SALINITA’ PRATICA Compendio delle definizioni nel tempo 1899 - Prima definizione di Martin Knudsen: “Deve definirsi salinità il peso dei sali inorganici in un chilogrammo di acqua di mare, quando tutti i bromuri e gli ioduri vengano sostituiti con una quantità equivalente di cloruri e tutti i carbonati da una quantità equivalente di ossidi” 1902 - Dal principio della costanza dei rapporti ionici. Viene definità la clorinità, cioè “il cloruro equivalente alla concentrazione totale di alogenuri, espresso in parti per mille in peso e misurato per titolazione con una soluzione di nitrato d’argento”. Si ottiene la prima relazione empirica fra salinità (S ‰) e clorinità (Cl ‰), enunciata da Forch et al.: S ‰ = 1,805 Cl ‰ + 0,030 1937 - Dopo la ridefinizione dei pesi atomici, si ridefinisce la clorinità in modo da escludere la variabilità associata alle revisioni periodiche dei pesi atomici: “Il valore della clorinità per mille in un campione di acqua di mare è per definizione uguale al valore della massa di Argento purissimo espressa in grammi necessaria a precipitare gli alogeni in 0,3285234 kg di un campione di acqua di mare” 1966 - Durante gli anni ‘60 si procede ad una nuova indagine sulle relazioni tra i parametri principali (clorinità, rapporto di conducibilità, indice di rifrazione)e con i parametri derivati fondamentali, cioè salinità e gravità specifica. Ne deriva una nuova relazione (JPOTS UNESCO) che sostitusce quella di Sorensen: S ‰ = 1,80655 Cl ‰ 1981 - Il JPOTS (Joint Panel on Oceanographic Tables and Standards) stabilisce l'adozione di una scala pratica di salinità per la quale la calibrazione viene fatta con una soluzione di cloruro di potassio. Salinità pratica (S) = f(K15) dove Conducibilità campione acqua di mare (15°C, 1atm) K15 = ──────────────────────────────────── Conducibilità KCl (32,4356 g/kg, 15° C, 1 atm) Per K15 = 1 sarà S = 35. La salinità per un campione generico si otterrà dall’equazione seguente: S = 0.0080 - 0.1692 K151/2 + 25.3851 K15 + 14.0941 K153/2 - 7.0261 K152 + 2.7081 K155/2 (Link: storia della SALINITA’) SALINITA’ PRATICA Nel 1871 la British Royal Society offrì un finanziamento del governo inglese per una spedizione che facesse indagini scientifiche sui seguenti obiettivi: 1. Le condizioni fisiche delle acque più profonde dei bacini oceanici. 2. La composizione chimica dell’acqua di mare a tutte le profondità . 3. Le caratteristiche fisiche e chimiche dei depositi dei fondi marini e la loro origine. 4. La distribuzione di organismi viventi a tutte le profondità del mare e sul fondo. Con queste finalita’ sei scienziati, sotto la direzione di C. Wyville Thompson, si imbarcarono sulla H.M.S. Challenger (link al Report della Challenger) una corvetta di 2.306 tonnellate attrezzata per indagini scientifiche, per un viaggio di circa 4 anni (dal dicembre 1872 al maggio 1876). La crociera dello Challenger percorse 127.500 km attraverso gli oceani Atlantico e Pacifico, effettuando 492 saggi di acque profonde, 133 dragaggi di fondo, 151 campionamenti in mare aperto e 236 misure in serie di temperatura delle acque, inoltre furono classificate 4.717 nuove specie di organismi marini e si giunse a misurare una profondità di 8.185 m nei dintorni della Fossa delle Marianne. Per quel che riguarda l’acqua di mare 77 campioni raccolti durante la spedizione, furono studiati nel 1884 da William Dittmar ed analizzati con le tecniche chimiche più raffinate messe a punto all’epoca. Dai risultati delle prime analisi quantitative dei componenti principali. scaturì il principio fondamentale di costanza dei rapporti tra gli ioni principali, cioe’ acque con salinita’ diverse mantengono pero’ lo stesso rapporto fra gli ioni principali. Nel 1899 si costitui’ una