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Introduzione
Il tema “violenza e criminalità” non è certo sconosciuto a noi moderni.
I mass-media ci mettono di fronte ogni giorno ad attacchi terroristici,
omicidi e stupri; i politici (non solo dei partiti di destra) usano a proprio vantaggio in campagna elettorale le paure della popolazione che ne
derivano, e nella Repubblica tedesca, così come in quella italiana, diverse elezioni sono state vinte o perse sul terreno della sicurezza interna.
Quando ci chiediamo come si potrebbe tenere sotto controllo la criminalità che innegabilmente cresce nella nostra società, sarebbe certamente ingenuo pensare che la storia possa offrirci soluzioni valide. Ma
forse non soddisferemo solo un interesse antiquario chiedendoci quali
forme abbia assunto la criminalità nel passato e come alcuni stati con un
apparato di polizia di fatto inesistente abbiano affrontato il problema.
Non dimentichiamo che la polizia è solo una recente conquista del
moderno processo di formazione statale. Negli stati senza gendarmi e
polizia, regnava per forza l’anarchia e valeva il diritto del più forte? Le
pagine seguenti mostreranno che non è così: possono esistere società
con una scarsa propensione alla violenza e un basso tasso di criminalità
che pure non erano dotate di un grande apparato poliziesco. Se oggi noi
tendiamo a chiedere più soldi e personale per la polizia a ogni crimine
che faccia scalpore, bisogna ricordare che alcuni stati hanno continuato
a esistere anche senza un massiccio apparato di polizia e di giustizia, e
malgrado ciò non sono necessariamente sprofondati in una palude di
criminalità.
Proprio la società greca e quella romana sono molto illuminanti a
questo proposito. Sia l’Atene classica sia l’impero romano (e forse Roma
in ogni sua epoca) possono essere un esempio di società relativamente
pacifiche, che avevano una netta tendenza a risolvere i conflitti non con
la violenza ma con mezzi civili. Certo, Atene e Roma non erano un paradiso, e la criminalità e la violenza erano fonte di preoccupazione e
paura anche per gli antichi; ma un paragone con altre società preindu9
la criminalità nel mondo antico
striali mostra che sia i reati contro la persona sia quelli contro la proprietà erano tenuti efficacemente sotto controllo. Erano i cittadini, le comunità dei villaggi e delle città, a eseguire ciò di cui oggi incarichiamo la
polizia.
Mentre la storia della criminalità si è sviluppata negli anni settanta
del secolo scorso fino a diventare uno degli ambiti più prolifici della storia sociale del Medioevo e dell’età moderna, lo studio della criminalità
nel mondo antico è in una certa misura ancora nella fase embrionale.
Certo, esiste un’ampia e inesauribile bibliografia storico-giuridica, ma
gli storici antichi si sono dedicati all’argomento solamente negli anni ottanta, e comunque solo in modo eclettico. Particolare attenzione ha ricevuto soprattutto il brigantaggio organizzato nell’impero romano, su
cui siamo bene informati grazie a un fondamentale articolo di B. D.
Shaw 1; lo studio della violenza nell’Atene classica ha fatto grandi progressi negli anni novanta, e da allora sono usciti anche alcuni studi sui
reati contro la proprietà nell’Egitto romano 2. Ma per quanto riguarda
lo studio della microcriminalità quotidiana, c’è ancora molto da fare. Le
bande di briganti erano sicuramente un aspetto importante del crimine,
che però non lo esauriva completamente. Più avanti cercheremo di precisare il ruolo del brigantaggio di gruppo nel campo della criminalità
antica, senza però trascurare le altre forme di criminalità che sicuramente erano più importanti per molte persone nell’antichità.
