Giovedì 26 gennaio 2012 ore 10.00 Fondazione Culturale Giuditta Pasta presenta Associazione Culturale Alma Rosé in ALMA ROSÉ Di Claudio Tomati Con Annabella Di Costanzo e Elena Lolli Musiche originali e strumenti di Mauro Buttafava Coordinamento registico di Mauro Maggioni Età: scuole superiori Durata: 60 minuti Tecnica utilizzata: teatro d’attore “I crematori fumano incessantemente, i treni arrivano di continuo e scaricano ogni giorno masse di deportati davanti alla baracca dell’orchestra. Il campo di Auschwitz-Birkenau è l’unico ad avere un gruppo musicale femminile, quarantasette donne con la medesima angoscia degli altri detenuti, che hanno però lo strano privilegio di poter riporre una fragilissima speranza di salvezza nella mansione “ricreativa” che è stata loro affidata.” DA “AD AUSCHWITZ C’ERA UN’ORCHESTRA”- FANIA FENÉLON Quando Fania Fenélon fu deportata ad Auschwitz era il Gennaio del '44 e poiché sapeva cantare e suonare il pianoforte, entrò a far parte dell' orchestra femminile del campo, l'unica orchestra femminile mai esistita in tutti i campi di concentramento della Germania e dei territori occupati. Voluta da Hoss, maggiore delle SS, l'orchestra, composta da prigioniere, aveva il compito di accompagnare le detenute al lavoro, "accogliere" ogni nuovo arrivo di deportati, e suonare per gli ufficiali SS ogni qualvolta lo richiedessero. Erano in 47 le signore dell' orchestra, come Fania racconterà nel suo diario "Ad Auschwitz c' era un' orchestra", scritto molto più tardi, dopo la sua liberazione. Provenienti da ogni parte, ficcate in uno spazio ristretto, una vecchia baracca vicino alle ferrovia nel punto in cui arrivavano i convogli di deportati, le orchestrali erano costrette a prove estenuanti per potere suonare dignitosamente, perché solo così sarebbero state risparmiate alla selezione per la camera a gas. Durante tutto il tempo della sua detenzione, Fania lotta duramente per sopravvivere senza mai perdere la propria umanità, e pensando che sopravvivere è anche ricordare "per fare sapere al mondo". Fra tutti gli incontri avvenuti nel campo, il più singolare è quello con Alma Rosé, eccezionale violinista ebrea, nipote di Gustav Mahler e direttrice dell’orchestra. Il rapporto che nasce tra le due musiciste mette in luce il loro diverso modo di vivere il lager e la necessità di fare musica. Per Fania, infatti, suonare è un mezzo per sopravvivere e sopravvivere è testimoniare. Anche in una condizione estrema Fania riesce a mantenere intatta la propria umanità: sa di suonare e cantare una musica "che è la cosa migliore ad Auschwitz-Birkenau in quanto procura oblio e divora il tempo, ma è anche la peggiore perché ha un pubblico di assassini". Per Alma la musica è un fine, il fine Fondazione Culturale Giuditta Pasta Via I Maggio, snc 21047 Saronno – VA tel. 02.96701990 – fax 02.96702009 www.teatrogiudittapasta.it su cui ha costruito la propria identità di tutta una vita e nulla le importa più se non fare bene il proprio lavoro e realizzare musiche sublimi, disinteressandosi degli effetti collaterali delle proprie azioni. Ripercorrendo il diario di Fania, diamo vita alle sue parole alternando alla lettura alcuni momenti recitati (tratti dallo spettacolo "Alma Rosé", vincitore Premio ETI Scenario 96/97) che rappresentano i dialoghi più significativi fra Fania e Alma. Ci accompagnano, inoltre, alcune musiche che fanno parte di quel repertorio che era il preferito degli ufficiali tedeschi, capaci di commuoversi all’ascolto di una Madama Butterfly e subito dopo di mandare dei prigionieri alle camere a gas. I PROTAGONISTI: Fania Goldstein, in arte Fénelon (Parigi, 1908-1983), pianista e cantante di cabaret, fu incarcerata e deportata ad Auschwitz per i suoi contatti con la Resistenza francese e le sue origini ebraiche. Fania, cantante professionista francese di origini ebraiche, ha un ruolo fondamentale all’interno del gruppo: conosce la musica