SOMMARIO
Palazzo
Serra di Cassano,
crocevia
della cultura
europea
Via Monte di Dio è ubicata sulla ne della balaustra delle scale ed il biancore dei muri e
collina di Pizzofalcone, non lon- dei fregi. Le scale, in genere, portano ai piani; mentre
tana dai luoghi dove, secondo la in questo edificio portano soltanto al piano nobile,
leggenda, il corpo della sirena abitazione dei padroni di casa. (Nel grande fabbricato
Partenope, che si uccise per amo- c’è un altro cortile con altre scale.)
re di Ulisse, fu spinto dai flutti Fino al 1799 l’entrata del Palazzo era in via Egiziaca:
sugli scogli: qui ci furono i primi in quell’anno, in segno di lutto, il portone fu chiuso né
di
insediamenti di Partenope che mai più fu riaperto per la ragione che vi passò, per
Rosario Assunto
poi divenne Neapolis e poi Na- l’ultima volta, il figlio del Duca, Gennaro Serra di
poli. E’ una strada in salita, lar- Cassano. Giovane, di formazione illuministica ed uno
ga, dove quasi allineati, vi sono edifici del ‘700 e dell’ ‘800 dei capi della rivoluzione napoletana contro i Borbotra cui spicca per la sua nobiltà il grandioso palazzo dei ni, fu arrestato per ordine di Ferdinando IV e poi
Duchi Serra di Cassano, famiglia di origine genovese, giustiziato in piazza del Mercato.
trapiantata a Napoli nel ‘600.
Il Palazzo Serra di Cassano dopo la seconda guerra
Quando si parla di “riuso” di abitazioni storiche, il mondiale fu restaurato, ma la decorazione originale è
pensiero corre subito a questo palazzo, perché abitazione stata rispettata e conservata nella sua grazia e bellezza.
per secoli della nobile famiglia, è ora sede dell’Istituto La parte architettonica è legata al nome di Ferdinando
Italiano per gli Studi Filosofici, voluto dall’avv. Gerardo Sanfelice e gli affreschi e le decorazioni sono legate al
Marotta, che ne è il Presinome di Giacinto Diano,
dente. Il prestigioso Istituche raggiunse il meglio di
to è noto in tutta Europa ed
sé illustrando la grande
anche negli Stati Uniti persala settecentesca con la
ché in collegamento interstoria di Scipione l’Afrinazionale con studiosi, per
cano.
ricerca, studi, seminari.
L’Istituto Italiano per gli
Nel 1983 il Ministero per
Studi Filosofici, otteneni Beni Culturali ed Amdo Palazzo Serra di Casbientali acquisiva al pasano, ha potuto sviluppatrimonio dello Stato il setre in una sede di prestitecentesco palazzo Serra
gioso decoro e funzionadi Cassano e lo destinava
lità la sua vita. Nello stesin uso all’Istituto Italiano
so tempo, nel ricco patriper gli Studi Filosofici.
monio artistico storico naIl Palazzo Serra, costruito
poletano, veniva così renel XVIII secolo dall’arcuperato ad una alta funchitetto Ferdinando Sanzione culturale un notefelice, è uno degli esempi
volissimo insieme archipiù interessanti dell’architettonico quale il Palazzo
tettura urbana di queldi cui sopra.
l’epoca in Napoli, ed uno
Da dimora, un tempo scodei migliori lavori del prenosciuta a molti, è ora
stigioso architetto.
aperta agli studiosi (alcuIl Palazzo è sito tra due
ni insigniti del premio
strade. A piano terra un
Nobel sono stati e sono
lungo passaggio attraverospiti dell’Istituto) e di
sa tutto l’edificio, mettenuna gran parte della cittado in comunicazione le
dinanza. Essa è crocevia
due entrate, quella, che era
della cultura europea.
Palazzo Serra di Cassano (scalone d'ingresso)
la principale, in via EgiL’Istituto, al suo meritosede dell'Istituto Italiano per gli studi filosofici
ziaca, e quella in via Monrio scopo di studio aggiunte di Dio, che ora è l’unico
ge quello di “riusare” un
ingresso. E’ interessante notare come tra le due strade bellissimo edificio storico quale appunto Palazzo Serparallele vi sia un forte dislivello e la tecnica artistica ra di Cassano, essendone, di fatto, il “conservatore”.
del Sanfelice abbia fatto in modo che non si creassero
sbalzi in un tutto armonico.
Famoso e bellissimo è lo scalone cui si accede da uno
scenografico cortile ottagonale dove si nota, oltre la In omaggio a Rosario Assunto, recentemente scomparso,
bellissima architettura, un gioco, se così si può chia- presentiamo qui, in luogo dell'editoriale,
mare, di luce, risultante dal grigio scuro del piperno un suo breve scritto dedicato a Palazzo Serra di Cassano,
cui fanno riscontro i toni chiari delle bianche colonni- sede dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici.
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SOMMARIO
15 PROFILO
48 Althusser su Freud e Lacan
15 Ricordo di Rosario Assunto
50 Verità e retorica nella ricerca scientifica
10 SCHEDA
50 Hegeliana
10 Pontificia Università Gregoriana
52 Attualità di Schopenhauer
53 Lutero, riformatore del servo arbitrio
13 CONFERENZA
54 Le ‘Opere’ di Epicuro
13 Il senso delle parole:
il Postmoderno come parte del Moderno
54 Plutarco politico
56 NOTIZIARIO
17 AUTORI E IDEE
17 Tempo e cesure del pensiero: Patrice Loraux.
59 CONVEGNI E SEMINARI
17 Il determinismo di Honderich
59 Spinoza per tutti
19 Incontri con Heidegger
60 Umanismo e modernità in Germania
20 “Sulle Idee” di Aristotele
61 Ideologie della guerra nel Novecento
21 In ricordo di Paul K. Feyerabend
62 L’idea di persona
22 Tocqueville e gli Stati Uniti
64 Ethos e Gheometria
23 Ernst Tugendhat: lezioni di etica
64 In memoria di Jerzy Giedymin
23 La mente non è un computer
25 Il sano e il malsano
65 Interpretazioni ed utopie
della società industriale
26 Scienza paradossale?
65 Ragione e ‘Sacre Scritture’
26 L’evoluzione storica dell’etica
66 Sociologia del tempo
27 Le costanti dell’essere
66 Antropologia filosofica del Novecento
68 L’impersonale
29 TENDENZE E DIBATTITI
69 Rosmini, filosofo del cuore?
29 Filosofia della scrittura
69 Filosofia e religione in Pareyson
30 Il mito e le sue mitologie
70 CALENDARIO
32 Rinascita di Bachtin in Russia
33 Retorica e/o filosofia
34 Dio è morto?
73 DIDATTICA
35 Heidegger in America
73 Didattica della filosofia
36 La coscienza e le sue “funzioni”
73 Storia della filosofia al computer
38 Ebraismo dopo Auschwitz
77 STUDIO
40 Primo piano:
Su carta o in floppy disk?
I filosofi in formato elettronico
77 Le ‘Meditationes’ di Descartes
77 Prospettive di ermeneutica universale
45 PROSPETTIVE DI RICERCA
79 RASSEGNA DELLE RIVISTE
45 Opere complete di Georg Simmel
47 Morale e pregiudizi
87 NOVITÀ IN LIBRERIA
47 Agostino e il problema del tempo
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PROFILO
Rosario Assunto
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PROFILO
Quando nel 1988 Rosario Assunto concluse all’Istituto fondamentale. Assunto parte dal Kant “vero” della CriItaliano per gli Studi Filosofici di Napoli il suo seminario tica del giudizio: il finito si congiunge all’infinito attrasu “Ipotesi per un estetismo speculativo”, presentammo verso la contemplazione, il «mondo come rappresentainsieme nella sede dell’Istituto il suo volume, fresco di zione e il mondo oggetto di contemplazione». Fichte
stampa, Ontologia e teleologia del giardino. Avevo supera i concetti kantiani e formula l’ “immaginazione
conosciuto Assunto un anno prima, durante un convegno creatrice” che porta, come elaborazione dell’idealismo,
sul tema: “Il giardino: idea, natura, realtà”. Esordivo nel alla bellezza come predicato assoluto. La bellezza è
campo del “giardino” con tesi differenti da quelle “ede- identica a se stessa e si diffonde nelle molteplici cose
niche” che fondavano la sua teoria; tesi poi in parte belle. Quindi nel giardino come bellezza finita vediamo
contenute in Il giardino e l’esteta, che avrebbe dovuto la “scintilla” della bellezza infinita. Assunto propone
essere la postfazione “critica” al suo libro, ma che Rosa- l’etica della contemplatività come alternativa all’edonirio Assunto volle come introduzione. Da allora, nono- smo contemporaneo. E pone al centro del nostro interrostante l’età e le nostre due Weltanschauugen differenti, gare speculativo la categoria estetica come soluzione alla
nacque un’amicizia e una stima reciproche, cementate bruttezza del mondo, alla distruzione dei giardini e,
dal comune interesse per il paesaggio. L’amicizia ci ha aggiungerei, del “giardino” come bellezza del mondo che
permesso di dialogare - a me di imparare molto - fino ha sostituito l’utile al bene e al bello. E’ la coscienza del
all’ultimo, quando ci salutammo pochi attimi prima che potere di distruzione concentrato nelle mani dell’uomo
Rosario ci lasciasse, silenziosamente, dopo lunga malat- contemporaneo, devastatore del suo mondo.
tia, con la pesante eredità
L’estetica come bellezza e
della salvaguardia del pala metafisica quale armotrimonio ambientale. Ho
nia, identità del diverso e
avuto sempre di fronte il
unità del molteplice (si leggentiluomo che affermava:
ga anche il paesaggio) con«un uomo pensante esiste
fluiscono nel bene come
in quanto viene criticato;
coincidenza kantiana di fese non viene criticato dilicità e virtù, godimento
venta una specie di santone
della bellezza. Si tratta dele non è più niente; invece,
la bellezza assoluta che si
essere criticato significa
riflette con contrasti e limirivedere quello che si pentazioni nelle bellezze del
sa e, quindi, in qualche
mondo, il godimento del
di Massimo Venturi Ferriolo
modo ricevere un poco delquale, come affermato da
con
la giovinezza di quelli che
Hegel, Hölderlin e
parlano e criticano».
Schelling, “autori” del
un testo inedito di Rosario Assunto
“Bellezza assoluta” e “inframmento Da älteste Syfinita contemplazione”
stemprogramm des deutsono concetti fondanti il
schen Idealismus, che per
pensiero dell’ “ultimo dei
Assunto ha costituito il viaRomantici”. E’ una specutico della sua etica “conlazione sui generis, evidentemplativa”, è l’unica felia cura di Riccardo Ruschi
te in queste pagine inedite,
cità raggiungibile dall’uotratte dal testo del suo seminario su “Ipotesi per un mo, che s’identifica nell’amore come unità del moltepliestetismo speculativo”, che vengono qui presentate a ce, identità del diverso, infinitizzazione del finito, cioè
cura di Riccardo Ruschi, costituenti la summa teorica di armonia assoluta, ora fuori dal tempo e negante l’atempotutta una vita. Rileggo il suo messaggio in Pensare il ralità del giardino, fondamento della sua teoria estetica
giardino (Guerini e Associati, Milano 1992) - impossi- “edenica”: l’immagine dell’Eden come giardino archetibilitato già, in quell’anno 1991, ad intervenire di persona pale bello e utile che poggia sul mito sovratemporale. E’
al simposio di Salerno a causa della malattia che aveva “l’evento ideale” «che mai avvenne nella sua fattualità,
incominciato a consumare il suo fisico - dove è riassunto ma identico a se stesso e in sé ogni volta diverso, da
il suo ideale di bellezza nel giardino: «...non è possibile sempre accade e sempre si rinnova come ragion suffioccuparsi del giardino se non ci si occupa del paesaggio, ciente di ciò che avviene nel tempo», che fonda la “realtà”
che a sua volta altro non è se non la natura considerata dei giardini, oggi in via di distruzione.
sotto l’aspetto di quella bellezza che il giardino in quanto A partire da questa constatazione, la speculazione di
opera d’arte si propone di realizzare in un fare che nella Assunto segue una distintiva visione della vita così
contemplazione ha, plotinianamente, la propria ragion schematizzabile: da questo luogo silenzioso, cioè il giard’essere e il proprio scopo; e perciò è un fare assoluto, dino in senso pieno, saremmo esclusi ogniqualvolta anquello del quale ogni altro fare deve partecipare se vuol teponiamo i nostri aridi interessi di consumatori. La
riscattare se stesso al di sopra della meschina immediata moderna società tecnologica e industriale avrebbe decreutilità, o della volgarità di un godimento edonisticamen- tato la morte del giardino. L’estetica viene opposta alte inteso, che si esaurisce nella finitezza».
l’utilitarismo, perché è godimento disinteressato, in quanto
La bellezza non si ricerca nel finito della vita, ma è idea non sfrutta, ma si oppone al consumo interessato. E’ vita
Ricordo
di
Rosario Assunto
5
PROFILO
legata alla contemplazione, “conservazione”, presenza
infinita della nostra storia, valore teleologico.
L’estetismo speculativo viene da Assunto innalzato a
ontologia, a filosofia dell’essere che giustifica lo stesso
giardino, teoria forse difficile da condividere in toto, che
formula un’idea unica universale di giardino. Si basa
sulla interazione tra Soggetto e Oggetto, dove la “Teoria
del Giardino” trova la propria realtà. Ecco «il configurarsi della relazione Uomo-Natura come modalità della
relazione Soggetto-Oggetto nel suo momento più alto e
definitivo...». In un siffatto rapporto l’Oggetto si soggettivizza e il Soggetto si riconosce nell’oggetto e vi si
compenetra: arriviamo alla oggettivazione dello spirito
umano, a esprimere la Natura. Va così da sé la definizione “finalistica” del giardino come luogo destinato
a vivere la contemplazione, del giardino come opera
d’arte, luogo dove etica ed estetica si congiungono.
La lezione di Assunto c’invita a riflettere e a ridiscutere
il tema con la mente rivolta alla salvezza dei giardini e dei
loro contenuti. Essa può essere non condivisa per la sua
radicalità, ma rimane comunque un punto fermo dal
quale partire e con cui fare i conti. Questo severo censore
dei nostri “consumi” denunzia la scomparsa di ogni
antico ideale di natura e rappresenta un’idea del giardino
volta a dare alto significato al fare artistico. E dai presupposti di un pensiero unico nel suo genere riprendiamo il
nostro cammino, sviluppando la coscienza etica della
bellezza come bene raggiunto dalla contemplazione quale azione, pienezza di attività. A partire di qui possiamo
fondare un’etica per il paesaggio adeguata ai problemi
del mondo contemporaneo, dove ancora «l’uomo, il
quale contemplandosi nella Natura modellata come sua
propria espressione, in essa riconosce la presenza reale e
totale della propria infinita ed eterna Soggettività».
Ipotesi
per un estetismo
speculativo
Se qualcuno mi domanda che
cos’è il bello devo rispondere
che il bello, come bellezza, è il
bello; la bellezza è il bello, identità di soggetto e predicato, quindi, tautologia. Tautologia dalla
di Rosario Assunto
quale si può uscire soltanto predicando di altro quello che nel
giudizio tautologico è soggetto identico a se stesso. Ma di
quale altro possiamo predicarlo senza venire meno alla
sua assolutezza? Non possiamo predicarlo delle cose
finite, dei particolari, dell’esperienza, perché in quel caso
diventa bellezza ora di una cosa, ora di un’altra, che una
volta è bella, una volta è brutta. Ecco, allora, che uscire
dalla tautologia per cui la bellezza è la bellezza, è possibile solo predicando la bellezza di altre categorie, o
anche, dato che il giudizio è convertibile, facendo di altre
categorie un predicato della bellezza.
Se ora diciamo che il bello è il bene, che il bene è il bello,
soggetto e predicato non coincidono più, anche se siamo
sempre nella zona dell’assolutamente a-priori, anteriore
all’esperienza, poiché una categoria fà da soggetto e
un’altra fà da predicato e dunque restiamo sempre nell’immanenza assoluta che non consente, senza contraddirsi, di pensare a una sovrastoricità delle categorie; e in
tanto la storicità delle categorie è pensabile, in quanto le
categorie sono volta per volta tra di loro soggetto e
predicato.
Se l’unità del vero e del bene è la bellezza, il bene pensato
in sé e per sé, il bene assoluto - un bene che non ha di
fronte a sé una mancanza di bene come oggetto di
desiderio che si vuole raggiungere, come fine, ma il bene
nella sua scioltezza di cui sono buone tutte le buone
azioni - è un bene che è oggetto di contemplazione in
quanto noi lo contempliamo come bene e godiamo di
questa contemplazione del bene. La stessa cosa si può
dire della verità; cerchiamo la verità, perché ci manca e
la cerchiamo continuamente. Ma se pensiamo alla verità
come piena di se stessa, pensiamo a una verità che non è
oggetto di ricerca, ma a una verità che è la verità,
tautologica, come la bellezza è la bellezza. Se diciamo, invece, che la verità è bella perché oggetto di
contemplazione, la bellezza in quanto predicabile del
bello e del vero congiunge queste due categorie; il
bello è vero; il vero è bello, perché bello e vero sono
oggetti di contemplazione.
Se allora diciamo che la verità assoluta nella sua assolutezza è bene, il bene nella sua assolutezza è bello, il bello
nella sua assolutezza è bene, pensiamo nella loro assolutezza, il bene, il bello e la verità come tre categorie,
ciascuna identica a se stessa, che, per uscire dalla tautologia, si predicano l’una dell’altra, divenendo nello stesso tempo soggetto e predicato tra di loro. Ricompare qui
il famoso circolo crociano, che, riferito all’esperienza, è
un movimento a spirale; sale al di sopra dell’esperienza
e raggiunge questa assolutezza. A questo punto però, in
quanto queste categorie sono soggetto e predicato l’una
all’altra nella loro purezza, nell’assoluta trascendentalità, dobbiamo pure dire che esse sono trascendenti rispetto
all’esperienza, alla storia nella quale operano, a cui
danno un senso e un valore, valore di bene, di verità, di
esteticità.
Trascendenza delle categorie significa che le categorie
sono modalità dell’essere; l’estetismo speculativo, dovendo andare oltre l’empiria dell’esperienza, oltre la
storicità, e dovendo al contempo fondare l’empiria della
storicità, non può che essere un’ontologia, cioè una
filosofia dell’essere. Una filosofia di quell’essere che
non nega il divenire, ma lo fonda e lo concilia, nel senso
che unifica la finitezza propria del divenire, dell’esperienza, dell’esistenza, della storia, con l’infinità del bene;
finitezza come molteplicità e diversità che si concilia con
l’unità e l’identità: identità delle categorie con se stesse,
e diversità delle categorie non da se stesse, ma in se stesse.
Ora, queste categorie sono categorie predicate, che sono
a se stesse soggetto e predicato, e in quanto forme pure si
predicano, nella loro trascendentalità, del soggetto puro
trascendentale, del soggetto logico di giudizio. Così la
bellezza che unisce la verità è bellezza dell’essere, il bene
è volontà dell’essere, la verità è verità dell’essere, dove
6
PROFILO
Jean-Honoré Fragonard, Mosca cieca (dettaglio), 1765 c.
7
PROFILO
il soggetto di giudizio è l’essere pensato oggettivamente
da un soggetto che lo pensa come essere; è cioè soggetto
di giudizio estetico, etico, logico.
Ora, l’essere, per rendersi pensante, deve duplicarsi in
essere dell’oggetto, che è il soggetto del giudizio estetico,
etico, logico, e in essere del soggetto giudicante. Infatti se
dico che io, in quanto soggetto, giudico bello l’oggetto, la
possibilità di questo giudizio è che io sono e l’oggetto è,
cioè, che di me, come dell’oggetto, si può predicare
l’essere. L’essere, dunque, si autoduplica in essere soggettivo e essere oggettivo, soggettività e oggettività.
Questa autoduplicazione trascendentale dell’essere in sé
è appunto ciò che rende possibile il costituirsi dell’esperienza, che è sempre esperienza che i soggetti puri, nei
quali si pluralizza l’essere soggettivo, hanno degli oggetti plurimi, nei quali si pluralizza l’essere oggettivo. In
questa pluralizzazione ha luogo il tralucere della bellezza
nei soggetti, di quella bellezza pura e identica a se stessa
nel molteplice variare dell’esperienza che è la bellezza
del mondo.
Dobbiamo chiederci però qual’è la categoria pura,
assoluta, che può renderci consapevoli di questa originaria e, in quanto originaria, finale unità del soggetto
e dell’oggetto, per cui il soggetto riconosce se stesso
nell’oggetto e l’oggetto è un’oggettivazione del soggetto, come il soggetto una soggettivazione dell’oggetto; la categoria cioè che può renderci consapevoli
dell’essere nella sua unità.
La relazione originaria del soggetto e dell’oggetto come
unità nel loro diversificarsi in soggetto e oggetto avviene
con pienezza nell’unità del bene e del vero, dove il
soggetto pensa l’oggetto come bene assoluto, e nel momento stesso in cui lo pensa come bene, sente l’istanza
del perseguimento di questo bene che lui non è. La dualità
diviene invece dualità assoluta nella contemplazione
estetica, dove ha luogo la più assoluta immedesimazione
di soggetto e oggetto; e questo lo vediamo interrogando
noi stessi sul modo in cui il particolarizzarsi, il finitizzarsi, l’empiricizzarsi di questa unità originaria di soggetto
e oggetto si verifica nella finitezza del mondo dell’esperienza, cioè, interrogandoci sul modo in cui il rapporto
soggetto-oggetto ha luogo nelle varie modalità della
nostra esperienza estetica.
Con ciò parliamo dell’esperienza estetica autofinalizzata, che è quella dell’opera d’arte, come dell’esperienza
estetica inerente ad altri aspetti dell’esperienza, che è
quella dell’esperienza estetica della natura, dell’esperienza estetica della vita, dell’azione, e così via. Nell’esperienza estetica c’è un soggetto che gode dell’esteticità. Nell’esperienza dell’opera d’arte l’oggetto sta lì,
di fronte a me, come oggetto visto; ma può anche starmi
di fronte come suoni che mi avvolgono nello spazio, e il
piacere che provo nel contemplare, o nell’ascoltare, o nel
leggere, è tale che mi trasformo in qualche modo nell’oggetto, e l’oggetto a sua volta si immedesima in me, come
se nascesse da me, come se fossi io a crearlo; avviene
cioè una soggettivazione in me dell’oggetto e un’oggettivazione di me, come soggetto, nell’oggetto, un’unità di
godimento contemplativo che è pienezza di attività.
In questo identificarci in qualche modo con l’oggetto noi
proiettiamo la nostra soggettività nell’oggetto, secondo
un movimento di andare e venire. Un po’ come avviene
nella respirazione, dove respirare è introdurre in sé l’aria
ed emetterla; ma emettendo l’aria che abbiamo respirata,
emettiamo qualche cosa di noi e tutto avviene secondo un
ritmo. Questa esteticità del ritmo biologico non è fondazione biologica dell’estetica, ma fondazione estetica
della vita, della biologia, nel senso che la vita, in quanto
vita consapevole di sé nella propria pienezza di essere, e
anche nella propria drammaticità, nelle proprie lacerazioni, è vita estetica: vita che ha una fondazione, appunto, in questa autocontemplatività; vita che sa se stessa,
contemplandosi come unità di soggetto e oggetto.
Il risultato di una certa importanza a cui siamo fin qui
pervenuti è che l’esteticità, in quanto esteticità ontologica, in quanto predicato assoluto, è unità, la sola unità che
conservi la dualità del soggetto e dell’oggetto, senza
negarla. Questa unità del soggetto e dell’oggetto, ora, si
moltiplica e si divaria negli innumerevoli atti di esperienza che realizzano, rendono immanente quella tale
unità categoriale sovramondana, trascendente; e al contempo rendono trascendente anche ciò che è immanente
in noi, sollevandoci sopra la nostra finitezza di tempo.
Il tempo ci è presente, ora, come moltiplicazione e
diversificazione dell’originaria e fondante unità di soggetto e oggetto nella molteplice varietà dei soggetti
empirici degli oggetti empirici. Così, quando percepiamo l’unità del soggetto e dell’oggetto nel godimento
estetico, che è contemplazione in quanto pienezza di
azione, ci sentiamo al di sopra del tempo, cioè, ci sentiamo in un presente assoluto. La bellezza, è questa presenza assoluta. Nel presente del puro godimento estetico
non abbiamo un fine al quale quel godimento sia scopo;
lo scopo è in se stesso, nel senso che vi è una presenza,
una presenza che comincia in se stessa e finisce in se
stessa, una presenza assoluta, appunto.
Possiamo dire, allora, che l’esteticità è la dimensione
temporale dell’essere come presenza assoluta, dove presenza assoluta significa anche presenza inglobante in sé
il passato e il futuro. Così quando diciamo che l’esteticità
non è mezzo per raggiungere uno scopo, ma è autofinalistica, diciamo che l’esteticità è un presente che ha in sé
il proprio futuro, un futuro che è già presente. E avendo
in sé il proprio futuro è principio, ragione, causa di se
stessa. In quanto, poi, presenza assoluta che ha in sé il suo
assoluto e il suo passato, l’esteticità è presenza nutrita di
memoria, dove memoria non è una presenza reale, ma
una presenza estetica. Nella nostra vita la memoria, che
può essere nostalgia, rammarico, rimorso, dolore, rimpianto, è memoria di un passato e presenza di un passato
soltanto rappresentato, rievocato. L’opera d’arte, qualunque essa sia, ha il suo passato dentro di sé, tutto
raccolto nel presente; ciò costituisce la memoria interna
all’opera d’arte. Una memoria che l’opera ha in sé, anche
quando assume come proprio soggetto la memoria, come
nel romanzo di Proust, che comincia con un avverbio di
tempo che comprende la parola tempo, «Longtemps je
me suis couché de bonne heure», e finisce «dans le
temps», per lungo tempo nel tempo. Se, poi, facciamo qui
attenzione ai valori fonetici delle parole, la presenza
della nasale che precede il tempo nell’avverbio “longtemps” e la presenza delle iniziali “dans le temps”,
8
PROFILO
mostrano un’affinità di suono fra la prima e l’ultima frase
che dà un senso alla musicalità che corre per tutta l’opera
e che, poi, molto spesso diventa una melodia infinita di
tipo wagneriano.
L’unificazione del soggetto e dell’oggetto in un presente
assoluto, che è anche presenza del passato, come memoria interna dell’opera d’arte nella vita esterna, e presenza
del futuro, come aspettazione interna formale dell’opera
d’arte nella vita esterna, non è che un tralucere, appunto,
di quell’assoluta presenza che nell’essere in sé, cioè,
nell’unità delle categorie come unità assoluta di soggetto
e oggetto fondante l’unità dei soggetti e degli oggetti
dispersi nel tempo, è anche unità delle categorie della
bellezza, della verità, del bene, come unità assoluta. La
bellezza è la presenza dell’essere, quindi è presenza del
passato, presenza assoluta; la bellezza è la presenza del
passato, quindi, nella vita, è memoria esterna, memoria
che viviamo. Per questo la perdita di memoria storica,
che è anche memoria individuale, è un altro aspetto della
disestetizzazione del mondo contemporaneo.
Ma la bellezza è anche il bene, il bene totalmente raggiunto, dove il bene è il futuro, è la “futurità”, se così
possiamo dire, dell’essere, poiché il bene è un fine al
quale tendiamo, è un valore che deve essere realizzato,
quindi, è futuro. Qui l’essere in sé è il futuro già tutto
presente come oggetto di contemplazione, è presenza
assoluta. La bellezza, in quanto presenza assoluta, è
presenza totale del futuro, presenza totale del passato
nella totalità del presente, che è anche presenza della
molteplicità varia del futuro e del passato nell’unità
assoluta. Unità assoluta che è identità quando affermiamo che il bene è il vero, il bene è il bello, il vero è l’unità
del bene e del bello, poiché proclamiamo giudizi di
identificazione della diversità della categoria, quindi di
identità anche nel diverso, di unità del molteplice. Quello
che cerchiamo nell’esperienza è, appunto, questa unità
del molteplice, in quanto, però, molteplicità dell’uno;
come bellezza, il valore del molteplice è appunto quello
di essere molteplicità di quell’uno assoluto che è presenza assoluta, per cui una presenza è bella perché l’unità del
molteplice ha un valore per se stessa, come molteplicità
dell’uno.
L’identità dell’uomo consiste nell’essere diverso da tutti
gli altri uomini e in tanto possiamo dirci uguali agli altri,
in quanto siamo diversi; ma ognuno di noi è anche diverso
da se stesso perché è fatto di passato, di presente e di
futuro, di assenze: nella vita il passato è un’assenza, a cui
la memoria cerca di rimediare esteticamente, evocando,
rendendo presente l’assente. Tutto questo non è che un
riflettere quell’assoluta presenza in cui la bellezza è
presenza assoluta di tutto il passato, e anche presenza
assoluta di tutto il futuro, quindi, presenza assoluta del
bene, in quanto futuro desiderato. In questa totalità presente tutto è bello, e l’unità non nega la molteplicità, ma
in quanto presenza assoluta la conferma; e la conferma
proprio come assolutezza del molteplice. Questo è l’arte.
Dire che con ciò siamo arrivati a una conclusione sarebbe
ridicolo e goffo. Mi contenterò di dire, più modestamente, che con ciò ho cercato di esporre il risultato di ricerche
di quasi mezzo secolo, meditazioni, letture, ascolti, esperienze, cercando di raggiungere delle conclusioni; sarebbe però altrettanto ridicolo e goffo dire che con ciò mi
ritengo soddisfatto. Spero solo che ognuno, pensando a
queste cose per conto suo, possa arrivare anche più
lontano; arriva il momento in cui uno dice: «amici miei,
io qui sono arrivato; adesso camminate con le vostre
gambe, in questo caso pensate con la vostra testa, certamente arriverete più lontano di dove sono arrivato io».
Nota biografica
Rosario Assunto è scomparso a Roma il
24 gennaio 1994. Nato a Caltanisetta il
28 marzo 1915, è stato ordinario di Estetica presso l’Università di Urbino dal
1956 al 1981, quando fu chiamato a
ricoprire la Cattedra di Storia della Filosofia Italiana presso la Facoltà di Magistero dell’Università di Roma “La Sapienza” (ora III Università di Roma).
Socio corrispondente dell’Accademia dei
Lincei, Socio dell’Arcadia, dell’Accademia di San Luca, dell’Accademia
Olimpica Vicentina, ha lasciato studi di
storia e di teoria dell’estetica d’importanza internazionale, grazie anche alle
traduzioni. Tra queste ricordiamo: Estetica dell’identità. Lettura della “Filosofia dell’arte” di Schelling (STEU, Urbino 1962); Stagioni e ragioni nell’estetica del Settecento (Mursia, Milano 1973;
trad. spagnola, Visor, Madrid 1990); Infinita contemplazione (SEN, Napoli
1979; trad. rumena, Meridiane, Bucarest
1988); La parola anteriore come parola
ulteriore (Il Mulino, Bologna 1984). Il
suo libro Die Theorie des Schönen im
Mittelater (La teoria del bello nel Medioevo, Dumont, Köln 1963; 2ª ed. 1981)
è stato tradotto in lingua serba nel 1975 ed
è ancora richiesto in Germania dove è
reperibile in edizione economica. Per l’editore Laterza ha curato le seguenti opere di
Immanuele Kant: Scritti precritici (nuova
ed. 1982); Prolegomeni ad ogni futura
metafisica (nuova ed. 1979) e Fondazione
della metafisica dei costumi (1980).
I suoi studi più originali e significativi
riguardano il paesaggio e il giardino, per
i quali - unitamente alla sua “battaglia
d’idee” - ha ricevuto il premio internazionale Carlo Scarpa della Fondazione
Benetton per l’anno 1991. Dei suoi contributi sul tema ambientale ricordiamo:
Il paesaggio e l’estetica (1973; rist.
Novecento, Palermo 1994; trad. rumena, Meridiane, Bucarest 1986); Filosofia del giardino e filosofia nel giardino
(Bulzoni, Roma 1980); La città di Anfione e la città di Prometeo (Jaca Book,
Milano 1984; tr. rumena Meridiane, Bu9
carest 1988); Il parterre e i ghiacciai
(Novecento, Palermo 1984); Ontologia
e teleologia del giardino (Guerini Studio, Milano 1990); Giardini e rimpatrio
(Newton Compton, Roma 1991).
È stato Presidente dell’apposita Commissione per la Tutela dei Giardini Storici del Ministero dei Beni Culturali e
Ambientali, nonché Presidente Onorario della sezione “Paesaggio e Giardino”
della Fondazione Benetton. Per una bibliografia completa e aggiornata delle
sue opere, con la supervisione dell’autore, si veda il “Bollettino della Fondazione Benetton” (n. 2, 1992, pp.18-23).
SCHEDA
Il “Collegio Romano” - così si chiamava in origine fenomenologo Paolo Valori, lo studioso del marxismo
l’Università Gregoriana - fu fondato da Sant’Ignazio nel Gustav Wetter, il patrologo Antonio Orbe, lo storico
1551; in una celebre lettera il grande Santo ne delineava Vincenzo Monachino, lo psicologo Luigi Rulla e il “lesil fine (diffondere la «sana dottrina, tanto dei cristiani, sicologo” Roberto Busa, iniziatore dell’informatica linquanto dei pagani»), l’accurato metodo pedagogico («dan- guistica. Rettore dell’Università è attualmente Giuseppe
do ordine all’esercizio») e la forma («generale», ossia Pittau, che ha diretto per numerosi anni la prestigiosa
universale e internazionale). Nel corso dei secoli questi «Sophia University» di Tokyo.
tre elementi sono rimasti pressoché costanti, pur nel All’interno della Università Gregoriana, la facoltà di
mutamento della sede (quella antica fu requisita dopo Filosofia conta quasi quattrocento studenti, una dozzina
l’ingresso dei Savoia a Roma nel 1870), delle modalità di docenti stabili, una ventina di docenti incaricati o
d’insegnamento e dei tempi.
invitati e sette assistenti. La facoltà è organizzata in tre
La Pontificia Università Gregoriana è retta dai Gesuiti cicli per il conseguimento del baccellierato, della licenza
e, benché situata nel centro di Roma, non è una università e del dottorato; il suo ordinamento ricorda un po’ quello
italiana (in quanto dipende direttamente dalla Santa anglosassone (corsi prescritti, corsi opzionali, seminari,
Sede), ed ha perciò un ordinamento peculiare e una crediti, elaborati...), e presenta, nei confronti soprattutto
fisionomia abbastanza caratteristica. Accanto alle disci- dei dipartimenti italiani di Filosofia, alcune note caratpline teologiche vi si studiano anche Filosofia, Storia, teristiche. La prima peculiarità è di carattere didattico;
Scienze Sociali, Psicologia e Comunicazioni Sociali; tra vige un’impostazione maggiormente scolastica: più esai suoi circa trecento docenmi, ma di mole ridotta; seti e oltre tremila studenti vi
mestralizzazione dei corsi;
I luoghi della filosofia
sono chierici, religiosi e
piano di studi strutturato e
laici (ed anche qualche non
obbligatorio almeno nel
cristiano), uomini e donne,
primo ciclo, in cui, a diffedi quasi tutte le parti del
renza del secondo ciclo, i
mondo (e comunque per la
corsi istituzionali prevalgomaggior parte non italiano su quelli monografici;
ni). Proprio per questo suo
frequenza obbligatoria delcarattere internazionale
le lezioni, di cui sono prel’Università Gregoriana si
viste sempre le dispense;...
è guadagnata l’appellativo
Conseguentemente, una
di “Collegio delle Nazioni”.
particolare attenzione è ri“Collegio delle Nazioni”
Dopo quattro secoli di prevolta alla formazione medominio del latino, attualtodologica e all’esercizio
al servizio della cultura e del metodo
mente è l’italiano la “linguidato, grazie al contatto
gua franca” che permette a
diretto con i docenti e ai
docenti e studenti di tutte le
seminari in piccoli gruppi
nazioni di comunicare fra
di studenti (che vi hanno
loro. Così, grazie all’opera
parte attiva).
della Università GregoriaLa seconda peculiarità è di
na (come pure delle altre
carattere contenutistico.
di Andrea Di Maio
università pontificie romaMentre ad esempio nelle
ne), la lingua e la cultura italiana vengono trasmesse ogni università italiane la filosofia si studia per lo più in chiave
anno a migliaia di giovani di tutto il mondo, destinati a storico-filosofica, all’Università Gregoriana prevale l’imdiventare “leaders” nella Chiesa del loro paese. Dispiace postazione sistematica (senza escludere l’altra). Accanto
perciò che proprio l’Italia (a differenza della maggior agli insegnamenti fondamentali di filosofia della conoparte dei paesi del mondo) di fatto non riconosca ancora scenza, cosmologia filosofica, antropologia filosofica,
i titoli di studio di questa Università, nonostante da ben filosofia morale, metafisica, teologia filosofica (che codieci anni il Parlamento italiano, approvando il nuovo stituiscono l’ “ossatura” sistematica del primo e del
Concordato, si sia affermativamente pronunciato in pro- secondo ciclo), vengono impartiti stabilmente anche gli
posito. In generale, dobbiamo però riconoscere che se in insegnamenti (prescritti od opzionali, a seconda dei casi)
passato, tra università italiane e università pontificie, vi di logica, filosofia della cultura, fenomenologia della
era una reciproca indifferenza (se non addirittura diffi- religione, filosofia della scienza, filosofia della religione,
denza), ultimamente, invece, si notano alcune iniziative etica sociale, storia della filosofia (antica, patristica,
di interazione.
scolastica, moderna e contemporanea), filosofia del linIn continuità con una prestigiosa tradizione culturale, guaggio, semiotica e simbologia, antropologia scientifianche in tempi recenti hanno insegnato in Università ca, filosofia del diritto, filosofia cristiana, mentre altri
Gregoriana personaggi di grande valore scientifico, noti possono essere attivati di anno in anno, grazie anche alla
in Italia e all’estero, come il teologo e filosofo Bernard presenza di docenti invitati da altre università italiane o
Lonergan, i filosofi Johannes Baptist Lotz e Joseph De straniere.
Finance, il teologo Karl Rahner, lo storico della filosofia La terza peculiarità è di carattere istituzionale. Nelle
Frederick Copleston, l’antropologo Vittorio Marcozzi, il università italiane il Dipartimento di Filosofia è inserito
Pontificia
Università
Gregoriana
10
SCHEDA
nella Facoltà di Lettere e Filosofia (perciò chi studia
filosofia dà normalmente anche qualche esame in materie
letterarie o storiche) e non ha accanto a sé una facoltà o
un dipartimento di Teologia; viceversa, nell’Università
Gregoriana (e nelle università pontificie in genere) la
Facoltà di Filosofia si rapporta dialetticamente a quella di
Teologia, il che riflette una diversa concezione e sistemazione del sapere.
Decano della facoltà è Carlo Huber (studioso di filosofia
trascendentale e di Wittgenstein). Tra i docenti della
facoltà figurano Xavier Tilliette (studioso ben noto in
Italia e all’estero), Salvino Biolo (segretario del Movimento di Gallarate, che raccoglie i filosofi italiani di
ispirazione cattolica), Paul Gilbert (docente di Metafisica). Peter Henrici, per anni decano della facoltà, e profondo conoscitore di Blondel, è stato invece nominato l’anno
scorso Vescovo ausiliare di Coira.
Una particolare attenzione è riservata al pensiero della
tradizione cristiana (Tommaso, Agostino, Dionigi, Anselmo, Bonaventura, Pascal, Rosmini, Kierkegaard, Blondel, Stein, Marcel...), ma anche ad altri pensatori come
Kant (l’Università Gregoriana è stata in passato un centro
del “tomismo trascendentale”) o Wittgenstein, senza
tralasciare i più recenti orientamenti del dibattito filosofico (Ricoeur, Levinas, Quine, Rorty, Habermas, Derrida,
la semiotica...) e i problemi del pluralismo culturale e
della comunità civile. Accanto ai due fondamentali indirizzi di Filosofia sistematica e di Storia della filosofia, la
facoltà offre anche dei curricula di specializzazione in
Filosofia politica, in Filosofia cristiana e, prossimamente, in Filosofia della scienza.
All’interno dell’Università Gregoriana ha sede inoltre
un piccolo centro di studi, la Scuola di Lessicografia
ed Ermeneutica tomistica computerizzata, fondata
da padre Roberto Busa nel 1992 e sponsorizzata dall’Associazione per la Computerizzazione delle Analisi Ermeneutiche e Lessicologiche (CAEL). La Scuola
possiede un proprio curriculum di studi, al cui termine
viene rilasciato un Certificato di Specializzazione, e
offre agli studenti dell’Università (in particolare a
quelli di Filosofia e di Teologia) la possibilità di
approfondire la conoscenza del lessico e dei testi
patristici e scolastici, come pure di alcune moderne
metodologie di analisi e interpretazione.
L’ “ermeneutica testuale” è di fondamentale importanza per la filosofia, l’esegesi, la teologia, il diritto.
Se infatti per interpretare un testo occorre al tempo
stesso interpretarne il linguaggio, è necessaria a questo scopo la “lessicografia”, o arte di scrivere un
lessico, ovvero di descrivere semanticamente il vocabolario di una lingua, di un testo o di un autore.
Attualmente, grazie all’opera iniziata da padre Roberto Busa, la lessicografia e l’ermeneutica testuale ricevono un contributo decisivo dall’ “informatica linguistica”. In questo contesto, la Scuola di Lessicografia
ed Ermeneutica cerca di perseguire questi intenti:
-in quanto scuola di lessicografia, e in particolare
scuola di lessicografia computerizzata (ossia caratterizzata dall’ausilio dell’informatica linguistica), intende promuovere la “metodologia lessicografica” e
servirsene in funzione dell’ “ermeneutica testuale” e
dello studio dell’ “ontologia generativa” del linguaggio;
-in quanto scuola di ermeneutica testuale, è al servizio
della storia della filosofia e della teologia, in vista anche
di un’ulteriore speculazione (leggere un antico autore
oggi significa infatti sforzarsi di capirlo e farlo capire,
interpretando correttamente il suo linguaggio e traducendolo in maniera adeguata, ossia gettando un ponte fra la
sua cultura e la nostra cultura);
-in quanto scuola di ricerca tomistica, ma più in generale
patristica e scolastica, è al servizio dello studio e della
promozione del pensiero cristiano, in connessione con il
Curriculum di specializzazione in Filosofia Cristiana;
-in quanto scuola di ermeneutica e lessicografia (che,
essendo arti, si debbono acquisire per scienza ed esperienza), si propone di fornire ai suoi studenti non solo un
insegnamento teorico ma un addestramento pratico e un
ambiente di ricerca interpersonale, interistituzionale (in
collaborazione con centri di ricerca analoghi) ed anche
interdisciplinare (fra le discipline come l’esegesi, la
teologia, la filosofia, il diritto, che necessitano di un’ermeneutica e si avvalgono della lessicografia);
-in quanto scuola inserita nell’Università Gregoriana
fondata da Sant’Ignazio, si propone di insegnare a leggere «non multa sed multum», «dando ordine all’esercizio,
che è la cosa più valida per rendere gli studenti davvero
dotti», nella speranza che «la buona dottrina, tanto degli
autori cristiani quanto degli autori pagani... si estenda
anche al di fuori di essa».
Per realizzare questi obiettivi, la Scuola di Lessicografia
ed Ermeneutica offre (annualmente o periodicamente)
all’Università le seguenti iniziative:
-un corso istituzionale (alternativamente di “Introduzione all’Ermeneutica patristica e scolastica” e di “Introduzione alla Lessicografia patristica e scolastica”), che
viene tenuto da un gruppo di specialisti e che prevede non
solo lezioni teoriche, ma anche e soprattutto esercitazioni
pratiche di analisi testuale e di utilizzazione di strumenti
informatizzati (come i CD-rom delle opere di San Tommaso e dei Padri della Chiesa);
-un corso monografico di “Lessicologia tomistica”, che
esamina di volta in volta alcuni aspetti del vocabolario
tommasiano (e le rispettive implicazioni concettuali e
dottrinali);
-un seminario specializzato (alternativamente di “Ermeneutica del testo medievale” e di “Lessicografia
tomistica”);
-giornate di studio e convegni pubblici, e in particolare il
simposio “Lemmata Christianorum”, che, grazie alla
collaborazione di numerosi ricercatori, studia di volta in
volta alcuni dei principali vocaboli del lessico filosofico
e teologico cristiano, specialmente quello latino medievale (come ad esempio «Quaestio»);
-la direzione di ricerche (e dissertazioni) di carattere
lessicografico in campo patristico e scolastico;
-alcune borse di studio (messe a concorso) per studenti
intenzionati a portare avanti una ricerca o una dissertazione di lessicografia tomistica. (Pontificia Università
Gregoriana, Scuola di Lessicografia ed Ermeneutica,
Piazza della Pilotta 4, I-00187 Roma; telefono 06-67011,
fax 06-6701.5413).
11
CONFERENZA
Odo Marquard (foto di M. Totaro)
12
CONFERENZA
La storia filosofica del termine postmoder- storicità che sono anche i problemi di Hegel.
no è la storia di un dibattito che prende Ma non solo il moderno e il postmoderno
avvio nel 1979, quando viene pubblicato sono accomunati da questa malattia storiquel libretto molto fortunato di François ca. Un altro elemento, quello estetico, che
Lyotard dal titolo: La condition post-mo- di solito si ascrive a caratteristica tipica del
derne; poco tempo dopo, nel 1980, in una postmoderno - si pensi in particolare al
famosa conferenza per il conferimento del modo in cui Habermas aveva parlato del
“Premio Adorno”, Jürgen Habermas ri- postmoderno come di una trasformazione
volge una critica molto dura, non specifica- estetica della storicità -, sembra fornire un
tamente al libro di Lyotard, ma soprattutto resoconto alternativo del discorso filosofiagli architetti post-moderni. La critica solle- co della modernità, ponendo la questione
vata da Habermas, ripresa in seguito anche dell’origine essenzialmente estetica della
ne Il discorso filosofico della modernità modernità. Molto del dibattito attuale sul
del 1985, consisteva nel dire che il po- Romanticismo, in Italia e all’estero, muove
stmoderno rappresenta il venir meno dei infatti dal presupposto che il sorgere della
grandi racconti di legittimazione del sape- modernità sia un “sorgere romantico”, che
re nell’età moderna, dell’illuminismo, sa- si appoggia essenzialmente ad un orizzonte
pere utile in quanto produce un progresso poetico ed estetico.
sociale, dell’idealismo, sapere utile pro- Tra i problemi maggiori che condizionano
prio in quanto inutile, cioè senza uno sco- l’attuale dibattito sul postmoderno, vi è, da
po determinato, e come tale diretto verso una parte, una certa aspirazione del discorun’evoluzione assoluta e libera
dell’uomo, e infine del marxiIn collaborazione con
smo, che nella prospettiva di
Goethe-Institut Mailand
Lyotard si presentava un po’
Università degli Studi di Milano
come la congiunzione di questi
due discorsi. L’obiezione di
Habermas era che non si poteva parlare di una fine del progetto moderno, ma bisognava
piuttosto pensare al moderno
come ad un progetto incompiuto; ciò rendeva l’origine del
postmoderno un’origine estremamente accidentale e povera.
Forse, un tratto comune tanto al
di Odo Marquard
discorso sul postmoderno,
con
quanto a quello sul moderno, lo
un
intervento
di
Gianni Vattimo
si può rinvenire in una specie di
ossessione storiografica, quella
stessa che Nietzsche aveva riconosciuto già nella Seconda
Inattuale e a cui aveva dato il
nome di “malattia storica”. Di
fatto per Lyotard, come per
a cura di Maurizio Ferraris
Habermas, l’esistenza di un singolo individuo, di un pensiero,
di una realtà non vale di per se stessa, ma so postmoderno a porsi come post-filosofia
trae senso dalla propria collocazione stori- o pensiero post-metafisico, nel senso di un
ca. Detto questo, credo si possa pienamente superamento storico della filosofia o addiconvenire con quanto afferma Odo rittura di un superamento della filosofia
Marquard riguardo al fatto che il po- attraverso una filosofia della storia, come è
stmoderno rappresenta una parte del mo- appunto implicito nel discorso della postderno. I due termini, indubbiamente, si filosofia. Da un altro punto di vista, dobimplicano di continuo a vicenda in quanto biamo rilevare, invece, un certo richiamo
modi diversi, e diversi fino a un certo escatologico presente nel prefisso “post”,
punto, di rapportarsi a quella tipica malat- che conferisce al termine postmoderno un
tia storica che costituisce il carattere pro- aspetto messianico, un’idea di cambiamenprio della modernità. E in effetti, se risalia- to, di trasformazione. Così, se da una parte,
mo alle matrici filosofiche profonde di nel concetto di postmoderno, traspare una
questo dibattito, scopriamo come questa certa debolezza logica per quanto riguarda
malattia storica agisca tanto nel discorso il discorso della post-filosofia come supenietzscheano-heideggeriano, come origine ramento della filosofia attraverso la storia,
del postmoderno, quanto nel discorso he- dall’altra, nell’aspetto messianico ed escageliano, come origine del moderno. Nella tologico permane la tensione verso un evenSeconda Inattuale, infatti, Nietzsche arriva to che trasformi la dimensione di attesa
a condividere, in ordine alla malattia stori- richiamata da questo termine.
ca, quegli stessi problemi di un pensiero Sullo sfondo di queste considerazioni, il 21
che si rapporta completamente alla storici- aprile 1993, per la serie “La filosofia in
tà e che si vuole come compimento della Germania oggi”, organizzata dal Goethe-
Institut di Milano in collaborazione con
l’Università degli Studi di Milano, Odo
Marquard ha tenuto una conferenza dal
titolo: “Il senso delle parole. Il Postmoderno come parte del Moderno”, di cui presentiamo qui di seguito il testo. All’incontro
hanno partecipato Gianni Vattimo e Maurizio Ferraris.
Marquard è noto in Italia per il volume
Apologia del caso (Mulino, Bologna 1991),
curato e tradotto da Gianni Carchia, che
presenta saggi tratti da due raccolte dell’autore, una che s’intitola appunto Apologia del caso, l’altra Congedo dai principi.
È imminente la pubblicazione di un’altra
opera di Marquard, sempre a cura di Carchia, dal titolo: Aesthetica und Anaesthetica, in cui Marquard parla lungamente della questione moderno e postmoderno. Il
pensiero di Marquard si era tuttavia già
imposto all’attenzione degli studiosi italiani con un saggio sull’imprescindibilità delle scienze dello
spirito, apparso nel volume Filosofia ‘87 (Laterza, RomaBari 1988), curato da Gianni
Vattimo, in cui Marquard proponeva un’apologia delle scienze dello spirito. In breve, le
scienze dello spirito non verrebbero distrutte dalle scienze
della natura, ma al contrario
troverebbero la loro ragione nel
trionfo stesso delle scienze della
natura, che conduce necessariamente, per dirla con
Habermas, a quella sorta di “colonizzazione del mondo della
vita”, di inaridimento del mondo della vita, a cui si deve reagire con l’arte di ricreare rapporti con la tradizione. D’altro
canto, già Hans-Georg
Gadamer, in polemica con
Habermas, spiegava che l’ermeneutica non è una dottrina
oscurantista che si vuol legare
alla tradizione, ma si fa ermeneutica proprio quando questa tradizione è interrotta.
A partire da questi presupposti, la maggior
parte dell’impegno teoretico di Marquard
si è successivamente sviluppato nel senso
di uno scetticismo come tentativo di far
valere i diritti degli individui, ma non come
diritti assoluti, in opposizione cioè a una
certa filosofia dell’esistenza. Se l’esistenzialismo ha sempre rivendicato il singolo
come assoluto in una dimensione tragica, il
tentativo di Marquard è quello di rivendicare il singolo in una dimensione scettica.
Questo elogio dello scetticismo, che è anche un elogio del politeismo, si espone
tuttavia non di meno alla critica costante
che si può fare al politeismo come all’individualismo: come possiamo, infatti, far
valer al tempo stesso l’assolutezza dei diritti di un individuo con la convinzione
complementare che questi diritti siano però
ridotti e limitati.
Alle tematiche proposte da Marquard nella
Il senso delle parole:
il Postmoderno
come parte del Moderno
13
CONFERENZA
sua conferenza ha risposto Gianni Vattimo,
che gentilmente ha concesso di presentare
qui una sintesi di questo suo intervento. A
Vattimo si devono vari scritti concernenti
la dialettica moderno/postmoderno. Un
primo intervento molto interessante è quello contenuto in Avventure della differenza
del 1979, che aveva come sottotitolo: Che
cosa significa pensare dopo Nietzsche e
Heidegger. In Nietzsche, più che in
Heidegger, è possibile infatti trovare le
premesse del postmoderno, a patto che si
riesca non solo a leggere Nietzsche attraverso Heidegger, ma a leggere Heidegger
attraverso Nietzsche: questa inversione dell’ordine storico è appunto il significato
ermeneutico centrale dell’esegesi di Nietzsche e di Heidegger proposta da Vattimo,
che arriva a individuare in Nietzsche una
valenza emancipativa che manca in
Heidegger. Una considerazione, questa,
che ritorna in un altro scritto di Vattimo, Il
soggetto e la maschera, del 1974, che
aveva come sottotitolo: Nietzsche e il problema della liberazione. Nietzsche, infatti, è colui che più di ogni altro ha pensato
a che cosa significhi emanciparsi non solo
come volontà o liberazione rispetto alle
Nella filosofia tedesca sembra
che le cose oggi stiano in questo
modo: vi sono sostenitori del
Moderno, sostenitori del Postmoderno e poi ci sono io, dal momento che sono sostenitore sia
del Moderno sia del Postmoderno. E come può essere? Nell’ambito di questa esposizione introduttiva, farò al riguardo tre rapidissime osservazioni: 1. Il Postmoderno non è il contrario del Moderno; 2. Il Postmoderno è una parte del
Moderno; 3. Da dove viene il “post” del Postmoderno?
nostre false credenze, ma anche come liberazione da tutto ciò che in noi vi è di
simbolico. Tuttavia, anche dal punto di
vista dell’emancipazione, restiamo comunque all’interno di una filosofia della storia
molto potente e molto vincolante; di fatto,
sia che la storia la si consideri emancipazione verso il meglio, verso la redenzione,
sia che la si consideri emancipazione da
quella barbarie che può essere la ragione,
restiamo, in ogni caso, sempre all’interno
dell’ossessione di essere sempre situati
storicamente, propria del moderno come
del postmoderno.
Muller, posso essere considerato un nipote di Heidegger,
di cui apprezzo in modo particolare la fenomenologia
dell’ “essere-per-la-morte”. Tuttavia, rispetto a Vattimo,
inclino verso un altro tipo di risposta (ma è da dimostrare
se è davvero “altra”) che si presenta all’incirca come
segue: il Postmoderno non è il contrario del Moderno,
bensì una parte del Moderno. Con una formula approssimativa: Razionalizzazione + Postmoderno (compensante) = Moderno. Ma ciò deve essere spiegato.
Odo
Marquard
Il Postmoderno è una parte del Moderno.
Voglio riferirmi al seguente esito storico: nel
mondo moderno i motivi “postmoderni” sorgono
contemporaneamente a quelle modernizzazioni che sono
le razionalizzazioni, sono coetanei. Vico è quasi contemporaneo di Descartes; Rousseau è contemporaneo di
Turgot; Herder è quasi contemporaneo di Kant; Burckhardt
è quasi contemporaneo di Marx. L’ermeneutica e le
scienze dello spirito si sviluppano contemporaneamente
alle rigide scienze della natura; l’estetica sorge contemporaneamente alla filosofia progressista della storia; lo
storicismo individualizzante si impone contemporaneamente all’industrializzazione; la nostalgia per una natura
inviolata, spinta fino alla sensibilità ecologica, nasce
contemporaneamente alla artificializzazione tecnologica del mondo; e così via. Questa contemporaneità testimonia la coappartenenza che deve essere intesa come
“compensazione” reciproca. Proprio perché il mondo
moderno viene uniformato dalle razionalizzazioni, si
arriva contemporaneamente come compensazione alla
cultura della molteplicità, del variopinto e dell’individuale. Proprio perché nel mondo moderno sbocciano le
universalizzazioni e i livellamenti, si giunge contemporaneamente come compensazione alla congiuntura di
singolarità, particolarità e pluralizzazioni. Di solito sottolineo questa coappartenenza richiamando l’ “essereper-la-morte” dell’uomo. La nostra vita è breve. Per
questo motivo, da una parte non possiamo aspettare la
morte: non ce ne lascia il tempo; siamo condannati alla
velocità. Contemporaneamente, d’altra parte, non possiamo raggiungere granché di nuovo: la morte non ce ne
lascia il tempo; siamo condannati alla lentezza. Il mondo
moderno radicalizza entrambe: velocità e lentezza. Non
possiamo rinunciare a nessuna delle due, tutte e due
fanno parte del mondo moderno: la velocità forzata del
cambiamento e la cultura della lentezza, propria dell’uomo. E per questo che la mia filosofia della brevità della
2
Il Postmoderno non è il contrario del
Moderno. È la paroletta “post” a spingermi a
contrastare il concetto di “Postmoderno”. Non
credo infatti che il motivo, affermato con buone ragioni
dai sostenitori del Postmoderno, di venire “dopo” il
Moderno, ne sancisca la fine e apra a una nuova epoca.
Desidero menzionare alcune di queste ragioni, tra quelle
che anche a me stanno a cuore. Per esempio: il pensiero
ermeneutico ed estetico di contro al pensiero che vuole
controllare; la ragione osservante di contro alla ragione
del dominio; il senso del contingente di contro al senso
dei principi; la pluralizzazione di contro dell’universalizzazione; e così via. Non penso dicevo che questi
motivi vengano “dopo” il Moderno e ne preparino la fine.
E su questo punto come su molti altri mi sembra che
Gianni Vattimo non sia proprio di tutt’altro avviso. In
ogni caso, trovo molto convincente l’argomento che
sviluppa nell’introduzione a La fine della modernità: chi
esalta il Postmoderno come il “nuovo” che abbatte e
oltrepassa il Moderno, elogia il Postmoderno come “progresso” nei confronti del Moderno “progresso” è la
parola centrale del moderno e di conseguenza elogia il
Postmoderno in quanto particolarmente moderno e almeno questo non sarebbe Postmoderno. Ma come deve
essere pensato il rapporto tra Postmoderno e Moderno, se
non in questo modo? Vattimo risponde ricorrendo a
Nietzsche e Heidegger: positivizza la previsione nichilistica di Nietzsche e accetta l’ “oltrepassamento” della
filosofia del soggetto attraverso quello che definisce il
“pensiero debole”. Anch’io ho un debole per Nietzsche
e Heidegger: quasi sempre, la famiglia Marquard trascorre le proprie vacanze invernali a Sils-Maria e grazie
al mio maestro Joachim Ritter e al mio relatore Max
1
14
CONFERENZA
vita, come filosofia della compensazione del mondo quello che viene sognato è tutt’altro mondo. E il “post”
moderno, accentua quella coappartenenza; proprio per- del Postmoderno incoraggia tale sogno: grazie a questo
ché nel mondo moderno aumentano la velocità dell’in- “post” esso si trasforma nella forma estetica del sogno di
novazione e il ritmo dell’invecchiamento, si arriva con- un futuro antiborghese. Non penso che il rifiuto del
temporaneamente come compensazione all’attenzione carattere borghese sia una virtù, ma un vizio cui si deve
per le lentezze, le continuità, le tradizioni, le varietà, resistere con coraggio civile: con il coraggio del carattere
come motivi del “postmoderno”, grazie anche al “pen- borghese. Si disincanta, così, anche la discussione sul
siero debole” del “senso storico”. Il mondo moderno non Postmoderno e si rafforza quella tesi che ho cercato di
è unidimensionale, bensì un mondo dalla doppia vita, dal propugnare: il Postmoderno è legittimo non come condoppio pensiero e va bene così. Agisce infatti come troparte ma come parte del Moderno, che a sua volta non
divisione dei poteri e liberalizzazione della realtà. Chi deve essere negato, bensì accettato. (Trad. it. di C.A.)
osserva soltanto le razionalizzazioni e spiega il mondo
solo a partire da esse, oppure chi vuole trovare solo le
pluralizzazioni e crede di poterle trovare solo al di fuori Gianni
Rispetto a molta filosofia tee “dopo” il mondo moderno, come postmoderno: costui Vattimo
desca, il pensiero di Marquard
dimezza la percezione del mondo moderno e può allora
si presenta come un pensiero,
facilmente maledirlo.
se non debole, certo leggero e
E’ necessario cogliere entrambe le tendenze del mondo
duttile. La concezione dell’immoderno e vedere che le razionalizzazioni moderne non
prescindibilità delle scienze
solo hanno bisogno come compensazione delle sensibidello spirito nella modernità,
lizzazioni moderne (presunte postmoderne), per così
che è anche la base dell’affinidire, del postmoderno come l’ “altra parte del moderno”.
tà che Marquard individua tra
Ma anche, al contrario, che le sensibilizzazioni hanno moderno e postmoderno, dà un contributo importante
bisogno delle razionalizzazioni e vivono di esse. Senza alla determinazione di quest’ultimo.
la continuazione delle modernizzazioni, il Postmoderno So bene che per certi stili di riflessione filosofica questa
non è vitale: senza le prestazioni obiettivanti del soggetto problematica pare secondaria, perché dissentono da una
non c’è pensiero debole; senza universalizzazioni non concezione della filosofia che sia intesa, hegelianamenc’è pluralismo: senza progresso non c’è varietà alcuna. te, come il proprio tempo colto con il concetto. D’altra
In questo modo sono possibili entrambe le posizioni: parte, concepire la filosofia come ontologia della attuaquanto più moderno diventa il mondo, tanto più inevita- lità è un modo di recepire non solo Hegel, ma anche
bile diventa il Postmoderno e non come sua fine, bensì Nietzsche e Heidegger. E’ un modo di intendere la
come suo elemento costitutivo. E ancora: quanto più ricerca del senso dell’essere come rinvenimento di una
inevitabile diventa il Postmoderno, tanto più quest’ulti- provenienza storica ed eventuale, e non come definiziomo ha bisogno delle razionalizzazioni modernizzanti del ne di una fondazione assoluta, di princìpi primi, o di una
mondo moderno come sua condizione di vita.
struttura originaria dell’esperienza, universale perché
metastorica. Heideggerianamente, chi definisce l’essere
Da dove viene il “post” del Postmoderno? come potenza o atto, o come principio strutturale, contriSe allora il Postmoderno non viene “dopo” il mon- buisce all’oblio metafisico; e la vera parola filosofica
do moderno, bensì è dall’inizio “nel” mondo mo- incomincia solo quando si discorra del senso dell’essere
derno come suo necessario elemento costitutivo, perché in quanto eventuale, storico e destinale, cioè come accaesso viene cercato al di fuori, cioè dopo il mondo moder- dimento e non come struttura oggettiva e stabile. Ora, è
no, come un’epoca a sé, che subentra al Moderno? Detto solo in questa seconda prospettiva che acquistano valore
altrimenti: da dove viene questo “post”?
nozioni come moderno e postmoderno, inutili per la
Sono dell’idea che ciò dipenda dal fatto che si vuole filosofia come ricerca di princìpi primi o come definiziosuperare la “società borghese”. La società borghese ne di modi necessari dell’esperienza. Una filosofia senviene considerata come un mondo falso: incoraggia il sibile al postmoderno si configura (ed è il caso di molta
“medio” rispetto agli estremi, le correzioni minime riflessione novecentesca) come una meditazione sulrispetto alle grandi messe in questione, il quotidiano l’epoca o come una sorta di sociologia filosofica.
rispetto all’avventura, il regolare rispetto al sublime, Concordo poi pienamente con Marquard circa la definil’ironia rispetto al radicalismo, l’ordinamento rispetto zione dell’aspetto postmoderno della modernità come
al carisma, il normale rispetto all’enorme. Così il riscatto della dimensione simbolica nella nostra società.
mondo borghese anche perché i vantaggi di vita che L’appello alla imprescindibilità della retorica, nel senso
reca sono ritenuti ovvi non sembra molto eccitante, vichiano, o alla liberazione del simbolico, cioè il venire
bensì mediocre, noioso, alquanto ordinario e senza in luce di una autonomia della dimensione simbolica
attitudine per lo stato d’eccezione. E’ per questo che come essenziale complemento del dominio delle scienze
lo si giudica male e lo si vorrebbe superare: non della natura e della tecnologia, è un elemento imprescinsoddisfa il nostro bisogno di eccezionalità.
dibile per la legittimità del postmoderno, quale che ne sia
Certamente, non penso che questo parli contro la società la valutazione nel quadro di una eventuale antitesi col
borghese, bensì contro il bisogno di eccezionalità, contro moderno. E si tenga presente che gli aspetti retorici del
la smania della situazione eccezionale. Insomma, è ra- postmoderno sono strettamente dipendenti dalla tecnogionevole chi evita lo stato d’eccezione. Nonostante ciò, logia e razionalizzazione scientifico-tecnica del mondo
3
15
CONFERENZA
Gianni Vattimo
moderno, tanto che si potrebbe forse obiettare a Gadamer
un atteggiamento troppo antitetico rispetto alla razionalizzazione tecnologica del moderno, in nome del ritrovamento di una retorica sociale che sarebbe dominio dell’ermeneutica. Anche muovendo da Heidegger, credo
che sia possibile mostrare una stretta complementarità
fra l’emergere delle scienze dello spirito (e quindi della
verità dell’ermeneutica), e condizioni tecnologiche, che
non riguardano semplicemente il dominio della natura,
ma le forme della comunicazione. Il mondo della comunicazione è anche il mondo in cui diviene possibile
l’ermeneutica.
A Marquard, però, domanderei questo. Quando parla di
un principio di compensazione per cui “si deve” bilanciare la razionalizzazione con la retorica, e la tecnologia
con i simboli, vien fatto di pensare che questa esigenza
di equilibrio si collochi per lui entro uno spazio metafisico, quasi che si trattasse di un equilibrio della natura
umana in generale. Se, d’altra parte, questo equilibrio
non è naturale né strutturale, vuol dire che è maturato
nella modernità, ossia che è, a sua volta, divenuto. E’
dunque verissimo che il postmoderno è una parte del
moderno, ma si impone anche il problema, maggiore, di
una filosofia della storia che giustifichi questa provenienza senza far ricorso a orizzonti necessitanti o a
strutture stabili. In questa prospettiva, il postmoderno ha
senso come tentativo di fare emergere una posizione non
metafisicamente fondata ma storicamente argomentata.
Sarebbe ad esempio assurdo pretendere di definire il
pensiero debole come la descrizione corretta di un essere
che è oggettivamente debole, diversamente dall’essere
forte della metafisica. Il problema (e la differenziazione)
non sta nell’essere, ma nel modo in cui lo si argomenta;
e la ricostruzione interpretativa di un processo di provenienza è il modo di argomentare razionale caratteristico
della postmodernità in quanto è parte del moderno.
16
AUTORI E IDEE
AUTORI E IDEE
Tempo e cesure del pensiero:
Patrice Loraux.
Nonostante si tratti di una raccolta di
articoli già pubblicati, con il suo ultimo lavoro, LE TEMPO DE LA PENSÉE (Il
tempo del pensiero, Seuil, Parigi 1993),
Patrice Loraux ha suscitato un notevole interesse e, soprattutto, ancor più
sorprendenti elogi, come se si trattasse di un’opera scritta secondo un progetto preciso, con un intento unitario.
Di fatto ciò che piace della proposta di
Loraux è lo sforzo di “mettere in scena
il pensiero”, di esibirne le cesure, le
pause, gli intoppi che appunto ne costituiscono il “tempo”.
Il pensiero, secondo Patrice Loraux, si
apre spesso davanti a voragini, a salti, a
rischi che non vuole (o non può) dire:
preso in una tensione di paura e di audacia, il pensiero si paralizza, si cristallizza in un “sistema” chiuso, garantito, legittimato, in cui predomina la sostanziale identificazione con se stesso. Il pensiero non osa, ingannato da paradossi di
zenoniana memoria, non conosce il movimento autentico: fa passi falsi, s’intoppa, inciampa in tranquille categorie,
nella “diplomazia trascendentale”.
Loraux si sporge invece al di sopra di un
pensiero che non si fa prendere dalla paura
e che coglie i propri vertici di senso proprio
nei momenti di arresto, davanti all’ “intrattabile”, all’indicibile, all’eterogeno che
bussa alla porta del pensiero, ma il timore
del quale gli impedisce di entrare. Il pensiero audace di Loraux sembra richiamare
qualcosa come la figura dell’atleta greco,
prestante, energico, coraggioso. D’altra
parte, sottolinea Loraux, il pensiero “atletico” non appartiene a questo mondo: per
evitare l’identificazione del pensiero con
se stesso, non resta allora che differirne
l’esito, puntare all’ineffettivo, al “perdurare” dell’assenza.
In questo Loraux si accompagna al tempo
musicale di diversi autori: Aristotele, Rimbaud, Kafka, Wittgenstein, Desanti ed altri. Aristotele è figura tragica del pensiero;
conscio degli iati e delle cesure del suo
pensiero, per non rinunciare alla sicurezza
del suo sistema categoriale e discorsivo,
l’originaria vacuità del suo discorso sillogistico. La coerenza, la prudenza vietano al
pensiero di prendere velocità. Ma è poi il
pensiero capace di pensare l’eterogeneo, o
non si tratta piuttosto del compiacimento di
pensare l’impensabile, l’indicibile, l’invisibile, senza avvalersi della riflessione, dell’argomentazione, nella spericolata intenzione di rinunciare a pensare? F.M.Z.
Il determinismo di Honderich
Il dibattito sul determinismo si è arricchito ultimamente del nuovo studio di Ted Honderich HOW FREE ARE
YOU ? (Quanto sei libero?, Oxford University Press, Oxford 1993), che formula una posizione determinista per
l’ambito morale a partire dalle credenze del senso comune.
Nel suo nuovo saggio, che è la sintesi del
più particolareggiato A Theory of Determinism: the Mind, Neuroscience, and LifeHopes (Una teoria del determinismo: la
mente, la scienza neurologica e le speranze della vita, 1988), Ted Honderich si
interroga su quale spazio vi sia per la
libertà in un contesto determinista.
Nella sua analisi Honderich prende le mosse dal senso comune, che è costituito da
due credenze: la prima presume un realismo ingenuo, cioè l’esistenza di un mondo
a noi esterno, retto da leggi causali, identiche a quelle che regolano il nostro corpo
e la nostra mente; la seconda afferma che
ognuno di noi compie volontariamente le
proprie azioni.
La prima credenza comporta, in campo
antropologico, il rifiuto della nozione di
libero volere e l’adozione del determinismo, in quanto ritiene che la nostra vita
mentale e quella fisica siano semplici maglie di quell’unica catena causale che è il
mondo; una tale concezione è quindi in
contraddizione con l’altra credenza del
senso comune. La tensione tra le due credenze è accentuata dalla chiarezza e dalla
non contradditorietà della posizione determinista, che Honderich formula in connessione con una teoria della mente e del17
l’azione. Una teoria del genere intende
spiegare come i processi mentali, che
consistono di distinti eventi neurali o
mentali, siano effetti deterministici di
altre coppie psiconeurali, di condizioni
ambientali e di altre cause dovute alle
azioni della persona.
Honderich ritiene che la proposta determinista non sia solo intellegibile, ma anche
vera; mentre quella che sostiene il libero
volere sia falsa. Lo sgomento che ci assale
al sapere che non abbiamo alcun influsso
sul nostro futuro può portarci a rispondere
in modo “intollerante”, tentando di escludere il determinismo dalla nostra vita con
l’adozione di una posizione che Honderich chiama “volontaristica”, basata sull’accordo o sul disaccordo della nostra vita
con i nostri desideri e le nostre scelte. La
posizione volontaristica rappresenta, secondo il punto di vista di Honderich, un
palese auto-inganno, teso a salvarci dalla
morsa del determinismo.
L’individuazione della posizione volontaristica permette ad Honderich di svelare
l’assunzione scorretta che sta alla base
della disputa tra Compatibilisti e Incompatibilisti. I primi reputano che esista una
nozione di libertà di scelta e di azione
compatibile con la posizione deterministica; i secondi non lo credono. Ma l’unico
modo possibile di pensare la libertà di
azione o di scelta è nei termini della sua
volontarietà, cioè della sua consonanza o
dissonanza con le scelte dell’agente. Ciò
fa sì, osserva Honderich, che la nozione di
libertà non possa essere compatibile con il
determinismo.
In conclusione Honderich ritiene che l’unica scelta che risolva il dilemma tra sgomento e intolleranza sia quella di vivere in
modo “affermativo”, cioè adattandoci allo
spazio vitale che la dimostrazione della
verità del determinismo ci ha concesso,
prendendo a cuore le indennità che esso
potrebbe offrirci. Tuttavia, l’adozione di
una filosofia di vita determinista ha conseguenze anche sociali e politiche, ad esempio il decadimento di istituzioni come quella della punizione, che si basano sul convincimento che gli individui originano i
loro atti liberamente. M.G.
AUTORI E IDEE
Martin Heidegger
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AUTORI E IDEE
Incontri con Heidegger
A cinque anni dall’accesa polemica,
suscitata dal saggio di Victor Farias,
sul trascorso nazista di Martin
Heidegger, Frédéric de Towarnicki in
À LA RENCONTRE DE HEIDEGGER . SOUVENIRS
D’UN MESSAGE DE LA FORÊT NOIRE (I miei
incontri con Heidegger. Ricordi di un
inviato nella Foresta Nera, Gallimard,
Paris 1993) ci fornisce un resoconto
pacato delle sue conversazioni con
Heidegger a partire dal 1945. Questo
resoconto, oltre a restituirci il clima
culturale in cui l’opera di Heidegger fu
recepita in Francia, ne costituisce una
insolita introduzione per il tentativo di
de Towarnicki di chiarire, sulla base di
una concreta esperienza, il controverso rapporto tra il pensiero di un filosofo e il contesto storico in cui viene a
svilupparsi.
“Ammaliato” dalla lettura di Che cos’è la
metafisica?, saggio accolto in Francia in
senso esistenzialistico, Frédéric de Towarnicki, un giovane animatore culturale delle
forze d’occupazione francesi nella Foresta
Nera al termine del secondo conflitto mondiale, si reca nell’autunno del 1945 sulle
alture di Friburgo, dove Heidegger si era
ritirato in isolamento dopo essere stato
accusato di essersi compromesso col regime hitleriano per aver accettato nel ’33
l’incarico di Rettore dell’Università di Friburgo e per aver pronunciato, in occasione
dell’inaugurazione dell’anno accademico,
un discorso che fu recepito come un’appassionata apologia del nazionalsocialismo.
Col pretesto di consegnargli alcuni articoli
di Jean Beaufret sul suo conto, de Towarnicki stabilisce con Heidegger quel contatto
che gli era indispensabile per capire meglio
la collusione tra filosofia e storia nell’esperienza di un pensatore ormai divenuto in
Francia un punto di riferimento in ambito
esistenzialista.
A distanza di quasi cinquant’anni, ripercorrendo le note raccolte in un suo diario,
de Towarnicki racconta, nella prima parte
del suo lavoro, gli episodi e le conversazioni avute con Heidegger. Innanzitutto il tentativo di combinare un incontro tra questi e
Sartre per creare un dibattito sull’esistenzialismo in un centro culturale dell’armata
francese. Il 1945, ricorda de Towarnicki, fu
uno degli anni più difficili dell’intera esistenza di Heidegger, il quale si trovava in
quel momento a dover rendere conto della
propria compromissione con il regime nazista. Un modo per rompere l’isolamento
in cui egli allora si trovava, dovette forse
sembrare a Heidegger proprio quello di
avvicinarsi ai filosofi francesi, anche se già
erano falliti in quello stesso periodo i tentativi di contattare il fondatore della “Revue
d’histoire de la philosophie”, Emile
Bréhier e La Salle.
In una lettera a Sartre, recentemente rinvenuta, datata 28 ottobre 1945, Heidegger,
che aveva ricevuto da de Towarnicki una
prima copia dell’Essere e il Nulla, si esprime in termini insolitamente entusiastici nei
confronti di Sartre, definendolo «un pensatore indipendente». In particolare, gli sembra di ravvisare una condivisione di principi e riconosce a Sartre il merito di aver
compreso a fondo il senso del suo filosofare. Ritiene inoltre di poter avallare le critiche mosse da Sartre ai concetti di Mitsein
(essere-con) e di morte e auspica ad un
incontro, durante il quale poter chiarire le
questioni essenziali che ancora lo assillano dopo la pubblicazione di Essere e Tempo, che egli considera solamente un tratto
di un cammino ancora tutto da percorrere
verso le origini del pensiero occidentale. A
questo scopo Heidegger prega Sartre di
fargli pervenire un’ulteriore copia della
sua fatica, al fine di potervi ancora lavorare in vista di una discussione che li avrebbe
condotti sulle tracce del pensare, quale
evento fondamentalmente storico, in grado di condurre l’uomo ad un rapporto
originario con l’essere.
Ma l’incontro, una sorta di “vertice del
pensiero filosofico”, che avrebbe permesso loro di indagare a fondo le radici e il
senso dell’essere che si cela nelle profondità abissali del nulla, non ebbe luogo a causa
di ostacoli politici e burocratici. Si dovrà
attendere il 1952 per poterne di nuovo
parlare; le circostanze però saranno allora
profondamente mutate. Heidegger soprattutto non sarà più disposto a riconoscere in
Sartre quel Weggenossen (compagno di
viaggio) da cui si congedava al termine
della lettera del ’45, e ancor meno disposto
a concessioni teoriche nei confronti dell’esistenzialismo francese. Non a caso saranno allora già stati pubblicati il saggio
sartriano L’esistenzialismo è un umanismo
e la chiara presa di posizione in merito,
contenuta nella heideggeriana Lettera sull’umanismo.
Heidegger ribadì l’estraneità del proprio
pensiero all’esistenzialismo e l’abissale
distanza che intercorre tra il principio sartriano fondamentale, “l’esistenza precede
l’essenza” e l’affermazione di Essere e
Tempo, “l’uomo esiste”: la tesi di Sartre
rimarrebbe nell’ambito della metafisica,
in quanto ancorata a categorie tradizionali,
anche se ne inverte l’ordine gerarchico; il
concetto heideggeriano di “esistenza” invece farebbe saltare le dicotomie tradizionali, poiché rinvia al modo di essere dell’uomo come “progetto” e “gettatezza”.
Heidegger, d’altra parte, aveva già spiegato tutto questo a de Towarnicki negli anni
che precedettero l’incontro-scontro con
Sartre. Questo dialogo “ineguale” tra
“maestro” e “discepolo” è emblematico
del modo in cui il sostenitore della differenza ontologica concepisce lo svolgersi
del pensiero. De Towarnicki ritorna con
insistenza su quell’interrogativo che non
smette di inquietarlo e che conferisce al
suo lavoro il valore di un documento:
l’episodio del rettorato. Salutando inge19
nuamente gli avvenimenti del 1933 come
segni di un “risveglio nazionale” che avrebbe sollevato il popolo tedesco dalla miseria e dal caos sociale, Heidegger riconosce che si lasciò persuadere dai suoi
colleghi dell’Università ad assumere la
carica di Rettore per contribuire al processo di rinnovamento in corso. Infatti,
resosi conto dell’inganno, dopo vari
scontri con le autorità naziste, diede le
dimissioni subito all’inizio del 1934.
La seconda parte del volume di de Towarnicki raccoglie le sue conversazioni con
Jean Beaufret dal 1976 al 1981, dopo la
morte di Heidegger. Questi colloqui sono
per Beaufret occasione per approfondire il
pensiero del filosofo tedesco: la sua complessa relazione con Husserl, la sua comprensione di Marx, il suo distacco dalla
fenomenologia, il dialogo con i poeti. In
questo modo Beaufret rende comprensibile l’opera di Heidegger al di là della versione esistenzialistica francese. Utilizzando le
risorse della lingua greca e i limiti di quella
tedesca e francese, Beaufret riesce infatti a
tradurre da una lingua all’altra la complessità della terminologia heideggeriana, senza per questo perdere la “poesia” in cui, a
suo dire, consiste la filosofia di Heidegger.
