Gioele Capoferri Chimica -1- LAM, Liceo Mendrisio Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Indice 1. Premessa..................................................................................................................................... - 3 1.1. Motivazione della scelta ................................................................................................... - 3 1.2. Obiettivi del lavoro............................................................................................................ - 3 1.3. Oggetto di studio .............................................................................................................. - 4 2. Storia........................................................................................................................................... - 5 Parte teorica 3. Componenti delle bevande energetiche ................................................................................... - 6 3.1. Introduzione ...................................................................................................................... - 6 3.2. Gli zuccheri (o glucidi) ....................................................................................................... - 7 3.2.1. Introduzione ............................................................................................................. - 7 3.2.2. Ruolo nei viventi....................................................................................................... - 8 3.2.3. Suddivisione e classificazione .................................................................................. - 8 3.2.4. Assimilazione.......................................................................................................... - 10 3.2.5. Uso industriale ....................................................................................................... - 10 3.2.6. Il glucosio (o destrosio) .......................................................................................... - 11 3.2.7. Metabolismo del glucosio ...................................................................................... - 12 3.3. Gli additivi alimentari ...................................................................................................... - 14 3.3.1. Breve storia ............................................................................................................ - 14 3.3.2. Tossicità.................................................................................................................. - 15 3.3.3. Additivi che aiutano a mantenere la freschezza dei cibi e che ne impediscono il deterioramento.................................................................................................................. - 15 3.3.4. Additivi che migliorano, esaltandole ed accentuandole, le caratteristiche sensoriali degli alimenti...................................................................................................................... - 16 3.3.5. Additivi che contribuiscono ai processi di produzione di cibi e bevande senza avere una specifica funzione nel prodotto finale ........................................................................ - 20 3.4. Caffeina ........................................................................................................................... - 20 3.4.1. Introduzione ........................................................................................................... - 20 3.4.2. Storia del caffé ....................................................................................................... - 21 3.4.3. La chimica della caffeina ........................................................................................ - 22 3.4.4. Farmacocinetica e metabolismo ............................................................................ - 23 3.4.5. Meccanismo d’azione (farmacodinamica) ............................................................. - 24 3.4.6. Caffeina e salute - effetti sull’organismo ............................................................... - 28 3.4.7. Caffeina e bevande ................................................................................................ - 31 3.5. Taurina ............................................................................................................................ - 32 3.6. Glucuronolattone ............................................................................................................ - 35 - -2- Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Parte pratica 4. Le tecniche di laboratorio ........................................................................................................ - 36 4.1. Ricerca dei coloranti artificiali......................................................................................... - 41 4.2. Ricerca qualitativa degli zuccheri.................................................................................... - 46 4.3. Test di Tollens per gli zuccheri riducenti......................................................................... - 49 4.4. Determinazione quantitativa degli zuccheri ................................................................... - 51 4.5. Estrazione di caffeina da bevande, analisi qualitativa e determinazione quantitativa della sua concentrazione .................................................................................................................. - 54 4.6. Estrazione dell’acido citrico ............................................................................................ - 59 4.7. Sintesi di un estere (n-ottilacetato) ................................................................................ - 61 5. Conclusioni generali ................................................................................................................. - 66 6. Bibliografia e webgrafia ........................................................................................................... - 66 - 1. Premessa 1.1. Motivazione della scelta Ho scelto di affrontare questo tema nel campo della chimica perché innanzitutto sono sempre stato attratto da questa materia, soprattutto per il fatto che, oltre agli aspetti teorici, è ricca di aspetti pratici. La proposta di poter affiancare a una parte essenzialmente concettuale anche una più pragmatica, empirica, mi ha subito indirizzato verso questa scelta. Le esperienze in laboratorio mi sembravano una bella possibilità per arricchire il mio, allora solo ideale, lavoro di maturità; inoltre, quando ho scelto, mi si presentava come una bella occasione per capire più approfonditamente se si è portati per compiti sperimentali come quelli in laboratorio. Determinante è stato anche il fatto che mi sentivo coinvolto nel tema degli energy drinks. Questo perché, fino a qualche anno fa (ovvero durante la mia “carriera” da calciatore), prima, durante e dopo le prestazioni sportive mi dissetavo spesso con questo genere di bevande, senza mai sapere se veramente avevano un’utilità. Ultimamente le bevo meno frequentemente, ma non per questo è calato il mio interesse verso questo nuovo e attuale settore di bevande. Un altro motivo è stato, “secondo il parere dei miei gusti”, la mancanza di alternative valide, e ciò non significa che è stata una scelta presa per esclusione, ma semplicemente che nessun altra proposta mi ha messo in difficoltà nel momento della decisione. Ecco perché quando ho letto nell’elenco delle proposte dei LAM “energia in bottiglia: la chimica delle bevande energetiche” sono stato quasi subito persuaso nella scelta e ad oggi sono ancora più convinto di averla azzeccata. 