FASCITE NECROTIZZANTE La fascite necrotizzante è una rara

FASCITE NECROTIZZANTE
La fascite necrotizzante è una rara patologia che interessa tutti gli strati cutanei e
muscolari.
Da un punto di vista istologico è caratterizzata da un’estesa necrosi fasciale con relativo
risparmio della cute e dei muscoli sottostanti.
La fascite necrotizzante è spesso associata ad un’importante tossicità sistemica ed è
spesso rapidamente fatale, a meno che non venga riconosciuta in tempi rapidi ed
adeguatamente trattata.
La diagnosi è difficile a causa della scarsità di fenomeni clinici, soprattutto nella fase
iniziale della malattia.
Nonostante il trattamento sia ormai ben codificato, il tasso di mortalità resta elevato in
quanto legato alla precocità della diagnosi. È di fondamentale importanza, quindi,
riconoscere tempestivamente la patologia per poter ridurre il rischio di mortalità.
A causa della differente prognosi e delle diverse modalità di trattamento, è opportuno
distinguere tra le infezioni della cute e dei tessuti molli sottostanti.
Le comuni piodermiti superficiali non si estendono oltre la cute, coinvolgendo unicamente
epidermide e derma; in queste troviamo l'erisipela, l'impetigine, le follicoliti, l'eczema e la
foruncolosi; mentre le celluliti sono infezioni più profonde della cute.
La fascite necrotizzante coinvolge invece primariamente la fascia superficiale, il grasso
sottocutaneo nel quale sono contenute le strutture vascolari e nervose e la fascia
profonda. La mionecrosi si riferisce a una rapida necrosi dei muscoli, con un ritardo
nell'interessamento dei tessuti molli soprastanti e della cute.
Risulta fondamentale la stretta collaborazione clinica tra diversi specialisti che sono
coinvolti nella corretta gestione di tale patologia. Si tratta di una malattia dall'aspetto
multidisciplinare, causata da agenti microbici virulenti, che colpiscono l'apparato
tegumentario con segni locali e generali altamente aspecifici. Nella diagnosi e nel
trattamento vengono quindi coinvolti oltre al chirurgo, il medico del Pronto Soccorso,
l'intensivista, l'infettivologo ed il dermatologo.
La fascite necrotizzante viene classificata, a seconda del gruppo di agenti patogeni che la
causano, in 4 tipi:
Il primo tipo rappresenta l'80% dei casi riportati in letteratura e nella pratica clinica. E’
causata da un’ infezione sinergica da parte di anaerobi, aerobi e anareobi facoltativi,
spesso derivati dalla flora addominale (E.coli, Pseudomonas e Bacteroides). Questo tipo
di fascite può essere scarsamente sintomatica soprattutto nelle fasi iniziali della malattia e
la mortalità è spesso correlata ad altre patologie sistemiche sottostanti. Colpisce
principalmente gli immunocompromessi o pazienti affetti da patologie addominali.
Le fasciti necrotizzanti del secondo tipo sono poco meno del 20% dei casi osservati nella
pratica clinica. Spesso monomicrobiche, determinate da organismi gram positivi; tra essi il
patogeno più frequentemente coinvolto è lo Streptococco del gruppo A, occasionalmente
possono essere causate anche dallo Stafilococco aureus.
Il terzo tipo presente nella classificazione eziologica, include fasciti necrotizzanti
monomicorbiche da gram negativi. I più comuni tra essi sono appartenenti alla specie dei
Vibrio, come il Vibrio damselae ed il Vibrio vulnificus.
Quest'ultimo può essere contratto ingerendo mitili crudi, ma anche contaminando ferite
con acqua di mare in cui è presente l'agente patogeno; spesso colpisce persone con
patologie epatiche e alterazioni nel metabolismo del ferro. Un elevato fattore di virulenza e
gli enzimi digestivi prodotti da tale microbo, contribuiscono a determinare un elevata
mortalità del 30-40%, nonostante possa essere effettuata una rapida diagnosi ed una
terapia aggressiva.