La discussione, in Francia, intorno alla
vicenda politica di Heidegger è stata d’altro canto in parte alimentata anche dalla
recente traduzione francese di una raccolta
di saggi di Leo Strauss, pubblicati con il
titolo: La renaissance du rationalisme politique classique (La rinascita del razionalismo politico classico, a cura di Thomas L.
Pangle, trad. fr. di Pierre Guglielmina,
Gallimard, Paris1993), in uno dei quali, in
particolare, viene appunto condotta un’analisi del pensiero heideggeriano in relazione
ai suoi risvolti politici.
Pur considerando il filosofo “il più grande
pensatore della nostra epoca” per aver pensato la crisi della modernità e rivalorizzato
il pensiero greco, Strauss individua nel
“disprezzo della ragione” e nell’elogio della decisione le premesse ideologiche determinanti dell’adesione di Heidegger al nazismo. Punto di partenza dell’analisi di Strauss
è la constatazione della crisi spirituale del
razionalismo moderno, del crollo della fede
nella razionalità e nel progresso della storia
dell’uomo e della società, crisi che l’ultima
versione del relativismo, lo storicismo,
esprimerebbe e di cui Heidegger sarebbe il
rappresentante più autorevole. La crisi spirituale della modernità si manifesterebbe
appunto nella credenza in un’umanità senza una sua precisa natura, senza norme
universali; convinzione che pregiudicherebbe le possibilità della ragione di far luce
sulle questioni più importanti della condizione umana. E’ invece attraverso un tipo
di razionalità basata sull’atteggiamento
socratico di esame continuo delle evidenze
abitualmente accettate che Strauss valuta il
pensiero heideggeriano nelle sue implicazioni politiche, restituendocene tutta la sua
problematicità. N.C./A.M.
AUTORI E IDEE
“Sulle Idee” di Aristotele
Prendendo spunto da molte questioni lasciate aperte dal suo maestro G.
E. L. Owen in un famoso articolo del
1957, Gail Fine analizza, nel suo recente ON IDEAS. ARISTOTLE’S CRITICISM OF
PLATO’S THEORY OF FORMS (Sulle idee. La
critica di Aristotele alla teoria delle
forme di Platone, Claredon Press,
Oxford1993), le confutazioni della teoria platonica delle forme da parte del
giovane Aristotele; in particolare vengono analizzate quelle confutazioni
che fanno leva sulle considerazioni di
Platone circa i predicati relativi.
Il saggio di Gail Fine dedicato al trattato
aristotelico Sulle Idee sembra destinato a
restare per lungo tempo un riferimento
fondamentale per gli studiosi di lingua
anglosassone, proponendosi come una
delle più acute e profonde discussioni del
pensiero di Aristotele, sulla scia delle
riflessioni di G. E. L. Owen, che si era
proposto di comprendere l’insegnamento
di Aristotele su Platone suggerendo di
interpretare la teoria aristotelica delle idee
come una semantica atomistica.
Dello scritto Sulle Idee, che Aristotele
scrisse quando era un giovane allievo di
Platone, sono giunti fino a noi solo i frammenti e i riassunti presenti nel commento
alla Metafisica di Alessandro di Afrodisia; in esso Aristotele dapprima espone
tutte le argomentazioni platoniche a sostegno della teoria delle idee e poi le confuta.
Le obiezioni espresse nel testo aristotelico
sono sempre state adombrate dalle profonde critiche che Platone stesso elaborò contro la sua teoria delle idee, come ad esempio testimonia il Parmenide.
La principale preoccupazione di Platone
era che l’imperfezione del mondo sensibile non fosse dovuta tanto all’essere soggetto al divenire o all’essere molteplice,
quanto all’esistenza di enti che partecipano a idee come quella di giustizia, di bellezza o di generosità e insieme ai loro
opposti. Questa preoccupazione di Platone porta Fine, come in precedenza Owen,
a privilegiare quella linea argomentativa
del saggio aristotelico Sulle Idee che fa
riferimento ai predicati relativi.
Tuttavia, pur adottando essenzialmente la
linea argomentativa di Owen, Fine non ne
condivide la lettura delle idee come atomi
semantici e non ritiene che esse siano
soggette al criticismo aristotelico così come
viene proposto da Owen e da Gregory
Vlastos. Inoltre, Fine riesce a risolvere
innumerevoli, recalcitranti difficoltà tecniche lasciate aperte dal saggio di Owen,
utilizzando i metodi della tradizione analitica: la scomposizione dettagliata delle
argomentazioni e la classificazione delle
distinzioni.
Purtroppo, proprio l’obiezione aristotelica circa i predicati relativi non risulta adeguatamente sviluppata da Fine, la quale,
prigioniera della prospettiva linguistica,
non coglie il cuore dell’argomentazione.
Aristotele obietta ai seguaci di Platone che
essi «usano dire che non ci sono idee per i
relativi», pur affermando l’esistenza sussistente delle idee, in contraddizione con
quanto affermato dai testi platonici, che
asseriscono l’esistenza delle idee di relativi come uguale, largo ecc.. Fine risolve il
disaccordo in cui incappa Aristotele decretando che la frase aristotelica «essi usano dire che ....» può essere sostituita, senza
che vi sia un cambiamento di significato,
in quella: «essi si impegnano logicamente
in modo che non ci sono idee per i relativi». Ma la soluzione proposta da Fine ci
propone l’immagine di un Aristotele che
nella migliore delle ipotesi formula una
obiezione non pienamente convincente,
oppure, nella peggiore, non sa neanche
quello che sostengono i suoi avversari.
Se usciamo dall’ambito puramente analitico e consideriamo la condizione storica
in cui lo scritto aristotelico fu redatto,
l’argomentazione di Aristotele non appare
più implausibile, ma coglie nel segno, essendo rivolta ai seguaci di Platone che
avevano riflettuto sulle obiezioni presenti
nel Parmenide, ove veniva correttamente
rifiutata l’esistenza di relativi evidenti come
quello di servo-padrone. Aristotele osserva che non esistono solo predicati relativi
espliciti, ma anche impliciti come uguale,
largo ecc., di cui bisogna ammettere senza
dubbio l’esistenza. Ciò costringe i seguaci
di Platone al silenzio sull’esistenza dei
predicati relativi, pena una palese autocontraddizione. M.G.
La filosofia della storia
di Georg Picht
La riscoperta di un autore come Georg Picht, le cui idee, malgrado la
larga risonanza di cui godettero mentre egli era ancora in vita, sono andate
a confinarsi in un ristretto ambito di
conoscitori, appare oggi in Germania
come un compito non più procrastinabile, e comunque ormai decisamente intrapreso. La pubblicazione delle
opere complete di Picht è infatti giunta ormai al IX volume, dal titolo: GESCHICHTE UND GEGENWART. VORLESUNGEN
ZUR PHILOSOPHIE DER GESCHICHTE (Storia e
presente. Lezioni sulla filosofia della
storia, Klett-Cotta, Stuttgart 1993),
che segue di poco quella dell’ VIII,
ZUKUNFT UND UTOPIE (Futuro e utopia,
Klett-Cotta, Stuttgart 1992). Enno Rudolf, che ha redatto l’introduzione di
quest’ultimo volume, si è anche ass unt o, a ss ie me a C ons t anz e
Eisenbart, la cura editoriale del volume, offrendo una redazione dell’opera di Picht particolarmente attenta alla compilazione degli indici.
20
L’opera di Georg Picht rientra in quell’ambito di riflessione su problematiche
filosofiche fondamentali che si può situare
tra la concezione teorica di Theodor W.
Adorno e quella di Hans Jonas. Al primo
l’accomuna l’interesse per la tradizione
del pensiero filosofico coniugato con le
domande inerenti al campo dell’etica, dell’estetica e della teoria della conoscenza;
al secondo l’avvicina l’interesse spiccato
e dichiarato per le tematiche ecologiche e
per la questione della capacità dell’uomo
di far fronte a quel futuro che egli stesso
predispone.
A questo proposito, ben diversamente da
un filosofo puro come Jonas, con cui
condivide comunque i presupposti del
“principio responsabilità”, Picht ha voluto unire all’impegno teorico anche una
certa attività pratica, che lo ha visto tra i
promotori di iniziative pacifistiche e di
appelli rivolti ad un nuovo ordine economico nazionale.
In questo tratto personale si esprime la
convinzione di Picht secondo cui tra teoria
e prassi, tra ragione e impegno politico
deve esserci un legame, il cui riconoscimento impone di riconquistare quel rapporto con la storia che l’uomo moderno
sembra aver smarrito. La separazione tra
storia e natura, compiuta in età moderna
con l’avvento della scienza e della tecnica,
deve essere superata e al disincanto del
mondo deve opporsi una nuova volontà di
rivolgere il pensiero a quella visione unitaria del tutto che è andata smarrita.
Il problema della responsabilità, poi, occupa in Picht un posto importante nella
definizione del ruolo e dell’essenza umana. Secondo Picht, l’uomo non si comporta responsabilmente in quanto ente
dotato di ragione, come era nella tradizione del pensiero, ma, al contrario, egli
si rivela dotato di ragione solo in quanto
opera responsabilmente. Inoltre è necessario, avverte Picht, un “salto qualitativo” dalle “cieche utopie” del passato,
che si basavano su una comprensione
ancora ingenua della tecnica, alle “utopie rischiarate” del futuro, in cui la progettualità scientifica viene a subordinarsi ad una politica riflessivamente orientata in senso etico. In tal modo Picht si
tiene lontano dalle formulazioni più radicalmente critiche della Scuola di Francoforte, ritenendo comunque che scienza e tecnica non contengano in sé gli
elementi di una propria dialettica catastrofica; anzi proprio la costruzione di
un “mondo artificiale” è semmai in grado di disarmare le loro potenzialità distruttive. G.B.
AUTORI E IDEE
Paul Feyerabend
In ricordo di Paul K. Feyerabend
«Intendo scrivere un’autobiografia, il
cui titolo sarà AMMAZZANDO IL TEMPO,
poiché, sfortunatamente, gran parte
della mia vita si è risolta in un inutile
ciondolare ed aspettare. Ma dopo, te
lo prometto, starò zitto e manterò il
silenzio per sempre.» Così Paul Feyerabend, ispirato da un oscuro presentimento, concludeva una delle sue
opere più recenti, il DIALOGO SUL METODO
(ed. it. 1988), con la promessa di un
ultimo lavoro al quale sarebbe seguito il silenzio. Di fatto, dopo aver ultimato l’autobiografia, di prossima pubblicazione presso l’editore Laterza, il
13 febbraio 1994, Paul Karl Feyerabend si è spento in Svizzera all’età di
settant’anni.
«Non ho una filosofia, se per filosofia
s’intende un corredo di principi uniti alle
loro applicazioni, oppure un immutabile
atteggiamento di fondo. In un altro senso
ho anch’io una filosofia, una visione del
mondo, ma non so esporla in modo lineare,
si mostra da sola; è soggetta a mutamenti
ed è più una disposizione che una teoria, a
meno che per teoria, non si intenda una
storia il cui contenuto non è mai identico.»
Con queste parole Paul Feyerabend ha
siglato la sua posizione di libero pensatore di fronte alle pretese dogmatiche sia
della scienza , sia della filoso fia.
Conosciuto al grande pubblico per la stesura di Contro il metodo, arrivato in Italia nel
1979 con la presentazione di Giulio
Giorello, Feyerabend si è sempre mostrato
un dissacratore della metodologia scientifica, inadatta e strutturalmente impossibilitata
a raggiungere qualsiasi risultato attendibile.
La scienza, secondo Feyerabend, si muove
nello spazio infinito dell’inganno, delle astuzie e dei trucchi propagandistici che svuotano il metodo di qualsiasi validità. Ricordiamo, ad esempio, quelle pagine di Contro il
metodo in cui l’epistemologo ha smantellato
la dimostrazione del sistema copernicano da
parte di Galileo. Il fondatore del metodo
scientifico moderno, secondo Feyerabend, è
riuscito ad imporre all’attenzione comune il
sistema copernicano non tanto grazie alla
efficacia razionale delle proprie argomentazioni, bensì grazie all’uso massiccio di una
forte propaganda e di opportune ipotesi
che, collocate di fianco alle proprie argomentazioni, hanno finito per persuadere
l’opinione pubblica della validità del sistema eliocentrico.
Galileo, però, non è stato il solo difensore del
metodo attaccato da Feyerabend. Bersaglio
del filosofo austriaco è stato anche il maestro
Popper, padre del falsificazionismo. Anche
in questo caso, secondo Feyerabend, ci troviamo di fronte ad una pseudometodologia
che non funziona. La storia ha insegnato che
diverse teorie falsificate sono state riprese
21
successivamente. Per di più la giustificazione della scoperta scientifica non avviene,
come voleva Popper, secondo criteri razionali, ma sempre e comunque grazie a questioni estetiche, di gusto e di propaganda. La
scienza è, così, descritta come un’impresa
essenzialmente anarchica, in cui qualsiasi
criterio, di scoperta e di giustificazione, entra
in gioco: anything goes, qualsiasi cosa può
andar bene, questo diventa l’unico criterionon criterio che, secondo Feyerabend, caratterizza di fatto l’epistemologia.
Ma la ribellione al metodo scientifico è stata
ancora più radicale. Pur sprovvista di una
metodologia specifica e pur facendo spesso
uso di elementi irrazionali come il gusto o la
propaganda, la scienza si è da sempre arrogata il diritto di controllo sulla verità. Figlia del
razionalismo classico di Parmenide e Senofane, la scienza, secondo Feyerabend, si è
mostrata, lungo i secoli, come il dogma
tirannico e implacabile che, come la religione, ha imposto le sue regole e i suoi risultati.
Per questo, dopo aver accuratamente smascherato la struttura della scienza, Feyerabend ha insistito lungamente sulla necessità
di dare ascolto a tutte quelle tradizioni che
hanno voce nella società. Sono da ricordarsi,
ad esempio, le appassionate difese dell’astrologia come delle medicine alternative che
difficilmente hanno trovato spazio nelle società dominate dalla Scienza. Infatti, il criterio che rende una società veramente libera si
manifesta nel rispetto della molteplicità del-
AUTORI E IDEE
le tradizioni culturali radicate non tanto in
un acritico relativismo quanto nel terreno
comune della tolleranza, unico “valore” di
cui Feyerabend si è sempre sentito portatore. Per questo una lettura superficiale di
Feyerabend porta all’interpretazione di un
nichilismo di fondo che è però superato
dalla sua continua tensione verso quella
“società libera”, in cui tutti possono parlare
ed esprimere le propie tradizioni senza
prevaricarsi in alcun modo.
Contestati i principi assoluti della Scienza,
del Metodo e della Verità, che cosa resta al
libero pensatore? «Restano soltanto i giudizi
estetici, di gusto e i nostri desideri soggettivi»: così Feyerabend lascia come criterio
ultimo quello della desiderabilità. Ma attenzione: questo non implica fedeltà assoluta
ai propri desideri soggettivi! Il libero pensatore è sempre disposto a cambiare idea, a
dedicarsi con leggerezza a tutte quelle piccole cose, quei piccoli piaceri quotidiani
che soddisfanno l’individuo e lo distraggono dal dogma della Verità. Ecco il dadaismo di Feyerabend! Ecco il suo prendere
leggermente qualsiasi posizione, anche le
proprie, e l’essere sempre disposto a metterle in discussione. Feyerabend è stato
realmente un libero pensatore ed un dadaista: forse in pochi altri filosofi troviamo una
così profonda corrispondenza tra lo stile di
vita e l’impostazione filosofica. Il vero dadaista non dipende da nessun padrone, reale
o ideologico che sia, e non subisce mai
l’autorità, intesa come criterio assoluto, neppure dei propri pensieri. Pur con il rischio di
apparire paradossale Feyerabend conduce il
suo dadaismo a conseguenze estreme. Definendosi libero pensatore, il filosofo austriaco ha messo addirittura in discussione la
paternità delle proprie idee e il suo considerarsi “soggetto” nel senso cartesiano del
termine. Parlando di se stesso una volta ha
scritto: «di tanto in tanto ho avuto dei pensieri che credevo fossero miei. Chi non è stato
vittima di questa illusione?».
Bibliografia delle opere principali
Problems of Empiricism I,in Colodny (a cura di),
Beyond the Edge of Certanity, 1965; trad. it. di A. M.
Sioli, I problemi dell’empirismo I, Lampugnani Nigri, Milano 1971.
On the Improvement of the Sciences and of the Arts
and the possible Identity of the two, in Boston Studies
of the Philosophy of Science, vol. III (In memory of
N. Hanson), Dordrecht Reidel, 1968, pp. 387-415.
Problems of Empiricism II, in Colodny (a cura di),
The Nature and Function of Scientific Theory, 1969;
trad. it. di A. M. Sioli, I problemi dell’empirismo II,
Lampugnani Nigri, Milano 1971.
Against Method, in Minnesota Studies of Philosophy of Science, n. 4, 1970; trad. it. Contro il
metodo, Lampugnani Nigri, Milano 1973.
Consolation for the Specialist, in AA.VV., Criticism
and the Growth of Knowledge, a cura di J. Worral e
E. Zahar, 1974 (1970); Consolazioni per lo specialista, in Critica e crescita della conoscenza, a cura di
G. Giorello, Feltrinelli, Milano 1979 (1976).
Against Method. Outline of an anarchistic Theory of
Knowledge, 1975; trad. it. Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, a cura
di G. Giorello, Feltrinelli, Milano 1978.
Come difendere la società contro la scienza, originale da “Radical Philosophy”, n. 2, 1975, in Rivoluzioni scientifiche, a cura di J. Hacking, Laterza, Bari
1984, pp. 211-228.
Der wissenschaftstheoretische Realismus und die
Autorität der Wissenschaften, 1978; trad. it. di A.
Artosi e G. Guerriero, Il realismo scientifico e l’autorità della scienza, Il Saggiatore, Milano 1983.
Science in a free Society, 1978; trad. it. di L. Sosio,
La scienza in una società libera, Feltrinelli, Milano 1982.
Dialogo sul metodo, originale tratto da Structure
and Development of Science, a cura di RadnitzkyAndersson, 1979; trad. it. di R. Corvi, Laterza,
Bari 1988.
Philosophy of Science 2001, in “Methodology,
Methaphisics and History of Science”, a cura di
Cohen and Wartofsky, Publisching Company, Dordrecht Reidel 1984, pp. 137-147.
Scienza come arte, trad. it. di L. Sosio, Laterza,
Bari 1987.
Farewell to Reason, 1987; trad. it. di M. D’Agostino,
Addio alla ragione, Armando, Roma 1990.
Dialoghi sulla conoscenza, trad. it. di R. Corvi,
Laterza, Bari 1991.
Tocqueville e gli Stati Uniti
Lo storico americano Henry Steele
Commager, nella sua recente monografia COMMAGER ON TOCQUEVILLE (Commager su Tocqueville, University of
Missouri Press, Columbia and London
1993), prende esplicitamente spunto
dalle analisi e dalle acute previsioni
circa il futuro della democrazia di Alexis
de Tocqueville per tracciare un quadro
dell’attuale società americana.
Nel 1831 il giovane magistrato Alexis de
Tocqueville si recò per alcuni mesi negli
Stati Uniti con l’intento di studiarne il
sistema penitenziario. L’esperienza fu così
incisiva che al suo ritorno egli decise di
scrivere La democrazia in America, un
resoconto di viaggio che descriveva la giovane società americana. Del nuovo stato,
Tocqueville, preoccupato del futuro della
libertà in Europa, coglieva come caratteristica essenziale l’uguaglianza che vi regnava, individuandone l’origine nell’istituto
democratico della nazione. L’acutezza del
suo genio politico trasformò così lo scritto
da racconto, quale doveva essere, in uno
dei classici del pensiero liberale. Gli Stati
Uniti divennero lo spunto per parlare della
democrazia, delle sue caratteristiche, dei
suoi pregi e dei suoi difetti; delle conseguenze che essa può avere per i costumi, la
morale, le arti, le relazioni familiari, per il
suo stesso futuro, e dei pericoli e delle
minacce per la libertà che si possono originare in tale ordinamento. Con la sua opera
Tocqueville intendeva così preparare la
Francia e l’Europa al prossimo inevitabile
“trionfo dell’eguaglianza” e alle conseguenze buone e cattive che ne sarebbero
derivate.
Facendo proprio il senso della lezione di
22
Tocqueville, in Commager on Tocqueville
Henry Steele Commager si propone di
descrivere la società americana dei nostri
giorni a partire da quanto a suo tempo potè
osservare il giovane magistrato francese,
mostrando come questi, con la sua lungimiranza e sagacia politica, sia andato ben
oltre quanto poteva a buon diritto riscontrare nella società americana dei primi decenni dell’ottocento. Le considerazioni di Tocqueville, nonostante le soluzioni proposte
non siano sempre soddisfacenti, sono per
Commager ancora attuali.
Affrontando i rapporti tra democrazia e
dittatura della maggioranza, il prezzo della
libertà in una società giusta, le contraddizioni tra uguaglianza politica e uguaglianza economica e i problemi connessi al
centralismo e al federalismo, Tocqueville
osserva che ogni organizzazione sociale
tende per sua natura al centralismo, ma a
questa tensione gli uomini si devono opporre con l’opera politica. Infatti l’accentramento amministrativo, politico e militare mette in pericolo la partecipazione democratica alla vita sociale e politica e porta
alla nascita del Leviatano burocratico. Tocqueville ritiene che il buon governo, l’educazione dei cittadini alla democrazia attraverso la partecipazione, la salvaguardia
della libertà e dell’indipendenza sia garantita dal seppur fragile sistema federale democratico, che è in grado di coniugare
uguaglianza e libertà in maggior grado. Il
giovane magistrato è tuttavia consapevole,
osserva Commager, che la tendenza all’uguaglianza, all’unificazione e all’appiattimento delle opinioni è un fenomeno normale di ogni società e che la libertà e
l’autonomia sono una faticosa conquista,
mai veramente apprezzata, nei fatti, dalla
maggioranza. Peraltro Tocqueville non ritenne utopisticamente che tale forma di
governo fosse adottabile da tutti gli stati.
Infatti, la scelta dell’ordinamento e in particolare di quello critico del federalismo
democratico, dipende da adeguate condizioni storiche, sociali, economiche e geografiche che si sono pienamente realizzate
nel caso degli Stati Uniti.
Di fronte a tale acutezza d’analisi Commager ha buon gioco nel constatare la validità
e soprattutto l’attualità delle argomentazioni di Tocqueville, mostrando come le
istituzioni federali degli Stati Uniti non
abbiano mai messo in pericolo, in due
secoli di esistenza, le libertà fondamentali.
Così, a conclusione del suo studio, come
prospettiva politica per gli anni ’90, Commager chiede agli americani di fare memoria della loro storia, che è essenzialmente la storia di grandi rivoluzioni politiche e pratiche: l’affrancamento delle colonie e la formazione dello stato che ha
decretato l’inizio della fine del colonialismo, la realizzazione del primo stato federale, la fondazione del primo governo democratico sulla base della Costituzione e
la separazione, per la prima volta, tra Stato
e Chiesa. M.G.
AUTORI E IDEE
Ernst Tugendhat:
lezioni di etica
Con il volume VORLESUNGEN ÜBER ETHIK
(Lezioni di etica, Suhrkamp, Frankfurt
a.M. 1993) Ernst Tugendhat intende
offrire un’immagine d’insieme delle
riflessioni da lui dedicate al problema
dell’etica a partire dalla metà degli
anni Settanta.
Formatosi alla scuola di Heidegger, Ernst
Tugendhat si distaccò dal pensiero del
maestro (e in generale dalla filosofia fenomenologica) con l’opera del 1967 Der
Wahrheitsbegriff bei Husserl und
Heidegger (Il concetto di verità in Husserl
e Heidegger). Avvicinatosi alla filosofia
analitica statunitense con Vorlesungen zur
Einführung in die sprachanalytische Philosophie (Lezioni introduttive alla filosofia linguistico-analitica), egli avrebbe successivamente messo al centro della propria
riflessione il problema dell’etica e della
possibilità di una sua fondazione razionale.
I saggi pubblicati nel volume Ethik und
Politik. Vorträge und Stellungnahmen aus
den Jahren 1978 bis 1991 (Etica e politica.
Discorsi e prese di posizione negli anni
1978-1991, Suhrkamp, Frankfurt a.M.
1991; cfr., “Informazione filosofica”, n.
10) rendevano conto degli interventi di
Tugendhat nel campo dell’etica in rapporto
a questioni di interesse attuale e politico.
Le Vorlesungen über Ethik mettono ora il
lettore a confronto con gli aspetti più propriamente teoretici della riflessione di Tugendhat sull’etica.
In Germania l’ambito dell’etica è stato recentemente oggetto dell’interesse di diversi
pensatori: dalle riflessioni di Hans Jonas sul
“principio responsabilità” a quelle di Jürgen Habermas in cui vengono messe in
evidenza le potenzialità etiche di un “discorso libero dal dominio”, fino al neo-aristotelismo e neo-hegelismo di certe correnti della
riflessione sulla “filosofia pratica”.
La riflessione di Tugendhat sembra differenziarsi radicalmente da tutte queste posizioni per il suo approccio ispirato al metodo dell’analisi del linguaggio. Applicando
ai concetti di “bene” e di “buono”, di “azione” e di “norma morale” gli strumenti della
filosofia analitica, Tugendhat critica quella
contrapposizione tra “dovere” e “dover
essere” che nella lingua e nella filosofia
tedesca trova espressione nei due verbi
müssen e sollen. Rispetto all’astratto “dover essere” (sollen) Tugendhat predilige il
più concreto e obbligante “dovere” (müssen), che esprime quel tipo di obbligazione
o dovere che designiamo come “morale”.
Caratteristica di questo dovere è, per Tugendhat, che esso non si definisce in termini di funzionalità rispetto a uno scopo, ma
ha valore di per se stesso. L’agire “morale”
è un obbligo incondizionato; l’azione “buona” trova il proprio fine in se stessa e non in
uno scopo pratico ad essa esterno.
Abituato ad usare gli strumenti critici del-
l’analisi del linguaggio Tugendhat non si
ferma qui, ma pone il problema del rapporto tra piano normativo e piano empirico.
Norme e azioni morali, a cui attribuiamo un
valore incondizionato, non potrebbero derivare - si chiede Tugendhat - da una dimensione empirica, per esempio dalla prassi, dalle usanze e dai divieti di una determinata società? Non sono le norme morali
essenzialmente norme sociali, che vengono rispettate per non andare incontro a
sanzioni di carattere pratico? A ciò Tugendhat risponde distinguendo il piano delle
norme morali da quello delle convenzioni
sociali. La presa di posizione morale, in
altre parole, non si accontenta di fare riferimento a usi e costumi, ma pretende di
essere un giudizio fondato.
Caratteristica della posizione di Tugendhat è il fatto di stabilire un rapporto tra
morale e volontà: la norma morale, in
apparenza assoluta, si rivela essere sul
piano empirico una reazione a una possibile sanzione. Perché tale sanzione venga vissuta come un comando della coscienza morale, è necessario che l’individuo se ne appropri consapevolmente.
Il dovere morale si mostra così come
relativo a una volontà.
Con questa posizione Tugendhat prende
le distanze da un’etica di tipo idealistico-kantiano e dalla fondazione razionalistica dell’etica del discorso di Habermas
e Apel: è nell’ambito della volontà, e
non in quello della ragione, che si fonda
la moralità. L’atto immorale non è un
atto irrazionale, ma una libera scelta. E
così anche l’atto morale.
Se l’etica sostenuta da Tugendhat è kantiana nei contenuti (poiché ha il suo
nucleo nel riconoscimento dell’altro in
quanto fine e nel rifiuto di ridurlo a
strumento) non lo è però nel metodo: la
morale del rispetto universale non è derivabile astrattamente da una ragione
umana sempre identica a se stessa, ma
deve affermarsi sempre di nuovo nel
confronto con altri principi morali. Da
ciò deriva il duplice rapporto con la
tradizione tipico della riflessione di Tugendhat sull’etica, che da una parte è
dichiaratamente anti-tradizionalista, dall’altra si sviluppa in un serrato confronto
con la storia delle dottrine etiche.
Da segnalare, a questo proposito, le osservazioni su Adam Smith come “classico”
della riflessione etica: è nel suo nome che
Tugendhat sviluppa alcune riflessioni critiche rispetto alla morale kantiana.
Si vedano anche, come esempio di questo
duplice rapporto con la tradizione filosofica, le riflessioni di Tugendhat sul problema
della vita felice. Per questo aspetto il riferimento storico è la filosofia antica, in cui
la questione del “bene” viene affrontata in
connessione con il problema della “felicità”. Seguendo questa traccia Tugendhat
cerca nell’etica non solo le leggi dell’agire
giusto ma anche un’immagine di una vita
riuscita, felice. M.M.
23
La mente non è un computer
Mentre in Italia escono quasi contemporaneamente le traduzioni di due volumi di Hilary Putnam, RAPPRESENTAZIONE
E REALTÀ (tr. it. di N. Guicciardini, Garzanti, Milano 1993) e MATEMATICA, MATERIA E METODO (tr. it. di G. Criscuolo, Adelphi, Milano 1993), negli Stati Uniti il
filosofo di Harvard pubblica il suo ultimo libro, RENEWING PHILOSOPHY (Harvard
University Press, Cambridge 1993), in
cui propone un rovesciamento delle
proprie precedenti posizioni filosofiche,
che lo porta a criticare radicalmente
quell’idea della mente come “organismo funzionale”, di cui egli stesso era
stato il principale sostenitore.
Dopo essere stato forse il primo filosofo ad
avanzare la tesi che il computer è un modello per la mente, e a dare a questa dottrina il nome di “funzionalismo”, Hilary
Putnam non ha oggi nessuna esitazione a
rifiutare tale posizione, mutando radicalmente il proprio atteggiamento mentale.
Nel campo della filosofia della mente contemporanea il funzionalismo costituisce
oggi l’ortodossia, la posizione dominante
sostenuta da filosofi come Jerry Fodor,
Daniel Dennett e Ray Jackendorf. Ma
l’analogia con il computer, sostiene Putnam in Rappresentazione e realtà, che la si
chiami “concezione computazionale della
mente” o “funzionalismo”, non risponde
in definitiva alla domanda dei filosofi:
«Qual è la natura degli stati mentali?». Il
funzionalismo, se pure fornisce una reinterpretazione in senso moderno della distinzione tra il mentale e il fisico, prendendo sul serio l’analogia mente-computer e
affermando che la mente sta al corpo come
il software sta allo hardware, non risolve
invece il grande enigma della coscienza:
non spiega cioè come mai si prova qualcosa a essere noi stessi. Lascia insoluta la
questione sollevata già nel 1974 da Thomas Nagel nel celebre saggio “Che cosa si
prova ad essere un pipistrello” (in “The
Philosophical Review”, 1974), dove Nagel affermava l’impossibilità di sapere cosa
si prova ad essere un animale che «vede
con le orecchie», e quindi l’inadeguatezza
degli agguerriti tentativi di rendere conto
del “mistero” della coscienza in termini
rigorosamente scientifici.
Putnam critica dunque la posizione da lui
stesso avanzata tempo fa, e rispondendo
agli attacchi che gli vengono mossi per
questo mutamento di prospettiva, cita Rudolf Carnap, il quale sottolineava di aver
cambiato idea più di una volta riguardo a
questioni filosofiche. Una sua frase ricorrente era proprio: «Prima pensavo che...
adesso penso che». Se certe ricerche filosofiche contribuiscono al dialogo millenario che è la filosofia, se approfondiscono la
nostra comprensione di quegli enigmi che
chiamiamo “problemi filosofici”, allora,
sostiene Putnam, il filosofo che svolge
AUTORI E IDEE
Hilary Putnam
quelle ricerche sta facendo bene il suo
lavoro. La filosofia non è qualcosa che ha
come esito soluzioni definitive, e la scoperta che la concezione più recente, «fosse
anche la propria», ancora una volta non
dissolve il mistero, è tipica del lavoro del
filosofo, quando il lavoro è ben fatto. «Cambiare idea» significa per Putnam «essere
combattuti da concezioni opposte della
filosofia come tale», ovvero essere consapevoli della possibilità dell’errore. Un buon
filosofo, per essere tale, deve sapere che in
fondo tutte le visioni, teorie e posizioni
che potrà sostenere sono in qualche modo
“errate”, ma questo non significa che siano
tutte equivalenti, e che non ce ne siano di
migliori e peggiori.
E Putnam non è solo un “buon filosofo”. In
Matematica, materia e metodo, pubblicato in edizione originale nel 1975, Putnam
affronta temi fondamentali della filosofia
della matematica e della logica: i rapporti
fra logica e filosofia e fra logica e matematica, i fondamenti della matematica, la
filosofia della meccanica quantistica, alcuni problemi relativistici, il convenzionalismo in fisica e in matematica. Temi
diversi, legati da un’unità di fondo, cioè
dall’idea che la scienza, compresa la matematica, è una storia unitaria e che tale
storia non è un mito ma un’approssimazione alla verità: «Un’approssimazione - afferma Putnam - di cui alcune parti possono
essere, in certi momenti, provvisoriamen-
te “a priori”, ma che è tutta soggetta a
modifiche e miglioramenti». Modifiche,
mutamenti continui, che per Putnam appartengono tanto al procedere della scienza, quanto al procedere della filosofia. E se
pure la scienza costituisce una parte importante della conoscenza umana della realtà,
essa tuttavia non rappresenta, per Putnam,
tutta la conoscenza umana. «Lo studio filosofico della scienza è sempre stato, nel
migliore dei casi, un modo per conoscere
qualcosa della natura e qualcosa dei limiti
della ragione umana»: limiti che non impediscono all’uomo di cadere in errore e che,
nel contempo, lo portano a “cambiare idea”
e quindi a nuove conoscenze.
In Rappresentazione e realtà bersaglio di
Putnam è ora lo stesso «Putnam (uno dei
miei sé precedenti) e coloro che hanno
adottato le sue posizioni»; e qui Putnam si
riferisce soprattutto al suo ex allievo Jerry
Fodor, sostenitore di quel “funzionalismo” di cui Putnam è stato fondatore ed
oggi suo principale critico. Tuttavia ciò
che ora interessa a Putnam è stabilire la
necessità di un diverso modo di guardare
ai problemi concernenti gli “stati mentali”. Questo significa: 1) stabilire una stretta connessione tra problemi concernenti il
significato e problemi concernenti la fissazione di credenze, mostrando che il carattere olistico della fissazione di credenze
nelle scienze riguarda profondamente la
questione dell’identificazione di “signifi24
cati” o contenuti o intenzioni; 2) affermare
che pensare ai “significati” come “entità
teoriche”, come oggetti di una scienza, è in
realtà un errore. Secondo Putnam, non
esiste un criterio per l’identità di significati che non sia una vera e propria pratica
interpretativa: il riferimento al mentale è
indispensabile; la verità stessa ha a che
fare con la mente.
Del funzionalismo risulta sbagliata per
Putnam non solo l’identificazione ingenua
tra stati mentali fisio-chimici, ma anche
l’identificazione tra stati mentali e stati
“funzionali”. La questione non è che gli
organismi fisicamente possibili non abbiano delle organizzazioni funzionali, ma
che ne hanno troppe. Quand’anche fossimo descritti correttamente da un’infinità
di “descrizioni funzionali”, logicamente
possibili, che cosa può voler dire, si chiede
Putnam, che una di queste ha la proprietà di
essere la nostra descrizione normativa, di
descrivere cioè la nostra “essenza”? Non
rischieremmo in questo caso di ritornare a
quelle “oscurità metafisiche” che si volevano dissipare? Putnam non ha timori ad
ammettere il rischio; e soprattutto, non ha
timori a correre il rischio che i cambiamenti
di posizione comportano. A guardarli da
vicino, i cambiamenti di Putnam sono invece la prova evidente che in filosofia,
dove le risposte non sono mai definitive, è
comunque sempre possibile fare progressi
e approdare a nuove conoscenze. E.C.
AUTORI E IDEE
Il sano e il malsano
Nel suo studio su LE SAIN ET LE MALSAIN.
SANTÉ ET MIEUX-ÊTRE DEPUIS LE MOYEN AGE
(Il sano e il malsano. Salute e benessere dal Medioevo a oggi, Seuil, Paris
1993) Georges Vigarello ci presenta
un’ampia rassegna delle risposte che
ogni epoca, a partire da quella medioevale, ha dato alla questione della difesa del corpo umano dalla malattia,
mettendo in luce come le forme di
vigilanza e di difesa della salute cambino in funzione delle diverse rappresentazioni del corpo e dei suoi punti
deboli. Ne risulta una panoramica del
modo in cui il confine tra salute e
malattia si sia spostato nel tempo col
variare della soglia di ciò che nelle
varie epoche era ritenuto fisicamente
nocivo.
L’analisi di Georges Vigarello prende avvio dalla strategia di difesa della salute
tipica nel Medioevo, consistente nel rifiuto, nella rimozione fisica di chi ha contratto
la malattia, che all’epoca veniva identificata con la decomposizione carnale. Il processo di putrefazione, osserva Vigarello,
rendeva visibile l’insinuarsi del male nel
corpo. Questa equivalenza tra malattia e
decomposizione si manifestava emblematicamente nella lebbra, considerata la minaccia principale del periodo. All’interno
di una mentalità che considera moralmente
la malattia come avanzata del male, dell’impuro, due sono i principi che stabiliscono l’efficacia terapeutica o preventiva
di alcuni oggetti: la loro purezza, qualità
impregnata di immaginario, e il contatto, il
loro agire per contiguità. La cura e la prevenzione della salute, ci riferisce ancora
Vigarello, erano dunque di tipo analogico:
per curarsi o proteggersi dalla malattia ci si
applicava metalli preziosi, oggetti ritenuti
incontaminati, o si preparavano pozioni
con polvere di perle o liquori d’oro; tutte
queste sostanze trasmettevano le loro proprietà purificatrici per contatto o attraverso
il gusto, l’olfatto. Si tratta di “farmaci”
dalla doppia protezione in quanto da una
parte allontanano impurità esterne, dall’altra
impediscono che se ne formino di interne: la
malattia si riteneva infatti contraibile, oltre
che per contagio, per putrefazione degli
“umori” che costituiscono il nostro corpo.
Nel ‘600, fa notare Vigarello, si registra un
mutamento nella concezione del corpo, che
si presenta ora meno sottomesso, rispetto al
Medioevo, alle influenze cosmiche, alle
forze oscure e agli effetti di simpatia dell’universo, per guadagnare l’autonomia di
un meccanismo che funziona secondo movimenti “aspiranti” (alimentazione) o “rimuoventi” (evaquazione, sudorazione) ed
è costituito da “circuiti” di umori (la scoperta della circolazione del sangue è del
1628) e articolazioni. Si intensifica in questo periodo l’attenzione alla “qualità sanitaria” degli alimenti; si diffondono alma-
nacchi per guidare il popolo nella scelta e
nell’assunzione del cibo. Ma ancora più
significativa è la trasformazione della pratica di evacuazione degli umori: compare
la nozione di purgatio come pratica per
liberare dai rifiuti il corpo, che divenuto
“pompa”, “fontana”, “orologio” (le nuove
macchine del ‘600), appare sottomesso a
evacuazioni meccaniche. Nella stesso tempo il tema della purificazione diventa modello di pensiero e metafora dell’agire politico.
Il ‘700, secolo dei lumi, conosce un’impennata senza precedenti della medicina: con
l’apertura dei cadaveri, conseguenza di
un’irresistibile curiosità anatomica, gli
umori sono sostituiti dalle fibre come elementi base di un corpo concepito ora come
essenzialmente “energetico”, secondo il
modello di una scoperta decisiva dell’epoca: la corrente elettrica. Opportunamente
sottolinea Vigarello, lo stato di salute si
misura ora in base alle condizioni delle
fibre e l’imperativo per allontanare la malattia è rafforzarle, indurirle. Di quest’epoca è anche l’iniezione nel corpo di liquido
infetto per provocare l’immunizzazione
dalla malattia. È il principio della vaccinazione, una nuova procedura che rivela il
consolidarsi di un’immagine del corpo
come qualcosa che non è più solo da proteggere e salvaguardare attraverso difese
esterne, ma è capace di svilupparne di interne. Ciò induce a un rivoluzionamento
delle strategie preventive e curative: pur-
ghe e salassi vengono ora considerati pratiche debilitanti per l’organismo; l’attenzione si sposta invece, ci riferisce Vigarello, sulla circolazione dell’aria negli spazi
collettivi (il ventilatore è una scoperta di
questo secolo), essendo le epidemie attribuite alle mutazioni dell’aria.
Nel secolo successivo, col progredire nelle conoscenze degli agenti patogeni (i microbi), si assiste alla comparsa dello Stato
igienista, che provvede direttamente alla
salute degli indigenti, anche con la forza,
per preservare quella di tutti. Gli sforzi
preventivi della malattia, osserva Vigarello, si concentrano ora nella disciplina e
trasformazione dei costumi, dal momento
che malattia e vizio sembrano andare di
pari passo. Il corpo non è più un semplice
meccanismo, o un groviglio di fibre, ma è
una macchina energetica, un motore simile alle macchine a vapore che dominano
nelle industrie del secolo. Il suo funzionamento segue le leggi della termodinamica
teorizzate in questo periodo da Carnot
(1824): si tratta di convertire calore in
lavoro. La strategia preventiva conseguentemente riguarda tutte le regole di vita: la
nutrizione che apporta il combustibile,
contribuendo allo scambio energetico, la
respirazione che partecipa alla combustione, ma soprattutto la pulizia, che si suppone faciliti la respirazione del corpo attraverso i pori della pelle.
Con “benessere”, termine che dà il titolo
Hieronymus Bosch, La cura della follia, 1475-80
25
AUTORI E IDEE
all’ultima parte del suo lavoro, dedicata al
nostro secolo, Vigarello allude al nuovo
orizzonte della salute che comprende ora,
connesso al lato fisico, il versante psicologico. La salute non è più considerata un
semplice bene da conservare, ma qualcosa
da perfezionare. Tuttavia, a far vacillare
questa prospettiva, rileva Vigarello, appare oggi una malattia come l’AIDS, ribattezzata “la nuova peste o lebbra”, malattia che
provoca decomposizione fisica e si trasmette attraverso il sesso e il sangue, elementi simbolici in grado peraltro di riattivare l’identificazione medioevale della
malattia come putrefazione e peccato. Forte si presenta allora la tentazione di ripristinare l’antico schema del rifiuto del malato
contro il quale lotta la consapevolezza
moderna della necessità di una strategia
difensiva che passa attraverso la protezione e il rafforzamento di se stessi. A.M.
Scienza paradossale?
Nell’affrontare la “struttura delle rivoluzioni scientifiche” Kuhn dichiarò che
la scienza (fatta di paradigmi) è una
sorta di evidenza comunemente accettata, che non si sconvolge volentieri. Si arriva ad un punto però in cui i
paradossi (o anomalie) sono talmente
consistenti che lo scienziato è costretto a rivedere e riorganizzare le ricerche. Etienne Klein in CONVERSAZIONI CON
LA SFINGE (Il Saggiatore, Milano 1993) e
Humberto Maturana in AUTOCOSCIENZA
E REALTÀ (Minima, Milano 1993) offrono
spunti interessanti per un confronto
tra una scienza considerata come immutabile e una scienza che si evolve
con le nuove ricerche.
Con i loro rispettivi studi, Etienne Klein e
Humberto Maturana richiamano l’attenzione sull’estrema distanza che separa
un’idea di scienza come struttura immutabile, depositaria della certezza umana, dalla scienza intesa come processo che si
matura nella dialettica e nella messa in
discussione dei propri punti fermi. Ciò che
contribuisce enormemente a fare della
scienza una forza creatrice sono proprio i
paradossi portatori del dubbio; veri rompicapi che mettono alla prova una ragione
che si impone a priori come depositaria
della verità. La scienza oggi, notano Klein
e Maturana si fa carico di essere portatrice
di perfezione, di verità assoluta, ricoprendo una funzione simile a quella che in
passato fu propria della teologia e della
filosofia. Il “mondo” ha certo bisogno di
risposte, di garanzie; e una scienza rigorosa e obiettiva deve assumersi il difficile
compito di soddisfare queste richieste. Ciò
è possibile però ad una condizione: creare
situazioni di ricerca tali per cui gli scienziati rimangano vincolati ad un “ordine di
conoscenza” che non ammette un confronto con l’incertezza, con il dubbio; insomma non ci deve essere spazio per un pensiero che pensi e che, come tale, sia soggetto a “crisi”.
Una tale concezione affermativa della scienza, osservano Maturana e Klein, è destinata
tuttavia a ripetersi all’infinito, in quanto
univoca e priva di meriti. La scienza oggi
ha la pretesa di ergersi a supremo giudizio,
non considerando la validità delle altre
discipline, che seppur in modo diverso propongono spunti di riflessione e di ricerca
che andrebbero presi in considerazione,
anche a costo di mettere in discussione le
proprie strutture. A questo proposito Maturana sostiene esplicitamente che è proprio
attraverso il coraggio di procedere per tentativi e ammettendo gli errori che la scienza
diventa scienza. Lo scienziato ha una responsabilità etica, che è quella di valorizzare al massimo il potenziale creativo che
ha a disposizione e di renderne partecipi i
colleghi. Il progresso, continua Maturana,
avviene per opera di una mente umana che,
uscendo dalla propria inerzia, entra in una
dinamica di opposizione nei confronti dell’oggetto di ricerca. I paradossi servono
appunto a impedire la stagnazione della
mente, ponendola di fronte a interrogativi e
a problemi che non consentono un’immediata soluzione. La soluzione subentra solo
quando il “caso scientifico” sia stato totalmente messo in discussione, con la conseguente (anche se non immediata) “accettazione” di un nuovo paradigma.
Questo modo di procedere, osserva a sua
volta Klein, lo si può definire “storico”, per
il fatto che coglie la scienza come evoluzione legata a determinati contesti storici e
non come voce universale e atemporale.
Relatività e tempo, limite e contesto, sono
le categorie in cui si svolge la ricerca scientifica e si sviluppano i paradossi. Con ciò
viene stravolto il concetto stesso di teoria
scientifica, che abbandona la pretesa di
verità assoluta e abbraccia la possibilità di
dimostrare errori e lacune. E’ certamente
questa una strada più rischiosa, avverte
Klein. Ma una teoria feconda non è mai il
risultato di una deduzione lineare; la vera
scoperta non è mai il frutto di ordinate
concatenazioni: è sempre accompagnata
dall’immaginazione, da un pensiero che
proceda anche per associazioni, che sia
intuitivo. «L’immaginazione è più importante della conoscenza» - ribadisce Klein,
citando Einstein. La scienza, dunque, non
può essere affidata né al puro rigorismo, né
al semplice accoglimento del nuovo insito
nell’immaginazione; ma occorre una feconda cooperazione fra immaginazione e
razionalità, per dar vita ad una scienza
nuova e completa. In definitiva - e su questo sembrano concordare entrambi i filosofi - una teoria è scientifica quando è capace
di diventare paradossale, poiché proprio i
paradossi segnano ad un tempo lo stato
d’incompiutezza della scienza e il suo grado di maturità. D.M.
26
L’evoluzione storica dell’etica
Alasdair MacIntyre in
ENCICLOPEDIA,
GENEALOGIA E TRADIZIONE. TRE VERSIONI
(Massimo,
Milano 1993) e Antonino Poppi in
ETICHE DEL NOVECENTO . QUESTIONI DI FON DAZIONE E DI METODO (Edizioni Scientifiche Italiane, Milano-Napoli-Roma
1993) affrontano il tema dell’evoluzione storica dell’etica, ripercorrendone le tappe più importanti e analizzando come le diverse concezioni
di uomo, storia, bene, male si sono
evolute nel corso del tempo.
RIVALI DI RICERCA MORALE
La storia insegna che nulla resta uguale;
non esiste realtà (nella contingenza) che
possa darsi come universale, poiché ciò
che accade, avviene in un contesto spazio temporale che pone già le coordinate
dello svolgersi dei fatti. Ogni contesto è
caratterizzato da canoni culturali, sociali che decidono i valori del momento. A
partire da questa premessa, Alasdair
MacIntyre e Antonino Poppi individuano le tappe essenziali dell’evoluzione
etica, aprendo una accesa dialettica sulla
validità o meno di alcune teorie morali
vigenti in varie epoche.
Alasdair MacIntyre affronta il problema etico confrontando più sistemi filosofici. La prima distinzione che viene
messa in luce è quella tra enciclopedisti,
sostenitori di una ragione unificatrice,
guida del bene, e genealogisti, che non
accettano l’idea di una ragione universale e disinteressata. Gli enciclopedisti,
osserva MacIntyre, appartengono a quella categoria di filosofi che interpretano
l’etica come somma delle idee di dovere,
di obbligo, di giusto, di bene; proprio a
questa concezione si ribellano i genealogisti. Ciò che per gli enciclopedisti delinea i tratti del bene e del male, del lecito
e dell’illecito è un’autorità ora riconosciuta come razionale, ora come spirituale metafisica, la quale guida, o meglio stabilisce l’agire umano, riparando
il soggetto da qualsiasi titubanza. Esiste
cioè un ordine “cosmico”, per cui il valore delle azioni viene stabilito a priori;
l’uomo non deve far altro che seguirne le
direttive, senza interrogarsi sulla loro
validità.
Il secondo confronto proposto da MacIntyre è quello fra tre sistemi etici:
aristotelico, agostiniano, tomistico, che
seppure in forme diverse, sostengono
tutti un’autorità, quale giusta morale da
seguire. Punto in comune dei tre sistemi
è la stretta connessione fra teoria e prassi
morale: l’una esiste in funzione dell’altra; l’una è il mezzo l’altra il fine. La
rottura che si verifica fra queste due
categorie, rileva MacIntyre, determina il
tramonto di un’etica fondata su leggi e
norme indiscutibili in quanto universali;
“muore” in tal modo quel sistema filosofico metafisico che imponeva un preciso
AUTORI E IDEE
concetto di “bene” e insieme indicava la
via per realizzarlo, sottraendo al soggetto la possibilità di esercitare il libero
arbitrio.
Giunti ad una simile fase storica, osserva ora Antonino Poppi in Etiche del
Novecento, ci si è trovati a dover fare i
conti con un’etica lontana da un sapere
fisso e oggettivo, estranea a norme intemporali già preconfezionate, indifferenti ai casi singoli: «la morale non consiste in un sapere teoretico di ciò che è
eterno immutabile e necessario, bensì in
un sapere pratico di ciò che avviene per
lo più in dipendenza delle nostre scelte
nelle diverse circostanze della vita».
Ma l’addio definitivo all’etica metafisica (prima) e all’etica dell’autorità (poi),
fa notare Poppi, ha portato a gravi conseguenze; la mancanza improvvisa di forti
punti di riferimento è stata la causa maggiore di uno smarrimento totale. In questa particolare situazione il Nichilismo
ha trovato terreno fertile, facendo il suo
ingresso nella società, imponendo il crollo di qualsiasi valore, o concetto di valore, sia interno, che esterno all’essere
umano. La manifestazione più evidente
di tale ingresso è la totale anarchia, la
libera espansione delle forze irrazionali
dell’uomo e della sua natura, sino alla
sua divinizzazione. Ogni soggetto sceglie e decide solo in base ai propri canoni
morali; il vincolo esterno-sociale non
conta, anzi occorre combatterlo per essere veramente padroni delle proprie
azioni.
I due autori che meglio incarnano questa
posizione etica sono, secondo Poppi,
Nietzsche e Freud, che attraverso il concetto di “superuomo”, il primo, e la scoperta dell’inconscio, il secondo, mettono a nudo le radici impure di tante nobili
facciate della coscienza e della prassi
umana. Entrambi, infatti, sostengono che
l’individuo non necessita, e soprattutto
non vuole essere guidato da alcuna norma morale, poiché la norma più giusta è
la sua libertà. È in questa situazione,
sostiene Poppi, che intervengono i filosofi, che hanno il dovere di scrutare una
nuova “esperienza morale”, enucleandone i fondamenti, fissandone le misure,
i criteri. Il valore morale è un darsi storico, legato all’affinamento della coscienza, nell’autocorrezione e nel superamento dei fenomeni involutivi che hanno oscurato la vicenda storica dell’umanità e della morale.
In tal senso Poppi prende in considerazione il pensiero di Pietro Piovani,
quale espressione di una nuova etica
storica. Sulla base di una visione dinamica della personalità, Piovani fonda
il criterio di rapporti umani e morali
nei quali è preminente la categoria del
rispetto. “La morale” si pone così come
una delle attività che rendono umano
l’uomo. D.M.
Le costanti dell’essere
L’individuazione dell’intrinseca necessità ontologica che, oltre (e, talvolta, contro) le esplicite intenzioni
di ciascun singolo autore, connette
le elaborazioni filosofiche in una
“storia”, costituisce il presupposto
di fondo, e insieme il fine, di un’opera postuma di Etienne Gilson, COSTANTI FILOSOFICHE DELL ’ ESSERE (a cura
di R. Diodato, Massimo, Milano
1993), ora in edizione italiana. Composta per la metà da capitoli inediti,
quest’opera rappresenta il frutto più
maturo, dal punto di vista teoretico,
della riflessione gilsoniana.
Opera più dottrinale che storica, come
rileva Jean-Francois Courtine, curatore dell’edizione francese (1993), Costanti
filosofiche dell’essere costituisce una
raccolta concepita come unitaria. Il filo
conduttore del volume va rintracciato
nel tentativo di Etienne Gilson, storico
della filosofia (soprattutto medioevale),
di coniugare la soggettività storica del
filosofo con la necessità ontologica intrinseca al mondo delle idee, in cui la
riflessione filosofica si muove. L’esperienza dell’essere, che per Gilson nutre
qualsiasi genuina riflessione filosofica
in quanto tale, fa sì che ciascuna singola
filosofia non solo non risulti incommensurabile con le altre, ma anzi ne condivida il medesimo fondamento e contenuto:
l’essere, appunto. Una prospettiva che,
se non può essere definita hegeliana,
mette però in gioco il problema di quel
Medesimo, di quelle costanti ontologiche che, attraverso lo sviluppo delle cristallizzazioni della riflessione, permettono di
accedere al loro senso immutabile.
Con motivazioni diverse, Gilson prende
posizione contro lo storicismo hegeliano o contro l’ontologia heideggeriana.
Al “logicismo” di Hegel, che si prende
gioco dell’affermazione kantiana della
differenza fra il concetto e l’esistenza di
cento talleri, Gilson muove essenzialmente l’accusa di astrattezza: la “generalità astratta” del concetto hegeliano
dissolve l’essere, il “primo degli intelligibili”, in una molteplicità di concetti,
nessuno dei quali ha rapporto con il
mondo degli esistenti. In questo è forse
possibile rintracciare una critica all’impostazione hegeliana quando Gilson ricorda di avere abbandonato l’idea, coltivata in gioventù, che il lavoro dello storico della filosofia fosse simile a quello
di un guardiano di cimitero, costretto a
contemplare, come accade per la nottola
hegeliana, un paesaggio di realtà morte,
consegnate alla considerazione veritativa nel loro presentarsi come fisse, cristallizzate. All’apice della sua maturità
di studioso, Gilson è convinto che «in
metafisica non esistono verità morte»,
27
ma neppure inesauribili: le verità della
metafisica ricevono il loro senso, e la
loro verità, dall’inserimento in un contesto, dal loro essere espressione di quel
filo logico - che è, poi, un “filo” ontologico - costituito dall’essere, che guida il
loro sviluppo storico.
Più problematica e articolata appare invece la presa di distanza di Gilson nei
confronti della posizione di Heidegger,
che si riassume per lui nell’oblìo dell’essere (ovvero, nell’oblìo della differenza
ontologica fra l’essere e l’ente) da parte
della metafisica nel suo sviluppo storico. A questo oblio Gilson oppone la
validità della distinzione che fonda la
tesi della differenza ontologica, pur negando che la storia della metafisica si
risolva nel costante oblio di tale differenza. Ciò è vero, sostiene Gilson, per
Aristotele e per molti dei suoi discepoli;
ma dal tredicesimo secolo in avanti «il
rapporto fra Sein e Seiende è divenuto il
pomo della discordia tra filosofi e teologi». La metafisica di Tommaso d’Aquino costituisce, per Gilson, il più poderoso sforzo di pensare appunto l’essere
all’interno della metafisica, ed è a Tommaso ch e vien e app unto rinviato
Heidegger.
Nella grande contrapposizione fra idealisti e realisti, che attraversa la storia
della filosofia, in quanto esperienza dell’essere, e che vede schierata da un lato
la tradizione nata in Grecia, dall’altro
quella nata con Cartesio e prolungatasi
in Kant, Gilson prende decisamente partito per la prima, in base alla “generalità
metafisica dell’ente in quanto tale”: proprio come afferma la tesi fondamentale
del realismo, secondo la quale il giudizio “l’essere è” ne accompagna necessariamente ogni altro, in quanto non si dà
alcun ente di cui l’essere non vada, legittimamente e necessariamente, affermato. La fallacia fondamentale dell’idealismo (cioè del soggettivismo), nelle sue
varie forme, consiste per Gilson nell’aver fatto del soggetto il fondamento
ultimo dell’esperienza filosofica, dimenticandone l’aspetto metafisico essenziale, costituito, appunto, dalla sua valenza
ontologica, dal suo “essere”.
Ma di quale realismo si fa poi portavoce
Gilson? Come ricorda Roberto Diodato, curatore dell’edizione italiana di
Costanti filosofiche dell’essere, si tratta
di un “realismo metodico”: «sia il realismo critico, sia quello immediato non
sono altro che la soluzione di un problema inesistente: per Gilson il realismo è
soltanto la proposta di un metodo, seguendo il quale si otterranno risultati
tali, in sede di metafisica, da confermare
la sua validità». F.C.
TENDENZE E DIBATTITI
“Cippo di Perugia”. Da San Marco (Perugia), III-II secolo a. C.
28
TENDENZE E DIBATTITI
TENDENZE E DIBATTITI
Filosofia della scrittura
La questione dell’origine della scrittura solleva problemi che esulano da
uno sguardo specificamente storico.
Ciò risulta evidente dall’opera di Louis
Godart, L’INVENZIONE DELLA SCRITTURA .
DAL NILO ALLA GRECIA (Einaudi, Torino
1993), e da quella di Ignace J. Gelb,
TEORIA GENERALE E STORIA DELLA SCRITTURA
(trad. it. di L. Castri e R. Ronchi, a cura
di R. Ronchi, Egea, Milano 1993). In
esse affiorano questioni di carattere
teoretico, relative al rapporto fra necessità strumentali e genesi della scrittura da un lato, e a quello fra scrittura
e concettualità dall’altro. Un approccio filosofico a tali questioni viene
offerto dall’ultima opera di Carlo Sini,
FILOSOFIA E SCRITTURA (Laterza, RomaBari 1994).
La tesi che guida lo studio di Louis Godart
individua la motivazione della genesi della
scrittura nell’esigenza di organizzazione e
controllo sociali che, fra il quarto e il terzo
millennio avanti Cristo, al termine dell’età
neolitica, s’impone nelle civiltà dell’Egeo
(Creta), Egitto e Mesopotamia. La funzione comune spiega l’indipendenza e, insieme, le analogie strutturali che nei tre ambiti
culturali portarono alla nascita della scrittura. L’aspetto puramente strumentale, consistente nella comunicazione di informazioni, scivola in secondo piano rispetto alla
funzione di potere esercitata, attraverso la
scrittura, dall’organizzazione sociale. In
altri termini, tale funzione non si determina
come strumento del potere; piuttosto, e più
radicalmente, la scrittura è il potere, coincide con esso, nel senso che la scrittura
partecipa alla distribuzione gerarchica delle funzioni all’interno della società.
Nel quadro prospettato da questa analisi, la
dimensione sacrale della scrittura, il suo
utilizzo cioè nelle pratiche di culto da parte
di sacerdoti e devoti, riceve anch’esso una
sua collocazione specifica, ma teoreticamente secondaria, rispetto alla più generale
prospettiva che legge, nella scrittura, l’articolarsi della struttura sociale. La doviziosa
documentazione storiografica messa in
campo da Godart, che mostra la non contemporaneità, e la relativa, reciproca indi-
pendenza, nel loro apparire, dei primi testi
in Mesopotamia, Egitto ed Egeo, concorre
alla dimostrazione di un’identità profonda,
in condizioni diverse, dell’evento della scrittura nella sua essenza.
Neppure in Teoria generale e storia della
scrittura, di Ignace J. Gelb, appare come
dominante l’approccio filosofico al problema della scrittura; al contrario, l’intento
esplicito dell’autore consiste nel dar luogo
a una teoria scientifica della scrittura, fondata sull’esame storico della medesima.
Eppure, quello che viene qui sollevato è un
problema genuinamente filosofico, il problema dell’origine della scrittura, quello
cioè della sua nascita da un punto di vista
“genealogico”, al di là della questione, di
carattere meramente storiografico, circa
l’inizio storico della produzione scritta. La
ricostruzione storica di Gelb intende infatti, sin da principio, trascendere la prospettiva di una mera descrizione comparativa
delle varie forme di scrittura, e si svolge
invece all’insegna di una “teleologia immanente della scrittura”. La “grammatologia”, termine coniato dallo stesso Gelb,
indica dunque la “scienza della scrittura”
che è l’obiettivo di quest’opera, la cui rilevanza filosofica consiste, anzitutto, nel tipo
di problematiche da essa suscitate.
Alla ricostruzione della trama di liaisons
philosophiques, che si connettono all’imponente testo di Gelb, è dedicata l’Introduzione di Rocco Ronchi, che intende con
ciò porre in evidenza proprio la dimensione
teoretica dell’opera, legata alla questione
dell’origine della scrittura in quanto atto di
nascita del gesto filosofico. Se per Jacques
Derrida, che del termine “grammatologia” è stato il più autorevole diffusore,
quella di Gelb non esce dai confini di una
tradizionale ricostruzione storica della scrittura. Havelock, al contrario, che ha sottolineato l’importanza decisiva della forma
di scrittura per la nascita del pensiero, riconosce a Gelb il merito di aver mostrato, con
la sua ricostruzione “storica”, il legame tra
pensiero e segno linguistico, tra concetto e
grammata.
Altrimenti riformulata, la questione può
porsi nei termini della messa a fuoco della
differenza tra l’alfabeto greco e le scritture,
cuneiformi o ieroglifiche, precedenti. Differenza “fondamentale”, questa, nel senso
29
che essa fonda quella fra il pensiero filosofico greco e la speculazione orientale dei
secoli precedenti. Qual è il legame fra scrittura e pensiero? Perché la filosofia nasce in
Grecia, e non altrove, così come la scrittura
alfabetica? In che cosa consiste la specificità dell’una e dell’altra? Se per Hegel la
caratteristica essenziale della scrittura alfabetica consiste nel suo retrocedere dalla
materialità sensibile, nel suo lasciare il
posto a ciò che essa significa (adempiendo,
con ciò, alla funzione propria del segno), in
modo non troppo dissimile Gelb legge il
passaggio dall’uno all’altro dei tre momenti decisivi da lui individuati (il principio
sumerico di fonetizzazione, i sillabari semitici, l’alfabeto greco) nel “principio di
economia”; nella riduzione, cioè, del quantum di equivocità presente nelle forme di
scrittura, al fine di una “fonetizzazione”
integrale. In questa prospettiva, la scrittura
alfabetica si presenta come una costruzione teorica, che sottende un gesto tipicamente metafisico: la creazione di consonanti e vocali, che non possono essere
rintracciate, se non in senso affatto improprio, prima dell’alfabeto greco. Questa invenzione di grammata aphona, cioè di segni corrispondenti a suoni inesistenti, presuppone infatti un’operazione metaempirica (meta-fisica) astrattiva, che scompone la
voce in atomi ideali, per ricostituirla sotto
forma di termine significativo, di concetto.
La “storia della scrittura” di Godart, e soprattutto quella di Gelb, sollevano questioni prettamente filosofiche sull’essenza della scrittura alfabetica come specifica pratica di pensiero; meglio, come la pratica
istitutrice del pensiero in quanto tale. Questo è anche ciò che emerge dalle riflessioni
di Carlo Sini, contenute in Filosofia e
scrittura, testo che nasce da un ciclo di
incontri seminariali organizzato a Napoli
nel 1992 dall’Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici. Sini istituisce un nesso tra scrittura alfabetica e nascita della filosofia:
filosofia è scrittura. Il carattere di atomicità
dell’alfabeto, la sua pratica definitoria, classificatoria e strutturalizzante, la funzione
di autoannullamento, che ne fa uno strumento universalizzante e trasparente nei
confronti dei concetti che esso esprime:
tutto ciò indica come la scrittura ponga le
basi di questo pensiero e determini l’oriz-
TENDENZE E DIBATTITI
zonte nel quale esso si iscrive. Questi presupposti della pratica alfabetica determinano, ora, la nuova tipologia del lettore:
universale, nella sua indipendenza da specifiche situazioni mondane, e perciò riflessivo, intento ad acquisire nozioni, mettendole a confronto con il proprio patrimonio
culturale, che egli porta dentro di sé. Il tipo
ideale di lettore della pratica alfabetica è il
lettore silenzioso, che dialoga con se stesso, con la propria anima.
Nasce con ciò il soggetto della metafisica,
che perviene a una delle sue tappe più
avanzate nel soggetto agostiniano-cartesiano, nel se stesso dell’età moderna, che
ritiene di utilizzare strumentalmente la scrittura. In questo Sini si richiama ai giudizi di
Platone sulla scrittura alfabetica, che avvertono del pericolo, in essa ìnsito, di porsi
come la modalità espressiva del sapere, pur
non essendo essa stessa sapere, bensì strumento. All’altro estremo della tradizione
filosofica dell’Occidente Sini menziona
Nietzsche, che riconduce la filosofia alla
questione dello stile. Tuttavia, come Platone comprende i pericoli della logica definitoria, di quel sapere che egli stesso istituisce, per poter discernere tra l’ignorante (il
sofista ciarlatano) e il sapiente, così anche
Nietzsche è conscio del fatto che lo stile,
la grande prosa, il ritorno alla retorica,
soglia discriminante tra sé e la plebe,
possono in realtà diventare nettare inebriante per quest’ultima.
D’altra parte, osserva Sini, ciò cui fa segno
lo stile della scrittura nietzscheana è ancora
il soggetto. Ma la questione del soggetto «è
la questione stessa della filosofia», che
consiste nel nostro essere divenuti soggetti,
“soggetti a”, soggetti alla pratica della razionalità occidentale, ovvero alla pratica
della filosofia, che è la pratica della scrittura. Quando si assume questa impostazione,
sostiene Sini, la questione del soggetto
subisce una “rivoluzione etica”; il luogo
del soggetto viene individuato proprio a
partire da un esercizio, da una pratica, che
è, anzitutto, la pratica della scrittura. Di
qui, dunque, l’ “etica della scrittura”
proposta da Sini: sulla superficie del
“foglio-mondo”, «il gesto filosofico non
si cancella dietro i segni dell’alfabeto,
ma anzi si esibisce e si mostra, si manifesta e si rappresenta». F.C.
Il mito e le sue mitologie
In uno studio improntato ad una metodologia che l’autore definisce col
termine di “epistemologia comparata”, Daniel Dubuisson in MITHOLOGIES
DU XX SIÈCLE (Mitologie del XX secolo,
Presses Universitaires de Lille, Lille
1994) confronta criticamente, in un’ampia rassegna di motivi teorici, le riflessioni sul mito di Georges Dumézil,
Claude Levi-Strauss e Mircea Eliade.
Assunto il mito quale narrazione dell’origine, discorso fondativo di una visione del
mondo che pretende l’unità, Daniel
Dubuisson mostra come l’analisi del mito,
al pari del suo oggetto, tenda a generare una
sua “mitologia”, ovvero un insieme di categorie che fondano un ordine interpretativo.
La tesi non è nuova, ma viene ripresa in
modo articolato da Dubuisson che apre la
sua trattazione a partire dalla constatazione
che gli studi mitologici abbiano costituito il
terreno di crescita di alcune importanti
teorie del XX secolo.
L’opera di Dumézil individua nella tradizione mitologica e culturale indoeuropea la
presenza di una struttura trifunzionale: quella della sovranità religiosa, della potenza
guerriera e della fecondità. La possibilità di
riconoscere nella struttura dei materiali
mitologici il riflesso delle ideologie e delle
forze sociali dominanti è l’acquisizione
maggiore che Dumézil ha portato alla scienza della mitologia. Tale concezione sociologica del simbolismo viene messa in discussione sia dalla critica marxista, che
individua l’inconseguenza “politica” del
discorso di Dumézil - Dubuisson la fa dipendere dalla visione armoniosa e unanimista della società che Dumézil eredita da
Durkheim - sia dagli strutturalisti, i quali,
riconosciuto il debito metodologico verso
l’autore di Mito ed epopea, affermano altresì l’autonomia delle strutture mitologiche dai contesti sociali. Nella prospettiva
strutturalista di Levi-Strauss, diviene così
centrale la nozione di Spirito, definito come
«inconscio impersonale, immutabile e vuoto», astorico e fissato nelle sue categorie
fondamentali.
A governare la logica simbolica dello spirito, secondo Levi-Strauss, interviene
un’esigenza d’ordine che percorre tutte le
manifestazioni del pensiero mitologico,
anche se diversi possono essere gli universi
culturali che vengono prodotti dalle diverse popolazioni. Da rilevare poi come il
passaggio dalla natura alla cultura, che
rimane l’istanza centrale dell’opera di LeviStrauss, sia improntato ad una sorta di
affinità fondamentale, implicita ma mai
definitivamente assunta in sede metodologica, tra il funzionamento cerebrale dell’uomo e la struttura interna del mondo
naturale. A questo modello Dubuisson rimprovera di procedere secondo una logica
binaria che diventa riduttiva nel momento
in cui tralascia gli aspetti narrativi, estetici
e morali del mito. Proprio le aporie e le
difficoltà legate all’accoglimento di un
modello interpretativo unico, osserva Dubuisson, sono i nodi critici che hanno spinto tanto Dumézil che Levi-Strauss a forzare
la ricerca in un senso metodologicamente
più aperto. Preoccupazioni queste, che sostiene Dubuisson - non ha mai conosciuto
Mircea Eliade, che pone al centro della sua
riflessione il concetto di Sacro, custodito
nelle tradizioni mitiche dei popoli primitivi.
Il ruolo dello storico del mito e delle religioni è per Eliade quello del profeta che
30
tramanda il patrimonio spirituale delle origini. Il fine mistico, più che scientifico, di
Eliade sarebbe allora di rammemorare il
mito che è il luogo di rivelazione del sacro,
ripristinando la religione rigenatrice e immemoriale. Nella visione di Eliade, il responsabile della rottura del quadro sacro
dell’origine sarebbe stato il giudeo-cristianesimo che ha introdotto il concetto di
storia e quindi la desacralizzazione del
mondo. L’Ebreo appare quindi «il prototipo dell’avversario opposto al mantenimento di questa sacralità cosmica». A supporto
di tale lettura che vede l’opera di Eliade
governata da una “ontologia antisemita”,
Dubuisson porta anche diversi elementi
biografici: l’adesione alla Guardia di Ferro, la formazione filonazista rumena, gli
scritti apologetici di Salazar, nonché la
fascinazione per la violenza e il sangue che
attraversa i suoi testi. Sono tutti elementi
storicamente incontrovertibili. In sede critica, la domanda da porre è se un’ideologia
polemica e “reattiva” come quella antisemita possa diventare il motore ideale di
un’impresa intellettuale; oppure - considerando Eliade non più quale mitologo, ma
individuo fascinato da un mito - se la definizione del “nemico” non sia uno degli elementi più oscuri di una logica mitica. E.N.
Utopia:
luogo felice che non c’è ancora
Rifondare l’utopia come “progetto di
una società giusta e fraterna”, storicamente realizzabile, è lo scopo che si
prefigge la collana “Nuova Biblioteca
Dedalo”, curata da Arrigo Colombo. Di
questa collana fanno oggi parte UTOPIA
E DISTOPIA (a cura di A. Colombo, Dedalo, Bari 1993), raccolta di saggi che
analizza il concetto di utopia in funzione del proprio opposto, la distopia, LA
REPUBBLICA PLATONICA (Dedalo, Bari 1993)
di Cosimo Quarta, che si occupa del
progetto platonico nella sua realizzabilità pratica, e L’ANNO 2440 (Dedalo,
Bari 1993) di Louis-Sébastien Mercier,
che analizza l’utopia come proiezione
extratemporale.
La collana “Nuova Biblioteca Dedalo” si
propone di rifondare il concetto di utopia
non tanto come forma letteraria bensì come
progetto politico, storicamente realizzabile. L’utopia, presente in diverse epoche
della storia, diventa in tal senso sia critica
ai vizi e ai mali della società esistente, sia
rappresentazione del suo “dover essere” paradigmatico e realizzabile al tempo stesso.
Centrale nella collana è la raccolta di saggi
Utopia e distopia, curata da Arrigo Colombo, in cui i concetti di utopia e distopia
vengono analizzati sia nella loro accezione
linguistica, che nel loro evolversi storico.
Già Thomas More nella prima edizione
TENDENZE E DIBATTITI
Hans Holbein il Giovane, Tommaso Moro nelle vesti di Cancelliere, 1527
della sua Utopia - segnaliamo, a questo
proposito, la recente pubblicazione della
monografia di Cosimo Quarta, Thomas
More (Cultura della Pace, Firenze 1993) aveva spiegato come il termine utopia giochi su un’ambiguità di fondo: in greco il
prefisso ou come privativo al posto del
solito a è raro e insolito; sicché si è pensato
al termine utopia (il non-luogo) come derivato da eutopia (il buon-luogo). L’utopia
diventa così “il luogo felice che non c’è
ancora”. In tal senso la realizzabilità dell’utopia, il suo essere proposito storicamente realizzabile, diviene evidente in
quell’ “ancora” che colloca il non essere
dell’utopia nella contingenza del presente.
L’utopia è quel progetto storico verso cui
tende l’umanità intera, protesa alla ricerca
di categorie universali e antropocentriche
quali la razionalità, le virtù (giustizia e
fraternità), la comunione, la prosperità e la
felicità.
Tuttavia, se l’esaltazione di tali valori porta
alla costituzione di una “società giusta e
fraterna”, la distorsione di questi stessi
valori dalla loro connotazione originaria
conduce all’esatto opposto. L’universalità
delle norme genera ora l’intolleranza e la
felicità collettiva va a discapito dell’individuo: il paradigma della felicità diventa il
modello dell’infelicità; l’utopia diventa
distopia, che viene a configurarsi ora come
forma di quella società monolitica in cui
l’uso delle macchine e della tecnologia
portano ad un sistema totalitario e la razionalizzazione pianificata dell’esistente fissa l’individuo in una completa estraneazione. Tale sembra essere stato, ad esempio, il
destino del comunismo, che con la normalizzazione delle virtù e l’annullamento nel
singolo della proprietà e della differenza da
utopia si è trasformato in ideologia catastrofica, ovvero in distopia.
Un tipico esempio di utopia politica è
quello descritto da Cosimo Quarta ne La
Repubblica Platonica. L’ideale platonico,
fondato metafisicamente sul mondo delle
idee, rappresenta il dover essere dell’esistenza empirica. Secondo Quarta, il merito di Platone, sta proprio nell’aver reso la
politica razionale, nell’aver fatto della politica una scienza che si distingue dall’arbitrio dell’uomo. La difficile realizzabilità
dell’utopia platonica come la guida, cristallizzata nel mondo delle idee, alla praxis degli uomini non costituisce un limite
alla Repubblica, ma testimonia che tra il
mondo dell’essere e quello del divenire
esiste sempre uno scarto. Così, ad esempio, la comunione dei beni e delle donne
viene vista come rimedio alla ricchezza e
alla povertà, come criterio per la realizzazione della giustizia e della fratellanza
universale.
Il tema dell’utopia come speranza e quindi
come aspettativa con connotazioni religiose è invece il motivo centrale attorno al
quale ruotano altre due celebri utopie: La
31
Città del Sole di Tommaso Campanella e
L’anno 2440 di Louis-Sébastien Mercier.
Per quanto riguarda La Città del Sole - di
cui segnaliamo una recente edizione a cura
di Santo Coppolino (Falzea, Reggio Calabria 1993) - è da notare come il progetto di
uno stato teocratico unifichi l’umanismo
seicentesco con la speranza di una struttura
politica fondata religiosamente. Il fondamento dell’utopia non è più, come in Platone, la filosofia, bensì la religione, che in
quanto estremo dover essere dell’uomo
costituisce la base di uno stato etico, in cui
la giustizia regna sovrana. L’utopia campanelliana costituisce una vera e propria ectopia, intesa come proiezione al di fuori dello
spazio noto, che realizza il proposito eticoreligioso dell’uomo e che, per questo, si
differenzia dall’escatologia, il cui progetto
finale consiste nell’adeguamento dell’umanità al volere di Dio.
Il deismo, la presenza della divinità nella
natura, su cui si fonda l’utopia, avvicina
L’anno 2440 alla Città del Sole. Ma a
differenza di Campanella e del suo contemporaneo Thomas More, che realizzano le
proprie utopie in un luogo altro, pur sempre
però contemporaneo, Mercier proietta la
sua utopia, governata come per Platone da
filosofi, in una temporalità futura, realizzando una vera e propria ucronia. Il presupposto di questo genere di utopia diventa
allora la concezione della storia come continuo progresso morale e sociale. A.S.
TENDENZE E DIBATTITI
Rinascita di Bachtin in Russia
I “Voprosy filosofii” hanno riservato
buona parte del primo fascicolo del
1993 a Michail M. Bachtin. I russi sono
impegnati a recuperare il ritardo con
cui hanno cominciato ad occuparsi rispetto agli occidentali - del loro principale pensatore in questo secolo. I
materiali offerti dalla rivista sono raccolti sotto il titolo d’insieme M. M.
BACHTIN E IL SUO CIRCOLO. Intanto, una
nuova serie, “Bachtin sotto la maschera”, viene inaugurata con l’uscita del
primo volumetto, in cui è ristampato IL
FREUDISMO E GLI INDIRIZZI CONTEMPORANEI
DEL PENSIERO FILOSOFICO E PSICOLOGICO (L ABIRINT,
Mosca 1993) di Valentin N. Voloscinov, con un commento di Vitalij
M. Machlin. E’ prevista la ristampa di IL
METODO FORMALE NEGLI STUDI LETTERARI, di
Pavel N. Medvedev.
Il fascicolo dei “Voprosy filosofii” dedicato a Michail M. Bachtin contiene un articolo di Elena A. Bogatyreva, “M. M.
Bachtin: ontologia etica e filosofia del linguaggio”; alcuni stralci, introdotti dalla
stessa Bogatyreva, del saggio di Valentin
N. Voloscinov, Marxismo e filosofia del
linguaggio (di cui è prevista la ristampa
nella serie “Bachtin sotto la maschera”
dell’editore Labirint di Mosca); un altro
articolo, “M. M. Bachtin e le tradizioni
della filosofia russa”, di Natal’ja K. Boneckaja; la prima puntata di una rassegna di
Vitalij L. Machlin, “Bachtin e l’Occidente” (la seconda e ultima puntata della rassegna di Machlin è uscita nei “Voprosy filosofii” di marzo 1993). Bogatyreva aveva
presentato a suo tempo assieme a E. V.