1.2. Obiettivi del lavoro Lo scopo che mi prefiggo affrontando questo lavoro è di trattare, in maniera abbastanza completa, le bevande energetiche, come agiscono e i loro effetti. Il sostantivo “bevande” prevede il -3- Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio trattamento da un punto di vista chimico (ma anche biologico) dei principali ingredienti presenti in esse, una supposizione tutt’altro che ovvia, visto i molteplici, svariati e complessi ingredienti contenuti al giorno d’oggi in una bevanda, soprattutto se si tratta di un energy drink. L’aggettivo “energetiche” mi spinge inoltre, sulla base della “panoramica” riguardante le componenti di queste bevande e degli esperimenti svolti in laboratorio, nell’intento di dare una risposta a quanto segue: gli energy drinks forniscono veramente l’apporto energetico che promettono? Migliorano realmente le prestazioni sportive? Risultano essere quindi utili all’organismo? Oppure sono bevande pressoché “normali”, come Coca Cola o aranciata? Infine, ipotesi estrema ma non per questo meno probabile, le bevande energetiche sono addirittura dannose per l’organismo umano? Sono domande che da molti anni mi pongo, oggi non così soventemente, ma che fino a qualche anno fa (come già accennato nel capitolo precedente, durante la mia “carriera” da calciatore) mi ponevo assiduamente. Dare una risposta a tali quesiti non è semplice, anche perché bisognerebbe avere conoscenze più approfondite e mezzi più specializzati, ma l’intenzione è di definirne e chiarirne alcuni aspetti. 1.3. Oggetto di studio Gli energy drinks. Si tratta di bevande di relativa recente introduzione nel mercato globale dei soft drinks, che si propongono come una nuova “frontiera energetica”. Un mix ricercato di ingredienti, alla cui base si trovano essenzialmente caffeina e carboidrati (glucosio o saccarosio), ma altre svariate sostanze fanno da cornice, come la taurina, il glucuronolattone e le vitamine di tipo B, o quelli dai nomi esotici, come guaranà e ginseng. Se ne trovano di tutte le marche e di tutti i prezzi, i nomi sono dei più fantasiosi e accattivanti, le lattine sempre ben visibili e attraenti. La più famosa è la Red Bull, ma dietro la coda si fa sempre più lunga, in quanto ogni produttore, notando il successo di questo nuovo settore alimentare, vuole produrre la propria bevanda energizzante. In generale si possono definire come: bevande, che solitamente contengono caffeina, taurina, vitamine e una fonte energetica (carboidrati) e/o altre sostanze, vendute con la specifica intenzione di fornire effetti sintetizzabili in un reale o apparente miglioramento delle prestazioni psicofisiche1. È importante però distinguere queste bevande da quelle isotoniche, gli “sports drinks” (ad esempio il gatorade, il powerade,...), questo perché molto spesso si tende a fare di tutta l’erba un fascio e si considera quest’ultimi come bevande energetiche (energy drinks), anche se nel senso moderno del termine non lo sono. Anche il caffè e la coca cola sono considerate bevande energetiche, per il loro contenuto di caffeina, ma non sono dei veri energy drink. Tornando agli sports drinks, essi si differenziano principalmente per due motivi: non contengono l’ingrediente base degli energy drinks, la caffeina (ma non contengono nemmeno la taurina e il 1 Spunto della definizione tratto da http://www.safefoodonline.com/safefood/Uploads/health_effects.pdf (pag. 19) ma, grazie ai mesi trascorsi in questo ambito, la definizione si può dire che sia nata anche da me. -4- Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio glucuronolattone), e mirano a funzioni leggermente diverse (ad esempio il mantenimento del bilancio idrico e della concentrazione elettrolitica). Essi quindi non “rispettano” la definizione di cui sopra di energy drinks. Ciononostante, nelle nostre analisi in laboratorio, abbiamo preso in considerazione anche gli sports drinks. Bevande che spopolano dappertutto, ma che trovano senza dubbio il terreno più fertile fra i giovani, nei locali e in discoteca (dove purtroppo molto spesso si mischiano con l’alcool) e fra gli sportivi, ma che non mancano a scuola (vuoi essere più brillante, attento e lucido?) e fra gli adulti (vuoi recuperare in fretta dopo una lunga giornata lavorativa?). Il loro boom è dovuto senz’altro a un intreccio di fattori: dalla pubblicità che accompagna la vendita di questi prodotti (marketing), agli ingredienti di queste bevande e gli effetti che ne derivano, fino ad arrivare alla società in cui si sono felicemente diffusi, società in cui si ricerca sempre la migliore forma fisica possibile e dove bisogna sentirsi al top. Nel 2007 in Svizzera sono state vendute 91 milioni di lattine di Red Bull, nel mondo più di due miliardi e mezzo. Ma non è tutto oro quel che luccica. La vendita di questo genere di bevande è stata vietata in Danimarca e in Norvegia, e fu vietata in Francia, ma poi autorizzata nell’aprile del 2008. 2. Storia La vita degli energy drinks prende avvio probabilmente in Scozia, dove nel 1901 nasce quello che oggi ha il nome di Irn-Bru, ma che inizialmente era venduto come “iron brew” (preparato di ferro). Si tratta di una popolare bevanda gassata prodotta per l'appunto dagli scozzesi ma venduta in quasi tutto il mondo (Regno Unito, Russia, Canada, in alcune zone d’Europa, Australia, Sudafrica,…), che ancora tutt’oggi nel mercato del Regno Unito è la terza bibita venduta, alle spalle di bevande del calibro di Pepsi e Coca Cola, ma che in Scozia mantiene ancora il primato di vendite alla pari di quest’ultima. Nel 1929, sempre nel Regno Unito, un farmacista di Newcastle crea la Lucozade Energy, una bevanda introdotta originariamente negli ospedali come fonte di energia per i malati e promossa poi negli anni ottanta come una bibita per il reintegro dell’energia persa. Nel frattempo, attorno al 1984, negli Stati Uniti si diffonde la Jolt Cola, la prima bevanda la cui strategia di marketing fu totalmente incentrata sull’alto contenuto di caffeina del prodotto (non a caso lo slogan commerciale era “tutto zucchero e il doppio di caffeina”). La prima vera bevanda energetica europea, la pioniera, fu però la Power Horse, lanciata nel 1994 da una società austriaca. Essa è ancora venduta in molti paesi, ma già alla fine degli anni novanta fu gradualmente surclassata dalla rivale austriaca, la bevanda energetica per eccellenza: la Red Bull. Essa nasce prima, nel 1984, creata da Dietrich Mateschitz, un imprenditore austriaco che comprò la formula da una casa farmaceutica thailandese produttrice della “Krating Daeng” (bevanda venduta in oriente a scopo ricostituente e rivitalizzante), ma è lanciata con grossi investimenti pubblicitari, soprattutto in ambito sportivo e rivolti a un pubblico giovanile, solo negli anni seguenti. Nonostante la presenza sul mercato di una varietà di bevande come quelle sopraccitate, delle quali non ho mai sentito parlare ma che mi sembrava giusto riportare, è l’affermarsi della famosa Red Bull (parlando di energy drinks si pensa subito ad essa) che ha indubbiamente creato un nuovo mercato, quello dei prodotti energetici di uso quotidiano. Essa diventa il primo energy -5- Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio drink ad essere introdotto negli Stati Uniti: nel 1997 infatti il vecchio continente esporta la Red Bull oltreoceano, dove ha conosciuto un boom di vendite straordinario, portandola ad essere il marchio dominante e più popolare del settore negli USA. In principio furono soprattutto gli atleti americani a fare uso di bevande energetiche perché spinti da un bisogno di energia extra prima e durante le competizioni, ma la loro diffusione fra la popolazione fu piuttosto rapida. Fino al 2001, il mercato americano delle bevande energetiche è cresciuto di quasi 8 milioni di vendite all’anno, ma negli anni successivi è aumentato addirittura di oltre il 50% l’anno, portando la cifra d’affari nel 2005 a 3 miliardi di dollari. Sono solo alcuni numeri di un mercato in rapida crescita. Sempre più le case produttrici attive nel settore industriale dei soft drinks 2 creano e immettono sul mercato la propria bevanda energetica di svariati gusti e effetti per soddisfare la crescente richiesta da parte dei consumatori. Questo aumento della domanda è anche correlato all’intensificarsi delle attività e dei programmi giornalieri dell’uomo avvenuto negli ultimi anni, il quale sacrifica parte del tempo che deve essere concesso a compiti primari come mangiare e dormire. Ed ecco che la risposta per sopperire a questo problema viene proprio dai prodotti energetici, che promettono di dare una carica energetica e vitaminica, migliorando la resistenza e le prestazioni fisiche. Parte teorica 3. Componenti delle bevande energetiche 3.1. Introduzione Per cosa si differenziano gli energy drink dalle consuete bibite gassate e zuccherate, come la gazzosa, la Coca Cola o l’aranciata? All’apparenza per niente, sembrano dei semplici soft drink, infatti le bollicine sono abbondanti, il gusto dolciastro è simile alla cola, non mancano di certo invitanti colori e appariscenti bottigliette o lattine in cui sono distribuiti. Nei