Le fasciti appartenenti al 4° gruppo, sono determinate principalmente patogeni fungini
come
la
Candida,
estremamente
rare
e
principalmente
colpiscono
gli
immunocompromessi.
L'alcolismo,
l'immunosoppressione,
il
diabete,
le
patologie
del
circolo
periferico, l’insufficienza renale, piccoli e grandi traumi, le ferite chirurgiche, le procedure
endoscopiche od altre procedure invasive in genere, la gravidanza ed il parto, l'obesità e
la malnutrizione, le pregresse infezioni spesso di origine odontogena e l'uso illecito di
farmaci per via endovenosa sono considerati come fattori predisponenti.
PATOGENESI
La patogenesi della fascite necrotizzante oggi riconosce un meccanismo a catena, in cui
l'azione di varie citochine sembra essere di fondamentale importanza.
I batteri possono raggiungere il tessuto sottocutaneo passando attraverso le ferite o
tramite focolai di infezione primari lontani dalla zona di insorgenza, attraverso il circolo
ematico. Punture di insetti, morsi di animali, ferite penetranti possono far si che i
microrganismi raggiungano direttamente il tessuto sottocutaneo, dove possono trovare le
condizioni ottimali per iniziare il processo infettivo.
La patogenesi della fascite necrotizzante è dovuta a diversi fattori: i batteri possono dare
un’ attivazione delle interleuchine, interferone gamma e TNF-alfa, i quali sono i principali
attivatori della trombosi capillare, che è il primum movens degli eventi necrotici che
coinvolgono la fascia, la cute e il tessuto sottocutaneo.
I meccanismi patogenetici alla base della fascite necrotizzante dipendono molto dalla
virulenza del ceppo batterico, dalle condizioni generali di salute del paziente, dalla
presenza o assenza dei fattori predisponenti.
Istopatologicamente la fascite necrotizzante è determinata da una necrosi della fascia
superficiale, con una trombosi dei vasi sanguigni ed un conseguente processo
suppurativo. Altre caratteristiche sono una importante necrosi e infiammazione del grasso
sottocutaneo, vasculiti ed endoarteriti ed emorragia nelle zone interessate dal processo
infettivo.
Nei reperti istopatologici nella maggior parte dei casi, l'epidermide non mostra grandi
cambiamenti. La dilatazione dei vasi sanguigni del derma papillare è stata riscontrata alla
biopsia, soprattutto nelle fasi acuta.
Compare inoltre, a tutti i livelli tissutali della regione interessata, una coagulazione
intravascolare non infiammatoria. Alcuni pazienti hanno presentato stati di necrosi delle
ghiandole sudoriparee e dei dotti annessi, come il risultato della trombosi e
dell'infarcimento infiammatorio.
La fascia è suppurativa e edematosa, con necrosi e trombosi dei vasi nelle lesioni
avanzate.
La fascite necrotizzante spesso comincia con la caratteristica modificazione della cute
nell'arco dei primi 7 giorni dall'evento iniziale, che porta all'infezione dei tessuti cutanei e
sottocutanei e si presenta con un area cellulitica eritematosa, calda e gonfia, che si
accompagna a un dolore localizzato e a febbre, che di norma è il primo sintomo.
Il dolore insorge precocemente ed è sproporzionato rispetto all'obbiettività riscontrabile;
ciò, associato alle classiche evidenze cliniche della sepsi, deve far supporre per una
fascite necrotizzante.