Volkova, nel “Bollettino dell’Università
di Mosca” (Vestnik Moskovskogo universiteta, serie 7/Filosofia, 1991/1), un “ritratto filosofico” dal titolo: “Nel tempo grande
della cultura: M. M. Bachtin”, con una
scelta del frammento Per una filosofia dell’atto, dei primi anni venti, e di quello del
1959-1961 Il problema del testo nella linguistica, nella filologia e nelle altre scienze umane. Il nuovo articolo di Bogatyreva
riprende le conclusioni del precedente sulla «compattezza dei lavori di Bachtin», e
sul senso particolare in cui è possibile parlare «di una evoluzione, di tappe determinate nello sviluppo della sua concezione
filosofica, culturologica, estetica». «Queste tappe, certo, ci furono: Bachtin approfondiva le idee e allargava il materiale
empirico, tralasciava o spostava alla periferia qualcosa, e di qualcosa faceva la dominante dell’indagine». Il tema specifico,
il drastico spostamento, a partire dalla metà
degli anni venti, dalle questioni più immediatamente compromettenti della responsabilità morale tout court, a quelle più
specialistiche e in definitiva esoteriche della responsabilità dell’intellettuale, dell’artista e dello scrittore, è stato trattato tanto
più facilmente in sé, senza la minima sotto-
lineatura delle circostanze. I risultati comunque ottenuti (e ormai noti) occupano
insomma nella ricostruzione anche lo spazio, il vuoto drammatico e tutto da visitare,
delle analisi rimaste a metà. «La filosofia
della vita - aveva scritto per di più Bachtin
in un passaggio di Per una filosofia dell’atto, non ripreso da Bogatyreva e da Volkova
nel 1991, e riscontrabile ormai nella traduzione di G. Mastroianni, Pensatori russi
del Novecento (L’officina tipografica,
Roma 1993, p. 149) - può essere solo una
filosofia morale».
Marxismo e filosofia del linguaggio è uno
degli scritti, che pur esibendo in copertina
il nome di altri autori, di Voloscinov, appunto, di Medvedev, di Ivan I. Kanaev, si
ritengono quanto meno ispirati da Bachtin,
e come tali in qualche modo anche significativi del suo insegnamento. Nell’introduzione alla traduzione italiana di questo scritto, condotta sulla traduzione inglese (Dedalo, Bari 1976, con solo quattro pagine dal
russo), Augusto Ponzio parlava di un rapporto delle concezioni di Voloscinov con
Bachtin, «assai stretto e, in gran parte, di
completa coincidenza». Proprio le pagine
riproposte dalla Bogatyreva, il secondo
capitolo e un pezzo del terzo della seconda
parte, e il secondo capitolo della terza parte, suggeriscono una linea di lettura assai
più prudente. Il discorso di Voloscinov non
ha davvero, né lo stile né lo spessore teorico
dei Problemi dell’opera di Dostoevskij.
Questi furono, fra l’altro, tranquillamente
pubblicati da Bachtin col proprio nome e
presso lo stesso editore, Priboj di Leningrado, nello stesso anno 1929.
In Marxismo e filosofia del linguaggio ricorrono «molte posizioni della filosofia del
linguaggio bachtiniana», ma, secondo la
stessa Bogatyreva, «come in forma ridotta», e abbondano professioni marxiste del
tutto assenti in Problemi dell’opera di
Dostoevskij. Mentre il merito principale
dei romanzi di cui si occupava Bachtin è l’
“analogia” con la “tragedia”, ovvero e per
esplicito l’esclusione radicale di un superamento dialettico della contrapposizione
delle coscienze, Voloscinov dichiarava che
«qui, come dappertutto, la verità non si
trova nel giusto mezzo e non è un compromesso fra la tesi e l’antitesi, bensì sta fuori
di esse, oltre di esse, essendo la stessa
negazione sia della tesi, sia dell’antitesi,
cioè essendo “sintesi dialettica”».
L’articolo di Boneckaja e la rassegna di
Machlin sono complementari. Per la prima, «la filosofia di Bachtin è duplice, e
appartiene sia al corso del pensiero occidentale, sia alla filosofia russa, entrando
nella sua ala sinistra -”pietroburghese”.
Bachtin conosceva troppo bene il pensiero
dell’Occidente, per non cedere al suo fascino, e oltre a questo era del tutto alieno
dal principio slavofilo. Ma la religiosità
ortodossa, benché avesse per lui un interesse puramente mentale, non poteva non
instillare nel suo pensiero l’idea della onniunità. Il dialogo che penetra tutto l’esse32
re della personalità, è un’interpretazione
di questa intuizione russa capitale nella
sua coscienza filosofica. La stranezza, e
insieme con questo l’attrattiva per noi delle vedute di Bachtin - è in questa combinazione in esse dei principi occidentale e
russo, combinazione organica, passata attraverso la propria esistenziale esperienza
del pensatore». L’ala destra, più conservatrice, del pensiero russo sarebbe stata quella moscovita. L’ “onniunità”, l’unità-distinzione di Dio, della natura e del genere
umano, è la categoria fondamentale in
Vladimir Solov’ev.
Fra le ventisette monografie, raccolte di
articoli, riviste in numero speciale, etc.,
procurate ultimamente in Occidente dall’entusiasmo per Bachtin e prese in esame
da Machlin, figurano l’Introduzione a
Bachtin di Paolo Jachia (Laterza, Bari
1992) e Tra semiotica e letteratura di
Augusto Ponzio (Bompiani, Milano 1992).
Di Ponzio, «noto semiotico italiano di
orientamento marxista dell’Università di
Bari, autore, se non sbaglio, dei primi libri
nel mondo sul pensatore russo», Machlin
ha dapprima ricordato il contributo del
1989, in realtà firmato con Angela Biancofiore, Dialogo, senso e ideologia. Secondo Machlin «qui per noi non è intanto
importante, che il critico italiano prenda
per “punto di partenza” in Bachtin quello
che non è per niente tale; ma è importante
che per Ponzio, come per molti umanisti
occidentali della più diversa specializzazione, il “testo letterario” sia una specie di
metafora di tutto quello “che ancora può
essere vivo”, se si ricorda il pensiero di M.
Holquist sopra citato. Noi diremmo di tutto ciò che ancora può essere visto e vissuto
come coscientemente significativo, o nella terminologia di Ponzio, “ideologico”».
Machlin ha poi continuato a proposito
degli interpreti occidentali che sono riusciti ad avvicinarsi strettamente alla sostanza delle idee di Bachtin, «persino dove
hanno luogo spiegazioni del tutto inadeguate e semplicemente assurde di queste
idee». «Confrontando Bachtin e E. Levinas
(quasi sconosciuto al nostro lettore) e contrapponendo Bachtin a Heidegger e Sartre,
il marxista italiano A. Ponzio scrive nel suo
ultimo libro su Bachtin: “Non esiste alcun
privilegio ontologico e metafisico della
coscienza dell’io, dato che la coscienza è
inscindibile dal linguaggio, e il linguaggio
è sempre altrui”. Il_libro di Ponzio, come
la monografia dell’altro marxista italiano
Jachia, come del resto anche i libri degli
inglesi strutturalisticamente orientati,
D. Lodge e D. Danow, sono degni di nota
per il carattere non tanto creativo, quanto
retrospettivamente-accademico. Libri di tal
genere, “introduzioni a Bachtin”, sono evidentemente necessari ora in Occidente, specialmente per il marxismo occidentale “sovra accademizzato” e la semiotica strutturalistica. Sono produttivi persino i luoghi
comuni, come il pensiero testé allegato di
Ponzio: eppure in essi si manifesta proprio
TENDENZE E DIBATTITI
una necessità comune nella “sociologia” e
“culturologia umanistica”; Bachtin, con la
sua interpretazione non decostruttivistica,
non “semioticamente-totalitaria” dell’ “alterità”, cioè dell’interna socialità, apertura, “incompiutezza” della personalità, di
colpo è risultato “nostro” per l’appunto
come Altro».
Tornando ancora una volta, nell’introduzione all’edizione italiana del Bachtin di
Katerina Clark e Michael Holquist (a
cura di F. Pellizzi, Il Mulino, Bologna
1991), sulla questione sopra toccata dei
rapporti della produzione di Bachtin con
quella che va sotto il nome dei seguaci, o
amici, Vittorio Strada ha osservato che
«sembra più filologicamente fedele, e produttivamente bachtiniano, dare a Bachtin
ciò che è di Bachtin e a Voloscinov e
Medvedev ciò che è loro proprio». Non
bisogna insomma “monologizzare”, per
usare un “altro termine, negativo, tipicamente bachtiniano”, Bachtin . Che non sia
troppo coerente, vedere in Voloscinov,
etc., delle semplici “maschere” di Bachtin,
lo hanno messo nel conto anche i redattori
di Labirint. La nuova raccolta delle opere
del cosiddetto circolo è tuttavia presentata
così: «Michail Michajlovic Bachtin realizzò un fenomenale esperimento culturologico (se si può chiamare esperimento
tutta una vita e una creazione), paragonabile alla mistificazione shakespeariana: una
paradossale interazione dell’autore e dell’eroe, niente affatto simile a quello al cui
studio principalmente nella letteratura artistica (come egli voleva convincerci coi
suoi lavori firmati) Bachtin dedicò tanta
energia.
Nella creazione umanistica classica di testi l’autore inventa il soggetto del discorso
(non una cosa monologica, bensì un soggetto dialogicamente vivo), nella letteratura artistica è questo l’eroe. Mentre qui
anno per anno escono tre libri, di circa 200
pagine l’uno. Essi brillantemente palesano il loro soggetto, esercitando un’influenza importantissima simultaneamente almeno in tre discipline umanistiche indipendenti (psicologia, studi letterari, linguistica - questo è quello che si vede in
superficie!) e solo dopo 35-40 anni i testi
generano ai lettori il loro autore, che si
manifesta con la stessa chiarezza e evidenza, con cui l’autore stesso è per noi il
soggetto delle sue ricerche. M. M. Bachtin
è diventato l’autore (definitivamente dopo
la morte, mentre in vita egli non aveva mai
dichiarato il suo essere autore, benché mai
lo avesse neppure negato) per lo meno dei
tre grandi lavori, da tempo noti nel mondo
scientifico. Uno schietto gioco di prestigio, sotto gli occhi di tutti, senza alcun
buttafuori shakespeariano! La rinascita dal
testo dell’autore! Una dimensione umanistica non euclidea o quarta. E se Bachtin
ritardò e modificò consapevolmente
l’azione di questi testi? Se spedì una
lettera non sigillata al futuro? Così, forse,
è tempo di leggere il messaggio?» G.M.
Retorica e/o filosofia
Recenti studi francesi paiono testimoniare un interesse crescente per problemi d’oratoria fino a poco tempo fa
interrogati principalmente da specialisti. E’ il segno di nuovi sofismi, oppure di una ricerca articolata tesa a ristudiare i rapporti, ora di alleanza, ora di
rivalità, ora di sospetta complicità fra
retorica e filosofia nel seno della cultura occidentale? Una risposta è offerta
dall’edizione “economica” delle LETTRES À LUCILIUS (Lettere a Lucilio, a cura
di P. Veyne, Laffont, Parigi 1993) di
Seneca e dal dialogo di Luciano, HERMOTINE OU COMMENT CHOISIR SA PHILOSOPHIE
(Ermotino o come scegliere la propria
filosofia, a cura di J.-P. Dumont, PUF,
Paris 1993). A ciò si affianca l’avvio di
due nuove collane presso la casa editrice Les Belles Lettres di Parigi, l’una
intitolata “La roue à livres”, l’altra, “Le
corps éloquent”.
Per retorica s’intende, il più delle volte,
una logica complessa del discorso, la cui
finalità principale è convincere, persuadere, sedurre. In quanto arte della simulazione, della seduzione e dell’inganno, la retorica non è ritenuta degna del discorso filosofico, che si vuole oggettivo, verace neutrale. Ma due fattori sembrano suscitare
una ripresa (e forse anche una rivalsa)
della retorica sulla filosofia. In primo luogo, la filosofia stessa, le cui pretese di
oggettività sono da più parti e da molto
tempo messe drasticamente in discussione, adotta più di quanto si possa pensare (o
desiderare) pratiche di persuasione, seduttive e non solo argomentative; in secondo
luogo, molti studi storico-filosofici si sono
preoccupati recentemente di rivendicare il
carattere filosofico della stessa retorica.
In particolare, questa riabilitazione della
retorica è oggi evidente in Francia; anche
se non mancano tracce significative in
Italia e in Germania. Ne è testimonianza la
pubblicazione di alcuni classici greci e
latini, destinati a un pubblico non di specialisti. Grande successo ha avuto l’edizione delle Lettres à Lucilius di Seneca,
curata in modo eccellente da Paul Veyne;
ancor più apprezzato per il suo carattere
metà-satirico, metà-fantastico è Hermotine ou comment choisir sa philosophie, uno
dei dialoghi più corrosivi di Luciano, in
cui Ermotene, un vecchio filosofo stoico,
si avvede, grazie a Lycinus, del carattere
fumoso di tutte le correnti filosofiche. Infatti, uno scarto profondo resta sempre fra
ciò che si dice e ciò che si fa. Di Luciano
è di prossima uscita presso la casa editrice
Les Belles Lettres anche il dialogo Les
images (Le immagini).
Si deve proprio a questa casa editrice l’inaugurazione di due collane molto interessanti: “La Roue à livres” e “Le corps éloquent”. La prima, diretta dal celebre storico François Hartog, da Michel Casevitz
33
e da John Scheid, si prefigge di pubblicare scritti, dall’antichità al Rinascimento,
ingiustamente sconosciuti o dimenticati,
perché troppo specialistici o eruditi. Non a
caso il simbolo della collana, la ruota dei
libri, un marchingegno immaginato da un
umanista visionario del Rinascimento, rinvia alla possibilità fantastica di poter leggere al contempo più libri facendoli ruotare davanti agli occhi.
Tra i titoli più significativi di questa collana figurano libri bellissimi e molto raffinati, come Les images (Le immagini) di
Filostrato, e un’opera d’importanza capitale per la retorica e per l’estetica,
come La donation de Constantin (La
donazione di Costantino) di Lorenzo Valla; e ancora vi troviamo Dionigi d’Alicarnasso, lo Pseudo-Callistene, Geoffroy de
Monmouth, Jean de Mandeville.
“Le corps éloquent”, collana diretta da
Pierre Laurens, Florence Vuilleumier,
Nuccio Ordine, Yves Hersant, mira a far
toccare con mano al lettore come l’idea
astratta s’incarni grazie anche alla seduzione delle parole: seduzione estremamente
concreta, perfino tangibile, olfattiva, acustica, che il corpo delle parole cela e impudicamente rivela. La parola retorica, così
concepita, copre ogni livello culturale.
Quello politico certo; senza con ciò volerne ridurne la portata: è il caso del Projet
d’éloquence royale (Progetto di eloquenza reale) di Jacques Amyot, traduttore
umanista di Plutarco e letterato incaricato
di educare la favella del suo re, Henri II,
uno dei re più discussi (bigotto, omosessuale, crudelissimo) e dei più abili nell’oratoria. Amyot scrive così un progetto
di eloquenza per il re la cui pedagogia
riflette al contempo una visione del mondo
e una visione dei rapporti politici.
Ma la retorica offre il proprio corpo anche
e soprattutto all’arte; ne diviene complice
nei trattati di poetica del XVI (si veda la
pubblicazione imminente di Giulio Camillo, De l’imitation), poi alleata nella
codificazione dei codici (si veda di Lope
de Vega L’art nouveau de faire les
comédies), poi rivale nell’antica concorrenza fra parole e immagine nell’arte della
devisa (si veda di Emanuele Tesauro,
L’idée de la parfaite devise), e infine antica maestra di nuove scritture (si veda E.
Gadda, L’arte d’écrire à la radio).
L’intreccio fra retorica e filosofia porta
dunque a interrogarsi sul miglior modo di
dire con veracità o almeno con verosimiglianza le cose del mondo. L’accomodatio allora non riguarda solamente la strategia di adeguamento al pubblico, ma
anche il problema dell’aderenza del linguaggio alle cose: in questo nodo retorica e filosofia si stringono l’una all’altra
come gemelli nemici. F.M.Z.
TENDENZE E DIBATTITI
Dresda, 1945 (veduta della città vecchia dalla torre del Municipio)
Dio è morto?
Dell’annuncio nietzscheano della morte di Dio, fanno parte queste parole
d’eco platonica: «Ma tali sono gli uomini, che ancora per millenni rimarranno nelle caverne in cui si mostrerà
la sua ombra». La fondamentale incapacità del nostro tempo di affrancarsi
dall’ombra di Dio è al centro dello
studio di Jean-Christophe Bailly, ADIEU.
ESSAI SUR LA MORT DE DIEU (Addio. Saggio
sulla morte di Dio, Ed. de L’Aube, La
Tour d’Aignes 1993). Anche l’opera
collettanea curata da Jean Delumeau,
LE FAIT RELIGIEUX (Il fatto religioso, Fayard, Paris 1993) offre spunti interessanti sull’argomento, proponendo, tra
gli altri, due contributi che individuano le principali tendenze dell’attuale
congiuntura religiosa, contrassegnata dalla morte di Dio.
Dopo aver brevemente delineato il percorso millenario che conduce dal tempo degli
dei a quello di Dio e infine al nostro tempo,
senza dei né Dio, Jean-Christoph Bailly
si volge a sviluppare il motivo più originale
di questo suo lavoro, basato su un riuscito
gioco di parole: la nostra epoca «a Dio, in
realtà, non ha detto addio». L’emancipazione dal divino è solo apparente, perché il
lavoro del lutto è rimasto incompiuto; non
si è verificato cioè quel processo di rielabo-
razione del rapporto con l’oggetto perduto,
che solo consente di liberarsene. Così, oggi,
nel mondo “splende divinamente” questa
assenza, che non è altro che una nuova
forma di presenza.
Non appena Dio si è ritirato su un piano
diverso da quello della spiegazione razionale del mondo, al suo posto, osserva Bailly, è subentrato il “regno del capitale”, che
non si riduce al capitalismo, a un modo di
produzione economica, ma designa il processo di conversione dell’uomo alla produzione generalizzata. Hölderlin, ricorda
Bailly, aveva annunciato “la fuga degli
dei” e la venuta dei Titani, gli esseri di ferro
protagonisti dell’età della tecnica: all’universo del divino subentrava l’ordine e la
potenza della tecnica, capace di imporre
una nuova percezione dello spazio e del
tempo, di modificare profondamente le
strutture della società e stravolgere le abitudini degli uomini. In questo avvicendamento, fa notare Bailly, l’uomo non ha in
realtà voluto la morte di Dio, ma l’ha innavertitamente subita: l’uomo occidentale,
contemporaneo, ha in qualche modo perso
Dio per strada «e così scioccamente che
non se n’è ancora reso conto». Per questo,
secondo Bailly, non gli riesce di sbarazzarsi della sua ombra. L’affrancamento, suggerisce Bailly, passa attraverso il riconoscimento dell’impotenza dell’ateismo (che
in quanto atteggiamento di negazione si
rivela solo una strategia di difesa inadegua34
ta rispetto al problema), l’abbandono della
sua arroganza e presunzione, per realizzare
con pietas quella “proiezione nell’aperto”
di heideggeriana memoria.
Un riepilogo delle modalità più diffuse in
cui si compie oggi la morte di Dio è fornito
da alcuni dei contributi della raccolta Le
fait religieux, curata da Jean Delumeau.
Due sarebbero le tendenze principali: da un
lato un agnosticismo diffuso, prodotto del
clima di incertezza, della decadenza delle
religioni istituite, testimoniato dalla comparsa della figura del “religioso indeciso” e
di personalità ecclettiche; ma Dio sembra
morire anche negli angusti limiti di una
“cittadella dottrinale”, che si erge a monumento di una certezza assoluta, come testimonia l’aumento degli estremismi religiosi che fomentano ideologie esclusiviste.
Proposito della raccolta è quello di esibire
la presenza del divino nella diversità delle
sue forme, ovvero di «presentare al pubblico l’essenza di ogni religione per consentire di coglierne la ricchezza e lo spirito». In
realtà l’obiettivo appare ancora più ambizioso: incentrato più sul fatto religioso, che
sulle religioni, l’antologia si propone di
ritrarre l’«uomo religioso di tutti i tempi e
di tutti i luoghi». Lo spazio del sacro è
individuato come il luogo in cui l’uomo
incontra ciò che lo supera, prende coscienza del suo limite e viene intimato a realizzarsi. Da questa relazione nascono modi di
essere, linguaggi, simbolismi, riti, obbli-
TENDENZE E DIBATTITI
ghi, dei quali è possibile identificare le
affinità, al di là delle differenze che definiscono la semplicità di ogni religione. Rispetto alle religioni dette “dei popoli senza
scrittura”, maggiore spazio è riservato alle
“religioni del libro” (cristianesimo, ebraismo, islam e le grandi religioni dell’Oriente), considerate, più che per le loro divergenze, per la loro comune collocazione
nell’ambito di quella tradizione umanista,
offuscata dalla modernità. A.M.
Heidegger in America
Già da parecchi anni, l’interesse per
Heidegger ha invaso anche la scena
filosofica anglo-americana, suscitando confronti critici, studi storici o approfondimenti monografici, riflessioni teorico-speculative. Un pullulare di
testi dedicati a questo filosofo, apparsi recentemente a ritmo serrato in Inghilterra e in America, testimonia della vitalità interpretativa della cultura
filosofica americana. Tra le monografie più importanti segnaliamo quella
di Robert Bernasconi, HEIDEGGER IN
QUESTION (Humanities Press, Atlantic
Highlands1993), quella di Theodore
Kisiel, THE GENESIS OF HEIDEGGER’S ‘BEING
AND TIME’ (California University Press,
Berkeley1994) e quella di Stanley
Rosen, THE QUESTION OF BEING: A REVERSAL
OF HEIDEGGER (Yale University Press,
London-New Haven 1993). Notevoli
anche alcuni volumi collettanei:
READING HEIDEGGER : COMMEMORATIONS, a
cura di John Sallis (Indiana University
Press, Bloomington 1993); HEIDEGGER: A
CRITICAL READER, a cura di Hubert L.
Dreyfus e Harrison Hall (Blackwell,
Oxford 1992); THE HEIDEGGER CONTROVERSY: A
CRITICAL READER , a cura di Richard Wolin
(Mit Press, Cambridge 1993); THE
CAMBRIDGE COMPANION TO HEIDEGGER , a
cura di Charles Guignon (Cambridge
University Press, New York 1993). Da
segnalare infine anche la ristampa dell’opera di George Steiner, HEIDEGGER
(Harper Collins, New York 1993), e
l’edizione inglese di MARTIN HEIDEGGER:
A POLITICAL LIFE, di Hugo Ott (Harper
Collins, New York 1993).
Già nel titolo del suo lavoro, Heidegger in
Question, Robert Bernasconi annuncia di
voler mettere in discussione Heidegger; lo
fa, esaminando gli aspetti più radicali del
superamento heideggeriano della metafisica in un costante confronto con le dottrine
capitali del pensiero occidentale e con i
suoi momenti fondativi più importanti, tra
i quali Aristotele, Kant e Hegel occupano
una posizione di primaria importanza. Nelle sue ricostruzioni, Bernasconi è interessato a mettere in evidenza le strutture e le
strategie argomentative di cui Heidegger si
serve per attuare la sua distruzione della
metafisica.
Più storico, ma non meno interessante nei
risultati, è lo studio di Theodore Kisiel,
The Genesis of Heidegger’s ‘Being and
Time’. Noto traduttore di Heidegger - a lui
si deve la versione americana del corso
universitario del 1925 Prolegomeni a una
storia del concetto di tempo - Kisiel
espone i risultati di un vasto lavoro di
ricostruzione storico-genetica sulla nascita
di Essere e tempo. Si avvale in questo di
numerosi documenti inediti e di ricerche
d’archivio che lo hanno portato a fare scoperte molto importanti. Viene proposta,
per esempio, la ricostruzione completa del
progetto del giovane Heidegger di comporre un libro su Aristotele, poi lasciato cadere, del quale ci resta una celebre sintesi: il
cosiddetto “Natorp-Bericht”, una cinquantina di cartelle in cui Heidegger riassumeva
la sua ricerca sullo Stagirita, che furono
inviate a Natorp e che impressionarono a
tal punto, per il loro vigore speculativo, che
Heidegger fu subito nominato alla cattedra
di filosofia dell’Università di Marburgo.
Anche a proposito del trattato inedito Il
concetto di tempo (1924), un’anticipazione
vera e propria del nucleo tematico di Essere e tempo, Kisiel fornisce una ricostruzione assolutamente inedita della sua genesi e
delle ragioni per le quali Heidegger rinunciò a pubblicarlo. Insomma, lo studio di
Kisiel rappresenta la ricostruzione finora
più convincente del cammino di pensiero
compiuto dal giovane Heidegger fino a
Essere e tempo, dove viene dato particolare
risalto, più ancora che al confronto con
Husserl o con Aristotele, all’elaborazione
heideggeriana delle intuizioni del cristianesimo primitivo.
Il testo più critico e originale è indubbiamente quello di Stanley Rosen, The Question of Being: a Reversal of Heidegger.
Studioso attento del pensiero heideggeriano in modo particolare del problema del
nichilismo con questo suo nuovo studio
Rosen fornisce un contributo che è la somma di un lavoro di ricerca protrattosi per
anni e che prospetta niente meno che un
“rovesciamento” delle tesi di Heidegger
secondo cui la storia del pensiero occidentale è la storia di una decadenza, e precisamente la decadenza rappresentata dal “platonismo-nichilismo”. A tal fine Rosen propone un accurato esame, punto per punto,
del testo principale in cui Heidegger ha
sostenuto tali tesi, vale a dire i due volumi
su Nietzsche, e cerca di rovesciare l’assunto che attraversa, come un filo rosso, tutta
l’immensa opera: per Rosen, cioè, la dottrina platonica dei due mondi non segna l’inizio della decadenza occidentale, ma è il
caposaldo su cui poggia tutto il pensiero
filosofico. Rosen polemizza dunque duramente non solo con Heidegger, che vede in
Platone il primo nichilista e in Nietzsche
l’ultimo, il “più sfrenato” di tutti i platoni-
Hans Wimmer, Maschera di Martin Heidegger (1975)
35
TENDENZE E DIBATTITI
ci, ma anche con le larghe schiere dei
pensatori contemporanei che a questa linea
si sono ispirati facendosi fautori e apologeti del nichilismo.
Il volume di saggi raccolti da Richard
Wolin, The Heidegger controversy: a critical reader, ha invece come tema principale la questione del coinvolgimento di
Heidegger con il nazismo e dell’incidenza
che esso ha avuto nel dibattito filosofico
sul pensiero di questo autore. L’intento
dichiarato di Wolin è quello di proporre
una lettura critica e originale del pensiero
di Heidegger. In realtà, ampiamente influenzato da Habermas, Wolin finisce per
dissipare le proprie energie esegetiche in
un duro attacco alle tesi di Derrida sui
rapporti tra politica e filosofia in Heidegger,
e al suo intento «di voler difendere l’innocenza di Heidegger dalle accuse di nazismo», nonostante Derrida stesso abbia sostenuto, molto chiaramente, l’impossibilità dell’innocenza politica di Heidegger.
Incongruo appare poi il fatto che l’opera di
Wolin termini con una illustrazione del
dibattito heideggeriano in Francia, con
riferimenti a Lacoue-Labarthe, Lyotard,
Ferry e Renaut e allo stesso Derrida.
Rientra in questa tendenza anche la traduzione inglese del noto volume del tedesco Hugo Ott, Heidegger, che indaga
puntigliosamente il rapporto del filosofo
con il nazismo.
Molto utili, secondo una buona tradizione
tipica dell’editoria americana, sono i volumi di readings su Heidegger curati da studiosi di rilievo. Reading Heidegger: commemorations, di uno dei maggiori esponenti dello heideggerismo americano, John
Sallis, raccoglie le relazioni esposte nel
1989 a Chicago, in occasione della celebrazione del centenario della nascita del filosofo; da segnalare, soprattutto, il saggio di
Derrida che vi è contenuto, in cui culmina
la raccolta dei contributi internazionali degli studiosi intervenuti al convegno, sapientemente orchestrati da Sallis. L’obiettivo di Hubert L. Dreyfus e Harrison
Hall, curatori di Heidegger: A Critical
Reader, è cercare di verificare, attraverso
una lettura ermeneutica dei testi, quali relazioni esistono tra il pensiero di Heidegger
e la tradizione filosofica analitica, con
particolare riferimento alla semantica di
Davidson, alla logica della quantificazione e, soprattutto, al pragmatismo di Rorty.
Prospettiva certo trasversale ed eccentrica,
ma sicuramente stimolante e produttiva,
che intende mettere in evidenza come
«Heidegger non abbia fondato il suo pensiero su concetti quotidiani, ma su una pratica
quotidiana: in ciò che le persone fanno effettivamente, non in ciò che essi dicono di
fare». Visione che, per Rorty, avvicina
Heidegger a Dewey e al secondo
Wittgenstein, ma che rischia di far rientrare
lo stesso Heidegger in quella lunga serie di
riduzionismi che caratterizzano gran parte della
filosofia occidentale, e di cui il pragmatismo
rappresenta un ennesimo esempio. E.C.
La coscienza e le sue “funzioni”
L’intuizione fondamentale della teoria della mente di Daniel C. Dennett è
che essa debba prima spiegare la nozione di contenuto e poi quella di coscienza. A questa necessità rispondono alla lettera due opere del filosofo
americano, di recente disponibili in
edizione italiana: L’ATTEGGIAMENTO INTENZIONALE (tr. it. di E. Bassato, Il Mulino, Bologna 1993), che ha come argomento il contenuto della mente, e COSCIENZA. CHE COSA E’ (tr. it. di L. Colasanti, Rizzoli, Milano 1993), interamente
dedicato al problema della coscienza.
Ciò che più sbalordisce nell’attività della
mente è forse quello che nel secolo scorso
Wilhem von Humboldt definiva come «l’uso
infinito di mezzi finiti». Il cosiddetto «problema di von Humboldt» era appunto di
capire in che modo le capacità combinatorie
della mente vengono attivate. Negli ultimi
anni, neurobiologi, filosofi della mente, psicologi cognitivisti, studiosi di intelligenza
artificiale hanno avanzato ipotesi diverse,
forse non risolutive, ma indubbiamente rilevanti per la comprensione del problema di
von Humboldt, delineando una sorta di “mappa cerebrale”, secondo cui una certa combinazione di comandi neuronali si traduce in
un certo movimento e raggiunge un certo
obiettivo. Tuttavia la questione “basica”, la
questione della coscienza umana, rimane
ancora al centro del dibattito sull’agire intelligente degli esseri umani.
La costruzione di una vera e propria teoria
della mente ha guidato l’opera filosofica di
Daniel C. Dennett, sin dai suoi primi lavori, come Contenuto e coscienza (trad. it. di
Giulietta Pacini Mugnai, Il Mulino, Bologna 1992). La sua intuizione fondamentale
è che la teoria debba spiegare prima la
nozione di contenuto, cioè spiegare il fatto
che la mente è diretta-a o fissata-su qualcosa, e poi la nozione di coscienza. E già a
questo livello Dennett si oppone a molti
altri autori, per esempio a Thomas Nagel e
a John Searle, che vorrebbero procedere
all’inverso: spiegare l’intenzionalità della
mente a partire dalla coscienza. Nel suo
The Rediscovery of the Mind (1992), Searle
mette in atto una critica “sistematica” delle
diverse teorie della mente, ritenendo che,
in un senso o nell’altro, i materialisti di
ogni genere, i funzionalisti, i freudiani e gli
psicologi computazionali sono tutti in errore. Obiettivo di Searle è dunque da un lato
dimostrare perché queste teorie della mente siano sbagliate, dall’altro fornire una
descrizione della coscienza alla luce della
propria teoria, che Searle chiama “Biological Naturalism” e che sostiene l’esistenza
di una relazione mente-corpo (the mindbody relation) come risposta radicale al
dualismo cartesiano. Searle ritiene infatti
che gli stati della coscienza, le intenzioni,
non siano riducibili a qualcos’altro e che
essi stessi abbiano potere causale: il menta36
le stesso è “fisico”, nel senso che le proprietà
biologiche sono fisiche e le proprietà mentali
sono biologiche. La coscienza e l’intenzione
sono per Searle dei «primitivi». Qualsiasi
stato mentale è intenzionale, anche gli stati
inconsci, perché essi sono stati disposizionali per produrre stati coscienti.
Per Dennett invece Intenzioni e Coscienza
sono elementi diversi della mente; per fornire un modello adeguato della mente umana, non è possibile partire dalla coscienza,
ma è necessario analizzarne prima i contenuti, le intenzioni. La teoria dell’intenzionalità che Dennet elabora in L’atteggiamento intenzionale non si occupa quindi
della coscienza, ma dei suoi contenuti, degli oggetti, o “sistemi intenzionali”, che
definiscono l’atteggiamento intenzionale
di un essere umano. Contenuti e oggetti che
per Dennett stanno alla base della teoria
della coscienza, ma che non costituiscono
essi stessi la coscienza, bensì le sue funzioni, quel “contenuto mentale”, senza il quale
non si darebbe neppure “coscienza”.
Della mente Dennett parla senza “pudori”
nel suo ultimo lavoro, Coscienza, in cui
emerge in modo radicale il carattere innovativo della sua posizione. Dennett è un
funzionalista: per lui spiegare la coscienza
significa spiegare come è fatto un meccanismo che assolve le funzioni della coscienza, un meccanismo che sa fare tutte le cose
che sa fare la coscienza. I poteri della
coscienza sono soprattutto poteri di autocontrollo, autoregolazione e autostimolazione, che consentono l’esecuzione di compiti strategici e organizzativi complessi.
Per Dennett occorre abbandonare, oltre all’eredità cartesiana del dualismo mente/
corpo, anche il modello della coscienza
come “teatro cartesiano”, il mitico luogo
del cervello in cui i dati della percezione e
della memoria verrebbero organizzati in
una presentazione coerente, il luogo cioè in
cui si prenderebbe coscienza di una cosa.
Al teatro cartesiano Dennett oppone il
modello delle “molteplici versioni”, proponendo la metafora della “continua revisione”, che ha la funzione di fissare nella
coscienza e nella memoria immagini e accadimenti, anche se non impedisce che
gran parte del materiale “revisionato” sparisca senza lasciare traccia. La differenza
fondamentale tra il modello delle “molteplici versioni” e quello del “teatro cartesiano” è che mentre il primo ha le caratteristiche di un’ipotesi scientifica, il secondo è
solo una “cattiva metafora” che non spiega
nulla; lascia la coscienza nell’alone di mistero in cui già si trovava.
L’obiettivo polemico di Dennett è costituito dai sostenitori della coscienza intesa
come qualcosa di irriducibile, di misterioso e incomprensibile, senza provare nemmeno a immaginare la complessità del sistema di cui parla. Se ci provasse si renderebbe conto che a certi livelli di complessità, non è più evidente che non ci sia coscienza. Anzi, a tali livelli non è rimasto
molto di evidente: la nostra immaginazio-
TENDENZE E DIBATTITI
ne non è abbastanza allenata per parlarne in
modo sensato. E il tentativo di Dennett è
allora quello di demistificare e di consegnare all’argomentazione scientifica, al
ragionamento, l’argomento tabù costituito
dalla coscienza. «Un mistero - afferma
Dennett - è un fenomeno sul quale la gente
non sa ancora ragionare». Come oggi riusciamo, grazie alla fisica delle particelle, alla
cosmologia o alla genetica molecolare, a
ragionare su quelli che un tempo erano i
“grandi misteri”, il mistero dell’origine dell’universo, il mistero della vita e della riproduzione, il mistero del tempo, dello spazio e
della gravità, così dobbiamo riuscire a comprendere come porre domande ben formulate anche sui problemi della mente umana.
«Potremo sempre sbagliarci - aggiunge Dennett - ma almeno sapremo come dobbiamo
trattare la questione per trovare risposte migliori, cioè più accettabili». E.C.
Comunicare
Tre studi, apparsi recentemente in
Francia, affrontano da prospettive diverse il tema della comunicazione. L’ultimo lavoro di Michel Serres, LA LÉGENDE DES ANGES (La leggenda degli angeli,
Flammarion, Paris 1993), utilizza la
forma classica del dialogo per passare
in rassegna i modi della comunicazione contemporanea e mettere in guardia dalle insidie dell’era dell’informazione. Anche L’ART DU MOTEUR (L’arte
del motore, Galilée, Paris 1993) di Paul
Virilio lancia un grido d’allarme per il
proliferare delle tecnologie dell’illusione, che, con il loro potere di suggestione, inducono l’individuo a instaurare un rapporto deforme e pericoloso
col mondo e con se stesso. L’analisi
svolta da Gilles Deleuze in CRITIQUE ET
CLINIQUE (Critica e clinica, Minuit, Paris
1993) si incentra invece sull’espressività della parola letteraria come forma
piena e compiuta della comunicazione.
Per Gilles Deleuze, esprimersi, comunicare vuol dire «creare una lingua nella lingua», deviare dal linguaggio comune verso
modalità linguistiche inedite: una sorta di
“delirio”, concesso in primo luogo a letterati e artisti, i soli a godere del privilegio di
infrangere le regole della lingua per inventare un linguaggio nuovo. Eloquenti in tal
senso risultano le parole di Proust poste in
exergo a questa raccolta di saggi: «I bei
libri sono scritti in una forma di lingua
straniera».
Da Spinoza e Melville a Nietzsche e ai due
Lawrence, da Kafka ad Artaud, l’opera di
Deleuze considera le scritture più varie
come esempi di creazioni linguistiche.
Quattro sono le questioni attorno alle quali
ruotano i 17 saggi della raccolta: «in che
modo un’altra lingua si crea nella lingua,
per cui il linguaggio intero tende verso il
suo limite o il suo proprio “fuori”»; «in che
modo la possibilità della psicosi e la realtà
del delirio si inscrivono in questo percorso»; «in che modo il fuori del linguaggio è
fatto di visioni e di audizioni non-linguistiche, ma che solo il linguaggio rende possibili»; «in che senso gli scrittori sono pittori
e musicisti». Il processo di formazione di
questo “delirio” lo si può intendere come
un continuo sfrangiamento della lingua
comune in una molteplicità di modalità
espressive che costituiscono tentativi pionieristici di traduzione - e costituzione al
tempo stesso - del non linguistico (il “limite” del linguaggio) in parola.
Questo processo di creazione di una lingua,
o meglio di molte lingue nella lingua, è tale
da far saltare nel contempo qualsiasi idea di
unità, di verità e di soggettività della lingua, mentre ci svela la priorità ontologica
del linguaggio e dell’atto espressivo rispetto al suo “fuori”. Di fronte alla molteplicità
dell’espressione ogni scrittore, con la sua
trama di segni, inaugura una modalità del
percepire, del vedere e del sentire che ne fa
un “pittore” e un “musicista”. Deleuze stesso si rivela tale in Critique et clinique,
opera che non presenta una struttura unitaria, né ha carattere monografico, ma è essa
stessa esempio di come si costruisce “una
lingua nella lingua”.
È invece ricorrendo alla forma classica del
dialogo che Michel Serres affronta il tema
della comunicazione in La légende des
anges. Due i personaggi, dai nomi eloquenti: Pia, un medico, e Pantope (dal greco
“che sta ovunque”), rampante ispettore dell’Air France. Il luogo è l’aereoporto, moderna agora. La presenza di un fuori testo,
attraverso il quale l’autore risponde in anticipo alle domande dei lettori, mantiene
viva nel testo la forma del dialogo continuo. Tra le numerose illustrazioni che accompagnano il testo, quella che raffigura
un quadro di Raffaello ci suggerisce la
chiave esplicativa del titolo: vi è rappresentata la statua di Hermés, messaggero degli
dei, rotta in diversi pezzi. I frammenti di
Hermés sono angeli, moltitudine di messaggeri, che nell’insieme simbolizzano il
mondo contemporaneo come mondo della
comunicazione pluridirezionale. Serres distingue ora tra angeli “buoni”, quelli che si
eclissano, si fanno da parte per far risaltare
il messaggio, e angeli “cattivi”, quelli che
invece occupano e occultano questo messaggio. Questi ultimi sono corrosi dal potere; gli altri sono mossi dall’amore, sentimento che Serres considera la forma di
dialogo più intensa. In opposizione a una
nozione così “alta” di comunicazione,
Serres rileva tuttavia come quasi tutti i
canali della comunicazione culturale abbiano subito oggi una sorta di ostruzione;
se nel mondo degli angeli le comunicazioni
sono facilitate, il loro moltiplicarsi provoca tuttavia intasamenti che rendono la comunicazione stessa inefficace.
Un’analisi della comunicazione mediatica
37
è contenuta ne L’art du moteur di Paul
Virilio. L’intento dei media, fa notare Virilio, «non riguarda più tanto ciò che sono
capaci di mostrare, ma quel che sono in
grado di cancellare, di nascondere, e che ha
costituito finora l’essenziale del loro potere». Dopo Vitesse et politique. Essai de
dromologie (Velocità e politica. Saggio di
dromologia, 1977; trad. it. 1982), Virilio ha
continuato a indagare il paradosso dell’accellerazione storica e tecnica che, se inizialmente riguardava solo lo spazio, oggi
investe anche il tempo, con il risultato di
uno stravolgimento della relazione dell’uomo con il mondo, all’insegna dell’ubiquità
e dell’instantaneità. Quattro sono le fasi
che scandiscono tale processo, segnato dalla
corrispondente invenzione di quattro “motori”: il motore a vapore, a scoppio, elettrico, e da ultimo, il “motore informatico”.
Quest’ultima invenzione porta con sé la
smaterializzazione dello spazio e lo svanire dell’esperienza del tempo: «La fusione/
confusione di informazione e informatica», osserva Virilio, ha portato allo sviluppo «di un arte del motore capace di ritmare
la perpetua mutazione delle apparenze».
La “dromologia” di Virilio punta a individuare legami e contiguità tra più epoche e
forme di vita sulla base del ruolo che in esse
gioca il fattore velocità. Se nel mondo
animale l’aumento della velocità è fondamentalmente una reazione indotta dalla
percezione del pericolo, la velocità di spostamento realizzata dall’uomo attraverso
le macchine si caratterizza come una sofistificazione della fuga. Nel passaggio dall’età dell’automobile a quella dell’audiovisivo la possibilità di essere dislocati in
mondi diversi si profila al tempo stesso
come tendenziale annullamento del reale.
Già in La machine de la vision (La macchina della visione, 1988; trad. it. 1989), Virilio aveva illustrato come l’avvento dell’informatica e della telematica concludano un
processo di derealizzazione che se prima
portava alla scomparsa del corporeo a favore della macchina, si configura poi come
sparizione di quest’ultima a favore del
messaggio: è quel che Virilio chiama “derealizzazione informatica” che conduce
oggi alla «sconfitta dei fatti, perché l’informazione supera ormai la realtà dell’avvenimento». Ciò che si rischia di perdere in
questo vedere tutto e sentire tutto è lo scarto
tra realtà e rappresentazione. «Assistiamo
a un colpo di stato informazionale» - sostiene Virilio, mettendo in guardia per l’abolizione di ogni prospettiva spazio-temporale, imposta dalla tirannia dell’informazione in tempo reale. Con l’avvento di
quest’ultima è il messaggio stesso a passare in secondo piano rispetto al colpo sensazionale della rivelazione, a cui fa riscontro
l’ “oscuramento del senso”, il deprezzamento di qualsiasi contenuto informativo.
Lo sconvolgimento del rapporto dell’uomo con se stesso, fa notare Virilio, accompagna questa mutata percezione della realtà. Si tende a «trattare il vivente come una
TENDENZE E DIBATTITI
macchina da accellerare costantemente», in
grado di agire pur rimanendo immobile in un
mondo inesteso, tendenzialmente “ridotto a
nulla”. Virilio non esclude l’apparizione
addirittura di una «nuova specie occidentale
maggiormente equipaggiata», un uomo tecnologico “integralmente sovraeccitato”, ma
depresso nella sua vitalità, in grado di colonizzare, se non fagocitare l’ambiente. Un
grido d’allarme e di battaglia umanistico
quello lanciato da L’art du moteur, che non
si rassegna all’ineluttabilità dell’odierna accellerazione e al destino di nientificazione
che accompagna lo sguardo mediatizzato,
consegnato alla macchina. A.M.
Ebraismo dopo Auschwitz
È sicuramente degno di nota che a
breve distanza di tempo siano stati
pubblicati in Italia, e ad opera di autrici
italiane, ben due libri, PENSARE DOPO
AUSCHWITZ. ETICA FILOSOFICA E TEODICEA
EBRAICA (Edizioni Scientifiche Italiane,
Napoli 1992), di Silvia Benso, e FEDE
EBRAICA E ATEISMO DOPO AUSCHWITZ (Benucci, Perugia 1993), di Irene Kajon,
che già nel titolo portano un riferimento al “dopo Auschwitz” come sfondo
“obbligante” del pensiero contemporaneo, e di quello “ebraico” in particolare. La cosa è ancora più degna di
nota se si pensa a quanta poca eco
hanno avuto in Italia i dibattiti sull’argomento, condotti altrove, specialmente negli U.S.A.. Da questo punto
di vista, e innanzitutto, entrambi questi lavori costituiscono per il lettore
italiano una straordinaria miniera di
informazioni non altrimenti disponibili.
Certo, la ricerca di Silvia Benso pare esibire qualche intenzione in più, rispetto a
quella di Irene Kajon, nel senso di una
rielaborazione concettuale in proprio. In
effetti, la prima sezione di Pensare dopo
Auschwitz si presenta come una fenomenologia del “(poter) pensare Auschwitz oggi”.
Tale fenomenologia, dove non manca il
ricorso sapiente a “figure” attinte ovunque
esse si offrano (come le molte suggestioni
tratte da narratori-testimoni come Elie
Wiesel e Primo Levi) si costruisce certo, in
larga parte, per antifrasi e antitesi - il “pensiero dell’identità”, già “anche” illuministico, costitutivamente incapace di rapportarsi all’alterità ebraica, che porta dritto
all’indifferente machinerie dello sterminio; le visioni universalistiche e “progressive” della storia che tentano pateticamente di ammortizzare entro di sé l’evento
spartiacque del nostro tempo, il tremendum, come lo chiama Benso sulla scorta di
Arthur Cohen; l’incapacità congenita dell’aspirante “pastore dell’Essere”,
Heidegger, al di là delle sue compromissioni “pratiche” col nazismo, a comprendere
la cesura nel e dell’Essere rappresentata
dalla Shoah; ecc.ecc.
Ma la pars destruens finisce col far posto
ad una riflessione ravvicinata (che definire
“costruttiva”, visto l’argomento, suonerebbe alquanto poco perspicuo, ed anche un
po’ derisorio) sulla “cesura”, appunto, e
sull’ “interruzione” che per il pensiero contemporaneo - il “nostro” pensiero - deve
rappresentare Auschwitz. Qui i punti di
riferimento emergenti, tra molti altri, sono,
pour cause, l’Adorno della Dialettica negativa e, più a monte, il Benjamin delle
Tesi di filosofia della storia, con il suo
invito pressante a imparare a vedere la
storia “dalla parte dei vinti”. Ed è cesura e
interruzione non soltanto per la storia, e per
lo sguardo ermeneutico che cerca di rintracciare, in quella storia, le vestigia della
verità. Più radicalmente - e molto al di là di
una ormai tradizionale “apertura all’etico”,
o, per dirla con Lévinas, all’ “altrimenti che
essere” -, è proprio dell’Essere che ne va in
prima persona, quel «essere-stato» delle
vittime che «attraverso l’appello con cui
invoca attenzione - così si esprime Benso suggerisce la possibilità di un essere che
deve ancora venire, un essere-che-sarà»:
«L’attenzione al particolare così come si dà
nella storia, la risposta al suo richiamo,
l’impegno a preservarne integra la frammentarietà, costituiscono il cammino che
la filosofia dopo Auschwitz deve esplorare
e intraprendere, se vuole rimanere pensiero
dell’essere, filosofia e non retorica, amore
per la verità e non sofistica». Coerentemente, documento “anche” filosofico per
eccellenza diventeranno allora, osserva
Benso, le testimonianze delle vittime, le
narrazioni, i diari e i disegni: segni tutti di
quel manifestarsi estremo dell’Essere - sullo sfondo della frattura prodottasi pure, con
Auschwitz, nella parola e nella lingua- che
ha da costituire, ormai, il nostro peculiare
oggetto di riflessione. Se, talvolta, la fenomenologia offerta dalla Benso, con la sua
apparente perentorietà, deve proprio far
sorgere qualche istintiva riserva critica,
essa è dello stesso ordine di quella consapevolezza che percorre il libro da un capo
all’altro: del “pensare Auschwitz”, e del
ripensare l’Essere alla sua luce, non si può
dare (più) sistema.
Una volta definite in modo così puntuale le
premesse - e l’ambito insuperabile e inaggirabile del discorso -, nella seconda parte
della sua ricerca Benso passa in rassegna
alcune di quelle risposte contemporanee al
“problema di Auschwitz” di cui si accennava all’inizio, e accentra la propria analisi,
com’è pur ragionevole, sui problemi teologici e “di teodicea” sollevati dal genocidio.
Alla fine, una certa condizionata preferenza pare accordata da Benso a una concezione che (dai molti spunti contenuti nella tradizione ebraica; alla kabbalah luriana del tzimtzum, e cioè l’atto con cui Dio si ritrae,
dopo la creazione, dal mondo, con tutte le
conseguenze incalcolabili che si possono
immaginare; fino ai tantissimi suggerimenti
38
di autori contemporanei, ebrei e non, Bonhoeffer, Buber, Hans Jonas e molti altri, che
della questione si sono occupati) dia conto
dell’ “impotenza di Dio”, manifestatasi sotto
il cielo di Auschwitz, senza espellere, con
questo, la presenza divina dall’orizzonte
dell’uomo, e inquadrando anzi il “problema
del male” in «una nuova comprensione del
rapporto tra essere umano e Dio - rapporto
aperto alla speranza futura, e non collassato
dal male presente nella storia».
Con queste conclusioni di Benso non siamo lontanissimi dalle assunzioni critiche
di Irene Kajon. Anche Kajon incentra il
suo discorso - intenzionalmente e modestamente più espositivo delle “opinioni di
altri” riguardo ai temi in analisi - sul rapporto tra uomo e Dio “dopo Auschwitz”,
individuando tre fondamentali tipologie di
risposta filosofica e teologica. Dopo la risposta più “tradizionale” di I. Maybaum
che, a metà degli anni sessanta, propone
Auschwitz come “sofferenza vicaria” degli ebrei per i peccati degli altri, la prima
tipologia ad emergere è quella “atea”, dove
il termine sta ad indicare, più che non una
presupposizione metafisica, la consapevolezza, da parte dell’uomo, e in particolare
dell’ebreo, di dovere, in una certa misura,
fare a meno di Dio, avendone sperimentato
fino in fondo il “silenzio” e l’ “assenza”, e
cavarsela da solo sulla scena della storia
(Rubenstein, Fackenheim, Neher). La seconda risposta è la replica confutatrice della prima, e si manifesta in un tentativo di
riaffermare, sia pure su basi diverse da
quelle del passato, le ragioni della teologia
speculativa ebraica, spingendosi fino ad
un’ardita ridefinizione dell’essere di Dio
(Berkovits, A. Cohen, Jonas). Se, in questo
modo, viene esaltata da “atei” e “nuovi
teologi”, rispettivamente, la centralità dell’uomo o di Dio, la terza risposta esaminata
da Kajon si proporrà come una sintesi e,
insieme, un superamento delle prime due
posizioni e delle loro ragioni. L’interrogazione di Auschwitz è soltanto la manifestazione radicale della domanda sul male nel
mondo, tale da mettere in scacco la teodicea vecchia e nuova. Ma è attraverso il
«rapporto etico tra un uomo e un altro
uomo» che si può rintracciare «la connessione tra la realtà del male e la Trascendenza», e che si può ricomprendere Dio come
«un Infinito che, pur comprendendo in sé, in
quanto tale, la totalità dell’esistenza, rimane,
tuttavia, separato da essa» (p.138). E non è
un caso se i nomi evocati qui da Kajon siano
quelli di M. Buber e E. Lévinas, oltre a
quello, assai meno noto, di I. Greenberg.
Insomma: a contare veramente non sono
tanto le proposte conclusive, diverse e diversamente argomentate nei due testi qui
presentati, quanto la comune consapevolezza del problema costituito da Auschwitz
per il pensiero non soltanto ebraico. Dove
le ricadute non sono, beninteso, soltanto di
ordine etico, ma sono tali da mettere in
causa l’intera struttura e l’intero apparato
categoriale della nostra riflessione. M.C.
TENDENZE E DIBATTITI
Classe di Talmud (Cecoslovacchia, 1938)
39
TENDENZE E DIBATTITI
Primo piano:
filosofia e computer
Su carta o in floppy disk?
I filosofi in formato elettronico
Quasi tutti sanno che cos’è un testo
elettronico. In un certo senso è quello
che vediamo scorrere sul tabellone dei
treni alla stazione ferroviaria o la pagina di televideo; ma soprattutto è il
prodotto del lento movimento dei
nostri indici sulla tastiera del computer, o il contenuto di un CD-rom che
abbiamo occhieggiato in biblioteca.
Molti sono al corrente del fatto che
centinaia di classici della storia del
pensiero sono ormai disponibili in
questo formato; pochi sembrano però
avere le idee chiare su che cosa mai
dovremmo farci con questa biblioteca
elettronica. L’elemento tecnico fondamentale è facilmente individuabile.
Come nel caso delle banche dati (si
veda “Informazione Filosofica”, n.16,
1993) e contrariamente a quanto avviene con il volume cartaceo, o ancora
con il televideo, la digitalizzazione di
un testo permette l’individuazione
automatica di strutture simboliche (di
solito stringhe alfanumeriche), che
rendono possibile una certa interazione con il testo. La domanda tuttavia
rimane: che cosa ci permette di fare un
testo elettronico che non possa fare
altrettanto bene un testo tradizionale?
La maggior parte di coloro che hanno a che
fare con un filosofo in formato elettronico
utilizzano lo strumento come un “cerca
parole”. Si può scoprire se e dove Kant fa
riferimento al cane di Crisippo, se Cartesio
cita mai Sesto Empirico o in quali scritti di
Platone si trovi l’espressione en triodo
genomenos. Una volta completata la nostra
piccola indagine lessicale, torniamo alle
pagine a stampa che abbiamo tra le mani.
La versione elettronica serve solo come
mezzo di supporto per penetrare meglio il
libro che stiamo studiando. E’ uno strumento utile e flessibile da tenere sulla scrivania, ma non è indispensabile.
Il lato positivo di questo atteggiamento
moderatamente pragmatico è che esso fa
piazza pulita sia dello scetticismo ingiusti-
ficato, per cui i testi elettronici sarebbero
inutili, sia delle fantasie più spericolate,
secondo le quali le future generazioni non
sapranno neppure che cosa è un libro stampato, allo stesso modo in cui oggi nessuno
legge più codici miniati. Grazie anche a
questo approccio, di tipo “consulta e spegni”, la scelta di ciò che deve essere digitalizzato o meno si è fatta più ecumenica.
Oggi meritano la promozione a testi elettronici non solo tutti quei volumi che di per
sé sono stati già pensati come strumenti di
consultazione (si pensi alle enciclopedie
filosofiche), ma anche i cosidetti classici, o
meglio quelle opere filosofiche che una
certa tradizione culturale considera necessario conoscere per la preparazione di uno
studente universitario: i dialoghi platonici,
la Summa Teologica, i Saggi di Montaigne,
la Fenomenologia di Hegel, le Ricerche
Filosofiche di Husserl, Senso e significato
di Frege. La presenza o meno della versione elettronica di un certo testo filosofico
serve a gettar luce sulla posizione raggiunta da quest’ultimo all’interno della comunità scientifica che lo ha prodotto.
Da più di quarant’anni esiste la possibilità
di svolgere analisi lessicali computerizzate
e i testi elettronici sono stati disponibili
senza grandi difficoltà sin dagli anni Ottanta. Eppure, l’esplosione della loro produzione data solo a quest’ ultimo decennio.
Ciò non si spiega se si considera solamente
la domanda prodotta dalla funzione pragmatica del “consulta e spegni”: nessuno
spenderebbe milioni solo per avere un indice elettronico di un libro. I fattori che hanno
promosso l’offerta di testi elettronici vanno dunque rinvenuti altrove.
In primo luogo lo sviluppo dell’informatica ha creato le condizioni tecnologiche ed
economiche favorevoli. L’evoluzione degli scanners e degli strumenti di riconoscimento dei caratteri (gli OCR, optical
character recognition) permette oggi di
trasformare a prezzi assai contenuti qualsiasi testo ben stampato in un file di caratteri
ASCII (American standard code for
information interchange) o comunque leggibile dal computer (machine-readable
text). Chiunque può facilmente produrre la
propria serie di testi elettronici. In secondo
luogo, la recente tecnologia dei CD-rom ha
permesso solo negli ultimi anni di immagazzinare centinaia di volumi in uno spazio
di pochi centimetri di diametro ad un prezzo ragionevole. Infine, la nascita di una
comunità internazionale di umanisti interessata allo scambio delle informazioni ad
un costo irrisorio mediante posta elettronica ha promosso la creazione di archivi
elettronici di testi ASCII come l’Oxford
Text Archive (indirizzo telnet per informazioni: [email protected]) e la standardizzazione delle procedure per la loro
codifica ed il loro accesso/trasferimento.
Dal 1987 chi produce testi elettronici è
invitato a seguire le direttive della TEI
(Text Encoding Initiative), adottando uno
standard comune di procedure per la tra40
scrizione dei testi, machine-readable
(SGML, Standard Generalized Markup
Language). Così un buon numero di filosofi
non solo sono consultabili via network, ma
anche trasferibili sul proprio computer, e in
ultimo sul proprio floppy disk, mediante
elementari procedure di ftp (file transfer
procedure; in inglese si parla ormai di ftippare
un file), di solito a costo zero per l’utente. E’
possibile progettare una medioteca automatica che distribuisca selezioni personalizzate
di testi, brani, percorsi di lettura a soggetto e
così via; tutto in formato elettronico. Qualcosa del genere sta già accadendo negli Stati
Uniti, dove la casa editrice McGraw Hill ha
sviluppato il servizio PRIMIS. Lo studente,
cui si richiede lo studio di un certo numero di
capitoli tratti da libri diversi, non deve più
comprare questi ultimi o fotocopiarli illegalmente, ma può ottenerne una copia su floppy
disk dalla libreria locale.
La digitalizzazione dei testi permette l’analisi quantitativa delle loro caratteristiche
stilistico-lessicali e ciò ha contribuito non
poco a promuovere la produzione di filosofi in formato elettronico. Lavorando su un
testo elettronico il computer può conteggiare parole, indicizzarle o produrre concordanze e liste di frequenza, mostrare il
“tasso di distintività”, cioè la misura in cui
un autore predilige una certa parola, creare
una lista di parole con la relativa indicazione nel testo o produrre una lista di termini,
fornendone anche il contesto immediato e
la lista degli altri luoghi in cui esse ricorrono. Si possono inoltre formare strutture più
complesse e lavorare su gruppi di parole in
combinazione booleana; e se si ha a disposizione un software statistico, si è in grado
di evidenziare dove ricorre più spesso un
termine tecnico o una serie di parole, mentre un parsing software vi darà indicazioni
sulla grammatica del testo analizzato o
sulla sua struttura sintattica.
Alcuni di questi strumenti sono abbastanza
diffusi anche a livello di word processors.
Uno shareware come “Critic” mi dice ad
esempio in quale rapporto si pone il mio
saggio nei confronti della prosa di Ernest
Hemingway, John Steinbeck, Stephen King,
un articolo di “Byte”, un’articolo del
“Reader’s Digest” e un articolo di “Time
Magazine”. Così scopro di avere il vizio
delle frasi troppo lunghe. Questo genere di
possibilità sono molto apprezzate nell’ambito della stilometria, dell’ecdotica (cioè
nella pratica dell’edizione dei testi letterari), della collazione ed edizione di manoscritti, della statistica linguistica (che è
soprattutto statistica lessicale), dell’analisi
metrica, per la risoluzione di problemi di
attribuzione di testi adespoti (purchè si
abbia una qualche ipotesi riguardo all’autore) o per la revisione di traduzioni. Grazie
all’analisi quantitativa, ad esempio, si è
potuto accertare che di solito nella stesura
di un testo i condizionamenti dello stile
incidono meno dei condizionamenti dovuti
al genere letterario. Ora proprio lo sviluppo
dello studio quantitativo del lessico e dello
TENDENZE E DIBATTITI
stile di un opera o di un autore ha finito per
promuovere la domanda di testi elettronici
anche in filosofia. Così un certo numero di
testi filosofici sono stati affrontati a partire
da questa prospettiva lessicale e stilometrica. Il più noto è forse quello di Anthony
Kenny sull’Etica di Aristotele. In Italia le
attività di ricerca del “Centro per il Lessico
Intellettuale Europeo” e dell’ “Istituto di
Studi Rinascimentali”, così come il lavoro di
padre Roberto Busa S.J. su San Tommaso
(Thomae Aquinatis Opera Ommnia cum
Hypertestibus in CD-rom), hanno dato un
notevole contribuito allo sviluppo di questo
settore, raggiungendo un livello di fama
internazionale. Rimane tuttavia aperto il problema se lo studio del lessico intellettuale di
un’opera esaurisca l’utilità in filosofia dei testi
elettronici. Arriviamo così a un terzo genere di
risposte alla nostra domanda iniziale.
Vi sono perlomeno due ambiti distinti in
cui l’utilizzo dei testi elettronici lascia presagire l’arrivo di interessanti novità. Il primo è quello dagli ipertesti.
Nel 1945 Vannevar Bush intuì la possibilità di una “scrittura non sequenziale” (As
We May Think, “Atlantic Monthly”, 176/1,
1945). Nel 1981 Ted Nelson, riprendendo
l’espressione di Bush, definì un ipertesto
come “un raggruppamento non lineare di
nodi connessi” (Literary Machines). Gli
ipertesti sono documenti prodotti sulla base
di questo modello node-link: una rete di
connessioni permette il passaggio immediato da una certa unità semantica ad un
altra. Selezionando un termine o un’opzione all’interno di un brano si possono richiamare percorsi di lettura alternativi e perciò
“navigare” nel dominio semantico in questione (una storia, un saggio con commenti,
un’enciclopedia, un dizionario ecc.).
Nel campo delle realizzazioni, in Italia
sono stati lanciati due progetti principali,
entrambi di carattere espositivo-didattico e
più ipermediale che ipertestuale. Il primo è
la “Multimedial Guide to the History of
European Civilization” (MuG), un progetto per una rappresentazione articolata degli
eventi della storia della cultura europea,
ideato dall’ Istituto di Discipline della Comunicazione dell’Università di Bologna
sotto la supervisione di Umberto Eco. Gli
argomenti coperti dallo strumento ipertestuale saranno non solo la storia politica,
sociale ed economica dell’Europa, ma anche la storia della filosofia, della tecnologia, della scienza, della letteratura e dell’arte. Un secondo progetto si pone al confine tra multimedialità documentaristica e
ipertestualità. Si tratta dell’Enciclopedia
Multimediale delle Scienze Filosofiche
(EMSF), realizzata grazie alla collaborazione tra RAI-Dipartimento Scuola Educazione, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di
Napoli e Istituto della Enciclopedia Italiana.
Recentemente si è parlato molto degli ipertesti come di un nuovo modo di fare letteratura, lasciando libero il lettore di scegliere il proprio sviluppo della narrazione. Negli
Stati Uniti, dove la letteratura ipertestuale
ha già avuto una qualche diffusione, il
risultato è stato molto meno rivoluzionario
di quanto i tecnofili locali si fossero augurati. Ciò non deve tuttavia scoraggiare. Lo
strumento ipertestuale è infatti utilizzato in
tutte le sue potenzialità soprattutto nel caso
dell’ organizzazione di opere di consultazione. A causa della sua struttura a rete di
tipo associativo un testo elettronico si presenta come lo strumento migliore per realizzare l’ideale dell’enciclopedia universale. Il sapere non è più presente davanti a noi
in un modello sequenziale, lineare o progressivo, ma in un tessuto di ambienti e
percorsi attraverso i quali si può navigare a
proprio piacimento, o meglio seguendo le
connessioni pre-determinate dai curatori
dell’opera, per lo sfruttamento del bacino
di conoscenze sul quale di volta in volta
stiamo lavorando e cui desideriamo avere
un accesso immediato ed economico. Il
sapere può essere ereditato solo se si rispettano ed implementano sempre meglio i due
principi della conservazione e dell’accessibilità. Ed è in questa direzione che i testi
elettronici potrebbero risultare di notevole
aiuto. Essi possono facilitare il processo di
accumulo e fruizione delle interpretazioni,
delle spiegazioni, delle ricerche particolari
relative ad un testo mediante la straordinaria estendibilità e flessibilità del mezzo di
gestione. Invece di lasciare alla contingente memoria dell’esperto l’onere della connessione e dei rimandi interni al dominio
delle conoscenze, la progressiva ipertestualizzazione del sapere umano potrebbe
condurre alla cumulativa realizzazione della
mappa finale della conoscenza.
Se si confronta l’uso che le scienze matematiche o sociali fanno del computer ed il ruolo
che esso ricopre nell’ambito umanistico, il
divario è evidente: in fisica, in matematica,
in sociologia dobbiamo svolgere calcoli per
i quali non c’è niente di meglio che un
computer; in filosofia, in letteratura, in storia, calcoli non ce ne sono (cliometria esclusa), e il computer si riduce a fare le veci della
macchina da scrivere, o poco più. L’errore su
cui si basa questa prospettiva risiede nell’identificazione del computer con il pallottoliere. Di contro, basterà qui ricordare il
fatto che mediante la sua funzione discrezionale il computer permette non solo l’individuazione di costanti all’interno di un dominio di aggregazioni simboliche, ma anche la
loro memorizzazione, analisi e manipolazione statistica. Per fare un esempio concreto: se si cerca il sostantivo “time” nell’opera
di Shakespeare in versione elettronica si
può anche finire per notare che in Macbeth il
sostantivo possiede un grado di concentrazione maggiore che in qualsiasi altra tragedia. Il critico o lo storico della letteratura ci
dirà a questo proposito che il carattere di
Macbeth personifica il tentativo di usurpare
la funzione provvidenziale che appartiene
allo scorrere del tempo.
Questo nuovo approccio ai testi, che ho già
avuto modo di definire “ideometrico”, non
si basa esclusivamente sul riconoscimento
41
di “addensamenti lessicali”. La lessicometria sfrutta il fenomeno della presenza; ma
per lo storico delle idee l’assenza di una
determinata stringa di simboli all’interno
del dominio analizzato è altrettanto significativa. Facciamo un altro semplice esempio: nella sua storia della filosofia medievale, Etienne Gilson sostiene che durante
il Medioevo non vi furono autori che si
autodichiararono scettici, contrariamente a
quanto era accaduto in epoca ellenistica e a
quello che sarebbe dovuto accadere nel
Rinascimento. Recentemente, l’ipotesi è
stata rafforzata da alcuni storici, secondo i
quali dopo Sant’Agostino non vi sarebbe
stato alcun interesse per lo scetticismo da
parte dei filosofi medievali; per un revival
dello scetticismo si deve attendere la pubblicazione della traduzione latina degli
Schizzi Pirroniani di Sesto Empirico durante il Rinascimento. Una parziale valutazione
di questa teoria può ora essere tentata grazie
al primo CD-rom contenente la Patrologia
Latina di Migne (l’opera sarà presto disponibile in forma completa). Nel lessico dei
padri della chiesa sembra essere assente la
famiglia di termini legati alla parola “pirronismo”. Vi sono tuttavia diversi accenni agli
“accademici”. Se questa anomalia verrà confermata, sarà allora compito dello storico del
pensiero rendere ragione del fenomeno (magari ancora con strumenti informatici), raffinando la nostra comprensione della storia
dello scetticismo nei secoli che separano
Sant’Agostino da Henry Estienne.
Gli esempi appena suggeriti, pur nella loro
semplicità, mettono in luce come l’analisi
computerizzata dei testi elettronici sfrutti a
pieno le potenzialità dello strumento. La
prova di ciò è che ora siamo in grado di
evidenziarne i limiti e proporre miglioramenti. I testi elettronici vengono forniti in
due versioni diverse: come semplici testi
ASCII o come testi strutturati in banche
dati funzionali all’individuazione di stringhe simboliche. In quest’ultimo caso ci
troviamo in genere di fronte al corpus testuale dell’opera di un autore o a una serie
di testi appartenenti ad una tradizione culturale. Altre volte, tuttavia, la banca dati
testuale può abbracciare in forma diacronica intere collezioni, come nel caso del
Thesaurus Linguae Graecae (TLG), della
Patrologia Latina o del Corpus Christianorum (CETEDOC). Purtroppo, proprio
queste collezioni sono realizzate in funzione di un un utilizzo occasionale, parallelo e
di supporto (reference book) nei confronti
dell’edizione cartacea. Nel migliore dei
casi si possono avere indicazioni relative al
numero complessivo di occorrenze di un
termine. Il problema è che i dati sono codificati; ma manca una forma appropriata di
interrogazione, perché non è chiaro quali
informazioni si possano trarre dai dati stessi. Ne è una prova l’esempio che segue.
Il TLG contiene praticamente tutti gli scritti greci che conosciamo, a partire dal secolo
VII a.C. (Omero) fino al 600 d.C., e inoltre
testi di storiografia, lessicografia e scolia
TENDENZE E DIBATTITI
fino al 1463, per un totale di 69 milioni di
parole (per informazioni inviare un messaggio a [email protected], nella versione che
ho controllato mancavano gli Stoicorum
Veterum Fragmenta di Von Arnim e le
collezioni dei frammenti di Posidonio).
Immaginate ora di voler sfruttare le potenzialità analitiche del calcolatore per individuare il diverso grado di influenza che la
logica aristotelica ha avuto rispetto alla
logica stoica nel corso del tempo. Per far
ciò sarebbe già sufficiente avere a disposizione le seguenti possibilità: interrogazione per un certo numero di termini chiave e
trasformazione dei dati ottenuti in un grafico, in cui l’asse delle ordinate sia rappresentato da una scala quantitativa, mentre
l’asse delle ascisse riporti la data delle
occorrenze, calcolata automaticamente sulla base della data del testo, o più facilmente
sulle date di nascita e morte o dell’autore in
cui è stato rinvenuto l’uso del termine. Il
risultato sarebbe una curva di occorrenze
dei termini aristotelici e stoici all’interno
del TLG. In pochi secondi, avendo semplicemente fornito come input un limitato
numero di parole chiave, potremmo avere
il tracciato della loro diffusione all’interno
del dominio rappresentato da centinaia di
autori, distribuiti su di un arco cronologico
di centinaia di anni. In questo modo potremmo forse scoprire se ci fu mai un
momento in cui il rapporto tra logica stoica
e logica aristotelica avrebbe potuto invertirsi, ed eventualmente quando ciò sarebbe
potuto avvenire. Lo stesso esperimento mentale potrebbe essere fatto con un autore come
Aristotele mediante la Patrologia Latina, o
nei confronti del processo che ha portato la
nozione di “idea” ad essere usata indipendentemente rispetto alla filosofia cartesiana.
Rimangono ovviamente molti problemi:
come comportarsi nei confronti di fenomeni come gli errori di ortografia o di stampa?
Come si può ottenere che il computer riconosca i sinonimi senza cancellare la differenza tra un lessico tecnico ed un altro?
Come risolvere i problemi di ambiguità
terminologica? E’ altrettanto ovvio che
questo genere di approccio di tipo diacronico, intertestuale e comparativo richiede la
disponibilità di un sempre più ampio dominio di testi elettronici e la loro codifica
standardizzata su supporti unici, che possano contenere tutta la banca dati di volta in
volta interessata. Al momento, l’esempio
migliore di una realizazione di questo genere di banca testuale è FRANTEXT, l’archivio elettronico prodotto dall’ INaLF
(Institut National de la Langue Francaise).
Risultato di un lavoro trentennale, l’archivio consiste di circa 3200 testi francesi
(180 milioni di citazioni) che vanno dal
1532 (Rabelais) al 1985 (René Char), con
una media di 6 milioni di parole per ogni
decennio per quanto riguarda l’80% del
totale dei testi, che è letterario. FRANTEXT è consultabile online in modo interattivo ed è molto flessibile (indirizzo internet: ciril.ciril.fr, oppure 192.44.71.66. Il
servizio non è gratuito ed in Italia è disponibile presso l’Università di Pisa. Il bollettino
elettronico dell’Università contiene ulteriori
informazioni). FRANTEXT è collegato e
collabora con ARTFL (American and French
Research on the Treasury of the French
Language) dell’Università di Chicago. Sulla
base di questo enorme bacino di informazioni Keith Baker ha studiato, ad esempio,
l’evoluzione dell’idea di “opinione pubblica” nel corso del XVIII secolo in Francia.
Se l’ideometria potrà essere pienamente
sviluppata, essa non sostituirà mai la storia
delle idee come, per le stesse ragioni, la
stilometria non sostituisce la critica letteraria. Nel pensiero filosofico il significato è
sempre incorporato in un codice semiotico
ordinato; un testo rappresenta la trascrizione del codice in un sistema linguistico
percepibile visivamente su di un supporto
fisicamente tangibile. Mediante la lettura
risaliamo al significato; ma attraverso la
traduzione digitale del sistema linguistico
noi produciamo un universo di dati che pur
permettendo la lettura non è fatto per la
lettura, ma per lo studio quantitativo e
comparativo della presenza o assenza di
associazioni di simboli. Sono i risultati di
questo studio che devono a loro volta essere interpretati, affinché i dati che essi forniscono si trasformino in nuove informazioni
sul dominio interessato. Ovviamente da
questa prospettiva uno specifico testo diviene assai meno interessante di una serie
di testi che condividono un certo numero di
caratteristiche prestabilite - si pensi alla
lingua, alla natura degli argomenti trattati
oppure alla datazione, e così via. Una volta
che un corpus di testi è stato trasformato in
versione elettronica, si tratta di saper trasformare dati quantitativi estensionali in
informazioni qualitative intensionali, non
di continuare ad interpretare quegli stessi
testi per coglierne il significato, come se la
loro trasformazione fisica fosse dopotutto
irrilevante ai fini della comprensione della
natura dell’enciclopedia umana. Il fatto
che le banche testuali vengano ancora oggi
usate per l’individuazione di un certo termine o di una linea di testo è fuorviante.
Questa forma di interrogazione è infatti
solo un caso particolare di ricerca di occorrenze, ed il meno interessante ed informativo, visto che nella sua forma migliore e
più soddisfacente (cioè economica da un
punto di vista del consumo di tempo) essa
è paragonabile all’individuazione di un apax
legomenon in un autore. L’errore risiede
nel considerare il processo di trasformazione del testo a stampa in un testo elettronico
come utile solo dal punto di vista della
velocità di accesso ad una o più parole.
Sarà il caso di chiudere questo breve intervento con un’ultima serie di considerazioni
di tipo sociologico. La presenza delle banche dati testuali sta portando ad una trasformazione della biblioteca. Si è iniziato a
discutere della possibilità di costruire biblioteche in cui non vi siano libri, ma solo
testi elettronici. L’eventualità che lo stesso
42
edificio possa essere trasformato in una
realtà virtuale non è più frutto di fantascienza. Un testo non deve più essere stampato in migliaia di copie per essere disponibile a tutti. D’altra parte, lo sviluppo tecnologico ha fatto sorgere nuovi problemi: chi
ha accesso ai testi elettronici via network?
E chi controlla la loro produzione e distribuzione? Il mondo anglosassone è attualmente il maggior produttore e fruitore di
testi elettronici in filosofia. Finiremo per
leggere Platone in inglese? E’ interessante
notare che il testo del Discorso sul Metodo
di Cartesio, cui si ha accesso mediante il
bollettino elettronico della Ca’ Foscari di
Venezia, è in inglese. Altri problemi come
la sicurezza e il copyright, la censura e la
catalogazione hanno acquistato un aspetto
diverso da quando i testi elettronici sono
diventati un elemento comune nel nostro
panorama culturale. Lo stesso ruolo delle
biblioteche, spesso troppo passivo in passato, potrebbe presto trasformarsi proprio grazie alla facilità con cui testi a stampa possono
essere trasformati in versioni elettroniche.
Forse stiamo andando verso la nuova figura
della research library e agli umanisti è affidato il compito di promuovere, indirizzare e
sfruttare questa evoluzione. L.F.
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Le banche testuali per la filosofia
Il numero di testi filosofici disponibili in formato
elettronico è in costante crescita. La sola Oxford
University Press stamperà entro un paio d’anni il
CD-rom contenente tutto il Nachlass di
Wittgenstein (foto degli originali più trascrizioni). Fino ad oggi sono state prodotte versioni
elettroniche dei seguenti autori: Abelardo, Agostino, d’Alambert, Anselmo, Aristotele, Arnauld,
Bayle, Bentham, Bergson, Berkeley, Boezio, Burke,
Camus, Cartesio, Comte, Cousin, d’Holbach, de
Condillac, Demostene, Diderot, Erasmo, Feuerbach, Fichte, Francesco Bacone, Frege, Hegel,
Helvetius, Hobbes, Hume, Kant, Kierkegaard,
Leibniz, Locke, Machiavelli, Marcel, Maritain,
McGuinness, Merleau-Ponty, Mill, Montaigne,
Montesquieu, Moro, Nietzsche, Pascal, Peirce,
Plato, Plotinus, Poincare, Proudhon, Ricoeur,
Rousseau, Santayana, Sartre, Schelling,
Schopenhauer, Sesto Empirico, Shaftesbury,
Sidgwick, Spinoza, Tommaso, Teilhard de Chardin, Voltaire e Wittgenstein, tra i più importanti.
A seconda dei casi abbiamo l’opera completa in
originale (ad esempio per tutti i classici del pen-
siero greco) o un testo particolare, sempre in
originale (come nel caso dei Grundlagen der
Arithmetik di Frege), oppure diverse versioni elettroniche di una o più traduzioni in inglese (come
nel caso di Cartesio, Platone o Aristotele). Leslie
Burkholder mantiene una lista aggiornata, con
informazioni dettagliate relative al prezzo o all’accessibilità gratuita e all’indirizzo dei fornitori, presso il bollettino elettronico dell’ “American
Philosophical Association” (il vecchio indirizzo
telnet è: 130.150.102.33 oppure NIS. CALSTATE.EDU ,
alla richiesta di login scrivete APA, dovrebbe presto essere disattivato per lasciare solo il gopher
APA .OXY .EDU ). La stessa documentazione può essere ottenuta via internet inviando il comando GET
PHILOS -L PHILOS .TEXTS (non aggiungere niente altro, è un servizio automatico) all’indirizzo
LISTPROC@LIVERPOOL .AC .UK .
Si può accedere ai testi elettronici in due modi. Se
si tratta di un testo ASCII di pubblico dominio è
sufficiente avere un modem ed un indirizzo di
posta elettronica. E’ questo il caso dei testi depositati presso tutte le istituzioni elettroniche, dal bollettino dell’APA all’Oxford Text Archive, dal Project
Gutenberg (per informazioni rivolgersi a Michael
Hart indirizzo [email protected]) al ricchissimo archivio della Valdosta University (usare il comando: GOPHER CATFISH.VALDOSTA.PEACHNET.EDU, una
volta nel gopher selezionare (i) “Inter-Campus
Computing Resources”, quindi (ii) “Subject Tree
43
Internet Resources @ VSU Gopher”, poi (iii)
“Philosophy” ed infine (iv) “Texts”; alternativamente potete usare i gophers di Bologna, dell’APA,
dell’Università della California ad Irvine ecc.).
