stirner chez les Indiens pref. di Alain Jouffroy Rocher, gennaio 1994 pp. 204, F 120 Max Stir ner, filosofo tedesco contemporaneo di Marx, pubblica un libro incendiario nel 1844, L’Unique et sa propriété, nel quale egli processa gli ideali proposti dalle società feudali, borghesi, socialiste, comuniste. Vandrepote mostra come il pensiero di questo filosofo sia ancora nuovo, intatto e combattivo. Vattuone, Giuseppe Libero pensiero e servo arbitrio Ed. Scientif. It., febbraio 1994 pp. 132, L. 18.000 Verbeek, TH. (a cura di) Descartes et Regius Editions Rodopi gennaio-febbraio 1994 pp. 124, FL 40 Il secondo volume di questa nuova serie contiene le relazioni presentate durante il simposio su un pamphlet poco conosciuto di Cartesio, Notae in propgramma quoddam or Remarks on a Certain Broadsheet. Voegel, Eric - Schütz, Alfred Strauss, Leo - Gurwitsch, Aron (a cura di) Briefwechsel über ’Die Neue Wissenschaft der Politik’ Karl Alber, dicembre 1993 pp. 150, DM 48 Il volume è curato da Peter J. Opitz, in collaborazione con l’Eric-VoegelinArchiv dell’Università di Monaco. zioni di vita alla politica, passando per i media, e dal design fino alle scienze, l’arte e la filosofia estetica. Welsch, Wolfgang Unsere Postmoderne Moderne Akademie-Vlg, dicembre 1993 pp. 346, DM 29 Wetz, Franz Joseph Lebenswelt und Weltall. Hermeneutik der unabweislichen Fragen Günther Neske gennaio-febbraio 1994 pp. 432, DM 88 Wetz prospetta un’ermeneutica della moderna concezione del mondo e ritorna al compito originario della filosofia: interrogarsi sul tutto incommensurabile del mondo e stabilire l’importanza dell’uomo all’interno del mondo, così come indicare la responsabilità degli esseri umani nei confronti del mondo in cui vivono. Vogl, V. (a cura di) Gemeincshaften. Positionen zu einer Philosophien des Politischen Suhrkamp, dicembre 1993 pp. 320, DM 24,80 Attraverso una prospettiva diversificata e plurima - filosofica, storica, etnologica - viene evidenziata la possibilità di una riflessione politica libera dall’antitesi tra universalismo e particolarismo. Il volume contiene i contributi di Agamben, Clastres, Foucault, Loraux, Lyotard, Rancière, Vattimo, Zazek. White, Morton The Question of Free Will. A Holistic View Princenton University gennaio-febbraio 1994 $ 22.50 Il volume costituisce una nuova difesa della posizione secondo cui i filosofi possono credere nella libertà d’azione senza negare né accettare il determinismo. L’autore si concentra specificatamente su un’interpretazione di libertà di scelta personale. Waltz, Matthias Ordnung der Namen. Die Entstehung der Moderne: Rousseau, Proust, Sartre S. Fischer, dicembre 1993 pp.123, DM 29,90 Il volume di M. Waltz ricostruisce nei dettagli l’acceso dibattito sull’epoca moderna, sulla sua nascita, le sue particolarità e sul suo futuro in quanto nuovo inizio. Weingartner, P. (a cura di) Die Sprache in den Wissenschaften Karl Alber, dicembre 1993 pp. 300, DM 78 Wilkes, Kathleen Real people. Personal identity without thought experiments Claredon, gennaio 1994 pp. 249 Questo volume edito per la prima volta nel 1988, esce ora in versione paperback. Esso ha inaugurato in un modo o nell’altro le recenti discussioni sull’uso degli esperimenti mentali in filosofia, uso che Wilkes critica duramente: a differenza della scienza Welsch, W. (a cura di) Die Aktualität des Ästhetischen W. Fink, gennaio-febbraio 1994 pp. 300, DM 48 La questione dell’attualità e dell’attenzione per i risvolti estetici nella nostra vita viene discussa ed illustrata nei suoi diversi aspetti: dalle condi- ✂ Nome e cognome ……………………………………………………………… ndirizzo ……………………………………………………………………… ……………………………………………………………………… Telefono ……………………………………………………………………… Computer usato ❏ IBM-Compatibile ❏ Macintosh ❏ Ms-Dos ❏ Windows ❏ System 6.x ❏ System 7.x ❏ Cd-Rom ❏ Monitor a colori ❏ Floppy 3.5” HD Buono di prenotazione ❏ Desidero prenotare fin d’ora n°… copie su floppy disk da 3,5” per Ms-Dos/Windows ❏ Desidero prenotare fin d’ora n°… copie su floppy disk da 3,5” per Macintosh al prezzo scontato di £ 120.000 (iva esclusa)* dove la presenza di un background comune tra tutti gli studiosi permette risultati condivisibili, in filosofia gli esperimenti mentali sono perlopiù causa di fraintendimenti. Wittekind, Volkart Religiosität als Bewußtseinsreform. Fichtes Religionsphilosophie 1795-1800 Gütersloher-Vlg.Haus dicembre 1993 pp. 300, DM 98 Wölfle, Gerhard M. Die Wesenslogik in Hegels ’Wissenschaft der Logik’. Versuch einer Rekonstruktion und Kritik unter besonderer Berücksichtung der philosophischen Tradition Frommann-Holzboog, dicembre 1993 pp. 560, DM 190 Wucherer-Huldenfeld, A.K. Ausgewählte philosophische Studien: Anthropologie, Freud, Religionskritik. Ursprüngliche Erfahrung und persönliches Sein Böhlau, dicembre 1993 pp. 360, DM 98 Zellini, Paolo Breve storia dell’infinito Adelphi, gennaio 1994 pp. 272, L. 28.000 ”C’è un concetto che corrompe e altera tutti gli altri. Non parlo del Male, il cui limitato impero è l’Etica; parlo dell’Infinito”, così ha scritto Borges e le sue parole stanno sulla soglia di questo libro, dove un matematico ha provato a ripercorrere le vicende di questa categoria temibile, dalle origini greche fino alla ormai cronica “crisi dei fondamenti” del pensiero scientifico. Zingari, Guido Leibniz, Hegel und der deutsche Idealismus J.H. Röll, gennaio-febbraio 1994 pp. 293, DM 48 Questa indagine si confronta per la prima volta con una serie di questioni storiografiche e teoretiche, che sono fondamentali per l’influsso di Leibniz sull’idealismo tedesco e per la ricezione di Leibniz da parte di questa corrente di pensiero. Zirfas, Jörg Präsenz und Ewigkeit. Eine Anthropologie des Glücks Reimer, dicembre 1993 pp. 473, DM 78 Zubke, Friedhelm Im Dialog mit Georg Christoph Lichtenberg Dt. Studienvlg., dicembre 1993 pp. 123, DM 28 La capacità di mantenere la tensione tra la necessità di volersi attacare a qualcosa, di volerlo mantenere e di sapere che tutto ciò che è umano è passeggero, è esemplificata da Lichtenberg e la si può imparare da lui. *le modalità di pagamento verranno indicate in seguito (a cura di A.M.; trad. it. di L.T.) 96