L'infezione, evolvendo, rende la cute liscia, lucente tesa e tumefatta, come se l'eritema
procedesse diffusamente; sono assenti margini distinti o induriti, con la parte di cute
coinvolta dal processo infettivo che si confonde a margini non netti nella cute sana. In
pochi giorni la cute diventa più scura e compaiono bolle e vescicole bluastre nella zona
interessata, le quali sono piene di liquido sieroso che diventerà presto emorragico. Da
questo momento l'infezione interessa chiaramente lo spazio sottocutaneo. La necrosi della
fascia superficiale e del grasso procede, creando uno strato sottile fluido maleodorante
purulento. L'estensione della necrosi fasciale è assai maggiore rispetto all'interessamento
dello strato cutaneo soprastante e nel caso avvenga una trombosi delle arterie che
irrorano la cute, clinicamente possono presentarsi lesioni simili ad ustioni.
Al quarto o quinto giorno dall'inizio del processo, la cute e francamente gangrenosa, le
terminazioni nervose sottocutanee sono distrutte dal processo infettivo e compare quindi
ipoestesia e/o anestesia nelle aree degenerate.
Nel momento in cui l'agente patogeno e le sue tossine riescono ad entrare nel torrente
circolatorio, il paziente inizia a mostrare i sintomi della sepsi, oltre alla quale si può
associare inoltre ipocalcemia a causa dell'importante necrosi del grasso sottocutaneo ed
occasionalmente possono presentarsi emboli settici.
Durante la seconda settimana la pelle cade spontaneamente.
Se non trattata ovviamente tale patologia è quasi sempre fatale.
APPROCCIO TERAPEUTICO
Nella letteratura internazionale, si evidenziano fondamentalmente tre tipi di approccio
terapeutico che sono stati ampiamente studiati e che si è visto siano di certo aiuto nella
lotta contro questa patologia.
La terapia chirurgica
È il cardine terapeutico per questa patologia ed è l’unico che può dare una probabilità di
sopravvivenza. Deve essere effettuata nel minor tempo possibile dal momento della
diagnosi. Si basa su un ampio e aggressivo debridement di tutto il tessuto necrotico.
La terapia antibiotica
Considerato che l'antibiotico-terapia dovrebbe essere guidata dalla colorazione di gram
dell'aspirato o del tampone, la scarsa sensibilità di tale test e la natura fulminante
dell'infezione, rendono la copertura antibiotica empirica ad ampio spettro l'unica scelta
attuabile, alla quale, tra l'altro, la maggior parte degli agenti patogeni causanti fascite
necrotizzante è sensibile. Una volta che si conosce il microbo responsabile dell'infezione,
si deve ridurre lo spettro d'azione utilizzando antibiotici ai quali esso è sensibile.
Nonostante la maggior parte dei microbi sia sensibile alla penicillina, l'alta concentrazione
di Streptoccocco del gruppo A nelle fasciti necrotizzanti da esso determinate, trova tali
microbi in una condizione di resistenza, nella quale tale antibiotico non riesce a svolgere la
sua funzione. Di fatto è stato dimostrato da diversi studi, come la Clindamicina sia
decisamente più efficace contro Streptococchi del gruppo A, riducendo notevolmente il
tasso di mortalità della patologia.
La terapia iperbarica
Per quanto riguarda l’ossigeno terapia iperbarica, questa è stata dimostrata utile
soprattutto per infezioni sinergiche coinvolgenti principalmente la specie Clostridium, dove
ha la capacità di inattivare la produzione delle alfa-tossine. L’ossigeno terapia iperbarica
sembra che abbia inoltre la capacità di aumentare l'azione battericida da parte dei
neutrofili, poiché a tensioni basse di ossigeno i meccanismi perossido-dipendenti sono
meno efficienti.
Un fattore che influisce in modo significativo sulla possibilità di effettuare questo tipo di
terapia, è il fatto che non sempre sono disponibili centri vicini a disposizione del Medico
che ha intenzione di effettuare la Terapia Iperbarica. Di conseguenza, tale approccio
terapeutico deve essere attentamente valutato in base a diversi fattori, quali le condizioni
cliniche del paziente, la vicinanza di un centro iperbarico disponibile, il tipo di agente
microbico che ha causato l'infezione ed eventuali fattori di rischio associati a questo tipo di
patologia.
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