e può orchestrare i brani, ma saranno la tenace determinazione alla sopravvivenza e i continui sforzi per non smarrire la propria umanità che la faranno uscire dal campo ancora in vita, insieme a molte delle compagne. In quel terribile anno del 1944 Fania assiste al repentino spegnersi di ogni senso di solidarietà e compassione tra le altre detenute, al loro chiudersi in drammatici egoismi dettati da scontri di razza, classe e religione, ma soprattutto da fragilità e disperazione umane. Alma Rosé, Rosé violinista tedesca d’origine ebraica, nasce nell’anno 1906. Nipote di Gustav Mahler, fu strappata dalle SS da una sala concerto a Dijòn per essere rinchiusa ad Auschwitz. Prima di allora era stata al riparo in Inghilterra con il suo amante viennese che l'abbandonò nel giugno del 1939. L'arrivo di Rosé al campo di concentramento, vicino a Cracovia, fu paradossale. Infatti nella città polacca vi aveva soggiornato, si era esibita insieme all'allora marito, il virtuoso Ceco del violino Vása Príhoda, aveva diretto la celebre orchestra, di signorine, la raffinata Wiener Walzermädeln che lei stessa aveva creato e con la quale si esibì in tutta Europa. Negli anni precedenti il suo arresto, la sua vita fu caratterizzata da frequentazione d’ambienti intellettuali europei e dei più celebri musicisti dell’epoca. Il suo arrivo ad Auschwitz in quel piccolo numero di donne selezionate per il blocco sperimentale segnerà i prossimi anni della sua vita. Dopo essere stata sottoposta al procedimento abituale della rasatura, doccia, tatuaggio del numero 53081 e la consegna del vestiario della prigione, Rosé fù inviata al blocco 10. La dignità di Rosé che da subito contrastò con il silenzio circostante richiamò l'attenzione di una giovane donna olandese, infermiera del blocco. Era la flautista Ima Van Esso, che alcuni anni prima la stessa Rosé aveva accompagnato al pianoforte . La dignità di Rosé proveniva dal suo raffinato passato viennese vissuto tra eccelsi compositori ed interpreti. Sua madre, Justine, era sorella di Gustav Mahler; suo padre, Arnold Rosé, era stato per più di mezzo secolo concertista della Filarmonica e dell'opera di Vienna e leader del famoso quartetto Rosé. Dalla data della sua nascita è stata circondata dai più celebri musicisti del suo tempo. L’arrivo della Rosé al campo di concentramento richiamò l’attenzione anche del responsabile di Birkenau, che dirigeva il blocco 10 di Auschwitz. Sin dal suo primo incontro Fondazione Culturale Giuditta Pasta Via I Maggio, snc 21047 Saronno – VA tel. 02.96701990 – fax 02.96702009 www.teatrogiudittapasta.it con l’ufficiale tedesco la Rosé fece ricorso al suo estro musicale ed alla sua miglior arma, il violino. Ricevette un violino, preso a un prigioniero dal destino incerto. Era il primo strumento che la Rosé toccava dal 12 dicembre dell'anno precedente, quando consegnò il suo “Guadagnino” a una donna olandese affinchè lo mettesse al sicuro. Appena la Rosé iniziò a suonare le prime note, portò una nota di bellezza nel campo tanto che si disse “ … i lucchetti messi … dalle SS sembrarono svanire…” La bellezza era un sogno ampiamente dimenticato nel blocco 10 e sino a quel momento nessuno avrebbe potuto sognare una bellezza tale come quella che sgorgava dalla sua musica Infatti fu la musica della Rosé a portare un po’ di felicità e speranza all’interno del blocco, venivano improvvisate buffe esibizioni di danza, grottesche repliche di cabaret, insegnato a ballare il tango o la Czarda. La fama della Rosé all’interno del campo andò sempre aumentando tanto che venne disposto il suo trasferimento dal blocco 10 a Birkenau, dove avrebbe dovuto prendere la Direzione di una piccola orchestra costituita prima del suo arrivo da alcune recluse. Il suo arrivo all’interno del gruppo destò in un primo momento un po’ di diffidenza, ma le compagne dopo avere capito che si trattava della Rosé e quale fosse il suo compito, furono