In pratica ogni istituzione cui si può accedere via
network mantiene un numero di testi elettronici di
vario tipo disponibili per l’utente. Tuttavia, molti
di questi sono dei semplici collegamenti con altre
istituzioni che a loro volta hanno il testo nella
memoria del proprio computer. Lo stesso vale per
le guide, i FAQ (frequently asked questions su un
certo argomento), i dizionari, le banche dati ecc. Se
avete accesso ad un gopher tra i files disponibili,
troverete anche una spiegazione su come ottenere
l’indirizzo di altri centri di vostro interesse, come
avviene nel caso del gopher di Bologna (per informazioni rivolgersi a [email protected]).
Il secondo modo in cui i testi elettronici sono
accessibili è su CD-rom. In questo caso si tratta di
prodotti commerciali dal prezzo assai vario. Si va
dalle centinaia di dollari alle decine di migliaia
della Patrologia Latina. Per un catalogo dei progetti
di editoria elettronica realizzati o in corsi di realizzazione si può consultare il Catalogue of Projects in
Electronic Text (CPET) presso il “Center for Text
and Technology” della Georgetown University di
Washington, DC (internet: GUVAX.GEORGETOWN.EDU,
login: CPET;, gopher: GOPHER.GEORGETOWN.EDU). Il
catalogo è detagliato (indirizzi, pressi ecc.) ed è
tenuto aggiornato sin dal 1989.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Georg Simmel
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PROSPETTIVE DI RICERCA
PROSPETTIVE DI RICERCA
Opere complete
di Georg Simmel
Con l’uscita dell’ottavo volume, AUF1901-1908,
Band II (Saggi e trattati 1901-1908, vol.
II, a cura di A. Cavalli e V. Krech,
Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1993) prosegue la pubblicazione della “Gesamtausgabe” delle opere di Georg
Simmel. Nei saggi e negli studi che
compongono il volume emergono problemi e ambiti di studio analoghi a
quelli trattati nei SAGGI DI CULTURA FILOSOFICA (trad. it. di M. Monardi, Guanda,
Parma 1993), di cui è stata da poco
ripubblicata la traduzione italiana.
Scritti da Simmel nel 1911, questi saggi propongono un’analisi di problemi
sociologici e filosofici, che prende
spunto da motivi della realtà quotidiana, quali la moda, l’arte, la religione, e
da tematiche di cultura generale. Da
segnalare in questo contesto la pubblicazione del fascicolo monografico
della rivista “Aut-Aut” (n. 257, settembre-ottobre 1993) dal titolo:
GEORG SIMMEL. LE FORME E IL TEMPO, a cura
di Andrea Borsari, che contiene la
rielaborazione dei materiali più significativi del convegno omonimo organizzato nel maggio 1990 dal Centro
Culturale della Fondazione Collegio
San Carlo di Modena.
SÄTZE UND ABHANDLUNGEN
La pubblicazione della “Gesamtausgabe”
di Georg Simmel è dovuta all’iniziativa di
un gruppo di studio di Bielefeld, che fa
capo a Otthein Rammstedt. Superfluo
sottolineare l’interesse e l’utilità di tale
edizione, che una volta conclusa raccoglierà in 24 volumi l’intero corpus dell’opera
simmeliana, edita e inedita. Nell’edizione
verranno così via via presentati al lettore
tutte le opere pubblicate da Simmel, i testi
facenti parte del lascito simmeliano, le trascrizioni delle (e/o eventuali relazioni sulle) lezioni e conferenze. I volumi finora
pubblicati a partire dal 1989 nella “Gesamtausgabe” delle opere di Georg Simmel
appartengono al periodo 1879-1908 e documentano, oltre all’intensa attività saggistica di Simmel nei campi della filosofia
della cultura, della sociologia e dell’esteti-
ca, il suo interesse per il problema della
teoria della conoscenza storica. Il volume
II presenta, oltre a una serie di saggi del
periodo 1887-1890, gli studi Über soziale
Differenzierung (Sulla differenziazione
sociale, 1890) e Die Probleme der Geschichtsphilosophie (I problemi della filosofia
della storia, nell’edizione del 1892). I volumi III e IV propongono rispettivamente il
volume I e II della Einleitung in die Moralwissenschaft (1892-1893). Nel volume
VI si trova un’opera fondamentale per comprendere l’intero percorso di pensiero di
Simmel, la Philosophie des Geldes (1900).
Redatti da Simmel nel periodo 1906-1908,
a ridosso dei Saggi di cultura filosofica del
1911, alcuni degli scritti raccolti nel volume VIII, Aufsätze und Abhandlungen 19011908 anticipano fin nel titolo temi trattati
nella raccolta maggiore (come nel caso dei
frammenti sulla Filosofia dei sessi). Più
che presentare nuovi elementi per la comprensione del pensiero di Simmel, questa
raccolta offre allo studioso del suo pensiero
materiali interessanti per comprenderne la
genesi e lo sviluppo. L’analisi di Simmel si
esercita sui fenomeni più svariati - e, per la
filosofia accademica tedesca dell’epoca,
inconsueti - attraverso approcci che riprendono i titoli di discipline codificate (psicologia, sociologia, estetica, filosofia della
religione e della cultura), di cui però tendono costantemente a trasgredire i confini:
dall’analisi sociologica della “povertà”, del
“dominio”, della “nobiltà” a quella psicologica della “discrezione”, del “segreto”,
del “gioiello”.
Gli studi di estetica - un interesse costante
nello sviluppo del pensiero simmeliano sono documentati nel volume dai saggi
Über die dritte Dimension in der Kunst
(Sulla terza dimensione nell’arte), Die ,Ruine. Ein ästhetischer Versuch (La rovina.
Un saggio di estetica), Das Christentum
und die Kunst (Il cristianesimo e l’arte),
Das Problem des Stiles (Il problema dello
stile), Vom Realismus in der Kunst (Sul
realismo nell’arte). Anche negli studi dedicati a Schopenhauer, Nietzsche, Kant e
Goethe (Nietzsche und Kant; Schopenhauer
und Nietzsche; Kant und Goethe) si trovano interessi e temi che costituiscono una
presenza caratteristica e ricorrente nel pensiero di Simmel. Nel saggio Vom Wesen
45
der Kultur (Sull’essenza della cultura)
Simmel tratta, in modo ancora distante
dalla concezione “tragica” espressa in Concetto e tragedia della cultura (contenuto
nei Saggi di cultura filosofica) e nel tardo
saggio Der Konflikt der modernen Kultur
(Il conflitto della cultura moderna), il concetto di cultura in rapporto a quello di
natura: è nella sua opposizione al concetto
di natura, inteso kantianamente come «una
“categoria” attraverso la quale vengono
visti e ordinati i contenuti dell’essere», che
per Simmel può essere definito il concetto
di cultura. I concetti di “natura” e di “cultura” non indicano così essenze eterne o
ambiti ontologici nettamente separati tra
loro, ma piuttosto «due diversi modi di
considerazione di uno stesso accadere».
Dalla raccolta dei Saggi di cultura filosofica, di cui viene ripubblicata l’edizione italiana, è possibile trarre le coordinate del
pensiero di Simmel, un pensiero che propone il relativismo come chiave di lettura
delle cose e dell’esistenza, nel senso che
ogni accadimento è considerato valido in
un determinato contesto, ma può non essere valido in un altro; in altri termini niente
ha una valenza atemporale, e questo accade
in virtù dello storicizzarsi del mondo. Complessità e contradditorietà sono per Simmel
le prime conseguenze di una teoria relativistica del mondo; se non vi sono elementi
immutabili e assoluti è perché la realtà ha
più facciate, è un processo soggetto a interpretazioni molteplici, che non si lascia ridurre a “certezze universali”, tipiche di una
filosofia basata sulla metafisica elevata a
verità assoluta.
La caduta dei valori universali è il filo
conduttore che lega i saggi; l’ambito dove
si fa più forte la voce del relativismo è
quello della cultura, intesa da Simmel come
realtà temporale, soggetta a modificazioni.
La cultura è opera di menti umane, che una
volta scelgono l’unità e una volta la molteplicità; ciascun individuo è costretto a navigare in un’infinità di elementi che mettono in discussione l’esistenza di ogni oggetto culturale. La mancanza di soluzioni assolute fa sorgere il dramma dell’uomo
moderno, che si perde nella quotidianità
più elementare e talvolta prosaica e non
trova dove collocarsi. Lo stesso vale per la
religione. In tempi in cui la religione ha
PROSPETTIVE DI RICERCA
perso i suoi connotati rassicuranti e si offre
come processo di vita con i suoi limiti, le
sue oscillazioni, la reazione dell’individuo
moderno, fa notare Simmel, è la tragica
esperienza del dubbio, dell’inquietudine
interiore. Il soggetto si interroga sull’oggetto religioso, ma non trova in esso una
risposta decisiva, che possa placare la sua
sete di sapere e l’inquietudine del suo animo.
Questa situazione di crisi, però, ha anche
dei risvolti positivi, perché permette, secondo Simmel, un processo di crescita interiore che porta il singolo a distinguersi, a
vincere l’angoscia del nulla, a costruire lui
stesso, con le proprie forze, nuovi percorsi
di conoscenza e di verità. Ognuno si sceglie
la sua verità confrontandosi con il passato
e con ciò che il presente offre. Il risultato
migliore a cui il soggetto può giungere è
una situazione di armonia e di equilibrio
con se stesso e con il mondo. A questo
proposito è interessante notare che nel saggio dedicato alla “cultura femminile”,
Simmel riconosce in particolare alla donna
maggiori capacità dell’uomo di trovare risposte valide alla sua esistenza. La donna,
egli afferma, «ha una identità più forte
rispetto a quella dell’uomo, è dotata di una
unità interiore più salda», che le permette
di essere più vigile verso l’interno e di
trovare un suo baricentro. L’uomo, invece,
è più fragile, sempre alla ricerca di nuovi
baricentri, perché rivolto all’esterno. La
sua identità è scissa, frammentaria; si spaventa maggiormente di fronte agli ostacoli,
all’ “incertezza”, e ha sempre bisogno di
ancorarsi a qualcosa. Questa è la conseguenza del fatto che l’uomo non sa padroneggiare se stesso.
Una chiave interpretativa ricorrente negli
studi sul pensiero di Simmel è la contrapposizione della “filosofia della vita”, “metafisica” e “relativistica”, dell’ultimo periodo (quello rappresentato da opere come
lo studio su Rembrandt, dal già menzionato saggio su Il conflitto della cultura moderna e dalla Lebensanschauung) all’impostazione di tipo ancora parzialmente kantiano presente in opere come I problemi
della filosofia della storia o nelle lezioni
berlinesi dedicate a Kant. Altri studiosi,
come ad esempio Ferdinand Fellmann
nel suo recente studio Lebensphilosophie
(cfr. “Informazione filosofica” n. 13-14),
tendono invece ad attenuare tale contrapposizione e individuano nella Philosophie
des Geldes (Filosofia del denaro), e nel
concetto in essa fondamentale di “interazione”, non solo uno strumento dell’interpretazione sociologica, ma anche un modello gnoseologico di carattere più generale, in cui si trova la chiave di lettura della
filosofia della vita dell’ultimo periodo, che
verrebbe pertanto ad essere fondata non più
su un concetto “metafisico” di vita, ma
sarebbe intesa in senso dinamico, pragmatico e simbolico.
Indipendentemente dalla correttezza di una
tale interpretazione, resta l’importanza che
la sociologia riveste nel pensiero simme-
liano. Alla medesima fase di pensiero dei
saggi sulla cultura appartengono anche gli
scritti raccolti nel volume XI della “Gesamtausgabe” con il titolo: Soziologie.
Untersuchungen über die Formen der Vergesellschaftung (Sociologia. Ricerche sulle forme della socializzazione, a cura di O.
Rammstedt, Suhrkamp, Frankfurt a. M.
1992), che presentano al lettore quella che
Simmel definì la sua “grande sociologia”,
obiettivo della quale era, come si legge nel
saggio del 1894, Das Problem der Soziologie, «di dare all’oscillante concetto di sociologia un contenuto chiaro, dominato da
un’idea problematica metodicamente certa». Simmel intende dunque contribuire
con quest’opera alla fondazione della scienza sociologica, che a suo avviso deve essere scienza delle “forme” e non dei “contenuti” delle interazioni umane: una sociologia “formale” o una fenomenologia delle
relazioni sociali che, secondo alcuni interpreti, anticipa l’odierna teoria dei sistemi e
l’analisi strutturale della società.
Al tentativo di fondare la sociologia Simmel
lavorò per più di un decennio, attraverso
singoli studi che dovevano sviluppare e
illustrare sistematicamente il suo progetto
scientifico. Ma già in queste prime formulazioni, l’idea di una fondazione metodologica della sociologia gli appariva troppo
ampia e impegnativa per le forze di un solo
individuo. Così la questione del ruolo e del
peso della sociologia nel pensiero di Simmel
è destinata, tra gli interpreti, a restare aperta. C’è chi vede nelle indecisioni e nelle
oscillazioni che turbano Simmel negli anni
in cui lavora alla “grande sociologia”
l’espressione di una sorta di “anti-sociologismo”. Tali indecisioni furono forse dovute alla scarsa risonanza della sua sociologia nel mondo accademico: se non mancarono i riconoscimenti alla “finezza” e “profondità” delle sue analisi (Franz Oppenheim) e della loro “ricchezza di spirito”
(Rickert, Max Weber), la sua concezione
della sociologia in quanto studio formale
delle relazioni sociali apparve a molti troppo “individualistica”. Resta però il fatto
che, al di là delle difficoltà accademiche,
l’interesse di Simmel per questa scienza
resta costante. Ancora nel 1917, in quella
che viene considerata la fase “metafisica”
della sua opera, egli pubblica, in una collana di grande diffusione presso l’editore
Göschen, le Grundfragen der Soziologie
(Problemi fondamentali della sociologia).
É opportuno qui segnalare, a integrazione
di queste considerazioni, i contributi interpretativi raccolti dalla rivista “Aut-Aut”(n.
257, 1993) nel fascicolo monografico dal
titolo: Georg Simmel. Le forme e il tempo,
che riporta gli interventi al convegno omonimo del maggio 1990, organizzato dalla
Fondazione San Carlo di Modena (cfr.,
“Informazione Filosofica”, n. 1, dicembre
1990). Il fascicolo contiene anche, per la
prima volta tradotti in italiano, il saggio: Il
problema dello stile (trad. it. di A. Borsari),
del 1908, e alcuni brevi testi, i Momentbi46
lder sub specie aeternitatis (trad. it. di A.
Borsari), tratti dalla rivista “Jugend” (n. 50,
Monaco 1990; di questi testi è prevista a
breve un’edizione italiana completa). Da
rilevare, in questi scritti, il costante interesse di Simmel per la dialettica tra universale
e individuale, generalità e unicità, pienezza
e mancanza, sempre pensate a partire dalla
coppia concettuale di possibilità e realtà,
contingenza e necessità. Da questo punto
di vista, il saggio sullo stile, in particolare,
si presenta come il tentativo estetico di
rispondere alla questione fondamentale:
come sia possibile che una totalità chiusa in
se stessa, ad esempio un’opera d’arte o un
atteggiamento estetico, possa appartenere
nello stesso tempo ad una totalità superiore.
Proprio a partire da questa prospettiva, che
nel frammento individua il mezzo per raggiungere la significatività dei fenomeni,
Hans Blumenberg, nel suo saggio del 1976,
“Denaro o vita. Uno studio metaforologico
sulla consistenza della filosofia di Georg
Simmel” (trad. it. di A. Borsari), che compare in prima traduzione italiana nel fascicolo monografico di “Aut-Aut”, mostra
come vi sia in Simmel una significativa
relazione tra la filosofia del denaro e la
successiva filosofia della vita, accomunate
in un processo che si sviluppa per stadi di
solidificazione e liquidità, forma e dissoluzione, istituzione e libertà, livellamento e
individualità; come se Simmel, fa notare
Blumenberg, avesse inventato la metafora
del denaro per aprire le porte della riflessione al problema della vita. A queste considerazioni si riallaccia Fabrizio Desideri (“Il
confine delle forme. Dalla Philosophie des
Geldes alla Lebensanschauung”), che nel
suo intervento, presente nella rivista, mostra come la questione nevralgica dell’opera simmeliana sia, dal punto di vista oggettivo, quella del “confine” tra vita e forme,
dal punto di vista soggettivo, quella del
modo di porre le questioni genetiche e
trascendentali. L’uomo è dunque propriamente un confine che non può fare a meno
di oltrepassare tutti i confini: questo dualismo fondamentale è la vera e propria cifra
del pensiero simmeliano.
Tra gli altri contributi raccolti nel fascicolo, Bruno Accarino (“Le cose che chiamano. Tempo e istituzioni in Simmel”), si
sofferma sul nesso problematico tra temporalità individuale e istituzionale: l’eccedenza temporale inerente all’individuo viene bonificata prima dal monstrum storicosimbolico del denaro, poi dalla iperformalizzazione della socievolezza, che sgravano l’individuo dagli attriti e dalle ruvidezze
insite nelle relazioni personali concrete.
L’ulteriorità dell’individuo rispetto ad ogni
forma sociale viene invece analizzata da
Remo Bodei (“Tempi e mondi possibili.
Arte, avventura, straniero in Georg
Simmel”) in relazione all’ars combinatoria dei possibili, importante aspetto che
avvicina Simmel, attraverso Goethe, a
Leibniz. In Simmel emergono mondi e
tempi, potenziati da possibilità “virtuali”
PROSPETTIVE DI RICERCA
che circondano il reale, provocando un
nuovo fascino di ciò che positivamente è
stato prodotto.
Nell’interpretazione sociologica del tempo proposta da Alessandro Cavalli (“Le
categorie del tempo in Simmel: una lettura
sociologica”) si possono individuare due
prospettive di analisi, una metafisica e una
empirica-fenomenologica: per la prima
sono fondamentali le differenze tra a-temporalità, eternità e tempo; per la seconda i
problemi che nascono dalla connessione
tra tempi individuali e sociali, tra la dimensione temporale delle relazioni individuali
e le corrispondenti strategie della loro gestione sociale. L’ “antinomia” tra la totalità
della vita, con le sue leggi sovraindividuali
e inconoscibili, e la parzialità singolare
dell’esistenza individuale, è ribadita da
Alessandro Dal Lago (“Le antinomie dell’esistenza. Simmel e la filosofia della vita”),
che anticipa qui alcuni risultati del suo
recente studio: Il conflitto della modernità
(il Mulino, Bologna 1994). Il dovere, come
risultato di una scelta responsabile e libera,
si manifesta nella concretezza della vita:
mediante l’azione l’individuo non solo realizza la propria moralità, ma, a ben vedere,
“diviene” la propria individualità.
Infine Birgitta Nedelmann (“Accelerazione della vita moderna ed Erleben”) richiama, nel suo intervento, l’attualità sociologica dell’analisi simmeliana del tempo, riprendendo ampiamente uno dei pochi
testi di Simmel esplicitamente dedicati a
questa tematica, Die Bedeutung des Geldes
für das Tempo des Lebens (1897). Nedelmann rileva in particolare l’influenza che
qualità, quantità ed eterogeneità delle impressioni psichiche hanno sull’immagine
del tempo: l’aumento della quantità del
denaro e la sua astrattezza condizionano
fortemente il tempo sino a presentarsi come
il simbolo più chiaro dell’assoluto carattere “dinamico” del mondo e della relatività
dell’essere. D.M./M.M./R.P.
Morale e pregiudizi
Recentemente è stata pubblicata la
prima traduzione italiana di due opere
di Paul Henri Thiri d’Holbach, il SAGGIO
SUI PREGIUDIZI (trad. it. di D. di Iasio,
Guerini e Associati, Milano 1993), e gli
ELEMENTI DI MORALE UNIVERSALE O CATECHISMO DELLA NATURA (trad. it. e introd. di V.
Barba, Laterza, Roma-Bari 1993). I due
scritti, pur con accenti differenti, particolarmente per quanto riguarda la
questione della polemica antireligiosa, ripropongono i caposaldi del meterialismo di d’Holbach.
Volendo ripartire l’evolversi del pensiero
di Paul Henri Thiri d’Holbach in due
fasi, occupate la prima (quella degli scritti
pubblicati fra il 1766 e il 1770) da una pars
destruens della sua riflessione, la seconda
(quella degli scritti successivi) da una pars
costruens, il Saggio sui pregiudizi apparirebbe ascritto alla prima, mentre gli Elementi alla seconda. In realtà ciò che separa
le due opere, come nota Vincenzo Barba
nel suo ampio saggio introduttivo agli Elementi, è il fatto che nella seconda non
appaiano segni della polemica antireligiosa (e, in specifico, anticristiana) che caratterizza invece la “battaglia per la verità”,
alla quale è dedicato il Saggio sui pregiudizi. Negli Elementi il problema religioso, in
quanto tale, appare quasi rimosso: non solo
non vi è polemica contro la religione; ma
non v’è neppure traccia del tentativo, pure
presente in altri scritti appartenenti al periodo della pars costruens di d’Holbach, di
far coesistere religione e morale sulla base
di una “doppia verità”, una per i dotti e
l’altra per il popolo.
Scartando l’ipotesi di un’effettiva evoluzione della riflessione di d’Holbach da una
fase all’altra, Barba attribuisce queste “mancanze” all’intento pedagogico e divulgativo, di stampo tipicamente illuminista, degli Elementi: come i fanciulli, il popolo ha
bisogno di pochi e chiari principi, esposti in
forma catechistica. A questo scopo, indagini più raffinate sull’ “amore di sé”, ovvero
sul desiderio di autoconservazione e di
felicità come movente unico delle azioni
umane, su cui si fondava invece la polemica di d’Holbach contro le religioni, sarebbero state più d’ostacolo che d’aiuto. Ciò
spiega anche il caso - unico, nella produzione di d’Holbach - della pubblicazione
postuma di questo scritto, non certo per
timore della censura, quanto, piuttosto, per
una diminuzione di interesse nei confronti
di un’opera che doveva apparire all’autore
eccessivamente schematica, a causa del
suo carattere divulgativo.
Diverso è il discorso per ciò che riguarda il
Saggio sui pregiudizi, pubblicato anonimo
nel 1770 e attribuito a d’Holbach a seguito
della testimonianza di Diderot. Come l’autore dichiara esplicitamente, il tema dell’opera consiste nella “questione della verità”, cioè «se sia utile annunciare la verità
agli uomini e se essa non possa divenir loro
pericolosa». Contro gli “apostoli della menzogna” è di fatto rivolto il Saggio di d’Holbach, la cui vis polemica suscitò gli strali di
Federico II di Prussia, già “sovrano illuminato”. Attraverso un rapido esame della
natura umana e del suo esplicarsi nel vivere
associato, d’Holbach dimostra che «l’ignoranza è la fonte comune degli errori del
genere umano»; essa si manifesta nel pregiudizio, ovvero nell’affermazione di una
tesi espressa senza averla preventivamente
esaminata. Ma la carica eversiva ìnsita in
questa concezione diviene evidente quando d’Holbach arriva ad affermare che tutte
le opinioni religiose, nonché quelle politiche, rappresentano, in quanto tali, dei pregiudizi. Un’affermazione, questa, che non
lascia dubbi sul fatto che in quest’opera
d’Holbach intenda proporre non solo e non
47
tanto un discorso meramente culturale sulla natura umana, quanto piuttosto una critica radicale alla legittimità delle istituzioni
umane nella misura in cui queste pretendano di ottenere una legittimazione solo in
base alla loro semplice esistenza. In tal
senso, come sottolinea nella sua Postfazione all’opera Domenico di Iasio, curatore
dell’edizione italiana, il Saggio sui pregiudizi si pone, contro talune interpretazioni,
affatto al di fuori di una prospettiva deistica, perché si configura non come una critica di questa o quella forma storica di religione, bensì della religione in quanto tale,
che per d’Holbach (almeno in questo testo)
è sempre, in linea di principio, contraria
alla ragione. All’annuncio della verità, contenuto in quest’opera, risulta dunque estraneo qualunque intento conciliativo fra ragione e religione, nonché fra religione e
morale: la religione non solo non appare
qui come ausilio, neppure subordinato, all’elevazione morale degli individui e al
sereno vivere associato, ma si presenta, al
contrario, come “malattia” della natura razionale dell’uomo. F.C.
Agostino
e il problema del tempo
L’attualità di Agostino è qualcosa ormai di pienamente acquisito, soprattutto dopo la riscoperta che ne ha
fatto il Novecento come di un autore
“moderno”. Ce lo ricorda, con grande
autorevolezza e sulla scorta di un’originale riformulazione esegetica, lo
studio di Kurt Flasch, WAS IST ZEIT?
AUGUSTINUS VON HIPPO. DAS XI. BUCH DER
‘CONFESSIONES’. HISTORISCH-PHILOSOPHISCHE STUDIE (Cos’è il tempo? Agostino
di Ippona. L’XI libro delle ‘Confessioni’. Uno studio storico-filosofico, Klostermann, Frankfurt a. M. 1993). Si
tratta di un’accurata edizione, corredata di testo originale e traduzione,
del testo in cui Agostino si misura con
il problema della temporalità, a cui si
accompagna un saggio critico che è
più di un semplice commentario e ha
il tono piuttosto di una ricostruzione
di notevole portata storico-filosofica.
Lo studio di Flasch è già stato salutato in Germania come il lavoro più
penetrante ed esaustivo che finora
sia stato scritto sulla concezione agostiniana del tempo.
Che attorno al problema del tempo ruoti
gran parte del pensiero filosofico del nostro
secolo, è cosa nota. La lettura che Kurt
Flasch ci propone dell’XI libro delle Confessioni di Agostino è allora quella di esaminare in che rapporto si situi la riflessione
agostiniana con la filosofia del Novecento,
quale tipo di ricezione essa abbia avuto e
soprattutto come e in che misura abbia qui
PROSPETTIVE DI RICERCA
Jacques Lacan e Louis Althusser
continuato ad agire. Ed ecco annodarsi
attorno alla figura di Agostino i molteplici
fili che con lui intrattengono quei filosofi
del nostro secolo, in particolare, per i quali
il problema del tempo rappresenta la questione filosofica essenziale: Bergson,
Yorck von Wartenburg, Husserl,
Heidegger, a cui Flasch dedica un capitolo centrale e di una certa portata interpretativa, Wittgenstein e Russel.
Un’altra parte importante del saggio di
Flasch è dedicata alla ricostruzione del
contesto filosofico, al cui interno si situa
propriamente la riflessione agostiniana sul
tempo. A questo proposito, l’autore propone una ricostruzione della filosofia antica da Platone ad Aristotele fino agli scettici (Sesto Empirico), Plotino (il neoplatonismo) e Seneca in rapporto al modo, in
cui è stato dibattuto e affrontato il problema del tempo. Un punto di partenza decisivo della riflessione agostiniana è in tal
senso la concezione platonico-plotiniana
dell’anima del mondo, che nel Timeo è
considerata come principio vitale e organo
di conoscenza del cosmo vivente. Così il
tempo esiste solo perché il mondo, attraverso la sua anima, sa di cogliersi come
movimento; allo stesso modo, è grazie alla
propria anima che l’uomo percepisce la
propria temporalità. Ne consegue che una
medesima relazione intercorre tra tempo
interiore e tempo cosmico.
Con l’introduzione del concetto di “anima
del mondo” nella filosofia agostiniana
del tempo, Flasch intende mostrare come
in questo modo tutta una serie di difficoltà e contraddizioni del testo di Agostino risulti appianata; anche se con questo non si può pretendere di eliminare le
forti discrepanze che esso presenta, dovute principalmente al fatto che Agostino non si sarebbe reso conto delle conseguenze che, una volta ridefinito l’orizzonte platonico di partenza, avrebbe avuto l’operazione di rottura da lui compiuta nei confronti della dottrina della grazia e del peccato originale.
Con questa interpretazione Flasch per un
verso recepisce e ridefinisce la modernità
della concezione agostiniana del tempo,
per un altro la riconduce al contesto
tematico originario da cui è scaturita,
per un altro ancora sfata la leggenda
secondo cui Agostino non avrebbe trovato una ricezione adeguata nella filosofia del Medioevo.
Ma soprattutto ciò di cui Flasch vuole
mostrare l’inconsistenza è l’interpretazione di Agostino alla luce della filosofia di
Kant e Bergson, facendo di lui un antesignano della concezione soggettivistica del
tempo. Per Flasch, invece, l’esperienza
del tempo che Agostino ci propone non è
riferita solo all’attività interna dell’anima,
ma trova la sua corrispondenza nel mondo
esterno, in cui i corpi sono travagliati dalle
loro forme di cambiamento. G.B.
48
Althusser su Freud e Lacan
A più di tre anni dalla morte di Louis
Althusser è apparsa un’antologia di
suoi scritti dedicati all’opera lacaniana, ÉCRITS SUR LA PSYCANALYSE: FREUD ET
LACAN (Scritti sulla psicoanalisi: Freud
e Lacan, a cura di O. Corpet e F. Matheron, Stock Imec éditions, Paris 1993).
Si tratta di un volume postumo che,
pur non esaurendo le incursioni di
Althusser nel campo della psicoanalisi, raccoglie molti testi inediti e un
documento d’eccezione: il suo epistolario con Lacan, una fonte utile a far
luce sulla presenza ambivalente dello
psicoanalista negli scritti del filosofo.
Al rapporto tra Lacan e Althusser è in
particolare dedicato un capitolo della
monumentale biografia dedicata allo
psicanalista francese da Elisabeth Roudinesco, JACQUES LACAN, ESQUISSE D’UNE
VIE, HISTOIRE D’UN SYSTEME DE PENSÉE (Jacque Lacan, resoconto di una vita, storia di un sistema di pensiero, Fayard,
Paris 1993).
«Non ne so nulla, non ho letto nulla» scriveva Louis Althusser a proposito della
psicoanalisi in L’avenir dure longtemps
(1992; trad. it. 1992). Ma la continuità del
suo rapporto teorico con questa disciplina
ha autorizzato Oliver Corpet e François
Matheron, a considerarla un’«avventura
PROSPETTIVE DI RICERCA
sufficientemente autonoma da poter essere
isolata». Con la loro varietà di stili e di
generi, gli scritti di Althusser sulla psicanalisi (sono tuttavia assenti il materiale legato
allo svolgimento della sua analisi e i resoconti del Seminario 1963-64 sulla psicoanalisi lacaniana), ci svelano infatti un autore molto più coinvolto e compromesso con
questa scienza di quanto lui stesso voglia
ammettere. Ogni scritto è introdotto da una
presentazione, che si avvale di documenti
presenti nell’Archivio-Althusser, come la
sua agenda e la corrispondenza con l’amica
Franca, che permettono di inquadrare e
contestualizzare i vari testi del volume.
Così nella presentazione dello scritto
d’apertura della raccolta, “Freud e Lacan”,
viene riportato l’estratto di una lettera a
Franca, in cui l’autore descrive «lo stato
allucinatorio» in cui si produce la sua scrittura, una condizione di «contatto diretto
con realtà profonde, nel momento in cui
esse vengono percepite, viste, lette negli
esseri e nella realtà come in un libro aperto». Pubblicato per la prima volta nel 1963
nella rivista comunista “La nouvelle critique”, lo scritto compare qui corredato dalle
versioni precedenti la stesura definitiva.
All’epoca si trattava infatti di convincere
gli intellettuali comunisti della validità della psicoanalisi, da essi etichettata “scienza
borghese”. Per Althusser questo appellativo si addice solo alla psicoanalisi americana, che tradendo l’intento freudiano si configura come semplice pratica terapeutica,
finalizzata all’adattamento dell’individuo
alla società vigente. Esso è invece inadeguato e ingiusto per designare il “ritorno a
Freud” realizzato da Lacan, che conserva
la portata rivoluzionaria del padre fondatore, la sua propensione alla liberazione degli
individui dai condizionamenti più che a
una loro normalizzazione.
Due lettere di Althusser su Lacan, indirizzate al suo analista, René Diatkine, costituiscono il primo testo inedito dell’antologia. Althusser provvede a spiegare ampiamente la celebre tesi dell’inconscio strutturato come un linguaggio, una tesi che egli
ritiene fraintesa da Diatkine, antilacaniano
di formazione lacaniana. In un altro inedito
datato 1966 “Trois notes sur la théorie du
discours”, muovendo dalla distinzione tra
teoria generale e teorie regionali da essa
dipendenti, Althusser parla del “dramma
teorico” della psicoanalisi, che non sa da
quale teoria generale dipenda. La sua proposta interpretativa invita a considerare la
psicoanalisi come la combinazione di due
teorie generali: una già nota, il materialismo storico, l’altra “ancora insospettata”,
battezzata “teoria generale del significante”, che anche Lacan avrebbe confuso con
la linguistica.
Del 1976 è invece un testo di Althusser
fortemente critico nei confronti della pretesa di Lacan di essere approdato a quella
teoria scientifica dell’inconscio che Freud
non era riuscito a elaborare. Secondo
Althusser, a Lacan, al quale si può solo
riconoscere “una filosofia della psicoanalisi”, mancherebbe quel pudore che invece
aveva Freud, e che gli impediva di porre le
sue ipotesi come definitive. Questo antidogmatismo costituirebbe paradossalmente per Althusser «la prova più convincente
dello spirito scientifico di Freud». Il tono di
Althusser si fa decisamente più aspro nel
1980, quando inaspettatamente interviene
a una riunione della Scuola freudiana di
Parigi, dopo che Lacan ne ha annunciato la
dissoluzione. Nell’antologia troviamo un
resoconto di questo intervento, per lo più
improvvisato, in cui Althusser rimprovera
a Lacan di aver dato luogo a un pensiero
poco rigoroso e ne misconosce la paternità
quando questi si spaccia per il vero interprete della lettera freudiana.
Per cogliere la matrice filosofica del pensiero lacaniano, come pure per rintracciare
la genesi dei suoi concetti dalle tormentate
e surrealistiche vicende della sua vita, può
risultare utile l’imponente biografia di
Lacan ad opera di Elisabeth Roudinesco.
Come momento epocale della sua formazione viene segnalata la partecipazione di
Lacan al seminario di commento alla Fenomenologia dello spirito di Hegel, tenuto da
Alex Kojève dal 1930 al 1937. Con Kojéve
Lacan progetta di redigere un testo a quattro mani su Hegel e Freud. Anche se l’opera non verrà mai partorita, Roudinesco
mostra come nei primi fogli scritti da Kojéve
siano già presenti tre concetti fondamentali
che Lacan mutuerà nel suo “rimaneggiamento teorico” del 1938: l’io come soggetto del desiderio, il desiderio come rivelazione dell’essere, il sé come luogo di illusione. In altre parole la dialettica servopadrone fungerà da modello alla sua teoria
del desiderio.
Oltre a Hegel, Husserl e in particolare
Heidegger rappresentano all’epoca l’orizzonte del pensiero di Lacan. Si tratta dell’Heidegger anti-sartriano della Lettera
sull’umanismo, divulgato in Francia da
Beaufret, che Lacan utilizza per l’elaborazione del suo pensiero, che alla fine si
configurerà come una ridefinizione del freudismo alla luce delle acquisizioni della
linguistica di De Saussure e l’antropologia
di Lévy-Strauss. E quando Beaufret, grande amico di Heidegger, va in analisi da
Lacan, si profila all’orizzonte l’incontro tra
psicoanalisi francese e filosofia tedesca. Si
realizzerà nel ’55 quando Beaufret porta
Lacan a Friburgo; tre mesi dopo Lacan
ospiterà Heidegger, recatosi in Francia per
un convegno. Per nulla infastidito o incuriosito dall’episodio nazista del pensatore
tedesco, dal dialogo con Heidegger Lacan
tenta di ricavare una sorta di legittimazione
intellettuale.
L’opera di Roudinesco, che comprende
una bibliografia completa dei lavori di
Lacan e un inventario di 247 lettere, pone in
luce il rapporto paradossale tra la vita e le
opere di Lacan, soffermandosi a raccontare
Sigmund Freud
49
PROSPETTIVE DI RICERCA
gli episodi di un’esistenza condotta all’insegna dell’incoerenza. Lacan viene ritratto
come sovvertitore.«L’uomo non si adatta
alla realtà, ma piuttosto l’adatta a lui»: con
questo motto Lacan esprimeva la sua avversione ad ogni terapia normativa che ostacolasse l’obbedienza alla legge del desiderio.
Innovativa è in tal senso la sua concezione
dell’inconscio, non più serbatoio di ricordi,
di affetti, ma spazio astratto sottomesso a
una legge. Oltre a introdurre la seduta a
tempo variabile, che rompeva con i canonici 45 minuti, era estremamente stravagante
il modo in cui Lacan la conduceva. Man
mano fece scomparire qualsiasi barriera tra
vita privata e vita professionale. A.M.
Verità e retorica
nella ricerca scientifica
Il successo delle scoperte scientifiche
non può essere separato dall’argomentazione e dai personali processi di pensiero che le sostengono. Alla luce di
una tale affermazione Jean Dietz Moss,
in NOVELTIES IN THE HEAVEN: RHETORIC AND
SCIENCE IN THE COPERNICAN CONTROVERSY
(Novità in cielo: retorica e scienza nella controversia copernicana, University of Chicago Press, Chicago 1993), e
Domenico Bertoloni Meli, in EQUIVALENCE AND PRIORITY: NEWTON VERSUS LEIBNIZ, INCLUDING LEIBNIZ’S UNPUBLISHED MANUSCRIPT ON ‘THE PRINCIPIA’ (Equivalenza
e priorità: Newton contro Leibniz, manoscritti inediti sui Principia di Leibniz, Clarendon Press, Oxford 1993),
analizzano diversi approcci alle questioni scientifiche. Di fatto sia Galileo,
nella controversia copernicana, sia
Leibniz, nei confronti dello sviluppo
del calcolo, definirono con le loro concezioni scientifiche stili diversi di argomentazione.
La questione copernicana non fu solo una
disputa di carattere astrologico. Ciò che
emerse, fu proprio il problema della verità
in campo matematico ed empirico. Oltre a
esprimere una contrapposizione tra concezioni filosofiche e dottrine religiose, tale
controversia stabilì una precisa questione
di metodo e di tecniche di ricerca. Così pure
all’inizio del XVIII secolo il dibattito tra
Newton e Leibniz investì, oltre che tecniche diverse di calcolo, anche ragioni sociali e intellettuali. La ricostruzione della ricerca matematica newtoniana è nota agli
storici, mentre la controrisposta leibniziana è rimasta un po’in ombra. Un’edizione
comprensiva degli scritti preliminari al lavoro di Newton era apparsa nel 1989 a cura
di D. T. Whiteside, The Preliminary Manuscripts for Isaac Newton’s 1687 ‘Principia’(Scritti preliminari all’edizione del 1687
dei ‘Principia’ di Isaac Newton).
Le dimostrazioni scientifiche avanzate da
Copernico procedevano, oltre che da osservazioni empiriche, dalla confutazione
della precedente teoria filosofica tolemaica. Fu così che quando nel 1543, poco
prima di morire, Copernico presentò La
rivoluzione delle sfere celesti, si rifece nel
suo discorso ad argomentazioni retoriche.
Così facendo, lo scienziato, pur nella consapevolezza della debolezza del suo sistema dal punto di vista scientifico, ritenne
comunque proponibile una spiegazione
sulla base di un discorso dialettico.
Questo fatto, secondo Jean Dietz Moss,
rappresenta l’innovazione più profonda
apportata dalle teorie copernicane, sviluppate da Galileo, al metodo scientifico di
verifica delle questioni. Lo spunto originale, anche se discutibile, dello studio di
Dietz Moss consiste nel dimostrare che per
Galileo la dimostrazione retorica e quella
dialettica accedevano allo stesso piano di
verità scientifica. Fu forse per ragioni di
convenienza che, in seguito all’editto del
1616 contro la diffusione della teoria copernicana, Galileo fu costretto a mascherare le proprie convinzioni dietro a spiegazioni dialettiche. Pur tuttavia, tale ripiegamento sul piano retorico non venne considerato meno scientifico di quanto annunciato nelle Lettere solari del 1613 o nel
Messaggero stellare del 1610. Ci sono
anzi, osserva Dietz Moss, ottime ragioni
per ritenere che Galileo seguisse Copernico nel dimostrare che la razionalità scientifica richiedeva unicamente prove probabili
e che tali prove fossero sufficienti. Ciò in
contrapposizione alle convinzioni tradizionali, che richiedevano invece dimostrazioni conclusive di tipo argomentativo.
Rimane aperta, comunque, la questione se
effettivamente Galileo considerasse la verità ottenuta con argomentazioni dialettiche sullo stesso piano di quella prodotta da
prove dimostrative. Contro la tesi di Dietz
Moss si dovrebbe infatti obiettare che, al di
là dell’entusiasmo con cui Galileo condusse la sua battaglia, egli non perse mai di
vista la differenza tra prova sufficiente e
dimostrazione conclusiva. Proprio nel Dialogo sui massimi sistemi, pubblicato solo
nel 1632, Galileo aveva infatti scoperto
due prove dimostrative del movimento della Terra, l’una basata sulle maree, l’altra
sulle macchie solari, che peraltro rimasero
le uniche dimostrazioni sostanziali da lui
prodotte a sostegno del copernicanesimo.
Tuttavia Galileo, pur ritenendo tali prove
del tutto conclusive, non poteva dichiararlo apertamente, e sebbene condividesse il
pensiero di Keplero e di Copernico riguardo ai limiti delle argomentazioni retoriche,
usò strategicamente metodi retorici per
sostenere le sue dimostrazioni. Non è comunque ancora chiara la considerazione di
Galileo nei confronti della retorica e della
possibilità di ricorrere a questa come ad un
distinto modo di dimostrazione scientifica.
In un’ottica simile si può ripercorrere il
dibattito tra Newton e Leibniz, con cui
all’inizio del XVII secolo furono definiti
50
stili differenti della matematica. Bertoloni
Meli, nel suo Equivalence and Priority,
ricostruisce con precisione le linee di sviluppo delle prime tecniche di calcolo leibniziane. Basandosi sulle note apposte da
Leibniz sulla sua copia dei Principia, oltre
che su tutta una serie di testi, scoperti nel
“Leibniz-Nachlass” e risalenti al secondo
semestre del 1688, Bertoloni Meli ricostruisce le tappe della ricezione degli studi di
Newton da parte di Leibniz.
Pur tenendo ferma l’autonomia delle ricerche dei due filosofi sul calcolo matematico,
Bertoloni Meli indica come in realtà Leibniz, già dal Tentamen del 1689, fosse a
conoscenza del lavoro svolto da Newton.
Nella prima fase di ricerca di Leibniz, elemento portante fu la nozione di elasticità,
accompagnata dall’intento di ricercare le
“cause” fisiche dei moti celesti. Nello sviluppo del calcolo, Leibniz partì dall’idea
che differenziazioni e integrazioni fossero
operazioni su variabili, tali da modificare
l’ordine dell’infinito, ma non la dimensione della variabile. D’altro canto, invece, le
quantità matematiche di Newton sono generate dal “moto continuo”, e le variabili,
secondo i principi della cinematica, cambiano nel tempo. Ciò comportò anche una
diversa concezione del movimento, analizzata dai due studiosi: da una parte la meccanica leibniziana, basata sul movimento
rettilineo, dall’altra, le teorie di Newton
sull’accelerazione.
Questo è lo sfondo teorico dei testi che
compaiono ora per la prima volta, nel volume di Bertoloni Meli e che permettono di
illuminare l’itinerario privato percorso da
Leibniz dai Principia al Tentamen. Dallo
studio delle note e degli appunti in latino
che figurano nel manoscritto leibniziano,
sarà possibile ricostruire con più esattezza
lo sviluppo della fisica leibniziana, liberando la controversia con Newton da molti
fraintendimenti. A.A.
Hegeliana
Accanto alla nuova attesissima traduzione francese della FENOMENOLOGIA
DELLO SPIRITO di Hegel da parte di due
riconosciuti interpreti del pensiero
hegeliano, Pierre-Jean Labarrière e
Gwendoline Jarczyk, (Gallimard,
Paris1993), due recenti letture critiche, lo studio di Alexis Philonenko,
LECTURE DE LA PHÉNOMÉNOLOGIE DE HEGEL
(Vrin, Paris 1993), e quello incompiuto
di Guy Planty-Bonjour, LE PROJET
HÉGÉLIEN (Vrin, Paris 1993), confermano la vitalità degli studi hegeliani in
Francia. Intanto in Italia viene pubblicata una biografia di Hegel ad opera di
Horst Althaus, VITA DI HEGEL. GLI ANNI
EROICI DELLA FILOSOFIA (Laterza, RomaBari 1993), che riaccende la discussione sui periodi della vita del filosofo.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Quando si cerca, in Francia, di recuperare
un ritardo nella traduzione delle grandi
opere filosofiche, accade che si opera in
modo massiccio. A una lunga indifferenza
per i testi principali della filosofia, segue
una precipitazione alquanto disordinata,
come lo si è potuto riscontrare per la traduzione di Sein und Zeit (1927) di Heidegger,
apparsa solamente nel 1985, dopo mezzo
secolo di attesa.
La traduzione delle opere di Hegel sembra
subire una sorte analoga: inesistente nel
secolo scorso, eccetto quella del napoletano Augusto Vera, del 1870, con la versione
in francese della Fenomenologia dello spirito ad opera di Jean Hyppolite (1939-41),
che si era largamente ispirato alla versione
di Enrico De Negri. Con l’edizione quasi
simultanea di due nuove traduzioni di questo testo hegeliano entriamo in una seconda
generazione di traduttori. Jean-Pierre Lefèbvre ha proposto nel 1991 (Aubier, Paris)
una versione attenta in primo luogo a restituire la bellezza ardita di un testo che, a
tratti, ricorda la tensione delle figure di
Hölderlin. P-J Labarrière, insieme a
G. Jarczyk, propone nel 1993 una versione preoccupata a rendere innanzitutto le
scansioni del pensiero hegeliano: la traduzione è infatti scrupolosamente sensibile
all’economia delle frasi e agli sviluppi dialettici, e restituisce, nel processo fenomenologico, die Logik hinter dem Bewustein,
cioè lo sviluppo “del” movimento logico
attraverso le figure della coscienza.
Sulla scia delle loro precedenti traduzioni,
estremamente meticolose, della Scienza
della logica (1972, 1976, 1981), Labarriere e Jarczyk portano a compimento un
lavoro di grande spessore, alimentato da
una lettura quotidiana e da una pratica
esegetica comprovata, che aveva dato origine alla pubblicazione di traduzioni parziali della Fenomenologia hegeliana, relativamente alle sezioni: “Dominio e schiavitù” (1987) e “Coscienza infelice” (1988),
in cui venivano rimesse in questione le
autorevoli interpretazioni di A. Kojève e di
J. Wahl. Questo nuovo tentativo, che ora
porta a compimento la traduzione del testo
di Hegel, è caratterizzato in particolare da
un notevole sforzo tecnico nella resa delle
espressioni e dei movimenti logici; la coerenza della scelta degli equivalenti è d’altro
canto anche sottolineata da un indice voluminoso (più di 200 pagine), relativo alle
occorrenze dei termini e dei nomi.
Con quest’ultimo duplice contributo di traduzione, le opere sistematiche di Hegel
continuano ad essere ben rappresentate in
Francia. A B. Bourgeois si deve infatti una
solida traduzione dell’Enciclopedia (la
Logica è del 1970; la Filosofia dello spirito
del 1988; per la Filosofia della natura si
dovrà attendere ancora un pò), mentre J-F.
Kervégan sta preparando una versione dei
Lineamenti di filosofia del diritto, destinata a sostituire le traduzioni imperfette di
A. Kaan e di R. Derathé. Dopo aver atteso
quasi un secolo e mezzo, da una ventina
d’anni i testi di Hegel sono l’oggetto di un
interesse sostenuto, attestato chiaramente
dall’impresa monumentale della traduzione delle Lezioni di storia della filosofia da
parte di P. Garniron, iniziata nel 1971 e
conclusasi con l’edizione del settimo e
ultimo volume nel 1991.
Accanto a questo notevole sforzo di traduzione delle opere di Hegel possiamo segnalare due recenti studi critici di grande interesse. Il primo, Le projet hégélien (Vrin,
Paris 1993) di G. Planty-Bonjour, è
un’opera rimasta incompiuta a causa della
morte dell’autore, avvenuta nel 1991. Essa
presenta un’ampia sintesi dell’opera di
Hegel, centrata sulla rivalutazione del ruolo della religione, o per meglio dire della
teologia, nel sistema hegeliano, considerando il pensiero politico di Hegel come la
conciliazione fra “la dignità della persona”
e la “maestà dello Stato”. Fornendo un
apporto originale all’interpretazione della
religione e alla lettura speculativa di Dio
trinitario, Planty-Bonjour combatte risolutamente un’interpretazione che privilegia la dimensione politica, quanto una che
contrappone filosofia e religione, a scapito
di quest’ultima. Secondo l’autore, con
Hegel “siamo in piena teologia”, e solamente una buona conoscenza dei Padri
della Chiesa e della teologia medievale
permette di comprendere il significato del
“mistero speculativo”.
Specialista del periodo di Jena, PlantyBonjour critica decisamente le interpretazioni della Fenomenologia da parte di
Kojève, che vi vedeva un’ “antropologia
genetica”, influenzata dalla sua lettura dell’
“essere-per-la-morte” di Heidegger e dell’
“alienazione” di Marx, facendo agire la sua
categoria di “differenza ontologica” per
suggerire i limiti “soggettivistici” di Hegel,
confinato in una metafisica della rappresentazione. Il dibattito sulle differenti interpretazioni dell’unità dell’opera, e la preferenza accordata alle letture di E. Fink e di
O. Pöggeler, forniscono una messa a punto
chiara e precisa della posizione critica di
Planty-Bonjour.
Il secondo studio critico, quello di A. Philonenko, Lecture de la Phénoménologie
de Hegel, è una lettura della “Prefazione” e
dell’ “Introduzione” del testo del 1807, e
riprende le lezioni svolte dall’autore all’Università di Rouen. Grande specialista
francese di Kant e di Fichte, Philonenko
non ha mai smesso di lottare contro la
critica hegeliana di Fichte, che determina
ancor oggi la maggior parte degli approcci
a questo filosofo, come nel caso di
M. Guéroult. Così Philonenko tenta in
questo studio di offrire una lettura corretta,
non parziale di Hegel; ma conservando uno
stretto punto di vista trascendentale e concentrandosi sul problema della “metodologia hegeliana”, egli non riesce, malgrado le
sottili analisi puntuali, ad avere quel minimo di simpatia e di connivenza per le
ragioni dell’avversario che potrebbero aprirgli la via d’una autentica confutazione.
51
Un importante contributo alla comprensione del pensiero hegeliano vi viene anche
dalla voluminosa biografia di Hegel ad
opera di Horst Althaus, che ci offre un
ritratto analitico e curato nei particolari
della vita del filosofo tedesco, dai primi
anni passati nel Württemberg sino alla morte
avvenuta nel 1831.
La narrazione della vita di Hegel viene
affrontata in funzione di un presupposto
essenziale, l’identità di pensiero ed essere,
che costituendo uno dei fondamenti teoretici della sua opera, diviene la chiave per
comprendere l’intima corrispondenza tra
la vita concreta e l’evoluzione del suo pensiero. Scorrendo la biografia notiamo come
gli eventi reali incidano sulla struttura delle
opere e come, d’altra parte, la formulazione dei principi filosofici determini gli atteggiamenti e il carattere di Hegel di fronte
alla vita. Si delinea così un continuo interscambio tra l’uomo e il filosofo che s’incontrano e si scontrano sul terreno comune
dell’idealismo ottocentesco.
Il ritratto di Hegel passa dall’immagine di
un adolescente serio, mai dedito allo scherzo e alle leggerezze, a quella di un uomo
rigido e fortemente rispettoso delle tradizioni e delle istituzioni. Anche i rapporti
interpersonali vengono affrontati con questo alone di ritegno morale, che poi si
riflette sulla genesi e sullo sviluppo del
pensiero. Gli intrecci tra la vita di Hegel e
quella di personaggi come Schelling, Goethe o Hölderlin costituiscono, infatti, un
elemento caratterizzante l’intero sviluppo
della sua filosofia. La relazione filosofica
con Fichte e Schelling è trasfigurata, in
questo modo, dai rapporti reali con i due
filosofi: se il distacco dall’idealismo soggettivo di Fichte procura a Hegel l’avvicinamento a Schelling e a Goethe, la pubblicazione della Fenomenologia dello spirito
del 1807, la superiorità ontologica dello
speculativo sulla filosofia della natura segna il distacco definitivo dallo stesso
Schelling.
Gli eventi che secondo Althaus rispecchiano maggiormente la corrispondenza di pensiero ed essere sono due. Il primo è di
natura pubblica: l’ingresso di Hegel nella
burocrazia statale e la nomina a funzionario pubblico. La cattedra al Ginnasio di
Norimberga, nel 1807, e quella all’Università di Berlino nel 1818, infatti, rappresentano un elemento fondamentale per la sua
Filosofia del Diritto e per la concezione
dello Stato. Non a caso Althaus sottolinea,
relativamente a questo periodo, le “ostilità” con Schopenhauer, che accusa Hegel
di essere un dipendente statale e non un
filosofo. L’altro evento è di natura privata
e riguarda Ludwig, il figlio illegittimo nato
da una relazione tra Hegel e la sua padrona
di casa durante gli anni di Tubinga, dopo la
laurea. Un figlio nato al di fuori del matrimonio, prima tappa dialettica verso l’istituzione
statale, rappresenta, secondo Hegel, qualcosa di assolutamente irrazionale e per questo
di non reale. A questa convinzione si deve
PROSPETTIVE DI RICERCA
l’atteggiamento da parte di Hegel di quasi
totale disinteresse verso il bambino, riconosciuto solo qualche anno prima della morte.
In ultima analisi, il quadro che emerge da
questa biografia è quello di un Hegel fortemente legittimatore delle tradizioni e di
una politica conservatrice. La formulazione della dialettica trova quindi il suo compimento nella convinzione dell’assoluta
razionalità della realtà nelle sue istituzioni,
confermata sia dalla vita, sia dal pensiero di
Hegel. A.S./D.T.
Attualità di Schopenhauer
Da un paio d’anni a questa parte si
registra, non solo in Italia, una generale ripresa dell’opera di Arthur
Schopenhauer. Riedizioni e ristampe
di scritti e brevi trattati di questo autore hanno alimentato un crescente interesse per la sua opera. Ne è un’ulteriore conferma la pubblicazione degli
AFORISMI PER UNA VITA SAGGIA (trad. it. di
B. Betti, Rizzoli, Milano 1993), e del
saggio SUL MESTIERE DELLO SCRIVERE E
SUL LO STILE (E. Amendola Kuhn,
Adelphi, Milano 1993). Finora mai tradotta in italiano, è anche stata pubblicata LA METAFISICA DELLA NATURA (a cura di
I. Volpicelli, Laterza, Roma-Bari 1993).
In Germania, lo ricordiamo, di Arthur
Schopenhauer è stata di recente ristampata un’ampia scelta delle lettere, Arthur
Scopenhauer. Leben und Werk in Briefen,
a cura di A. Hübscher e U. Fleiter (Insel
Verlag, Frankfurt a. M. 1991), e una nuova
edizione delle opere complete, Werke
(Haffmans, Zürich 1993), a cura di Ludger
Lütkehaus, a cui si deve anche l’edizione
dell’epistolario degli Schopenhauer, Die
Schopenhauers, (Haffmans, Zürich 1991),
che ci offre un interessante spaccato sugli
intricati rapporti familiari tra Arthur, il
padre Heinrich Floris, la madre Johanna e
la sorella Adele, e il carteggio GoetheSchopenhauer (Hafmanns, Zürich 1992),
che raccoglie anche altri documenti sulla
dottrina dei colori. In Francia, invece, è
avvenuto, più o meno, quello che con
Schopenhauer è successo da noi. A L’art
d’avoir toujours raison (L’arte di aver sempre ragione, Ed. Circé, Saulxures 1992), è
seguita una cascata di riproposizioni e ristampe, tra le quali segnaliamo quelle curate da Didier Raymond, specialista schopenhaueriano d’Oltralpe: Essai sur les
Fantômes (Saggio sulla visione degli spiriti, Criterion, Paris 1992), il saggio in difesa
dell’occultismo, che Schopenhauer inserì
nei Parerga, gli Entretiens (Criterion, Paris
1992), cioè interviste, colloqui con contemporanei, risalenti agli ultimi anni di vita
del filosofo, e l’Essai sur le libre arbitre
(Saggio sul libero arbitrio, Ed. Rivages,
Paris 1992). Ma soprattutto è il caso di
Arthur Schopenhauer nel 1818
52
PROSPETTIVE DI RICERCA
ricordare i preziosi Souvenirs d’un voyage
à Bordeaux en 1804 (Ricordi di un viaggio
a Bordeaux nel 1804, Ed. de la Presqu’île,
Lormont 1992), a cura di Alain Ruiz, che
riporta un giornale di viaggio del giovane
Schopenhauer e della madre Johanna.
In Italia vengono ora pubblicati gli Aforismi per una vita saggia, con un’introduzione di Anacleto Verrecchia, uno dei più
profondi conoscitori di Schopenhauer.
Opera di divulgazione, resa agevole dallo
stile espositivo di Schopenhauer e da una
scrittura straordinariamente efficace e dilettevole, questi aforismi rappresentano la
parte più celebre dei Parerga e paralipomena, l’opera, pubblicata da un oscuro
libraio-editore di Berlino nel 1851, che
dette a Schopenhauer una fama improvvisa. Il titolo non deve trarre in inganno: non
si tratta di una “guida rapida” alla saggezza. E’ vero che Schopenhauer è maestro
insuperabile dell’aforisma, inteso come frase lapidaria e fulminante; ma questa raccolta è un vero e proprio trattato sulla saggezza, su come percorrere lo scosceso sentiero
della vita, senza fare troppe cadute e senza
sprecare il proprio tempo con cose futili. La
cosa essenziale per una vita felice è ciò che
uno ha in se stesso, ciò che è. La ricchezza
materiale, il superfluo, poco possono per la
nostra felicità. Eppure, per procurarsi ricchezze, gli uomini si danno da fare molto di
più che per coltivare lo spirito. Corrono, si
affannano, sprecano quantità enormi di
energie. L’uomo saggio non corre e non si
affanna, tutt’al più, per tenere allenata la
mente, passeggia, da solo, lontano dal proscenio dell’attenzione pubblica. Il meglio
che la vita possa offrire, ammonisce
Schopenhauer, è un’esistenza priva di dolore, sopportabile, e solo rinunciando alla
«sciagurata pretesa di raggiungere la felicità» è possibile sottrarsi all’ipocrisia del
mondo, ai miraggi di una felicità fittizia,
che né denaro, né potere possono acquistare su questa terra.
Tradotta per la prima volta in italiano, è ora
disponibile La metafisica della natura, che
raccoglie le lezioni tenute da Schopenhauer
a Berlino tra il 1820 e il 1831. Il testo delle
lezioni riproduce la struttura architettonica
e argomentativa dei quattro libri del Mondo
come volontà e rappresentazione, ma l’esigenza didattica ed espositiva di queste lezioni conduce Schopenhauer a seguire approcci tematici divergenti o integrativi rispetto a quelli fissati nelle pagine della sua
opera maggiore. Di fatto nei suoi primi
semestri universitari, Schopenhauer fu un
appassionato studente di medicina e cultore, per tutta la vita, di significative esperienze nel campo dell’ottica e della cromatologia. La sua visione del mondo si alimentava attraverso un confronto costante
con i progressi compiuti dalla sua epoca sul
terreno delle scienze naturali, dalla anatomia alla fisiologia, dalla fisica alla chimica,
dalla botanica alla zoologia. La sua biblioteca comprendeva numerosi volumi su disparati argomenti scientifici e naturalistici,
che recano - come annota Ignazio Volpicelli nell’Introduzione all’edizione italiana
- vistose sottolineature, note a margine,
brevi postille, a volte commenti pungenti.
Va d’altra parte sottolineato che in quest’opera, al di là della molteplicità e del
carattere variegato dei riferimenti alle varie discipline, emerge tuttavia il caposaldo
della riflessione schopenhaueriana, cioè
l’unitarietà del fondamento ontologico della
natura, costituito dalla volontà. Come viene infatti ribadito anche nella Metafisica
della natura, per Schopenhauer il fondamento del mondo della rappresentazione
non solo deve essere qualcosa di «completamente e fondamentalmente diverso» da
essa, ma soprattutto devono «essergli del
tutto estranee anche le forme e le leggi di
questa». Il fondamento della rappresentazione non può dunque essere attinto se non
con modalità affatto differenti da quelle
attraverso le quali viene spiegato l’ambito
della rappresentazione. Il compito di una
metafisica della natura consiste proprio
nell’individuare questo fondamento, nonché la sua specificità nei confronti di tutti
gli altri concetti che si limitino a spiegare il
mondo dei fenomeni iuxta eius principia,
derivati cioè per astrazione da questo mondo. E’ questo il caso, evidentemente, di
tutte quelle categorie, quali il concetto di
forza, attraverso le quali le speculazioni di
ascendenza romantica intendevano spiegare i fenomeni chimici, fisici e biologici. Il
concetto di volontà, sostiene Schopenhauer,
risulta dunque l’unico a non essere astratto
dal mondo dei fenomeni; la volontà, benché non si identifichi con la cosa in sé, ne
rappresenta comunque «la più evidente rivelazione».
Sulla scia dell’imprevedibile successo de
L’arte di ottenere ragione (1991), già arrivato alla dodicesima edizione, riscontrando un successo editoriale eclatante e imprevedibile, è stato successivamente pubblicato il trattatello La filosofia delle università (trad. it. di G. Colli, Adelphi, Milano
1992), in cui Schopenhauer prende a bersaglio non soltanto Hegel, ma tutto il mondo
moderno, raccolto nell’affermazione per
cui «tutto il lavoro della filosofia universitaria ha quest’unico scopo, moltiplicare
vertiginosamente la verità affinché non si
individui mai qual è la “verità” tra le tante».
Completa ora la serie di queste edizioni
italiane di brevi trattati lo scritto Sul mestiere dello scrivere e sullo stile, che raccoglie una quantità di osservazioni e consigli
letterari, teorici e pratici, in cui
Schopenhauer interviene per censurare, da
acuto osservatore, i vizi e la decadenza
della lingua e dello stile del suo tempo,
proponendo, come antidoti, una serie di
raccomandazioni e di suggerimenti per
curare le malattie croniche di scrittori, letterati, giornalisti. Consigli, dunque, per
ben praticare tanto lo scrivere, quanto il
pensare; consigli che nulla hanno perso
della loro validità e che varrebbe la pena
seguire - se è vero, come Schopenhauer fa
53
notare, che la qualità della scrittura è un
abito irrinunciabile per chiunque, anche
per un filosofo, giacché la limpidità dello
scrivere è il riflesso della chiarezza del
pensare.
Lo scritto evidenzia i tratti che rendono
inconfondibile lo stile di Schopenhauer, il
suo saper congiungere la profondità con la
chiarezza, il rigore del ragionamento con la
vivacità dell’esposizione, la capacità polemica con la passione della conoscenza. Se
a questo si aggiunge, come osserva Franco
Volpi nell’Avvertenza, che qui
«Schopenhauer indugia in riflessioni che
mostrano in quale misura la conoscenza
filosofica non deve essere per lui soltanto
speculazione pura, cioè “protofilosofia” o
“teoresi”, ma altresì “saggezza di vita”, si
avranno le coordinate per comprendere le
ragioni di una fortuna che non ha tollerato
i ristretti recinti disciplinari della filosofia
universitaria». E.C.
Lutero,
riformatore del servo arbitrio
È stato tradotto in italiano il testo
integrale del SERVO ARBITRIO (trad. it. di
F. De Michelis Pintacuda, Claudiana,
Torino 1993) di Martin Lutero. L’opera, che costituisce la risposta del monaco di Wittemberg a quello precedente sul libero arbitrio di Erasmo da
Rotterdam, giustifica la subordinazione dell’uomo alla volontà imperscrutabile di Dio. Il testo riflette la personalità cupa e tempestosa del riformatore tedesco, di cui è uscita recentemente anche una biografia, la VITA DI
MARTIN LUTERO (Rusconi, Milano 1993),
di Claudio Pozzoli.
Scritto nel 1525, Il servo arbitrio costituisce la risposta di Martin Lutero al De
libero arbitrio di Erasmo da Rotterdam,
pubblicato l’anno precedente. Il rapporto
tra l’umanesimo di Erasmo e la riforma di
Lutero dà la struttura al testo, che affronta,
da diverse angolature, la relazione tra l’uomo e Dio. Se l’ideale del rinnovamento e
della purificazione della Chiesa e la ricerca dell’originalità della parola di Dio accomunano i due pensatori, l’ingresso effettivo di Lutero nelle questioni teologiche li separa definitivamente. Dalle pagine del Servo arbitrio cogliamo da un lato
il timore di Lutero di fronte allo stile e
all’eloquenza dell’Erasmo letterato e dall’altro il vigore con cui il monaco tedesco
affronta l’umanista nelle questioni più propriamente dottrinali. Attraverso una minuziosa, e fin quasi pedante, analisi dei
testi, Lutero riprende le parole di Erasmo
per poi confutarle.
Il testo è suddiviso in tre parti: Lutero inizia
l’esposizione confutando l’attendibilità di
quei brani che, secondo Erasmo, giustifica-
PROSPETTIVE DI RICERCA
vano il libero arbitrio, per poi mostrare la
veridicità di quelli invece che Erasmo considerava un’erronea difesa del servo arbitrio. Da ultimo, il Riformatore legittima,
grazie alle proprie argomentazioni, la sua
dottrina: il divino è nettamente superiore
all’umano che, non possedendo la capacità
di salvezza, appare svilito e sminuito rispetto alla posizione erasmiana, considerata eretica e blasfema.
Grazie a un’accurato esame filologico dei
testi sacri, Lutero riscontra una sottile continuità tra Antico e Nuovo Testamento: se
il primo rappresenta la dimensione del peccato e della carne, il secondo apre alla
salvezza e alla possibilità della Redenzione. La venuta di Cristo, che offre a Lutero
i migliori spunti per la sua ricerca, diventa
possibilità di salvezza per l’uomo, possibilità che risiede unicamente nel giudizio
imperscrutabile di Dio. Cristo offre quindi
una sorta di possibilità passiva che può
essere solo accolta, e non scelta, dall’uomo. L’individuo viene definito come «una
bestia da soma cavalcata da Dio o da Satana», al di là della propria intenzione. Lutero
appare quasi ipnotizzato dalla figura di
questo Dio assolutamente lontano, che può
scegliere tra il lasciare l’uomo in balia del
demonio e il salvarlo. La visione della vita
che sottende la riforma luterana si mostra
così in tutta la sua complessità: il tormento
e l’angoscia dell’uomo si rivelano impotenti di fronte all’assoluta trascendenza di
Dio. Le categorie che attraggono e terrorizzano Lutero sono così, da un lato, la forma
severa e imperscrutabile dell’autorità di
Dio e dall’altro quella del peccato e della
carne, dimensione diabolica in cui si trova
sprofondato l’uomo sin dalla nascita.
Sono questi i caratteri che d’altra parte
emergono anche nel La vita di Martin Lutero di Claudio Pozzoli, che affronta la
vita del Riformatore, sottolineando il contesto storico che la caratterizza. In particolare viene affrontata l’opera di Lutero come
strumento di trapasso dall’età medievale
all’età moderna, sia per quanto riguarda la
concezione religiosa, sia per quanto riguarda la questione linguistica.
La biografia è divisa in tre parti principali.
Inizialmente Pozzoli affronta l’origine psicologica e filosofica della Riforma; sin
dall’adolescenza, Lutero appare profondamente tormentato dal senso del peccato e
oppresso da una visone tragica della vita.
L’autorità del padre, la cui figura concorre
a costituire quell’immagine di un Dio lontano e severo, segna in maniera esemplare
il giovane Martin che, ossessionato da
un’angoscia quasi parossistica, si ritira in
convento. Qui, durante gli anni seguenti, il
monaco, scoperta la forza della parola,
sposta tutta la propria energia verso la
combattività rivoluzionaria che lo spinge a
formulare i principi della Riforma. Di questo si occupa la seconda parte della biografia, che analizza la fase più produttiva della
vita del monaco e cioè l’affissione delle 95
tesi sul portale della cattedrale di Wittem-
berg e la stesura della Bibbia in tedesco. La
terza parte si dedica alla rivolta dei contadini e alla rigida opposizione mostrata da
Lutero nei loro confronti. Dopo la rivoluzione fallita, Lutero torna a quella dimensione di solitudine e di oscurità che lo ha
caratterizzato da giovane. E‘ appunto questa l’atmosfera che lo avvolge durante la
stesura del Servo arbitrio che risulta, in
effetti, un testo complesso, dottrinale, quasi ferraginoso, in cui il vigore di Lutero
viene legittimato sia dalle auctoritas di S.
Paolo e S. Agostino, sia dalla profonda
convinzione di interpretare direttamente la
parola di Dio: presupposti necessari per
prendere, definitivamente, le distanze dall’umanista di Rotterdam. A.S.
Le ‘Opere’ di Epicuro
Con il titolo OPERE (Tea, Milano 1993),
Margherita Isnardi Parente ha raccolto e curato l’intera produzione di pensiero di Epicuro, affiancando all’opera
del filosofo diverse testimonianze sulla sua vita e sul suo pensiero.
Con oltre seicento pagine questa edizione
delle Opere di Epicuro contiene la lettera
a Erodoto, a Pitocle e a Meneceo; le Massime capitali, le Sentenze Vaticane e il
frammento Sulla natura. I testi originali di
Epicuro costituiscono, però, solo un quarto
dell’intero volume, la cui mole è costituita
soprattutto da testimonianze sulla vita del
filosofo, sulla sua filosofia e sui discepoli
principali, tra cui spicca il nome dell’allievo prediletto di Epicuro, Metradoro. Il
lavoro di Margherita Isnardi Parente è
consistito, soprattutto, nel sottolineare i
rapporti della filosofia epicurea con il periodo storico in cui si è sviluppata, al fine di
renderla paradigmatica del periodo stesso.
Perciò l’opera di Epicuro viene affiancata a
diverse testimonianze, biografiche e concettuali, dell’epoca, che contribuiscono a
chiarirne i punti più complessi e oscuri. La
scelta delle testimonianze e la lunga introduzione della curatrice presentano la filosofia epicurea come la risposta dell’età
ellenistica alla filosofia di Platone. Il Kepos epicureo si fonda sulla filosofia intesa
come conoscenza della natura e sull’amicizia tra i discepoli. La crisi della polis e la
dissoluzione dell’Impero alessandrino, infatti, determinano, da un lato, il declino
degli ideali metafisici e politici e, dall’altro, l’interesse per quegli aspetti finiti dell’esistenza che si concretizzano, ad esempio, nella philia.
L’Epistola ad Erodoto si occupa sostanzialmente della fisica: gli infiniti atomi,
fondamento degli infiniti mondi, aprono la
fisica epicurea a spazi sconfinati. Per di più
la teoria del clinamen fornisce alla filosofia
di Epicuro quel margine di casualità che la
allontana definitivamente dai sistemi de54
terministici dell’età platonico-aristotelica.
Viene dato spazio anche alla teoria degli
eidola e di conseguenza alla conoscenza;
l’empirismo su cui Epicuro fonda la sua
canonica diventa l’ulteriore manifestazione del materialismo assoluto che fonda il
suo sistema. L’Epistola a Pitocle si occupa
ancora di fisica, in particolare della genesi
dei fenomeni naturali.
Al di là di fisica e canonica è, comunque,
l’etica che costituisce il fulcro del pensiero
epicureo: la Lettera a Meneceo presenta la
ricetta per la felicità, raggiungibile esclusivamente con la messa in pratica dell’aponia e con l’esaltazione dell’amicizia, sentimento nobile e lontano dai turbamenti dell’animo. Anche le testimonianze interessano soprattutto quest’ambito. Cicerone,
Seneca e Plutarco, ad esempio, commentano in diversi passi la filosofia epicurea,
soffermandosi a lungo sui problemi concernenti l’atarassia e la felicità. Da segnalare, in particolare, è il lungo brano, tratto
dal De finibus di Cicerone, che illustra il
concetto di piacere come aponia. Secondo
l’autore latino la saggezza fornisce all’individuo i mezzi per comprendere che solo
il piacere immobile conduce alla felicità,
intesa come serenità d’animo, mentre quello in movimento è causa di rimpianti, turbamenti e dolore. Chiudono il volume diverse note e commenti che verificano, in
maniera puntuale, le diverse lezioni e traduzioni dei testi di Epicuro. A.S.
Plutarco politico
A partire da 1988 (presso l’editore M.
D’Auria di Napoli) è in corso la pubblicazione di tutti gli scritti “morali” di
Plutarco, il CORPUS PLUTARCHI MORALIUM,
diretto da Italo Gallo e Renato Laurenti. Sono usciti finora quasi una
ventina di volumi, già rappresentativi
della varietà degli interessi contenuti
nell’opera: dalla filosofia all’etica, ai
racconti delle amatoriae narrationes,
alla politica. Tra gli ultimi volumi pubblicati figurano i PRECETTI POLITICI (M.
D’Auria, Napoli 1993) a cura di Antonio Caiazza. Di Plutarco è stato pubblicato recentemente anche LE CONTRADDIZIONI DEGLI STOICI (trad. it. di M.
Zanatta, Rizzoli, Milano1993), opera
che fornisce un’esposizione dettagliata della filosofia e del pensiero stoico
attraverso le sue contraddizioni più o
meno profonde.
L’edizione dei Precetti politici (Praecepta
gerendae reipublicae) si fa apprezzare per
lo studio di tutte le fasi della tradizione
manoscritta, per la versione scorrevole e
per l’ampio commento, in cui sono discussi
i molteplici aspetti testuali, linguistici e
stilistici di quest’opera nel contesto del
Corpus plutarcheo. I Praecepta dovevano
PROSPETTIVE DI RICERCA
costituire una sorta di appendice pratica ad
una breve trattazione teorica, almeno parzialmente coincidente con il frammento
“de unius in republica dominatione, populari statu et paucorum imperio”. La stessa
finalità pratica dei Precetti spiega e giustifica una certa loro apparente disorganicità
e la discussione minuta dei problemi che
doveva affrontare chi intraprendesse la carriera politica in una provincia come l’Ellade dell’inizio del II secolo d.C.
Per i Praecepta, come per tutti gli altri
opuscoli dei Moralia, la critica s’è impegnata in passato, da K. Mittelhaus a
K. Ziegler, nella ricerca di una fonte unica
o almeno principale, dalla quale Plutarco
avrebbe desunto più o meno pedissequamente materiali e idee. S’è parlato in particolare di Teofrasto e di Aristone (di Ceo,
secondo alcuni, di Chio, secondo altri). Più
recenti commentatori, come J. C. Carrière e lo stesso A. Caiazza, hanno giustamente insistito sull’appartenenza dei concetti esposti da Plutarco ad un patrimonio
comune a diverse correnti di pensiero e
sulla personale rielaborazione fattane dallo
stesso Plutarco.
I valori fondamentali sottesi allo scritto
restano quelli della filosofia politica della
stagione di Aristotele e Platone. La scelta
di intraprendere la vita pubblicas deve realizzarsi in una proairesis, scaturita da un
giudizio razionale; e colui il quale compia
tale scelta non deve prefiggersi altro scopo
che il bene in sé. Strumento essenziale
dell’uomo politico nella sua opera di educazione del popolo è, inevitabilmente, la
retorica. Ma in questo caso Plutarco sembra elaborare con maggiore libertà il patrimonio ereditato dagli antichi. La capacità
di persuadere non è più esaltata come presso i sofisti, demonizzata come in Platone o
semplicemente fatta oggetto di studio approfondito come in Aristotele. Plutarco, il
quale tra i primi consigli al futuro uomo
politico dà quello di esibire un comportamento irreprensibile, non può certo sminuire il valore dei costumi morali, ma fa della
retorica la collaboratrice del trópos nel
persuadere.
Altre volte il rapporto con la filosofia
politica dell’età di Platone e Aristotele è
più sfumato. Così sembra essere per il
motivo dell’uomo politico che è “capo per
natura”. Platone parla di filosofi generati
ed allevati in modo tale da essere straordinariamente capaci di guidare la polis; il
loro è un potere grande, prestigioso e soprattutto illimitato nel tempo. Più articolata la posizione di Aristotele, il quale definisce “capo per natura” «l’essere in grado
di prevedere con l’intelligenza», accogliendo implicitamente sotto questa definizione figure dotate di un potere sia illimitato,
sia limitato nel tempo, come l’uomo di
Stato (polotikos) e l’amministratore. In
Plutarco, il motivo del “capo per natura” si
riferisce più all’ascendente morale esercitato sui concittadini, che al potere effettivamente detenuto dall’uomo politico, data
la modesta importanza che ormai rivestono le magistrature della polis.
Una questione diversa implica certa ingenua disinvoltura, esibita da Plutarco nel
suggerire che gli uomini politici, quando
pure siano d’accordo su una misura importante e “salutare” (quindi, impopolare),
simulino da principio divergenze d’opinione per fingere poi di riconciliarsi e
persuadere così il popolo della bontà e
della convenienza dell’iniziativa già decisa. Non sembra tuttavia opportuno parlare
a questo proposito di macchiavellismo;
non solo, infatti, nei Praecepta, e in genere
in Plutarco, la tensione morale è largamente prevalente sulla ragione di Stato e sulle
esigenze della politica; ma mentre Macchiavelli intende indicare i mezzi per costruire e consolidare uno Stato, oltre che
per difenderlo, Plutarco è interessato solo
al mantenimento dell’equilibrio in atto tra
le forze sociali e politiche e sempre nell’assoluto, cauto rispetto dell’unica autorità statuale esistente: quella di Roma e dei
funzionari che la rappresentano. Inoltre,
se il protagonista del progetto di Macchiavelli è un individuo, deciso ad affermare il
potere personale, l’opuscolo plutarcheo,
benché dedicato a Menemaco di Sardi, un
giovane il quale aspira ad impegnarsi nella
vita pubblica, finisce per delineare il dramma di un ceto, già classe politica nel senso
più alto e ormai confinato nell’espletamento di compiti di modesto respiro.
Parecchi indizi si colgono nei Praecepta
della crisi di questo ceto, che Plutarco
conosce bene. Proprio all’inizio si legge
che Menemaco non ha tempo di seguire da
vicino la vita di un filosofo il quale si
dedichi alla politica. L’espressione riesce
alquanto oscura se presa in senso generale,
ma diviene chiara se, seguendo l’acuto
suggerimento di Ziegler, la si intende,
riferita allo stesso Plutarco ed alla sua
attività di amministratore della piccola
comunità di cui fa parte, come orgogliosa
rivendicazione della dignità di chi, anche
occupando magistrature di scarso rilievo,
sappia operare costantemente e disinteressatamente a favore della polis. L’uomo
politico, respingendo l’ataraxìa epicurea,
deve insomma impegnarsi a fondo ed esclusivamente nella ricerca della homonoia
all’interno della città e, per il resto, rinunciare ad inseguire gli altri ideali di un’epoca eroica come il quinto ed il quarto secolo, stagione irripetibile in cui, con l’assoggettamento a Roma, eleutheria e polemos
sono scomparsi insieme dall’orizzonte
politico ellenico.
In Plutarco, questa presa di posizione assume, tuttavia, un particolare valore, sia perché ne scaturisce la condanna di tutto un
repertorio di aneddoti cari agli oratori del
tempo, sia soprattutto perché il rifiuto dell’esaltazione dei fasti militari del passato e
la preoccupazione di plasmare il carattere
dei contemporanei attraverso esempi tratti
piuttosto dalla vita civile e morale degli
antichi possono gettare luce sulla stessa
55
struttura delle Vite e sulle finalità perseguite da Plutarco con la loro composizione,
confermando, in una nuova prospettiva,
l’esistenza di stretti rapporti tra gli Ethika e
i Bioi paralleloi.