Commissione Internazionale per lo studio degli oceani, sotto la guida del Prof. Martin Knudsen, che propose una prima definizione generale della salinita’: “Deve definirsi salinità il peso dei sali inorganici in un chilogrammo di acqua di mare, quando tutti i bromuri e gli ioduri vengano sostituiti con una quantità equivalente di cloruri e tutti i carbonati da una quantità equivalente di ossidi” 2 La definizione risulta complessa perchè molte sono le difficoltà che si incontrano nel determinare gravimetricamente, cioè per pesata, il contenuto di sali di un campione sottoposto ad evaporazione. Durante questo processo si verificano perdite per volatilizzazione di alcuni componenti, come il cloruro in forma di acido cloridrico, e la formazione di composti idratati, per cui risulta difficoltosa l’eliminazione completa dell’acqua. Per il principio della costanza dei rapporti ionici: attraverso la misura di uno dei costituenti principali, può essere determinato uno qualsiasi degli altri componenti come pure la quantità totale di sali. Lo ione cloruro, fra i costituenti principali dell’acqua di mare, offriva analiticamente le migliori opportunità già con le tecniche chimiche disponibili nei primi del novecento. Venne perciò definita un nuovo parametro: la clorinità. Si definisce clorinità, il cloruro equivalente alla concentrazione totale di alogenuri, espresso in parti per mille in peso, e misurato per titolazione con una soluzione di nitrato d’argento. (link: determinazione della clorinità con pesata del campione o volumetrica) La Commissione Internazionale affidò a Sorensen l’incarico di analizzare un gruppo di nove campioni di varia salinità sia per i sali totali, con il metodo gravimetrico, sia per i cloruri, con il metodo titrimetrico, cioè per titolazione con nitrato d’argento. Si potè così ottenere la prima relazione empirica fra salinità (S%o) e clorinità (Cl%o) che fu enunciata da Forch et al. nel 1902: S%o = 1,805 Cl%o + 0,030 Questa definizione pratica della salinità condusse all’adozione della determinazione della clorinità per ottenere la salinità, e subentrò alla prima definizione di Knudsen, data su basi gravimetriche. Negli anni ’60 la ridefinizione del peso atomico degli elementi chimici e l’adozione dell’unità unificata di massa atomica, pose il problema della continuità fra i valori di salinità precedenti e quelli successivi, poichè la determinazione della clorinità coinvolgeva, nel procedimento, il passaggio da unità chimiche (moli od equivalenti) ad unità fisiche (kg) attraverso il peso atomico del cloruro. Si cercò allora di ridefinire la clorinità in modo da escludere la variabilità associata alle revisioni periodiche dei pesi atomici, e nel 1937 venne formulato l’enunciato seguente: “Il valore della clorinità per mille in un campione di acqua di mare è per definizione uguale al valore della massa di Argento purissimo espressa in grammi necessaria a precipitare gli alogeni in 0,3285234 kg di un campione di acqua di mare” 3 L’argento puro (Atomgewichtssilber) a cui si fa riferimento nella definizione è il campione di argento preparato dal Prof. Honigschmidt nel 1938 per la rideterminazione dei pesi atomici. Un campione da 100 g di questo argento venne affidato al Laboratorio Danese di Idrografia come standard per il futuro, e comunque lo smarrimento di questo standard non costituirebbe un problema, in quanto è codificato il procedimento per preparare un campione di argento con le stesse caratteristiche. Per uniformare il più possibile la determinazione della clorinità in tutti i laboratori che se ne interessano è stato adottato fin dall’inizio uno Standard di Acqua di Mare, la cosiddetta Acqua Normale (Eau de mer normale), all'inizio preparato presso