in maggioranza entusiaste ed iniziarono a sperare in un futuro migliore; non mancarono però scontri e discussioni all’interno del gruppo per il suo arrivo! Quando Rosé organizzò la sua Wiener Walzermädeln ebbe a disposizione, per scegliere gli elementi, le alunne e le diplomate dei migliori conservatori del mondo recluse nel campo.Nessuno aveva mai fatto musica in tali condizioni. Durante i concerti le donne coprivano le loro teste con fazzoletti color lavanda, e usavano camice bianche e pantaloni blu. Alma Rosé prese iniziative per migliorare le condizioni di vita delle sue compagne, e talvolta si espose in prima persona anche per salvare loro. Violette Jacquet Silberstein giudea francese, ricorda che dopo avere lasciato l'ospedale del campo e convalescente dal tifo, essendo debole, durante il passaggio dell'orchestra davanti al portone di ingresso, rimase indietro ed una SS la fermò e volle sapere se fosse così tanto stanca o ammalata da non poter marciare insieme alle altre, rischiando di essere inviata alla camera a gas. La ragazza attribuì a Rosé il merito di averle salvato la vita. Durante il corso dell'inverno 1943/1944 la fitta programmazione e la costante tensione stancavano le integranti dell'orchestra. Svenimenti e collassi dovuti all'estenuante lavoro, costrinsero Rosé a persuadere le SS di permettere alle donne dell'orchestra qualcosa di impensabile: una piccola pausa dopo mezzogiorno. Nel 1966 Anita Lasker Wallfisch in un'intervista alla BBC, disse che la Rosé non fu motivata tanto dalla paura delle SS e di perdere la vita ma quanto di raggiungere l'eccellenza e così di fuggire con il pensiero. L'atmosfera del blocco della musica entusiasmava i membri delle SS anche quelli di alto rango ad esempio il Dott. Mengele, Mandel e Josef Kramer.Alcuni anni dopo Eva Stojowska ricordando la Rosé, si meravigliava della sua abilità nel preparare le donne affinché cantassero le voci mascoline dello spartito. Rosé morì la notte fra il 4 e 5 aprile del 1944. Fondazione Culturale Giuditta Pasta Via I Maggio, snc 21047 Saronno – VA tel. 02.96701990 – fax 02.96702009 www.teatrogiudittapasta.it LA PROGRESSIVA DISTRUZIONE DISTRUZIONE DELLA PERSONALITÀ PERSONALITÀ Si sarebbe potuto credere che la sorte comune, le comuni sofferenze, avessero portato ad un avvicinamento di tutti i prigionieri e dunque ad una forte solidarietà e alla cooperazione. E invece proprio nei lager era l’egoismo di ognuno a manifestarsi con maggiore forza, scaturito dall’individuo sotto l’impulso dello spirito di conservazione, come afferma Rudolf Höss nel libro Comandante ad Auschwitz Nella vita dei lager ogni prigioniero mutava a tal punto la sua personalità da giungere a pensare soltanto a se stesso: si era disposti a compiere ingiustizie nei confronti dei compagni o ad ignorare le sofferenze altrui per ottenere un privilegio, un vantaggio. Scrive Sergio Coalova: […] la spersonalizzazione dell’individuo ha raggiunto lo scopo desiderato: ha cancellato ogni vincolo di fratellanza in questa massa di deportati, esaltando in ognuno un innaturale egoismo, quasi fosse l’unico mezzo per sopravvivere. Tutto ciò con le debite eccezioni, ma l’esperienza di ogni giorno ci agggredisce con tutta la sua crudezza portandoci fatalmente a pensare sempre più a noi stessi. E aggiunge: nel lager chi riuscirà a sopravvivere lo dovrà unicamente ai suoi propri mezzi e alla sua fortuna. Nulla c’è da aspettarsi da chi sta meglio, la lotta per la vita ci ha fatti barricare in un comprensibile egoismo e ci ha resi indifferenti alle sofferenze di chi ci sta attorno. Ma la speranza che non ci abbandona agisce sul nostro spirito di conservazione e ci porta, per vie traverse, ad accentuare il nostro individualismo, a chiuderci in noi stessi, nel tentativo di superare meglio le prove che ancora ci attendono. Vi erano prigionieri che arrivavano a tiranneggiare senza misericordia i compagni di sventura, se ciò