Di Plutarco è ora anche disponibile, in una
recente edizione, l’opera principale, Le
contraddizioni degli stoici, in cui Plutarco
presenta, in maniera vivace e brillante,
diversi passi dell’opera stoica con l’intento di evidenziarne le reciproche contraddizioni. Questa sua analisi non riesce tuttavia a toccare le argomentazioni reali della
filosofia stoica e le contraddizioni riscontrate sono deboli e superficiali. Il risultato
è un’esposizione delle linee essenziali della filosofia stoica, dove la componente critica appare debole e quasi inconsistente.
Plutarco, che si serve per le sue analisi sia
delle fonti originali di Zenone e Crisippo,
sia dei lavori del commentatore Carneade, seguendo la classica tripartizione della
filosofia stoica, distingue le argomentazioni in logica, a cui dedica poco spazio,
fisica ed etica. Le contraddizioni riscontrate da Plutarco riguardano contrasti interni alle argomentazioni o contrasti tra le
tesi proposte e la vita reale dei filosofi. Di
questo tipo è la contraddizione riguardante la vita politica. Secondo Plutarco la
posizione stoica a riguardo, e cioè la partecipazione attiva, più volte dichiarata come
necessaria, risulta in antitesi sia con l’astensione di Crisippo dall’azione politica, sia
con l’impegno, assunto più volte da giovani stoici, d’intervenire nella politica della
polis: l’impegno fattuale e limitato ad una
singola città, secondo Plutarco, contraddiceva infatti l’ideale cosmopolita, di diritto
considerato l’ideale politico della Stoà.
E’, tuttavia, il piano etico in senso stretto
che offre a Plutarco più spunti per i suoi
studi. La visione plutarchiana, fondata su
un rigido dualismo platonico, non riesce ad
accettare il panteismo stoico, che non risolve i diversi scolii in cui si imbatte. La
dottrina del lógos, inteso come Provvidenza e come fondamento immanente al mondo, infatti, risulta in contrasto con diverse
posizioni stoiche. Se gli eventi dipendono
interamente dal lógos, inteso come assoluta giustizia, anche le guerre e i fatti dolorosi
diventano un’espressione ingiusta della
giustizia. E ancora, se anche gli atti malvagi trovano la loro ragion d’essere nel lógos,
che senso ha la loro punizione? Ovvero,
che potere ha l’uomo di combattere il Fato?
E sempre parlando dei comportamenti attuabili dall’uomo, è nota la distinzione tra
la virtù, intesa come azione razionale svolta in rispetto del lógos, e le azioni indifferenti. Ora, Zenone indica spesso la salute
come un bene indifferente. Se però si intende la salute come autoconservazione, ecco
che questa diventa razionale, cioè conforme a natura, e diventa un ulteriore impasse
di cui gli Stoici, secondo Plutarco, non si
avvedono. A.S./C.S.
NOTIZIARIO
Superati i problemi di gestione e le
questioni burocratiche degli ultimi
anni, il SIGMUND FREUD
INSTITUT di Francoforte, sotto la
guida di Horst Eberhard Richter, direttore dall’aprile del 1992, riprende
in grande stile la propria tradizione di
istituto di ricerca. Come avveniva nel
passato, l’attività di ricerca scientifica
investe ora nuovamente l’ambito sociale e la psicoanalisi torna a presentarsi nella sua veste di strumento euristico ed ermeneutico concretamente
applicato al contesto sociale.
Questo cimentarsi con le tensioni e i
conflitti di più scottante attualità trova
ora riscontro, ad esempio, nell’analisi
di fenomeni sociali quali radicalismo
di destra, xenofobia, violenza sociale e
antisemitismo, nel tentativo di individuare in che misura l’esplodere della
violenza xenofoba sia da considerarsi
un ritorno del rimosso e in che misura
sia invece il frutto di nuove dinamiche
psicologiche. Concerne direttamente
tale argomento il progetto di ricerca di
Wolfgang Leuschner, che mettendo a
confronto musiche e testi delle attuali
canzoni nazi-rock con i Lieder dell’era hitleriana, ha messo in evidenza
come le manifestazioni neo-naziste
mirino ad allestire un fronte antirazzista compatto e armato, piuttosto che a
promuovere un messaggio rivolto a
grandi masse. Di fronte a fantasie violentemente razziste e antisemite si è
trovata anche Hanna Gekle nel corso
di terapie psicoanalitiche da lei condotte presso l’Istituto. Fantasie tanto
più pericolose, ha fatto rilevare Gekle,
in quanto proprie di individualità psichiche estremamente diverse e soddisfacenti a bisogni di natura differente,
e quindi pronte a esplodere come
un’epidemia in determinati momenti
storico-politici, proprio per la loro capacità di offrire a molti un apparente
fondamento comune.
Sono invece al centro dello studio
intrapreso da Kurt Grünberg le relazioni di coppia intercorrenti fra i discendenti degli ebrei sopravvissuti
agli stermini nazisti e i figli dei responsabili di tali crimini. L’analisi
clinica ha messo in luce il complesso
intreccio di vissuti e di rapporti conflittuali che mina alla base tali relazioni e che è da imputare all’incidenza che gli avvenimenti del passato
ancora esercitano, sui discendenti,
conducendo nella maggior parte dei
casi al fallimento dei rapporti sentimentali. Lo studio di Christian Schneider, ha invece preso in considerazione le relazioni affettive e comportamentali intercorrenti fra gli ex allievi dell’istituto nazista per l’educazione, la scuola Napola, e i loro figli.
L’analisi ha in particolare messo in
rilievo l’incapacità dei padri ad accettare l’alterità dei figli: l’esigenza della prole di costruire una vita propria
sviluppa negli ex allievi «un aggressivo rifiuto di identificazione». N.C.
Arrestato nell’aprile del 1943, durante
gli anni di prigionia, dapprima a Tegel, poi a Buchenwald e quindi a Flossenbürg, dove ebbe luogo la sua esecuzione, DIETRICH BONHOEFFER non
NOTIZIARIO
smise mai di esercitare la propria attività intellettuale. A testimonianza di
una riflessione ininterrotta sui temi
della fede e della religione, l’insieme
di questi scritti sono stati raccolti e
pubblicati postumi, una prima volta,
nel volume Widerstand und Ergebung.
Briefe und Aufzeichnungen aus der
Haft (Resistenza e resa. Lettere ed
annotazioni dal carcere, a cura di E.
Bethge, Kaiser, München 1951).
Del periodo della prigionia è anche un
carteggio tra Bonhoeffer e Maria von
Wedemeyer, alla quale il teologo protestante, al tempo trentasettenne, era
legato da un rapporto d’amore e d’amicizia. Le lettere furono custodite inedite da von Wedemeyer fino alla sua
morte. In una sola occasione venne
concessa la possibilità di intuire la
delicatezza dei toni che animava queste lettere dalla pubblicazione di alcuni stralci delle stesse, contenuti in un
breve saggio che compare nella traduzione italiana del volume degli scritti
della prigionia sopra citato (D. Bonhoeffer, Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere, trad. it. a cura di A.
Gallas, Ed. Paoline, Milano 1988).
Solamente poco prima della morte,
avvenuta nel 1977, von Wedemeyer
consegnò la corrispondenza alla sorella Ruth Alice von Bismarck; il carteggio è ora pubblicato, corredato da un
commento sintetico ma esaustivo, con
li titolo: Brautbriefe Zelle 92. Dietrich
Bonhoeffer-Maria von Wedemeyer
1943-1945. (a cura di R. A. v. Bismarck e U. Kabitz, con una postfazione di
E. Bethge, C.-H.-Beck, München 1992).
Spirito poco incline alla speculazione
teologica, von Wedemeyer si ribellava di fronte alla razionalizzazione della fede, che la rende intellettualismo
astratto e non più movimento del cuore. Un tale principio non poteva non
essere condiviso da Bonhoeffer, che
sentiva l’esigenza di concepire un linguaggio nuovo per parlare dell’esperienza della fede al di là delle cristallizzazioni operate dalla tradizione religiosa, colpevole di aver smarrito il
senso del messaggio cristiano. Così,
nei brevi incontri di Bonhoeffer con
von Wedemeyr, la discussione astrattamente intellettuale veniva di proposito bandita, per lasciare spazio al godimento reciproco che la vita dell’uno
rappresentava per l’altro, finché la sua
militanza religiosa e la sua opposizione politica non valsero a Bonhoeffer
l’impiccagione, avvenuta nel ’45. N.C.
Alla vigilia del centocinquantenario
dalla nascita di NIETZSCHE, avvenuta nel 1844 a Röcken in Sassonia,
la città di Weimar, in cui Nietzsche
morì nel 1900 assistito dalla sorella
Elisabeth Förster, dedica al filosofo,
grazie all’interesse della Fondazione Weimarer Klassik, una serie di
convegni che si succederanno in otto
cicli fino al 1995 e che porranno in
luce di volta in volta aspetti diversi
della vita e dell’opera del filosofo.
L’iniziativa testimonia un interesse
e una volontà di ricerca intorno al
pensiero di Nietzsche, che fino a
pochi anni fa sarebbero stati impensabili, allorché le sue opere ancora
cadevano, nell’ex DDR, sotto il rigido controllo della censura, come documenta la mostra “Der rote Punkt”,
tenutasi recentemente nella stessa
Weimar - il titolo dell’esposizione
allude al simbolo, un punto rosso,
con cui venivano bollate le opere
degli scrittori ritenuti ideologicamente sospetti o pericolosi.
La prima serie di conferenze, tenutesi
intorno alla metà di ottobre 1993, aveva come oggetto di studio l’infanzia e
la giovinezza di Nietzsche nell’arco di
tempo che lo vide trasferirsi dalla nativa Röcken a Basilea, ivi chiamato ad
occupare una cattedra di lingua e letteratura greca, grazie all’interessamento
del filologo Friedrich Ritschl, suo
maestro a Lipsia. Hanno tenuto le loro
relazioni sul tema Klaus Goch, Pia
Daniela Volz, Renate Müller-Buck,
Johann Figl, Martin Pernet, Fritz Bornmann, Steffen Dietzsch.
Il programma culturale annunciato
dalla Fondazione Weimarer Klassik
per il 1994 prevede, per la fine di
luglio, un simposio sul pensiero di
Nietzsche relativamente al tema: “Popoli e patrie - L’Europa fra decadenza
e rinascita”; ancora da definire invece
la data per il convegno sulla ricezione
di Nietzsche nella DDR.
Alla Fondazione Weimarer Klassik
si deve anche l’allestimento nel 1990
del piccolo museo nelle sale inferiori
della casa in cui il filosofo morì nel
1900. Il compito di coordinare l’iniziativa è stato affidato a Roswitha
Wollkopf, già collaboratrice dell’Archivio Goethe-Schiller. Nel piccolo
museo viene documentata la storia
dell’archivio in base alla gestione del
patrimonio letterario ad opera della
sorella del filosofo, Elisabeth Förster,
che passò da una iniziale collaborazio-
56
ne con l’allora direttore del Weimarer
Museum, Harry Graf Kessler, in vista
di una Weimar centro di cultura, all’adesione sempre più fanatica di Elisabeth al nazismo, che la portò a consegnare gli scritti del fratello al momento politico imperante. N.C.
Una nuova rivista, RAGION PRATICA,
pubblicata dall’editore Anabasi di
Milano, si propone di affrontare in
maniera chiara e non specialistica
problemi attuali di natura politica,
etica e giuridica. Una “ragion pratica”, quindi, che più che un omaggio
a Kant vuole essere un richiamo al
significato ampio e diversificato di
questo termine, un significato che
opportunamente figura al centro del
primo numero di questa rivista, dedicato appunto alla definizione concettuale e metodologica di “ragion
pratica”. Si tratta innanzitutto di un
richiamo alle “ragioni”, nel senso
delle argomentazioni, delle giustificazioni, che stanno alla base delle
nostre riflessioni e dei nostri comportamenti quotidiani: «le ragioni
non come semplici strumenti al servizio di chi li usa, ma come veri e
propri vincoli al ragionamento e, indirettamente, all’azione».
Le caratteristiche più originali della
rivista sono, da un lato, l’accostamento multidisciplinare delle materie, assegnate in base a criteri di
rigida competenza e in virtù del pluralismo delle tradizioni filosofiche a
cui gli autori appartengono, dall’altro l’originale impostazione contenutistica e stilista. Gli ambiti disciplinari di riferimento vanno dalla
filosofia del diritto, della morale,
della politica, alle scienze economiche e al diritto positivo; gli approcci
tematici mostrano la presenza di varie tradizioni filosofiche, anche se un
ruolo predominante sembra avere la
tradizione ermeneutica e, soprattutto,
quella analitica. “Ragion pratica”
vuole dunque essere luogo d’incontro, e nel caso di scontro, fra posizioni
che, «proprio perché diverse, sono
interessate a confrontarsi». Compongono, fra gli altri, il comitato scientifico il costituzionalista Zagrebelsky,
il giurista Michele Taruffo, il filosofo
Eugenio Lecaldano.
Lo stile intellettuale della rivista si
mostra rigoroso, dal punto di vista
argomentativo, ma vivace ed attento
per quanto riguarda l’attualità, improntato al gusto della distinzione e della
chiarezza. “Ragion pratica” non vuole
essere, d’altra parte, né una rivista a
carattere accademico o speculativo,
né a carattere scrupolosamente filologico; essa si rivolge ad un pubblico
colto, che al di là delle semplici opinioni aspira ad una informazione-formazione più critica, attraverso, appunto, la ragione argomentativa e le giustificazioni razionali. Saranno i fascicoli in uscita nei prossimi mesi ad
inquadrare più chiaramente il senso di
questo nuovo progetto attraverso l’analisi di questioni d’attualità, quali “Razzismo e xenofobia”, “Garantismo,
mafia e corruzione”, “Liberalismo
versus comunitarismo”. S.C.
NOTIZIARIO
Due nuove riviste, apparse recentemente in Inghilterra, EUROPEAN
JOURNAL OF PHILOSOPHY (quadrimestrale, B. Blackwell, Oxford) e
PHILOSOPHY NOW (trimestrale,
Philosophy Now), tentano di fornire
una risposta a quelle che vengono
sentite come gravi carenze nel panorama filosofico anglosassone: la mancanza di comunicazione tra filosofia
analitica e tradizione filosofica europea, e la necessità di rendere la filosofia maggiormente fruibile per un pubblico di non specialisti.
Il problema del dialogo tra filosofia
analitica e tradizione continentale, al
centro della rivista “European Journal of Philosophy”, è stato affrontato
mettendo in particolare rilievo i contesti sociale e storico del dibattito
filosofico, spesso assente nella prospettiva analitica. Emblematico in tal
senso un intervento nella rivista di
Ulrich Preuss, filosofo politico tedesco, che affrontando il problema dell’integrazione europea sottolinea la
necessità di un’integrazione che non
sia solo economica, ma soprattutto
morale, schierandosi così dalla parte
di una tradizione europea che intende
individuare soluzioni per i problemi
contemporanei attingendo a numerosi concetti filosofici e politici, mutuati dalla storia della filosofia. A questa
posizione fa riscontro la proposta di
Philip Pettit, che vede invece nei soli
Machiavelli, Rousseau e Montesquieu
quei pensatori europei degni di menzione in un tale contesto problematico. A Ursula Wolf, filosofo tedesco
che opera all’interno della tradizione
analitica, è toccato allora di cercare,
in un suo articolo sulla rivista, un
possibile collegamento tra le due tradizioni attraverso il richiamo a norme
etiche universali, al di là dello scetticismo contemporaneo.
La polemica tra filosofia analitica e
filosofia continentale si fonda su accuse reciproche, spesso ricorrenti. I
filosofi analitici, per esempio, lamentano il fatto che la filosofia europea è
spesso oscura e poco rigorosa da un
punto di vista metodologico nello stabilire le proprie conclusioni, in quanto poco propensa ad analizzare rigorosamente, appunto, i propri argomenti; emblematico, da questo punto
di vista, il dibattito apertosi attorno al
post-strutturalismo. Per i filosofi europei, invece, la filosofia analitica pecca
di un certo astrattismo, ignora cioè le
difficoltà ermeneutiche presenti in una
comprensione adeguata del significato di un soggetto filosofico, isolandolo
dal suo reale contesto storico e sociale.
Una mediazione tra questi due approcci appare difficile, come dimostrano
Eva Picardi e Kendall Walton nei loro
interventi nella rivista.
Interessante, in questo contesto di
dibattito, la proposta di Bernard Williams in un suo intervento sulla rivista, dedicato alla psicologia morale di
Nietzsche, in cui l’autore suggerisce
l’idea che la divisione tra filosofia
analitica e filosofia continentale sottintenda una cesura di tipo metodologico senz’altro bizzarra, come se si
volessero classificare le automobili
in auto “a trazione anteriore” ed auto
“giapponesi”. Tuttavia Williams condiziona la sua proposta, non considerando importante ciò che Heidegger,
uno dei più importanti commentatori
di Nietzsche per la tradizione europea, ha scritto su questo filosofo, facendo proprio il pregiudizio “analitico” secondo cui Heidegger, ma anche
Adorno, Derrida, non sarebbero filosofi, o meglio, sarebbero filosofi
“giapponesi”, opposti a Williams, filosofo “a trazione anteriore”.
Totalmente differente è invece il percorso affrontato dalla rivista “Philosophy now”, che intende occuparsi di
temi d’attualità come eutanasia, vivisezione etc.., in uno stile facilmente
comprensibile anche ad un pubblico
di non specialisti. Il tentativo che sta
dietro a una tale impostazione è essenzialmente quello di aprire la filosofia ad aree di riflessione nuove,
particolarmente dense di motivi di
grande interesse pubblico. S.C.
come caratteri distintivi di queste teorie. Gerald Sfez ha infatti messo in
evidenza l’affinità fra il pensiero di
Machiavelli e la concezione classica
del kairos.
Il prossimo convegno di questa serie
si terrà a Parigi, nel giugno 1994, sul
tema: “Che cosa e come cambia la
filosofia quando passa alle lingue
vernacolari?”. F.M.Z.
Ad opera della casa editrice BollatiBoringhieri di Torino è ora disponibile la raccolta completa della rivista
IL CAFFÈ, in cui sono riuniti tutti gli
articoli pubblicati sul “foglio” (176466) fondato da Pietro Verri, insieme
al fratello Alessandro, come organo
della Società dei Pugni. Accompagnano la raccolta due saggi introduttivi di Sergio Romagnoli e Gianni
Francioni; il primo ripropone una riflessione storica sulle vicende de “Il
Caffè”, il secondo ricostruisce la storia editoriale della rivista. Nei loro
saggi, Romagnoli e Francioni ripercorrono le tappe evolutive che segnarono la pubblicazione della rivista in
un’epoca che fece molto discutere
intellettuali e studiosi d’ogni genere
per le pesanti censure, che venivano
sistematicamente esercitate su ogni
nuova idea che venisse comunicata
per iscritto. Attraverso testimonianze
e immagini eloquenti dell’epoca, ai
lettori è data l’occasione di rientrare
nel clima dell’illuminismo lombardo, con le sue problematiche, i suoi
pregi, i suoi difetti.
Il difficile clima politico e culturale
in cui si trovarono ad operare i fratelli
Verri, per cui “Il Caffè” può essere
considerato un esempio di informazione e di forte provocazione al tempo stesso, è ben reso dalla risposta di
Pietro Verri alla domanda: «Che cos’è questo Caffè?». «È un foglio di
stampa - rispose Verri - che si pubblica ogni dieci giorni. Contiene cose
varie, cose disparatissime, cose inedite. Cose tutte dirette alla pubblica
utilità, con il fine di spargere delle
utili cognizioni fra i vostri cittadini...». Vari erano di fatto i temi proposti sulla rivista: letteratura, commercio, agricoltura, pregiudizi, lotta contro l’indifferenza, contro la modernizzazione del paese, contro il permanere dei vecchi costumi: «quanto
poteva servire per accrescere i lumi e
la cultura». La breve vita della rivista
non tolse nulla alla ricchezza dei contenuti e al potere di una voce nuova
che ridestò interessi spenti, ne accese
di nuovi, e ne acuì il dibattito. D.M.
Il Collège International de Philosophie di Parigi e il Zentrum fur Kulturwissenschaften und Kulturtheorie
di Stoccarda hanno da un paio d’anni
un programma comune: studiare
LE ORIGINI DELLA MODERNITA’
NEL SECOLO XVI, in un periodo,
cioè, in bilico fra la fine della scolastica e l’incipiente razionalismo; un periodo ricco di contraddizioni e di sviluppi in nuce, decisivi per la nascita delle
culture nazionali: cujus regio, ejus philosophia. All’origine di questo progetto vi è il lavoro di ricerca sulla
sofistica, iniziato negli anni ’80 a Parigi da Barbara Cassin e Michel Narcy.
A seguito di questa iniziativa si sono
avuti alcuni incontri di grande interesse: un primo colloquio a Stoccarda, nel 1992, sulla “Retorica come
modello teorico” e un secondo convegno, sempre a Stoccarda, nel 1993,
su: “Discorso, figura e temporalità”.
E ancora sono previsti ulteriori incontri collegiali su Machiavelli, sul
tema della phantasia e della mimesis,
sul passaggio dal latino alla lingua
vernacolare e sulla nascita delle nuove scienze. Due aspetti hanno contraddistinto questi incontri: un respiro europeo, un “concerto” di voci e di
prospettive differenti, e un approccio
filosofico a un’epoca considerata poco
“filosofica”. Gisela Febel e Gerhard
Schroder hanno parlato del secolo
XVI come di “una terza sofistica”;
Michel Narcy si i è interrogato sullo
scetticismo e sulla sofistica nell’Âge
Classique, rilevando come molti legami sembrano collegare la sofistica
antica ai tempi moderni. Persino l’antica querelle fra Aristotele, Platone e
la Sofistica sembra ritornare, sebbene in modo diverso; viene ripresa, in
ogni caso, la concezione di una lingua
performativa, fondatrice di realtà, che
si era formata con la sofistica antica.
Anche l’idea di tempo sembra incidere notevolmente sulle teorie letterarie
e scientifiche di questo secolo; mentre dal punto di vista delle teorie politiche e le pratiche artistiche, l’idea
di prudentia sembra tesa decisamente all’eliminazione di ogni telos, a
un’immanenza e a una contingenza
L’Istituto Banfi indice per l’anno 1993
un concorso per il conferimento del
PREMIO ENNIO SCOLARI di
L. 5.000.000, istituito in memoria di
Ennio Scolari, per onorarne l’impegno civile e scientifico di studioso e
organizzatore di cultura. Il Premio è
destinato a ricerche inedite in lingua
italiana nell’ambito della “Storia delle istituzioni e dell’organizzazione
della cultura”. La domanda di partecipazione, in carta legale, indirizzata
al Presidente dell’Istituto Banfi, do-
57
vrà recare l’indicazione del nome,
cognome, data, luogo di nascita e
domicilio del candidato, e dovrà pervenire entro il 30 settembre 1994 alla
sede dell’Istituto Banfi (via Pasteur
11, 42100 Reggio Emilia). Il candidato dovrà allegare alla domanda il
proprio elaborato dattiloscritto in 5
copie, che non verranno restituite. Il
candidato dovrà altresì allegare una
dichiarazione con cui assicura di non
aver ricevuto altri Premi per la ricerca
che presenta al concorso. La consegna del Premio verrà effettuata nel
corso di una pubblica iniziativa che si
terrà a Reggio Emilia.
Per l’anno accademico 1993-1994, l’
ACCADEMIA DI STUDI ITALOTEDESCHI di Merano ha indetto un
concorso a 12 premi di studio a favore
di laureati o diplomati di Istituti di
grado universitario del biennio accademico 1992/93-1993/94 e di studenti universitari laureandi (dell’ultimo
anno del corso universitario) del mondo culturale di lingua italiana e del
mondo culturale di lingua tedesca,
che si siano distinti con profitto negli
studi. In conformità al carattere internazionale dell’Accademia, il concorso è aperto a tutti i cittadini italiani, a
quelli della Repubblica Austriaca,
della Repubblica Federale di Germania e della Confederezione Elvetica.
L’ammontare di ogni Premio è fissato in L. 3.000.000. I lavori di tesi e le
eventuali pubblicazioni devono riguardare le relazioni culturali tra il
mondo di lingua italiana e il mondo di
lingua tedesca considerate come contributo alla unità culturale europea;
devono cioè essere rivolti all’analisi e
all’approfondimento dei reciproci
rapporti tra la cultura di lingua italiana e quella di lingua tedesca. Le attività di ricerca vanno documentate
con una lettera di un professore universitario che ne garantisca esplicitamente il valore scientifico.
Per essere ammessi al concorso i concorrenti dovranno inviare domanda
in carta semplice entro il 30 novembre 1994, a mezzo raccomandata, indirizzata al Consiglio di Presidenza
dell’Accademia di Studi Italo-Tedeschi di Merano (via Cassa di Risparmio 20, 39012 Merano). La domanda
va corredata da copia del certificato
di Laurea o Diploma, oppure dal certificato di tutti gli esami e dei colloqui
universitari sostenuti, se i concorrenti sono studenti laureandi.
Jacques Derrida, Maurizio Ferraris,
Hans-Georg Gadamer, Aldo Giorgio
Gargani, Eugenio Trias, Gianni Vattimo e Vincenzo Vitiello si sono recentemente ritrovati a Capri in un
incontro a porte chiuse, invitati dalle
case editrici Laterza e Editions du
Seuil e dall’Istituto di Studi Filosofici
Europei, per discutere del progetto di
un ANNUARIO FILOSOFICO
EUROPEO. Altri filosofi italiani e
stranieri di diverso orientamento hanno già annunciato la loro collaborazione. Ogni anno l’annuario affronterà un tema cruciale sul quale dibatte-
NOTIZIARIO
NOTIZIARIO
CONVEGNI E SEMINARI
ranno filosofi e intellettuali di diversa
estrazione, accomunati dall’interesse
nel confrontare la filosofia con le
questioni cruciali del mondo contemporaneo. Il primo volume, che uscirà
in italiano, francese e altre lingue,
sarà dedicato alla religione.
L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici bandisce un concorso per il
PREMIO MARZIA ROCCA , di L.
3.000.000, per una tesi di laurea in
discipline estetiche (Estetica, Poetica, Teoria della critica), discussa nell’anno accademico 1994-95 in uno
degli Atenei italiani. Possono partecipare al concorso tutti coloro che
siano laureati presso facoltà di Lettere e Filosofia, di Magistero, di Lingue, o di Architettura e che abbiano
discusso la tesi entro il 30 marzo
1995. I concorrenti dovranno far pervenire entro il 30 aprile 1995 all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici,
Premio Marzia Rocca (via Monte di
Dio 15, 80132 Napoli), una copia
della loro tesi corredata da: 1) una
domanda in carta semplice; 2) un
certificato di laurea con i voti riportati nei singoli esami; 3) un curriculum
studiorum; 4) lettere e/o attestati di
professori sotto la cui guida si sia
svolta la dissertazione di laurea.
Presso Raffaello Cortina Editore di
Milano è stata inaugurata una nuova
collana, dal titolo SCIENZA E IDEE,
diretta da Giulio Giorello. La collana
si rivolge a tutti coloro che ritengono
che nella cultura conti di più il conflitto tra modi alternativi di vedere il
mondo che il paesaggio gelato dal
conformismo. E’ dunque aperta a tutti quei contributi che non esitano a
sfidare la costellazione dei dogmi
consolidati.
Da un lato la collana guarda alla storia delle idee e delle mentalità; dall’altro, mira a rendere trasparenti i
problemi che attraversano le singole
discipline. Essa si rivolge dunque al
vasto pubblico che non si riconosce
nelle rigide contrapposizioni tra cultura letteraria, storica e scientifica.
Con “scienza” ci si riferisce così a un
ventaglio di ricerca che va dalla matematica alle scienze del vivente, dalla fisica alla psicologia e alle cosiddette scienze umane, senza trascurare
la dimensione tecnologica dell’impresa scientifica. Con “idee” ci si
riferisce invece a tutti quei tentativi
che mirano a individuare un senso
della ricerca scientifica, del progresso tecnologico e della stessa convivenza civile. Saranno a breve in libreria: Terra patria, di Edgar Morin;
Linguaggio e filosofia, di Ian Hacking;
Spettri di Marx, di Jacques Derrida;
La dimensione sociale della conoscenza, di David Bloor. Tra i volumi
in preparazione: Dove si nasconde la
salute, di Hans-Georg Gadamer; Paura della fisica, di Lawrence M.
Kraus; Sulla psicanalisi, di Louis
Althusser; La sfida della conoscenza,
di Tom Wilkie.
Baruch Spinoza nel 1673
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CONVEGNI E SEMINARI
CONVEGNI E SEMINARI
Spinoza per tutti
Si è svolto a Parigi dal 13 al 15 maggio
1993 un convegno dedicato al pensiero di Spinoza, dal titolo: “PUISSANCE ET
ONTOLOGIE”. Al convegno, organizzato
dal Collège International de Philosophie, hanno preso parte filosofi di
diversi paesi oltre ai maggiori studiosi
francesi del pensiero spinoziano. A
riprova del contemporaneo interesse
per Spinoza è uscito negli stessi giorni
in Italia un testo di Paolo Cristofolini,
SPINOZA PER TUTTI (Feltrinelli, Milano
1993), in cui si dichiara apertamente
l’attualità e l’esigenza di una riscoperta del pensiero del marrano olandese,
eretico e felicemente dissacratore.
Periodicamente Baruch Spinoza sembra
tornare d’attualità in filosofia e nelle politiche d’emancipazione, come espressione
di un pensiero non archiviabile quale uno
dei grandi momenti del pensiero razionale
seicentesco, storicamente risolto nella sua
epoca, bensì capace di rispondere alle più
profonde esigenze del nostro tempo. Una
sorta di pensiero alternativo alla linea dominante del pensiero moderno, dall’Illuminismo in poi, che si tratterebbe ora di
riscoprire, di ripensare.
Il convegno di Parigi, organizzato da Hadi
Rizk e Myriam Revault, non ha smentito
questa visione del problema. Così Pierre
Macherey e Alexandre Matheron, due
dei maggiori studiosi francesi di Spinoza,
si sono occupati di smontare i più tradizionali “pregiudizi” sul suo pensiero. Macherey ha attaccato la visione di Spinoza come
filosofo dell’Uno unico, monista e panteista, mostrando come non sia possibile pensare l’unità in sé o la pluralità in sé, ma solo
il reciproco presupporsi dell’una e dell’altra. Che Dio sia unico, significa solo che è
distinto dalle cose che sono plurime; unità
e unicità applicati a Dio sono, per Spinoza,
termini impropri, poiché nessuna cosa è
unica se non in rapporto a un’altra, che
conviene con essa. La coincidenza assoluta
in Dio di essenza ed esistenza indica dunque che non si può ragionare dell’una senza
l’altra. Matheron ha affrontato invece il
pensiero politico spinoziano, la cui originalità consiste nell’essere al tempo stesso
contro la visione di Hobbes, secondo il
quale l’associarsi degli uomini richiede di
necessità un potente artificio giuridico, e
contro la visione edificante della politica
che nasce dall’indignazione. Per Spinoza
l’indignazione, funzione dell’immaginazione e non della ragione, è il sentimento più
equamente distribuito tra gli uomini; essa
genera tanto lo Stato, quanto le rivoluzioni,
dal momento che in ogni conflitto vi è un
testimone, che s’indigna. La società politica si originerebbe così, nella tristezza e per
mezzo dell’indignazione, da un ipotetico
stato di natura. Spinoza opta invece per
l’idea di una politica fondata sulla ragione
come potenziamento della gioia, e non più
sull’indignazione come potenziamento della tristezza nel risentimento.
Alain Badiou ha preso in esame l’arduo
problema della conoscenza in Spinoza. Qui
la centralità del metodo matematico indica
una cesura tra intelletto finito e intelletto
infinito: una conoscenza vera è possibile
solo per il secondo. Di fatto del corpo
singolare, di cui il nostro spirito è l’idea,
non si dà vera idea; ma del corpo collettivo
si dà idea vera in quanto idea comune, dove
però l’essere di questa idea non si può
pensare se non, more geometrico, come ciò
che è comune a tutti. La matematicità è la
sola garanzia di un’idea vera per un intelletto finito, e Dio è il matema stesso. A
questo proposito Jean-François Lyotard
si è chiesto, allora, come sia possibile conoscere le cose singolari se sosteniamo che
l’unica conoscenza adeguata è la conoscenza di quel che è comune alle cose.
Secondo Badiou, le cose singolari non sono
per Spinoza conoscibili se non attraverso la
conoscenza comune, ossia la conoscenza
matematica.
Unico italiano presente al convegno, Antonio Negri ha messo in evidenza due linee
di pensiero nell’Etica di Spinoza, una mistica e una ascetica, imperniate rispettivamente sul concetto di eternità e di libertà,
che non si contrappongono, ma s’intersecano e si alimentano a vicenda, convergendo nella tematica della moltitudo.
Da ultimo è stato preso in considerazione il
confronto tra Heidegger e Spinoza, a cui
hanno fatto riferimento le relazioni di Jeffrey Barash e Jean-Luc Nancy, che hanno proposto entrambi un’interpretazione di
59
Spinoza in funzione antiheideggeriana.
Secondo Barash, in Heidegger, nel porre la
questione dell’essere, vi è un oblio dell’etica; ogni Seinsfrage (domanda sull’essere)
deve invece presupporre un’etica, proprio
perché privilegiare la Seinsfrage è già una
scelta etica. Nancy ha mostrato invece che
se il pensiero di Heidegger è incentrato
sulla finitezza dell’uomo e sul rapporto con
la morte, quello di Spinoza è incentrato sul
rapporto finito-infinito e sulla vita e il suo
potenziamento come sola realtà dell’uomo; ma soprattutto l’essere spinoziano,
derivando dalla sua stessa definizione dalla
coincidenza di essenza ed esistenza, escluderebbe la differenza ontologica, relegandola a mero artificio discorsivo.
L’insieme di queste considerazioni trova
un interessante riscontro e approfondimento nel recente studio di Paolo Cristofolini,
Spinoza per tutti, che si distingue subito per
una peculiarità: la corrispondenza tra la
“struttura formale” del testo e i “contenuti”
che vi trovano posto. In altre parole, non si
tratta, come pure qualcuno ha voluto pensare, di uno Spinoza ridotto in pillole per
una larga divulgazione, o anche per l’edificazione morale del maggior numero di
lettori, compresi quelli digiuni di cose filosofiche. Né ancor meno si tratta di un’introduzione “per profani” (magari, in quanto
tale, fatalmente mancata), nell’arco di poche pagine, al pensiero spinoziano. Piuttosto, lo Spinoza per tutti, proposto da Cristofolini, è uno Spinoza ripercorso “spinozianamente” dal di dentro, lungo la tensione
fondamentale che attraversa l’Ethica more
geometrico demonstrata, e cioè quella tra
“infinito” e “finito”. Dove appunto il finito
(il “noi umano”, il “tutti” del titolo) è chiamato per soddisfare il proprio conatus
all’autoconservazione e, insieme, al potenziamento di sé a ritagliarsi il suo pezzo
d’infinito, ed anzi, meglio, a rintracciare la
sua parte di quella infinita “potenza dell’essere” che è rappresentata dalla Sostanza-Dio-Natura. E’ una potenza infinita dell’essere che, pur senza cadere nel pregiudizio antropocentrico (a cui, anzi, Spinoza
vibra uno tra i colpi più poderosi di tutta la
storia della filosofia), si mette al servizio,
attraverso Spinoza e Cristofolini suo interprete, dell’uomo, e cioè dell’essere finito di
cui è, per noi, più doveroso e insieme
CONVEGNI E SEMINARI
decente occuparci: «Noi abbiamo sì - afferma Cristofolini - un interesse peculiare per
l’uomo, ma perché siamo uomini, e per
nessun altro motivo».
In altre parole, nella totalità immanente
della Sostanza non si può che scegliere,
come già aveva fatto Spinoza, e come fa
ora Cristofolini, quando propone i suoi
sette “tracciati” (o sentieri, percorsi) attraverso l’Etica, corredandoli con una piccola scelta dall’epistolario di Spinoza. E non
è certo un caso se Cristofolini sceglie di
partire (già nella breve premessa, «Etica e
geometria», e poi nel primo percorso) da
una riflessione sul “metodo geometrico”
di Spinoza, di cui si deve intendere, nella
prospettiva spinoziana, la necessità e, al
contempo, la peculiarità. Il metodo geometrico è, per Spinoza, più “quadro immanente” (sia pure rigoroso), che non univoca costrittività logica. Lo sta a dimostrare
anche la particolare natura delle definizioni presenti nell’Etica (e soprattutto quelle,
fondamentali, in apertura del libro De Deo),
ben distinte, a differenza del classico modello euclideo, dagli assiomi, e la cui provenienza dall’ “intelligenza” come “vita
della mente” (nella sua «dimensione della
quotidianità»), osserva Cristofolini, si fa
chiara e semplice «una volta che sia raggiunta la visione d’insieme dell’Etica ».
Anche qui c’è un senso del “per tutti” di
cui sopra: la percorribilità in tante direzioni diverse dell’Etica significa che alla verità, “per quanto univoca”, non può e non
deve corrispondere l’angusta univocità dell’interpretazione “di un solo uomo”; a partire, beninteso, dallo stesso Spinoza.
Per quel che riguarda i percorsi proposti da
Cristofolini, è significativo il modo in cui
egli stesso li caratterizza: “dall’intelligenza alla definizione”; “dalla sostanza infinita ai modi finiti”; “dal corpo alla potenza
della mente”; “dall’immaginazione alla
conoscenza adeguata”; “dagli attributi divini all’essenza umana”; “dalle passioni
all’amore intellettuale”; e, infine, “dalla
saggezza alla libera repubblica”. Ma il
“meta-percorso” davvero obbligato, che ha
fatto scegliere a Spinoza il titolo di Etica
(sia pure, appunto, “dimostrata con metodo
geometrico”) per la sua “ricerca di una
vita”, è quello “dal Dio-Sostanza all’uomo”. Proprio questo dichiara a chiarissime
lettere la brevissima premessa alla seconda
parte dell’Etica, il De Mente; ed è questo
ciò a cui volentieri Cristofolini acconsente.
Ma l’uomo di cui qui si parla è un uomo al
suo meglio, capace di volgere in potenza,
gioia e pienezza del proprio essere (sia pure
sempre entro i limiti imposti dalle “cause
esterne”) anche le forze, emancipate dalle
loro servitù, delle proprie passioni e della
propria immaginazione. Un uomo che, secondo una linea interpretativa propria a
Cristofolini, fa della “scienza intuitiva” cioè, per Spinoza, del terzo e sommo genere di conoscenza, quello che apre all’Amor
Dei intellectualis e che è preposto alla
conoscenza delle “cose singole” e delle
loro essenze - la scienza applicabile per
eccellenza alle cose umane, alle cose del
“noi”, situata oltre la ratio dimostrativa e
procedente soltanto per leggi della scienza
moderna, in questo affine, per qualche aspetto, alla futura Scienza nuova di Giovambattista Vico.
Ma soprattutto, e in conclusione, i “tutti” a
cui l’Etica spinoziana, almeno in potenza,
si rivolge, sono davvero tutti gli uomini
senza distinzione. Non soltanto coloro che
sapranno elevarsi alla saggezza e all’amore
intellettuale di Dio, secondo l’immagine
più tradizionale e consolidata dell’ideale
filosofico spinoziano, e secondo quanto
ricostruisce il penultimo percorso di Cristofolini (il “penultimo”, si badi); ma anche quanti, e cioè “tutti”, appunto, senza
distinzione tra sapienti di oggi, sapienti di
domani e “ignoranti” di sempre, sapranno,
potranno e saranno messi in grado di trovare un proprio spazio di espressione e libertà
entro la “libera repubblica” degli uomini.
M.C./F.E.
Umanismo e modernità
in Germania
Si è svolto a Strasburgo tra il 13 e il 15
maggio 1993 un convegno su “UMANI SMO E UMANITÀ NEL PENSIERO TEDESCO DEGLI
ULTIMI DUE SECOLI”,
sotto la direzione
scientifica di Louis Dupeux, uno degli
animatori della “Revue d’Allemagne”,
su cui successivamente (luglio-agosto 1993) sono apparsi gli atti del convegno. Numerosi i partecipanti, di cui
sono intervenuti, tra gli altri, P. Vaydat,
G. Imhoff, J. Gandouly, M. Löwy, A.
Doremus, Y. Guèneau, J-Y. Calvez, JM. Vincent, G. Merlio, J. Nourdin, B.
Massin, A. Betz, D. Goeldel, J. Favrat,
J. Poisot e T. Keller.
Le relazioni presentate al convegno erano
organizzate per coprire, con un certo ordine cronologico, un arco di duecento anni,
che va da Lessing ai giorni nostri. Con una
relazione su Lessing ha aperto i lavori
Pierre Vaydat, che ha inteso mettere in
luce il carattere massonico dell’ideale umanistico lessinghiano, ponendo appunto al
centro della sua analisi i Dialoghi massonici, testo che sia per il periodo della sua
compilazione (1778-1780,) sia per l’affinità tematica è da porre accanto alla più nota
Educazione del genere umano, apparsa nel
1780. In particolare Vaydat ha cercato di
sviluppare la concezione lessinghiana secondo cui solo la massoneria è in grado di
assicurare il progresso dell’umanità, inteso
non in senso tecnico o scientifico, ma in
un’accezione morale o politica. Su Herder
si è pronunciato invece Gérard Imhoff,
che ha tentato di mettere in luce cesure e
svolte nel pensiero di Herder che hanno
dato adito alla ricezione proteiforme della
60
sua opera, a quella “multivalenza delle
interpretazioni”, che ha fatto di Herder ora
un nostalgico della classicità, ora un apostolo di un nuovo umanismo, ora uno scopritore ed uno estimatore della pari degnità
dei popoli, ora un nazionalista, un pangermanista, un razzista, una sorta di precursore dell’hitlerismo.
Di Wilhelm von Humboldt si è occupato
Jacques Gandouly con una relazione sulla
concezione humboldtiana dell’uomo sotto
tre aspetti, che corrispondono ad altrettanti
momenti chiave del suo pensiero: l’affermazione della priorità dell’individuo di
fronte allo Stato, i principi educativi messi
in atto nel 1809/1810, il ruolo del linguaggio all’interno di una visione umanistica.
Alla base di tutti e tre questi momenti, ha
mostrato Gandouly, vi è l’ideale humboldtiano della Bildung. Dell’umanismo romantico si è invece occupato Michael
Löwy, precisando che dal suo punto di
vista il romanticismo, in quanto caratterizzato essenzialmente dalla dialettica tra universalità umana e particolarità nazionale,
non è un fenomeno limitato a certe correnti
letterarie e artistiche dell’inizio del XIX
secolo; esso piuttosto deve essere assunto
come una Weltanschauung (visione del
mondo), in cui si esprime la protesta contro
la civiltà moderna in nome di certi valori
del passato.
Per quanto riguarda il possibile rapporto tra
Schopenhauer e la questione dell’umanismo, André Doremus ha fatto notare che
nonostante la determinazione della volontà
di forgiare il mondo in base ad una sua
progettualità autonoma, anche per
Schopenhauer il mondo rimane una costruzione umana, e l’uomo stesso un prodotto
del suo determinarsi. Mentre, per quanto
concerne il rapporto di Nietzsche con la
tradizione umanista, Yves Guéneau, ricostruendo il carattere di rottura radicale e
deliberata della riflessione nietzscheana nei
confronti dell’umanismo tradizionale, ha
mostrato come questo anticipi e si ricongiunga con l’anti-umanismo proprio dell’epoca moderna.
Sull’umanismo in Marx si è soffermato
Jean-Yves Calvez, che dopo aver individuato in Marx una dicotomia tra umanismo
e materialismo, ha indicato nell’idea
marxiana di praxis il criterio del suo superamento, pur restando, la concezione umanista di Marx, alquanto indeterminata.
“Umanità come utopia” è il tratto con cui
Jean-Marie Vincent ha cercato di cogliere il rapporto che ha avuto la Scuola di
Francoforte con l’umanismo. Se si interrogano i testi di Horkheimer e Adorno, ha
notato Vincent, non troveremo alcun riscontro intorno a una natura umana o a una
antropologia in grado di sviluppare una
filosofia sovrastorica di valori e di cultura.
Di altro taglio è stato l’intervento di Louis
Dupeux, che si è proposto di esaminare
uno dei tratti più sorprendenti del pensiero
tedesco, sia dal punto di vista idealista che
marxista, vale a dire la riduzione dell’uo-
CONVEGNI E SEMINARI
mo a “tipo” ideologico: il tipo romantico
dell’eroe, il tipo nazionale o razziale, il
tipo del superuomo, il tipo dell’operaio
o del lavoratore, e così via. In linea con
un tale impianto di grande sintesi tematica, Gilbert Merlio ha presentato invece un percorso di riflessione, che dall’ideale romantico del genio giunge fino
alla figura dell’Arbeiter di Ernst Jünger, mostrando come, in risposta alle
discrasie del mondo moderno, l’estetismo si sia caricato di istanze salvifiche
non soltanto per nostalgia del bello, ma
anche attraverso una assunzione mimetica in proprio delle sue disarmonie.
Una ricostruzione dell’idea di “declino”
nella cultura tedesca in rapporto alla
tradizione umanistica dell’occidente è
stata proposta da Jean Nourdin. Benoit
Massin si è invece preoccupato di mostrare, attraverso tre figure chiave come
quelle di Virchow, Luschan e Fischer,
il passaggio dall’antropologia fisica liberale alla biologia razziale eugenetica
degli anni compresi tra il 1870 e il 1914.
Un’annotazione sull’umanismo in Heinrich Mann è stata presentata invece da
Albrecht Betz. Mentre del versante politico del principio umanistico cristiano
si è occupato Denis Goeldel, che ha
ricostruito l’idea del principio di sussidiarietà all’interno della dottrina sociale
della Chiesa, per vedere poi come esso
ha influenzato le politiche dei partiti
tedeschi di ispirazione cristiana, come la
CDU e la CSU.
Il tema del rapporto tra umanismo e
conservatorismo è stato affrontato da
Jean Favrat, che nel cogliere il nesso
neoconservatore che lega l’antropologia
di Arnold Gehlen e la sociologia di
Helmut Schelsky, da una parte, e le
concezioni di filosofi come Hermann
Lübbe e Robert Spaemann, dall’altra,
ha centrato le sue analisi sul rapporto tra
l’uomo e la moderna civilizzazione tecnico-scientifica. Particolare significato Favrat ha attribuito alla posizione di Spaemann, secondo il quale, di fronte alle minacce che il mondo della tecnica comporta
per l’uomo, è possibile ancora fare appello
all’idea di una natura che gli è intrinseca,
e trovare in essa il proprio fondamento.
La relazione, infine, di Jacques Poisot
ha preso in considerazione il tema del
rapporto tra umanismo e sport nella ex
DDR, mentre quella di Thomas Keller
ha affrontato la questione se l’ “ecologia
umana” sia anch’essa un umanismo. Se
l’ecologia di per sé non è né un umanismo, né un anti-umanismo, ha in particolare osservato Keller, ma soltanto qualcosa che attiene al discorso della scienza
intorno al rapporto tra l’uomo e l’ecosistema, l’ecologia umana, invece, affronta, da un’ottica propriamente normativa,
la questione dei riflessi sociali inerenti al
rapporto tra uomo e ambiente, rendendo
possibile una nuova versione dell’umanismo a partire dall’istanza ecologista. G.B.
Ideologie della guerra
nel Novecento
Obiettivo del seminario dal titolo: “PER
UNA STORIA DELL ’IDEOLOGIA DELLA GUERRA
NEL NOVECENTO”, che Domenico Losurdo
ha tenuto nella sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli
dal 13 al 17 settembre 1993, è stato
quello di dimostrare, in una prospettiva di storia delle idee, l’esistenza di
una linea di continuità fra l’ideologia
che domina le guerre coloniali, l’ideologia di guerra dell’Intesa e l’ideologia
dell’attuale potere di polizia internazionale che sembra dover presiedere ad
una ricolonizzazione del Terzo Mondo.
La tesi fondamentale proposta da Domenico Losurdo è che la pratica delle guerre
coloniali abbia costituito una sorta di laboratorio delle novecentesche ideologie della
guerra. Secondo Losurdo, il Novecento
porta a una secolarizzazione dei conflitti di
religione e non alla loro scomparsa, come
vorrebbe Carl Schmitt, che istituisce un
nesso fra i genocidi del XX secolo e la
Francia della Rivoluzione, considerando
quest’ultima colpevole di aver reintrodotto
la guerra di religione, mentre la cultura
occidentale avrebbe cancellato l’idea di
guerra sacra con la pace di Vestfalia (1648).
Ma già Bacone teorizzava il bellum sacrum contro gli indios, richiamandosi al
Deuteronomio; e il presidente degli Stati
Uniti, Wilson, paragonerà l’intervento
americano nel primo conflitto mondiale
alla crociata che a suo tempo portò alla
conquista della Terra Santa.
L’idea della “guerra per la pace” (Salvemini), della crociata per la diffusione della
civiltà contro vecchi e nuovi barbari, è uno
dei motivi ricorrenti, ha fatto notare
Losurdo, nella propaganda ideologica dell’Intesa: civili sono le istituzioni liberali;
barbari i popoli militaristi di lingua tedesca.
Ora, se si considera che dell’Intesa facevano
parte le più grandi potenze coloniali dell’epoca, in particolare l’Inghilterra “liberale”, si può individuare l’origine coloniale
dell’ideologia. D’altra parte, John Stuart
Mill, nelle Considerazioni sul governo rappresentativo (1861), prometteva il conseguimento della pace universale, rivendicando la necessità di una serie di guerre coloniali
che portassero alla generalizzazione del dominio delle nazioni civili su quelle barbare.
Nel primo conflitto mondiale la Germania
fa invece ricorso, secondo Losurdo, ad una
diversa ideologia della guerra, che tende a
giustificarla come valore in sé; la guerra
permette di attingere una dimensione dell’esistenza fuori dalla banalità quotidiana meditatio mortis - in cui le contraddizioni
sociali si compongono in una superiore
unità: scompare la lotta di classe e si costituisce il corpo mistico della nazione tedesca. Losurdo ha però mostrato come anche
dietro tale ideologia permanga un aspetto
della tradizione coloniale, quello per cui
61
Benjamin Disraeli, contro gli agitatori
socialisti, parlava di un’Inghilterra che grazie alle guerre coloniali rinsaldava l’unità
della comunità civile, superando i conflitti
di classe.
Un’ulteriore interessante laboratorio delle
ideologie della guerra di questo secolo si
può ritrovare, ha aggiunto Losurdo, nella
guerra di secessione americana (18611865). La guerra è intesa dagli abolizionisti
del Nord come missione per la libertà, dal
Sud come lotta per la difesa della propria
storicità. Ma ciò che svela il carattere ideologico di queste formulazioni di parte, ha
osservato Losurdo, è la scoperta che lo
stesso tema della crociata per la libertà si
colora di motivi razziali nel momento in
cui gli americani del Sud sono considerati
dagli abolizionisti come congenitamente
incapaci di comprendere il valore della
libertà. In altri termini, la celebrazione di
determinati valori come innati ed esclusivi
di un certo popolo porta alla razzizzazione
degli altri; questa stessa dialettica peraltro
si svilupperà nel primo conflitto mondiale
sia all’interno dell’ideologia dell’Intesa,
sia nella Kriegsideologie (ideologia della
guerra) tedesca.
Nella tradizione marxista, ha inoltre fatto
notare Losurdo, la tesi di Trotzkij dell’esportazione della rivoluzione, della rivoluzione mondiale, ci conduce ancora una
volta alla realtà delle guerre coloniali. Marx
ed Engels avevano infatti espresso un giudizio sostanzialmente positivo sulla conquista inglese delle Indie. L’ambiguità di
questa posizione è sciolta da Lenin, secondo il quale l’Occidente non esporta rapporti
sociali e politici più avanzati, ma impedisce l’emancipazione e la crescita democratica dei popoli. Comunque la tesi di Trotzkij,
sconfitta in politica internazionale, finisce
per trionfare sul piano interno, dove la
Russia europea “esporta la civiltà” nella
Russia asiatica; da ultimo, già con Stalin,
ma soprattutto con Breznev, la tesi dell’esportazione della rivoluzione viene ripresa sul piano internazionale, dove la dittatura internazionale del proletariato annulla il
diritto all’indipendenza e all’autodeterminazione dei popoli dell’Est europeo.
Oggi, dopo la guerra del Golfo e coerentemente con l’ideologia della “guerra vincente” nel Novecento, si assiste, secondo
Losurdo, ad una riabilitazione del colonialismo. Popper, affermando che gli stati
civili hanno il diritto-dovere di imporre la
pax-civilitatis, riprende la metafora di
Stuart Mill per cui i popoli coloniali, come
“razze minorenni”, hanno bisogno di tutori. E come già dopo il 1918 la guerra si
configurava quale esecuzione di un mandato della Società delle Nazioni, così oggi
l’ONU definisce gli interventi militari
“operazioni di polizia internazionale”.
Questa riabilitazione del colonialismo, ha
concluso Losurdo, non è che una reviviscenza del razzismo e di altri stereotipi, sia
nei rapporti fra Nord e Sud del pianeta, sia
all’interno dell’Occidente evoluto. A.I.
CONVEGNI E SEMINARI
René Magritte, Golconda, 1953
L’idea di persona
In linea con i tre seminari tenutisi gli
anni scorsi sul tema “Analogia e partecipazione”, si è svolto nei giorni 15-1617 novembre 1993, presso l’Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano, un
convegno dal titolo: “L’IDEA DI PERSONA.
SEMINARIO DI FENOMENOLOGIA E ONTOLOGIA”.
Se per un verso questo seminario ha
ribadito l’inafferrabilità teoretica della
persona e del suo concetto, intento
comune ai diversi interventi è stato di
ricercare in un orizzonte trascendentale il concetto di persona quale realtà
permanente fra le sue sfuggenti manifestazioni e, pertanto, quale entità mai
ultimamente circoscrittibile o definibile. Con la partecipazione di Paul Ricoeur,
il convegno proseguirà nel novembre
1994 con una nuova serie di incontri sul
medesimo tema.
Il convegno si è aperto con la lettura della
relazione di Paul Beauchamp (“Persona,
elezione e universalità nella Bibbia”), che
attraverso un’attenta analisi del Libro dei
Salmi, ha affrontato lateralmente la delicata questione dell’identità personale, prendendo in esame non direttamente la persona, ma la figura dell’ “eletto”, che contrapponendosi ai “molti” e ai “tutti” rappresenta certamente l’ “unico” scelto da Dio, pur
restando espressione della collettività e
dell’universalità in cui si trova inserito.
L’eletto risulta quindi l’incarnazione più
perfetta della persona, dal momento che
esso mostra quel rapporto fra uno e molti,
che è essenziale anche alla costituzione
della persona. La parola del salmista universalizza l’esperienza individuale; per di
più il salmista rimane fino alla fine senza
nome e senza volto, realizzando così l’andirivieni perfetto tra l’unico e l’universale.
Solo che l’universale di cui si parla qui non
è l’universale senza volto, ma è l’universale che l’eletto chiama attorno a sé, è il
popolo nuovo che nasce dopo la sua sfida
alla morte. Il movimento dialettico fra uno
e molti è risultato dunque essere il nucleo
essenziale dell’intervento di Beauchamp, che
ha sviluppato ulteriormente questo rapportarsi del singolo con i “molti” e con i “tutti”
attraverso l’analisi della figura del re.
Insistendo sull’incessante divenire del tempo e sull’inafferrabilità dell’animo umano,
Aldo Masullo (“Persona e tempo”) ha rivolto la sua attenzione al paradigma metaforico della teatralità del mondo, che deve
le sue origini alla radice etimologica del
termine “persona”, che deriva dall’etrusco
fersu e, proprio come il greco prosopon,
designa la maschera con cui nel mondo
antico gli attori si ricoprivano il volto durante le rappresentazioni teatrali. “Persona”, dunque, significa “maschera”, cioè
“ciò che appare”, “ciò che si vede”. Ma
allora, si è chiesto Masullo, se persona è
62
l’artificiale fisionomia assunta dall’attore
per il tempo della rappresentazione, ci si
trova di fronte al paradosso per cui da una
parte abbiamo un’anima che non si lascia
conoscere dietro la fissità, spesso ingannevole, del volto, dall’altra abbiamo delle
maschere che, se è vero che si manifestano,
coincidono d’altro canto solo con delle
rappresentazioni, dei “simulacri” della vera
natura umana. Tuttavia, ha osservato Masullo, il raccogliersi dell’uomo attorno alla
sua persona, alla sua fittizia unità e stabilità
che egli ritrova nel suo volto al di là degli
interiori cambiamenti dell’anima, non costituisce per lui una condanna, ma, anzi, la
sua unica possibilità di salvezza, per non
disperdersi nell’incessante divenire temporale, nell’irrequietezza del pathos che
tormenta l’anima. Questo quid salvifico,
ha concluso Masullo, non è altro che la
“memoria”, che in quanto “autocoscienza”, trattenendo il passato e anticipando il
futuro, permette di unificare gli istanti dando
loro una certa continuità e coerente unità.
L’unità su cui ha richiamato l’attenzione
Paul Gilbert nel suo intervento (“Differenza e persona”), è sia l’unità metafisica
(il logos), sia l’unità dell’identità personale
che si fonda, proprio come per Masullo,
nell’autocoscienza e, in forza di questa,
nella conseguente “responsabilità”. L’importanza attribuita al principio unificante,
tuttavia, non deve distrarre il metafisico
sino al punto da fargli negare le differenze
CONVEGNI E SEMINARI
reali e positive che sussistono fra gli enti. Il
principio unificante deve confermare le
singole e particolari identità che partecipano dell’unità in maniera diversa. La sostanza più perfetta, ha osservato Gilbert citando San Tommaso D’Aquino, è la persona,
in quanto non subisce gli eventi, ma è in
grado di modificarli e causarli, assumendosene la responsabilità. In questa direzione,
ha aggiunto Gilbert, è possibile rileggere
anche la classica formula agere sequitur
esse, nel senso che per le sostanze, e in
particolare per la persona, essere è agire, è
agire mostrandosi a sé e agli altri, per poi
riprendersi in un atto di autocoscienza e
responsabilità. Agendo insieme nel mondo, ha concluso Gilbert, costruiamo un
mondo che è “nostro” in cui noi ci riconosciamo come esseri liberi, responsabili e
trascendenti la natura.
L’aporia dell’inconoscibilità dell’interiorità e della artificiosità dell’esteriorità, è
stata oggetto anche della relazione di
Nicolas Grimaldi (“Lo statuto dell’interiorità”), che ha preso spunto da due paradossi. Da una parte, come già aveva rilevato Pascal, se della persona è conoscibile
solo il suo apparire esteriore, ne deriva
necessariamente che nessuno può mai essere amato per quello che realmente è, ma
solo per ciò che appare. Dall’altra parte,
questa “interiorità assolutamente inconoscibile” sembra essere solamente un limite
della conoscenza e come tale superabile,
come la scienza, per molti versi, ha dimostrato. Nello stesso tempo, ha osservato
Grimaldi, il nostro atteggiamento esteriore, il nostro corpo manifesto, che a volte
sembra così ben rivelare l’io più profondo,
spesso riesce a mascherare perfettamente
pensieri e reali intenzioni: ne sono prova la
menzogna e l’impostura. In altre parole, la
possibilità dell’inganno riposa su quella
ricca interiorità, che non si esaurisce nell’esteriorità finita. Ma proprio quest’apertura a nuovi possibili ci distingue nel nostro
essere personale, che ci caratterizza. Insomma, è proprio quel “non essere ancora”, quel “tendere verso” che ci definisce e
che, intimamente, ci fa amare.
Questa “tensione verso” figura al centro
della prospettiva di Edith Stein, che è stata
analizzata da Philibert Secretan (“Il problema della persona in Edith Stein”). La
chiave di volta fra l’ordine della natura e
quello dello spirito è per Stein l’anima,
forza dinamica e strutturante che garantisce continuità e corrispondenza fra questi
ordini. L’anima, più che essere la “forma”
delle cose, ne è la “vita”, e si esprime sia
nelle facoltà sensibili, sia in quelle spirituali, intellettiva e volitiva. Tuttavia, ciò che
esprime in modo più proprio la persona è il
suo “mondo dei valori”: con il suo sistema
di valori la persona e l’anima si aprono alla
realtà esterna. Tuttavia, il personalismo di
Stein, ha rilevato Secretan, è sì di natura
etica, ma cum fundamento in re: la persona
non è chiamata a realizzare un ideale ad
essa totalmente estraneo, ma a realizzare
ciò che “è già essa stessa”, anche se nel
modo del non-ancora. Se l’uomo è “da
subito” unità di corpo e anima, la persona è
il “risultato” dello sforzo di liberare l’anima dall’universo sensibile e introdurla alla
sfera spirituale, di cui fin dall’origine la
persona partecipa. La persona, quindi, non
è un avere che si possiede ma un essere che
si conquista.
Nel suo intervento su Max Scheler (“Prospettive scheleriane sulla persona”),
Michele Lenoci ha messo in evidenza come
anche per Scheler l’essenza dell’uomo non
si esaurisca né nella sua, per così dire,
“naturalità”, né nella sua “spiritualità”.
L’uomo, secondo Scheler, è in grado di
intenzionare significati unitari e universali,
di afferrare nel particolare contingente il
carattere universale; in altri termini, di parlare e di ideare strumenti in funzione dei
fini che vuole perseguire. Lo spirito libera
l’uomo dai vincoli della natura, gli permette di elevarsi al di sopra dello scorrere del
tempo, di non frammentarsi fra le cose che
lo circondano, di non disperdersi nei momenti successivi della sua esistenza. La
persona consiste proprio in questo spirito,
che le consente di mantenersi identica a sé,
pur nella diversità degli atti che da essa
procedono. Se è così, se cioè la persona è
essenzialmente spirito, si può ben comprendere, ha concluso Lenoci, perché Scheler si spinga a dire che il termine “persona”
spetta primariamente a Dio e solo analogica-
mente all’uomo, e perché le variazioni sul
modo di intendere l’idea di Dio si ripercuotano anche sulla sua antropologia filosofica.
Che l’uomo sia essenzialmente autocoscienza e libera capacità d’azione è stato ribadito
anche da Ada Lamacchia (“Personalismo
americano tra otto- e novecento”), con particolare riferimento a Borden Parker Bowne,
nel quale la presa di coscienza delle caratteristiche proprie della persona si compone
con l’esigenza di conciliare le rigide leggi
meccaniche della natura e la spontanea
causalità dell’uomo. Secondo Parker Bowne, l’unità reale non può consistere in una
realtà spazio-temporale, perché in tal caso
ogni cosa potrebbe disperdersi nella sua
infinita divisibilità. Piuttosto, è l’unità dell’
“Io autocosciente”, dell’Io che rimane se
stesso pur nel fluire delle molteplici sensazioni, che, oltre a definire la persona, risulta essere la condizione di possibilità di ogni
conoscere. Tuttavia, ha fatto rilevare Lamacchia, anche per Parker Bowne il pensiero non esaurisce la realtà, non decide mai
dell’esistenza dell’oggetto percepito e conosciuto; esso semplicemente riproduce un
contenuto esistente e a lui indipendente. L’uomo ha bisogno della natura per realizzare i
suoi fini e, viceversa, la natura ha bisogno
dell’uomo per arrivare a mete che da sola
non sarebbe mai riuscita a conquistare.
Ha concluso la serie degli interventi
Roberta Corvi (“La persona nella filosofia
analitica: la prospettiva di Strawson”), che
Vincenzo Balocchi, Gente per strada, 1942
63
CONVEGNI E SEMINARI
ha illustrato la posizione analitica di Strawson in relazione al problema fondamentale
del dualismo anima-corpo. Attraverso un
attento esame del linguaggio ordinario,
Strawson si accorge che il termine “persona” si accompagna sia a predicati che designano caratteristiche fisiche (“predicatiM”), sia a predicati che indicano stati di
coscienza e elementi psicologici (“predicati-P”). Ma in nessun caso, egli nota, affiora l’esigenza di diversificare il soggetto,
parlando di due “io” differenti: nel linguaggio, io corporeo e io spirituale sono assolutamente inscindibili; questo significa che
se l’io personale non è definibile solo in
rapporto ai predicati-M, esso non è nemmeno circoscrivibile ai suoi unici attributi
inerenti la coscienza. In tal caso, la persona
non sarebbe in alcun modo identificabile se
non in riferimento a delle coordinate spazio-temporali e, dunque, al corpo che le
appartiene. Conseguentemente il corpo,
inscindibilmente legato alla coscienza, diviene l’unico modo che l’individuo possiede per superare la privatezza degli stati
mentali e per attribuirli a qualcuno, sia lui
stesso o un altro da sé. In questo modo, ha
concluso Corvi, superando il dualismo,
Strawson supera anche l’ombra sempre
incombente del solipsismo. M.Co.
Ethos e Gheometria
Dal 27 settembre al 1 ottobre 1993
Imre Toth ha tenuto all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli un
interessante seminario dal titolo: “GEOMETRIA MORE ETICO . L’ALTERNATIVA TRA
GEOMETRIA EUCLIDEA E ANTIEUCLIDEA E LA
LIBERTÀ DI SCELTA”, incentrato sull’anali-
si di alcuni stralci del “Corpus Aristotelicum”, in cui Aristotele precorre inconsapevolmente certi risvolti della
geometria ottocentesca.
Secondo Imre Toth in alcuni testi di Aristotele come Analitica priora (66a 5-15),
Analitica posteriora (77b 16-28, 90a 1134, 93a 31-35), De caelo (281b 5-7), Ethica
Nicomachea (1140b 13), Magna Moralia
(1187a 29), Ethica Eudemea (1222b 1543), vi sono accenni di ragionamenti antieuclidei, cautamente presentati come mere
possibilità logiche, legittimamente formulabili, purché non antinomiche. Tuttavia,
ha precisato Toth, questi accenni non possono considerarsi vere e proprie preconizzazioni della geometria reimanniana, come
peraltro affermano alcuni interpreti.
In particolare, Aristotele nega il primo asserto euclideo, secondo cui la somma degli
angoli interni di un triangolo corrisponde
necessariamente ad un angolo piatto, sostenendo la liceità della tesi opposta e cioè che
la somma può supporsi anche diversa da
zero. Aristotele sostiene altresì, ha osservato Toth, l’indimostrabilità, il carattere
congetturale e non cogente del quinto postulato euclideo, secondo cui se la somma
degli angoli contigui interni di due rette
tagliate da una trasversale è minore di un
angolo piatto, allora dette rette s’incontrano in un punto del piano comune. Essendo
impossibile la dimostrazione di questo
enunciato, l’ipotesi euclidea assume, per
Aristotele, il significato di postulato, poiché tale enunciato va accettato come vero
senza il suggello dell’ostentazione, diventando quindi un archè, un principio primo
non connesso agli altri da reciproca implicanza e non rappresentativo della stretta
circolarità sillogistica, nelle cui modalità
s’esprime la logica: non un’asserzione
ostensibile, né inferenziale, ma opinabile,
perché si può accettare o no come vera.
Il quinto postulato di Euclide, ha fatto
notare Toth, è, rispetto ad altri postulati, il
più complesso, tant’è che nei secoli vari
studiosi arabi e greci, antichi e moderni
hanno tentato di tramutarlo in teorema,
escogitando sistemi che fossero in grado di
dimostrarlo. Tra questi il matematico Giovanni Girolamo Saccheri (1677-1733),
che nell’opera Euclides ab omni naevo
vindicatus (1733) giunge involontariamente
ad anticipare le geometrie non-euclidee
pur non avendo mai letto i trattati aristotelici. Saccheri si cimenta in una dimostrazione “per assurdo”, da cui però non derivano conseguenze illogiche, inaccettabili,
ma dati possibili, plausibili.
Tornando ad Aristotele, Toth ha messo in
evidenza come per questi la geometria sia
in definitiva una costruzione logica operata
arbitrariamente dall’intelletto umano, in
cui ogni ipotesi è ammissibile, purché non
infranga le leggi della logica. Ora, ha aggiunto Toth, negli Analitici posteriori, Aristotele introduce il concetto di proairesis o
libero arbitrio, cioè libertà in senso lato,
deliberazione non compulsata e praxis,
decisione, azione, senso di responsabilità.
L’uomo morale in quanto tale può agire
operando una scelta che è morale nella
misura in cui è scevra da condizionamenti
esterni. La libertà dell’uomo presuppone
scelta, azione e assunzione delle responsabilità relative alle conseguenze del suo agire.
Se ora poniamo in relazione etica e geometria, ha rilevato Toth, si può mostrare come
Aristotele capovolga quelli che saranno
poi i termini del celebre motto spinoziano,
Etica more geometrico (Ethica ordine geometrico demonstrata, 1677), ponendo la
geometria more ethico, per cui in questa
disciplina non si può assegnare un’importanza maggiore ad una teoria non necessitata piuttosto che ad un’altra. Ciò che non
è coattivo, è frutto di una scelta preferenziale, di arbitraria deliberazione; allo stesso modo l’Etica consiste nell’esercitare la
libera decisionalità umana, nell’operare
costantemente delle scelte che non siano
imposte dalla necessità. L’uomo è l’unico
essere che può generare archai, l’uomo è
archè della sua praxis. Ecco come, secondo Toth, l’edificazione assiomatica della
64
geometria si presta ad essere esempio paradigmatico del libero arbitrio umano. In tal
senso Aristotele ha avuto il merito di aprire
un varco nella storia dell’epistemologia e
dell’etica, riempiendo lo spazio della ricerca umana di infiniti percorsi, direzioni,
peregrinazioni possibili. L.G.
In memoria di Jerzy Giedymin
Il 20 ottobre 1993, si è tenuta presso la
London School of Economics una commemorazione dal titolo: “JERZY GIEDYMIN MEMORIAL MEETING ”, in memoria del
logico e filosofo della scienza polacco,
morto a Pila, in Polonia, il 24 giugno
1993. Sono intervenuti J. Watkins, D.
Gillies, D. Pearce e P. Williams.
Nato nel 1925, Jerzy Giedymin studia
logica e filologia alle Università di Cracovia e Poznam. A Cracovia, frequenta i corsi
di Roman Ingarden (allievo di Husserl),
affrontando questioni di epistemologia,
estetica e filosofia della logica da una prospettiva fenomenologica. A Poznam si dedica principalmente alla filosofia della
scienza sotto l’influenza di Kazimierz
Ajdukiewicz. Dal 1950 insegna economia
e pianificazione economica, prima, e logica e filosofia della scienza, poi, all’Università di Poznam, dove ottiene la cattedra nel
1961. In questi anni Giedymin ha occasione di confrontarsi con Kotarbinski e Janina
Kotarbinska, e con logici quali Suszko,
Mostowski e Grzegorczyk. Fra il 1957 e il
1961, in qualità di “Ford Foundation Scholar”, è in visita al Dipartimento di filosofia
di Karl Popper, presso la London School of
Economics. Ritorna in Inghilterra nel 1966
per insegnare alla University of Sussex.
Dal 1983 al 1985 è presidente della British
Society for the Philosophy of Science.
David Pearce e Peter Williams sono intervenuti a ricordare il loro “maestro”, rilevando come Giedymin sia stato influenzato da tre differenti scuole di pensiero: la
fenomenologia di Ingarden, l’approccio
convenzionalista di Ajdukiewicz, e il razionalismo critico di Popper. Giedymin,
inoltre, per riuscire a sopravvivere come
professore universitario nel suo paese era
arrivato ad acquisire una buona conoscenza dell’economia e della filosofia marxista.
John Watkins ha sottolineato come la
capacità di conciliare posizioni filosofiche
così distanti fosse una caratteristica della
personalità di Giedymin. Anti-determinista e convinto sostenitore del libero arbitrio, Giedymin ha simpatizzato col fallibilismo epistemologico di Popper, senza tuttavia condividerne il totale rifiuto dell’induzione. L’interesse per il convenzionalismo - le sue origini e il suo significato - è
stato una costante della sua vita di studioso,
che ha trovato piena espressione nel suo
studio, Science and Convention. Essays on
CONVEGNI E SEMINARI
Henri Poincaré’s Philosophy of Science
and Conventionalistic Tradition (1982).
Al momento della morte, come ci informa
Donald Gillies, Giedymin aveva in programma un libro sulla storia dell’ elettromagnetismo alla fine del XIX secolo, che
avrebbe esposto e documentato la concezione “pluralista” della scoperta delle teorie scientifiche. In sintonia con il punto di
vista avanzato da un altro epistemologo
polacco, Ludwig Fleck, le teorie scientifiche non sono, secondo Giedymin, il prodotto di una mente individuale, ma piuttosto il risultato del lavoro di ricerca di un
“gruppo sociale”. Intervenendo, per esempio, sulla controversa attribuzione della
scoperta della relatività speciale, in Polish
Philosophy in the inter-war Period, and
Ludvig Fleck’s Theory of Thought-Stiles
and Thought-Collectives (1986) Giedymin
precisò che «i critici [...] hanno unanimamente difeso la tradizionale concezione
della scoperta a opera di un uomo solo; [...]
la mia idea al proposito [...] è che si tratti di
una scoperta simultanea da parte di Einstein,
Lorentz e Poincaré, secondo quanto rilevato da Fleck e Robert Merton a proposito
della genesi delle scoperte scientifiche».
Nonostante vivesse in Inghilterra da trent’anni, Giedymin non aveva perso i contatti con
i suoi amici e colleghi in Polonia; là si
trovava al momento della morte. M.Mo.
Interpretazioni ed utopie
della società industriale
La rilettura di alcune teorie della società industriale compiuta da Pietro Rossi in un seminario su: “LA SOCIETÀ INDUSTRIALE FRA INTERPRETAZIONI E UTOPIE”, tenutosi nella sede dell’Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici di Napoli dall’11
al 15 ottobre 1993, ha inteso scoprire
in queste teorie l’intreccio, più o meno
evidente, fra elemento critico, pretese
scientifiche e componente utopistica.
Una vera e propria riflessione sulla rivoluzione industriale, ha esordito Pietro Rossi,
non è rinvenibile nell’economia politica
classica. Di fatto, nelle opere degli economisti classici si trovano davvero pochi esempi riconducibili al modo di produzione industriale, anzi lo stesso termine “industria”
designa qui il lavoro produttivo in generale. L’economia politica classica sembra,
quindi, non essere consapevole della svolta
rivoluzionaria che si veniva compiendo
con la rivoluzione industriale, avendo di
mira una struttura economica non ancora
caratterizzata dal prevalere dell’industria
sull’agricoltura. Affinché tale consapevolezza potesse svilupparsi, ha osservato
Rossi, occorreva un osservatorio diverso
da quello inglese, un luogo dove il ritardo
della penetrazione industriale consentisse
un distacco sufficiente alla riflessione nei
confronti dei fenomeni contemporanei.
Era appunto Saint-Simon in Francia che
teorizzava un nuovo sistema industriale soprattutto nella rivista “L’industria” (1817)
- all’interno di una visione globale della
storia. Al Medioevo, il luogo storico di una
società europea unificata sulla base della
fede cristiana, succede un nuovo sistema
che ha la propria base nei “progressi dell’industria” e nell’alleanza fra la classe
degli industriali e la classe degli scienziati
positivi. Tuttavia il soggetto storico che
segna la transizione dal vecchio al nuovo
sistema, la civiltà dei lumi, provoca la
rovina del primo, ma non è di per sé veicolo
del nuovo. Pertanto, quando Saint-Simon,
nel Catechismo degli industriali (182324), postula una fondamentale comunanza
di interessi fra industriali e lavoratori, l’elemento utopico si mostra del tutto prevalente.
Per Auguste Comte, discepolo e collaboratore di Saint-Simon fino al 1824, compito della nuova società “organica”, ha fatto
notare Rossi, è invece la conciliazione di
ordine e progresso. Ciò che deve distinguere il nuovo ordine da quello vigente nella
società medievale è che esso non può essere imposto, ma deve poggiare sul consenso,
ossia sull’adesione spontanea ad una politica positiva, fondata su di un sapere positivo, sociologico, per sua natura incontrovertibile, in quanto esito finale dello sviluppo storico delle scienze. Ma la nozione
di consenso è di per sé portatrice di una
visione armonicistica della società e postula la convergenza di interessi contrapposti,
per cui Comte, ha rilevato Rossi, posto di
fronte all’esperienza storica dei conflitti di
classe, doveva necessariamente ricondurre,
proiettandole nel futuro, le lotte sociali alla
mancata piena realizzazione della società
organico-industriale e dell’unità del sapere.
Il richiamo, in questo contesto di riflessione, all’opera di Charles Fourier, è da
intendersi, ha precisato Rossi, in chiave
“negativa”. Infatti se è fuor di dubbio che la
sua opera appartenga in toto alla letteratura
utopistica, è vero però che l’utopia fourierana è un’utopia anti-industriale, che postula il carattere transitorio della civiltà a
favore di una società armonica, organizzata per “falangi” e non fondata sulla famiglia, istituzione che è alla base della repressione delle passioni, propria dell’attuale
società commerciale, fonte di nuove servitù personali: l’organizzazione industriale
del lavoro è la forma tipica di un’organizzazione schiavistica; al lavoro coercitivo
bisogna sostituire il “lavoro attraente”.
L’opera di Marx vuole invece delineare,
ha osservato Rossi, una scienza della società che condivide con le concezioni sopra
esposte il carattere di globalità, ma che, a
differenza di queste, vuole porsi come
“scienza” costruita sulla base del confronto
tra forma storica della proprietà, struttura
della società e lotta di classe e sul rapporto
dialettico tra sviluppo delle forze produttive e assetto storico dei rapporti sociali. A
differenza di Saint-Simon e Comte, ha fat65
to notare Rossi, Marx ritiene “scientificamente fondato” parlare di società borghese
più che di società industriale, essendo questa solo una fase, sebbene l’ultima, all’interno del modo di produzione capitalistico.
In Marx quindi, ha concluso Rossi, l’elemento utopico rinasce proprio all’interno
della scienza, nella forma di un’escatologia, ovvero nella scoperta di un fine immanente allo sviluppo storico, consistente
nella riappropriazione da parte dell’uomo
della propria essenza smarrita nel corso
della storia. A.I.
Ragione e ‘Sacre Scritture’
Dal 18 al 22 ottobre 1993, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di
Napoli, Antonio Rotondò ha tenuto un
seminario dal titolo: “SCRITTURE, RAGIONE E STORIA: PRIMI ANNI E PRIMI SCRITTI DI
JOHANN JACOB WETTSTEIN DURANTE IL SUO
(1730-1736)”, che ha
affrontato il controverso problema
della contrapposizione tra Ragione,
intesa come strumento critico e autonomo, e Sacre Scritture; un contrasto
che ha segnato e caratterizzato non
solo la cultura e il mondo cattolico, ma
anche la tradizione protestante più
apparentemente libertaria.
ESILIO IN OLANDA
La questione di un’interpretazione rigorosamente filosofica delle Sacre Scritture è
stata affrontata da Antonio Rotondò prendendo spunto dalle emblematiche vicende
di un’illustre vittima dell’intolleranza religiosa d’oltralpe, Johann Jacob Wettstein,
filologo neo-testamentario, nativo dell’austera Basilea, che nella prima metà del
Settecento intraprese, senza riuscire, una
editio accuratissima del Nuovo Testamento, svincolandosi però dalla versione canonica del Textus Receptus, e che perciò fu
allontanato dalla sua Università, dagli uffici ecclesiastici e infine dal suo paese.
Wettstein intese applicare ai testi sacri tutte
quelle norme filologiche che valevano in
genere per gli altri testi antichi. Ma un
approccio così rigorosamente metodologico al Nuovo Testamento significava metterne in discussione l’autorevolezza, l’intoccabilità. Secondo Wettstein, ha fatto
rilevare Rotondò, il filologo doveva avere
come obiettivo primario la restituzione del
testo alla sua originalità, lavorando ope
codicum, vale a dire collazzionando, confrontando le diverse lectiones che i codici
offrivano e preferendo sempre quella difficilior, perché probabilmente la meno emendata e dunque più vicina al testo originale.