La definizione di crimine cambia da società a società. I singoli reati
o tipi di reati assumono una diversa importanza a seconda delle condizioni sociali ed economiche. Per poter analizzare in modo appropriato
la situazione criminale tipica dell’antichità greco-romana, bisogna esaminare il maggior numero possibile di settori della criminalità: reati di
violenza, delitti contro la proprietà, reati sessuali e anche violenza verbale. Chi erano i criminali (provenienza sociale, età e sesso) e le vittime, e
quali motivi li spingevano a delinquere (capp. 3 e 5)? È inoltre impossibile scrivere una storia del crimine senza studiare anche gli sforzi compiuti dallo stato e dalla società per tenere sotto controllo il crimine e il
comportamento deviante (capp. 2 e 4): quali attività erano intraprese
da parte dello stato per combattere il crimine? Come si reagiva alla violenza e al crimine nei villaggi o nelle città? Quanti criminali venivano
portati in tribunale? Ai tribunali statali potevano accedere tutte le classi
sociali senza distinzione? Quale importanza avevano la giustizia privata
e gli accordi extragiudiziali? In quale misura le comunità (villaggi e città) risultavano capaci di superare i loro problemi sociali, in questo caso
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introduzione
la violenza e la criminalità? Quando si preferiva la risoluzione informale
dei conflitti e quando il ricorso alla giustizia di stato? Alcuni reati erano
tollerati e i colpevoli protetti dalla popolazione?
Tutte queste domande portano in ultima analisi alla questione della
formazione e del consolidamento dell’apparato statale nelle città-stato
antiche e nell’impero romano. La storia della criminalità antica ne costituisce un aspetto niente affatto trascurabile, anzi: ci permette di guardare in modo completamente nuovo alla storia sociale e culturale, attira la
nostra attenzione sulle contraddizioni e sui conflitti della società e mostra quali valori giuridici erano considerati più degni di tutela.
Nelle pagine seguenti esamineremo soprattutto il contesto sociale
della criminalità, la procedura penale quotidiana e il modo in cui lo stato e la società affrontavano i criminali e i reati. Le fonti giuridiche costituiscono ovviamente un gruppo importante, che però, prese da sole, per
il loro carattere molto spesso normativo, sono una base largamente insufficiente per rispondere alle domande sopra formulate. Perciò il nucleo di fonti è stato notevolmente ampliato grazie a un’estesa analisi dei
papiri egiziani nonché delle varie fonti letterarie. Soprattutto i testi dei
padri della Chiesa tardoantichi, che talvolta nelle loro prediche e lettere
affrontano diversi importanti aspetti della questione, contengono informazioni rilevanti che finora non sono state prese minimamente in considerazione. Nelle vite dei santi il ricorso alla violenza e la criminalità
trovano spazio in numerosi episodi, e talvolta ci fanno intuire qualcosa
delle cause che hanno condotto al delitto e del retroterra sociale del colpevole e della vittima. I papiri egiziani, che contengono petizioni, atti
processuali e molti altri documenti, danno informazioni su violenze e
reati e sulla punizione dei crimini. Le fonti e i papiri agiografici ci permettono di rispondere chiaramente (e molto meglio dei testi giuridici)
alla domanda su come reagisse la popolazione, e non solo le vittime dirette, alla violenza e ai crimini.
Se si intraprende un ampio esame delle numerose testimonianze
delle fonti antiche, la situazione non può essere affatto definita negativa,
almeno in rapporto a quanto accade di solito per l’antichità. Certo, questi testi vanno interpretati con una certa cautela, e abbiamo già ricordato la parzialità di quelli giuridici: le fonti letterarie sono fortemente impregnate di retorica, e non si riesce sempre a capire con certezza dove gli
autori stiano usando luoghi comuni e dove invece rispecchino le realtà
sociali. Come valutare i continui ammonimenti, totalmente stereotipati, dei predicatori cristiani tardoantichi sul rischio da parte dei fedeli be11
la criminalità nel mondo antico
nestanti di perdere con un solo furto in una notte tutta la ricchezza accumulata in lunghi anni? Il rischio di essere vittima di un’effrazione era
davvero così consistente, o queste parole sono pura retorica che da un
lato sottolinea il valore effimero dei beni terreni, dall’altro intende risvegliare la generosità dei parrocchiani, in modo da guadagnarsi con le
opere buone un tesoro nell’aldilà che non corra simili rischi? Quanto ai
papiri, che rispecchiano con chiarezza la vita quotidiana di gruppi sociali numerosi come i piccoli contadini e gli operai nei villaggi e nelle città
dell’Egitto, essi presentano innanzitutto il vistoso inconveniente di darci informazioni solo su una regione dell’impero romano, cioè dell’Egitto e bisogna chiedersi ogni volta fino a che punto sia lecito generalizzare
queste informazioni per tutto l’impero.