serviva a rendere un po’ più tollerabile la loro vita. Particolarmente brutale era il comportamento dei kapò, i criminali, anch’essi detenuti, ma con funzioni di comando, i quali volevano mettersi in buona luce presso i guardiani e i sorveglianti; essi ottenevano privilegi e vivevano meglio nel campo, ma a spese degli altri prigionieri, che tormentavano fisicamente e psichicamente e addirittura, per puro sadismo, maltrattavano a tal punto da farli morire. Tuttavia, soprattutto i prigionieri ancora sensibili, non ancora intaccati dalla durezza della vita nel campo, provavano profonde sofferenze morali di fronte a questi atteggiamenti: i maltrattamenti da parte delle guardie erano sì terribili ma non li ferivano così profondamente; erano il contegno di questi “capi” e le loro angherie contro gli stessi compagni ad avere l’effetto più deprimente sulla psiche dei prigionieri. Ma perché tutto questo? Perché a lungo andare la prigionia trasformava le persone. Lo shock iniziale derivante dal fatto di trovarsi privati dei diritti civili e gettati illegalmente in carcere, il trauma di subire per la prima volta torture intenzionali e inimmaginabili, il Fondazione Culturale Giuditta Pasta Via I Maggio, snc 21047 Saronno – VA tel. 02.96701990 – fax 02.96702009 www.teatrogiudittapasta.it tormento di vedere morire i propri compagni senza poterli aiutare provocavano un profondo disagio. Ma a poco a poco quasi tutti i prigionieri perdevano i loro benevoli sentimenti e finivano per preoccuparsi solo per la propria sopravvivenza. Ognuno reagiva comunque in maniera diversa: c’era chi cadeva nella più profonda indifferenza, chi manifestava sintomi schizofrenici o tendenze suicide, chi perdeva la memoria e chi smetteva semplicemente di pensareAvveniva una vera e propria scissione psichica tra l’Io a cui accadevano le cose e l’Io a cui in realtà non importava nulla di nulla, indifferente e distaccato. Quasi tutti i prigionieri ebbero una regressione a livello infantile e svilupparono quindi comportamenti tipici dell’infanzia e del periodo adolescenziale: prevaleva lo scoraggiamento, non vi erano progetti per il futuro, le amicizie nascevano e si scioglievano rapidamente, si perdeva la cognizione del tempo e si raccontavano bugie per fare gli “spacconi”. Non si era più se stessi e non si credeva più a niente. «Non si può continuare a credere in un mondo che ha cessato di considerare l’uomo come l’uomo: che ti “dimostra” che non sei più un uomo. Si comincia a dubitare: si rinuncia ad avere fede in un ordinamento dell’universo il cui Dio abbia un suo posto preciso. Si comincia a credere che Dio sia in vacanza, altrimenti tutto questo non sarebbe possibile. Deve essere assente e non ha nessuno che lo rappresenti», dice Simon Wiesenthal. Bibliografia e fonti Primo LEVI, I sommersi e i salvati, Milano, Giulio Einaudi Editore, 1986 (in particolare il capitolo intitolato La violenza inutile); Simon WIESENTHAL, Il Girasole. I limiti del perdono, Milano, Garzanti, 2002 (1^ ed. it. 1970); Raul HILBERG, Carnefici, vittime, spettatori. La persecuzione degli ebrei 1933-1945, Milano, Mondadori, 1996; Bruno BETTELHEIM, Sopravvivere e altri saggi e documenti, Milano, SE, 2005; Sergio COALOVA, Un partigiano a Mauthausen. La sfida della speranza, Cuneo, L’Arciere, 2005; Fondazione Culturale Giuditta Pasta Via I Maggio, snc 21047 Saronno – VA tel. 02.96701990 – fax 02.96702009 www.teatrogiudittapasta.it Il pianista barlettano Lotoro ha raccolto oltre 2500 spartiti composti nei campi di concentramento LE COLONNE SONORE DEI DEI LAGER "LA MUSICA STEMPERAVA STEMPERAVA L´ODIO" di FIORELLA SASSANELLI Coltivato alla grande letteratura pianistica peraltro anche alla scuola di uno dei più grandi maestri viventi, Aldo Ciccolini, il pianista barlettano Francesco Lotoro ha incontrato la musica che lui definisce 'concentrazionaria´ – prodotta cioè in tutti i campi di transito, sterminio, di detenzione