Ma il filologo doveva operare anche ope
ingenii, elaborando congetture, che in quanto tali andavano accettate con estrema prudenza, ma con la medesima cautela rigettate, e soprattutto - nodo cruciale - tra due
lezioni, quella che sembrava più ortodossa,
CONVEGNI E SEMINARI
nel senso che collimava meglio col dogma
religioso, non era per questo da preferire a
priori.
Immediata fu la reazione del Convegnus
Theologicus, l’organismo che potremmo
paragonare alla S. Inquisizione e che vegliava sull’ortodossia religiosa degli insegnanti. Wettstein fu messo sotto processo,
destituito dal suo incarico all’Università
di Basilea e sospeso dalle sue funzioni
ecclesiastiche. A condannarlo, ha rilevato
Rotondò, non fu solo il potere religioso,
ma anche quello politico e sociale. Infatti
Wettstein, inficiando la validità del testo
canonico, metteva in forse anche l’ordine
e la stabilità sociali che ad esso si riferivano. Così, privato anche dell’onore cittadino, Wettstein fu costretto a riparare in
Olanda dove egli credeva di poter continuare il suo lavoro e darlo finalmente alle
stampe. Ma anche nella tollerantissima
Amsterdam, dove tutto, o quasi tutto, poteva essere editato, egli venne dapprima
ignorato e in seguito deluso nelle sue aspettative. Infatti, quando nel 1731 videro finalmente la luce i Prolegomena, nei quali
Wettstein illustrava esclusivamente i criteri che intendeva seguire, le autorità religiose riuscirono a bloccare il seguito della
pubblicazione e nessun editore fu più disposto a pubblicare clandestinamente
l’opera. Solo nel 1831, ha sottolineato
Rotondò, Karl Lachmann riuscì a curare
un’edizione del Nuovo Testamento, rinnovando i criteri filologici; fino ad allora,
tutti quelli che, come Wettstein, tentarono
di anticipare i tempi, rimasero bloccati ai
Prolegomena.
Ad Amsterdam Wettstein riuscì alla fine ad
inserirsi faticosamente nel mondo accademico; la reazione sdegnata di alcuni calvinisti non tardò tuttavia a farsi sentire, esigendo una completa riabilitazione dello
studioso in patria. Cosicché Wettstein dovette ritornare a Basilea e sottoporsi ad un
secondo giudizio, ottenendo piena riabilitazione da parte del Senato, ma non dalla
Chiesa. In Olanda questa riabilitazione non
parve tuttavia sufficiente e Wettstein ebbe
il permesso di insegnare all’Università a
patto che non si interessasse di testi sacri.
Dal 1736 lavorò silenziosamente alla raccolta di codici e testi che culminò nel 1751
con la pubblicazione di un’edizione del
Textus Receptus. D.T.
Sociologia del tempo
Dal 26 al 29 ottobre 1993, presso
l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, Giovanni Gasparini
ha tenuto un seminario dal titolo:
“QUATTRO MEDITAZIONI SOCIOLOGICHE SUL
TEMPO ”, in cui il concetto di tempo è
stato analizzato a partire dai presupposti socio-culturali che da sempre
condizionano la sua determinazione.
Giovanni Gasparini ha esordito facendo
rilevare che Durkheim fu il primo, insieme al suo allievo Henri Hubert, a riflettere
sul tempo come creazione socio-culturale,
esaminando la distinzione tra tempo quantitativo e tempo qualitativo.
Una prima considerazione sulla dimensione sociale del tempo riguarda, secondo
Gasparini, la sua collocazione tra natura e
cultura. Il tempo naturale coincide con quello astronomico, sul quale è modellato a sua
volta il tempo dell’orologio; fisicamente il
tempo è una grandezza definita solo relativamente, a seconda del metodo usato per la sua
misurazione. Alcune scansioni temporali si
rifanno chiaramente a fenomeni naturali periodici; altre sono invece di origine culturale.
Il tempo sociale, ha osservato Gasparini, è
una mediazione tra tempo individuale, infinitamente piccolo, e tempo naturale, infinitamente grande, al fine di “addomesticare” il tempo, di far sì che l’uomo possa
controllarlo, se non dominarlo. Primo strumento ideato a tale scopo fu il calendario:
la ripetizione ciclica del tempo sacro consentiva infatti di governarlo meglio. Ciò
apre alla considerazione del rapporto tempo-potere. Chi, infatti, regola il tempo,
rendendocene più o meno schiavi? La natura, la società? Secondo Lewis Mumford,
simbolo dell’era industriale non è la macchina a vapore, bensì l’orologio. In Cina,
ha fatto notare Gasparini, ogni nuovo imperatore dava inizio ad una nuova epoca;
era lui il “signore del tempo”, e a questo
riguardo i sudditi erano totalmente suoi
schiavi. Anche il governo rivoluzionario francese cercò di imporre un nuovo calendario
che fosse, secondo lo spirito dei tempi, più
razionale; fu questo il primo tentativo di
calendario perpetuo, in cui la successione dei
giorni era identica anno dopo anno.
Tra gli ultimi decenni dell’800 e la prima
guerra mondiale, cambia, secondo Gasparini, la concezione del tempo, perché cambia il rapporto tra tempo e spazio grazie
soprattutto a innovazioni tecniche quali
l’aereo, il telegrafo senza fili, il cinematografo, il telefono, la bicicletta, che portano
ad un “restringimento” dello spazio, e conseguentemente a una concezione del mondo come “villaggio globale”. Le manifestazioni culturali più eclatanti di questa diversa concezione sono, in pittura, l’astrattismo, il cubismo; in letteratura, le opere di
Proust e Joyce. Una conseguenza pratica di
tale diverso rapporto spazio-tempo fu invece l’introduzione dei fusi orari. Mentre il
centro nodale della dimensione spazio-tempo divenne la città, la metropoli post-industriale; suo aspetto fondamentale fu proprio quello di occupare uno spazio unico,
caratterizzato dalla centralità. La vita urbana
si svolge ora sotto il segno della sincronizzazione, che permette ad ognuno di ricoprire
giorno per giorno il proprio ruolo sociale.
Una terza considerazione, proposta da Gasparini, ha riguardato il tempo “debole”,
“interstiziale”: il tempo dell’attesa, che
mette in luce l’importanza sociologica di
66
fenomeni apparentemente marginali.
Aspettare qualcuno, per esempio, è anche
aspettarsi che questa persona arrivi, cioè
prevedere l’incontro, farci assegnamento,
magari con timore e speranza. Un tipo
particolare di attesa, fondamentale per la
sociologia, è l’aspettativa connessa al ruolo che ciascuno ricopre, a ciò che ci si aspetta
che gli altri facciano, relativamente ai ruoli
che vengono ad assumere. Da menzionare
infine, ha aggiunto Gasparini, l’importanza
dell’attesa nel tempo sacro: l’Avvento, la
Vigilia, l’attesa del ritorno di Cristo.
Un’ultima considerazione sollevata da
Gasparini ha riguardato il tempo come valore. Una regolamentazione dell’uso del
tempo si può far risalire in Occidente alla
regola monastica di San Benedetto, ora et
labora, con la definizione delle sette ore
canoniche per la preghiera. Un’espressione ricorrente riguardo al valore del tempo,
che si fa risalire a Benjamin Franklin, è
invece che “il tempo è denaro”, per cui la
nostra cultura giudica negativamente il
“perdere tempo”, ed è orientata piuttosto
alla velocizzazione, alla programmazione.
Fondamentale a tale proposito anche la
teoria marxiana, con la catena tempo-produzione-plusvalore. In tal senso Richard
Hall, ha osservato Gasparini, ha proposto
una distinzione tra tempo monocrono, ovvero specializzato, in cui si fa, generalmente, una cosa per volta, proprio delle società
occidentali, o meglio industrializzate (il
Giappone ad esempio è riuscito ad integrare la propria cultura tradizionale con quella
occidentale, esasperando anzi l’ottimizzazione dell’uso del tempo), e tempo policrono, tipico del Vicino e Medio Oriente, nel
quale si svolgono contemporaneamente
diverse attività. M.Ga.
Antropologia filosofica
del Novecento
Jan Sperna Weiland ha tenuto presso
l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli dal 4 all’8 ottobre 1993 un
seminario di studio su ”L’ANTROPOLOGIA
FILOSOFICA DEL NOVECENTO”. Il fascino dell’antropologia filosofica consiste nel
legame tra teoria e prassi sociale e
politica. Alla luce di una tale affermazione, Sperna Weiland passa in rassegna la filosofia utopica e della speranza di E. Bloch, le forme elementari
dell’esistenza proposte da L. Binswanger, la filosofia della svolta di M.
Heidegger, le tematiche dell’esistenzialismo e del marxismo di J. P. Sartre
e quelle di umanesimo e terrore di
M.Merleau-Ponty.
Secondo Jan Sperna Weiland, Bloch ha
assimilato il pensiero della sinistra hegeliana, cioè di Feurbach e Marx, già a partire
dallo Spirito dell’utopia (1918-23); subito
CONVEGNI E SEMINARI
dopo la rivoluzione russa di ottobre, egli
tuttavia critica Marx di non chiarire la
proporzione tra l’ “interazione”, come
momento volontaristico, e l’ “idea”, come
momento quasi provvidenziale e panlogistico, che caratterizzano il divenire storico,
facendo del processo di produzione una
sorta di panteismo-misticismo simile all’Idea di Hegel che spiega tutto, perfino le
irrazionalità della storia come la religione.
Secondo Bloch, ha fatto notare Sperna
Weiland, nella storia nulla è deciso in anticipo; moltissimo dipende dalla determinazione, dalla risolutezza, dal coraggio del
soggetto.
Sperna Weiland ha descritto l’uomo blochiano del Principio speranza (1954-59)
come un essere di possibilità; le volontà
associate degli uomini determinano lo sviluppo storico; come passaggio dalla possibilità reale alla realtà. La “scontentezza”
genera nell’uomo i “sogni del giorno”, che
non si rivolgono al passato, ma all’avvenire. La Speranza muove l’uomo a cambiare
il suo mondo, lottando contro l’avversità
sorda della realtà, l’emergere della sfera
dell’effettività del male. Scienza e filosofia, ha osservato Sperna Weiland, hanno
l’obbligo per Bloch di istruire la Speranza,
rendendola “docta”, cioè in grado di scegliere coraggiosamente il possibile reale al
momento giusto, cioè allorquando si realizza una coincidenza felice degli sforzi
dell’uomo con una tendenza della realtà.
La Speranza diviene così principio della
vita umana.
Il lavoro filosofico di Binswanger, secondo Sperna Weiland, è vicino alla filosofia
della speranza di Bloch per il tentativo di
recupero dell’essenza dell’uomo. La filosofia di Binswanger è una sorta di descrizione fenomenologica dell’essere umano,
una psicologia con fondamenti antropologici. Per Binswanger la verità dell’uomo
consiste nell’essere nel mondo al di là del
mondo, attraverso un tentativo di conciliare la storicità dell’aver cura con l’eternità
dell’amore.
L’importanza del lavoro di Binswanger, ha
osservato Sperna Weiland, deve essere rintracciata nella critica che questi muove
all’ontologia heideggeriana di Essere e
Tempo, che al di là dell’importanza della
coincidenza dell’essere dell’esserci con
l’aver cura, ha trascurato la struttura fondamentale propria dell’esserci, lo stare insieme nell’amicizia e nell’amore. Se per
Heidegger l’aver cura rappresenta l’essere-nel-mondo, per Binswanger l’amore rappresenta l’essere-a-casa in un modo ancor
più originario.
Sperna Weiland ha fatto notare che se Essere e Tempo (1927 rappresenta il pensiero
che sta abbandonando la soggettività, negli
scritti successivi di Heidegger il pensiero si
trova difronte la soggettività risoluta della
tecnica. In Sentieri interrotti (1950)
Heidegger afferma che l’uomo della tecnica si distacca dall’Aperto (con chiaro riferimento a Rilke) e si volge verso il mondo
Ernst Bloch, Jean-Paul Sartre, Martin Heidegger
67
CONVEGNI E SEMINARI
per costruirlo tecnicamente, illudendosi di
esserne il soggetto; in realtà ne è solo un
funzionario; il vero soggetto del mondo
della tecnica è la tecnica stessa. L’uomo
tecnico si procura la morte per l’incondizionatezza del suo puro volere violentemente la tecnica, nell’illusione di generare
non distruzione, ma vita e pace. Ma l’uomo
tecnico, ha osservato Sperna Weiland, è
costretto ad essere nel mondo della tecnica
senza illusioni. Per Heidegger solo il pensiero meditativo (Sperna Weiland lo ha
chiamato “contemplativo”), che si contrappone al pensiero calcolante del funzionario
della tecnica, consente di trovare nel mondo chiuso della tecnica il sentiero, la traccia
verso l’essere e, nell’abbandono a questo,
l’umanità dell’uomo: la dimenticanza dell’essere è la dimensione della disumanità
dell’uomo tecnico.
Nella filosofia sartriana, ha proseguito
Sperna Weiland, non c’è una svolta dall’esistenzialismo al marxismo senza soluzione di continuità. Sartre dice “si” alla
rivoluzione, intesa come liberazione di
coloro che nella lotta di classe sono avviliti, ma dice “no” alla teoria-prassi della
rivoluzione. Dopo l’ontologia fenomenologica dell’Essere e il nulla (1943), Sartre
progetta una antropologia che sia al contempo storica e strutturale, tale, però, da
superare l’Antropologia strutturale (1958)
di C. Lévi-Strauss, che per Sartre rappresenta la negazione di ciò che è al centro del
suo filosofare, anche nella Critica della
ragione dialettica (1960), cioè il progetto,
la libertà, il farsi dell’uomo attraverso il
suo progetto. Già nell’Essere e il nulla, ha
fatto notare Sperna Weiland, Sartre adopera il termine struttura; ma per realizzare
un’antropologia strutturale e storica, Sartre
ha bisogno di un congiungimento della
struttura dell’essere per-sé, descritta nell’Essere e il nulla, con la filosofia della
storia del marxismo, che è almeno, implicitamente, anche un’antropologia. Sartre
infatti considera il marxismo l’unica filosofia vivente, l’orizzonte di ogni cultura;
solo che considera l’uomo, la materialità
della sua condizione, il lavoro come dialettica di appropriazione e alienazione, la
lotta di classe, la solidarietà operaia sempre astrattamente e trascuratamente, dimenticando, soprattutto, la concretezza e
la singolarità dell’uomo. La sola ragione
per cui Sartre ha ricercato un accordo col
marxismo, ha osservato Sperna Weiland,
sta nel fatto che il marxismo si è presentato
come il movimento della rivoluzione, della liberazione, dell’utopia di un mondo, in
cui l’uomo sarà uomo in tutta la sua complessità e totalità.
Meglio di Sartre, Merleau-Ponty, secondo Sperna Weiland, ha visto l’ambiguità e
la contingenza dell’esistenza. Nel visibile
sussiste l’invisibile; l’esistenza è un chiaro-scuro, ma, tuttavia, è pervasa dalla libertà, condizione necessaria per essere un
eroe. L’eroe che Merleau-Ponty descrive
in Senso e non-senso(1948) non è un Luci-
fero, né un Prometeo, né uno Spartaco;
semplicemente rischia la vita senza potersi riferire ad un assoluto come la patria, la
lotta della classe operaia, Dio. L’eroe di
Merleau-Pontyu non è neppure Sisifo, perché il mondo di Merleau-Ponty non è “assurdo”; se esiste un non-senso è anche
grazie ad un senso. Ciò che spinge l’eroe ad
agire è la “fede”, non verso degli assoluti,
appunto, ma verso il movimento naturale
che ci getta verso le cose e verso gli altri.
La “guerra fredda”, nel momento storico
durante il quale Merleau-Ponty scrive
Umanesimo e terrore (1947), è avvertita da
questi come l’irrompere di una estrema
irrazionalità nella storia, contro la quale
l’intellettuale è impotente. Umanesimo e
terrore divengono, per Merleau-Ponty, prerogative sia dell’Occidente, sia dell’Unione Sovietica; in entrambi gli schieramenti
la “guerra fredda” ha impedito la realizzazione storica dei valori umani. Con MerleauPonty, anche Sperna Weiland ha ribadito
che l’unico modo per raggiungere la libertà
è semplicemente “comprendere”. Purtroppo gli uomini non posseggono tale volontà
ed è, perciò, difficile tradurre la razionalità
del comprendere nella prassi politica di
ogni epoca storica. Anche se nella storia
tutto è bene e nello stesso tempo male, per
Merleau-Ponty l’uomo non deve essere
solo spettatore della propria vita, ma ha
l’obbligo morale di dover scegliere responsabilmente e dignitosamente, secondo quella “fede” naturale che ci getta verso le cose
e verso gli altri. P.S.
L’impersonale
Come ideale prosecuzione e approfondimento del convegno tenutosi lo
scorso anno sul tema ”LA PERSONA E LE
SUE IMMAGINI”, organizzato dalla cattedra di Filosofia Morale in collaborazione con il Dipartimento di Ricerche
Filosofiche dell’Università di Roma
“Tor vergata”, quest’anno tema del
convegno è stato ”L’IMPERSONALE. STATUTO ONTOLOGICO , STRUTTURE CONOSCITIVE, PROBLEMATICHE MORALI”, svoltosi nei
giorni 21-22-23 ottobre 1993 presso
l’Università di Roma “Tor Vergata”,
che ha costituito l’occasione per riflettere su quest’insolita problematica, per certi versi opposta e speculare a quella della persona, eppure
ad essa complementare, contigua,
adiacente.
Un primo significativo contributo alla definizione dello statuto ontologico dell’impersonale è venuto dalla relazione di Carlo Sini, il quale ha individuato nel pensiero
di Spinoza, e nell’Ethica in particolare, la
prima grande sistemazione teoretica di una
moderna filosofia dell’impersonale, per la
sua negazione di ogni sostanzialità degli
68
individui (i modi), cui si sono in seguito
richiamati i due “maestri del sospetto”,
Nietzsche e Freud. Facendo inoltre riferimento alle riflessoini di Levinas e Blanchot, Sini ha rilevato che un’ontologia
dell’impersonale è possibile a partire
dalla differenza, differenza dell’(dall’)
altro, ontologicamente costitutiva, assunta come criterio ermeneutico di per
sè indeducibile.
Franco Chiereghin, distinguendo tre forme diverse in cui la persona incontra l’impersonale, - impersonale “dentro” di noi,
connesso alle categorie dell’agire, l’istinto, “fuori” di noi, il mondo esterno, la
natura, e “sopra” o “dopo” di noi, che
chiama in gioco il motivo della libertà - ha
sottolineato le difficoltà del tentativo di un
completo autopossesso della persona e
quindi le ragioni di una rinuncia ad una
soggettività di tipo soverchiante. In effetti,
pensare fino in fondo l’impersonale, ha
osservato Armando Rigobello, significa
ripensare in profondità la persona stessa
nel suo concreto esercizio, in cui personale
e impersonale interagiscono, richiamando
ad una autenticità morale che vive la differenza come “estraneità interiore” e che
sottrae, da un lato, la persona ad un soggettivismo esasperato e, dall’altro, l’impersonale ad un mero formalismo ontologico.
Questa visione dell’impersonale come condizione e componente essenziale della persona è stata richiamata pure da Marco
Olivetti, che si è soffermato sulla forma
grammaticale della “terza persona”, che
rappresenta uno dei modi in cui è possibile pensare e dire l’impersonale, dove
l’altro rappresenta l’istanza ultima del
mio dovere.
Intervenendo sul piano morale, Giuseppe
Riconda ha parlato di un’ermeneutica dell’esperienza religiosa che fornisce il criterio interpretativo della vita morale e insieme di un personalismo ontologico ed escatologico. In direzione opposta si è invece
espresso Eugenio Lecaldano, il quale,
negando la possibilità di un’etica personalistica e un concetto di persona fondato sia
ontologicamente che metafisicamente, ha
sostenuto un’etica laica centrata sulla nozione di individuo in cui l’impersonale
funziona come da guida per una comprensione razionale dell’esistenza. Sulla necessità e l’insufficienza di un’etica dell’impersonale ha poi riflettuto Aldo Zanardo, sollevando il problema di quell’insieme di realtà che non giungono ad essere
persona e che tuttavia chiamano la persona
stessa ad una serie di obblighi etici. In
direzione di una messa in questione dell’io
personale come completo autopossesso si
è pure svolta la relazione di Ugo Perone,
che ha ripreso l’idea dell’impersonale come
differenza, limite, che l’io, il soggetto porta con sé al proprio interno come elemento che rompe la propria compiuta
totalità.Il convegno si è concluso con
una discussione generale sul tema, coordinata da Pietro de Vitiis. G.P.
CONVEGNI E SEMINARI
Rosmini, filosofo del cuore?
L’interrogativo di Romano Guardini,
“ANTONIO ROSMINI, FILOSOFO DEL CUORE?”,
ha dato il titolo al IV Convegno Internazionale di Studi Rosminiani, organizzato dall’Istituto di Scienze Religiose di Trento e svoltosi dal 6 all’8 ottobre 1993 a Rovereto. Il convegno ha in
particolare messo in evidenza la molteplicità di letture che la filosofia
di Rosmini lascia intravedere nel panorama filosofico contemporaneo.
Una storia della theologia e della philosophia cordis nel pensiero occidentale nel
periodo antecedente e anche successivo
all’opera di Antonio Rosmini, è ciò che è
emerso nelle tre giornate del Convegno di
Rovereto, dedicato al filosofo. Una prima
parte del Convegno dedicata all’analisi della
tradizione classica e medievale della “filosofia del cuore”, ha visto interventi di Giovanni Pozzi, di Giovanni Reale e di Tomas Spidlik. Dall’iniziale centralità della
metafora del cuore, sede contemporaneamente di vita biologica e culturale nella
tradizione semitica e biblica, e ravvisata
nella diade anima/spirito della classicità
greca e romana, si è passati poi alla perdita
di senso e alla sfumatura semantica leggermente negativa che emerge dalla lettura
evangelica di Paolo. Il recupero agostiniano della metafora nel suo valore integrale,
la centralità della pietas cristiana nella mistica medievale, ha puntualizzato Pozzi,
hanno segnalo l’evoluzione storica e iconografica del simbolo “cuore”: da un lato è
per sineddoche la parte per il tutto, il referente unico per tutta la persona (anche
quella del Cristo), dall’altro rappresenta il
polo oppositivo - debole - nell’antitesi sentimento/intelletto. Nella Patristica, ha poi
sottolineato Spidlik, la dicotomia netta fra
la conoscenza intellettuale e quella sentimentale segnala, in qualche modo, la presenza di una meta-metafisica che assicura
al cuore il dominio della (...) di contro alla
priorità del visum intellectuale, della (...)
che lega alla visibilità del dato la possibilità
di garantirsi della sua efficacia.
A questo punto sembrerebbe dunque segnata la data d’inizio della theologia cordis nella filosofia occidentale. Eppure,
come ha rilevato Giovanni Reale nel Simposio platonico eros e ascesi si compenetrano e diventano perciò il segno dell’indissolubilità di amore e conoscenza. «Io
amo ciò che conosco»: dalla lezione platonica, Galilei e la filosofia dell’età moderna
recuperano questa valenza del sapere. E
proprio nel 1600, secolo tradizionalmente
d’esprit, troverà largo seguito quella “teologia del cuore” che in autori come Pascal,
Condren, Bérulle è presente e sempre molto
variamente.
Nella seconda parte del Convegno, l’intervento di Benedetta Papasogli e il contributo di Denise Leduc-Fayette hanno sottolineato la presenza di una serie di antitesi
descrittice, intérieur/éxterieur, surface/profondeur, che ravvisano nel cuore il luogo
della coscienza, dell’anima fragile ma capace di ascoltare Dio. Nel puntualizzare
ulteriormente la profonda attualità dell’
“etica del cuore” rosminiana, Antonio
Autiero ha posto l’accento sulla grande
complessità del panorama etico contemporaneo, ricco di spunti alternativi all’ideale
razionalistico e formalista della prassi dell’autonomia. Il programma etico nella riflessione di Rosmini diventa dunque programma politico, come ha ricordato Michele Nicoletti, presentandosi fondamentalmente come programma pedagogico.
Nella terza parte del convegno, questo tema
è stato ampiamente dibattuto. L’esistenza è
infatti imago cordis: il cuore è l’elemento
decisivo nell’educazione dell’individuo,
che solo modellando la sua più intima natura, la propria interiorità può giungere a
completa armonia con l’universo, con l’Essere delle cose. M.P.R.
Filosofia e religione in Pareyson
A poco più di tre anni dalla scomparsa
di Luigi Pareyson, il Dipartimento di
Filosofia e Scienze Umane dell’Università di Macerata ha colto l’occasione per ritornare sugli stimolanti percorsi della riflessione di Pareyson nel
VI ”COLLOQUIO SU FILOSOFIA E RELIGIONE”,
tenutosi dal 7 al 9 ottobre 1993 nell’Antica Biblioteca dell’Università.
A dire il vero, il convegno di Macerata ha
inteso riferirsi a Luigi Pareyson con lo
scopo di riproporre il tema del rapporto tra
filosofia ed esperienza religiosa attraverso
la riconsiderazione di alcuni autori della
tradizione filosofica che hanno svolto un
ruolo decisivo all’interno del pensiero pareysoniano. Così a Pascal è stata dedicata la
relazione di Adriano Bausola, a Schelling
quella di Xavier Tiliette, a Kierkegaard
quella di Vittorio Melchiorre; mentre
Reinhardt Lauth ha affrontato Dostoevskij,
altro autore molto caro a Pareyson.
La relazione introduttiva su “Filosofia ed
ermeneutica dell’esperienza religiosa in
Luigi Pareyson” è stata presentata da Giedymin Ferretti, che ha ripercorso l’itinerario intellettuale di Pareyson, evidenziandone la nuova fase di sviluppo a partire dal
saggio pubblicato nel 1985, che ha dato il
titolo al convegno marchigiano. La svolta,
ha osservato Ferretti, era già stata annunciata alla metà degli anni ’70, quando
Pareyson, sviluppando la propria adesione
all’esistenzialismo, indicava il nuovo programma da svolgere nei termini di ontologia della libertà. L’esistenzialismo di
Pareyson prende le mosse dalla costatazione della dissoluzione dell’hegelismo e dalla critica all’idea della verità come totalità
e della complementarietà-implicanza di fi69
nito e infinito. Attraverso il decisivo contributo offerto da Kierkegaard e da Feuerbach, Pareyson riconosce nella filosofia
hegeliana «la conciliazione di finito e infinito dal punto di vista dell’infinito, sì che il
finito è negato nell’infinito e dall’infinito».
Sussisterebbe così «un nesso necessario e
inseparabile di finito e infinito, in tal modo
considerati come complementari, nel senso che la somma della loro realtà è una
costante».
Ricostruendo criticamente la riflessione
del filosofo danese, l’intervento di Virgilio Melchiorre su “Filosofia ed esperienza religiosa in Kierkegaard” ha lasciato
intravedere nella radicale rottura tra finito
e infinito, nell’impraticabilità di ogni analogia entis, un limite riconducibile al rifiuto kierkegaardiano di ogni “mediazione”
in senso hegeliano. Kierkegaard tuttavia,
a giudizio di Melchiorre, non potrebbe
sostenere il suo discorso se non supponendo «almeno in linea di principio un rapporto analogico» (tra finito e infinito). In ciò
risiederebbe anche la verità della critica
di Pareyson a Kierkegaard, per il quale
l’insistenza sulla separazione tra finito e
infinito, tuttavia, rimarrebbe pur sempre
all’interno dell’orizzonte hegeliano proprio laddove si considera il finito come
“negazione”.
In realtà finito e infinito non sono né conciliabili, né separati: Pareyson invita a pensarli come incommensurabili. Il finito si
presenta infatti «come insufficiente, ma
non negativo, e come positivo, ma non
sufficiente». Il finito trova nell’infinito il
suo fondamento trascendente e ne implica
la positiva affermazione. Ne consegue che
la filosofia come opera dell’uomo non potrà definirsi che come analisi riflessiva,
come interpretazione dell’esistenza: l’essere infatti è dato all’uomo non come oggetto postogli di fronte, ma solo in quell’apertura all’essere che l’uomo stesso è.
L’essere è inogettivabile, presente nel rapporto solo come irriducibile e inconfigurabile e l’uomo stabilisce un rapporto con
l’essere «in quanto egli è costitutivamente
questo rapporto stesso: l’uomo non ha, ma
è rapporto con l’essere».
Situandosi all’incrocio tra crisi dell’hegelismo e ripresa teoretica, la riflessione di
Pareyson, però, pone addirittura come pregiudiziale la decisione per o contro il cristianesimo, una volta rivelatasi impraticabile la strada hegeliana. Il contributo di
Ferretti ha lucidamente posto in evidenza
la portata non solo religiosa, ma squisitamente filosofica dell’alternativa, che si risolve in Pareyson in una dichiarazione esplicita di cristianesimo. Si rivelerebbe così
una struttura teologica del filosofare di
Pareyson, che nella considerazione del cristianesimo come “fatto esterno”, non coincidente con nessuna delle sue realizzazioni
storiche, è in grado di problematizzarle e
nuovamente produrle.
Ma la svolta nel pensiero di Pareyson prende anche le mosse da una più intensa con-
CONVEGNI E SEMINARI
CONVEGNI E SEMINARI
siderazione del problema del male, della
libertà e di Dio. L’incontro con Dostoevskij, Schelling, Pascal, Plotino, ma anche
con Eckart e Silesius, come la relazione
Xavier Tiliette, “Filosofia ed esperienza
religiosa in Schelling”, ha mostrato, porta
il tragico del cristianesimo “all’incandescenza”. Tilliette ha richiamato la continua
ispirazione di Pareyson a Schelling, soprattutto per quanto concerne i temi dello
scontro tra bene e male, della creazione
attraversata dal non essere e resa fragile dal
ritrarsi di Dio.
La lezione di Pascal è stata invece richiamata da Adriano Bausola nella sua relazione “Filosofia ed esperienza religiosa in
Pascal”. Ricordando le vicende dell’interpretazione recente, che tendono a leggere
Pascal in chiave di scetticismo o di tragicità, Bausola ha suggerito una considerazione più sfumata dell’alternativa fede-ragione, che un Pascal troppo giansenista sembra supporre. Il tema della “scommessa”
non sembrerebbe infatti escludere l’idea
che «l’uomo possa fare qualcosa per la
propria salvezza anche al di fuori della
grazia».
Quanto al male, la nota dominante di
Pareyson, che in questo riconosce una certa
plausibilità del manicheismo, intende sottolinearne la positiva realtà. Il male non è
assenza di essere, ma “positiva negazione”, che si determina nell’esercizio della
libertà. E davanti a Dio, libertà e male
svelano il volto tragico dell’esistenza. In
questa prospettiva, come ha rilevato
Reinhardt Lauth nella sua relazione “Innocenza e colpa della donna”, la lezione di
Dostoevskij appare in tutta la sua potenza
laddove questi, affrontando direttamente il
paradosso scandaloso della sofferenza innocente, offre una risposta cristologica
ponendo nella figura e nella realtà di Cristo
il riscatto dal peccato dell’uomo. Tramite
Dostoevskij, la sofferenza è in tal modo
portata in Dio, così che la sua stessa natura
è da intendersi dialetticamente, in quanto il
dissidio per cui Dio si nega in se stesso è
posto in Dio stesso.
Si giunge così alla vera e propria svolta di
Pareyson. Dio si rivela anzitutto come libertà: Egli è perché lo vuole, e in ciò non è
riscontrabile alcuna necessità. Ma poiché
Egli liberamente vuole essere, ne deriva
che nello stesso momento il non essere, il
male viene scartato. All’interno della stessa alternativa che Dio ha posto si trova
situato l’uomo: nella realtà della vicenda
della caduta originaria l’uomo non ha fatto
che sostituirsi a Dio, scegliendo ciò che
Dio aveva rifiutato. Dalla concezione di
Dio e della realtà come libertà deriva ora in
Pareyson l’idea della filosofia come ermeneutica del mito, così che filosofia della
libertà ed ermeneutica religiosa reciprocamente si giustificano. G.T.
70
CALENDARIO
CALENDARIO
L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, in collaborazione
con l’Università della Calabria - Facoltà di Lettere e Filosofia, ha organizzato per il giorno 4 marzo 1994
una lezione di H.-G. Gadamer su: Il
futuro dell’Europa e il problema
della molteplicità delle lingue.
La presentazione è stata affidata a G.
Vattimo.
● Informazioni: Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici, via Monte di Dio
14, 80132 Napoli.
Il 7 marzo 1994, l’Università degli
Studi di Messina, in collaborazione
con l’Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici di Napoli e l’Accademia
Peloritana dei Pericolanti, ha organizzato una conferenza di H.-G.
Gadamer sul tema: La filosofia nell’età della tecnica.
● Informazioni: Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici, via Monte di Dio
14, 80132 Napoli.
Il Goethe-Institut di Roma, in collaborazione con il Dipartimento di Filosofia della III Università degli Studi di Roma e l’Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici di Napoli, ha organizzato nei giorni 16 e 18 marzo 1994
due incontri con H.-G. Gadamer: 16
marzo, Il pluralismo linguistico
dell’Europa e il suo futuro, conferenza introdotta da V. Verra; 18 marzo, discussione con F. Bianco, M.
Freschi, G. Marramao e V. Verra sul
tema: Ermeneutica come metodologia delle scienze o come filosofia? Per l’occasione è stato presenta-
to il volume Beiträge zur Hermeneutik aus Italien, a cura di F. Bianco
(Alber-Verlag, Freiburg-München
1993).
Sempre grazie alla collaborazione tra
il Goethe-Institut di Roma e la III
Università degli Studi di Roma, il 24
e il 25 marzo 1994 ha avuto luogo un
Convegno internazionale su: Il ritorno del mito nella società e nella
cultura del Novecento. Il calenda-
rio dei lavori è stato il seguente: 24
marzo, A. Schmidt: “Grundmuster
der aufklärerischen Kritik des Mythos
(Modelli della critica illuministica del
mito); S. Givone: “Mito e poesia”; R.
Mate: “Polimitismo, filosofia, religione”; H. R. Jauss: “Miti dell’inizio.
Una nostalgia segreta dell’Illumini-
70
smo”; M. Freschi: “Il risveglio di
Odino: Neopaganesimo nella letteratura tedesca degli anni Trenta”; W.
Menninghaus: “Chaos- Mytologie in
Romantik und Moderne (Caos - Mitologia nel Romanticismo e nel Moderno). 25 marzo, G. Marramao: “Il
mito dello stato: una ridefinizione del
tema”; K.-H. Bohrer: “Progetti del
moderno, tabù del Moderno. Le condizioni di una possibile attualizzazione del mito”; P. De Nardis: “Le nuove
mitologie nella coscienza sociologica del Novecento”; R. Vogt: “Teoria
e metodo dell’interpretazione psicoanalitica dei miti”; A. Carotenuto:
“La realtà psicologica del mito”.
● Informazioni: Goethe-Institut
Rom, via Savoia 15, 00100 Roma.
In occasione della pubblicazione del
volume Negli specchi dell’Essere.
Saggi sulla filosofia di MerleauPonty, a cura di M. Carbone e C.
Fontana (Hestia Edizioni), il 17 marzo 1994, presso la Sala Incontri I.S.U.,
si è svolta una conversazione con M.
Carbone, E. Franzini, P. A. Rovatti e
C. Sini su: Il pensiero dell’ultimo
Merleau-Ponty.
● Informazioni: I.S.U., corso di
Porta Romana 19, 20100 Milano.
In occasione dell’inaugurazione della Scuola di Lessicografia ed Ermeneutica tomistica computerizzata, fondata da Padre Roberto Busa, la Pontificia Università Gregoriana - Facoltà
di Filosofia, ha organizzato, nei giorni 17 e 18 marzo 1994, una conferenza su: Computer, Parola, Pensiero.
Questo il calendario degli interventi:
17 marzo, R. Busa: “Recenti conquiste di lessicologia computerizzata:
censimenti delle eterogeneità delle
parole dell’Index Thomisticus e delle
loro strutture. Saggi di metodo”; Tavola rotonda con la partecipazione di
J. Berleuer, U. Berni Canani, V. Cappelletti, G. Cottier, J. Hamesse e G.
Salvini. 18 marzo: A. Bartola: “Fabula, integumentum e involucrum
nella tradizione latina medievale fino
ad Alano di Lilla. Dal mito pagano
alla verità filosofica”; A. Di Maio:
“Communico e communicatio in Tommaso d’Aquino. Analisi lessicale e
dottrinale”; E. Portalupi: “L’uso dell’
Index Thomisticus nello studio delle
fonti di Tommaso d’Aquino. Consi-
CALENDARIO
derazioni generali e questioni di metodo”; R. Quinto: “Una data-base per
le questiones medievali. Il catalogo
delle questiones theologiae di Stefano Langton”; T. Sterli: “L’elaborazione elettronica della Tabula Aurea
di Pietro da Bergamo”; F. Antonacci:
“Computer e analisi testuale”; A.
Labella: “Analisi e generazione di un
testo musicale: una proposta”.
● Informazioni: Pontificia Università Gregoriana, piazza della Pilotta
4, 00187 Roma, tel. 06/67011.
Il Centro Studi Religiosi della Fondazione Collegio San Carlo di Modena
ha organizzato un Seminario di studio, svoltosi nei mesi di marzo e aprile 1994, dal titolo: Islam e modernità. Questo il calendario degli incontri: 10 marzo, P. Branca: “Movimenti
e figure dell’Islam moderno”; 21
marzo, F. Khaled Allam: “Letture
dell’Islam contemporaneo”; 28 marzo, R. Aluffi: “La donna nella famiglia islamica fra tradizione e modernità”; 11 aprile, D. Atighetchi: “Elementi di bioetica nell’Islam”; 18 aprile, S. Allievi: “Il ritorno dell’Islam. I
musulmani in Italia”.
Sempre organizzato dal Centro Studi
Religiosi, il 10 maggio 1994 si tiene
un pomeriggio di studio sul tema: La
Chiesa di fronte al mondo. A
trent’anni dalla ‘Gaudium et spes’,
con la partecipazione di G. Alberigo,
G. Ruggieri, R. La Valle, G. Piana.
Il Centro Culturale della Fondazione
Collegio San Carlo organizza per il
giorno 16 maggio 1994 una Giornata
di studio su Hans Blumenberg, con
la partecipazione di R. Bodei, G. Carchia, P. A. Rovatti, F. Rigotti.
● Informazioni: Fondazione Collegio San Carlo, via San Carlo 5,
41100 Modena, tel. 059/222315.
Dal 21 al 24 marzo 1994, organizzato
dalla Stiftung Weimarer Klassik, si è
tenuto presso lo Schiller-Museum di
Weimar un Simposio sul tema: Ernst
Cassirer: Kulturkritik in 20.
Jahhundert. Questo il calendario dei
lavori: 21 marzo, E. Wolfgang: “Geschichte und Literatur als Orientierungsdimensionen in der Philosophie
Ernst Cassirers”; O. Scwemmer:
“Cassirer und die Renaissance”; F.
Volpi: “Cassirer und die Schule von
Padua”; H. Holzhey: “Kants Geschichtsphilosophie im Neukantianismus”; M. Ferrari: “Cassirer und
Duhem. Eine Fallstudie in der Wissenschaftsphilosophie unseres
Jahrhunderts”. 22 marzo, H. G. Dosch: “Goethe und die exakten Naturwissenschaften aus der Perspektive
Ernst Cassirers”; I.-O. Stamatescu:
“Anschauung und wissenshaftliche
Erkenntnis”; Y. Mori: “Goethe und
die mathematische Physik. Zur Tragweite der Cassirerschen Kulturphilosophie”. 23 marzo, Dibattito su:
“Kulturphilosophie und politische
Philosophie bei Ernst Cassirer”, con
interventi di A. Bolaffi, F. Capeillères, M. B. de Launay, H. Wismann;
H. Turk: “Zum Kulturbegriff Cassirers im Licht der derzeitigen philolo-
gischen und ethnologischen Debatten”; S. Poggi: “Cassirers Auseinandersetzung mit dem gestaltphychologischen Ansatz”; S. Mayer: “Cassirer
Analyse von Schillers Philosophischer Weltansicht”. 24 marzo, John
Michael Krois: “Kunst und Leben.
Cassirer als Goethe-Interpret; H. Paetzold: “Mythosund Moderne in der
Kulturphilosophie Ernst Cassirers”;
J. Seidengart: “Symbolische Konfiguration und Realität.
● Informazioni: Stiftung Weimarer Klassik, Burgplatz 4, 99423 Weimar.
contro natura”; E. Giannetto: “Note
sul concetto di natura fra Oriente e
Occidente: il pensiero di R. Tagore”;
C. Gily Reda: “R. Cantoni: la natura
poetica del mito”; T. Griffero: “Astri
e comete nella filosofia dell’identità
di Schelling”; R. Klein: “Natura, logos, linguaggio”; C. La Rocca:
“Heidegger: opera, terra, natura”; M.
Macciantelli: “Il simbolico tra natura
e arte”; G. Maragliano: “Il corpo come
un paesaggio. Espressione e descrizione in Winckelmann”; F. Mariani
Zini: “Natura e artificio nel XV secolo italiano”; G. Marrone: “Figuratività e mondo naturale”; E. Matassi: “La
“seconda natura” in Hegel e Adorno”; G. Moretti: “Il ‘superamento’
della natura. Heidegger e Hölderlin”;
G. Panella: “Storia del sublime in
Inghilterra: Addison, il piacere, l’immaginazione”; G. Pasqualotto: “La
natura nell’estetica del vuoto”; G.
Pinna: “Identità e natura: la messa in
parentesi del bello naturale nelle estetiche dell’idealismo tedesco”; F. Rella: “La natura in Leopardi”; C. Resta:
“Parole come fiori. Natura e arte in
M. Heidegger”; R. Salizzoni: “Natura, città, macchina in A. Platonov; F.
Solitario: “Gli animali nel libro del
Pancatranta e nella Prima veste dei
discorsi degli animali di A. Firenzuola”; E. Tavani: “I concetti di ‘estetico’ e ‘naturale’ nella ‘teoria estetica’
di Adorno”; F. Testa: “Il giardino
come rappresentazione della natura”;
R. Troncon: “Filosofia dell’acqua”;
F. Vercellone: “Simbolo e storicità
della natura in Goethe e in Novalis”.
● Informazioni: Dr. Renato Troncon, Dipartimento di Scienze storiche e Filologiche, via S. Croce 65,
38100 Trento, tel. 0461/881757.
L’Accademia di Studi Italo-Tedeschi
di Merano ha organizzato dal 9 all’11
maggio 1994 un Convegno internazionale sul tema: Il concetto di amicizia nella storia della cultura europea, con la partecipazione di M,
Scotti, G. Plangg, E. Berti, W. Suerbaum, L. Alici, K. Strnad-Walsh, S.
Marcucci, A. Schurr, M. Cataudella,
R. Scrivano, H. Seidl, R. Schneider,
L. Quattrocchi, M. Heitger.
● Informazioni: Accademia di Studi Italo-Tedeschi, via Cassa di Risparmio 20, 39012 Merano.
IL’A.I.S.E., Associazione Italiana per
gli Studi di Estetica, ha organizzato
dal 11 al 12 aprile 1994 a Trento, in
collaborazione con l’Università degli
Studi di Trento, un Convegno nazionale sul tema: Significati e valore
della natura nel pensiero estetico
d’Occidente e Oriente. Qui di se-
guito l’elenco dei relatori e dei temi
degli interventi: L. Amoroso: “Passeggiando con Fedro”; G. Baffo: “Nichilismo e natura nell’estetica di L.
Klìma; S. Benassi: “Etica naturalistica e modelli estetici in età rinascimentale”; L. Bonesio: “Per un nuovo
pensiero della terra”; C. Cantelli:
“Estetica e natura nel pensiero di V.
Solov’ev”; A. Contini: “Arte e “natura vivente”: l’emergere di nuovi paradigmi nell’estetica post-positivistica”;
R. Copioli: “Natura e immaginazione
in Leopardi. con altri esempi per la
poesia di oggi”; F. P. Cuniberto: “Terra e paesaggio celeste nella teosofia
di Jacob Boehme; P. D’Angelo: “Per
una critica dell’estetica ecologica”;
E. De Caro: “Rilievi storici sulla nozione di natura nell’estetica contemporanea”; R. Diodato: “La natura e la
sua immagine. Spinoza e Vermeer”;
M. Ferrando: “La virtualità della natura nell’opera teorica di Shitao”; M.
Ferraris: “L’immaginazione tra physis e techne. Locke, Leibniz, Kant”;
R. Franciolli: “Motivi orientali nella
concezione heideggeriana della natura”; E. Franzini: “Arte, fenomenologia e interpretazione della natura”; E.
Fubini: “Natura e storia del linguaggio musicale”; L. Galliano: “Estetica
del rumore: i suoni della natura nella
musica”; M. Garda: “Dal sublime
naturale al sublime musicale: un itinerario dell’estetica musicale settecentesca”; G. Garelli: “Melanconia e
memoria. In margine all’ “analitica
del sublime” di Kant”; C. Gentili:
“Edipo e Odisseo: figure del sapere
In occasione della recente riedizione
dell’Estetica del Brutto di Karl Rosenkranz, il Centro Internazionale
Studi di Estetica di Palermo, in collaborazione con l’Università degli Studi di Palermo, ha organizzato, per il
18 aprile 1994, una Giornata di studio
sul tema: Karl Rosenkranz e l’estetica del Brutto. All’incontro sono
intervenuti L. Russo, R. Bodei, U.
Carpi, G. Scaramuzza.
● Informazioni: Centro Internazionale studi di Estetica-Università degli Studi, viale delle Scienze, 90128
Palermo.
Presso il Centro Italiano di Ricerche
Fenomenologiche di Roma, il 12
marzo 1994, D. Conci, R. Laurenti,
M. Ruggenini hanno discusso su: Alle
radici del pensiero occidentale.
Heidegger e Fink su Eraclito, in
occasione della pubblicazione del libro: Heidegger e Fink. Dialogo intorno a Eraclito (Garzanti 1992), a
cura di M. Ruggenini.
Il 23 aprile 1994, B. M. D’Ippolito,
A. Masullo, G. Invitto e A. Montano hanno parlato su: Morale ed
esistenza negli scritti postumi
di Sartre, in occasione della pub-
blicazione del libro: Gli scritti postumi di Sartre (Marietti 1993), a
cura di G. Invitto e A. Montano.
71
Il 21 maggio, in occasione della pubblicazione del libro: Il sapere teologico e il suo metodo, a cura di I. Sanna
(Ed. Dehoniane 1993), G. Ferretti e
M. Bordoni introducono la discussione sul tema: Ermeneutica e Teologia, a cui partecipano F. Brezzi, N.
Ciola, S. Lanza, G. Mura.
● Informazioni: Centro Italiano di
Ricerche Fenomenologiche, via dei
Serpenti 100, 00100 Roma.
Dal 11 al 14 maggio 1994, organizzato dall’Università degli studi dell’Aquila in collaborazione con il Goethe Institut di Roma, avrà luogo un
Convegno di studi dal titolo: I confini
dell’anima. Filosofia e psicologia
da Herbart a Freud. I lavori avranno
il seguente svolgimento: 12 maggio,
R. Pettoello: “Scatole quadrangolari
e recipienti vuoti. Genesi psicologica
delle categorie e forme dell’esperienza nella critica di Herbart a Kant”; H.
Holzhey: “Fries’ Vernunftkritik
zwischen Transzendentalphilosophie
und Psycologie”; F. Moiso: “La
Psychiatrik di D. G. Kieser”; L. Bertolini: “Colore e spazio in Helmholtz:
l’«enigma della possibilità di vedere»”; E. W. Orth: “Psyche und Psychologie bei R. H. Lotze”; B. Centi: “Il
lato spirituale della vita dell’anima.
La psicologia di W. Wundt”. 13 maggio, P. Spinnici: “I nomi dei colori: A.
Marty e il dibattito sull’evoluzione
del senso cromatico”; R. Egidi: “Filosofia e psicologia del pensiero tra
Frege e Külpe”; E. Picardi: “Sigwart:
leggi della logica e leggi del pensiero”. 14 maggio, M. Lenoci: “Apriori
ed esperienza nelle analisi gnoseologiche di A. Meinong”; Franco Volpi:
“La psicologia senza anima di Brentano: dalla metafisica alla scienza”;
M. Failla: “Dal tempo allo spazio. Il
ruolo dello spazio nella psicologia di
Dilthey”; L. Grosso: “W. Griesinger
tra fisiopatologia del sistema nervoso
e psicologia dell’io”; R. Bernet: “Husserls Begriff des Bewusstseins und
des Unbewussten”; F. M. Ferro: “Il
laboratorio culturale del modello freudiano”.
● Informazioni: Antonello Rossi,
Segreteria del Convegno, tel. 0862/
432120-432122.
Dal 20 al 22 maggio 1994, organizzato dall’Associazione Scientifica Goetheanistica Italiana in collaborazione con la Cattedra di Filosofia della
Scienza, Università degli Studi di
Milano, e dalla Frei Hochschule für
Geisteswissenschaft, Dornach, si
svolge alla Villa Griffoni di Castelgabbiano (CR) un Convegno internazionale sul tema: Goethe Scienziato. Percorsi goethiani tra scienza
etica e arte. 20 maggio, C. Hitsch:
“Conoscenza della natura e creazione
artistica in Goethe”. 21 maggio, Tavola rotonda: “Il soggetto di fronte al
fenomeno; pensiero e percezione alla
luce dell’empirismo razionale”; Tavola rotonda: “L’apparire del bello e
il manifestarsi del vero: estetica e
oggettività”. 22 maggio, Tavola rotonda: “La fecondità della concezio-
CALENDARIO
ne goethiana del mondo per il presente: responsabilità nei confronti della
natura”. Alle tavole rotonde partecipano: M. Basfeld, J. Bockemühl, M.
Bottero, P. Bozzi, D. Cohn, E. J.
Dreyer, D. von Engelhardt, K. J. Fink,
F. Gil, G. Giorello, B. G. Goodwin, P.
Giacomoni, A. Grieco, C. Hitsch, G.
Maier, F. Moiso, V. Melchiorre, F.
Mondella, M. Sarà, H. Schmitz, G.
Sermonti, C. Sini, S. Tagliagambe, R.
Thom, G. C. Webster, G. Rickey
Welch, S. Zecchi, R. Ziegler.
● Informazioni: Elisabetta Grigorieff, Segreteria del Convegno, tel.
039/58695.
L’Università degli Studi della Repubblica di San Marino, in collaborazione con il Centro Internazionale
di Studi Semiotici e Cognitivi, organizza, dal 24 al 27 maggio 1994, un
convegno dal titolo: Vestigia, Imagines, Verba. Semiotic and Logic
in Medieval Theological Texts
(XII-XIV Century). Questo il pro-
gramma degli interventi: 24 maggio,
J. Jolivet: “Platonisme et sémantique de Bernard de Chartres aux Porrétains”; L. Valente: “Le concept de
consignificatio chez les théologiens
de la seconde moitié du XII siècle”;
C. H. Kneepken: “Alexander Neckham and the enuntiabile”; P. A.
Streveler: “Roger Bacon, Richard
Rufus and the “Magister Abstractionum” in Empty Names”; A. De Libera: “Les enjeux logico-sémantiques de la formule de consécration
eucharistique”; I. Rosier: “Les difficultés logico-grammaticales de la
formule Hoc est corpus meum”; P.
Bakker: “Some Semantical Aspects
of the 14th Century Discussions on
the Eucharistic Formula”. 25 maggio, L. M. De Rijk: “On Guiral Ot’s
(1273-1349) Ontology: His View of
Copulative Being in his Commentary on the Sentences”; R. Friedman:
“Conceiving and Signifying Modified Reality: modi significandi and
modi concipiendi in Peter Aureol”;
H. Thijssen: “The Semantic Debate
over virtus sermonis and the Hermeneutic Program of the Ockhamists:
the Theological Significance of the
Prohibition of 1340”; Y. Iwakuma:
“Instantiae in late 12th Century Theology”; A. Maierù: “I precedenti
delle discussioni su logica e trinità
nelle Summae dei secoli XII-XIII”;
S. Ebbesen: “Doing Theology with
sophismata”; A. Bäck: “Reduplicative Propositions in the Theology of
John Duns Scotus”; K. H. Tachau:
“The Reach of God’s Omnipotence:
Some Aspects of Possibility and Necessity according to Peter Aureol”.
26 maggio, E. P. Bos: “A Scotistic
Discussion of “Deus est” as a proposito per se nota”; C. Martin: “Positio
and Power. The Use of Obligationes
by Holcot and Bradwardine in Dealing with Problems of Foreknowledge and Freedom”; S. Knuuttila: “Positio impossibilis and Trinitarian Theology”; A. D’Ors: “Insolubilia in
Some Medieval Theological Texts”;
M. Sirridge: “The Wailing of the
Orphans and the Bawling of Calves:
The Influence of Augustine’s Theory of Language on Some Theories
of Interjections; C. Marmo: “Inferential Signs in the Summae of XIIXIII Century”; J. Halverson:
“Towards a Perfect Conception of
God: The Moral Virtues as Signs
of the Divine Essence in Late Medieval Scholastic Thought”. 27
maggio, L. O. Nielsen: “Signs by
Divine Imposition”; M. Kaufmann:
“Ockham on Representative and
Natural Signs”; S. Vecchio: “Mensogne, simulation, dissimulation.
Primauté de l’intention er ambiguité du langage dans la théologie
morale du bas Moyen Age”; E. J.
Ashworth: “Analogy and Equivocation in Thomas Sutton, O.P.”; C.
Panaccio: “Angels’ Talk, Mental
Language, and the Trasparency of
the Mind”; D. Perler: “Crathorn on
Mental Language”; J. Biard: “La
science divine entre signification et
vision chez Grégoire de Rimini”.
● Informazioni: Università di San
Marino, Contrada Omerelli 77, 47031
San Marino, tel. 0549/882516.
La Guerini e Associati ha organizzato
due incontri, che si svolgeranno presso la Casa della Cultura di Milano. Il
giorno 3 maggio 1994 si parlerà su
Realismo senza dogmi, presentazione dell’omonimo libro di F. Minazzi.
Interverranno: L. Magnani, F. Minazzi,
F. Papi e S. Tagliagambe. Il 17 maggio,
in occasione della presentazione del
libro di Paul Thagard, Rivoluzioni
concettuali, a cura di L. Magnani e
del Laboratorio di Filosofia Computazionale-Dipartimento di FilosofiaUniversità di Pavia, si discuterà su:
Filosofia e intelligenza artificiale.
● Informazioni: Edizioni Angelo
Guerini e Associati, via Verona 9,
20135 Milano, tel. 02/58305371.
n occasione della pubblicazione del libro
Essere due, di L. Irigaray (Bollati Boringhieri, 1994), la Casa della Cultura di
Milano ha organizzato per il giorno 11
aprile 1994 un incontro sul tema: L’amore tra oriente e occidente, a cui hanno
partecipato, oltre all’autrice, R. Imbeni,
S. Veca, S. Vegetti Finzi.
Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici
Via Monte di Dio 14, Napoli
2-5 maggio
Marc Fumaroli
30 maggio-3 giugno
Jacques Derrida
La querelle degli antichi
e dei moderni (1684-1724).
Nuovi dati e interpretazioni
Le secret, le témoignage,
la responsabilité
6-10 giugno
Marco Diani - Massimo Riva
I primordi della querelle: la Laudatio
Regis Galliae - L’approfondimento:
scienza e retorica, filosofia e poesia.
Paradossi del moderno
Paradossi del moderno: lineamenti
teorici.
2-5 maggio
Paul Ricoeur
6-10 giugno
Andrea Battistini
Les normes de l’action
entre l’exigence d’universalisme
et la condition historique
des cultures
La sapienza retorica
di Giambattista Vico
Vico nella cultura retorica e filosofica del suo tempo - I topoi autobiografici della Vita di Vico.
Les normes de l’action - L’exigence
d’universalisme.
9-12 maggio
Donald Philip Verene
13-16 giugno
Carlo Augusto Viano
Vico in the anglo-saxon world
La leggenda della filosofia
The development and current state of
Vico Studies in America - Vico’s
universale fantastico and the logic of
metaphor.
Una madre generosa - Il filosofo e il
principe.
13-17 giugno
Imre Toth
9-13 maggio
Mario Castellana
«L’immagine potenza
del negativo...».
Libertà e verità:
le dimensioni politiche
della controversia
sulla geometria noneuclidea
Per una storia
dell’epistemologia neorazionalista
16-20 maggio
Khaled Fouad Allam
La filosofia
nell’Islam contemporaneo
20-23 giugno
William R. Shea
La riforma islamica moderna - La
crisi degli intellettuali islamici: la tematica del ritardo.
Il pensiero scientifico
e la filosofia naturale
di Blaise Pascal
23-27 maggio
Antonio Pieretti
7 giugno-1 luglio
Remo Bodei
Vico e il mito
Se la storia ha un senso
Il mito come ritrovamento e come
invenzione - L’origine del mito.
Le ragioni dell’attuale discredito della filosofia della storia - La percezione diffusa dell’attenuarsi del senso
storico.
30 maggio-1 giugno
Hilary Putnam
Truth, perception, logic
72
Il 7 maggio 1994, organizzato dalla
Casa della Cultura con il patronato
della Regione Lombardia, avrà luogo
un dibattito su: “Noi non siamo uno
solo”. Il Pensiero e l’Umanità di
Cesare Musatti. Questi gli interven-
ti: Vegetti: “Musatti: una vita per la
psicoanalisi”; R. Reichmann: “Musatti e il cinema”; M. Cesa Bianchi:
“Musatti nella psicologia sperimentale”; D. Meghnagi: “Musatti e l’umorismo”; E. Funari: “Il pensiero di
Musatti tra sogno e ragione”; G. della
Giusta, F. Novara, A.Todisco,
A.Voltolin: “Musatti uomo di cultura”; S. Ceccato, E. Collotti Pischei, R.
Musatti, A. Olivi: “L’umanità di Cesare Musatti”. Al termine verrà proiettato un film dal titolo “Cesare
Musatti: un matematico veneziano”
per la regia di F. Carpi.
● Informazioni: Casa della Cultura, via Borgogna 3, 20122 Milano,
tel. 02/795567.
L’Istituto di Scienze Religiose di
Trento ha organizzato dall’11 al 12
maggio 1994 un Convegno dal titolo: Sociologia e Teologia di fronte al futuro. Il convegno, che ha un
carattere interdisciplinare, si inserisce nella serie delle iniziative dell’ISR di Trento sul Rinnovamento
del metodo teologico e partecipa all’itinerario tematico dei teologi italiani, centrato su Teologia e terzo
millennio.
Questo il calendario degli incontri:
11 maggio, I. Rogger (Direttore ISR)
farà il saluto di apertura; P. Donati:
“Il punto di vista teologico”; G. Capraro: “Sociologi e teologi a confronto sulle prospettive future”; Discussione con C. Cipolla. 12 maggio, A. Ardigò (Presidente ITC) introdurrà i lavori; S. Dianich: “Nuove
prospettive dell’ecclesiologia di
fronte alle sfide del futuro”; discussione con S. Burgalassi; I. De Sandre: “Passaggio al futuro: complessità e comunicazione”; G. Ambrosio: “Indagine sugli scenari futurologi presenti nei documenti sinodali
della chiesa cattolica”; P. Zulehner:
“Bilancio propositivo della prospettiva futurologica per la teologia pratica”; L. Sartori concluderà i lavori.
● Informazioni: Barbara Gazzoli,
Istituto di Scienze religiose in Trento,
via S.Croce 77. 38100 Trento, tel.
0461/210111.
Il 6 maggio 1994 Mary Douglas, decana dell’antropologia sociale inglese, sarà a Modena per una lezione sul
tema: Immigrati e stranieri. L’idea
di straniero nella Bibbia, organizzata dal Centro Culturale della Fondazione Collegio San Carlo, nell’ambito del ciclo dedicato a La prova
dello straniero. Figure per il confronto tra le culture. A discutere con
Mary Douglas saranno presenti S.
Lukes, G. Poggi, A. Destro, F. La
Cecla e L. Leonini.
● Informazioni: Andrea Bersari,
Segreteria Centro Culturale San Carlo, via San Carlo 5, 41100 Modena,
tel. 059/222315.
DIDATTICA
DIDATTICA
a cura di Riccardo Lazzari
Didattica della filosofia
Il disagio degli insegnanti di filosofia
nasce per lo più da uno stato di “crisi”
della loro identità professionale e culturale, che è anche crisi del sapere che
ha prodotto finora i modelli di professionalità docente. Da questa diagnosi
e da un concreto bisogno di ricerca
teorica sulla didattica nasce lo studio
di Mario De Pasquale, DIDATTICA DELLA
FILOSOFIA. LA FUNZIONE EGOICA DEL FILOSOFARE (Franco Angeli, Milano 1994), che
ha come fine quello di definire in termini operativi la peculiarità del “filosofare”, individuandone gli obiettivi
di natura cognitiva, affettiva, relazionale, le modalità del suo insegnamento e del suo apprendimento, anche
mediante la discussione dei tradizionali schemi entro cui si è svolto il
dibattito negli ultimi decenni.
Nella Premessa a Didattica della filosofia
Davide Bigalli mette in luce come il lavoro
di Mario De Pasquale sappia coniugare la
riflessione attorno a concrete esperienze e
concreti progetti (l’autore insegna infatti in
un Liceo) con un robusto impianto teoretico. Quest’ultimo non si sovrappone astrattamente ai compiti dell’indagine “sul campo” e alla ricerca di soluzioni praticabili,
relative all’esercizio del filosofare, in un
momento di crisi dell’identità professionale e culturale del docente, ma offre i necessari referenti teorici e il respiro di carattere
generale per una ricerca che non ripieghi
soltanto su rimedi di tipo tattico. Non è
dunque semplice ripetizione di ciò che è già
noto lo sforzo dell’autore di ripercorrere, in
apertura del libro, le caratteristiche generali del filosofare, individuandole nella peculiare tensione alla verità, nella radicalità e
problematicità della ricerca, che oggi esige
di mediarsi con il policentrismo e con il
significato multidisciplinare di molti problemi del sapere contemporaneo. Così la
tensione della filosofia all’unità, cioè all’intierezza e alla totalità, permane oggi
solo «come esigenza insopprimibile del
desiderio umano di sapere, quindi come
ideale regolativo della ricerca e della comunicazione filosofica intersoggettiva»,
senza che tuttavia sia possibile riproporre
l’idea di una filosofia come enciclopedia
unitaria del sapere, incentrata su di un unico modello di razionalità.
Alla domanda circa il modello di razionalità filosofica da insegnare, l’autore risponde preliminarmente che «un impianto storico dell’insegnamento della filosofia, anche se ridotto e lasciato in parte alla responsabilità e alla libera scelta del docente,
nella costruzione dei propri curricoli, garantisce la possibilità di conoscere e usare
una molteplicità di modelli di razionalità
filosofica». I principali modelli odierni
sono, secondo De Pasquale, il modello
problematicista-popperiano-fallibilista, il
modello ermeneutico e il modello di razionalità filosofica che si può definire tuttora
“classico”. Da una discussione di questi
modelli l’autore vuol far scaturire alcuni
elementi generali di una ideale razionalità
filosofica, incentrata sul concetto di logica
argomentativa, sulla pretesa di universalità
del linguaggio filosofico, su un’impostazione strutturata secondo la dialettica domanda-risposta, sulla tensione all’unità non
contradditoria del discorso. Ma, soprattutto, la razionalità filosofica coinvolge la
totalità del soggetto che filosofa; ha dunque valenze “egoiche”, nel senso di svolgere una funzione unificante e ordinatrice,
che ottemperi insieme a esigenze sia di
distacco che di partecipazione, sia di ascolto che di controllo. «Essa ha valenze “egoiche” in quanto svolge una funzione molto
vicina ed analoga a quella che svolge l’io
nella complessità della nostra psiche: tiene
conto di una grande molteplicità di istanze
e le riduce ad unità secondo le esigenze di
un dominio realistico degli ambiti di vita».
In questo senso l’insegnamento della filosofia può aiutare, in una società complessa
come l’attuale, a formare “personalità polivalenti ed elastiche”, che dispongono di
un “io” forte, sicuro, equilibrato, ma al
tempo stesso capace di aprirsi alle nuove
esperienze.
De Pasquale affronta, in questa chiave problematica, il problema delle finalità e degli
obiettivi dell’insegnamento della filosofia,
soffermandosi più volte sui recenti programmi elaborati dalla Commissione Brocca e distinguendo fra obiettivi di natura
cognitiva, affettiva e relazionale. Per quanto riguarda invece la questione di come
73
insegnare filosofia, De Pasquale non offre
una risposta univoca, che pretenda di identificare una volta per tutte il “metodo”
dell’insegnamento con quello definito “storico” oppure “teoretico-sistematico” o “problematico”. Non c’è infatti un metodo privilegiato: «il docente è come un “architetto” che progetta i suoi itinerari didattici
scegliendo tra una molteplicità di metodi,
di procedimenti, di tecniche».
Dopo essersi soffermato esaurientemente
sul problema della lettura dei testi nell’insegnamento della filosofia, De Pasquale
affronta i temi relativi alla creatività del
filosofare in classe, analizzandone gli aspetti
d’ordine cognitivo, emotivo, e comunicativo-relazionale. Ne esce una ridefinizione
dell’identità dell’insegnante di filosofia,
non più incentrata esclusivamente sugli
oggetti di cui si occupa, ma principalmente
sulla peculiarità del proprio approccio ai
diversi problemi e alle domande che egli
stesso sa sollecitare negli allievi. R.L.
Storia della filosofia al computer
Un software didattico per studiare la
storia della filosofia, calibrato sui programmi d’insegnamento del nostro
paese e recentemente ideato da un
insegnante di liceo: questo è TEACHER.
L’ideazione del programma è dovuta a
Piero Carelli; la realizzazione ad un
suo ex-allievo, Paolo Gatti. Alla prima
versione, che risale al 1990, si sono
puntualmente susseguite altre versioni più elaborate.
Il “file-utente” ci informa che Teacher è
un «programma per l’apprendimento guidato via computer», si inscrive cioè nell’ambito della computer aided instruction,
e si propone non di sostituire, ma di “integrare” l’insegnamento tradizionale. Teacher, infatti, può essere usato tanto in
classe, come strumento di apprendimento
e di verifica, quanto a casa, in funzione di
un’autoverifica. E’ soprattutto sul momento della verifica che si insiste nelle videate
di auto-presentazione: Teacher «è in grado di fornire una valutazione obbiettiva»
DIDATTICA
del livello di apprendimento raggiunto
dallo studente e presenta una serie di vantaggi specifici sia rispetto alla “tipica”
interrogazione, consentendo l’interrogazione contemporanea di più studenti, la
registrazione su disco delle risposte e la
possibilità di rivederle in un momento
successivo, sia rispetto alla “tipica” prova
scritta (è “elastico”, ossia a seconda della
risposta data a una domanda è possibile
modificare il corso delle domande successive, instaurando una dimensione colloquiale); consente inoltre di conoscere immediatamente la valutazione e, infine, offre al docente la possibilità di codificare le
lezioni per prevenire ipotesi di raggiro da
parte di studenti.
Teacher si compone di una serie di files,
ognuno dei quali ha come contenuto o un
problema filosofico (“anima”, “Dio”, “problema mente/corpo”, “epistemologia”), o
una disciplina (“astronomia”, “fisica”, “logica”, “economia”). La trattazione si svolge quasi sempre sul piano della storia delle
idee, per cui più files sono dedicati a un
determinato problema o ad una determinata disciplina. Il discorso sull’astronomia,
ad esempio, si sviluppa in vari files: dai
Presocratici ad Aristotele (“ASTRO1”), da
Copernico a Newton (“ASTRO2”), ecc.
Solo “Logica” ed “Economia” sono files
strutturati diversamente: il primo è un “eserciziario” e il secondo mette alla prova la
capacità dello studente di analizzare situazioni concrete (inflazione, disavanzo pubblico, occupazione, ecc.), senza presupporre particolari conoscenze tecniche.
Entrando in un file, lo studente si trova di
fronte ad una serie di videate, ognuna delle
quali presenta una questione specifica e
propone una serie di risposte (da due a
cinque), tra le quali occorre scegliere la
risposta o le risposte giuste (possono darsi
anche tre risposte corrette su cinque) [figg.
1 e 2]. In caso di risposta errata a volte
compare un “quesito di riserva”, ma non
viene mai proposto (almeno nella versione
qui analizzata) un percorso parallelo che
cerchi di chiarire le motivazioni dell’ “errore” e di svilupparne magari la “logica”
interna.
Gli aspetti positivi di Teacher, a parte il
non piccolo merito di costituire uno dei
primi programmi finalizzati all’insegnamento della storia della filosofia nei licei,
sono così riassumibili: 1. il tentativo di
stabilire dei percorsi di apprendimentoverifica interni a “problemi filosofici determinati”, permettendo allo studente di
rispondere alle domande del programma
attraverso le soluzioni proposte dai diversi
filosofi, confrontandole ed esplorandone
il significato e l’interna coerenza; 2. la
tendenza a travalicare i limiti tradizionali
dell’insegnamento della filosofia in due
direzioni: dedicando molto più spazio del
solito ai problemi scientifici, in particolare
alla storia della scienza antica e moderna;
includendo la trattazione di tematiche attuali che stimolino le capacità di compren-
sione e di ragionamento dello studente; 3.
l’esclusione di risposte alle domande basate semplicemente sulla coppia di valori
vero/falso, proponendo al contrario più
risposte corrette, risposte più o meno corrette e risposte sbagliate, che tuttavia contengono qualche elemento valido (ciò puntualmente si ripercuote sul punteggio finale); 4. la possibilità data all’utente-docente
di incrementare il programma, modificando le lezioni esistenti e creando lezioni
aggiuntive (a questo scopo il manuale fornisce dettagliate istruzioni).
A parte l’aspetto grafico, non molto attraente, ma certo facilmente migliorabile, i
limiti di Teacher possono essere così riassunti: 1. i percorsi sono molto “rigidi” e il
programma non presenta una vera “elasticità”, poiché la modifica del corso delle
domande in rapporto alle risposte è del
tutto marginale: la risposta sbagliata non
viene mai presa come punto di partenza
per lo sviluppo di un “ramo” secondario e
lo studente suole essere sbrigativamente e
rudemente riportato sulla “via maestra”
(tanto meno sono contemplati percorsi diversi, non semplicemente errati, bensì alternativi rispetto a quello “principale”); 2.
la felice scelta di partire dall’analisi di
determinati problemi non viene sfruttata
appieno a causa della disposizione delle
domande in uno schema storicistico, spesso di tipo puramente informativo, che non
favorisce l’approfondimento teoretico e lo
sviluppo conseguente delle capacità di ragionamento autonomo dello studente; 3. il
pericolo di indurre nella mente dello studente l’impressione di un’artificiosa “compartimentazione del sapere” che, anche e
soprattutto in relazione a determinati periodi storici (età antica, nascita della scienza
moderna), può risultare fuorviante, anche
se l’opera del docente diventa qui essenziale e il “difetto” può essere eliminato con
un uso intelligente del programma (ma
non viene superato, se lo studente usa il
programma a casa); 4. lo sfondo teoretico
di Teacher è uno sfondo di tipo popperiano, che comporta, non certo per l’opzione
teoretica di fondo, perfettamente legittima, quanto piuttosto per la rigidezza (l’assenza di alternative) con cui questa viene
sviluppata, caratteristiche omissioni e sottovalutazioni: viene, ad esempio, praticamente ignorato il problema del rapporto
scienza-fede e sono in genere sottovalutate le tesi dei razionalisti rispetto a quelle
degli empiristi.
L’analisi di un programma come Teacher
induce ad alcune riflessioni generali sull’uso del computer nella didattica della
filosofia. Costruire un programma che funzioni principalmente come strumento di
verifica dell’apprendimento può essere relativamente utile, ma non è veramente
innovativo sul piano della didattica. Molto
più utile e veramente nuovo sarebbe un
programma che potesse offrire allo studente qualcosa che né la lezione, né la
discussione in classe, né le prove orali e
74
scritte e nemmeno la lettura di un testo
potrebbero offrirgli. Gli stimoli a procedere in questa direzione vengono, ad esempio, da Dialog, un programma di simulazione dell’Eutifrone platonico (si veda l’articolo di L. Rossetti, Due versioni informatiche dell’”Eutifrone” di Platone, apparso nel numero di questa rivista), con
l’idea dello sviluppo articolato dei “rami”
laterali dell’argomentazione (vale a dire
dei percorsi “errati”), e dallo stesso Teacher con l’idea dei percorsi sui problemi.
In un software didattico di storia della
filosofia i percorsi “errati” non solo dovrebbero essere analizzati, esplorandone
la logica interna, ma andrebbero trasformati in “percorsi alternativi”. In tal caso il
programma assumerebbe l’aspetto di una
serie di percorsi “compossibili”, logicamente coerenti al loro interno. Sarebbe
necessario, però, lasciar cadere lo schema
storico-manualistico e affrontare i diversi
problemi filosofici con taglio teoretico (di
discussione filosofica), tenendo conto, ovviamente, delle informazioni di cui è in
possesso lo studente e delle letture filosofiche da lui effettuate. Il problema “Dio”,
ad esempio, potrebbe ammettere una trattazione ampia e argomentata, senza schemi precostituiti, che si verrebbe a configurare come una struttura ad albero molto
complessa: prove a posteriori e loro struttura, prove a priori, confutazioni e risposte, negazione della stessa legittimità del
problema (Trilemma di Münchhausen),
ecc. Il problema etico, per fare un altro
esempio, potrebbe essere trattato proponendo una tipologia dell’etica, come quella elaborata da F. von Kutschera in Fondamenti dell’etica (Milano 1991) o a quella abbozzata da A. MacIntyre in Dopo la
virtù (Milano 1988). Verrebbe in tal modo
favorito non solo l’apprendimento, ma lo
sviluppo della consapevolezza critica dell’utente del programma, che sarebbe portato a comprendere in modo non superficiale: a) che i diversi percorsi-rami (posizioni filosofiche) hanno una loro “coerenza interna”; b) che il dibattito filosofico
deve risalire ai “presupposti” delle diverse
posizioni (i punti “a” e “b” costituiscono
ciò che si chiama “critica immanente”); c)
che i problemi filosofici si richiamano l’un
l’altro in un complesso gioco di rimandi,
che esclude ogni semplificazione e rinvia
alla consapevolezza della “complessità”.
Tornando a Teacher, una, tra le possibili
modalità di espansione di questo programma, sembra soprattutto raccomandarsi:
l’eventualità che quando una risposta viene dichiarata sostanzialmente errata, o almeno errata in prima approssimazione, si
introducano una o più ulteriori videate nel
corso delle quali il programma fornisca
un’idea dei presupposti in base ai quali
anche certe risposte a prima vista inaccettabili potrebbero essere fatte ugualmente
valere come plausibili. Si prenda, ad esempio, la videata del file ANIMA relativa alle
conseguenze etiche derivanti dalla critica
DIDATTICA
Fig. 1. Una sequenza di Teacher
(col commento alle risposte errate)
Fig. 2. Una sequenza di Teacher (
col commento alle risposte corrette)
Fig. 3. Una sequenza di Teacher
nella quale una risposta coerente
viene sbrigativamente scartata
come non corretta
75
DIDATTICA
al concetto tradizionale di “anima” in Hobbes e Spinoza [fig.3]: se viene scelta la
risposta C, il commento, dopo aver riconosciuto che essa addirittura “non fa una
grinza”, la dichiara errata e sbrigativamente la scarta. Invece, sviluppare almeno un poco il percorso abbozzato dalla risposta “errata” consentirebbe di individuare una serie di problemi fondamentali (rapporto libertà-norma, possibilità-impossibilità di un’etica naturalistica, ecc.) e di evidenziare le ragioni
che pur sempre militano per una varietà
di possibili “soluzioni”.
Disponibile in versione Amiga o MSDOS, Teacher può essere richiesto a
Teacher Development, c/o Paolo Gatti,
via Boldori 17, Crema. G.S.
Interventi, proposte, ricerche
Nella rivista “Sensate esperienze” (n.
19/20, giugno-settembre 1993; con una
prosecuzione nel n. 21, gennaio 1994)
è apparsa, a cura di R. Ansani, L. Bolognini, A. Cardi, L. Marchetti e M. Villani, la presentazione di UN ESPERIMENTO
DI ATTUAZIONE DEL PROGETTO BROCCA PER
L’ INSEGNAMENTO DELLA FILOSOFIA NELLA
SCUOLA SECONDARIA SUPERIORE,
nato dall’attività del Coordinamento di filosofia del Liceo-ginnasio “L. Ariosto” di
Ferrara, un istituto impegnato in una
maxisperimentazione con più indirizzi. Di taglio più “astratto” è la proposta avanzata da A. Cavadi nella rivista
“Nuova secondaria” (n. 4., dicembre
1993), relativa a DUE MODI PER FARE FILOSOFIA, alla quale si affianca una scheda
di F. Bonsignore dal titolo: LEGGERE I
TESTI FILOSOFICI.
Nella prima parte dell’articolo Un esperimento di attuazione del progetto Brocca
per l’insegnamento della filosofia nella
scuola secondaria superiore sono fissati i
criteri di definizione del progetto, l’ipotesi
critica che lo sorregge e una proposta di
scansione triennale dei contenuti. Nella
seconda parte, viene presentato l’intero
piano di lavoro predisposto nell’anno scolastico 1992/93 per la classe terza. L’esperimento in questione nasce da una condivisione delle linee di fondo del Progetto
Brocca, che assegna una peculiare valenza
formativa all’insegnamento della filosofia
nei trienni delle scuole secondarie superiori. Tale valenza, così come gli autori
presentano nell’articolo il loro “esperimento” didattico, si precisa solo coniugando obiettivi formativi e contenuti culturali, i quali ultimi vanno reperiti individuando alcuni assi tematici e scegliendo
una campionatura di filosofi e di nuclei
teorici sulla base della loro rilevanza storico-problematica. A sua volta, la scelta dei
testi deve tener conto dei criteri di leggibi-
lità, di congruenza con gli assi tematici
individuati e, ancora, di rilevanza storicoproblematica. L’ipotesi critica che sorregge il progetto didattico suppone, secondo
le parole degli autori, «che esista una specificità del sapere filosofico definita per la
prima volta dalla filosofia greca..., e che
tutta questa impostazione realistico-oggettivistica permanga per tutto il Medioevo ed entri in crisi con l’avvento della
Modernità, definita emblematicamente
dalla centralità del soggetto e dal nuovo
paradigma scientifico (Cartesio-Galilei).
Lo sviluppo di queste due linee approda
alla definizione di sistemi forti, interpretativi del mondo naturale e umano
(idealismo, marxismo, positivismo). La
crisi di questi sistemi apre all’età contemporanea».
Da questa ipotesi discende una indicazione dei contenuti, che, per la classe terza,
ruota intorno a testi di Platone e Aristotele,
con uno snodo fondamentale intorno alle
filosofie ellenistiche e con tre nuclei integrativi, relativi all’origine della filosofia e
alle rielaborazioni cristiano-medievali della filosofia classica. Per la classe quarta,
l’indicazione s’impernia sul tema della
centralità del soggetto e della nascita di un
nuovo paradigma scientifico, con proiezioni su testi di Cartesio, Galileo, Kant e
Hegel, uno snodo, inoltre, relativo all’illuminismo e una integrazione, infine, riguardante la dimensione del politico. Per
la classe quinta, vengono indicati i temi
del soggetto e della scienza, mostrandone la crisi delle rispettive nozioni in
senso forte attraverso un lavoro incentrato su testi di Nietzsche, Heidegger,
Wittgestein, Popper, Marx e della Scuola di Francoforte.