i Laboratori Idrografici di Copenhagen (Danimarca), attualmente dallo I.A.P.S.O. Standard Sea Water Service (Wormley, Inghilterra) e distribuito in tutte le istituzioni oceanografiche. In origine l'Acqua Normale era acqua di mare la cui clorinità veniva regolata a circa 19,4ppt e determinata accuratamente per comparazione diretta o indiretta con lo standard originale preparato nel 1902. Per rendere la clorinità di tutte le partite di fiale preparate indipendente dai cambiamenti dei pesi atomici, venne preparato nel 1937 un nuovo standard primario (Urnormal-1937) che servì a stabilire la clorinità di nuove partite di fiale di Acqua Normale (Jacobsen e Knudsen, 1940). La nuova serie di Acqua Normale, paragonata con il vecchio standard, aveva una clorinità di 19,381 ppt. Lo standard primario del 1937 venne preparato applicando la nuova definizione, col rapporto di 0.3285233 fra l’argento puro, impiegato per la titolazione, e la clorinità. Nella chimica dell'acqua di mare, altre sostanze sono determinate e riportate su base volumetrica, è quindi utile introdurre anche il concetto di clorosità. La clorosità, è la proprietà corrispondente alla clorinità espressa come grammi/litro a 20°C e si ottiene moltiplicando la clorinità di un campione di acqua per la sua densità a 20°C. A questo scopo ci sono apposite tabulazioni da cui, data la clorosità, si può ricavare la clorinità corrispondente. A partire dalla metà degli anni ‘50 lo sviluppo della conduttimetria introdusse un altro metodo, stavolta fisico, per determinare la salinità. Fu ridiscussa la relazione salinità-clorinità codificata da Sorensen, concludendo che i nove campioni da lui esaminati, comprendenti più campioni del Mar Baltico, non erano statisticamente abbastanza rappresentativi per definire la relazione. Durante gli anni ‘60 si procedette ad una nuova indagine sulle relazioni tra i parametri principali (clorinità, rapporto di conducibilità, indice di rifrazione) e con i parametri derivati fondamentali, cioè salinità e gravità 4 specifica. Venne esaminato un congruo numero di campioni, statisticamente significativo e rappresentativo delle acque oceaniche di tutto il globo, determinandone la composizione chimica, la clorinità ed il rapporto di conducibilità, oltre che l’indice di rifrazione e la gravità specifica. A seguito di questo lavoro di revisione e nell’ambito dell’UNESCO, un Gruppo Internazionale (Joint Panel on Oceanographic Tables and Standards), in cui erano rappresentate le maggiori organizzazioni oceanografiche di vari paesi, sostituì alla relazione di Sorensen la seguente: S%o = 1,80655 Cl%o utilizzata dalla metà del 1960 fino all'inizio degli anni '80. In questo periodo le fiale di acqua standard recavano il titolo espresso come clorinità, e servivano nel contempo come riferimento per le misure conduttimetriche di salinità. Con i dati sperimentali venne calcolato un polinomiale che metteva in relazione la salinità con il rapporto di conducibilità a 15°C e furono elaborate tabelle nell’ambito 0-40 %o di salinità pubblicate a cura dell’UNESCO (1966). Dal 1981 il JPOTS (Joint Panel on Oceanographic Tables and Standards) ha stabilito l'adozione di una scala pratica di salinità per la quale la calibrazione viene fatta con una soluzione di cloruro di potassio. La salinità pratica (S) di un campione di acqua di mare, viene definita come “il rapporto K15 di conducibilità elettrica fra un campione di acqua di mare, alla temperatura di 15°C ed alla pressione di un'atmosfera, e una soluzione di cloruro di potassio di concentrazione 32.4356 g/kg di soluzione alla stessa temperatura e pressione”. Il valore di K15 pari a 1 corrisponde per definizione ad una salinità pratica di 35. Il seguente polinomiale definisce la salinità pratica in funzione del rapporto K15: S = 0.0080 - 0.1692 K151/2 + 25.3851 K15 + 14.0941 K153/2 - 7.0261 K152 + 2.7081 K155/2 Poichè la definizione dà un valore derivante da un rapporto fra due conducibilità, quindi adimensionale, la salinità viene indicata semplicemente come un numero, tuttavia corrispondente al valore in grammi/chilogrammo o parti per mille in peso. Con la nuova definizione ed il nuovo standard sono state approntate e pubblicate dall’UNESCO nuove Tabelle di conversione da conducibilità a salinità. 