TEATRO E PARKINSON La Malattia di Parkinson è una malattia degenerativa cronica del Sistema Nervoso Centrale che compromette progressivamente lo stato fisico, cognitivo e psicologico della persona, ledendo fortemente la sua autonomia e costituendo fonte di disagio familiare, sociale ed economica. Spesso costretto ad una vita essenzialmente domestica, caratterizzata da perdita di interessi ed attività, il paziente parkinsoniano, necessitando di un’assistenza continuativa a carico dei familiari o di persone esterne, progressivamente si chiude in una condizione di isolamento, vivendo il suo stato con paura, ansia, angoscia, insicurezza, non accettazione, rifiuto, spesso depressione. Se la conoscenza sull’eziologia della malattia è ad oggi ancora molto povera, sappiamo che ad essere responsabile della manifestazione del Parkinson è la morte di un gruppo di neuroni risiedenti in una zona dell’encefalo chiamata sostanza nera, che producono un neurotrasmettitore, la dopamina, responsabile di un circuito che controlla il movimento. Tra i sintomi principali e secondari della Malattia di Parkinson: tremore a riposo, rigidità, bradicinesia (lentezza dei movimenti con conseguente riduzione dell’espressività del volto e micrografia), alterazione della postura, disturbi dell’andatura e dell’equilibrio; disturbi del linguaggio, problemi di deglutizione, elevata sudorazione, vertigini. A tali sintomi, già fortemente disabilitanti per la persona, si aggiungono i disturbi dell’umore e del comportamento e le complicanze motorie da trattamento farmacologico cronico. Spesso le persone affette dal Parkinson hanno la sensazione di condividere il loro corpo con un “ospite indesiderato” che vive dentro di loro e che è in grado di controllarne ogni aspetto della vita, prendendo progressivamente possesso delle loro facoltà emotive ed intellettive. A tal proposito, esemplificativa è la metafora del condominio, utilizzata da Francesco D’Antuono, paziente parkinsoniano, autore del libro L’inquilino Dentro, per descrivere il Parkinson, il Signor P.: ‹‹Facciamo a capirci. Mica ho un attico prestigioso ristrutturato con parquet e giardino pensile. L’attico, in realtà è la parte più preziosa di me. Il mio cervello. Ascensore e impianto elettrico sono i miei trasportatori della dopamina. Il palazzo che trema senza fermarsi mai, sono io. E a farmi tremare è il signor P. Ovviamente fa rabbia sapere che nel mio condominio si è stabilito questo inquilino odioso. Sapere che detta legge su tutto, che mi usa come gli pare, perché sa che io non posso fare nulla per dargli quello sfratto benedetto››1. Accanto alle tradizionali terapie farmacologiche, riabilitative e chirurgiche, che agiscono per lo più sui sintomi primari della malattia, a partire dagli anni ’80, si è iniziato a sperimentare nel trattamento terapeutico – riabilitativo della Malattia di Parkinson, l’utilizzo delle “Artiterapie” o altrimenti conosciute come terapie complementari o alternative, le quali, in esperienze di laboratori artistici-espressivi, sembrano avere un’influenza concreta sull’esistenza dei pazienti parkinsoniani, determinando un miglioramento della qualità di vita, con regresso dell’incidenza della sintomatologia motoria, cognitiva e psicologica della malattia. Nello specifico del nostro interesse, il teatro terapeutico applicato a pazienti parkinsoniani è un approccio con il quale, uno staff professionista di attori e registi di teatro, insegnano l’arte della recitazione teatrale con l’obiettivo di fornire ai pazienti i mezzi per aiutarli a riacquistare confidenza e fiducia nelle proprie capacità e a ristabilire delle buone relazioni sia all’interno del nucleo familiare che all’esterno. Un attore di teatro per poter interpretare un personaggio, deve prima di tutto conoscere, esplorare e governare a fondo se stesso, in modo da riuscire a controllare e regolare corpo e mente, dunque azioni, comportamenti, idee, scelte, emozioni. Il teatro inoltre prevedendo un lavoro di gruppo per uno scopo comune, richiede lo sviluppo di capacità di ascolto, collaborazione, confronto, rispetto delle regole e disciplina. Questo