supermercati e nei bar vengono venduti in abbondanza, come la “Coca”, sulla cresta dell’onda oltre da decenni. Si tratta invece di bibite energizzanti il cui contenuto, sia da un punto di vista qualitativo che da uno quantitativo, è molto variabile da bibita a bibita e ben diverso dalle “bevande tradizionali”. A farla da padrona è senza dubbio la caffeina, contenuta anche nel caffè, nel thé e nella Coca Cola, presente in concentrazione più o meno elevata (a dipendenza del prodotto). Altri elementi fondamentali sono la taurina e il glucuronolattone, un aminoacido e un carboidrato già presenti nell’organismo umano. Può capitare che sorseggiando uno dei tanti energy drink si ingerisca pure del guaranà o gingseng, sostanze stimolanti che analogamente alla caffeina dovrebbero fornire energia. In più ci sono grandi quantità di zuccheri (sia glucosio che saccarosio), di vitamine (soprattutto di tipo B) e di sali minerali, come grandi varietà di additivi alimentari (coloranti, edulcoranti, acidificanti e stabilizzanti), quest’ultimi inseriti sempre più nei prodotti alimentari per svariati motivi. Infine non si può dimenticare il componente predominante: l’acqua (generalmente 2 Soft drink: bibita analcolica gassata contente zucchero -6- Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio addizionata di anidride carbonica). Ecco qui di seguito cosa dichiarano di contenere alcune “etichette” di energy drink, per avere un’idea più precisa sulle sostanze presenti in queste bevande: Burn 3 Ingredienti: Acqua, zucchero, acidificante acido citrico, anidride carbonica, glucoronolattone (0,1%), taurina (0,06%), correttore di acidità citrato trisodico, aromi, conservanti sorbato di potassio e benzoato di sodio, caffeina (0,03%), inositolo (0,012%), estratto di guaranà, antiossidante acido ascorbico. Coloranti: E129 Red Bull4 Ingredienti: Acqua, Saccarosio, Glucosio, Citrati di sodio acidificante, Anidride Carbonica, Taurina (0,4%), Glucoronolattone (0,24%), Caffeina (0,03%), Inositolo, Vitamine (Niacina, Acido Pantotenico, B6, B12), Aromi Coloranti: Caramello, Riboflavina Tratterò ora separatamente alcune componenti in maniera un po’ più approfondita. 3.2. Gli zuccheri (o glucidi) 3.2.1. Introduzione Si tratta di un’estesa e importante classe di sostanze organiche ternarie, composte quindi da carbonio (C) e altri due elementi: l’idrogeno e l’ossigeno. Questi ultimi due, nelle forme di glucidi più semplici, sono in un rapporto simile a quello dell’acqua, per questo gli zuccheri vengono anche detti carboidrati o idrati di carbonio. La formula generale della maggior parte di questi composti può essere espressa come (CH2O)n. In alcuni glucidi possono essere presenti elementi come azoto e zolfo. Al termine “zucchero” si associa fondamentalmente quello di “dolce”, infatti gli zuccheri più semplici hanno un sapore dolciastro, per questo sono anche detti glucidi (dal greco “glucos” che significa per l’appunto dolce). Ecco perché, anche se può sembrare scontato, gli energy drinks, contenendo generalmente alte quantità di zuccheri, sono così dolci. Si suddividono in tre classi in base al numero di molecole che li costituiscono: monosaccaridi, oligosaccaridi e polisaccaridi. In generale, i carboidrati coprono la metà del fabbisogno energetico umano (quindi non devono mai mancare in una alimentazione equilibrata), fornendo circa 4 kcal (16.72 kJ) con un solo grammo ingerito (valore energetico). Ecco perché vengono definiti come le sostanze energizzanti per eccellenza, quelle che, influenzando i processi psicologi, permettono al cervello di mantenere la 3 Immagine tratta da: http://www.globalpa ckagegallery.com/main.php?g2_view=core.DownloadItem&g2_i temId=62570&g2_serialNumber=2 4 Immagine tratta da: http://www.spesaonline.com/SOL/images/products/big/9002490100070.jpg -7- Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio lucidità per ragionare, quelle che consentono ai muscoli di operare meglio e più a lungo. Sono contenuti nei cereali, legumi, nella frutta, nei tuberi (soprattutto nella patata) oltre che nel latte, nel miele, nella carne e nel pesce. Chimicamente nei carboidrati prevalgono tre gruppi funzionali: l’aldeide (15), il chetone (26) (1) (2) e soprattutto i gruppi ossidrilici (- OH); quando uno zucchero contiene un gruppo funzionale del primo tipo viene denominato aldoso, se ne possiede uno del secondo tipo si definisce chetoso. Generalmente, in un glucide, ogni atomo di carbonio che non partecipa in uno dei due primi gruppi funzionali possiede il gruppo ossidrilico. 3.2.2. Ruolo nei viventi I carboidrati rappresentano il combustibile dell’essere umano in quanto sono i più importanti e veloci fornitori di energia immediatamente utilizzabile. Questa energia è ricavata da un complesso processo metabolico, descritto dalla glicolisi e dalla respirazione cellulare. L’energia ottenuta è anche necessaria per la completa demolizione dei lipidi, evitando l’accumulo di metaboliti incompleti derivati appunto dai grassi e potenzialmente dannosi per l’organismo; per questo in campo biochimico si usa dire che “i lipidi bruciano nel fuoco dei glucidi”. In una dieta equilibrata l’assunzione di carboidrati raccomandata è del 55-65% del fabbisogno energetico totale, questo innanzitutto per risparmiare le proteine che altrimenti verrebbero utilizzate per la produzione di energia, portando a un grave squilibrio nell’organismo. Quando il contenuto di zuccheri nel sangue raggiunge livelli molto bassi si inizia a sentire la fame e ciò non dovrebbe capitare, perché è errato aspettare di avere fame per mangiare. Livelli bassi di zucchero nel sangue impediscono di metabolizzare correttamente i grassi. La seconda funzione è quella plastica. Infatti i glucidi costituiscono delle componenti strutturali fondamentali: le cellule delle piante sono formate dal 40% di cellulosa (vedi il prossimo capitolo); negli invertebrati il polisaccaride chitina è la componente essenziale dell’esoscheletro (il rivestimento esterno del corpo degli invertebrati) degli artropodi (phylum comprendente, tra le altre, le classi degli insetti, dei ragni e dei crostacei); le membrane cellulari di gran parte dei viventi sono costituite da glicoproteine (carboidrati che legandosi a degli aminoacidi si combinano con le proteine). 3.2.3. Suddivisione e classificazione Gli zuccheri si possono classificare in diversi modi. Il primo è quello che li suddivide in classi in base al numero di molecole: 5 6 Immagine tratta da: http://it.wikipedia.org/wiki/Immagine:Aldehyde2.png Immagine tratta da: http://it.wikipedia.org/wiki/Immagine:Ketone-general.png -8- Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio 1. I monosaccaridi (anche detti “zuccheri semplici” o “monosi”): rappresentano i glucidi più semplici e non scindibili in unità più piccole mediante idrolisi, infatti si tratta di zuccheri la cui unità di base è una singola molecola. A seconda del numero degli atomi di carbonio della molecola vengono indicati come: triosi (3 atomi di C), tetrosi (4 atomi di C), pentosi (5 atomi di C; alcuni esempi di questa categoria sono l’arabinosio, lo xilosio e il ribosio) o esosi (atomi di C). Sono questi ultimi, i monosaccaridi a sei atomi di carbonio, i più importanti per il metabolismo degli esseri viventi e più diffusi in natura (anche i pentosi sono molto diffusi). Si dividono in aldoesosi e in chetoesosi, a seconda che contengano un gruppo funzionale aldeidico o chetonico. Esempi di zuccheri aldoesosi sono il glucosio (rappresentate tipico di questa famiglia, ma che è anche considerato il più importante e diffuso dei monosaccaridi, a cui ho dedicato un breve capitolo), il galattosio e il mannosio, mentre per il secondo tipo il più conosciuto è il fruttosio. Inoltre il deossiribosio e il ribosio sono importanti monosaccaridi (aldopentosi) in quanto fanno parte del patrimonio genetico (DNA e RNA). Un modo per rappresentare i monosaccaridi è quello delle proiezioni di Fisher, colui che ideò anche un sistema di nomenclatura di questi zuccheri basato su questo principio: se il carbonio più lontano dal gruppo funzionale (aldeide o chetone) ha l’ossidrile a destra, il monosaccaride è della serie D, se ha l’ossidrile a sinistra, è della serie L. Vediamo un esempio di proiezioni di Fisher con la gliceraldeide (C 3H6O3), il più semplice monosaccaride che esista(7): D-gliceraldeide L-gliceraldeide Gli zuccheri semplici, come già detto, sono caratterizzati da un gusto dolce e dalla solubilità in acqua. I monosaccaridi vengono assimilati rapidamente dall’organismo (nel giro di pochi minuti), giungono rapidamente al sistema nervoso, fornendo energia di immediata utilizzazione e dando quindi una sensazione di forza e maggior prontezza di riflessi. È ciò che può capitare bevendo un energy drink. 