5 (a) (b) (c) Figura 1. (a) Standard IAPSO, anteriore agli anni ’80, dato come clorinità, per la determinazione argentometrica (metodo Mohr-Knudsen); (b) Standard IAPSO attuale, dato come rapporto di conducibilità con Potassio Cloruro (c) Salinometro da banco Guildline 6 EQUAZIONE INTERNAZIONALE DI STATO DELL'ACQUA DI MARE (EOS80) Densità La densità dell'acqua di mare dipende da: 1) 2) 3) 4) 5) salinità pratica temperatura pressione composizione isotopica contenuto dei gas atmosferici disciolti. Considerando praticamente costante la composizione isotopica per le acque oceaniche e misurando la densità in condizioni di saturazione dei gas atmosferici disciolti, la dipendenza si riduce ai primi tre fattori. La densità (r, Kg m-3) dell'acqua di mare ad un'atmosfera standard (p = 0) viene calcolata dalla salinità pratica (S) e dalla temperatura (t°C) con l'equazione seguente: r (S, t, 0) = rw + (a0 + a1t + a2t2 + a3t3+ a4t4 )S + (b0 + b1t + b2t2 )S3/2 + c0 S2 in cui rw è la densità della Standard Mean Oceanic Water (SMOW), presa come riferimento per l'acqua pura e consistente in acqua oceanica distillata, a ben definita composizione isotopica, conservata e distribuita dalla Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (IAEA). Il valore di densità massima per la SMOW attualmente accettato è pari a 3 999.975 kg/m . Questa equazione è valida per salinità pratiche comprese fra 0 e 42 e per temperature fra -2 e 40°C. Per pressioni diverse da zero l'equazione precedente viene così modificata: r (S, t, p)= r (S, t, 0) / (1 - p / K(S, t, p)) ed è valida per pressioni da 0 a 1000bars. Anomalia di densità. Fino al 1980 è stata messa in relazione alla densità specifica ed indicata come parametro di Knudsen (1901) secondo la seguente formulazione: (S, t, 0) = (r (S, t, 0) / r (0, tmax, 0) - 1)x 1000 7 in cui tmax è la temperatura di massima densità dell'acqua pura alla pressione atmosferica. L'anomalia così espressa è un numero puro, adimensionale perché ricavato relativamente alla densità dell'acqua pura. Dal 1980 con l'introduzione della nuova equazione di stato (EOS 80) nella quale figura la densità assoluta, l'anomalia di densità risulta una quantità dimensionale (kg m-3) per la quale è stato proposto un simbolo diverso () per distinguerla dalla vecchia formulazione. Secondo la nuova definizione si ha la seguente corrispondenza: (S, t, p) = r(S, t, p) - 1000 Tuttavia il nuovo simbolo non è entrato ancora nell'uso comune fra gli oceanografi ed è quindi abituale trovare il simbolo per indicare l'anomalia di densità anche per la nuova formulazione EOS80. Per questo è opportuno chiarire quando lo si usa con la nuova definizione, indicando espressamente che non è inteso come parametro di Knudsen. Volume specifico Definito come l'inverso della densità, 1/r, con le dimensioni m3/kg, ha la seguente formulazione: V(S, t, p) = V(S, t, p) (1 - p/K(S, t, p)) Anomalia di volume specifico E' una quantità derivata dal volume specifico espressa in unità di 10-8m3/kg e definita nel modo seguente: d = V(S, t, p) - V(35, 0, p) Viene impiegata per la misura della struttura baroclina e viene anche denominata anomalia sterica. 