Il segmento di piano di lavoro relativo alla
classe terza è ripreso e approfondito nell’articolo Un esempio di articolazione dei
programmi Brocca. L’organizzazione dei
contenuti prevede la lettura del Fedone,
della Repubblica (libri I-VII, X) di Platone e del libro A della Metafisica di Aristotele. Vengono illustrate dettagliatamente
dagli autori le operazione relative a questi
testi, così come le integrazioni che richiedono l’uso del manuale (il ricorso a quest’ultimo, pur riconosciuto come necessario, ha presentato le maggiori situazioni di
problematicità), ed inoltre i passaggi dal
testo allo snodo fondamentale e ai nuclei
problematici che costituiscono, per così
dire, le diverse espansioni del lavoro sui
testi. L’organizzazione dei contenuti si
basa su una impostazione del tipo: dal
testo all’autore, dall’autore ai temi-problemi. Essa segue «una progettazione a
maglie larghe che consente scelte metodologiche diversificate in relazione agli indirizzi, alla peculiarità delle classi, ai “gusti”
dell’insegnante», ma che tuttavia «mantiene ferme scelte interpretative di fondo e
procedure comuni di metodo».
A conclusione dell’articolo viene pubblicata una “scheda di introduzione e motiva76
zione allo studio” della filosofia, curata da
Laura Bolognini e Lucia Marchetti. Lo
scopo della scheda è «di sollecitare gli
studenti a porsi domande su di sé e sul
mondo, avviando o rafforzando... i processi di riflessione, e di far nascere il desiderio
di trovare risposte; atteggiamento questo
che avvicina lo studente ad una delle forme del pensare filosofico».
La proposta di Augusto Cavadi, Due modi
per fare filosofia, mostra come un’impostazione storico-diacronica dell’insegnamento della filosofia occidentale rischi
oggi solo di smarrire lo studente, essendosi ormai perduta quella chiave di lettura
che faceva da “bandolo della matassa”
nella visione propugnata un tempo dai
fautori del neoidealismo. Si direbbe che
oggi la storia della filosofia è diventata,
nell’insegnamento di molti docenti, solo
una “matassa confusa”.
Da qui nasce il tentativo di Cavadi di
individuare due ipotesi di lettura della storia della filosofia occidentale. La prima
consiste in una riflessione sulla storia delle
idee, che parte dall’assunto teorico, fondato su argomentazioni essenzialmente storico-sociologiche, secondo cui «la filosofia, anacronistica come forma di sapere
nell’epoca contemporanea, merita tuttavia
di essere studiata nelle sue concretizzazioni del passato, in quelle epoche storiche in
cui “era ancora una componente essenziale e fondamentale della cultura”, dal momento che le varie parti politiche esprimevano le proprie posizioni con la massima ampiezza in termini filosofici» (l’ulteriore rinvio all’interno della citazione
è al contributo di E. Guarneri, Ma c’è
ancora una filosofia? Dall’impegno filosofico alla ricerca storiografica, in
AA.VV., Filosofia: perché?, Augustinus,
Palermo 1991).
La seconda ipotesi, che viene argomentata
dall’autore con ampi riferimenti alla riflessione di Cornelio Fabro, consiste in
una ricerca intorno a due concetti fondanti: l’oggettività dell’essere e il primato
della coscienza. Entrambe le ipotesi intendono restituire all’insegnamento della filosofia la rilevanza formativa che merita.
In Leggere i testi filosofici, Fiammetta
Bonsignore prende spunto da quelle che
sono le domande più diffuse circa il problema della lettura dei testi nell’insegnamento filosofico (Cosa leggere? Il testo
nella sua integralità? Una raccolta antologica? Passi scelti di un solo autore o di vari
autori? E con quale criterio adottare la
selezione?) e cerca di offrire, in riferimento alle proposte programmatiche elaborate dalla Commissione Brocca, «una
sorta di scheda-guida orientativa alla
lettura e all’analisi del testo filosofico,
da cui partire per poi organizzare il lavoro, sviluppare il dibattito, far scaturire il
dialogo e la riflessione produttiva». La
griglia si compone di dodici punti, ognuno dei quali risponde ad un obiettivo
didattico-operativo. R.L.
DIDATTICA
77
DIDATTICA
78
STUDIO
STUDIO
Le ‘Meditationes’ di Descartes
Lo studio di Georges Dicker,
DESCAR-
TES . AN ANALYTICAL AND HISTORICAL INTRO-
(Descartes. Un’introduzione
analitica e storica, Oxford University
Press, Oxford 1993), costituisce un’utile strumento di studio per tutti coloro
che avvicinano per la prima volta le
MEDITATIONES DE PRIMA PHILOSOPHIA di
Descartes.
DUCTION
Il testo di Descartes più adottato in tutti
i corsi di filosofia non è quello che egli
scrisse appositamente, cioè i Principia
Philosophiae, ma le Meditationes, in cui
il filosofo ricerca il metodo che dalla
certezza soggettiva conduca alla conoscenza oggettiva, passando attraverso il
tentativo di dimostrare l’esistenza di Dio
e l’indagine della natura del mondo materiale e delle sue relazioni con la mente
umana. L’opera doveva essere una pubblicazione per dotti, ma la sua forma
letteraria è stata da sempre più vicina
alla sensibilità delle successive generazioni. Infatti il fascino e l’immediatezza
comunicativa esercitato dal pensatore
solitario che cerca, sprofondato nel dubbio, un punto d’appoggio a cui ancorare
la fondazione della conoscenza umana è
certamente maggiore di quello dei Principia, redatti secondo i dettami della
pedagogia seicentesca.
Il tentativo di alleviare le difficoltà, che
l’arditezza delle argomentazioni delle
Meditationes comporta per i neofiti, è
probabilmente la ragione che ha spinto
Georges Dicker a raccogliere in volume
le sue lezioni. Scegliendo sostanziosi
brani dall’opera di Descartes, Dicker li
analizza passo passo seguendo un metodo che Descartes stesso approverebbe:
divide il ragionamento in pezzi semplici
e ne enumera le premesse, esemplificando in tal modo le cartesiane “regole del
metodo”, evidenza, analisi, sintesi ed
enumerazione e revisione; in questo si
riassume il compito didattico, che l’autore stesso attribuisce a queste sue lezioni. Da rilevare tuttavia, tra i brani scelti
da Dicker, la mancanza totale della quarta meditazione, dove il meditatoreDescartes analizza l’aporia classica del-
la natura dell’errore, cioè come esso
possa essere reale e che relazione abbia
con il conoscere, aporia che Descartes
risolve imputandola allo squilibrato rapporto tra la volontà illimitata e l’intelletto limitato e riducendola in tal modo ad
una forma di privazione, come già Agostino aveva fatto per il peccato.
Alla disanima testuale l’autore fa seguire un’attenta scelta di interpretazioni,
partendo dai critici contemporanei di
Descartes per giungere a quelli dei nostri giorni e infine alla propria. Ciò permette di rilevare anche in che misura il
pensiero di Descartes sia stato recepito
da altri pensatori, come questi lo abbiano chiarito, confutato, e quali delle sue
idee siano divenute capisaldi nella storia
della filosofia.
Le riflessioni di Dicker sono meticolose,
lucide e il suo stile espositivo chiaro e
privo degli oscuri tecnicismi del gergo
accademico. Tali caratteristiche rendono la sua introduzione a Descartes uno
strumento accessibile a chiunque voglia
affrontare questa pietra miliare della storia del pensiero occidentale.
Tuttavia non sempre le osservazioni di
Dicker sono pervicaci, come ad esempio
quelle sul finalismo in fisica e sul dualismo. Nel primo caso, Dicker ritiene che il
rifiuto di Descartes del teologismo della
fisica aristotelica sia imputabile alla scelta
dualistica e non all’opzione meccanicistica che riduce tutto a spazio e movimento.
Nel secondo caso, sebbene riconosca che
l’argomento cartesiano circa il dualismo
intende dimostrare la concepibilità indipendente di res extensa e res cogitans, egli
inferisce che l’indipendenza logica può
comunque implicare la loro dipendenza
causale.
Dicker dimentica che per Descartes l’anima, che è pensiero, può esistere pura e
separata dalla materia in qualche mondo
possibile, mentre ciò non si dà per altre
funzioni, come la digestione, che è inseparabile dall’esistenza dello stomaco o
di organi simili. Quindi il campo delle
possibilità logiche chiude quello delle
possibilità causali e nega che la mente
possa essere ridotta alla materia, rivelando la lontananza di Descartes dal materialismo. M.G.
77
Prospettive di ermeneutica
universale
La monografia di Werner Alexander,
HERMENEUTICA GENERALIS. ZUR KONZEPTION
UND ENTWICKLUNG DER ALLGEMEINEN VER STEHENSLEHRE IM XVII UND XVIII JAHRHUNDERT (Ermeneutica universale. Sulla
concezione e lo sviluppo della teoria
generale dell’interpretazione nel XVII
e XVIII secolo, Metzler & Poeschel,
Stuttgart 1993) offre al lettore la possibilità di documentarsi intorno ai primi progetti di ermeneutica universale.
L’analisi dettagliata di alcune posizioni dell’epoca permette infatti di ricostruire lo sviluppo storico della teoria
dell’interpretazione, seguendone
l’evoluzione attraverso il successivo
mutamento di metodi e obiettivi.
Dal momento in cui, intorno alla prima metà
del secolo XVII, emerse la consapevolezza
che le regole dell’ermeneutica fin ad allora
adottate in sede biblica potevano in realtà
valere nei confronti di qualsiasi genere di
testo, l’ermeneutica perse via via le proprie
caratteristiche di disciplina specifica, per
inoltrarsi in un cammino che l’avrebbe condotta sempre più prossima ad una dimensione filosofica vera e propria. Nel corso di tale
processo di universalizzazione filosofica,
l’ermeneutica si emancipò gradatamente da
una considerazione prettamente tecnicometodologica sino a divenire struttura ontologica dell’esistenza umana, attraverso il
punto di svolta rappresentato dagli scritti di
Schleiermacher. Questi, infatti, postosi dinanzi all’esigenza di determinare “la portata
e i principi del metodo”, elencò retrospettivamente quali punti programmatici - nel
secondo discorso accademico Sul concetto
di ermeneutica - l’esigenza di un’analisi
della comprensione, l’elaborazione di una
filosofia del linguaggio e l’esplorazione del
rapporto interpretante-interpretato, con una
consapevolezza crescente nei confronti di
tematiche quali quella del circolo ermeneutico
o dell’infinità del compito interpretativo.
I progetti di ermeneutica universale antecedenti agli scritti di Schleiermacher sono ora
oggetto dello studio di Werner Alexander,
dedicato alla storia dell’ermeneutica nella
sua vocazione filosofica, in cui vengono
STUDIO
ricostruiti i primi tentativi di una sistematizzazione autonoma della teoria dell’interpretazione e gli sforzi diretti a conquistare per
essa uno spazio autonomo nel campo del
sapere attraverso una definizione dei rapporti con le altre discipline. Frutto di un’analisi
dettagliata, l’opera rende conto anche degli
infaticabili studi che ormai da anni sono stati
condotti in Germania intorno al tema. Valga
per tutti il nome di Lutz Geldsetzer, cui
spetta il merito di aver curato e dato alle
stampe, fra gli altri, gli scritti di M. Flacius
Illyricus, J. M. Chladenius e G. F. Meier,
e le cui introduzioni rimangono ancora, insieme al saggio sull’ermeneutica, come autorevole testimonianza di un fine studio storico, critico e filologico.
Alexander presenta nella sua opera un percorso guida relativo ai secoli considerati,
inclinato particolarmente sul versante letterario e sviluppato sulle tracce di autori quali
J. C. Dannhauer, J. Clauberg, C. Weise, J. H.
Ernesti, H. von der Hardt, più noti e compresi
anche nelle più recenti storie dell’ermeneutica per l’ampiezza e la portata delle rispettive teorie, J. M. Chladenius e G. F. Meier. In
questo quadro, il primo riferimento al progetto di un’ermeneutica universale, già considerato del resto quale primo prospetto di
un’ermeneutica filosofica da H. E. Jaeger,
appartiene all’ Idea boni interpretis et malitiosi calumniatoris (1630) del teologo protestante J. C. Dannhauer; quest’opera rappresentò un punto di riferimento per l’intero
XVIII secolo, ma venne in seguito dimenticata. Quale parte della logica, Dannhauer
inserì l’ermeneutica nel trivium, accanto a
retorica e grammatica - delle quali condivide
l’universalità - e si occupò di riordinare
scientificamente e conferire una sistemazione organica alle sparse regole dell’interpretazione sino ad allora tramandate. A questa
stessa opera fece riferimento J. Clauberg,
rendendola in una forma più agile. L’attenzione di Alexander è dedicata, in particolare,
alla Logica Vetus et Nova (1654), nella quale
Clauberg indaga anche intorno alla “ricerca
del vero senso del discorso oscuro”.
Rispetto alle posizioni di C. Weise e J. H.
Ernesti, Alexander si sofferma in particolare ad esaminare gli aspetti pratico-applicativi dell’ermeneutica, mentre di H. von der
Hardt focalizza da un lato l’aspetto che ne fa
un antesignano di F. Schlegel nell’apertura
alle lingue e alle letterature orientali, dall’altro la sensibilità pietistica e il fecondo innesto di motivi caratteristici della teoria dell’interpretazione pietistica in una ermeneutica non più sacra, bensì profana. Negli scritti
più famosi di J. M. Chladenius e G. F.
Meier, caratterizzati gli uni da un’estensione dell’ermeneutica anche al discorso
orale e da un’attenzione precipua al versante letterario, gli altri dal riferimento
originale all’arte dell’interpretazione come
teoria della decifrazione dei segni, interessa soprattutto ad Alexander ricercare il
ruolo riservato alla poesia, nell’ipotesi di
un collegamento possibile fra teoria estetica emergente ed ermeneutica. N.C.
Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher
78
RASSEGNA DELLE RIVISTE
RASSEGNA DELLE RIVISTE
a cura di Silvia Cecchi
IL CANNOCCHIALE
n. 2, maggio-agosto 1993
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli
in relazione al problema della fondazione dell’etica.
ropea. Al rapporto tra teologia e logica, che
caratterizza la filosofia di Melandri, si lega
anche la riflessione del Circolo di Cracovia, a cui sono dedicati gli articoli della
prima parte della rivista.
STUDI DI ESTETICA
Thomism and modern formal logic. Remarks on the Cracow Circle, di R. Puciato.
Tema della rivista: “L’eredità di Marx”.
La spinta della percezione verso il giudizio
(Platone, Aristotele, Hume, Marx), di G.
Traversa: sulla continuità che esiste tra
platonismo, aristotelismo, scetticismo humeano e marxismo per quanto riguarda la
convinzione che la percezione sensibile
porti in sé il giudizio.
Metafisica dell’illuminismo. Epicuro e Democrito nell’idealismo dialettico di Marx, di
G. Cantarano: la dissertazione di laurea di
Marx (Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro) non
solo corregge in senso illuministico l’hegelismo alla luce del materialismo democriteo e
dell’ateismo epicureo, ma dimostra soprattutto come la filosofia greca non possa essere
compresa e valutata adeguatamente senza il
contributo dei due pensatori.
Intervista sul marxismo: intervista di G.
Cantarano ad Agnes Heller.
Una critica del materialismo storico. Gentile su Marx, di P. Serra: il materialismo
storico nella prospettiva gentiliana; un interesse casuale, non politico, ma esclusivamente filosofico.
Anno X, n. 6, 1992
Mucchi Editore, Modena
On logical “relativism”, di J. M. Bochenski.
Il presente fascicolo si lega ai precedenti
numeri monografici, dedicati al tema della
lettura, presentando gli appunti di alcune
lezioni tenute da Luciano Anceschi su questa tematica. In continuità ideale con queste pagine, i prossimi numeri saranno dedicati al tema della mimesis e offriranno
scritti di Bompaire, Flashar, Kapp, Reiff,
Spariosu, Gebauer, Wulf, Koller.
Ricerca sulla lettura, di L. Anceschi.
“Purezza dell’estetico” e belle arti come
linguaggio in Kant di L. Cozzoli: il rapporto tra bellezza libera e bellezza aderente e la
presunta prevalenza, secondo le interpretazioni più recenti, della seconda sulla prima,
è alla base di un supposto panestetismo
kantiano di fatto sia per quanto riguarda la
natura, che i prodotti di cultura.
Presagi jenesi. Sui presupposti esteticofilosofici del romanticismo, di M. Macciantelli.
Al di là di teologia e antropologia, di E.
Scoditti: una lettura della filosofia sociale
di Marx in una prospettiva di superamento
del giusnaturalismo e della tradizione illuminismica.
Il grottesco nell’indagine psicoanalitica,
di G. Storchi: il grottesco è stato studiato
come oggetto dell’estetica, mentre più raramente esso è stato anche considerato da
un punto di vista psicologico.
Sulla teologia della liberazione, di V. H.
Gerhard.
Friedrich Schlegel e il postmoderno, di A.
Larcati.
L’India confina con l’Italia, di B. Antomarini.
I formalisti russi e l’arte del cinema di J.
Bardos.
La fondazione ultima dell’etica in Karl
Otto Apel e gli esiti del confronto con il
razionalismo critico, di P. Vasconi: una
risposta critica alle obiezioni di Apel al
razionalismo critico, da Popper a Albert,
AXIOMATHES
Anno IV, n. 2, settembre 1993
Il Poligrafo, Padova
Il fascicolo si apre con un ricordo di Enzo
Melandri (1926-1993), primo presidente
del Centro Studi per la Filosofia Mitteleu79
Comparisons between scholastic logical
tools and modern formal logic, di J. Salamucha.
Neoscholasticism and the demands of modern science, di J. F. Drewnowski.
Le parti e l’intero nella concezione di Aristotele (II), di L. Dappiano: dopo aver
inquadrato in maniera generale l’holologia
aristotelica in un articolo precedentemente
apparso su questa rivista, l’autore analizza
qui le caratteristiche delle parti, a partire da
quelle concettuali.
Robert Musil tra letteratura e filosofia, di
M. Libardi: il pensiero di Musil in rapporto
alla filosofia austriaca.
Riflessioni sulla didattica della filosofia, di
C. Tamaini.
CRITERIO
Anno X, numero unico, 1992
Considerazioni su ‘La coscienza liberale
come coscienza della vita’ di B. Croce, di
M. Corsi: ripresa dell’analisi sulla concezione liberale della vita in opposizione alle
metafisiche della trascendenza, che negano all’individuo la sua spontaneità e la sua
umanità.
Croce, Collingwood and the Characterization of historical Knowledge, di B. Haddock: l’ambiguità dell’influenza di Croce
sul pensiero e l’opera di Collingwood intorno alla delicata concezione della conoscenza storica definita in rapporto alla dimensione temporale dell’umana esperienza.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
L’esperienza del conoscere: incontri tra il
casuale e il necessario, di A. Agodi.
L’ultimo meridionalista di G. Cotroneo:
significativo ritratto della personalità e dell’opera di Francesco Compagna, illustre
meridionalista che ha dato un volto nuovo
al dibattito intorno alle questioni relative
all’emigrazione, all’apparato amministrativo statale, al regionalismo e al mercato
del lavoro, polemizzando con il “massimalismo liberista”.
Albert Camus. Un mistico senza Dio, di A.
Montano: indagine sulla radice del male e
dell’ingiustizia, alla luce del tormentato
rapporto di Camus con il Cristianesimo
nella negazione del suo aspetto provvidenziale e nel rifiuto della dimensione sovrastorica dell’individuo.
Grecità e “Germanicità”. Le lezioni universitarie di Heidegger sulla poesia di
Hölderlin, di C. Jamme.
Il senso della storia e la questione del
giudizio nel pensiero di Alfredo Parente di
R. Viti Cavaliere: riflessione sul senso della storia come manifestazione di eventi
oggettivamente autonomi, ma anche espressione “dell’infinita creatività dello spirito”
in costante dialogo con la soggettività che
conosce.
dibattito sulle riforme istituzionali dei giuspubblicisti tedeschi, attivi sia nell’ultimo
periodo della Repubblica di Weimar, sia
nel secondo dopoguerra.
Variazioni in tema di processo, di S. Cotta.
Kelsen, Ullmann e la ierocrazia, di F. de
Aloysio.
Una migrazione americana di Kant: la
neutralità politica della giustizia e il valore
della libertà, di M. C. Pievatolo: la riflessione su una filosofia politica moralmente
neutra in Rawls e Larmore.
Un criterio di giustificazione del diritto: la
prospettiva ontofenomenologica di Sergio
Cotta, di S. C. Sagnotti: recensione di S.
Cotta: Il diritto nell’esistenza. Linee di
ontofenomenologia giuridica (Giuffré,
Milano 1991).
La filosofia del diritto tra normativismo
e metaetica secondo Gaetano Carcaterra, di S. C. Sagnotti: recensione di G.
Carcaterra: Lezioni di filosofia del diritto. Norme giuridiche e valori etici (Bulzoni, Roma 1991-92).
Il rapporto Croce-Gentile nella corrispondenza tra Croce e Prezzolini, di V. Regina.
Storia e argomentaziome, di G. Furnari
Luvarà: valorizzazione e presentazione del
carattere della ragione storica che, posta a
fondamento delle scienze umane, consente
la scoperta della dimensione del verosimile
in opposizione all’aspetto rigidamente dimostrativo delle proposizioni scientifiche.
Due modelli di virtù: Aristotele e Kant, di
I. Crispini.
RIVISTA INTERNAZIONALE
DI FILOSOFIA DEL DIRITTO
Vol. LXX, luglio-settembre 1993
Giuffré Editore, Milano
Validez pragmatica. Una discussion con A.
G. Conte, di C. A. Cabrera.
La componente plebiscitaria nella democrazia rappresentativa di Fraenkel, di L.
Ciaurro: nell’attuale momento storico appare molto interessante una rilettura del
Aspetti letterari nell’opera di Anselmo: le
citazioni dei classici latini nelle ‘Epistole’,
di F. Bertini.
Le ‘Meditationes’ di Anselmo, di C. Leonardi: l’articolo si occupa delle tre Meditationes di Anselmo che, accanto alle 19
Orationes, non sono mai state oggetto di
approfonditi esami. Se le Orationes hanno
la struttura di un dialogo tra orante ed orato
che assume in Anselmo la forma di un
monologo dell’orante, le Meditationes hanno la forma di un colloquio con se stesso.
Les florilèges à l’époque de Saint Anselme,
di J. Hamesse.
Création, péché et joie, di P. Gilbert: una
riflessione sulle pagine del Proslogion dedicate al rapporto tra creazione e peccato e
alla meditazione come attività che libera
dal peccato ed unisce a Dio.
A proposito del progetto europeo”Per la
pace perpetua. Kant, un’idea dell’Europa”,
B. Troncarelli: la presentazione dell’omonimo progetto a Roma (4 giugno 1993).
“Aliquid quo nihil maius cogitari possit”
counterpart of “homo mortuus”, di D. P.
Henry.
RIVISTA DI STORIA DELLA FILOSOFIA
L’artefice e l’opera nelle pagine di Anselmo, di M. Parodi: nelle pagine del Proslogion e del Monologion viene analizzato il
tema dell’arterfice in rapporto alla propria
opera prima e dopo la sua realizzazione.
Anno XLVIII, n. 3, 1993
Franco Angeli, Milano
Anselm on the angels, di D. Luscombe.
Relazioni, saggezza divina e principio
di ragion sufficiente in Leibniz, di
G. Giannetto.
Una introduzione alla ‘Città del Sole’ di
Tommaso Campanella, di S. Coppolino.
celebre argomentazione anselmiana, mentre
cruciale, nel nostro secolo, è la svolta impressa da Karl Barth che colloca il pensiero
del filosofo all’interno di una “teologia del
credente”. In Italia particolarmente significative sono state le interpretazioni fornite da
Mario Dal Pra e da Sofia Vanni Rovighi.
Tema della rivista: “Anselmo d’Aosta: logica e dottrina”.
La rivista contiene studi inediti che analizzano i diversi aspetti dell’opera di Anselmo: lo
stile dei suoi scritti nel contesto della letteratura del periodo, la logica del celeberrimo
argomento ontologico e i contenuti della
dottrina, le relazioni tra Anselmo ed altri
autori a lui legati da analogie tematiche.
Come sottolinea Maria Teresa Fumagalli
nella Premessa, quella del primate di Canterbury è una figura sui generis nel panorama
filosofico medievale: monaco amante della
meditazione solitaria, più che alla tradizione
filosofica pagana guardava ad Agostino e ai
Padri; meditava e dialogava con gli allievi,
più che impartire loro lezioni. Si tratta comunque di una figura di eccezionale levatura
filosofica, soprattutto per quanto riguarda le
sue competenze in campo logico, grammaticale e retorico. Tale eccezionalità viene rilevata, dopo un secolo di silenzio, da Guglielmo di Auxerre, che per primo cita l’argomento anselmiano del Proslogion. E’ tuttavia la filosofia moderna, da Cartesio ad
Hegel, ad interessarsi profondamente alla
80
Anselm and the tradition of the Song of
Songs, di E. A. Matter: il contributo di
Anselmo alla storia dell’interpretazione
della Bibbia.
On the eve of nominalism: consignification
in Anselm, di W. J. Courtenay.
Verità e inerenza. Un’analisi del De Veritate anselmiano, di W. Cavini.
Aspetti problematici dell’argomento modale di Anselmo, di S. Galvan: il rinnovato
interesse logico per l’argomento ontologico
anselmiano è legato anche agli enormi sviluppi che negli ultimi anni hanno caratterizzato la ricerca logica modale. In quest’ambito di studi è stato evidenziato come in Anselmo possano essere individuati due distinti
argomenti per la dimostrazione dell’esistenza di Dio: il primo giunge all’esistenza dell’Essere Massimamente Perfetto a partire
dal fatto che l’esistenza è una perfezione
(Proslogion, cap. 2); il secondo, riformulato
poi anche dallo stesso Leibniz, parte dal
presupposto che l’Ente Massimamente Perfetto deve esistere necessariamente e non
RASSEGNA DELLE RIVISTE
contingentemente, perché un ente contingente è meno perfetto di uno che esiste per
necessità (idem, cap. 3). Su quest’ultima
forma dell’argomentazione anselmiana ha
in particolare incentrato le sue analisi Hartshorne, studioso di logica modale.
PARADOSSO
Il fascicolo contiene i materiali più significativi presentati al convegno: “Le forme e
il tempo nel pensiero di Georg Simmel”
(Modena, 11-12 maggio 1990), con il contributo del Centro Culturale della Fondazione San Carlo di Modena. Lo scopo era
quello di riflettere sull’intera produzione
simmeliana a partire dal tema delle forme e
della temporalità, tema che, pur in mancanza di una formulazione unitaria e definitiva, sottende a tutta la sua riflessione filosofica e sociologica. Si sottolinea in proposito come questo rinnovato interesse per il
pensiero simmeliano si accompagni all’
edizione in ventiquattro volumi delle opere
complete del filosofo, giunta al settimo
volume. Questa iniziativa dovrebbe contribuire a dissolvere il pregiudizio secondo
cui Simmel sarebbe da un lato un pensatore
frammentario e impressionistico, attento
ad aspetti secondari e superficiali della
vita, dall’altro, in contrapposizione, un
“classico” della sociologia, non proponibile per una lettura filosofica.
n. 5, 1993
Pagus Editore, Treviso
Il problema dello stile, di G. Simmel.
Tema della rivista: “Forme del male”.
Istantanee sub specie aeternitatis, di G.
Simmel.
Al-Ghazali ed Anselmo: elementi di confronto, di M. Campanini.
Anselmo, Gilbert Crispin e l’uso della ratio nella polemica contro gli Ebrei, di G.
Fioravanti.
L’argomento del ‘Proslogion’ in alcuni
autori del XIV secolo di O. Grassi: la discussione sull’argomento del Proslogion
in Scoto, Ockham, Durando di S. Porziano
ed altri autori del XIV sec.
Filosofia moderna e problematica del male
nelle ‘Untersuchungen über das Wesen der
menschlichen Freiheit’ di Schelling, di G.
Riconda: anche in quest’opera di Schelling
troviamo la caratteristica costante del suo
pensiero, cioè accompagnare l’esposizione teoretica personale con notazioni di storia della filosofia moderna, analizzata nell’ottica dell’Assoluto e dei suoi rapporti
con il mondo. L’articolo si sofferma in
particolare sulle riflessioni di Schelling
riguardo all’opera di F. Schlegel: Über die
Sprache und die Weisheit der Inder.
Uno sguardo dal nulla, di S. Givone: una
meditazione sul nichilismo di Leopardi.
Cette chanson d’amour qui toujours recommence..., di A. Emo: vengono qui pubblicati alcuni frammenti del filosofo Andrea Emo.
Il male, l’impossibilità della teodicea e il
perdono, di L. Bottani: l’impossibilità della teodicea in relazione al male e alla sofferenza, la ricomposizione dell’infranto e il
per-dono.
Denaro o vita. Uno studio metaforologico
sulla consistenza della filosofia di Georg
Simmel, di H. Blumenberg: il saggio mette in
luce l’unità profonda del pensiero di Simmel
a partire dalle metafore di denaro e vita.
RIVISTA ROSMINIANA
Anno LXXXVII, n. 4,
ottobre-dicembre 1993
Centro Int. Studi Rosminiani, Stresa
Sull’ecclesiologia di Rosmini, di G. Campanini: durante gli ultimi anni si è assistito
ad una ripresa dell’interesse per Rosmini,
che ha riguardato anche la sua lezione
teologica, all’interno della quale un aspetto
importante è rappresentato dall’ecclesiologia. Proprio in essa troviamo alcune considerazione importanti sul ruolo del laicato
all’interno della Chiesa, considerazioni che
verranno riprese e sviluppate anche nel
Concilio Vaticano II.
Rosmini en langue française, di J. M. Trigeaud: nota bibliografica, premessa alla traduzione francese dell’ Introduzione alla Filosofia, di Rosmini (Bière, Bordeaux, 1992).
Fede e giustificazione nel pensiero teologico di Rosmini, di E. Pederzani: il recupero
della metafisica in Rosmini; l’idea dell’essere, rivelazione, grazia e fede.
Il carteggio Moglia-Bonomelli, a cura di B.
Perazzoli: il carteggio tra Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona (1831-1914) e
Agostino Moglia, sacerdote e rosminiano
(1829- 1898).
Le cose che chiamano. Tempo e istituzioni
in Simmel, di B. Accarino: una ricostruzione del tema della temporalità specifica nelle formazioni e nel significato sociale delle
istituzioni.
RIVISTA DI FILOSOFIA
NEOSCOLASTICA
Tempi e mondi possibili: arte, avventura,
straniero in Georg Simmel, di R. Bodei.
Questo fascicolo triplo della rivista è dedicato alla Metafisica di Aristotele, considerata da un punto di vista storico-interpretativo, storiografico, teoretico e contiene gli
interventi al convegno tenutosi a Napoli,
presso l’Istituto Suor Orsola Benincasa (46 ottobre 1993). La scelta di Aristotele e
della Metafisica è stata determinata dalla
necessità di riflettere su un pensiero che
mantiene ancor oggi ampi spazi di riflessione ed interpretazione, rivestendo un ruolo
centrale nella prospettiva teoretica odierna. Interessanti anche gli studi relativi all’interpretazione di Aristotele nella storia
ed alla ricezione della sua opera principale
anche in paesi considerati marginali dalla
storiografia.
La categoria del tempo in Simmel: una
lettura sociologica, di A. Cavalli: le analisi
simmeliane della temporalità in una prospettiva empirico-fenomenologica.
Le antinomie dell’esistenza. Simmel e la
filosofia della vita, di A. Dal Lago: testo
tratto dalla monografia dell’autore dal titolo: Georg Simmel. Il conflitto della modernità (cap. V, Il Mulino, Bologna 1994).
L’aporia del Male, di Proclo: alcuni frammenti tratti dai Commentari al Timeo di
Proclo, a cura di M. Cacciari.
Il confine delle forme. Dalla ‘Philosophie
des Geldes’ alla Lebensanschauung, di F.
Desideri: la tensione tra vita e forme nel
continuo procedere della vita.
AUT-AUT
Accelerazione della vita moderna ed Erleben, di B. Nedelmann: il nesso tra accelerazione della vita e denaro in un progetto di
sociologia politica di ispirazione simmeliana.
n. 257, settembre-ottobre 1993
La Nuova Italia, Firenze
Tema della rivista: “Georg Simmel. Le
forme ed il tempo”.
81
Anno LXXXV, n. 2-4,
aprile-dicembre 1993
Vita e Pensiero, Milano
Struttura paradigmatica e dimensione epocale della Metafisica di Aristotele, di G.
Reale: la Metafisica aristotelica rappresenta una pietra miliare nella storia del pensiero occidentale, perché presenta un’originalità teoretica che spesso è stata dimenticata
dalle riletture che ne sono state date. Infatti
la metafisica nasce presso i Greci essenzialmente come un approccio alla problematica dell’intero sia da un punto di vista
RASSEGNA DELLE RIVISTE
henologico, incentrato cioè sulla problematica dell’uno, sia da un punto di vista
ontologico, centrato sulla problematica
dell’essere. Aristotele riveste in quest’ottica un ruolo centrale, poiché sviluppa una
metafisica intesa come scienza dell’essere
in quanto essere, da cui deriverebbe il paradigma ontologico, mentre per i Greci prearistotelici prevalente era il paradigma henologico. Il Medioevo e l’età moderna hanno poi rafforzato questa prospettiva, consolidando l’idea dell’ontologia come unica
forma di metafisica, idea cui sembra aderire lo stesso Heidegger quando parla dell’intera metafisica occidentale come “dimenticanza dell’essere”. In realtà l’autore
nega proprio che in Aristotele ci sia un
oblio totale del paradigma henologico.
Semantizzazione dell’essere e principio di
non contraddizione, di C. Vigna: una lettura del libro “gamma” della Metafisica come
emblema di una filosofia che, pur essendo
aperta all’Intero dell’essere, custodisce
anche il frammento dell’Essere.
L’analogia in Aristotele, di V. Melchiorre:
il pensiero di Aristotele sull’analogia partecipa della tradizione matematica tipica di
tutta la tradizione greca, per cui, quando lo
Stagirita parla di analogia, lo fa in termini
di proporzionalità.
La ‘Metafisica’ di Aristotele: “onto-teologia” o “filosofia prima”?, di E. Berti:
sull’interpretaziome critica di Heidegger
della metafisica di Aristotele.
In margine al concetto di forma nella ‘Metafisica’ di Aristotele, di M. Mignucci:
l’articolo intende analizzare alcune tesi aristoteliche sulla dottrina della forma all’interno della sua filosofia, individuandone
peso, senso e motivazioni in rapporto alla
sua visione del mondo.
La noesis noeseos e la sua posizione nella
‘Metafisica’ di Aristotele, di H. Krämer: la
riflessione della teologia aristotelica sul nous.
Attività di Dio e attività dell’uomo nella
‘Metafisica’ di Aristotele, di C. Natali: alcuni aspetti del confronto che Aristotele fa
nella Metafisica tra l’attività di Dio e quella
dell’uomo, prendendo le mosse da alcune
considerazioni dell’Etica Nicomachea.
La prosecuzione di spunti platonici nella
‘Metafisica’ aristotelica, di T. A. Szlezàk:
vengono qui individuati alcuni problemi,
spunti di riflessioni e soluzioni che possono costituire un possibile confronto tra
Platone e Aristotele, alla ricerca di concordanze basate più che su contenuti dottrinari, su motivi di fondo e metodi.
La dialettica e il suo ruolo nella ‘Metafisica’ di Aristotele, di C. Rossitto: gli ultimi
sviluppi dell’esegesi aristotelica hanno
escluso una netta separazione tra dialettica
e filosofia, ammettendo una certa dialetticità di alcuni momenti della filosofia prima
aristotelica. Tuttavia, apparentemente in
contrasto con questa interpretazione, nella
Metafisica il termine “dialettica” ricorre
solo cinque volte; l’articolo analizza queste citazioni, sottolineando che, quando
Aristotele parla di dialettica, si riferisce
non alla propria teoria elaborata nei Topici,
ma alla dialettica di Platone, coincidente
appunto con la filosofia.
La ‘Metafisica’ di Aristotele alla luce del
trattato ‘De Mundo’, di A. P. Bos: prescindendo dalla questione della paternità del
De Mundo, viene proposto un confronto tra
questo trattato e la Metafisica sulla base di
tre temi: il concetto di filosofia come liberazione; la noziome di dynamis divina, la
dipendenza della natura da Dio.
Rapporti tra la ‘Metafisica’ e la ‘Fisica’ di
Aristotele, di L. Ruggiu: i rapporti tra la
Metafisica e la Fisica sul piano dei contenuti ontologici, l’essere in quanto essere e
l’essere in divenire, dei rispettivi statuti
epistemologici e dei rispettivi principi.
Rapporti tra la ‘Metasica’ e il ‘De Generatione et Corruptione’ di Aristotele, di M.
Migliori: il rapporto tra fisica e metafisica
aristotelica si fonda sul fatto che la fisica è
in realtà un’ontologia del sensibile le cui
affermazioni spesso si sovrappongono con
quelle della metafisica.
Il senso di “Gamma”. La strategia di Aristotele contro i presocratici in ‘Metafisica’
IV, di B. Cassin.
Socrate nella ‘Metafisica’ di Aristotele, di
G. Giannantoni.
Percorsi significativi della ‘Metafisica’ di
Aristotele nel Medioevo, di A. Ghisalberti.
Hegel e la lettura logico-speculativa della
‘Metafisica’ di Aristotele, di V. Verra:
l’approccio di Hegel alla Metafisica di
Aristotele presenta alcune difficoltà esegetiche legate sia a problemi di ordine
testuale, sia a problemi di carattere terminologico, soprattutto relativi all’uso del
termine metafisica.
L’edizione rinnovata della ‘Metafisica’ di
Aristotele curata da Giovanni Reale e le
ricerche metafisiche presso l’Università
Cattolica, di A. Bausola.
Aristotele ed aristotelismo all’Università Cattolica polacca di Lublino, di E. I.
Zielinski.
La ‘Metafisica’ di Aristotele in Polonia e in
Russia nel ‘900, di M. Wesoly.
Opere monografiche e miscellanee pubblicate nel XX secolo afferenti alla ‘Metafisica’ di Aristotele, di R. Radice.
82
PARADIGMI
Anno IX, n. 33, settembre-dicembre 1993
Schena Editore, Brindisi
Invarianti assiologiche, di M. Reale: una
riflessione sulle invarianti assiologiche, cioè
su quei valori fondamentali e fondanti che
guidano l’uomo nella sua vita, tenendo
presenti anche i contributi che sono venuti
dalla storia della filosofia.
Ideologia e ricerca pedagogica, di R. Laporta: attingendo a un ricco patrimonio
storico di interpretazioni in merito, l’articolo analizza alcuni aspetti dell’ideologia
necessari alla crescita della coscienza individuale e sociale e quindi significativi in
una teoria dell’educazione.
Dimostrazioni trascendentali, di I. Cubeddu: una lettura della quarta e ultima sezione
del primo capitolo della seconda parte della
Critica della ragion pura, sezione poco
analizzata dagli studiosi di Kant.
Il silenzio e il tacere tra segni e non segni,
di A. Ponzio: prendendo spunto dalla distinzione tra “silenzio” e “tacere”, fornita
da Bachtin, l’articolo analizza questi concetti alla luce della riflessione linguistica.
Aspetti della teoria aristotelica delle parti
e dell’intero, di R. Poli, L. Dappiano, M.
Libardi: la differenza tra vita e morte formulata attraverso concetti mereologici, cioè
relativi ad una teoria dell’intero e delle
parti, di stampo aristotelico, di cui si dà qui
una rapida disamina.
Interrogazione filosofica e narrazione, di
B. Coppola: una lettura filosofica dell’opera di Eliot sulla base, da un lato, del rifiuto
di una rigida demarcazione stilistica tra
arte e filosofia, aventi entrambe per oggetto un’interrogazione radicale sull’uomo,
dall’altro, della consapevolezza che non è
possibile neppure ridurre la teoresi filosofica alla pura espressività della letteratura;
di qui il tentativo di una lettura di un testo
narrativo che utilizzi categorie e concetti
filosofici elaborati storicamente.
Finitudine dell’uomo e ricerca della saggezza, di C. Cantillo: il convegno “Filosofia, etica e scienze dell’uomo” (Salerno,
11-13 novenbre 1992), dedicato alla figura
di Abbagnano.
La memoria e l’oblio, di L. Bottani: recensione di P. Rossi: Il passato, la memoria,
l’oblio (Il Mulino, Bologna 1992)
Didattica filosofica e coscienza contemporanea, di R. M. Calcaterra.
La didattica della filosofia, di S. Cicatelli.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
ITINERARI FILOSOFICI
Anno III, n. 6/7, maggio-dicembre 1993
Soc. It. per la Ricerca Filosofica, Milano
La trappola. La filosofia heideggeriana ed
il nazionalsocialismo, di J. P. Faye.
Tra parola filosofica e silenzio mistico, di
P. D’Alessandro: in rapporto alla parola, da
un punto di vista teoretico, il silenzio può
essere definito come estasi; ad esso fanno
riferimento non solo Heidegger, ma anche
la tradizione mistica e teologica e soprattutto Schelling.
Per un’antropologia della democrazia. Osservazioni sul mutamento sociale, di U.
Fadini.
Le esigenze della ragione, di M. Fortunato:
una riflessione sull’opera di G. Rensi, La
filosofia dell’assurdo (Adelphi, Milano 1991)
ricostruire geneticamante la problematica
dell’Aristotele logico, dialettico ed epistemologo. Il secondo volume di quest’opera,
tuttavia, non è mai apparso, anche se negli
anni successivi sono stati numerosi gli studi in merito da parte dell’autore, tanto che,
da un punto di vista tematico, si può dire
che il secondo volume sia ormai pronto.
Questo saggio rappresenta appunto un capitolo di quest’opera non ancora pubblicata e, pur risalendo al 1973, mantiene ancora
intatta la sua validità storiografica.
REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN
Tema della rivista: “Aristotele”.
Per una filosofia del cinema: Gilles Deleuze,
di F. Mazzocchi: la relazione tra cinema e
riflessione filosofica in Deleuze, uno dei
pochi pensatori che si è occupato di cinema
in chiave teorica, mostra due importanti punti di riferimento teoretici, Bergson e Peirce.
La pensée et le mot dans les ‘Réfutations
sophistiques’, di M. Hecquet-Devienne:
tra i tipi di procedimenti adottati nelle discussioni eristiche, secondo Aristotele la
più importante è la confutazione apparente, a cui lo Stagirita dedica la parte più
ampia delle Confutazione Sofistiche.
Aristotele e noi, di R. De Monticelli: lettera
aperta ad Enrico Berti sul suo libro Aristotele nel Novecento (Bari, Laterza, 1992).
Division, définition et essence dans la science aristotélicienne, di R. Bolton.
“In principio era il verbo, poi venne la
conversazione: inediti di Andrea Emo
tratti da Quaderni 1964-1981, a cura di
R. Gasparotti.
TEORIA
Vol. XIII, n. 2, 1993
ETS, Pisa
Questo numero della rivista presenta un
unico saggio di V. Sainati dal titolo: Aristotele dalla Topica all’Analitica. L’intervento è un inedito risalente al quinquennio
successivo al 1968, anno in cui comparve,
presso la casa editrice Le Monnier di Firenze, il primo volume della Storia dell’Organon aristotelico, in cui Sainati mirava a
La ‘Rhétorique’, la dialectique et les passions, di J. M. Cooper: nel II libro della
Retorica Aristotele analizza numerose passioni ed emozioni non sufficientemente
scandagliate dai commentatori da un punto
di vista filosofico.
n. 2, aprile-giugno 1993
PUF, Paris
Le statut catégoriel des différences dans
l’Organon, di D. Morrison: parlando di
enigma a proposito dello statuto categoriale della differenza, l’articolo si sofferma sulle informaziani cruciali che possiamo trarre a questo proposito dalle Categorie e dai Topici.
La non. contemporaneità di Bloch, di P.
Ferri: a proposito dell’opera di E. Bloch,
Eredità del nostro tempo (1935).
Que fait le premier moteur d’Aristete?, di
S. Broadie: la teologia nel libro L della
Metafisica.
REVUE PHILOSOPHIQUE
DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER
La nozione di Totalität nella lettura heideggeriana di Kant, di F. Cassinari: differenze tra Kant e Heidegger in relazione alla
nozione di totalità, nozione che Heidegger
rintraccia nella “Dialettica trascendentale”
kantiana, mostrandone l’inadeguatezza da
un punto di vista ontologico.
Attualismo come nichilismo, di V. Vitiello:
note sul saggio di F. S. Chesi, Gentile e
Heidegger. Al di là del pensiero.
La sémantique des termes généraux chez
Aristote, di M. Mignucci: la rinuncia aristotelica alle forme platoniche apre diverse
questioni, come ad esempio quello della
referenza dei termini generali.
La structure du qualitativisme aristotélicien, di V. P. Vizguine: l’articolo sottolinea l’aporeticità, l’incoerenza e la problematicità della nozione di qualità in
Aristotele.
Du troisième genre au cinquième corps.
Notes sur la critique du ‘Timée’ de Platon
dans le premier livre du traité ‘De l’âme’
d’Aristote, di R. Bodéüs.
Aristote voit du rouge et entend un “Do”:
combien se passe-t-il de choses? Remarques
sur le ‘De anima’ II 7-8, di M. Burnyeat.
Vol. 91, agosto 1993
Institut supérieur de philosophie
Louvain La Neuve
Les Grecs et la quête du divin, di A. Motte:
attraverso un’analisi del valore della religione in rapporto alla natura, all’anima ed
alla città, viene messo in evidenza un legame tra religione e filosofia tipico della
cultura greca, legame che emblematicamente affiora nel rapporto mythos-logos
che si instaura nella poesia.
Amitié, attirance et amour chez Thomas
d’Aquin, di J. McEvoy: l’articolo analizza
l’essenza dell’amore e della carità nella
Summa Theologiae. Vengono anche individuate le fonti di questi concetti in Agostino, Aristotele e lo Pseudo-Dionigi. L’originalità delle idee di Tommaso è dato dal
ruolo attribuito all’amicizia, elemento di
mediazione tra amore e carità.
Raison critique ou raison herméneutique,
di J. M. Aguirre Oraa: prendendo spunto
dalla controversia tra Gadamer e Habermas,
l’autore delinea le differenze tra ermeneutica e teoria critica. Tuttavia all’interno
delle due teorie è possibile individuare
punti di convergenza, come il valore accordato alla critica all’interno della ragione
ermeneutica ed il carattere storico e limitato della ragione critica. Si pone comunque
il problema di una fondazione critica della
verità e del rapporto tra ragione pratica ed
emancipazione umana.
Aristote et l’éthologie , di J. L. Labarrière:
nonostante Aristotele ignorasse il termine
etologia, i libri VIII e IX della Storia degli
animali, dedicati allo studio dei comportamenti degli animali nel loro ambiente,
possono essere definiti come tali.
Éléments pour une philosophie de l’enseignement de la philosophie, di H. Leonardy:
la questione della legittimità di un corso di
filosofia dell’insegnamento nella scuola
superiore belga.
Le rôle des nombres figurés dans la
cosmologie pythagoricienne d’après
Aristote, di B. Besnier: alcuni passaggi
della Fisica e della Metafisica relativi
alla cosmologia pitagorica.
Une nouvelle étude sur le platonisme antique, di A. Neschke-Hentschke: recensione
di H. Dörrie: Die geschichtlichen Wurzeln
des Platonismus (Frommann- Holzboog
Stuttgart 1987)
83
RASSEGNA DELLE RIVISTE
REVUE DE MÉTAPHYSIQUE
ET DE MORALE
teorici dello storicismo assoluto ma anche
delle sue difficoltà .
Vol. 98, n. 3, luglio-settembre 1993
A. Colin, Paris
Hegel en Italie au XX siècle, di L. Sichirollo.
La tâche actuelle de la philosophie
(1934), di E. Husserl: l’intervento di
Husserl all’VIII Congresso Internazionale di Filosofia a Praga che ha rappresentato un passo importante sulla via
della stesura della Crisi .
Crises et révolutions scientifiques selon A.
A. Cournot, di B. Saint-Sernin: l’espressione “rivoluzione scientifica” è stata resa
popolare da Kuhn nel 1962. Tuttavia nel
1872 A. A. Cournot propone una teoria di
rivoluzione scientifica che è stata poi completata da Kuhn.
Etre, vivre, exister. Note sur le commencement de l’homme, di J. Y. Lacoste: una
riflessione sull’inizio della vita dell’embrione umano.
La catégorie naturelle ultime, di M. Espinoza: una riflessione sulla sostanza come
categoria naturale ultima, indispensabile
dal punto di vista scientifico e filosofico.
Essa è l’oggetto della metafisica realistica.
Suarez et le problème de la métaphysique,
di F. Volpi: recensione di J. F. Courtine:
Suarez et le système de la métaphysique
(PUF, Paris 1990).
Vers une herméneutique du soi: la voie
courte et la voie longue, di J. Greisch:
recensione di P. Ricoeur: Soi- même comme un autre (Ed. du Seuil, Paris 1989).
ARCHIVES DE PHILOSOPHIE
Vol. 56, n. 4, ottobre-dicembre 1993
Beauchesne, Paris
Tema della rivista: “Filosofi in Italia” (I)
Tommaso Campanella entre grammaire
“monumentale” et grammaire générale,
di C. Alunni: le ricerche di grammatica di
Campanella caratterizzate da un tendenza
alla scientificità.
Diis Manibus ou Vico chez les morts, di B.
Pinchard: la “bellezza” della morte secondo Vico.
Le Marx actualiste de Gentile et son destin, di A. Tosel: secondo l’autore la filosofia italiana è stata l’unica in Europa ad
essersi misurata con Marx attraverso il
dibattito tra Labriola, da un lato, e Croce e
Gentile dall’altro. E’ alla fine di questo
confronto che nasce il neo-idealismo, che
riforma l’idealismo di Hegel. La lettura
attualista di Marx fornita da Gentile è
emblematica dell’originalità degli esordi
Philosophie et autobiographie chez Benedetto Croce, di M. Ciliberto: un’analisi del
Contributo alla critica di me stesso di
Croce, che pone il problema del rapporto
tra opera e individuo, la relazione tra autobiografia e problema teoretico della conoscenza e della coscienza di sé.
Le propre du discours. Le Christianisme et
la pensée comme symptôme, di G. Dalmasso: la filosofia cristiana in Italia: neotomismo e Università Cattolica; la figura di
Bontadini; lo spiritualismo.
La connaissance objective comme valeur
historique: le “néo-illuminisme” italien,
di F. Minazzi e J. Petitot: Banfi, Preti,
Geymonat nel panorama filosofico italiano ed europeo.
Un autre comme soi même, di R. Bodei.
Seguono il “Bollettino di letteratura hegeliana IX” e il “Bollettino di letteratura
spinoizista XV”.
ra politica si verifica un’antinomia a livello di legittimità dello Stato. Il tentativo di
elaborare una politica sulla base della ragione si fonda in Kant anche sulla riflessione sul diritto e sulla storia.
‘Du droit de vie et de mort’. Liberté et
appropriation de soi dans la politique de
Rousseau, di J. P. Paccioni.
Locke et la formation des concepts de la
politique moderne, di J. F. Spitz: l’elaborazione del concetto di potere legislativo
come arbitro permette di distinguere lo
stato di natura dalla società civile. Tuttavia il concetto di potere legislativo non è
scevro da ambiguità attraverso cui è possibile individuare la difficoltà nella costruzione degli strumenti concettuali della
politica moderna.
REVUE PHILOSOPIQUE DE LA FRANCE
ET DE L’ÉTRANGER
n. 3, luglio-settembre 1993
PUF, Paris
Tema della rivista: “Epicuro; il formalismo”.
Commentaire de la lettre d’Épicure à Ménécée, di J. Salem.
LES ETUDES PHILOSOPHIQUES
luglio-settembre 1993
PUF, Paris
Tema della rivista: “Filosofia politica”.
La fonction de la formule “la liberté est le
discernement de la nécessité” dans la
sphère de la praxis politique, di C. Axelos:
l’analisi del concetto di libertà nella letteratura marxista.
Gramsci et Hegel, di E. Buissière: tenendo
presenti i recenti contributi di Del Noce,
Losurdo e Racinaro sul ruolo di Hegel
nella formazione del pensiero di Gramsci,
l’articolo vuole ricostruire, a partire dai
Quaderni dal carcere, l’immagine che
Gramsci ha di Hegel, per chiarire il senso
della filosofia della prassi.
Religion naturelle et religion civile chez
Rousseau, di F. de Buzon: sulla coerenza
di alcune funzioni religiose in rapporto
alle relazioni sociali. Viene analizzato il
concetto di religione naturale, in rapporto
alla teorizzazione giusnaturalistica, e l’originale passaggio rousseauiano alla religione civile.
L’arbitraire du pouvoir. Au sujet d’une
antinomie dans la fondation del l’état chez
Kant, di J. E. Joos: nel momento in cui
Kant tenta di assicurare la fondazione dello Stato sulla ragione, cioè di definire
razionalmente la sua legittimità, nella sfe84
Les ambiguités du formalisme, di J. L.
Gardies: il rapporto tra il carattere fonetico
ed il ricorso agli ideogrammi della matematica greca, alla luce della formalizzazione della matematica moderna.
J. B. S. P.
Vol 24, n. 3, ottobre 1993
Università di Manchester, Manchester
Tema della rivista: “L’altro, coscienza e
valori”.
An alternative husserlian account of the
other, di K. Arp: Husserl e la questione del
Leib nelle Meditazioni cartesiane
Levinas, Sartre and understanding the
other, di D. Jopling: le diversità di pensiero tra Sartre e Levinas sui temi di ontologia, etica, razionalità, relazione Sè-Altro.
Relativamente alla comprensione psicologica vengono inoltre analizzate due questioni di ordine epistemologico e morale.
Sartre and the long distance truck driver: the reflexivity of consciousness, di
K. Wider: origini cartesiane di una delle
più importanti affermazioni di Sartre in
Essere e Nulla: «la coscienza è autocoscienza». L’articolo analizza la portata
di questa affermazione in Sartre anche
RASSEGNA DELLE RIVISTE
attraverso l’analisi di Psicologia dell’immaginazione.
Hermeneutics, language and science: Gadamer’s distinction between discursive and
propositional language, di N. Davey.
Are values independent entities? Scheler’s discussion of the relation between
values and persons, di I. Moosa: il punto di
vista di Scheler sullo statuto ontologico
dei valori, prima del 1922: i valori hanno il
ruolo di entità indipendenti? Viene infatti
sottolineata la differenza tra questa posizione e quella che si evidenzierà negli anni
successivi.
Heidegger and Scheler - a dialogue -, di P.
Gorevan: le valutazioni di Scheler dopo
aver ricevuto e letto Essere e Tempo.
“Measure” of time or “scansion” of time?,
di A. Ales Bello: la dimensione del tempo
nella prospettiva fenomenologica.
Time and Kairos in the philosophy of Evanghelos Moutsopoulos, di D. D. Moukanos.
Vol. XXXIII, n. 4, dicembre 1993
Fordham University, New York
A dialectical encounter between MacIntyre and Lonergan on the thomistic understanding of rationality, di M. P. Maxwell.
Schopenhauer’s style, di J. Snow: sulla
relazione tra metodo di presentare le idee e
le idee stesse di Schopenhauer, riguardo
anche alla complementarietà dei due aspetti.
The ends of metaphysics, di R. Kane: l’attacco alla metafisica che proviene da alcune correnti della filosofia contemporanea.
Why “cantorian” arguments against the
existence of God do not work, di G. Mar: le
ricerche matematiche di Cantor sono guidate anche da riflessioni religiose relative
alla natura del “transfinito”; queste riflessioni sono state di recente riprese da filosofi della religione contemporanei.
Kierkegaard’s “Individual”, di A. Imbrosciano.
A transcendental deduction of the categories without the categories, di J. Rosenthal:
il problema della deduzione in Kant.
PHENOMENOLOGICAL INQUIRY
Vol. 17, ottobre 1993
The World Institute for Advanced
Phenomenological Research and Learning
Belmont, USA
Phenomenology in East-central Europe
and the Baltics, di J. S. Smith: vengono
analizzati alcuni recenti testi critici sulla
fenomenologia in Europa.
Hume, conjectural history and the uniformity of human nature, di S. Evnine.
Method and “kairic” intentionality, di E.
A. Moutsopoulos.
Propitious moments with greek ladies:
Goethe’s Orestes and Ifhigenia, Faust and
Helena, di W. Wittkowski.
“Before the mellowing year”: Milton’s
‘Lycidas’ and the problem of the unpropitious moment, di H. Ross.
Propitious moments in Tagore’s life and
creations di S. Ray.
Time and nature: Merleau-Ponty and Mead,
di P. L. Bourgeois e S. B. Rosenthal.
INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL
QUARTERLY
Some aspects of the philosophical work of
Catharine Trotter, di M. Brandt Bolton:
alcuni aspetti delle dottrine morali di Trotter, autrice legata alla figura di Locke.
The dialogical dimension of the person in
Mead: creativity and time, di L. Gordillo: a
partire da Mind, Self and Society dello
psicologo behaviorista George Herbert
Mead, l’articolo delinea la teoria della persona dello studioso, cercando di mostrarne
anche le insufficienze.
Does the future exist?, di J. Brunning:
l’analisi del tempo in Peirce.
ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE
FORSCHUNG
Vol. 47, n. 4, ottobre-dicembre 1993
Klostermann Verlag, Frankfurt a/M
Der blinde Fleck der Moral. Überlegungen
im Anschluss an Nietzsches ‘Genealogie der
Moral’, di B. Waldenfels: il rapporto tra
natura e cultura nella morale di Nietzsche.
Aristotles über die Rechtfertigung des Satzes vom Widerspruch, di C. Rapp: il libro
gamma della Metafisica e la questione della contraddizione.
Die innere Struktur der Zeit als ein Problem für die formale Logik, di G. Prauss.
Das hermeneutische “als”. Heidegger über
Vestehen und Auslegung, di A. Graeser: il
problema dell’Essere e la questione del
senso in Heidegger.
Freedom and creativity, di A. Zvie BarOn: fenomenologia e dialettica del concetto di libertà.
RECHTSPHILOSOPHISCHE HEFTE
The voice of death in Africa, di J. Murungi.
n. 2, 1993
Peter Lang, Frankfurt a/M
JOURNAL OF THE HISTORY OF
PHILOSOPHY
Fichtes transzendentale Gerechtigkeitskonzeption, di H. G. von Manz: un’articolata
analisi della teoria fichtiana della giustizia,
del diritto, della moralità ed il rapporto con
la politica.
Vol. XXXI, n. 4, ottobre 1993
Washington University, St. Louis
The role of scepticism in modern philosophy reconsidered, di R. H. Popkin: il
ruolo dello scetticismo antico nelle argomentazioni e nelle controversie del
XVII secolo.
Animal souls metempsychosis and theodicy
in seventeenth century english thought, di P.
Harrison: il problema del rapporto tra uomo
e animali nella filosofia moderna presenta
tre diverse posizioni relative a precise concezioni della natura: la posizione meccanicistica cartesiana, quella altrettanto radicale del
panpsichismo, che non individua differenze
tra l’uomo e le altre creature della natura, e
quella mediana, che fa capo alla scuola platonica di Cambridge.
Ignoring the Demon? Spinoza’s way with
doubt, di R. V. Mason: la risposta di Spinoza
al dubbio cartesiano.
85
Ethische Prinzipien der Friedenssicherung,
di V. Hösle: la riflessione di Friedrich von
Weisäcker.
Die Kunst der Differenzierung, di D. Buchwald: l’analisi del testo di Michael Walzers: Spheres of justice. A defence of pluralism and equality (Oxford, New York 1983).
Der Kälteschock des Rechtsstaats. Die
Gegner des Unrechtssystems haben Gerechtigkeit erwartet - was haben sie bekommen, di A. Zielcke.
Gerechtigkeit im “Fall Stolpe”? Die Denkfigur des “Gefangenendilemmas” als Beitrag zur Versachlichung einer bisher
vorwiegend politich geführten Debatte, di
J. C. Joerden.
Das positive Recht und seine Grenzen, di
M. Pawlik: la riflessione politica nella ex
DDR. dopo la caduta del muro.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Verantwortungszuweisung, Gafahrensteuerung und Verteilungsgerechtigkeit.
Zielkonflikte bei der Akzessorietät des Strafrechts gegenüber anderen Rechtsgebieten, di K. Seelmann.
Politik und Recht im Spannungsfeld von
Geschichte und Norm, di V. Steenblock: il
dibattito sul significato del diritto: Carl
Schmitt e Vittorio Hösle.
to tra etica e questione ambientale. Su
questo tema è possibile un incontro interdisciplinare tra economia, sociologia,
filosofia e politica. In quest’ottica la
rivista propone tre interventi sulla qustione ambientale di D. Piacentino, economista, S. Scamuzzi, sociologo, e S.
Dallavalle, autore di vari articoli sul pensiero ecologista.
NUOVA CORRENTE (Anno XL, gennaio-
Menschenrechte. Utopie eines Lebens in
Gerechtigkeit?, di H. Folkers: diritti umani
e fine del socialismo reale.
giugno 1993, Tilgher, Genova) presenta
un intervento sul pensiero di Deleuze (Carnaval: la cosmodicea di Deleuze, di F.
Meni) e una recensione di S. Mele del
volune di R. Bodei, Geometria delle passioni (Feltrinelli, Milano 1991)
TOPOS
INTERSEZIONI (Anno XIII, n. 3, dicem-
n. 1, 1993
Pahl Rugenstein Verlag, Bonn
bre 1993, Il Mulino, Bologna) presenta
un articolo di G. Blasi dal titolo: Similia
similibus gaudeant. Similarità e consenso nella filosofia di Francis Bacon, in
cui viene definito l’atteggiamento di
Bacone nei confronti della dottrina rinascimentale del consensus.
Tema della rivista: “Weltgeschichte”.
Das Zeitalter der Weltgeschichte, di H. H.
Holz: l’analisi della filosofia della storia
classica come alternativa alla filosofia della storia maturata dopo l’Illuminismo.
Columbus 1492. Beginn einer neuen
Weltordnung, di V. Bialas: la storia del
mondo come storia della dominazione del
mondo ha inizio con il viaggio di Colombo
e l’adeguamento del mondo al modello
cristiano-occidentale.
Marx und die Geschichte des Totalitarismus, di D. Losurdo.
Schicksal versus Geschichte, di A. Gedö: il
ruolo di Spengler per la filosofia della
storia del XX secolo.
Proletarier aller Länder..., di G. Pala: le
contraddizioni sociali ed economiche del
capitalismo emergenti da un’autocoscienza
internazionale del proletariato come classe.
Zwei Savigny-Voten über Eduard Gans
nebst Chronologie und Bibliographie, di
H. Klenner e G. Oberkofler.
TEOLOGIA (Anno XVIII, n. 3, settembre 1993, Glossa, Milano) presenta un articolo di A. Bertuletti dal titolo: Teoria etica
ed ontologia ermeneutica nel pensiero di
P. Ricoeur, in cui viene analizzata la più
recente opera del filosofo francese, Soi
même comme un autre (1990), che approfondisce e recupera l’ermeneutica di sé
intesa come radicalizzazione di un progetto ermeneutico già tracciato fin dagli esordi
del percorso teoretico di Ricoeur.
NOTIZIE DI POLITEIA (Anno 9, n. 30,
1993) presenta, nella sezione “Discussioni”, una serie di interventi sul rappor-
KAMEN’ (Anno III, n. 4, dicembre 1993)
pubblica la traduzione della terza parte
dei Frammenti di estetica di Gustav Spet,
filosofo russo nato nel 1879 e morto nel
1940. Docente all’Università di Mosca e
seguace di Husserl, contribuì a diffondere la fenomenologia in Russia. Ricordiamo che nel n. 2 (ottobre 1992) e nel n. 3
(maggio 1993) della rivista sono stati
pubblicati la prima e la seconda parte
della medesima opera.
PROSPETTIVA PERSONA (Anno II, n.
4, Demian, Teramo) presenta un intervento di P. Ricoeur dal titolo: L’identità
personale. Il self, testo di una relazione
tenuta dal filosofo a Oxford nel 1992.
Troviamo inoltre un articolo di G. Galeazzi su Il personalismo ermeneutico di
Italo Mancini ed uno di V. Sorrentino su
Verità e opinione in H. Arendt.
PER LA FILOSOFIA (X Anno, n. 29,
settembre-dicembre 1993, Massimo Editrice, Milano) presenta un fascicolo monografico dal titolo “Sacro e Religioso”.
Il significato del sacro è uno dei temi
maggiormente discussi del nostro tempo, ma tale discussione richiede preliminarmente una riflessione di ordine metodologico che pone al proprio centro il
ruolo stesso dell’indagine filosofica. E’
in quest’ottica che si pongono alcuni
degli interventi nella rivista, tendenti a
individuare nel sacro una dimensione
autonoma che deve essere indagata in
modo qualitativamente diverso rispetto
ad altri ambiti del sapere. Si segnalano
inoltre una riflessione di D. A. Conci
sulla fenomenologia della religione come
via di approccio al sacro e un percorso
esistenzialistico verso il sacro analizzato da G. Penzo e A. Capecci.
86
RAGION PRATICA (n. 1, Anabasi, Mila-
no), presenta una parte monografica dedicata alla questione: “Che cos’è la ragion pratica?”, con interventi di M Barberis (La fondazione di regole ed i suoi
limiti), E. Lecaldano (La ragione e l’etica), C. S. Nino (Breve nota sulla struttura del ragionamento giuridico), U. Pagano (E’ la razionalità economica ragionevole?), M. Taruffo (Ragione e processo: ipotesi di una correlazione), F.
Viola (Ragion pratica e diritto naturale:
una difesa analitica del giusnaturalismo), G. Zaccaria (Complessità della
ragione giuridica), S. Zamagni (Razionalità pratica, etica, teoria economica).
Nella sezione “Studi” troviamo i seguenti
aritcoli: Decisionismo versus cognitivismo, di P. Becchi; Vico e la filosofia
pratica: ragioni di attualità, di F. Botturi; Il diritto come sistema di garanzie, di
L. Ferrajoli; Impegno e scelta. Saggio
sulla razionalità dei progetti, di D. Gauthier; Fini e mezzi: un approccio ai diritti, di R. A. Guibourg. Nella sezione
“Note” troviamo: Una ragionevole proposta di legalizzare la droga, di E. Diciotti; Controllo in Cassazione e giustificazione della decisione giudiziaria di
B. Pastore. Per la sezione “Il caso” troviamo: Una nuova legge contro i neofascisti? Per una deontologia del giuristainterprete, di P. Chiassoni.
FILOSOFIA E TEOLOGIA (Anno VII, n.
3, settembre-dicembre 1993, Edizioni
Scientifiche Italiane, Napoli) è dedicata al
tema: “Finitezza e questione di Dio”. Tra
gli altri articoli segnaliamo: Il Dio di Malebranche. La metafisica tra ontologia e
teologia, di E. Barone; Dalla differenza
ontologica al paradosso dell’icona.
Heidegger, Lévinas, Marion, di P. Burzio.
NUOVA CIVILTA’ DELLE MACCHINE
(Anno XI, n. 3-4/1993, Nuova Eri, Roma)
presenta un fascicolo dal titolo: “Le
scienze e i problemi della filosofia”, che
contiene le relazioni presentate in occasione del convegno “Le scienze e i problemi della filosofia. Verso una nuova
filosofia scientifica?” (Forlì, 24-26 marzo 1993). La questione di fondo è quella
relativa al superamento della rivalità tra
scienza e filosofia, paradigma dominante nella tradizione culturale occidentale,
anche nel nostro secolo, in vista di una
reale collaborazione tra questi due ambiti, soprattutto nel campo matematicofisico e biologico-medico.
STUDI SCIACCHIANI (Vol. IX, n. 17-18,
1993, Edizioni dell’Arcipelago, Genova)
presenta una serie di articoli dedicati al
pensiero di Michele Federico Sciacca, tra
cui L’umanesimo integrale di Sciacca, di
G. Zen, e L’ontologia dinamica di Sciacca,
di G. Marconi.
NOVITÀ IN LIBRERIA
AA.VV.
Carrefour des littératures
européennes. Penser l’Europe
à ses frontières:
géophilosophie de l’Europe.
pref. D.Guénon e J.L. Nancy
Ed de l’Aube, gennaio 1994
pp. 126, F 80
Si tratta degli atti di questa quarta
edizione del convegno tenutosi a
Strasburgo dal 7 al 10 novembre
1992, organizzato dalla Facoltà di
Filosofia dell’università. Gli studiosi intervenuti si sono interrogati sull’origine dell’Europa. Si tratta di una
giustapposizione di nazioni o al contrario del tentativo di liberarsi dell’identità nazionale?
NOVITÀ IN LIBRERIA
Bernstein, Richard
La nuova costellazione
Feltrinelli, gennaio 1994
pp. 416, L. 80.000
Il volume raccoglie dieci saggi pubblicati su riviste specializzate tra il
1986 e il 1990, parzialmente riscritti e dedicati allo stesso tema:
le conseguenze e le debolezze etico-politiche del pensiero post-moderno (Heidegger, Derrida, Foucault, Rorty).
AA.VV.
L’Orient au miroir
de la philosophie
Pocket, gennaio 1994
s. pp., F 50
Si tratta di diversi testi che testimoniano come fu considerato l’Oriente a
partire dal XVII secolo, come è stato
utilizzato per i fini occidentali, come
modello da assumere o da rifiutare. Si
tratta di un’antologia che permette di
capire la storia di un incontro intellettuale, la cui influenza si fa ancora
sentire ai giorni nostri.
Auroux, Sylvain
La Logique des Idées
Vrin Bellarmin, dicembre 1993
pp. 279, F 192
Tutte le storie di questa disciplina
menzionano La logica di Port-Royal
ma si interessano poco di quella che si
chiama la logica classica che va dalla
comparsa di Port-Royal (1662) fino
ai lavori di Boole e De Morgan, cioè
fino a metà del XIX secolo. Una rappresentazione realistica della logica
classica a partire da un modello che
ne permette la comprensione viene
offerta da questo volume.
AA.VV.
Galileo ritrovato
Franco Angeli, febbraio 1994
pp. 112, L. 22.000
Molto attuale appare oggi una rilettura dell’opera di Galileo alla luce delle
posizioni che ha assunto la nuova
scienza, la scienza postmoderna, a
confronto con quelle della scienza
moderna, che con lui è nata.
Bachtin, M.M.
Toward a Philosophy of the Act
trad. e note di Vadim Liapunov
University of Texas, dicembre 1993
pp. 128, $ 10
Recuperato nel 1972 in un archivio, questo testo è una delle opere più importanti
di M.M. Bachtin, il grande filosofo russo,
scritta tra il 1919 e il 1921.
Bellet, Maurice
La Seconde Humanité:
de l’impasse majeure
à ce que nous appelons l’économie
Desclée De Brouwer, dicembre 1993
pp. 220, F 125
Il filosofo, autore di questo libro,
riflette sul punto in cui si incontrano
la filosofia, la psicoanalisi e la religone. Si interroga sulla situazione
della società nel momento in cui il
ruolo riservato all’economia si rivela equivoco.
Baudrillard, Jean
Le Miroir de la production
ou l’illusion critique
du metérialisme historique
LGF, gennaio 1994
pp. 124, F 30
Citando dal testo: “uno spettro si aggira e minaccia l’immaginario rivoluzionario: è il fantasma della produzione. Alimenta da ogni parte un romaticismo sfrenato della produttività. Il
pensiero critico del modo di produzione non riguarda il principio della produzione.” Questo è quanto sostiene
l’autore, nel saggio scritto nel 1975.
Benedetto, Croce
La mia filosofia
a cura di G. Galasso
Adelphi, gennaio 1994
pp. 384, L. 24.000
Commissionata nel 1945 dall’editore Conctat di Londra, questa apologia ebbe una storia travagliata e non
apparve mai, fino ad oggi, nella forma che l’autore aveva auspicato. La
sua pubblicazione sarà perciò una
preziosa occasione per verificare
come Croce vedeva se stesso e come
sapeva illuminare le innervature del
suo pensiero.
Behler, Ernst
Studien zur Romantik
und zur idealistischen Philosophie
vol. II
Schöhning, dicembre 1993
pp. 290, DM 88
Anche questo secondo volume, che
come il primo (apparso nel 1988) raccoglie gli interventi di Behler sul Romanticismo e l’idealismo, copre un
vasto spettro della storia del pensiero e
dello spirito europei intorno al 1800.
Benhabib, Seyla
Selbst und Kontext.
Geschlecht, Gemeinschaft
und Postmoderne
in der zeitgenössischen Ethik
Suhrkamp, gennaio-febbraio 1994
pp. 300, DM 20,80
La posizione che viene qui presentata
è un difesa radicale della teoria universalistica, che comprende anche i
nuovi indirizzi filosofici.
Ach, J.S. - Gaidt, A. (a cura di)
Herausforderung der Bioethik
Frommann-Holzboog
gennaio-febbraio 1994
pp. 290, DM 80
Vengono presentati alcuni degli argomenti principali della bio-etica:
la metaetica bio-etica, le applicazioni bio-etiche, le conseguenze
della bio-etica.
Agamben, Giorgio
Stanze: parole et fantasme
dans la culture occidentale
Rivages, gennaio 1994
Angulvent, Anne-Laure
Hobbes et la morale politique
PUF, gennaio 1994
pp. 128, F 40
Hobbes si trova all’incrocio tra l’ambizione utopica, la prefigurazione del
tentativo leibniziano, che ricerca il
meglio possibile, e la filosofia classica, che cerca il bene supremo.
Arndt, Andreas
Dialektik und Reflexion.
Zur Rekonstruktion
des Vernunftbegriffs
Meiner, gennaio-febbraio 1994
pp. 384, DM 86
Platone, va al di là del testo stesso:
Callicolo, questo personaggio ambizioso, di tiranno politico messo in
scena in Gorgia, è il pericolo più
grande che abbia tentato di mettere in
crisi l’opera di Platone.
Negli ultimi anni abbiamo assistito al
riaccendersi dell’interesse per la filosofia politica di Immanuel Kant. Questo volume, scritto da affermati ed
autorevoli ma anche da giovani studiosi di Kant, spiega come il pensiero
dei filosofi contemporanei sulla filosofia kantiana sia venuto diversificandosi e testimonia dell’eredità lasciata da Kant per quanto riguarda le
teorie politiche ed etiche.
Benoist, Jean-Marie
Tyrannie du logos
PUF, dicembre 1993
pp. 192, F 55
Non si tratta di fare il processo a
Platone, ma di mostrarsi attenti all’insistenza di una teoria del desiderio, che anche all’interno del testo di
Beiner, R. - Booth, W.J.
(a cura di)
Kant and Political Philosophy.
The Contemporary Legacy
Yale University, dicembre 1993
pp. 432, $ 43
87
Bloch, Ernst
Tracce
Garzanti, febbraio 1994
pp. 254, L. 25.000
Tracce è un’opera dalla genesi complessa, programmaticamente eccentrica, sospesa tra narrazione e riflessione
filosofica; o meglio, rappresenta il frutto esemplare di quel “pensare anche
affabulando” teorizzato dallo stesso
autore. Apologhi, motti di spirito, proverbi, fiabe romantiche, leggende chassidiche e orientali, frammenti di dialoghi e conversazioni, vengono riletti,
interpretati, trasfigurati.
Böhme, Gernot
Am Ende des Baconschen
Zeitalters. Studien
zur Wissenschaftsentwicklung
Suhrkamp, dicembre 1993
pp. 480, DM 29,80
Attraverso gli studi sull’evoluzione
della scienza, il riconoscimento delle
sue prestazioni, il suo legame imprescindibile con la tecnica ed il riconoscimento delle particolarità di questo
“sapere”, si giunge - da una parte - ad
un atteggiamento di distanza rispetto
alla scienza e - dall’altra - al riconoscimento e allo sviluppo di altre forme di sapere.
Böhmer, Otto A.
Sternstunden der Philosophie.
Schlüßelerlebnisse großer Denker
von Augustinus bis Popper
C.H. Beck, dicembre 1993
pp. 250, DM 19,80
Si tratta di una raccolta delle trascrizioni delle trasmissioni radiofoniche
tenute da Böhmer (tra l’altro alle reti
WDR, SFB, NDR, Radio Bremen e
Deuschlandfunk). Qui le trasmissioni radiofoniche diventano letteratura.
Bonanate, Ugo
Nascita di una religione
Bollati Boringhieri, gennaio 1994
pp. 232, L. 30.000
Un laico, docente universitario di filosofia, affronta questioni di eccezionale rilievo in modo semplice, misurato e avvincente, lontano sia dai fervori dell’apologetica cattolica sia da
quel risentimento anticlericale che fa
velo alla comprensione del sacro e
delle sue istituzioni.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Borradori, Giovanna
The American Philosopher.
Conversations with Quine,
Davidson, Nozick, Danto, Rorty,
Cavell, Macintyre and Kuhm
University of Chicago
dicembre 1993
pp. 168, £ 15
In converasazioni informali, i partecipanti alla discussione commentano
il sorgere della filosofia post-analitica in America ed i suoi rapporti con il
pensiero europeo e con la tradizione
del pragmatismo americano. Commentano anche l’evoluzione del loro
pensiero e forniscono delle recensioni delle loro opere, in un continuo
scambio di idee.
Borsche, T. et al. (a cura di)
Zeit und Zeichen
W. Fink, gennaio-febbraio 1994
pp. 272, DM 78
Lo scopo dei simposi della Academie
du Midi è di riunire il pensiero filosofico ed il paesaggio meridionale, non
solo dal punto di vista spaziale. Dal
lavoro dei primi due simposi, tenutisi
a Lagrasse, nel sud della Francia,
sulla lingua e la metafisica (1989) e
su segno e tempo (1990) è nato questo
volume.
Boudoit, Pierre
Nietzsche en miettes
PUF, dicembre 1993
pp. 128, F 49
Zarathustra, gravato da un sistema di
pensiero anteriore a Copernico, esalta la bellezza a condizione che sia un
marmo, decidendosi per la morte violenta pur di non assistere alla sua
trasformazione. Egli riduce la “parola non parola” da creatore ai soffi di
un ectoplasma.
Bouin, Jean
Les Six livres de la République
a cura di Gérard Mairet
LGF, dicembre 1993
pp. 608, F 60
Si tratta di un’importante opera della
tradizione filosofica occidentale: è il
trattato apparso nel 1576, che ha preparato la venuta della modernità politica. Jean Bodin elabora il concettochiave di Stato moderno, la sovranità,
a partire dal quale sarà rimodellato lo
spazio teorico del pensiero politico.
L’autore, che svolge anche l’attività
di economista e teologo, sviluppa una
moderna etica del mercato di capitali, pertendo dal rapporto tra lavoro e
capitale nella società basata sulle leggi sociali di mercato.
po di filosofi di questo paese, sono
stati introdotti in università europee.
Camhy, Daniela
Childeren: Thinking and Philosophy.
Proceeding of the 5th International
Conference of Philosophy
for Chidren in Graz.
Das philosophische Denken
von Kindern
Academia, gennaio-febbraio 1994
pp. 452, DM 68
Brunner, R. - Deiters Fr.-J.
(a cura di)
Das Politische der Philosophie.
Über die gesellschaftliche
Verantwortung politischen Denkens
Talheimer, gennaio-febbraio 1994
pp. 208, DM 28
Canziani, Guido - Zarka Yves C.
(a cura di)
L’interpretazione
nei secoli XVI e XVII
Franco Angeli, febbraio 1994
pp. 848, L. 90.000
Il volume raccoglie gli atti di un convegno internazionale nel quale storici
della filosofia si sono riuniti per esaminare, in alcuni casi significativi, le
forme e le funzioni argomentative che
all’interpretare furono conferite nei
primi secoli del pensiero moderno.