2. Oligosaccaridi: comprendono gli zuccheri formati dall’associazione di 2 -10 molecole di monosaccaridi, e si dividono in disaccaridi, trisaccaridi, tetrasaccaridi,… La classe più importante è costituita dai disaccaridi: sono formati da due molecole unite fra loro mediante un atomo di ossigeno (legame Formula di struttura del saccarosio glicosidico) ottenuto da una reazione di condensazione (l’inverso dell’idrolisi). I più comuni sono: il saccarosio (C12H22O11, vedi figura “formula…saccarosio”8) , realizzato dall’unione di un’unità di glucosio e di una di fruttosio, è il più comune zucchero da tavola ricavato dalla barbabietola e dalla canna da zucchero; il 7 8 Immagini tratte da: htttp://www.wikipedia.com Immagine tratta da: http://it.wikipedia.org/wiki/Immagine:Sucrose.png -9- Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio maltosio, costituito da due molecole di glucosio, presente in orzo e cereali; infine il lattosio, derivante dalla condensazione di glucosio e galattosio, è lo zucchero contenuto nel latte. 3. Polisaccaridi: è una vasta famiglia costituita da un gran numero, centinaia e anche migliaia, di monosaccaridi uniti dal legame glicosidico. I polisaccaridi più importanti per diffusione sono l’amido, il glicogeno, la cellulosa e la chitina. L’amido si trova soprattutto nelle patate e nei cereali ed è la riserva energetica del mondo vegetale. Esso costituisce gran parte dei carboidrati dell’alimentazione umana. Il glicogeno è un polimero (macromolecola) del glucosio (l’unità di base, il monomero). È presente soprattutto nei muscoli e nel fegato dove è immagazzinato come riserva energetica per gli organismi animali. La cellulosa è anch’essa costituita da molte molecole, circa dalle 300 alle 3000, di glucosio (è un polimero del glucosio) e forma oltre il 50% della parete cellulare delle cellule vegetali (come già detto costituisce il 40% della cellula vegetale completa). L’uomo non è in grado di sfruttarla come fonte energetica perché incapace di romperne i legami, ma è molto importante nella dieta come fibra. La chitina, come già detto nel capitolo precedente, è il principale costituente dell’esoscheletro degli artropodi. Oligosaccaridi (ad eccezione dei disaccaridi) e polisaccaridi richiedono un tempo di digestione più lungo (circa trenta minuti) data anche la complessità della molecola. Un altro modo di suddivisione degli zuccheri è a seconda di come reagiscono all’idrolisi: osi (non idrolizzabili) e osidi (idrolizzabili). 3.2.4. Assimilazione La digestione dei glucidi (soprattutto dell’amido) inizia già nella bocca grazie alla saliva, che contiene un particolare enzima (ptialina). Prosegue poi nello stomaco e nell’intestino tenue, dove tutti gli zuccheri sono scissi nelle unità più semplici, i monosaccaridi. Fra questi, quello più presente è il glucosio, ma vi sono anche fruttosio, galattosio,... È solo a questo stadio che riescono ad attraversare la parete intestinale entrando nel flusso sanguigno. A questo punto sono trasportati a tutte le cellule, dove verrà prodotta l’ATP (molecola la cui idrolisi libera energia) grazie alla glicolisi e alla respirazione cellulare (vedi “metabolismo del glucosio”). Il glucosio che non è immediatamente utilizzato in questo processo (nel caso in cui, per esempio, ce ne fosse in quantità superiore al necessario) giunge al fegato o ai muscoli, dove viene immagazzinato sotto forma di glicogeno. A questo punto i glucidi diventano un’importante riserva energetica (il glicogeno per gli animali, l’amido per i vegetali). 3.2.5. Uso industriale I glucidi in campo industriale rientrano nei processi produttivi di molteplici prodotti. La cellulosa, ad esempio, può essere convertita in tessuto (rayon, viscosa, acetato) o prodotti cartacei; la nitrocellulosa è sfruttata nella produzione di pellicole fotografiche o cemento; l’amido è impiegato per produrre alimenti destinati ad animali o all’uomo; la pectina è un agente gelificante; adesivi ed emulsioni sono derivati da agar e gomma arabica; in campo medico l’eparin solfato ha funzioni anticoagulanti e il destrano è usato per curare lo shock. - 10 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio 3.2.6. Il glucosio (o destrosio) È un monosaccaride aldeidico estremamente abbondante in natura, sia libero sia combinato (sotto forma di polimero), abbondanza che lo fa essere addirittura il composto organico più diffuso del mondo animale e vegetale, in cui è presente in tutti gli organismi viventi. È uno zucchero aldeidico e appartenente quindi alla famiglia degli aldoesosi. Si presenta come un solido bianco cristallino ma meno dolce dello zucchero da tavola (il saccarosio). La sua formula molecolare è C 6H12O6 (vedi anche figure seguenti9), ed è vederlo scritto in questo modo che mi ha fatto ricordare che si tratta del prodotto principale della fotosintesi, sintetizzato dunque dalle piante a partire da H20 e CO2. È anche prodotto dal fegato per scissione del glucosio o per gluconeogenesi , processo che avviene anche nei reni. Alcune rappresenta zioni del glucosio Da un punto di vista ottico, è presente sotto due forme: il D-glucosio e l’L-glucosio. È il primo tipo ad essere preferito dal nostro organismo (il secondo tipo non riesce a sfruttarlo per ricavare energia) ed è anche il più diffuso. Uno zucchero in una cellula è possibile trovarlo sia nella forma lineare che in quella ciclica (ad anello), infatti le due forme sono interconvertibili tra loro; di seguito la reazione che porta dal glucosio lineare a quello ciclico (10): La forma più stabile del glucosio è quella ciclica ed è ottenuta quando il gruppo aldeidico si lega con il gruppo ossidrilico (R-OH), come mostra l’immagine qui sopra. 9 Immagini tratte da: http://www.wikipedia.com Immagine tratta da: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/4/40/Glucose-Fisher-to-Haworth.png 10 - 11 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio È utilizzato come unità di misura: infatti per conoscere la quantità di zuccheri nel sangue si misura la concentrazione (in mg/dl o mmol/l) di glucosio nella circolazione sanguigna (la cosiddetta “glicemia”). Il livello di glucosio nel sangue è regolato da specifici ormoni (insulina e glucagone). Un valore di glicemia superiore alla norma porta al diabete, patologia sempre più diffusa. Giunge al sangue attraversando le pareti intestinali, e dal sangue la maggior parte di glucosio è trasportato al cervello, dove è la fonte primaria di energia. Un giusto apporto di glucosio al cervello ci permette quindi di rimanere sempre lucidi e reattivi, altrimenti una sua bassa disponibilità potrebbe alterare i processi psicologici. Altro glucosio, come già detto, è immagazzinato nei muscoli e nel fegato. Industrialmente, si ottiene dall’amido (per idrolisi debolmente acida o enzimatica) e viene utilizzato prevalentemente come dolcificante nell’industria alimentare, ma si usa anche in altri campi (in medicina, nei bagni di tintura, per trattare la disidratazione,…). Vediamo ora più nei dettagli il metabolismo del glucosio (l’ossidazione del glucosio). 