8 RAPPRESENTAZIONI GRAFICHE DEI PARAMETRI OCEANOGRAFICI L’andamento dei principali parametri oceanografici può essere rappresentato come singolo profilo, quando si consideri una sola stazione di campionamento con diverse quote alle quali e’ stato effettuato il prelievo oppure con un profilatore a sensori che rilevano in continuo i dati principali (salinità, temperatura, ossigeno disciolto, pH). Con più stazioni disposte lungo un allineamento si può avere una rappresentazione per sezione di una determinata proprietà, il cui andamento viene espresso con isolinee, ricavate dalla matrice spaziale dei dati rilevati ad ogni stazione dell’allineamento. A seconda del parametro rappresentato si parla di isoterme per la temperatura, isoaline per la salinità e isopicne per la densità. Fig. 2 – Esempi di profili verticali (in alto) e di sezioni verticali (in basso) 9 Analogamente si possono avere rappresentazioni tridimensionali per un’area esaminata. Fig. 3 – Esempio di diagramma T-S : osservazioni fra 150m e 5000m a 9°S di latitudine nell’Oceano Atlantico. I punti rappresentano campioni singoli di acqua di mare. I numeri indicano i metri di profondità espressi in centinaia. I riquadri rossi individuano le principali masse d’acqua per l’Atlantico oltre i 1000m.: AABW = Antarctic Bottom Water; NADW = North Atlantic Deep Water; AAIW = Antarctic Intermediate Water. Una rappresentazione particolare si ottiene con i cosiddetti grafici T-S, utili per l’analisi delle masse d’acqua. Ogni coppia di valori (temperatura-salinità) associata ad un punto di campionamento viene rappresentata in un grafico che porta in ordinate la temperatura ed in ascisse la salinità. Spesso sul grafico e’ riportato un reticolo di base costituito dalle isopicne possibili nel campo di rappresentazione, in genere con intervallo di un’unita’, per identificare più rapidamente le caratteristiche delle acque nei punti di campionamento. Le rappresentazioni T-S possono riferirsi sia a distribuzioni spaziali e permettere l’identificazione delle masse d’acqua e dei rapporti che intercorrono fra esse (grado di mescolamento, stabilità, ecc.), sia a distribuzioni temporali che indicano l’evolversi delle masse d’acqua secondo cicli temporali (stagionali, annuali, serie storiche, ecc) 10 TEMPERATURA E SALINITA’ DEGLI OCEANI Figura 4 – Temperatura e salinità media degli oceani 11 La distribuzione globale della temperatura riflette la distribuzione dell’energia che arriva sulla superficie terrestre con i massimi centrati sulla fascia equatoriale e modellati dalle correnti. Per la salinità il bilancio fra evaporazione e precipitazioni determina i massimi rilevati ai tropici. L’influenza dei ghiaccio marino determina invece i minimi nelle aree polari. Figura 5 – Precipitazioni, evaporazione e salinità media in funzione della latitudine L’andamento verticale della temperatura è legato all’estensione della circolazione termoalina, quindi allo spessore dello strato di mescolamento (mixing layer). L’entità della variazione di temperatura per unità lineare di profondità permette di individuare la zona dove questa è massima (termoclino). Di conseguenza si ha una variazione massima di densità (picnoclino), cioè una stratificazione che incrementa la stabilità verticale di colonna. Anche una variazione verticale della salinità (aloclino) può creare stratificazioni di densità. La latitudine ha l’influenza maggiore sull’escursione termica annuale durante l’evoluzione stagionale. La formazione di un termoclino stagionale 12 che distingue lo strato di mixing superficiale dalle acque sottostanti, è ridotta a basse latitudini dove si verificano temperature elevate tutto l’anno. La massima escursione stagionale si ha nelle zone temperate, che presentano l’evoluzione di maggior ampiezza