Un principe in democrazia
L'Atene di Pericle senza
Potere personale e capacità di legittimarsi
furono le armi principali di un leader
paragonabile ad Augusto per la sua abilità
Ma fu anche bersaglio di critiche spietate
di Luciano Canfora
a fioritura urbanistica,
architettonica, teatrale,
oratoria, prodottasi in
Atene in concomitanza
con i decenni in cui Pericle fu
dominante sulla scena politica
(463-43o a.C.), ha determinato
l'equazione - divenuta senso
comune - grandezza di Atene/Atene di Pericle. E in realtà
soltanto un punto di vista, e neanche inoppugnabile. Un altro
punto di vista consolidato è
che, sotto il suo governo, si sia
realizzata la pienezza della democrazia, del «governo di popolo». Un terzo punto di vista
- alquanto stridente rispetto
al precedente - è che, morto
lui, si sia instaurata la democrazia «radicale», che portò la
città alla rovina. Nessuno di
questi tre «pensieri consolidati» regge alla critica, ma è utile
chiedersi come siano nati.
Pericle era nato tra il 50o e il
495 a.C. Era un nobile (eupatrida), apparteneva alla famiglia
degli Alcmeonidi, potente e
ambigua. Erano stati, gli Alcmeonidi, alleati di Pisistrato (il
«capo popolare divenuto tiranno» come lo definisce Aristotele nella Costituzione di Atene),
poi avevano rotto quell'alleanza
politico-familiare e avevano
lottato, da esuli, contro la «tirannide». Con l'aiuto di Sparta
e la complicità dell'oracolo delfico opportunamente corrotto,
Clistene, leader della famiglia
alcmeonide, era rientrato e
aveva cacciato Ippia, figlio ed
erede del «tiranno». Ippia si
era rifugiato in Persia. Ma a Maratona neanche gli Alcmeonidi
fecero una bella figura, anzi
ammiccarono all'invasore (lo
puntualizza Erodoto, pur
«cliente» ormai di Pericle). Ciò
non impedì a Pericle venticinquenne (nel 472 a.C.) di pagare
le spese per l'allestimento dei
Persiani di Eschilo, dramma
sommamente patriottico.
Plutarco, il quale scriveva 5
secoli dopo ma con ottime fonti, all'inizio della Vita di Pericle
(tutt'altro che ditirambica!) dà
una notizia molto importante:
Pericle da principio fu a lungo
incerto se far politica appoggiandosi al popolo ovvero ai
ricchi. Si favoleggiava di una
sua somiglianza fisica con Pisistrato e questo lui temeva potesse nuocergli. Suo maestro di
musica, ma in realtà di politica,
fu il sofista Damone, che - dice Plutarco - molti pensavano
lo «addestrasse alla tirannide».
Del resto, quando era saldamente al potere e ogni anno
riusciva a farsi rieleggere stratego (così evitando il rendiconto del proprio operato), i poeti
comici gli gridavano, dalla scena: «Deponi la tirannide!»; e
chiamavano «Pisistratidi» i
suoi figli (Plutarco, Pericle, 16).
Mettendo insieme questi ed
altri elementi, Plutarco approda alla diagnosi che il governo
di Pericle fu «aristocratico». E
porta a sostegno di ciò il giudi-
zio che un grande storico e uomo politico più giovane di Pericle e suo ammiratore (quantunque appartenente ad un
clan familiare avverso), Tucidide, aveva espresso nella sua
Storia, come bilancio dell'opera di Pericle: «A parole fu una
democrazia, di fatto il governo
del princeps (protos anèr)». E
noi preferiamo tradurre col termine augusteo quelle parole
(«primo uomo») perché l'intento di Tucidide è di definire il
potere pericleo come un ben
saldo potere personale abilmente rivestito di legittimazione. Che è - su scala molto più
grande - la escogitazione costituzionale attuata da Augusto, quando «restaura» la Repubblica, ma assicura a sé il
continuativo e di fatto intoccabile ruolo di princeps. Perciò
Cicerone, che sognava l'affermarsi di un princeps in re publica (e fu da Augusto nelle sue
Memorie assunto come «profeta») definì Pericle «princeps
nella sua città» (De re publica).
Come si vede, questo tipo di
governo non ha molto a che fare con la democrazia: «democrazia solo a parole». E anche
nell'orazione funebre per i
morti nel primo anno di guerra, che Tucidide fa pronunciare
a Pericle poche pagine prima,
«democrazia» - come osservò
Jacqueline De Romilly - è parola usata con molta circospezione.
Ma per il clan politico-familiare cui appartenevano Platone e suo zio Crizia, capo riconosciuto dell'oligarchia dei
«Trenta», non solo le leggi di
Clistene lasciavano molto a desiderare, ma proprio Pericle
era stato, come già Temistocle
un «corruttore del popolo», un
demagogo (Platone, Gorgia):
con riferimento alla sua politica edilizia da «Stato sociale»
(strumento formidabile di consenso) e più in generale di elargizioni di denaro pubblico.
Senza dimenticare episodi gravi di corruzione, come il torbido affaire Fidia (Partenone, statua di Zeus coperta d'oro, ruberie di Fidia stesso sull'oro di
proprietà pubblica etc.). E Aristotele, nella già ricordata Costituzione di Atene, mette Pericle tra i faziosi, non tra i politici
sui quali il giudizio è concordemente positivo; anzi tra questi
colloca il più accanito dei suoi
avversari, il figlio di Melesia
anche lui di nome Tucidide.
A questo punto anche il divario tra Pericle e «quelli che vennero dopo di lui» (che per Tucidide fu abissale) si accorcia. E
rischia di scomparire del tutto
se dalla vita pubblica si passa
alle imprese militari. Pericle totalizzò quasi solo sconfitte, ivi
compreso il disastroso intervento in favore dell'Egitto in rivolta contro la Persia; fu più capace suo nipote ed erede politico Alcibiade , con le strepitose
vittorie sulla flotta spartana degli anni 411-409. Il divario tra i
due molto si attenua poi sul
piano della morale privata. Se
di Alcibiade la «scostumatezza» fu proverbiale (rovinosa
per la città secondo Tucidide)
Pericle fu bollato dai comici come «il re dei satiri», capace di
farsela - secondo il malevolo
Stesimbroto di Taso - persino
con la donna di suo figlio.
Aspasia, che «allevava ed educava in casa sua giovani etère»,
secondo Aristofane e secondo
Plutarco, che parla di una vera
e propria «struttura» educativa
(ergasía). Pericle fu costretto,
per tale passione, ad umiliarsi
dinanzi all'assemblea quando
Aspasia fu bersagliata da una
denunzia per «empietà», dopo
essere stata bersaglio costante
della scena comica. Anche in
questo si coglie la distanza tra
milieu pericleo, raffinatamente
«tirannico» e intellettualmente progredito, e la bieca grettezza dell'«ateniese medio».
Aspasia - osserva Plutarco,
pio ma anche saggio - aveva
conquistato Pericle «con la sua
saggezza e acutezza anche politica». E Socrate la frequentava
talvolta con i suoi discepoli, «i
quali portavano ad ascoltarla
persino le loro mogli».
Stabile convivente sua fu
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