3.2.7. Metabolismo del glucosio Il glucosio è la fonte privilegiata dell’organismo per la produzione di energia. Questa energia viene rilasciata gradualmente grazie a una serie di reazioni enzimatiche (vedi figura 111) e poi immagazzinata sottoforma di ATP 12. La prima fase della degradazione del glucosio è la glicolisi, un processo catabolico attraverso il quale una molecola di glucosio viene scissa in due molecole di piruvato. Può avvenire in quasi tutti gli organismi indipendentemente dal fatto che siano aerobici o anaerobici. Il guadagno netto, in questa prima fase, è di due molecole di ATP e due di NADH 13 per ogni molecola di glucosio. La seconda fase della scissione del glucosio è la respirazione cellulare. È un processo che si svolge nei mitocondri e che necessita di ossigeno, comprendente due stadi: il ciclo di Krebs e la fosforilazione ossidativa (divisa in: catena di trasporto di elettroni e chemiosmosi). Il ciclo di Krebs, detto anche ciclo dell’acido citrico, è un’importante ciclo metabolico. Il piruvato ottenuto dalla Figura 1 11 Immagine tratta da: HELENA CURTIS, N. SUE BARNES, Invito alla biologia, Zanichelli, quinta edizione, pag. 103 ATP: sigla che sta per adenosintrifosfato. La sua funzione principale è quella di immagazzinare temporaneamente l’energia prodotta da vari tipi di processi metabolici (nell’uomo prevalentemente dalla degradazione di lipidi e carboidrati), e di renderla prontamente disponibile per una vasta gamma di reazioni e attività cellulare che richiedono energia (contrazione muscolare, trasporto attivo di molecole attraverso la membrana cellulare,…) 13 NADH: semplificando si tratta di un composto chimico dal quale, grazie ad un processo che avviene nei mitocondri, si può ricavare ATP. 12 - 12 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio glicolisi, prima di entrare nel ciclo, grazie a una reazione di decarbossilazione, viene trasformato in acetil-coenzima A (abbreviato in acetil-CoA). È sotto forma di questo prodotto che può avvenire il collegamento fra le due vie metaboliche (glicolisi e ciclo di Krebs), ed è quindi a questo punto che l’acetil-CoA si inserisce nel ciclo. Durante un ciclo sono prodotte in totale 3 molecole di CO2, con un bilancio energetico di 3 NADH, un FADH214 e due di GDP (convertibile in ATP, cambia solo la base azotata). Le prime due molecole portano con sé elettroni ad alta energia in eccesso. Questi elettroni vengono dunque ceduti a strutture proteiche complesse (inserite nella membrana dei mitocondri) nella catena di trasporto degli elettroni. Ciò produce l’energia necessaria per effettuare meccanismi intermedi che portano alla chemiosmosi. Essa è una reazione che consiste nell’entrata, attraverso l’ATP sintetasi (proteina di membrana) e per gradiente chimico, di H+ nella cellula, entrata sfruttata per azionare la “turbina” presente nell’ATP sintetasi. Il risultato è la produzione di energia. Il guadagno energetico di questa ultima fase è di ben 34 molecole di ATP. Al termine di questi processi che hanno portato all’ossidazione del glucosio sono prodotti anche acqua e anidride carbonica. In sintesi, l’energia che si ricava dalla completa demolizione di una molecola di glucosio attraverso questi tre stadi (glicolisi, ciclo di Krebs e fosforilazione ossidativa) è idealmente di circa 36 molecole di ATP, anche se in realtà la resa massima è 38, due delle quali sono però consumate durante un trasporto di molecole. Nel caso umano, per non commettere errori, infatti non si sa ancora precisamente quante siano, diciamo che sono circa una trentina. In assenza di ossigeno, l’acido piruvico ottenuto dalla glicolisi, grazie al processo di fermentazione, viene convertito in acido lattico o etanolo (quest’ultimo caso è sfruttato nella produzione del vino per ricavare l’alcool). Produce una molecola di ATP per giro (fa 2 giri) Questo processo produce la maggior parte di ATP Nel caso umano, per non errare, si può dire che sono circa una trentina Schema del bilancio energetico totale 14 15 FADH2 : molecola nota per la sua attività di trasportatrice di idrogeno e che interviene nel trasporto finale di elettroni. 15 Immagine tratta da: dispense prof. Duijts, corso BIC – classe III - 13 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Ecco perché, come detto in apertura di capitolo, gli zuccheri, nell’organismo umano soprattutto l’onnipresente glucosio, sono le sostanze energizzanti per eccellenza. 3.3. Gli additivi alimentari La legislazione europea dichiara che “per additivo alimentare” si intende “qualsiasi sostanza normalmente non consumata come alimento in quanto tale e non utilizzata come ingrediente tipico degli alimenti, indipendentemente dal fatto di avere un valore nutritivo, che aggiunta intenzionalmente ai prodotti alimentari per un fine tecnologico, nelle fasi di produzione, trasformazione, preparazione, trattamento, imballaggio, trasporto o immagazzinamento si possa presumere che diventi, essa stessa o i suoi derivati, un componente di tali alimenti, direttamente o indirettamente”16. Queste sostanze, nell’industria alimentare, sono aggiunte ai prodotti alimentari al fine di migliorarne l’aspetto (e l’attrattiva per il consumatore), l’odore, il sapore, la consistenza o la conservabilità. Il loro impiego è però regolato da precise direttive che sanciscono le sostanze e le concentrazioni massime che possono essere utilizzate. Tali direttive, seppur non sempre omogenee da paese a paese anche se spesso provenienti da avvertenze di istituzioni internazionali, sono in continua evoluzione. Un’evoluzione derivata dagli studi che le legislazioni dei differenti paesi impongono per controllare la sicurezza di queste sostanze e che va verso un’unica direzione: le norme che regolamentano l’uso degli additivi sono sempre più severe e restrittive. Infatti, grazie a questi studi, si identificano quasi sempre nuovi effetti indesiderati e nocivi dei vari composti adoperati: un caso è quello di alcuni coloranti che inizialmente erano ritenuto idonei all’uso alimentare, ma che in seguito sono stati vietati in quanto si sono rivelati cancerogeni. Una volta che una sostanza è approvata per l’uso viene, normalmente, inserita in un apposito elenco. La legge, in Europa, contempla che gli additivi contenuti in un prodotto devono comparire sulle etichette d’accompagnamento con una sigla costituita dalla lettera E seguita da un numero (ad esempio E110). Questa codificazione indica l’autorizzazione all’uso della sostanza a livello europeo. Gli additivi possono avere due origini: naturale e sintetica. Nel secondo caso, ovvero quello degli additivi prodotti in laboratorio, si possono distinguere quelli simili a sostanze presenti in natura (detti “natural-identici”) e quelli totalmente artificiali. È bene precisare che sostanze come le vitamine, i minerali e anche le spezie, il sale, i lieviti o altri composti aggiunti per arricchire le proprietà nutrizionali di un alimento non sono generalmente degli additivi. 3.3.1. Breve storia Gli additivi alimentari, seppur siano di primo piano al giorno d’oggi perché vengono spesso associati alle più recenti tecnologie e perché sono causa di molte controversie, iniziarono a diffondersi molti secoli fa. Infatti, non appena l’uomo imparò a conservare i raccolti per la stagione successiva, cominciò a salare e affumicare la carne e il pesce, semplicemente per mantenerli di 16 Definizione tratta da: http://europa.eu/eur-lex/it/consleg/pdf/1989/it_1989L0107_do_001.pdf, pag. 3 - 14 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio qualità più a lungo. E con questo metodo ebbe inizio la conservazione dei cibi. Poi, sia Egizi che Romani impiegavano coloranti e aromi per rendere più appetitosi e più attraenti certi alimenti. I cuochi usavano solitamente il bicarbonato di sodio per far lievitare i prodotti da forno, oppure gli addensanti per migliorare la consistenza di salse e sughi. È però solo negli ultimi 50 anni, con il progresso delle tecnologie e delle scienze in campo alimentare, che nascono nuove sostanze che noi oggi chiamiamo “additivi”. 3.3.2. Tossicità Un aspetto degli additivi su cui si è dibattuto più a lungo, sempre al centro di discussioni e che desta molta perplessità, è se essi possano essere la causa di reazioni allergiche dovute ad intolleranze alimentari. Studi e indagini dimostrano che non provocano effetti negativi sull’organismo umano e inoltre vi è un certo consenso sul fatto che queste sostanze, se utilizzate rispettando le norme vigenti, risultano utili per preservare alcuni alimenti dal deterioramento e migliorarne alcune caratteristiche. Vi sono però alcuni casi in cui additivi come i coloranti, i solfiti, il glutammato monosodico e l’aspartame risultano essere la causa di determinati problemi o allergie nell’individuo. Queste situazioni, unite al fatto che molti studi sulla tossicità di questi composti sono effettuati solamente su animali, continuano a mantenere relativamente alto il livello d’allarme su certe componenti degli additivi e sulla loro effettiva utilità. Ecco gli additivi alimentari utilizzati in Europa, classificati in base alla loro funzione (si possono distinguere tre grandi categorie, comprendenti diversi tipi di additivi17): 3.3.3. Additivi che aiutano a mantenere la freschezza dei cibi e che ne impediscono il deterioramento Questi additivi alimentari garantiscono