del termoclino stagionale. Nelle zone polari si verificano invece le condizioni per un mixing che può raggiungere il fondo degli oceani, originato però dall’intenso raffreddamento invernale. Figura 6 – Andamento verticale della temperatura con la latitudine (in alto) ed variazione stagionale del termoclino nella zona temperata (in basso) L’influenza del mixing superficiale non si estende però oltre i 400m anche dove l’escursione stagionale è massima. Il termoclino permanente che si osserva alle basse ed alle medie latitudini, è perciò un elemento di separazione fra le acque oceaniche superficiali che subiscono gli effetti climatici e quelle sottostanti, intermedie e profonde. Queste ultime si sono formate in superficie ad alte latitudini, ma una volta raggiunte profondità al di sotto del termoclino permanente, non sono più influenzate dai fattori climatici. Le correnti profonde le muovono, poi diffondendole per tutti gli oceani. Le sezioni verticali degli oceani mettono in luce la stratificazione determinata dal gradiente di temperature che si sviluppa dalla superficie al 13 fondo. Nelle acque profonde o prossime al fondo le temperature sono inferiori a 5°C e in alcune zone inferiori a 0°C. Facendo la media delle temperature su tutta la colonna d’acqua dalla superficie al fondo per una media di 5000m, si ottengono valori prossimi a 4,9°C anche all’equatore. Perciò sul volume complessivo delle acque oceaniche predomina il volume di acque a bassa temperatura, cioè termicamente la condizione dominante per gli oceani. L’effetto della temperatura sulla densità e quindi sulla stabilità della stratificazione delle acque è preponderante. Anche la salinità influisce sulla densità ma l’escursione di valori è molto più piccola che non per i valori di temperatura. Lo si può rilevare osservando le scale di misura accanto ai grafici delle sezioni di seguito riportate, nello specifico per l’Oceano Atlantico, ma esemplificative anche per gli altri oceani. Fig. 7 – Sezioni verticali per temperatura e salinità dell’Oceano Atlantico 14 TEMPERATURA POTENZIALE (“Theta T”) Scendendo in profondità la pressione esercita una compressione dell’acqua, cioè compie un lavoro sull’acqua che si manifesta con un innalzamento della temperatura. Il processo può considerarsi adiabatico in quanto lo scambio di calore è lentissimo. L’incremento del riscaldamento è piccolo (ca. 0,1°C/1000m di profondità), perciò la correzione delle temperature misurate in situ, per eliminare l’effetto compressione, è significativa solo a profondità maggiori di 1000m. Fig. 8 – Temperature reali (T) misurate e temperature potenziali () corrispondenti calcolate. E’ evidente il divario crescente coll’aumentare della profondità e quindi della pressione. La correzione delle temperature in situ viene effettuata con un’equazione internazionale che consente di ricavare le temperature potenziali, ovvero i valori di temperatura che le acque avrebbero se venissero riportate in superficie alla pressione di 1 atmosfera, in condizioni adiabatiche, cioè senza scambiare calore con le acque circostanti. Nei grafici T-S viene spesso rappresentata la temperatura potenziale invece delle temperature in situ, per confrontare correttamente la stratificazione delle masse d’acqua specialmente con piccole differenze nelle proprietà fondamentali. 15 Un esempio viene illustrato di seguito considerando la circolazione del Mare Artico e i tipi d’acqua che si formano nella sua area di influenza. Fig 9 - Oceano Artico: schema di (a) circolazione, (b) stratificazione delle masse d’acqua e punti di trasformazione, (c) disposizione delle masse d’acqua in un grafico Θ-S. (Aagaard et al. 2005, riveduto dall’originale di Schlichtholz and Houssais 2002) 16