Ma soprattutto – e forse questo è il problema più grande per chi
vuole scrivere una storia della criminalità antica – siamo del tutto privi
di ampie raccolte che permettano l’analisi dei singoli reati e del loro
contesto sociale in ogni dettaglio; e i papiri documentari, così come le
orazioni giudiziarie dell’Atene classica o della Roma tardorepubblicana
giunte fino a noi, non possono colmare questa lacuna. Lo storico dell’antichità si trova qui in svantaggio rispetto a quello della modernità: si
legga ad esempio il magistrale lavoro di Macfarlane (1981) per capire
quanto possa essere istruttiva l’analisi di un caso criminale singolo ma
ben documentato. Perciò il metodo che verrà impiegato in questo libro
sarà necessariamente di tipo diverso: si cercherà, per così dire, di comporre un mosaico da tanti riferimenti presenti nelle fonti che, se presi da
soli, sarebbero frammentari e insignificanti; vi si troveranno le affermazioni dei giuristi accanto a quelle dei padri della Chiesa antichi, e i papiri egiziani accanto al romanzo picaresco della prima età imperiale. Nutriamo la speranza che queste fonti prima facie disparate ed eterogenee si
integrino e si correggano reciprocamente, in modo che ne risulti un
quadro della criminalità visibile e plausibile almeno per i periodi meglio
documentati dell’antichità.
Lo stato delle fonti porta a concentrarsi particolarmente sull’Atene
classica (v e iv secolo a.C.) e sul mondo romano dal 200 a.C. al 600
d.C. Per il periodo greco arcaico e la Roma più antica è impossibile scrivere una vera storia della criminalità, perché mancano fonti contemporanee sufficientemente eloquenti, anche se negli ultimi anni gli storici
del diritto sono approdati a risultati importanti. Molti punti, però, sono
ancora in discussione, e nello studio di queste epoche le ipotesi e le speculazioni hanno ancora un ruolo troppo grande. Il fatto che i capitoli
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introduzione
dedicati alla criminalità nell’impero romano (capp. 4 e 5) siano più dettagliati di quelli sulla storia greca (capp. 2 e 3) è dovuto anche e soprattutto alla situazione delle fonti: i capitoli iv e v ricoprono un periodo di
circa ottocento anni di storia romana e uno spazio geografico che va dalla Britannia alla Siria, dal Reno e dal Danubio al Sahara. Il materiale disponibile è molto variegato e disparato, mentre i riferimenti alla criminalità nell’Atene classica derivanti dalle orazioni giudiziarie e da accenni
sparsi nelle commedie riguardano fondamentalmente solo la fine del v e
il iv secolo a.C.
La questione dell’importanza della criminalità, del potenziale di
violenza e di quanto le società antiche fossero “pacificate” può trovare
risposta solo attraverso il confronto con altre società antiche, confronto
cui va data grande importanza. Bisogna cercare di applicare al mondo
antico gli interrogativi che negli ultimi anni sono stati posti dagli studi
storici sulla criminalità nel tardo Medioevo e nell’età moderna. Certo,
non possiamo compilare, per nessun periodo e nessuna regione dell’antichità (neanche per l’Egitto), statistiche sulla frequenza di singoli reati
e sul loro sviluppo in un arco di tempo più lungo; ma alla fine anche gli
storici moderni hanno dovuto ammettere che non si può scrivere una
storia del crimine puramente quantitativa basata sull’esame degli atti
giudiziari. I reati che giungevano in tribunale erano sempre e solo la
punta dell’iceberg; e anche l’aumento del numero dei processi non ci dà
tanto informazioni sulla frequenza dei crimini, quanto sulla tendenza a
portare in giudizio soltanto certi reati. Grazie ai materiali d’archivio, i
medievisti e gli storici moderni possono contare su un nucleo di fonti
sufficiente; eppure le loro difficoltà nello scrivere una storia della criminalità non sono affatto minori di quelle dello storico antico.
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