e di concentramento – per la prima volta quasi vent´anni fa, leggendo il bando del concorso pianistico 'Arthur Rubinstein´ di Tel Aviv. Tra le composizioni ammesse alle prove c´era anche una Sonata di Gideon Klein. Si diceva fosse stata composta a Auschwitz, in realtà negli oltre dieci anni consacrati a raccogliere tutta la musica composta nei campi di concentramento di Europa, Asia e Nord Africa durante la seconda guerra mondiale (una collezione di oltre duemilacinquecento opere), Lotoro ha scoperto che Klein a Auschwitz non c´era mai stato e che quella Sonata era stata composta nel ghetto di Terezin, a pochi chilometri da Praga. "Nei campi la musica serviva ad aggregare e stemperare l´odio", ha spiegato ieri pomeriggio Lotoro agli alunni del liceo classico Flacco di Bari presentando il suo poderoso progetto 'Musica Judaica´, un´integrale musicale che di qui al 2006 documenterà in sedici cd la letteratura musicale concentrazionaria. Il primo già in uscita, si apre proprio con la Sonata di Klein; al suo interno anche tre Sonate di Viktor Ullmann. Nel terzo, pronto a giugno, saranno incise le cadenze che Ullmann scrisse per il Primo e il Terzo concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven. Tutte le registrazioni sono state fatte nel teatro Giordano di Foggia. "Nei campi, e soprattutto in quelli destinati ai prigionieri politici comunisti o testimoni di Geova che rifiutavano l´obbedienza al nazismo – ha spiegato Lotoro - i comandanti sollecitavano la nascita di piccole orchestre, scuole di musica, premevano per l´acquisto di strumenti musicali. Dove non ci furono orchestre, si fomentò l´odio e la reazione, forme acute di combattimento degli ebrei contro i militari del campo". Che sia musica bella, profonda, volutamente irridente e provocatrice e insieme profondamente malinconica lo si è capito già ieri da brevi saggi eseguiti dallo stesso Lotoro insieme a Paolo Candido, pianista e direttore d´orchestra che ha prestato la sua voce per improvvisare qualche canzone (Candido sarà lo strimpellatore Brundibàr, nell´allestimento dell´omonima operina di Hans Krasa, che Lotoro riproporrà il 27 e il 28 gennaio al teatro Royal). Oppure ascoltando la registrazione di un Nonetto di Rudolf Karel, rinchiuso nel carcere di San Pancrazio a Praga dove morì nel '45. Era un detenuto politico, scrisse musica su fogli di carta igienica che gli passava un guardiano del carcere. Lasciò rotoli di pentagrammi per pianoforte con accenni di indicazioni timbriche. Lotoro ne ha rintracciato da poco il microfilm, fortemente danneggiato dall´alluvione che quest´estate ha colpito la Boemia: centinaia di documenti musicali intaccati dall´inondazione. Ora sono a Vienna per essere salvati. Fondazione Culturale Giuditta Pasta Via I Maggio, snc 21047 Saronno – VA tel. 02.96701990 – fax 02.96702009 www.teatrogiudittapasta.it APPROFONDIMENTI: La musica nei Lager nazisti fu parte integrante dell’organizzazione della vita dei deportati. Le sue funzioni furono molteplici e i suoi protagonisti sono entrati ormai a pieno diritto nella storia della musica. Sebbene non tutti i prigionieri si occupassero direttamente di musica, la maggior parte di essi vi entrò in contatto in qualche forma ad esempio marciando al suo ritmo sulla via per andare o tornare dal campo di lavoro. La musica non è qui fonte di conforto, a volte dilania l’anima come ricorda Primo Levi: “Noi ci guardiamo l’un l’altro dai nostri letti, perché tutti sentiamo che questa musica è infernale. I motivi sono pochi, una dozzina, ogni giorno gli stessi, mattina e sera: marce e canzoni popolari care a ogni tedesco. Esse giacciono incise nelle nostre menti, saranno l’ultima cosa del Lager che dimenticheremo: sono la voce del Lager”. Fare musica avveniva – come suggerito da Levi – su incarico dei sorveglianti, la voce dei Lager si inscrive nella tragedia complessiva di distruzione e spersonalizzazione messa in opera dai