la sicurezza del prodotto e ne allungano la durata. Più precisamente intervengono nell’alimento proteggendolo dal deterioramento all’ossidazione o all’azione di microrganismi. In questa categoria rientrano: dovuto Gli antiossidanti e regolatori di acidità (da E300 a E399) Si usano per proteggere gli alimenti dal fenomeno dell’ossidazione e dai danni che ne derivano, come la rancidità, la perdita di colore, la degradazione delle vitamine (A, D, E e K). Parlando di vitamine, è da notare che le vitamine C e E sono antiossidanti naturali e che quindi, se utilizzate come additivi, aumentano i valori nutritivi dell’alimento. Sono impiegati in diversi tipi di alimenti: prodotti dolciari, carne in scatola, nei prodotti a base di grassi,… Fa parte di questo gruppo l’acido citrico, contenuto nel succo di limone (ma in generale in tutta la frutta) e al giorno d’oggi creato pure sinteticamente. È usato nell’industria alimentare (con la denominazione E330) soprattutto nel settore delle bevande (ad esempio è presente nel gatorade) con la funzione di conservante e 17 Ogni definizione di additivo alimentare scritta in corsivo è tratta da: http://www.admin.ch/ch/i/rs/817_022_21/app3.html - 15 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio antiossidante, per cui gli abbiamo dedicato pure un’esperienza. Un altro antiossidante è l’acido fosforico (E338), contenuto nella Coca Cola. I conservanti (da E200 a E299) Sono quelli che allungano la durata della “vita” di un alimento, proteggendolo dalle alterazioni dovute allo sviluppo di microrganismi (per questo sono anche detti conservanti antimicrobici) che sono presenti o che si introducono nel cibo. Tali microrganismi, che grazie ai conservanti non riescono a svilupparsi, potrebbero provocare il deterioramento dell’alimento e causare gravi intossicazioni alimentari nell’individuo che lo consuma. Alcuni conservanti vengono utilizzati nel trattamento sulla buccia degli agrumi e di altri frutti per limitare l'attacco da parte di batteri e funghi e la presenza di questi composti, soprattutto su frutta e verdura, suggerisce di lavare sempre al meglio questi alimenti. Oltre ai conservanti antimicrobici, che comprendono acido benzoico (impiegato in dolci, bibite a base di frutta,…), anidride solforosa, acido sorbico (usato in alimenti quali il formaggio, la margarina,..) e tutti i sali da essi derivati,... esistono anche conservanti secondari, utilizzati principalmente ad altri scopi ma che esercitano anche un’azione conservante. Esempi di additivi appartenenti a quest’ultima classe sono nitriti e nitrati (per esempio di sodio e potassio) utilizzati per ravvivare il colore delle carni e degli insaccati; l’acido acetico e gli acetati di sodio e potassio;... 3.3.4. Additivi che migliorano, esaltandole ed accentuandole, le caratteristiche sensoriali degli alimenti Questi additivi vengono impiegati per conferire determinate proprietà alle derrate alimentari, migliorandone ad esempio l’aspetto, la consistenza o il gusto. Tra questi vi sono: Coloranti (da E100 a E199) Un importante ruolo a rendere un alimento ben accetto e gradito dal consumatore lo svolge il colore, una fra le principali caratteristiche sensoriali. Infatti, le sensazioni visive, prima di quelle gustative, influenzano l’individuo sulla scelta del prodotto. Molto spesso poi può capitare che a determinati colori si associano certi sapori, rendendo la sensazione visiva un fattore ancora più determinante nella percezione dell’alimento. Per questo i coloranti sono fra gli additivi più diffusi nell’industria alimentare. Per la precisione, anche se sono un additivo molto popolare, vengono definiti come sostanze che conferiscono il colore a una derrata alimentare oppure ne ripristinano il colore originario. Il ripristino può essere necessario perché la trasformazione industriale o la lavorazione di determinati prodotti può determinare la perdita di colore, compensabile perciò con i coloranti. L’accentuare o modificare il colore di un alimento serve, dunque, a migliorare l’attrattiva visiva e soddisfare le aspettative del consumatore. I produttori di bevande energetiche hanno colto questa importanza, per cui “colorano” nei più svariati modi i loro prodotti. Questo processo è diventato, col passare degli anni, una legge di mercato: più sono colorati i prodotti, maggiore è l’attrattiva verso il consumatore, più alte sono le vendite, più sostanzioso è il profitto. Anche se molto spesso il consumatore non si fa ingannare, perché sa che dietro al colore non sempre può esserci un prodotto di alta qualità e, dunque, ha - 16 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio capito che molto volentieri i coloranti sono usati per “mascherare” i difetti di un alimento. In questo settore industriale, ovvero quello degli energy drinks (ma anche delle bevande in generale), molto diffusi sono il giallo di chinolina (E104) e il giallo arancio (E110), sovente impiegati in coppia per ottenere un colore arancione. Questa categoria di additivi comprende numerosi composti di origine naturale, come alcuni pigmenti vegetali, tra cui la clorofilla, i carotenoidi e gli antociani, e altri di origine sintetica. I sali minerali, alcune volte, hanno una duplice funzione: vengono usati come coloranti ma contemporaneamente aumentano i valori nutrizionali della derrata. Emulsionanti, addensanti e stabilizzanti (da E400 a E499) Si tratta di composti utilizzati per stabilizzare o attribuire consistenza alle derrate alimentari. Il loro scopo è, dunque, quello di mantenere una densità uniforme e impedire la separazione delle sostanze non miscibili tra loro (come grassi e acqua). Questa è la loro funzione generale, ma si possono comunque fare delle distinzione fra i tre tipi di additivi. Gli emulsionanti sono agenti impiegati per stabilizzare in modo omogeneo una emulsione, ovvero la dispersione di un fluido sotto forma di bollicine in un altro fluido. In pratica vengono usati per amalgamare, ad esempio, gli oli (o in generale i grassi) con l’acqua, che normalmente non si amalgamano, è il caso di prodotti come la margarina e la maionese, o per rendere più cremosi gli alimenti (come gelati, cioccolato,...). Appartengono a questo gruppo la lecitina di soia, i monogliceridi e i di gliceridi. Le miscele di ingredienti che generalmente non si mescolano omogeneamente e che quindi tenderebbero a separarsi possono necessitare anche di stabilizzanti. Si tratta, infatti, di sostanze che consentono di mantenere lo stato fisico e chimico di una derrata alimentare. Essi contengono sia sostanze che consentono di mantenere in una derrata alimentare la dispersione omogenea di due o più fasi (essenzialmente lo scopo degli emulsionanti) come pure sostanze mediante le quali viene stabilizzato, conservato o intensificato il colore esistente di un prodotto. Questo gruppo mi riguarda più da vicino, perché molti stabilizzanti sono usati nel campo delle bevande energetiche. Ad esempio la gomma arabica (E414) e la gomma xanthan (E415). La prima è contenuta nel Gatorade ed è un estratto di origine naturale (è estratta da due specie di acacia subsahariane, per questo viene anche detta gomma acacia). La sua principale caratteristica è quella di impedire la cristallizzazione degli zuccheri. La seconda è inserita nella Coca Cola e nella Red Bull ed il suo nome deriva da un batterio: lo Xanthomonas Campestris. Esso interviene nel processo di produzione di questa gomma, che sostanzialmente è un polisaccaride ottenuto per fermentazione di glucosio o saccarosio (per mezzo del batterio stesso). Un’aggiunta minima di questo additivo permette di aumentare la viscosità di un liquido. Per viscosità si intende l’attrito tra le diverse molecole dei gas o dei liquidi che ne limita la mobilità e la fluidità. Con questa definizione mi riallaccio agli addensanti, che sono specifiche sostanze che aumentano la viscosità di una sostanza. Questi sono aggiunti ad alimenti quali i condimenti per insalate o nel latte aromatizzato, e come addensanti si adoperano spesso sostanze naturali (la pectina e la gelatina). In questa grande categoria si può fare questa distinzione fra emulsionanti, stabilizzanti e addensanti, perché molti composti hanno una funzione specifica, ma gran parte degli additivi che vanno da E400 all’E499 possono rientrare in tutte e tre le categorie, in quanto un emulsionante - 17 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio può essere anche considerato uno stabilizzante e un addensante, o in solo due divisioni, e così via. Recentemente in questa categoria sono stati introdotti anche i gelificanti. Edulcoranti (E420-E421 e E950-E967) e esaltatori di sapidità (E620-E699) Questa categoria comprende composti che producono, rafforzano o ristabiliscono specifici sapori o profumi negli alimenti. Nel primo caso si tratta di conferire determinati gusti o odori a derrate che ne sono prive, nel secondo di esaltare aromi che normalmente sono già presenti, nel terzo di ripristinare quelli parzialmente perduti nel corso della lavorazione del prodotto. In generale, edulcoranti e saltatori di sapidità, possono essere naturali, quindi di origine vegetale o animale (distillati, estratti, oli essenziali,...), e artificiali. Bisogna sapere che vengono definiti naturali anche i composti di sintesi che sono chimicamente analoghi a quelli che realmente lo sono. Vediamo ora più nel dettaglio i due tipi di additivi. Gli edulcoranti (anche detti dolcificanti) sono generalmente definiti come additivi utilizzati per conferire un sapore dolce alle derrate alimentari. Gli edulcoranti non calorici sono composti chimici non appartenenti al gruppo dei carboidrati, che posseggono un potere dolcificante notevolmente superiore a quello del saccarosio ma che, in rapporto al loro potere dolcificante, non hanno alcun valore nutritivo, oppure ne hanno uno molto esiguo. Gli edulcoranti che forniscono calorie o succedanei dello zucchero sono sostanze (polioli) che in virtù del loro potere dolcificante, paragonabile a quello dello zucchero, e della loro massa sono utilizzate quali sostituti dello zucchero e di altre sorte di zuccheri. Si distinguono principalmente due tipi di dolcificanti, a seconda del loro potere dolcificante: quelli “di massa”, vengono aggiunti in grandi quantità perché contengono meno calorie dello zucchero, e quelli intensivi, che al contrario, vengono impiegati in piccolissime quantità. Gli additivi più comuni del primo tipo sono il sorbitolo (E420), l’isomalto (E953) e il maltitolo (E965) che rendono più gustosi i dolcificanti da tavoli o gli alimenti a basso contenuto energetico. Questi edulcoranti hanno un potere calorico ridotto, ciò significa che forniscono meno calorie rispetto agli zuccheri (2,4 kcal/grammo rispetto alle 4 kcal/grammo degli altri carboidrati). Del secondo caso, quello dei dolcificanti intensivi, fanno parte, ad esempio, l’acesulfame K (E950), l’aspartame (E951) e la saccarina (E954), che sono circa, a dipendenza del composto, dalle 130 alle 550 volte più dolci del comune zucchero (l’aspartame ha le stesse calorie dello zucchero, ma avendo un potere dolcificante 200 volte maggiore a quello dello zucchero, va utilizzato in piccolissime quantità). Grazie a queste proprietà, gli edulcoranti sono molto impiegati, oltre che utili, nella preparazione di prodotti ipocalorici e prodotti diabetici. Per quanto riguarda specificamente la mia ricerca, li possiamo trovare (soprattutto l’acesulfame K e l’aspartame) nelle bibite light, per sostituire il tipico sapore dolciastro di bevande tradizionali. Siccome è contenuto nelle bevande senza zucchero, volevo spendere due parole per l’aspartame. Esso è forse l’edulcorante protagonista di più controversie: in molti articoli si legge che alcuni studi (condotti su animali) hanno evidenziato come questo additivo possa essere la causa di tumori, ma l’autorità europea per la sicurezza alimentare nega tali effetti, sottolineandone la sicurezza per il consumo umano. Alcuni edulcoranti, che in generale vengono metabolizzati dall’organismo come gli zuccheri, possono fornire un po’ d’energia, altri, quelli utilizzati dai diabetici, invece non ne forniscono. - 18 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Gli esaltatori di sapidità sono sostanze che potenziano il sapore o l’odore di una derrata alimentare. Se sono dunque usati con lo scopo di migliorare il gusto o la fragranza di un cibo, si presume che quest’ultimo non sia di ottima qualità o che abbia una “mancanza”, ed è a proposito di questo problema che gli esaltatori di sapidità sono ancora tutt’oggi oggetto di molte discussioni. Molti di essi hanno come base il glutammato, come il più noto, utilizzato, ma anche criticato della categoria: il glutammato monosodico (E621), che viene impiegato soprattutto nei cibi saporiti (formaggio, pomodoro, ma particolarmente nel dado da cucina) e in vari piatti orientali. Questo additivo, come molti altri, aggiunge sodio alla dieta, che, invece, dovrebbe esserne povera. Aromatizzanti Vengono definiti come sostanze di origine naturale o chimica che determinano una gradevole sensazione gustativa e olfattiva. Alla base degli aromi tipici di alimenti (soprattutto frutti), spezie, piante aromatiche, fiori vi sono specifiche sostanze chimiche naturalmente presenti in essi. L’attore più importante di tali sostanze, nonché responsabile dei piacevoli odori e sapori emanati, è quasi esclusivamente una classe di composti largamente diffusi in natura: gli esteri, la cui formula generale è 18: In alcuni casi è un singolo estere a determinare l’aroma o il sapore di fiori e frutti, ma più frequentemente le qualità organolettiche sono dovute a una complessa miscela, in cui prevale un singolo estere. I produttori di cibi e bevande hanno studiato a fondo le proprietà di questi composti e li utilizzano spesso come additivi al fine di riprodurre, standardizzare o rafforzare certi aromi o sapori. Tali sostanze aggiunte ai prodotti alimentari non hanno sempre un’origine naturale, ma generalmente sono prodotte per sintesi chimica in laboratorio, e vengono spesso denominate, oltre che con il termine di aroma, con quello più preciso di aromatizzanti. Un budino può avere l’aroma di rum senza mai aver visto il corrispondente distillato alcoolico: grazie a una miscela di formiato d’etile e di propinato d’isobutile, oltre che ad alcuni composti minori, è possibile imitarne l’aroma. L’imitazione, in generale, non riproduce esattamente il gusto o il profumo naturale, ma molti consumatori non si accorgono di nulla. Solo gli esperti in materia, quali assaggiatori professionisti, riescono a percepire la differenza. Per chiarire il modus operandi nell’industria alimentare, gli aromatizzanti sono stati inseriti nella lista degli additivi alimentari (a livello svizzero) e vengono definiti come sostanze che sono o dovrebbero essere utilizzate nelle o sulle derrate alimentari per conferire loro un odore o un sapore particolare. Inoltre sono stati suddivise in alcune categorie secondo la loro origine: aromi naturali, estratti da prodotti naturali; aromi natural-identici, ottenuti per sintesi chimica, ma uguali a prodotti presenti in natura; aromi artificiali ottenuti per sintesi chimica e non presenti in natura. Per imitare nel modo migliore un sapore, raramente l’aromatizzante è costituito da un solo e 18 Immagine tratta da: http://en.wikipedia.org/wiki/Image:Ester-general.png - 19 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio semplice composto, bensì, come già accennato in precedenza, da una combinazione di numerosi esteri e acidi carbossilici facilmente sintetizzabili in laboratorio, oltre che, in certi casi, a una buona dose di oli essenziali19. Sull’etichetta del prodotto è previsto principalmente che vengano indicati con la voce generica di “aromi”. Gli aromatizzanti sono spesso usati per arricchire le bevande, siano esse tradizionali o energetiche, con note particolari di fruttato, per questo motivo abbiamo provato a sintetizzarne uno: l’acetato di ottile (C 10H20O2), responsabile dell’odore di arancio (vedi “sintesi di un estere, n-ottilacetato). Questo gruppo comprende, in aggiunta ai precedenti, anche altri additivi: ad esempio acidi (sostanze che aumentano il grado di acidità di una derrata alimentare o le conferiscono un sapore acido) e regolatori d’acidità (sostanze che modificano o regolano il grado di acidità o di alcalinità di una derrata alimentare). 