Burckhardt, Jacob
Lettere (1838-1896)
Sellerio, gennaio 1994
pp. 295, L. 28.000
Questa scelta dell’epistolario di
Burckhardt propone per la prima volta al lettore italiano una selezione
rilevante del complesso monumentale (oltre duemila lettere) della corrispondenza del grande storico del Rinascimento italiano, comprendente il
carteggio con Nietzsche.
Bühler, A. (a cura di)
Unzeitgemäße Hermeneutik.
Verstehen und Interpretation
im Denken der Aufklärung
Klostermann, dicembre 1993
pp. 220, DM 68
L’ermeneutica dell’Illuminismo non
è al passo con il tempo, perché nella
sua insistenza sulla possibilità dell’obiettività ermeneutica e dello scopo di chiarificazione e nello svelamento delle intenzioni dell’autore, è
in contraddizione con le correnti del
pensiero ermeneutico del XX secolo,
cioè con l’ermeneutica filosofica di
Gadamer e Heidegger.
Buican, Denis
Biognoséologie: évolution
et révolution de la connaissance
Kimé, dicembre 1993
pp. 192, F 135
Quest’opera poggia su di una nuova
teoria della conoscenza, elaborata
dall’autore, la biognoseologia. Viene
qui tracciato il quadro dell’evoluzione della conoscenza.
Brogi, Stefano
Il cerchio dell’universo
Libertinismo, spinozismo
e filosofia della natura
in Boulainvilliers
L. S. Olschki, gennaio 1994
pp. 322, L. 55.000
Uno spaccato dell’età della crisi della coscienza europea attraverso il
pensiero di uno dei suoi inquieti protagonisti.
Burnyeat, Miles (a cura di)
Vlastos, Gregory. Socratic Studies
Cambridge University
gennaio-febbraio 1994
pp. 158, £ 10
Si tratta di un volume che va considerato insieme all’altro libro dello stesso autore, Socrates: Ironist an Moral
Philosopher. Raccoglie quattro saggi
che sono alla base della sua comprensione di Socrate, che vengono qui
presentati in forma riveduta e corretta. Vengono esaminati il metodo di
argomentazione investigativa ed il suo
rigetto del sapere.
Brüggemann, Ernst
Die menschliche Person
als Subjekt der Arbeit.
Das ‘Prinzip des Vorgangs
der Arbeit vor dem Kapital’
und seine Umsetzung
in der heutigen Gesellschaft
Schöningh, gennaio-febbraio 1994
pp. 451, DM 56
Butterworth, Charles E.
et al. (a cura di)
The Introduction of Arabic
Philosophy into Europe
Brill, dicembre 1993
pp. 180, FL 95
Si tratta di una raccolta di studi che
descrivono come gli scritti di un filosofo arabo in particolare, o di un grup-
Collobert, Catherine
L’Etre du Parménide
ou le Refus du temps
Kimé, gennaio 1994
pp. 308, F 190
Dimostra come Parmenide abbia eliminato la dimensione temporale dal
concetto di Essere, come l’Essere
abbia cessato di significare divenire,
cioè “essere nel tempo”.
Comte-Sponville, André
Je ne suis pas philosophe:
Montaigne et la philosophie
Champion, gennaio 1994
pp. 46, F 70
Montaigne scrive nei suoi Saggi: “io
non sono un filosofo”. Questo testo
vuole però dimostrare che Montaigne
è filosofo, a modo suo, con la sua
lucidità, senza illudersi sulla filosofia.
Casati, Roberto - Varzi Achille C.
Holes and other Superficialities
MIT Press, gennaio-febbraio 1994
pp. 288, $ 44
Il volume studia i fenomeni di confine della metafisica, la geometria quotidiana e la teoria della percezione. Il
libro si prefigge di rispondere a due
domende: esistono i buchi e, se sì, che
cosa sono? Gli autori propendono per
la loro esistenza e si interrogano sulle
conseguenze di questa ipotesi.
Comte-Sponville, André
Valeur et verité:
études cyniques
PUF, gennaio 1994
pp. 288, F 149
Il cinico si distingue perché egli tende
a separare ciò che è legato da una
gerarchia di ordini. Egli non si fa
illusioni né sulla verità (che è senza
valore intrinseco), né sui valori (che
non hanno verità aggettiva), ma non
rinuncia né all’una né agli altri.
Cavalieri, Paola
Singer, Peter
(a cura di)
The great Apes Project
Equality beyond humanity
Fourth Estate, gennaio 1993
pp. 312, £ 9.99
Illustri etologi, primatologi, biologi e
filosofi morali contribuiscono a questo volume che offre argomenti per
l’eguale considerazione degli interessi di esseri umani e altre specie
appartenenti ai grandi antropoidi:
scimpanzè, gorilla e orangutang. Tutti gli autori sottoscrivono una “Dichiarazione sui grandi antropoidi” che
stabilisce per essi il diritto alla vita, la
protezione della libertà individuale e
la proibizione della tortura. E’ questo
un primo importante passo per il superamento di una visione “specista”
nell’ambito dell’etica.
Conche, Marcel
Le Fondament de la morale
PUF, dicembre 1993
pp. 160, F 98
Le etiche consistono in deontologie
particolari (del giornalista, del medico...) o, considerate filosoficamente
come arti della felicità, dipendono dal
sistema che le prende in considerazione. La la morale dei diritti dell’uomo
può essere fondata a livello universale.
Cavell, Marcia
The Psychoanalytic Mind:
from Freud to Philosophy
Harvard University
gennaio-febbraio 1994
pp. 288, $ 35.95
Quando gli psicoanalisti ed i filosofi
parlano di significato, che cosa intendono? Parlano della stessa cosa? E
qual’è il ruolo del “significato” nelle
loro concezioni della mente? Nel suo
libro, l’autrice svela le sottigliezze
del concetto di significato che accomunano gli psicoanalisti ed i filosofi.
88
Chaptal, Jean
De l’Industrie française
a cura di Louis Bergeron
Imp. national, dicembre 1993
Conrad, Elfriede
Kants Logikvorlesungen
als neuer Schlüssel
zur Arkitektonik der Kritik
der reinen Vernunft.
Die Ausarbeitung
der Gliederungsentwürfe
in den Logikvorlesungen
als Auseinandersetzung
mit der Tradition
Frommann-Holzboog
gennaio-febbraio 1994
pp. 160, DM 68
Cossutta, Frédéric
Le Scepticisme
PUF, gennaio 1994
pp. 128, F 40
Il volume illustra come l’ispirazione
scettica ha preso forma nell’antichità
greca, conformemente all’ideale greco della saggezza filosofica.
Coursault, René
L’Action
a-t-elle une valeur morale?
Maisonneuve et Larose
dicembre 1993
pp. 123, F 98
NOVITÀ IN LIBRERIA
L’esistenza di una coscienza morale è
stata ricercata, nel corso della civilizzazione umana, attraverso le principali religioni e filosofie. In questa
fine secolo, nel momento in cui la
civiltà occidentale ha subito diverse
crisi che hanno scosso i fondamenti
della morale tradizionale. Per l’autore è importante fare il punto della
situazione.
Craig, W.L. - Smith, Qu.
Theism, Atheism
and Big Bang Cosmology
Clarendon Press, dicembre 1993
pp. 360, £ 35
Il volume presenta due punti di vista
contrapposti, rappresentati da due filosofi che si interrogano sul fenomeno del Big Bang. Si trattò di un evento
creato da Dio o successe senza un
motivo? La discussione si basa sulla
teoria della relatività di Einstein e
comprende anche la cosmologia dei
quanti, sviluppata di recente da Stephen Hawking.
D’Arcais, Paolo Flores
Il disincanto tradito
Bollati Boringhieri, gennaio 1994
pp. 112, L. 15.000
Il disincanto tradito costituisce il
manifesto filosofico-politico all’origine di “MicroMega”. Pubblicato sul
secondo numero della rivista, quasi
otto anni fa, sollevò un impegnato e
polemico dibattito nella rivista stessa, con interventi di Vattimo, Veca,
Rusconi, Giorello, Canfora, Esposito, Dal Lago. Il testo costituisce un
progetto di filosofia dell’individuo
libertario, in contrapposizione sia alle
apologie acritiche dell’esistente che
alle tradizionali risposte ideologiche
della sinistra.
Dahms, Hans-Joachim
Positivismusstreit.
Die Auseinandersetzungen
der Frankfurter Schule
mit dem logischen Positivismus,
dem amerikanischen Pragmatismus
und den kritischen Rationalismus
Suhrkamp, dicembre 1993
pp. 240, DM 19,80
Delboeuf, Joseph
Le Sommeil et les rêves:
et autres textes, 1885
Fayard, gennaio 1994
s. pp., F 260
Delboeuf, uno spirito di impronta
enciclopedica ed un brillante teorico
ed ingenioso sperimentatore, difende
- nei suoi scritti e tramite i suoi insegnamenti - fondandosi solo sull’osservazione e gli esperimenti, l’idea
della psicologia come scienza naturale, indipendente dalla metafisica.
Deschamps, Léger-Marie
Oeuvres philosophiques
a cura di Bernard Delhaume
Vrin, gennaio 1994
pp. 692, F 300
Diderot scriveva a Sophie Volland,
nel 1769: “Un monaco, chiamato
Deschamps, mi ha fatto leggere una
delle opere più violente e più originali che io conosca. In cui si sostiene
che la specie umana sarà infelice fin-
ché ci saranno i re ed i preti, i magistrati, le leggi, le parole dei vizi e del
piacere. Giudicate voi quanto possa
avermi fatto piacere quest’opera.”
limiti delle sue forze. Questo è il
motivo per cui le parole di chi parla
della sua sconfitta cadono nel vuoto e
nella pura apparenza: la scrittura di
W. Benjamin ha aperto la scrittura a
nuove possibilità.
Dinzelbacher, P. (a cura di)
Europäische Mentalitätsgeschichte.
Ihre Hauptthemen
in Einzeldarstellungen
Kröner, gennaio-febbraio 1994
pp. 600, DM 42
Le diciotto presentazioni dettagliate
seguono delle idee comuni e condivise ed i loro cambiamento in fondamenti della vita umana: il rapporto
corpo-anima, la durata della vita, la
sessualità e l’amore, le paure e le
speranze, la morte, la proprietà del
singolo e degli altri, lavoro e vacanza,
la religiosità, la comunicazione, l’ambiente e la natura, lo spazio, il tempo
e la storia ed altri temi.
Dumont, Louis
Saggi sull’individualismo
Adelphi, gennaio 1994
pp. 368, L. 60.000
Individuo, individualismo: parole
ovvie a prima vista; ma se le analizziamo, seguendo Dumont, ci accorgiamo che è vero il contrario:
queste categorie sono una assoluta
singolarità, nella storia del mondo,
un’eccezione che si è manifestata
molto recentemente e che si oppone a tutte le altre forme di società,
siano tribù o imperi.
Duns Scot, John
L’Image
a cura di Gérard Sondag
Vrin, gennaio 1994
pp. 269, F 210
Questa traduzione commentata dell’opera De l’image di Duns Scot contiene la sua psicologia della conoscenza. La psicologia di Scot tentava
di coniugare la natura intellettuale e
quella materiale per produrre un effetto comune che è uno ed indivisibile. G. Sondag, riprendendo gli aspetti
di questa teoria, riunisce la filosofia
dello spirito alle scienze sperimentali
della cognizione.
Dinzelbacher, Peter
Christliche Mystik im Abendland.
Ihre Geschichte von den Anfängen
bis zum Ende des Mittelalters
Schöningh, dicembre 1993
pp. 400, DM 78
Dinzelbacher, un pensatore libero da
ogni punto di vista troppo limitato, si
occupa di uno dei capitoli più affascinanti della storia dello spirito europeo.
Dioguardi, Gianfranco
Il museo dell’esistenza.
Divagazioni intorno ai musei,
alle città, alle imprese
Sellerio, gennaio 1994
pp. 132, L. 25.000
In questo libro Dioguardi ha scelto
come luogo in cui la complessità (tema
centrale di tutti i suoi lavori) si possa
mostrare il museo, quella struttura
fisica in cui il passato è conservato in
esempi all’esperienza umana, e che
l’esperienza umana del presente continuamente riorganizza.
Dupré, Louis
Passage To Modernity.
An Essay in Hermeneutics
of Nature and Culture
Yale University, dicembre 1993
pp. 320, $ 38
L’epoca moderna inizia con il Rinascimento e finisce con il post-moderno? In questo volume, un accreditato
studioso confuta queste ipotesi. Non
si tratta semplicemente di una critica,
quanto di una ricerca dell’importanza, a livello filosofico, del passaggio
da un’epoca ad un’altra.
Douiller, Stéphane
Philosophie, France,
XIXe siècle: écrits et opuscules
LGF, gennaio 1994
pp. 1016, F 70
Il volume contiene una serie di testi
essenziali, sempre presentati nella loro
versione integrale. Il testo è strutturato in capitoli tematici che riprendono
i principali fili conduttori della riflessione del periodo in cui si inseriscono. Quest’opera di consultazione contiene anche dei cenni biografici sui
principali filosofi francesi del XIX
secolo.
Earman,J. (a cura di)
Philosophical Problems
of the Internal and External Worlds.
Essays Concerning the Philosophy
of Adolf Grünbaum
Univ.Konstanz, dicembre 1993
pp. 624, DM 128
Enders, Markus
Das mystische Wissen
bei Heinrich Seuse
Schöningh, gennaio-febbraio 1994
pp. 350, SF 74.80
Questa tesi di laurea si occupa di due
testi di Seuse, in particolare: Vita e
Büchlein der ewigen Weisheit. Si tratta
di una rilettura, in una prospettiva che
sottolinea l’unità dell’uomo con la
Trinità. Vengono evidenziati gli aspetti strutturali, contenutistici e letterari
dell’opera. L’unità sperimentabile da
parte dell’uomo con la coscienza di
Dio omnicomprensiva e con il Figlio
all’interno della Trinità è il tratto fondamentale di questa interpretazione.
L’opera di Seuse può quindi essere
inserita nel filone cristiano che si oc-
Doyé, Sabine
J.G. Fichte-Bibliographie
1968-1992/93
Editions Rodopi
gennaio-febbraio 1994
pp. 383, FL 180
Dufour-El Maleh, Marie-Cécile
La Nuit sauvée:
Walter Benjamin
et la pensée de l’histoire
Oussia, dicembre 1993
pp. 180, F 95
Per salvare l’allegoria-scrittura dalla
sua distruzione nel tempo omogeneo
e vuoto, Benjamin è andato fino ai
89
cupa della Christförmigkeit (“la forma assunta da Cristo”).
Fenves, Peter
’Chatter’. Language and History
in Kierkegaard
Stanford University
gennaio-febbraio 1994
pp. 310, $ 42,50
Questo volume mostra che nelle
“chiacchiere”, Kierkegaard scopre
una modalità negativa specificatamente linguistica. L’autore esamina
nei dettagli i lavori di Kierkegaard in
cui egli tratta e discute sotto la minaccia, ma anche la promessa, della chiacchiera.
Ferber, Rafael
Philosophische Grundbegriffe.
Eine Einführung
C.H. Beck, gennaio-febbraio 1994
pp. 180, DM 19,80
Questo libro è un manuale ed una
scuola di pensiero per gli studenti di
filosofia e per i non conoscitori interessati alla filosofia.
Fichte, Jihann Gottlieb
La Querelle de l’athéisme:
et divers textes sur l’athéisme
Vrin, gennaio 1994
s. pp., F 180
L’accusa di ateismo, che costò a Fichte
la sua cattedra all’univesità di Jena,
concentra tutti gli anatemi attraverso
i quali lo spirito calunnioso cercave
di impedire l’azione ad un pensiero
troppo libero, perché non potesse plasmare il suo secolo, fornendo
un’immagine più forte e più coraggiosa dell’avvenire del mondo.
Fuchs, E. - Jakobs, W. G.
Schieche, W. (a cura di)
J.G. Fichte in zeitgenössischen
Rezensionen
Frommann-Holzboog
gennaio-febbraio 1994
pp. 1600, DM 2000
L’opera, in quattro volumi, presenta
le principali recensioni dell’opera di
Fichte, positive o negative che siano.
Raccoglie anche recensioni di importanti personaggi, commentate anche
da Fichte stesso.
Gabel, Gernot U.
Heidegger. Ein internationales
Verzeichnis der Hochschulschriften
1930-1990
Ed. Gemini, gennaio-febbraio 1994
pp. 83, DM 22
Gadamer, Hans-Georg
Elogio alla teoria
Discorsi e saggi
a cura di F. Volpi
Guerini e Associati, gennaio 1994
pp. 130, L. 20.000
Un’appassionata riaffermazione del
ruolo della filosofia in rapporto al
pensiero scientifico contemporaneo.
Gadamer, Hans-Georg
L’inizio della filosofia
occidentale
Guerini e Associati, gennaio 1994
pp. 150, L. 26.000
L’inizio della filosofia occidentale un tema affascinante che da sempre
NOVITÀ IN LIBRERIA
ha impeganto la stessa filosofia e la
storiografia filosofica - ci viene riproposto da un grande maestro del pensiero contemporaneo, che non ha mai
cessato di dialogare con gli antichi
per comprendere il mondo moderno e
il suo destino.
Gattung, Christiane
Der Mensch als Glied
der Unendlichkeit.
Zur Antropologie von Spinoza
Königshausen & Neumann
dicembre 1993
pp. 182, DM 38
Gauthier, D. - Sugden, R.
(a cura di)
Rationality, Justice
and the Social Contract.
Themes from ‘Morals by Agreement’
University of Michigan
dicembre 1993
pp. 192, $ 40
In questo volume, un gruppo di filosofi, economisti e teorici di politica
discutono l’opera di Gauthier e si
interrogano sulle possibilità e le limitazioni della visione contrattuale rispetto alle questini della giustizia.
Gauthier, Yvon (a cura di)
Le Dialogue humaniste:
mélanges en l’honneur
de Venant Cauchy
Univers. de Montréal, gennaio 1994
pp. 192, F 110
Vengono trattati i temi dell’alterità,
dell’amicizia, della solidarietà umana,
dell’impegno sociale e morale del filosofo, della libertà, della diversità
culturale e del rifiuto del dogmatismo.
Gethmann-Siefert, Annemarie
Ist die Kunst tot und zu Ende?
Palm und Enke, dicembre 1993
pp. 30, DM 18
Giorello, Giulio
Filosofia della scienza
Jaca Book, gennaio 1994
pp. 220, L. 16.000
Giulio Giorello ci introduce alla filosofia della scienza, dalle premesse
teoriche di definizione della disciplina al punto sul dibattito attuale.
Goetz, Rose
Destutt de Tracy:
philosophie du language
et science de l’homme
Droz, gennaio 1994
pp. 456, F 315
L’originalità del sistema di A. Destutt de Tracy (1754-1836) si fonda
sull’accostamento e la fusione tra le
scienze morali e politiche e la filosofia del linguaggio.
Granger, Gilles-Gaston
(a cura di)
L’Age de la science, n° 5;
Philosophie de la logique
et philosophie du langague:
seconde partie
O. Jacob, dicembre 1993
pp. 276, F 260
Una rassegna critica delle opere di
filosofia che permette al lettore di
orientarsi all’interno del pensiero filosofico moderno.
Greisch, Jean
Hermeneutik und Metaphysik.
Eine Problemgeschichte
W. Fink, dicembre 1993
pp. 220, DM 48
In una prospettiva storica, che prende
in considerazione anche gli aspetti
problematici, viene illustrata la storia
dell’ermeneutica, dai suoi inizi precendenti la filosofia fino ai tempi
nostri. Grazie ad un’ottica sistematica, vengono elaborati i criteri che
permettono di rendere più positivi i
rapporti che intercorrono tra l’ermeneutica e la metafisica.
Si tratta di una raccolta di saggi su
argomenti legati al realismo ed ai
suoi concorrenti: la metafisica, la logica, la matematica, l’epistemologia.
Anche se non si tratta di una raccolta
storica, vengono discusse le idee di
filosofi dal Medioevo fino ai giorni
nostri, da Tomaso d’Aquino a
Wittgenstein.
Hamada, Junko
Japanische Philosophie nach 1868
Brill, gennaio-febbraio 1994
pp. 280, FL 100
Hauser, Christian
Selbstbewußtsein und personale
Identität. Positionen und Aporien
ihrer vorkantischen Geschichte.
Locke, Leibniz, Hume und Tetens
Frommann-Holzboog
gennaio-febbraio 1994
pp. 230, DM 70
Grossheim, Michael
Ludwig Klages
und die Phänomenologie
Akademie-Vlg
gennaio-febbraio 1994
pp. 436, DM 74
Grun, Jürgen
Zeitrichtung.
Ein philosophischer Grenzgang
Haag und Herchen
gennaio-febbraio 1994
pp. 304, DM 48
Al centro di questa tesi di laurea c’è il
tempo, non in senso tradizionale, ma
così come viene considerato e descritto dalle diverse discipline scientifiche. Il lettore viene portato negli
ambiti di confine tra scienze naturali
e scienze dello spirito.
Hegel, Georg Wilhelm Friedrich
Leçons sur les preuves
de l’existence de Dieu
trad. di Jean-Marie Lardie
Aubier, gennaio 1994
pp. 170, F 120
Queste lezioni documentano l’ultima
evoluzione della filosofia di Hegel,
ed in particolare il problema essenziale riguardante l’interpretazione del
suo pensiero: il rapporto tra filosofia
e religione. Si tratta dell’unico testo
filosofico in cui il problema di Dio e
tutte le sue implicazioni vengono individuati ed analizzati.
Grundmann, Thomas
Analytische
Transzendentalphilosophie.
Eine Kritik.
Schöningh, dicembre 1993
pp. 320, DM 68
Grundmann analizza e valuta la posizione di Strawson ed illustra le posizione che si sono evidenziate nel corso del dibattito sollevato dalla filosofia trascendentale analitica.
Hacking, Ian
Il caso domato
Theoria, febbraio 1994
pp. 336, L. 48.000
L’autore ci fa rivivere i momenti salienti della grande trasformazione che
ha sollevato il caso dalla “superstizione popolare”, come sosteneva
Hume, a strumento di spiegazione,
previsione e controllo degli eventi
fisici, bilogici e sociali.
Haker, H. et al. (a cura di)
Ethics of Human Genome Analysis.
European Perspectives
Attempo, dicembre 1993
pp. 300, DM 70
Studiosi di diverse discipline, provenienti da dieci nazioni europee, cercano di enucleare i problemi etici
legati all’analisi del genoma, di considerarne le diverse applicazioni, di
trovare delle soluzioni e di mostrare
quali nuovi campi di ricerca potrebbe
aprire quest’analisi.
Hoffmann, D.M. (a cura di)
Rudolf Steiner und
das Nietzsche-Archiv.
Briefe von R. Steiner,
E. Förster-Nietzsche, F. Koegel
C.G. Naumann, G. Naumann
und E. Horneffer, 1894-1900
R. Steiner, dicembre 1993
pp. 304, DM 48
Quest’edizione, introdotta e commentata dal curatore, costituisce un volume documentaristico, in cui tutte le
lettere rimaste, relative al complesso
problema dell’archivio di Nietzsche,
nel lascito di Rudolf Steiner vengono
pubblicate per la prima volta.
Hofmann, Hasso
Gebot, Vertrag, Sitte.
Die Urformen der Begründung
von Rechtsverbindlichkeit
Nomos, gennaio-febbraio 1994
pp. 49, s.p.
Holzhey, H. - Leyvraz, J.P.
(a cura di)
Die Philosophie und das Böse.
La philosophie et le mal
Haupt, dicembre 1993
pp. 272, DM 76
Hengstenberg, Hans-E.
Erkenntnis als Urphänomen.
Thesen zur Evidenz
und Erkenntniskreativität
Röll, dicembre 1993
pp. 80, DM 24
Houdé, Olivier - Miéville, Denis
(a cura di)
Penséer logico-mathématique:
nouveaux objets interdisciplinaires
PUF, dicembre 1993
pp. 256, F 172
Il volume riunisce i contributi diversi, il cui obiettivo è di selezionare e
rendere conto dell rinnovamento che
si è avuto negli anni 70-90 all’interno
dello studio del pensiero logico-matematico, riflettendo la molteplicità
degli approcci attuali al problema,
all’interno delle scienze della cognizione, nella logica, nella psicologia,
nelle neuro-scienze cognitive, nella
scienza dell’intelligenza artificiale...
Hinske, N. et al. (a cura di)
Der Aufbruch in den Kantianismus.
Der Frühkantianismus
an der Universität Jena 1785-1800
und seine Vorgeschichte
Frommann-Holzboog
gennaio-febbraio 1994
pp. 250, DM 84
90
Hiusman, Denis (a cura di)
Dictionnaire des philosophes
La struttura di questo dizionario corrisponde ad un’esigenza e ad un principio precisi: confrontare ogni filosofo con la sua vita (la biografia), collocarlo nel suo ruolo di pensatore (la
problematica), sottoporlo al giudizio
degli altri filosofi (bibliografia).
Hein, Isolde - Heinekamp, Albert
(a cura di)
Leibniz und Europa
Schlütersche, dicembre 1993
pp. 168, DM 59,80
Questo volume di fotografie ritrae la
personalità molteplice del famoso studioso di Hannover, Gottfried Wilhelm
Leibniz. Testimonia inoltre l’influsso del suo pensiero in Europa, dei
suoi ideali, delle sue proposte di riforma e traccia un ritratto delle sue qualità geniali.
Hennigfeld, Jochem
Geschichte der Sprachphilosphie,
Antike und Mittelalter
de Gruyter, dicembre 1993
pp. 345, DM 178
Ecco alcuni degli argomenti e degli
autori trattati: Eraclito, Parmenide,
Platone, Aristotele, la stoa, Agostino,
Anselmo di Canterbury, Tomaso
d’Aquino, Meister Eckhart, Wilhelm
von Ockham, Noklaus von Kues.
Haldan, John et al. (a cura di)
Reality, Representation
and Project
Oxford University
gennaio-febbraio 1994
pp. 416, £ 40
Il volume ricostruisce le prime recensioni spontaneee alla pubblicazione
della Critica della region pura, una
delle tappe più stimolanti della storia
della filosofia moderna.
Honneth, A. (a cura di)
Kommunitarismus.
Eine Debatte über die moralischen
Grundlagen moderner Gesellschaft
Campus Vlg., gennaio-febbraio 1994
pp. 226, DM 39
Hülsen, C. Reinhard
Recordatio rei entelatae.
Zur Semantik anaphorischer
Pronomina. Untersuchungen
scholastischer
und moderner Theorien
Brill, dicembre 1993
pp. 480, FL 220
NOVITÀ IN LIBRERIA
Hume, David
Discours politiques
trad. dall’inglese di F.Grandjean
TER, gennaio 1994
pp. 260, F 169
Questi discorsi (scritti nel periodo
1752-1760) sono in realtà sedici saggi che trattano nella maggior parte dei
casi di economia. E’ come filosofo
che Hume si accosta all’economia,
opponendo il suo naturalismo scettico ad ogni impresa metafisica che
tende a trattenere lo sviluppo illimitato dell’attività. La traduzione qui presentata segue The Philosophical
Works, edito da Green and Grose,
Londra, 1882.
Husserl, Edmund
Notes sur Heidegger
Minuit, gennaio 1994
pp. 152, F 180
Il volume contiene gli appunti che
Husserl scrisse ai margini di Essere e
tempo e di Kant e il problema della
metafisica, la conferenza in cui prese
posizione pubblicamente rispetto a
Heidegger. Contiene anche le due
prime versioni dell’articolo “Fenomenologia” dell’ Enciclopedia Britannica, che testimonia della collaborazione tra Heidegger e Husserl.
Ivekovic, Rada
Poulain, Jacques (a cura di)
Europe, Indie, postmodernité.
Actes/colloque de Céret,
15-22 septembre 1991
N. Blandin, gennaio 1994
pp. 372, F 200
Filosofi francesi, tedeschi e provenienti da diverse regioni dell’ex Jugoslavia, si sono incontrati a Céret in
occasione di un convegno relativo ai
rapporti tra le diverse filosofie. In
questa occasione, è stata esplorata
l’interazione tra filosofi indiani ed
occidentali, nonché la loro reciproca
permeabilità.
Jacobson, Marcus
Foundation of Neuroscience
Plenum, dicembre 1993
pp. 374, $ 96
L’autore fornisce un contributo unico
alla ricerca nel campo delle neuroscienze, tracciandone e discutendone
la storia e la filosofia e quindi sviluppando un atteggiamento critico che
integra tecniche, teoria ed etica. Il lavoro di Jacobson costituisce anche una
cornice coerente, che è anche molto
valida dal punto di vista umano, per le
ricerche future in questo campo.
Jaeschke, W. (a cura di)
Religionsphilosophie
und spekulative Theologie.
Der Streit um die göttlichen
Dinge 1799-1812
Meiner, gennaio-febbraio 1994
pp. 258, DM 86
Jaffro, Laurent
Labrune, Monique (a cura di)
Gradus philosophique.
Un répertoire d’introductions
méthodiques à une lecture
des oeuvres
Flammarion, gennaio 1994
pp. 750, F 60
Si tratta di una presentazione in ordine alfabetico di opere filosofiche. Per
ogni filosofo, viene proposto un possibile itinerario di lettura e non un
semplice riassunto dell’opera.
Jesseph, Douglas M.
Berkley’s Philosophy
of Mathematics
University of Chicago,
dicembre 1993
pp. 384, $ 69
Il volume costituisce la prima affermazione critica autorevole dell’importanza della matematica nella filosofia di Berkley e di quella di Berkley stesso per la storia delle scienze
matematiche: Jesseph fornisce anche
una decisa rinterpretazione dell’opera di Berkely.
Janke, Wolfgang
Entgegensetzungen.
Studien zu Fichte-Konfrontationen
von Rousseau bis Kierkegaard
Editions Rodopi
gennaio.febbraio 1994
pp. 205, FL 50
Vengono trattati i seguenti argomenti: le modifiche apportate da Fichte
allo stato di natura di Rousseau; il
cammino tracciato da Humboldt verso la lingua ed i trattati di linguistica
di Fichte; il giudizio tetico e la frase
speculativa; la contemplazione estetica ed intellettuale; la religone e la
mistica; il rifiuto del misticismo da
parte di Fichte.
Jubien, Michael
Ontology, Modality
and the Fallancy of Reference
Cambridge Univ., dicembre 1993
pp. 224, £ 27.95
Questo volume si occupa della concezione di un oggetto fisico e di come
i nomi delle cose siano collegati alle
cose che denominano. Viene messa
in discussione l’idea che le cose siano
legate a ciò che denominano o che
denotino ciò che denominano. Suggerisce invece che i nomi esprimono
alcune caratteristice delle cose che
denominano.
Jankélévitch, Vladimir
Penser la mort
Liana Levi, gennaio 1994
pp. 160, F 98
Il volume raccoglie sei conversazioni, di cui alcune sono anche state
pubblicate in alcune riviste, riguardanti delle questioni molto diverse
come l’eutanasia, la bio-etica, il genocidio del popolo ebreo. Si tratta di
temi essenziali, che servono da base a
riflessioni filosofiche più ampie.
Kant, Emmanuel
Métaphisique des moeurs
Vol. I: Fondation, Introduction
Vol. II: Doctrine du droit,
Doctrine de la vertu
trad. di Alain Renaut
Flammarion, gennaio 1994
pp. 538, F 83
Nel primo volume, viene sviluppato
il principio supremo della morale,
cioè la legge morale. Quest’opera è
presentata in una nuova traduzione.
Nel secondo volume, viene analizzata la morale: come esserne possessori
senza intaccare la libertà altrui? Come
ipotizzare un diritto dei popoli senza
anarchia? L’orizzonte di Kant qui è
più che mai quello della libertà, poiché la sola azione morale permette di
affermarne la forza.
Jànoska - Blondel - Kindle - Hofer
Das Methodenkapitel von Karl Marx.
Ein historischer
und systematischer Kommentar
Schwabe, gennaio-febbraio 1993
pp. 290, SF 65
Jaspers, Karl
Philosophie I-III
Philosophie I:
Philosophische Weltorientierung
Philosophie II: Existenzerhellung
Philosophie III: Metaphysik
Piper, gennaio-febbraio 1994
pp. 1056
Si tratta di una delle prime opere di
Karl Jaspers, che viene per la prima volta pubblicata in edizione economica.
Kaufmann, Matthias
Begriffe, Sätze, Dinge.
Referenz und Wahrheit
bei Wilhelm von Ockham
Brill, gennaio-febbraio 1994
pp. 240, FL 135
Jaspers, Karl
Initiation à la méthode
philosophique
Payot, gennaio 1994
pp. 168, F 48
Jaspers (1883-1969), professore all’università di Heidelberg prima della guerra e poi a quella di Bâle dal
1947, è tra i filosofi di tendenza esistenzialista, quello che ha concepito
il sistema più completo e più vicino
alla metafisica. Questo testo ha, alla
sua origine, una serie di trasmissioni
radiofoniche.
Keirkegaard, Soren
Prefazioni. Lettura ricreativa
per determinati ceti a seconda
dell’ora
Guerini e Associati, gennaio 1994
pp. 149, L. 22.000
Otto prefazioni a libri inesistenti: un
divertissemet socratico che vuole sospendere il lettore sulla soglia di un
testo che non si manifesterà per costringerlo alla domanda: che cos’è
un libro?
Kerstin, Wolfgang
Wohlgeordnete Freiheit.
Immanuel Kants Rechts
und Staatsphilosophie
Suhrkamp, dicembre 1993
s. pp., DM 34,80
Jeck, Udo R.
Aristoteles contra Augustinum.
Zur Frage nach dem Verhältnis
von Zeit und Seele bei den antiken
Aristoteskommentatoren
im arabischen Aristotelismus
und im 13. Jahrhundert
Grüner, gennaio-febbraio 1993
pp. 521, DM 150
91
Kessler, H. (a cura di)
Gestalt und Idee
Die graue Edition
gennaio-febbraio 1994
pp. 202, DM 34
La “Sokratisce Gesellschaft” presenta otto contributi, raccolti in questo
volume, che conferiscono nuova luce
alla complessità dell’ “enigma Socrate”. Particolare attenzione va riservata al lavoro di Hans-Georg Gadamer:
Sokrates und das Göttliche.
Kierkegaard, Soren
La ripetizione
Un esperimento psicologico
di Costantin Costantius
Guerini e Associati, gennaio 1994
pp. 189, L. 26.000
La prima edizione critica mondiale di
una delle più importanti opere di
Kierkegaard, nella quale il lettore troverà qualche cosa meno della filosofia, una storia d’amore; e qualcosa
più, una smentita sonora di ogni metafisica.
Kimmerle, H. - Mall, R.A.
(a cura di)
Philosophische Grundlagen
der Interkulturalität
Editions Rodopi
gennaio-febbraio 1994
pp. 264, FL 85
Ecco alcuni dei temi trattati: il concetto, il contenuto, il metodo e l’ermeneutica della filosofia interculturale; approcci ad una filosofia interculturale; l’archeologia fenomenologica delle culture; i limiti della nostalgia e dell’ambiente straniero; il
superamento dell’ethos della nostalgia.
Kirk, Robert
Raw Feeling.
A Philosophical Account
of the Essence of Consciousness
Clarendon, gennaio-febbraio 1994
pp. 264, £ 27,50
Il volume offre un’analisi del problema della consapevolezza e suggerisce un nuovo approccio per la sua
risoluzione. Utilizza l’espressioe raw
feeling (“sentimento grezzo”) per
colmare il gap tra la consapevolezza
di noi stessi come organismo fisico e
la nostra consapevolezza di noi stessi
come soggetti di esperienza.
Kleger, Heinz
Der neue Ungehorsam.
Widerstände und politische
Verpflichtung in einer
lernfähigen Demokratie
Campus, dicembre 1993
pp. 480, DM 98
La moderna ribellione civile ha origine dall’esperienza della mancanza
di capacità di risoluzione dei problemi da parte delle istituzioni politiche. Si pone quindi una domanda
che ha un ruolo centrale nella filosofia politica: quale deve essere la base
degli obblighi di obbedienza nei confronti delle decisioni che riguardano
la collettività?
NOVITÀ IN LIBRERIA
Klotz, Christian
Kants Widerlegung
des problematischen Idealismus
Vandenhoeck & Ruprecht
dicembre 1993
pp. 136, DM 40
Il volume si propone di evidenziare in
primo luogo il motivo della rivalutazione della problematica dello scetticismo, dal punto di vista della nuova
discussione sullo scetticismo di Kant
e quindi di discutere criticamente i
tentativi argomentativi di Kant nei
confronti dello scetticismo, inquadrandoli nel contesto problematico a
cui appartengono.
Koslowski, Peter
Die Ordnung der Wirtschaft.
Studien zur Praktischen
Philosophie
und Politschen Ökonomie
Suhrkamp, gennaio-febbraio 1994
pp. 460, DM 98
Il volume fornisce una presentazione
esaustiva del campo di interesse che
si trova tra l’economia e la filosofia.
Peter Koslowski apre nuove vie all’etica dell’economia e mostra come
la filosofia possa essere applicata alla
teoria della politica sociale, dello stato
sociale, dell’economia della salute.
Kremer-Mariette, Angèle
Les Apories de l’action:
essai d’une épistémologie
de l’action morale et politique
Kimé. dicembre 1993
pp. 248, F 190
Viviamo in città, in un coacervo di
comunità che, dal punto di vista delle
nostre azioni personali, sono in un
rapporto di riferimento incrociato.
L’azione cosciente di questa comunicazione nella permanenza di una comunità non è altro che l’azione morale o politica, di cui viene qui proposta
un’epistemologia.
Küng, Hans
Große christliche Denker
Piper, gennaio-febbraio 1994
pp. 288, DM 34
Hans Küng mostra l’evoluzione della teologia occidentale, sulla base
del pensiero di sette grandi pensatori
del Cristianesimo: Paolo, Origene,
Agostino, Tomaso d’Aquino, Martin Lutero, Friederich Schleiermacher, Karl Barth.
Kunzmann, Peter
Vorentscheidung
als personale Initiative
Dettelbach, gennaio-febbraio 1994
pp. 197, DM 38
L’indagine segue la tradizione del
concetto di decisione provvisoria e
sancisce la sua importanza per l’antropologia, intesa come una scienza
attenta ai moti personali.
La Technique
PUF, gennaio 1994
pp. 424, F 149
L’analisi del “fenomeno tecnica”,
dimostra che la tecnofobia, insidiosa o
esplicita, non è l’ultima parola di una
filosofia realmente desiderosa di pensare il presente ed il nostro avvenire.
Lamore, Charles
Modernité et morale
PUF, dicembre 1993
pp. 264, F 160
Non possiamo rifugiarci nelle certezze “pre-moderne”, né precipitare nell’abisso del post-moderno. Al contrario, bisogna accettare che la modernità costituisce l’orizzonte ineluttabile
della nostra riflessione morale.
Lenk, Hans
Von Deutungen zur Wertungen.
Eine Einführung
in aktuelles Philosophieren
Suhrkamp, dicembre 1993
pp. 260, DM 19,80
Fare filosofia significa continuare a
pensare in modo costruttivo e critico
su questioni e problematiche di grande rilievo, si tratta di un work in
progress. Hans Lenk non si prefigge
di presentare la filosofia in quanto
disciplina tradizionale, ma di mettere
“in movimento” il fare filosofia, proprio nel senso indicato.
Laz, Jacques
Bolzano critique de Kant
pref.J. Bouveresse e M. Zarader
Vrin, dicembre 1993
pp. 212, F 180
B. Bolzano (1781-1848) sta a Kant
come Leibniz sta a Cartesio. Logico,
rifiuta l’intuizionismo, oppone alla
deduzione transcendentale una metadeduzione dei principi e sostituisce
all’analitica kantiana un’analitica del
senso. Questo libro costituisce una
riabilitazione filosofica del più grande avversario dell’idealismo tedesco.
Levinas, Emmanuel
Peperzak, Adrian
Etica come filosofia prima
Guerini e Associati, gennaio 1994
pp. 185, L. 27.000
Con un commentatore d’eccezione,
quattro saggi di Levinas sul primato
dell’etica; un libro animato di straordinaria passione intellettuale e morale.
Leibniz, Gottfried Wilhelm
Protogaea
a cura di J.-M. Barrande
Univers.du Mirail-Toulouse
dicembre 1993
pp. 250, F 112
Questo testo, scritto da Leibniz tra il
1690 ed il 1691, fu pubblicato in Germania nel 1749. Fino a questa edizione, non esisteva che una traduzione
francese, del 1859. Questa traduzione
è stata rivista e completata da delle
note e da un’introduzione mostrando
il contributo della Protogaea allo sviluppo delle scienze della natura.
Lotman, Jurij M.
Cercare la strada.
I modelli della cultura
Marsilio, febbraio 1994
pp. 144, L. 26.000
In questo volume, che può essere
considerato il testamento spirituale di
Jurij M. Lotman, l’autore indaga i
processi esplosivi che sempre si alternano allo sviluppo graduale della cultura. La coesistenza di una pluralità di
linguaggi, l’esigenza della loro traducibilità, la funzione della moda,
della letteratura e l’importanza dell’arte come attività rivelatrice di nuove norme comunicative, sono i temi
fondamentali di questo testo.
Leibniz, Gottfried Wilhelm
Discours de métaphysique;
sur la liberté, le distin,
la grâce de Dieu;
Correspondance avec Arnauld
a cura di Jean-Baptiste, Rauzy
Pocket, dicembre 1993
pp. 306, F 36
Il discorso, partendo dalla nozione
di Dio per andare verso il mondo
fisico, contiene l’insieme dei pensieri di Leibniz in una forma concisa
e rigorosa, commentata da Rauzy,
un allievo della Scuola normale e
professore aggregato di filosofia.
Luckner, Andreas
Genealogie der Zeit.
Zu Herkunft und Umfang
eines Rätsels. Dargestellt
an Hegels Phänomenologie
des Geistes
Akad-Vlg. gennaio-febbraio 1994
pp. 252, DM 88
Maggiori, Robert
La Philosophie au jour le jour
Flammarion, gennaio 1994
pp. 508, F 180
Il volume raccoglie le cronache filosofiche di Maggiori, apparse nel supplemento letterario di “Libération”,
in cui egli ci invita a scoprire un
pensiero in perpetuo divenire.
Leibniz, Gottfried Wilhelm
Système nouveau de la nature
et de la communication
des substances: et autres textes
a cura di Christiane Frémont
Flammarion, gennaio 1994
pp. 350, F 43
Scritto direttamente in francese nel
1695 per il Journal des Savants, questo è il primo trattato completo di una
filosofia che, per quanto cartesiana, si
oppone a tutti i suoi predecessori. Tratta
dell’unione tra anima e corpo, fondandosi sul concetto di sostanza e sul tema
dell’armonia prestabilita.
Malinowski, Grzegorz
Many-valued Logics
Clarendon, gennaio-febbraio 1994
pp. 144, £ 25
Il volume fornisce una facile esposizione degli argomenti legati alla multi-valutazione. Il libro rende un resonto anche delle costruzioni multivalutative fin dalla loro origine, per
esempio, quelle ottenute tramite
un’introduzione mirata dei valori logici vicini al vero o al falso.
Leitner, Heinrich
Systematische Topik.
Methode und Argumentation
in Kants kritischer Philosophie
Königshausen u. Neumann
gennaio-febbraio 1994
pp. 355, DM 68
Mann, Heinrich
Nietzsche
Il Saggiatore, gennaio 1994
pp. 96, L. 12.000
Scritto nel 1938 questo testo esegue
92
una difesa del pensiero di Nietzsche
da un lato utiliristicamente usato nella propaganda nazista, dall’altro attaccato dagli intellettuali progressisti. Mann interpreta l’itinerario del
filosofo alla luce del rapporto con
Wagner, insistendo sulla critica alla
cultura tedesca.
Manstetten, Reiner
Esse est Deus. Meister Eckerharts
Versöhnung von Philosophie
und Religion und ihre Ursprünge
in der Tradition des Abendlandes
Karl Alber, dicembre 1993
pp. 630, DM 158
Marciszewski, Witold
Logic from a Rhetorical
Point of View
de Gruyter, gennaio-febbraio 1994
pp. 312, DM 154
Il libro tratta del feedback del pensiero e del linguaggio nell’argomentazione intelligente. Si tratta di un’analisi basata sul predicato logico, soprattutto sulle procedure dei predicati
nominativi, sul concetto di inferenza
e definizione, e su alcune idee dei
programmi di logica del XVII secolo.
Marcuse, Ludwig
Philosophie des Unglücks.
Pessimismus - ein Stadium der Reife
Diogenes, gennaio-febbraio 1994
pp.256, DM 16,80
Marcuse, Ludwig
Philosophie des Glücks
von Hiob bis Freud
Diogenes, gennaio-febbraio 1994
pp. 336, DM 19,80
Margolin, Jean-Claude
Matton, Sylvain
Alchimie et philosophie
à la Renaissance: actes/colloque
international de Tours,
4-7 décembre 1991
Vrin, dicembre 1993
pp. 478, F 270
L’originalità dei contributi a questo
convegno consiste nell’aver presentato l’alchimia rinascimentale non
come un tutto coerente, nella dimensione astorica di una scienza segreta,
ma come un corpo teorico attraversato da una molteplicità di tendenze.
Vengono studiate la rappresentazione dell’alchimia e la sua influenza
presso i filosofi.
Marx-Engels- Stiftung E.V. Bonn
(a cura di)
Marxistisches Menschenbild
Eine Utopie?
Beiträge des Kolloquiums am 17.
und 18. Oktober 1992
pp. 192., DM 24
Matzker, Reiner
Das Medium der Phänomenologie.
Wahrnehmungs
und erkenntnistheoretische
Aspekte der Medientheorie
und Filmgeschichte
Fink, dicembre 1993
pp. 216, DM 48
Vengono sollevati e discussi i problemi umani toccati dalla fenomenologia: la solitudine umana, la ricerca di
NOVITÀ IN LIBRERIA
identità ed i rapporti umani. La sezione chiave del libro è costituita dalla
relazione sugli studi esitenzialisti sul
ruolo del cinema e dei media in JeanPaul Sartre e Merleau-Ponty.
McCall, Storrs
A Modell of the Universe.
Space-time, Probability
and Decision
Clarendon, gennaio-febbraio 1994
pp. 336, £ 30
Il volume presenta una teoria filosofica originale della natura dell’Universo, basata su un nuovo modello
della struttura spazio-temporale. Viene mostrato come il modello illumina
un ampio spettro di soggetti, includendo la causazione, la probabilità, la
meccanica dei quanti, l’identità, il
libero arbitrio.
Mercier-Josa, Solange
Théorie allemande
et pratique française
de la liberté: de la philosophie
à la politique ou au socialisme?
L’Harmattan, dicembre 1993
pp. 393, F 190
Il merito di A. Ruge, sottolinea l’autore, specialista di filosofia tedesca
del XIX secolo, è di aver messo in
luce il carattere liberale dell’hegelismo. Si tratta di una lettura attenta del
testo di Ruge, situandolo nel contesto
del dibattito del 1843-44 tra il giovane Marx e gli hegeliani di sinistra.
Mishra, R.K. (a cura di)
On Self-organization.
An Interdisciplinary Search
for a Unifying Principle
Springer, gennaio-febbraio 1994
pp. 297, DM 98
Questo libro analizza il ruolo dell’auotorganizzazione in un’ampia
varietà di discipline, includendo la
fisica, la chimica, la biologia, l’economia, la scienza sociale e politica. I
contributi sono di scienziati di fama
mondiale e di filosofi, ma sono di un
livello accessibile a tutti.
Nagel, Thomas
Le Point de vue de nulle part
Eclat, dicembre 1993
pp. 304, F 220
Come combinare la prospettiva di
una persona particolare all’interno del
mondo con un punto di vista oggettivo di questo stesso mondo che può
includere anche la persona ed il suo
punto di vista? E’ un problema che
incontrano tutti gli esseri viventi che
possiedono la capacità di trascendere
il loro punto di vista particolare e di
concepire il mondo come un tutt’uno.
Oesterreich, Peter Lothar
Philosophen als politische Lehrer.
Beispiele öffentlichen
Vernunftegebrauchs
Wiss. Buchges
gennaio-febbraio 1994
pp. 206, DM 39,80
Ogien, Ruwen
La Faiblesse de la volonté
PUF, dicembre 1993
pp. 352, F 198
In quali condizioni un agente razionale può scegliere la linee di azione,
la cui utilità è inferiore alle altre,
scegliere cioè il peggio quando è accessibile il meglio? Determinare i limiti psicologici della filosofia morale può condurre anche ad incontrare i
limiti morali della psicologia.
Naumann, Frank
Erkenntnis zwischen Abbild
und Konstruktion. Evolutionäre
Erkenntnistheorie und genetische
Epistemologie im Vergleich
Kovac, gennaio-febbraio 1994
pp. 206, DM 79,80
Pacherie, Elisabeth
Naturaliser l’intentionnalité:
essai de philosophie
de la psychologie
PUF, dicembre 1993
pp. 320, F 198
L’intenzionalità è tradizionalmente
considerata come il tratto distintivo
della sfera mentale. Se ne può fare
una teoria naturalista? Quali esigenze
dovrà soddisfare una teoria di questo
tipo? L’intenzionalità comporta, al
contrario, una dimensione essenzialmente normativa?
Nedo, M.
Einführung/Introduction
zu Ludwig Wittgenstein
’Wiener Ausgabe’
Springer, dicembre 1993
pp. 150, DM 20
Il volume, redatto in tedesco ed inglese, introduce alla lettura della ‘Wiener Ausgabe’, i cui manoscritti vengono riprodotti fedelmente per la prima volta. Il volume introduttivo chiarifica i criteri di edizione del testo ed
offre anche del materiale e dei documenti di lavoro per lo studio delle
opere di testi di Wittgenstein: una
breve biografia mostra i legami tra
vita e produzione.
Pape, H. (a cura di)
Kreativität und Logik.
Charles S. Peirce
und das philosophische
Problem des Neuen
Suhrkamp, gennaio-febbraio 1993
pp. 280, Dm 19,80
Tramite sedici contributi di logica,
teoria scientifica e della coscienza,
viene illustrato il rapporto di tensione
tra l’esperienza di processi creativi e la
costruzione programmata di sistemi
formali della logica e della semiotica.
Nerlich, Graham
What Space-time Explains.
Metaphysical Essays
on Space and Time
Cambridge University
gennaio-febbraio 1994
pp. 320, £ 35
Raccoglie undici saggi sull’ontologia
e la metodologia nello studio della
curvatura variabile, ed in generale della relatività, del tempo e dello spazio.
Most, Gl.W, - Petersmann, H.
Ritter, A.M. (a cura di)
Eusebia kai Philosophia.
Festschrift für Albrecht
Dihle zum 70. Geburtstag
Vandenhoecke & Ruprecht
dicembre 1993
pp. 528, DM 148
Si tratta di un’importante raccolta di
saggi che illustrano degli aspetti fondamentali della storia della letteratura e della filosofia pagane, della vita
e degli scritti dei primi Cristiani e
delle influenze reciproche che paganesimo e Cristianesimo hanno avuto.
Neumann, Rolf
Natur, Geschichte
und Verantwortung
im ‘Nachmetaphysischen
Vernunftdenken’ von Georg Picht
M & P Verlag, dicembre 1993
pp. 340, DM 39,80
Mulligan, Kevin - Roth, Robert
(a cura di)
Regards sur Bentham
et l’utilitarisme: actes/colloque
de Genève, novembre 1990
Droz, dicembre 1993
pp. 128, F 125
Si tratta dei contributi su Jeremy Bentham (1748-1832), filosofo e giureconsulto britannico. La sua morale
utilitaria si fonda sul calcolo del piacere rispetto al dolore.
Oestermann, Rainer
Die Freiheit des Individuums.
Eine Rekonstruktion
der Gesellschaftstheorie
Wilhelm von Humboldts
Campus, dicembre 1993
pp. 254, DM 48
Il contributo di W. von Humboldt si
esprime in una teoria dello Stato fondata dal punto di vista antropologico,
storico ed umanistico, che costituisce
un contrappunto alla tradizione inglese.
Peillon, Vincent
La Tradition de l’esprit.
Itineraires
de Maurice Merleau-Ponty
Grasset, gennaio 1994
pp. 294, F 125
A lungo l’opera e la vita di Maurice
Merleau-Ponty sono state considerate come la versione accademica dell’opera e della vita di Sartre. Peillon,
professore di filosofia alla Sorbona e
all’Università di Princeton, vuole riparare a questa ingiustizia. MerleauPonty è nel programma dell’incontro
di filosofia del 1994-95.
Norton, David Fate
The Cambridge Companion to Hume
Cambridge University
gennaio-febbraio 1994
pp. 448, £ 13
Discute tutti gli aspetti del lavoro di
David Hume.
Pieper, A. (a cura di)
Die Gegenwart des Absurden.
Studien zur Albert Camus
Francke, gennaio-febbraio 1994
pp. 120, DM 36
Platone
’Philebus’.
The Tragedy and Commedy of Life
trad. di F. Bernardete
University of Chicago
dicembre 1993
pp. 264, DM 44
Benardete riesce ad unire un commento corposo che evidenzia ed illu-
93
mina le complessità di questo dialogo
e la migliore traduzione in inglese del
Filebolo.
Platone
La Rèpublique: du régime politique
traduzione di Pierre Pachet
Gallimard, dicembre 1993
s. pp., F 68
Questa traduzione mette in risalto la
forza letteraria, romanzesca dell’opera. Essa rimanda ad un Platone senza
platonismo, senza teoria delle idee,
senza idealismo.
Platone
Du bonheur selon Socrate
(Gorgias)
trad. dal greco di Paul Chemia
Arléea, gennaio 1994
pp. 158, F 95
In questo saggio compaiono i miti
escatologici viene; anche celebrata
l’uguaglianza, il fondamento della
giustizia.
Platone
Théétète
trad. dal greco di Michel Narcy
Flammarion, gennaio 1994
pp. 348, F 48
Si tratta di un dialogo che propone tre
risposte successive sulla scienza: è
sensazione, opinione vera ed opinione
vera accompagnata da definizione.
Plotino
Les Deux matières:
Ennéades II, 4
trad. di Jean-Marc Narbonne
Vrin, dicembre 1993
pp. 378, F 235
La materia, onnipresente nelle Enneadi, è senza dubbio una delle realtà
di fronte a cui nascono le più grandi
difficoltà del sistema metafisico di
Plotino. Bisogna dire che è con la
materia che si apre il gioco filosofico
di Plotino e con essa Plotino è costantemente portato a mettere in crisi il
suo sistema.
Poland, Jeffrey
Physicalism.
The Philosopcal Foundation
Clarendon, gennaio-febbraio 1994
pp. 392, £ 35
Si tratta di un’esplorazione del fisicalismo contemporaneo: la visione che
ogni cosa è la manifestazione degli
aspetti fisici dell’universo.
Port, Kurt
Philosophiosche Schriften.
Vol. I: Wertphilosophie und Ethik
Port Verlag, gennaio-febbraio 1994
pp. 604, DM 78
Si tratta dei primo di sei volumi di
scritti filosofici.
Portalès, Guy de
Nietzsche en Italie
Age d’homme, dicembre 1993
s. pp., F 120
Attraverso i viaggi ed i soggiorni di
Nietzsche in Italia, G. de Portalès
traccia il ritratto di un uomo che riuscì
a decifrare, nella sua coerenza e nella
sua unità, un’opera filosofica difficile da capire. Questo testo, già apparso
in formato tascabile e qui ripreso, è
NOVITÀ IN LIBRERIA
accompagnato dai testi che esplicitano il percorso dell’autore e precisano
il contesto in cui fu scritto il libro.
Postman, Neil
Technopoly. La resa
della cultura alla tecnologia
Bollati Boringhieri, gennaio 1994
pp. 191, L. 27.000
Il giudizio di Thamus. Dagli utensili
alla tecnocrazia. Dalla tecnocrazia al
tecnopolio. Il mondo improbabile. Il
crollo delle difese. L’ideologia delle
macchine: a) la tecnologia medica; b)
la tecnologia del computer. Le tecnologie invisibili. Lo scientismo. Lo
svuotamento dei grandi simboli.
Pugnet, Jacques (a cura di)
Sur la notion d’école scientifique
et philosophique:
essais épistémologiques
Univer. d’Aix-Marseille
gennaio 1994
pp. 212, F 130
Il volume esplora la concezione di
scuola come raggruppamento di individui, rete di organizzazione di un
campo disciplinario, al fine di determinare le condizioni di comparsa e di
precisare ciò che permette la costituzione
e di definirne le caratteristiche, di invetariare i mezzi e le strategie e di fare un
repertorio delle diverse modalità.
Rahn, Dieter
Die Plastik und die Dinge.
Zum Streit zwischen
Philosophie und Kunst
Rombach, gennaio-febbraio 1994
pp. 416, DM 76
Rahner, Mechthild
’Tout est neuf ici,
tout è à recommencer...!?’
Die Rezeption des französischen
Existentialismus im kulturellen
Feld Westdeutschlands (1945-1949)
Königshause & Neumann
dicembre 1993
pp. 353, DM 78
Rapp, Fr.(a cura di)
Neue Ethik der Technik?
Philosophische Kontroversen
Dt. Univ. Vlg., dicembre 1993
pp. 234, DM 45
Reale, Giovanni
Storia della filosofia antica
Jaca Book, gennaio 1994
pp. 80, L. 9.000
In questa prolusione si tracciano alcune linee essenziali che possono
portare al recupero di quelle domande filosofiche di fondo che rimangono essenziali per chiunque voglia fare
filosofia: il problema di filosofia e
felicità, la questione della bellezza, i
motivi dell’amicizia e dell’amore.
Rebrenau, Mircea
Der Sinn unseres Lebens:
der Mensch als Prometheus
und Kosmosherold
R.G Fischer, gennaio-febbraio 1994
pp. 132, DM 18
Renan, Ernest
Che cos’è una nazione?
Donzelli, gennaio 1994
pp. 180, L. 32.000
Renan elabora l’idea elettiva di nazione nutrendola con il senso acutissimo
della patria come identità culturale: un
antidoto ancor oggi potente contro la
virulenza delle degenerazioni tribali e
al tempo stesso totalizzanti.
te di andare a passeggio è un’istruzione gioiosa, con divagazioni e colti
riferimenti su come ben condursi e
proficuamente nella passeggiata, fragile esercizio etico-estetico.
Schelling, F. Wilhelm Joseph
’Timaeus’ (1794).
Ein Manuskript zu Platon
a cura di Hartmut Buchner
Frommann-Holzboog
gennaio-febbraio 1994
pp. 180, DM 68
Il testo qui presentato per la prima
volta fa parte del lascito berlinese di
Schelling ed è lo scritto più importante. Contiene un’interpretazione conclusa di alcuni passi del Timoteo di
Platone e di alcuni brani del Filebolo.
Si tratta di un testo di cinquatasette
pagine manoscritte.
Rippe, Kalus Peter
Ethischer Relativismus.
Seine Grenzen, seine Geltung
Schöningh, dicembre 1993
pp. 340, DM 78
Questo lavoro mostra che sia l’indottrinamento che l’indifferenza accademica poggiano su dei pregiudizi.
Viene invece difeso un relativismo
etico incondizionato ed illimitato.
Scherzer, Johann
Vademecum sive manuale
philosophicum
a cura di S. Maier-Oeser
Frommann-Holzboog
gennaio-febbraio 1994
pp. 957, DM 350
L’opera del professore di filosofia e
teologia di Lipsia Johann Adam
Scherzer (1628-1683) è un manuale
di concetti filosofici ed un libro di
testo insieme. Il vademecum è quindi
sia una strumento utile per la comprensione del concetto di filosofia del
XVII e XVIII secolo che una testimonianza caratteristica di quella fase
della tarda metafisica scolastica.
Rollinger, R.D.
Meinong and Husserl
on Abstraction and Universals.
From Hume Studies I to Logical
Investigations II
Edition Rodopi
gennaio-febbraio 1994
pp. 196, FL 65
Ecco alcuni degli argomenti trattati:
contesto storico; Meinong on Abstraction and Universals (form Hume Studies I to Abstracting and Comparing); Husserl sulle astrazioni e gli
universali (from Philosophy I to Logical Investigations II); conclusioni.
Sandkühler, Hans Jörg (a cura di)
Konstruktion und Realität.
Wissenschaftsphilosophische
Studien
Peter Lang, febbraio 1994
pp. 196, DM 59
Il moderno dibattito tra i difensori
della “realtà” o della “costruzione”
non si esprime più la dove è nato, cioè
all’interno dell’ontologia, ma attraverso i mezzi forniti dalla teoria della
conoscenza. Gli studi presentati in
questo volume non trattano di realtà o
costruzione, ma di indagini filosofico-scientifiche che possono rivelare
le scienze moderne delle forme di
pensiero e di azione. In che modo le
nostre esperienze e la nostra empiria
sono teoriche ed in che misura la
nostra realtà è il mondo delle nostre
interpretazioni?
Schink, Peter
Kritik des Behaviourismus
Kovac, dicembre 1993
pp. 394, DM 145
Schönberger, R. - Kible, B.
Repertorium editierter
Texte des Mittelalters
aus dem Bereich der Philosophie
und angrenzender Gebiete
Akademie, gennaio-febbraio 1994
pp. 900, DM 220
Schönrich, Gerhard
Bei Gelegenheit Diskurs.
Von der Grenzen
der Diskursethik
und dem Preis der Letztbegründung
Suhrkamp, gennaio-febbraio 1994
pp. 180, DM 16,80
Schönrich presenta le azioni più libere ed anche immorali di frante al
problema dell’immanenza - si tratta
cioè del problema del male - . Il
concetto di libertà, reso più forte dalla
possibilità di consenso di fronte ad
un’argomentazione, produce una dinamica che diventa addiritrtura condizionante per il sistenma.
Savater, Fernando
Invito all’etica
Sellerio, gennaio 1994
pp. 156, L. 22.000
L’autore si interroga su quelli che si
chiamano i fondamenti dell’etica, in
cui la persona umana è intesa come
centro di volontà di scelta e di azione
responsabile, in cui essa è assunta, in
una parola, come personalità.
Schopenhauer, Arthur
Contre la philosophie universitaire
trad. di Auguste Dietrich
Rivages, gennaio 1994
pp. 160, F 59
Si tratta di un pamphlet contro la
filosofia dominante allora da Schelling e Hegel, ma anche di una riflessione ponderata su una certa concezione della filosofia. Per
Schopenhauer, il rigore del pensiero
Schelle, Karl Gottlob
L’arte di andare a passeggio
Sellerio, gennaio 1994
pp. 190, L. 12.000
K.G. Schelle fu filosofo di quella
corrente cosiddetta “filosofia popolare”, che godette di una certa diffusione e che polemizzava con gli speculativi e i metafisici in favore di un
pensiero del vivere quotidiano. L’ar-
94
non può fare dei compromessi che
nascono inevitabilmente dal tendere
all’agiatezza.
Schüssler, Ingrid (a cura di)
Martin Heidegger: Hegel
Klostermann, gennaio 1994
pp. 154, SF 39.20
Basterebbe citare un giudizio di
Heidegger su Hegel, quale esemplificazione: “La negatività di Hegel non
è tale, perché non intende seriamente
negare né distruggere - egli ha già
eliminato il No con il Sì.”
Schwabe, K.-H. - Sant’Agostino
(a cura di)
Naturzweckmäßigkeit
und ästhetische Kultur.
Studien zu Kants Kritik
der Urteilskraft
Academia-Vlg., dicembre 1993
pp. 168, DM 489
Schweppenhäuser, Gerhard
Ethik nach Auschwitz.
Adornos negative Moralphilosophie
Argument-Vlg., dicembre 1993
pp. 200, DM 25
Schweppenhäuser, Hermann
Kierkegaards Angriff
auf die Spekulation.
Eine Verteidigung.
Ed. Text und Kritik,
dicembre 1993
pp. 220, DM 50
Lo studio dimostra la superiorità dialettica di Hegel rispetto a Kierkegaard.
In Hegel, si manifesta l’elemento realistico del suo idealismo, di fronte al
quale gli attacchi esistenzialisti di
Kierkegaard devono confessare la loro
impotenza idealista.
Scmitz, Philipp
Wohin treibt die Politik?
Über die Notwendigkeit von Ethik
Herder, gwennaio-febbraio 1994
pp. 280, DM 58
Seneca
De la brevité de la vie
trad. di Xavier Bordes
Milles et une Nuits, gennaio 1994
pp. 63, F 10
Seneca cerca il modo per prolungare
la vita umana, partendo dalla sua esperienza, e liberando l’esistenza di tutte
le futilità che la ingombrano senza
darle ulteriori ricchezze.
Serres, Michel - Latour, Bruno
Eclaircissements: cinq entretiens
avec Bruno Latour
Flammarion, gennaio 1994
pp. 299, F 48
M. Serres, con l’aiuto di B. Latour e
sotto forma di conversazioni, rintraccia la formazione di Latour, il suo
passaggio dalle scienze alla filosofia,
spiega il suo metodo e colloca il suo
pensiero nel panorama della riflessione contemporanea.
Sève, Bernard
La Question philosophique
de l’existence de Dieu
PUF, gennaio 1994
pp. 352, F 128
Le questioni dell’esistenza di Dio
NOVITÀ IN LIBRERIA
vengono qui analizzate nella loro struttura prettamente filosofica. Viene dimostrato che il problema della validità della prova dell’esistenza di Dio
rimanda alla questione dei poteri della ragione.
Simmel, Georg
Das Individuum und die Freiheit.
Essais
S. Fischer, dicembre 1993
s. pp., DM 19,90
Il volume contiene i più importanti
saggi del filosofo e sociologo Georg
Simmel sulla libertà dell’individuo.
Sipos, Joël
Lacan et Descartes:
la tentation métaphysique
PUF, gennaio 1994
pp. 352, F 128
In Lacan il soggetto, l’altro e la lettera
hanno ragione di esistere solo partendo dal “cogito” cartesiano. L’esame
ed il confronto tra Lacan e la tentazione metafisica, partendo da uno studio
dei testi che testimoniano l’evoluzione di questa tendenza.
Sluga, Hans
Heidegger’s Crisis.
Philosophy and Politics
in Nazi Germany
Harvard University
gennaio-febbraio 1994
pp. 320, $ 35.95
Il passato nazista di Martin Heidegger
è noto. Sluga considera l’importanza
della filosofia e di altri filosofi per la
nascita e lo sviluppo del nazionalsocialismo. Offre anche un breve approfondimento dei rapporti tra filosofia e politica.
Smith, George P.
Bioethics and the Law.
Medical, Socio-legal
and Philosophical Directions
for a Brave New World
University Press of America
gennaio-febbraio 1994
pp. 352, $ 50
Soetard, Michel (a cura di)
Valeurs dans le stoïcisme:
du portique à nos jours
pref. di Maurice Schumann
Univer. de Lille, gennaio 1994
pp. 304, F 150
In occasione della proclamazione, con
il titolo di emerito, del decano Michel
Spanneut, autore di una famosa tesi
sullo stoicismo e sui Padri della Chiesa, i suoi colleghi, universitari e ricercatori, sia francesi che stranieri, hanno colaborato allo studio di un movimento di pensiero che travalica i limiti di un periodo storico preciso per
costituirsi in una categoria del pensiero occidentale.
la cibernetica si affiancano qui i fondamentali contributi di Simon, Samuel, McCarthy e Minsky, i fondatori dell’IA, l’intelligenza artificiale,
che ne illustrano le prime realizzazioni e la portata nell’ambito dei problemi di filosofia della mente.
Stein, Christian A.
Regeln und Übereinstimmung.
Zu einer Kontroverse in der neueren
Wittgenstein-Forschung
Centaurus-Vlgsgesellschaft
dicembre 1993
pp. 170, DM 39,80
Souche-Dagues, Denise
Le Développement
de l’intentionalité
dans la phénoménologie
Husserlienne
Vrin, dicembre 1993
pp. 306, F 198
”Questo libro, che ha più di vent’anni, meriterebbe senz’altro un rimaneggiamento generale. Ma, come la
tesi che viene qui presentata, sapendo
che lo sviluppo di tutta la fenomenologia husserliana si opera sul terreno
della rappresentatività, mi pare essere sempre valido, e non azzardo a
ridire la stessa cosa”, così scrive l’autore nella seconda edizione.
Sternberg, R.J - Wagner, R.K.
The Mind in Context.
Interactionist Perspectives
on Human Intelligence
Cambridge University
gennaio-febbraio 1994
DM 14
Lo scopo del volume è fornire un
legame tra il lavoro dei costruttivisti
radicali, che propongono che tutte le
cognizioni dependono dall’interazione con il mondo esterno e gli scienziati tradizionalisti, che sentono che
la cognizione risiede nella mente.
Soulez, Antonia (a cura di)
L’architecte et le philosophe
Mardaga, dicembre 1993
pp. 149, FF 165
La portata filosofica della nozione di
“costruzione” costituisce l’oggetto di
questo libro in cui autori di varia
estrazione (tra cui N. Goodman e M.
Lagueux) discutono, ripercorrendo il
pensiero degli ultimi cento anni, delle
relazioni possibili tra una filosofia che
intende essere scientifica e le teorie
delle forme espresse nei differenti domini dell’arte del nostro secolo.
Spinoza, Baruch
L’Ethique
trad. dal latino di Roland Callois
Gallimard, gennaio 1994
pp. 398, F 44,50
Il volume riprende l’edizione della
Pléiade del testo scritto nel 1632 e nel
1677, che il filosofo ha finito di redarre poco prima della sua morte.
Streminger, Gerhard
David Hume.
Sein Leben und sein Werk
Schöningh, dicembre 1993
pp. 500, DM 1000
A Hume, l’importante filosofo scozzese, uno dei predecessori di Kant,
viene dedicata una biografia degna
del grande filosofo. La competenza
di Streminger fornisce al lettore una
sicura garanzia di esaustività.
Terray, Emmanuel
Une Passion allemande:
Luther, Kant, Schiller,
Hölderlin, Kleist
Seuil, gennaio 1994
pp. 439, F 178
Uno studio dell’assoluto attraverso
l’opera dei filosofi tedeschi che ci
hanno portato a constatare che non
possiamo vivere né con lui né senza
lui. Riconoscere questa contraddizione significa accettarne gli effetti, questa è la vita che ci indica questa “passione tedesca”.
Tesak-Gutmannsbauer, Gerhild
Der’Wille zum Sinne’.
Das Wahre, Gute und Schöne
bei Albert Camus
Kovac, dicembre 1993
pp. 126, DM 54
Tharakan, Jacob
Metaphysische Anfangsgründe
der Naturwissenschaft.
Zur Kantischen Arbeit
an der Theorie des Übergangs
von der Metaphysik zur Physik
Franz Steiner
gennaio-febbraio 1994
pp. 151, DM 56
Theis, Robert
Untersuchung zur Entwicklung
des theologischen Diskurses
in Kants Schriften
zur theoretischen Philosophie
bis hin zum Erscheinen der Kritik
der reinen Vernunft
Frommann-Holzboorg
gennaio-febbraio 1994
pp. 370, DM 135
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Osservazioni …………………………………………………………………
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Suggerimenti
Somenzi, Vittorio
Cordeschi, Roberto
La filosofia degli automi
Bollati Boringhieri, febbraio 1994
pp. 376, L. 34.000
A trent’anni dalla prima edizione, la
raccolta di saggi qui presentata vive
una seconda giovinezza presso il pubblico dei lettori colti e degli studenti
universitari. Ai saggi dei “padri” del-
Stoecker, R.(a cura di)
Reflecting Davidson.
Donald Davidson Responding
to an International Forum
of Philosophers
de Gruyter, dicembre 1993
pp. 193, DM 218
Si tratta dei contributi e delle relazioni presentate durante il convegno che
si è svolto nel febbraio del ’91 nel
Center for Interdisciplinary Research di Bielefeld. Le relazioni riguardano la maggior parte della filosofia di
Davidson: la sua semantica, la filosofia della mente, la teoria dell’azione
ed il suo recente lavoro su autorità di
rilievo.
Tanner, Klaus
Der lange Schatten des Naturrechts.
Eine fundamentalistische
Untersuchung
Kohlhammer, dicembre 1994
pp. 248, DM 54
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95
NOVITÀ IN LIBRERIA
Tiercelin, Claudine
C.S. Peirce et le pragmatisme
PUF, dicembre 1993
pp. 128, F 45
Il volume sviluppa tre caratteristiche del pragmatismo fondato da
Peirce (1839-1914): metodo filosofico terapeutico di “manipolazione dei segni”, metodo scientifico di fissaggio delle convinzioni
vere. In questo risiede la specificità del pragmatismo di Peirce, che
impadisce di confonderlo con quello di William James o di John
Dewey.
Vandrepote, Pierre
Max Stirner chez les Indiens
pref. di Alain Jouffroy
Rocher, gennaio 1994
pp. 204, F 120
Max Stir ner, filosofo tedesco
contemporaneo di Marx, pubblica un libro incendiario nel 1844,
L’Unique et sa propriété, nel
quale egli processa gli ideali proposti dalle società feudali, borghesi, socialiste, comuniste. Vandrepote mostra come il pensiero
di questo filosofo sia ancora nuovo, intatto e combattivo.
Vattuone, Giuseppe
Libero pensiero e servo arbitrio
Ed. Scientif. It., febbraio 1994
pp. 132, L. 18.000
Verbeek, TH. (a cura di)
Descartes et Regius
Editions Rodopi
gennaio-febbraio 1994
pp. 124, FL 40
Il secondo volume di questa nuova serie contiene le relazioni presentate durante il simposio su un
pamphlet poco conosciuto di
Cartesio, Notae in propgramma
quoddam or Remarks on a Certain Broadsheet.
Voegel, Eric - Schütz, Alfred
Strauss, Leo - Gurwitsch, Aron
(a cura di)
Briefwechsel über
’Die Neue Wissenschaft der Politik’
Karl Alber, dicembre 1993
pp. 150, DM 48
Il volume è curato da Peter J. Opitz, in
collaborazione con l’Eric-VoegelinArchiv dell’Università di Monaco.
zioni di vita alla politica, passando
per i media, e dal design fino alle
scienze, l’arte e la filosofia estetica.
Welsch, Wolfgang
Unsere Postmoderne Moderne
Akademie-Vlg, dicembre 1993
pp. 346, DM 29
Wetz, Franz Joseph
Lebenswelt und Weltall.
Hermeneutik der unabweislichen
Fragen
Günther Neske
gennaio-febbraio 1994
pp. 432, DM 88
Wetz prospetta un’ermeneutica della
moderna concezione del mondo e ritorna al compito originario della filosofia: interrogarsi sul tutto incommensurabile del mondo e stabilire
l’importanza dell’uomo all’interno del
mondo, così come indicare la responsabilità degli esseri umani nei confronti del mondo in cui vivono.
Vogl, V. (a cura di)
Gemeincshaften.
Positionen zu einer Philosophien
des Politischen
Suhrkamp, dicembre 1993
pp. 320, DM 24,80
Attraverso una prospettiva diversificata e plurima - filosofica, storica,
etnologica - viene evidenziata la possibilità di una riflessione politica libera dall’antitesi tra universalismo e
particolarismo. Il volume contiene i
contributi di Agamben, Clastres, Foucault, Loraux, Lyotard, Rancière,
Vattimo, Zazek.
White, Morton
The Question of Free Will.
A Holistic View
Princenton University
gennaio-febbraio 1994
$ 22.50
Il volume costituisce una nuova difesa della posizione secondo cui i filosofi possono credere nella libertà
d’azione senza negare né accettare il
determinismo. L’autore si concentra
specificatamente su un’interpretazione di libertà di scelta personale.
Waltz, Matthias
Ordnung der Namen.
Die Entstehung der Moderne:
Rousseau, Proust, Sartre
S. Fischer, dicembre 1993
pp.123, DM 29,90
Il volume di M. Waltz ricostruisce nei
dettagli l’acceso dibattito sull’epoca
moderna, sulla sua nascita, le sue
particolarità e sul suo futuro in quanto nuovo inizio.
Weingartner, P. (a cura di)
Die Sprache in den Wissenschaften
Karl Alber, dicembre 1993
pp. 300, DM 78
Wilkes, Kathleen
Real people. Personal identity
without thought experiments
Claredon, gennaio 1994
pp. 249
Questo volume edito per la prima
volta nel 1988, esce ora in versione
paperback. Esso ha inaugurato in un
modo o nell’altro le recenti discussioni sull’uso degli esperimenti mentali
in filosofia, uso che Wilkes critica
duramente: a differenza della scienza
Welsch, W. (a cura di)
Die Aktualität des Ästhetischen
W. Fink, gennaio-febbraio 1994
pp. 300, DM 48
La questione dell’attualità e dell’attenzione per i risvolti estetici nella
nostra vita viene discussa ed illustrata
nei suoi diversi aspetti: dalle condi-
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Nome e cognome ………………………………………………………………
ndirizzo ………………………………………………………………………
………………………………………………………………………
Telefono ………………………………………………………………………
Computer usato
❏ IBM-Compatibile
❏ Macintosh
❏ Ms-Dos ❏ Windows
❏ System 6.x ❏ System 7.x
❏ Cd-Rom ❏ Monitor a colori ❏ Floppy 3.5” HD
Buono di prenotazione
❏ Desidero prenotare fin d’ora n°… copie su floppy disk da 3,5” per Ms-Dos/Windows
❏ Desidero prenotare fin d’ora n°… copie su floppy disk da 3,5” per Macintosh
al prezzo scontato di £ 120.000 (iva esclusa)*
dove la presenza di un background
comune tra tutti gli studiosi permette
risultati condivisibili, in filosofia gli
esperimenti mentali sono perlopiù
causa di fraintendimenti.
Wittekind, Volkart
Religiosität
als Bewußtseinsreform.
Fichtes Religionsphilosophie
1795-1800
Gütersloher-Vlg.Haus
dicembre 1993
pp. 300, DM 98
Wölfle, Gerhard M.
Die Wesenslogik in Hegels
’Wissenschaft der Logik’.
Versuch einer Rekonstruktion
und Kritik unter besonderer
Berücksichtung
der philosophischen Tradition
Frommann-Holzboog, dicembre 1993
pp. 560, DM 190
Wucherer-Huldenfeld, A.K.
Ausgewählte philosophische Studien:
Anthropologie, Freud,
Religionskritik. Ursprüngliche
Erfahrung und persönliches Sein
Böhlau, dicembre 1993
pp. 360, DM 98
Zellini, Paolo
Breve storia dell’infinito
Adelphi, gennaio 1994
pp. 272, L. 28.000
”C’è un concetto che corrompe e altera tutti gli altri. Non parlo del Male, il
cui limitato impero è l’Etica; parlo
dell’Infinito”, così ha scritto Borges e
le sue parole stanno sulla soglia di
questo libro, dove un matematico ha
provato a ripercorrere le vicende di
questa categoria temibile, dalle origini greche fino alla ormai cronica “crisi dei fondamenti” del pensiero scientifico.
Zingari, Guido
Leibniz, Hegel
und der deutsche Idealismus
J.H. Röll, gennaio-febbraio 1994
pp. 293, DM 48
Questa indagine si confronta per la
prima volta con una serie di questioni
storiografiche e teoretiche, che sono
fondamentali per l’influsso di Leibniz sull’idealismo tedesco e per la
ricezione di Leibniz da parte di questa corrente di pensiero.
Zirfas, Jörg
Präsenz und Ewigkeit.
Eine Anthropologie des Glücks
Reimer, dicembre 1993
pp. 473, DM 78
Zubke, Friedhelm
Im Dialog
mit Georg Christoph Lichtenberg
Dt. Studienvlg., dicembre 1993
pp. 123, DM 28
La capacità di mantenere la tensione
tra la necessità di volersi attacare a
qualcosa, di volerlo mantenere e di
sapere che tutto ciò che è umano è
passeggero, è esemplificata da Lichtenberg e la si può imparare da lui.
*le modalità di pagamento verranno indicate in seguito
(a cura di A.M.; trad. it. di L.T.)
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