nazisti nei Lager. Sebbene si riferiscano a questi ultimi, le osservazioni di Levi si possono estendere anche ai Ghetti di Hitler. A questa musica imposta, strumento di oppressione, si contrappone un altro tipo di musica, quella auto-organizzata dai prigionieri nei ghetti e nei Lager. E’ questa, propriamente, la voce delle vittime. Attraverso la musica i deportati esprimevano le loro paure, le speranze, le proteste e cercavano tanto di dare forma, quanto di superare o dimenticare, per un breve lasso di tempo, la quotidianità del ghetto o del Lager. La musica diventa così forma di protesta, di resistenza, perfino di azione politica. IL CASO DI TEREZIN Terezin era la sede di un’antica guarnigione militare, dove vivevano dai 4000 ai 5000 soldati: fu trasformata in un luogo di prigionia. Il campo dopo qualche mascheratura, servì infatti come copertura per un’ispezione della Croce Rossa Internazionale che trovò le condizioni di vita, di cibo e di case accettabili e rilevò che nessuno dei prigionieri si era avvicinato ai delegati della CRI per lamentarsi delle condizioni di vita, come se ciò fosse stato possibile. Il capo-delegazione dichiarò, nel dopoguerra, di essere stato raggirato dei tedeschi; resta comunque da chiedersi come la CRI avesse potuto accettare quello che era il dato primario della situazione, vale a dire che migliaia di persone fossero detenute solo in quanto ebree. Sembra che a favorire la mascheratura della realtà di Terezin sia stata anche la vivace cita musicale che, nonostante tutto, vi si svolgeva. A Terezin furono internati molti compositori e musicisti, tanto che, pur tra le enormi difficoltà di reperire strumenti e partiture, vi si svolgevano regolarmente concerti e spettacoli musicali. A Terezin furono anche eseguite per la prima molte musiche originali dei compositori che ebbero la sventura di transitarvi, visto che era considerata comunque l’anticamera di Auschwitz, tra cui celebre è l’opera per bambini “Brundibar” di Hans Krasa ( ricordiamo che sia in compositore che i piccoli interpreti furono mandati a morte). Su Terezin fu anche girato un film di propaganda nazista: “Il fϋhrer dona una città agli ebrei”, una mistificazione in cui si sosteneva che Terzan fosse stato un grazioso dono di Hitler agli ebrei perché avessero una loro città. La realtà è che su 144.000 ebrei si stima che se ne siano salvati circa 19.00 e tra i morti si annoverano tutti coloro che sono stati costretti a partecipare alla messa in scena del film. Fondazione Culturale Giuditta Pasta Via I Maggio, snc 21047 Saronno – VA tel. 02.96701990 – fax 02.96702009 www.teatrogiudittapasta.it L’ATTIVITÁ MUSICALE: GOEBBELS E LA “REICHMUSIKKAMMER” Questa istituzione aveva il compito di dirigere, organizzare e controllare la vita musicale del Reich e di reprimere eventuali tendenze o iniziative non in linea con il regime. Venne fondato, da parte del musicologo Alfred Rosenberg un istituto apposito per la redazione del “Dizionario degli ebrei in musica”, in cui furono inseriti tutti i musicisti e i compositori ebrei, di discendenza ebrea o sospetti di essere ebrei, per qualche lontana discendenza o solo per essere invisi al regime. Essere citati in tale pubblicazione significava anche subire una serie di persecuzioni che potevano andare dall’interdizione all’esecuzione di certe opere, all’impossibilità di lavorare, sino all’internamento e alla morte. Un’altra truffa a danno degli ebrei fu la fondazione del Jüdishe Kulturbund, associazione culturale ebraica. Questa associazione, la cui formazione fu promossa dalla Reichmusikkammer, radunava i musicisti ebrei cacciati dai loro posti di lavoro nelle accademie, nei conservatori, nelle orchestre. Le orchestre e i gruppi musicali di questa associazione potevano tenere concerti per altri ebrei, sotto lo stretto controllo di funzionari del regime che ne controllavano e modificavano i programmi. La fondazione di questa