lavoro necessita di una grande apertura verso il proprio inconscio ed il mondo che lo circonda: in questa grande conquista di consapevolezza di sé e della realtà circostante consiste il valore terapeutico del training teatrale. I laboratori di teatro terapeutico per pazienti con Malattia di Parkinson prevedono dunque una prima fase di training preparativo che stimola il paziente a conoscere il suo corpo, i suoi movimenti, i suoi sensi ed il suo modo di comunicare, per poi passare ad una fase successiva dedicata alla recitazione vera e propria: vengono stimolati e allenati allora altri meccanismi cognitivi quali l’attenzione, la memoria rievocativa e la memoria di lavoro. Molteplici, afferma il Neurologo Dott. Nicola Modugno, Presidente dell’Associazione F. D’ANTUONO, G. PIAZZA, L’inquilino Dentro, Sovera Editore, Roma 2008, pp. 14-15. 1 ONLUS Parkinzone2, sono gli scopi di un laboratorio di teatro per pazienti parkinsoniani: abituare i pazienti ad una convivenza in un gruppo di persone, con mutuo rispetto e disciplina; permettere ai pazienti di vivere una esperienza nuova, divertendosi e sviluppando le loro capacità, a volte nascoste; prendere coscienza delle capacità sviluppate e apprese; abituarli ad esporsi apertamente in pubblico ed a convivere con situazioni stressanti. L'obiettivo finale è quello di abituare i pazienti alla convivenza con la malattia e a sviluppare nuove abilità e nuove capacità di gestione dei sintomi e delle conseguenze di essa. L’incontro tra teatro e neuroscienze ci porta ad ipotizzare che l’attività teatrale sia in grado di stimolare i sistemi dei neuroni specchio e di plasticità neuronale in maniera simile a quanto avviene nella fase scolare dell’apprendimento e dello sviluppo di un essere umano, permettendo così una riorganizzazione di alcuni circuiti neuronali compromessi dalla malattia, come la capacità empatica, la capacità di fingere e mentire, nonché la capacità di eseguire gli automatismi motori (Modugno, 2010)3. Il parkinsoniano infatti mostra grandi difficoltà ad eseguire i movimenti automatici che rappresentano la maggior parte dei movimenti della vita quotidiana (respirare, camminare, ingoiare, bere, mangiare, guidare), poiché è in lui compromessa una funzione esecutiva, rispetto alla quale i neuroni dopaminergici giocherebbero un ruolo chiave nel segnalare la necessità di interrompere una certa elaborazione: le sue capacità decisionali sono dunque compromesse (Montague et. al., 2004)4. Il teatro, in questo senso, rappresenta un grande allenamento per il paziente parkinsoniano, sia perché i ritmi imposti dalla recitazione e i tempi forniti dal altro facilitano l’innesco dei programmi motori aiutando i gangli della base a produrre movimento, influenzando così in maniera positiva i sintomi motori della malattia; sia perché gli esercizi di training teatrale mirano a distruggere gli automatismi che condizionano le attività abituali della vita quotidiana: tali esercizi distruttivi mirano a far acquisire www.parkinzone.org N. MODUGNO, Oltre il dialogo e la simbiosi. Un modello di teatro terapeutico per i pazienti affetti da malattia di Parkinson, in “Nuovi dialoghi tra teatro e neuroscienze”, Edizioni Alegre, Roma, 2010. 4 P. MONTAGUE, S. HYMAN, J. COHEN, Computational roles for dopamine in behavioral control, in “Nature”, 2004, n.431, pp.760-768. 2 3 una piena consapevolezza di sé e dei propri movimenti, vissuti e relazione, invitando l’attore ad utilizzare gli automatismi ideo-motori della nostra vita in maniera volontaria, sviluppando così nel paziente parkinsoniano nuove strategie motorie per fronteggiare le conseguenze della malattia (Modugno, 2010)5. Afferma a riguardo l’attore Paolo De Vita, Direttore artistico dell’Associazione Parkinzone, in un’intervista da me condotta: ‹‹Il teatro è semplicemente una replica organizzata della vita comune. Abituarsi con le tecniche teatrali a riprodurre scene quotidiane, accentuare la nostra capacità empatica con ciò che ci circonda, allenarsi a reagire in base alla nostra più profonda esigenza vitale, senza calcolo ma per reale necessità, crea un impulso