associazione, oltre che a sancire la segregazione degli ebrei dalla vita musicale del paese, non significò affatto la possibilità di scegliere gli autori da eseguire, perché comunque i programmi dovevano essere approvati e controllati. Il Jüdishe Kulturbund arrivò a raccogliere sino a 18.000 persone e fu comunque attivo sino alla notte dei cristalli del novembre del 1938, quando la situazione precipitò completamente; parte dei suoi componenti riuscì a fuggire, parte internata. A fronte delle condizioni disumane nei campi esistette una vita musicale, talvolta anche piuttosto rilevante: quasi tutti i campi avevano la loro orchestra, ad Auschwitz ne esistevano due, una delle quali completamente femminile e diretta da Alma Rosé. Pur non costituendo un elemento di salvezza, essere musicisti concedeva di avere qualche piccola sofferenza in meno, proprio perché i nazisti volevano che nei campi la musica scandisse i momenti della giornata, comprese le esecuzioni in qualsiasi forma. LA MUSICA NEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO. L’IMPERATORE L’IMPERATORE DI ATLANTIDE ATLANTIDE DI VIKTOR ULLMANN Come può esserci libera produzione artistica, ovvero la massima espressione dello spirito dell’uomo, in contesti dis-umani e in-umani come quelli concentrazionari? È questa la domanda che si pongono coloro i quali vengono a contatto con le opere composte dai reclusi nei ghetti e nei campi di concentramento nazisti e l’esempio più significativo è dato dalla musica composta o eseguita nel campo di Terezìn, una cittadella fortificata nei pressi di Praga nella quale furono rinchiusi artisti, aristocratici e ufficiali dell’esercito ebrei, che avrebbe destato troppo scalpore rinchiudere da subito nei campi di concentramento “regolari”. In questo campo, per ragioni di propaganda, fu consentita una vita artistica, e, nonostante il sovraffollamento, i lavori duri e le condizioni di vita difficili, numerosi musicisti si dedicarono all’arte con risultati straordinari. Compositori, direttori d’orchestra e di coro, musicisti solisti e orchestrali, cantanti di coro e solisti, in gran parte morti nelle camere a gas, diedero vita a una stagione estremamente feconda. Tra questi va segnalato il nome di Viktor Ullmann, internato a Terezìn nel 1942 e morto ad Auschwitz nel 1944.Come abbia potuto realizzare più di venti composizioni in questo breve Fondazione Culturale Giuditta Pasta Via I Maggio, snc 21047 Saronno – VA tel. 02.96701990 – fax 02.96702009 www.teatrogiudittapasta.it tempo e in tali condizioni lo spiega egli stesso in un suo scritto: “Qui, a Terezìn, dove anche nella vita quotidiana occorre vincere la materia con il potere della forma, dove qualsiasi cosa in rapporto con le Muse stride così aspramente con ciò che ci circonda, proprio qui si trova la vera scuola dei Maestri”. L’opera più significativa, musicalmente e ideologicamente, di Ullmann è L’imperatore di Atlantide nella quale l’imperatore Overall si prepara a una guerra, dichirata solo per la sua gloria, mettendo a capo dell’esercito la Morte la quale, rifiutandosi di obbedire, sciopera evitando il decesso di chiunque. FILM “Playing for time”, sceneggiato da Arthur Miller “Fania” di Daniel Mann “Il Pianista” di R. Polanski TESTI “Alma Rosé: Vienna to Auschwitz” di Richard Newman “C’era un’orchestra ad Auschwitz” di Fania Fenelon “Antisemitismo e identità ebraica” di H. Arendt “ La musica a Terezìn” di J. Karas “I sommersi e i salvati” di P. Levi “L’universo concentrazionario” di D. Rousset MUSICA “Der Kaiser von Atlantis” di Vickot Ullmann (CAPOLAVORO INTERAMENTE COMPOSTO NEL LAGER) “Quinta danza” di Johannes Brahams “Danubio Blu” di Johann Strauss “La marcia di Radestky” di Johann Strass “Madama Butterfly” di Giacomo Puccini “Composero in Terezin” ed. Channel Classic Fondazione Culturale Giuditta Pasta Via I Maggio, snc 21047 Saronno – VA tel. 02.96701990 – fax 02.96702009 www.teatrogiudittapasta.it