che a volte supera il blocco dei centri nervosi, permettendo al malato di fare quello che teoricamente il suo corpo sarebbe incapace di portare a compimento››. Il teatro terapeutico per pazienti con Malattia di Parkinson, che non pretende di sostituire la terapia farmacologica e riabilitativa, ma solo di affiancarla, si propone dunque di sostenere e migliorare la sintomatologia motoria, cognitiva, psicologica ed emotiva della malattia, allenando il paziente a sviluppare dei nuovi automatismi motori, controllare la propria capacità di espressione e regolazione delle emozioni, migliorare le capacità cognitive compromesse, intensificare le relazioni interpersonali e prevenire una sintomatologia psicologica negativa del tono dell’umore. Nel 2010 è stato pubblicato, sulla rivista The Scientific World Journal, uno studio pilota della IRCCS Neuromed e del Dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università dell’Aquila (Modugno et. al., 2010)6, sul utilizzo del training teatrale come terapia complementare nella riabilitazione della Malattia di Parkinson, dimostrando che in tre anni di laboratorio, il teatro ha agito migliorando l’autostima, lo stato di benessere psicologico, i rapporti con gli altri, nonché la qualità della vita di un gruppo sperimentale di 10 pazienti parkinsionani: il cocktail di abilità, quali controllo del corpo, il controllo delle emozioni e la capacità relazionale, che il teatro richiede, rende questa forma artistica Ibidem N. MODUGNO, S. IACONELLI, M. FIORILLI, F. LENA, I. KUSCH, G. MIRABELLA, Active theater as a complementary therapy for Parkinson’s disease rehabilitation: a pilot study, in “The Scientific World Journal”, 2010, n. 10, pp. 2301– 2313. 5 6 superiore alle altre nella terapia complementare della malattia. Specifica il Dott. Modugno, in un’intervista da me condotta: ‹‹Il lavoro cognitivo ed emotivo cui si è obbligati nel training teatrale sembra essere molto importante per risvegliare le persone affette dalla malattia e far riprendere un percorso di vita apparentemente interrotto fino a poco tempo prima. Il viaggio nel teatro si muove attraverso la conoscenza del proprio strumento; entrando progressivamente a contatto con le proprie emozioni, si impara a condividerle e, attraverso la condivisone, si crea un cerchio di fiducia in cui ogni membro del gruppo diventa necessario agli altri. In questo clima di apertura si esplorano, accantonando la paura e il pregiudizio, nuove possibilità di stare con gli altri e con se stessi››. Da tale studio pilota, è nato nel 2012 il progetto di ricerca STEP (Social Theatre, Emotion and Parkinson’s Desease), della IRCCS Neuromed e del Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia dell’Università La Sapienza di Roma, finanziato dalla Fondazione Neurone, con la direzione artistica dell’attore Paolo De Vita. Ormai in fase conclusiva, tale progetto ha previsto un laboratorio teatrale di 1 anno e mezzo, focalizzato sul training emotivo di un gruppo sperimentale di 12 pazienti parkinsoniani. L’idea base di tale progetto è quella del Teatro come di un contenitore sicuro, dove poter esplorare ed esprimere liberamente e senza giudizio le proprie emozioni, imparando a prenderne consapevolezza, rielaborarle e gestirle. L’attesa dei risultati, afferma De Vita: ‹‹era legata alla possibilità che il teatro funzionasse da “volano” nel superamento della depressione cronica che la malattia del Parkinson genera, con una susseguente distruzione dell’autostima. Al lato di questo aspetto, ci si aspettava che una socializzazione legata non solo alla classica fisioterapia, ma al coinvolgimento personale, alla sfida individuale della proposta di un “Sé” diverso, alternativo e capace di mutare, inducesse i pazienti ad una revisione della stessa idea di malato senza speranza, traducendo il tutto in una nuova possibilità di percepirsi come degni di attenzione, di giudizio e di libero arbitrio. (…) utilizzando un metodo che è frutto di anni di lavoro con parkinsoniani, e che ci permette di “risvegliare” le capacità di controllo, autogestione e pianificazione dell’emotività››. SARA LUBRANI