3.3.5. Additivi che contribuiscono ai processi di produzione di cibi e bevande senza avere una specifica funzione nel prodotto finale Sono composti impiegati con un unico scopo tecnologico (per questo sono anche detti “additivi tecnologici”): mirano solo a facilitare, perciò si parla di “adiuvanti” (dal latino "adjuvare" = aiutare) il processo industriale di lavorazione degli alimenti, ma non hanno nessun ruolo concreto nella derrata alimentare ottenuta. Di questa categoria fanno parte agenti anti-schiuma, antiagglomeranti, gas di imballaggio,... In queste tre grandi categorie ho cercati di introdurre gli additivi più utilizzati e più noti, ma soprattutto quelli che interessavano più da vicino le bevande energetiche. Bisogna comunque sapere che la lista degli additivi è molto più lunga e ne comprende in totale circa 24 tipi. 3.4. Caffeina 3.4.1. Introduzione Dopo l’acqua, il tè, il caffè e la Coca Cola sono le bevande più popolari al mondo. Bevande con sapori diversi, ma con un comune denominatore: tutte contengono significative dosi di caffeina. Sommando i consumatori di queste bibite, in unione a quelli di cioccolato e di energy drinks, si può facilmente intuire che si tratta della sostanza più diffusa nell’uso quotidiano. Volendo trovare un motivo che spieghi questa sua diffusione, si possono semplicemente prendere in considerazione gli straordinari poteri gustativi e aromatici di tali prodotti. Un’altra motivazione potrebbe risiedere negli effetti che la caffeina, assunta tramite una tazzina di caffè o un bicchiere di Coca Cola, può generare: sensazioni di rilassamento e contemporaneamente un aumento del nostro stato di allerta. Forse è proprio per la sua diffusione che la caffeina nel corso degli ultimi vent’anni è stato 19 Gli oli essenziali, detti anche essenze, sono sostanze naturali complesse di origine vegetale o animale, volatili e dotate di intenso profumo. - 20 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio il soggetto di numerose ricerche scientifiche, scanditesi ad un ritmo di 1500-2000 l’anno. Fra le droghe vanta alcuni record: è l’unica sostanza psicoattiva al mondo che ha abbattuto ogni sorta di barriera e si è imposta al punto di essere legalmente accessibile quasi ovunque, dai prodotti farmacologici alle bevande; e, a livello di popolarità, supera di gran lunga l’alcool e qualsiasi altra droga. Prima di addentrarmi in aspetti più strettamente scientifici, mi sembrava giusto fare una breve retrospezione storica che riguarda il caffè, e quindi, indirettamente, la caffeina. Questo perché, nonostante la caffeina come sostanza sia stata isolata solo agli inizi dell’Ottocento, il caffè ha sempre suscitato numerosi discussioni e dibattiti, soprattutto per quello che sono i suoi effetti fisici e mentali. 3.4.2. Storia del caffé Come premessa a questo excursus storico, bisogna sapere che l’uomo, quando ha iniziato a consumare alcune parti della pianta del caffè, lo faceva inconsapevolmente. Infatti, attorno al 750 d.C. alcune popolazioni dell’Abissinia (regione etiopica) incominciarono a raccogliere i frutti di tale pianta (infatti la pianta è originaria dell’Etiopia, dove è sempre cresciuta spontaneamente). Con tali frutti producevano dei pani, di cui si nutrivano guerrieri e carovane, perché i pani davano forza e coraggio per combattere, rispettivamente per attraversare il deserto. Secondo alcuni studiosi, con le invasioni etiopiche del XIII e del XIV secolo la pianta del caffè si diffuse anche in Arabia e nello Yemen. Ed è proprio in questi paesi che sono ambientate le storie più popolare sull’origine del caffè, storie sempre avvolte da un alone di fantasia (l’origine vera del caffè pare sia quella delle degli abitanti dell’Abissinia). La più conosciuta è quella del pastore dello Yemen: si racconta che questo pastore lasciò pascolare le sue capre nei pressi di alcune, allora sconosciute, piante da caffè e notò che il gregge si manteneva agitato e vivace nutrendosi delle bacche di tale pianta. Allora il pastore diffuse la notizia in un monastero della zona, dove presto i monaci notarono che bevendo un infuso ricavato dall’ebollizione in acqua di quei frutti, rimanevano attivi e svegli più a lungo. La bevanda venne in seguito migliorata e si diffuse rapidamente in tutta l’Arabia come “la bevanda dell’intelligenza”, perché faceva parlare di politica, di società, e di qualsiasi altro tema per un lungo lasso di tempo. Quindi in Arabia divenne la bevanda nazionale (per questo motivo ancora oggi erroneamente si ritiene il caffè originario dell’Arabia e non dell’Etiopia), poiché si era tutti d’accordo che si trattasse di una bevanda eccitante, non sapendo da dove provenisse questa eccitazione. Nel XVI e nel XVII secolo d.C., grazie agli scambi di merce dovuti allo sviluppo del colonialismo, i semi della pianta del caffè giungono in Europa. In unione ai semi giunse anche la “ricetta” della bevanda ottenuta da tali chicchi. Questa nuova bibita fece crollare il mercato europeo delle altre bevande, generando le prime critiche da parte di denigratori, i quali affermavano che il prodotto fosse nocivo. Il 1820 è l’anno fondamentale: dei medici francesi scoprono che la sostanza eccitante contenuta nelle piante del caffè è quella che noi oggi chiamiamo caffeina. Da allora fino ai nostri giorni numerosi scienziati hanno studiato la sostanza - 21 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio scoperta, studi che hanno conosciuto un boom, come anticipato nell’introduzione, negli ultimi vent’anni. 3.4.3. La chimica della caffeina La formula molecolare della caffeina è C8H10N4O2, si tratta perciò di un composto formato da quattro degli elementi chimici più presenti sulla terra: il carbonio, l’idrogeno, l’azoto e l’ossigeno. La caffeina ha però altre definizioni chimiche: tra esse la più comune è 1,3,7-trimetilxantina, quella che però meglio riferisce la sua struttura è 3,7-diidro-1,3,7-trimetil-1H-purina-2,6-dione, ma è anche conosciuta come metilteobromina o metilteofillina. Per comprendere meglio questi nomi è utile considerarli in un’ottica strutturale e isomerica della caffeina. Essa è un alcaloide derivato dalla purina20, per questo fa parte del gruppo degli alcaloidi purinici, detti talvolta xantine (oppure anche xantine metilate e metilxantine). Oltre alla caffeina, altre xantine metilate sono la teofillina (1,3-dimetilxantina), la teobromina (3,7-dimetilxantina) e la paraxantina (1,7-dimetilxantina), diverse per la posizione dei gruppi metilici sulla catena principale (donde il nome di xantine metilate). Tutte e tre sono delle varianti chimiche della caffeina e sono i prodotti primari del metabolismo di tale sostanze nell’organismo umano, per questo potrebbero essere responsabili degli effetti sulla salute dell’uomo. La caffeina è presente nelle foglie, nei frutti e, principalmente, nei semi delle piante del caffè (la più famosa è la “coffea arabica”), oltre che nelle foglie del tè ed in quelle del maté, nei semi di cacao e di guaranà; la teobromina è contenuta nei semi di "teobroma cacao" con i quali si ottiene il cacao ed il cioccolato; la teofillina nelle foglie di "camelliaa sinensis" da cui si ricava il tè. Semplificando molto si può affermare che la caffeina nel tè si chiama teofillina (o teina, definizione con il quale viene indicata erroneamente anche la caffeina) e quella nella cioccolata teobromina. In generale, sono tre alcaloidi molto diffusi nel mondo vegetale. Immagine d ella struttura chimica della caffeina, dei suoi “derivanti” e “d erivati” La caffeina, a temperatura ambiente, si presenta come una polvere cristallina bianca di leggero gusto amaro e inodore. Essa è limitatamente solubile in acqua a temperatura corporea, in alcool, 20 Le basi puriniche, come la caffeina, sono molecole organiche composte prevalentemente da azoto e idrogeno, assemblati in due anelli formati da cinque o sei elementi, ciascuno con due atomi di azoto. Le xantine appartengono al gruppo chimico delle basi puriniche. - 22 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio in etere e acetone, ma ampiamente solubile in acqua calda, in cloroformio e in acetato di etile. In ogni caso la caffeina è una sostanza idrosolubile (o idrofila). Negli essere umani, la caffeina è uno stimolante del sistema nervoso centrale che ha numerosi e variabili effetti, fra i quali, principalmente, il ripristino dello stato di allerta e un allontanamento temporaneo della sonnolenza. Di questi effetti parlerò in seguito, innanzitutto vediamo come viene assorbita dall’organismo e come agisce. 3.4.4. Farmacocinetica e metabolismo Poiché la caffeina è idrosolubile ma è anche in grado di attraversare facilmente le membrane cellulari, essa viene assorbita velocemente (può essere presente nel plasma già 5 minuti dopo l’ingestione) e completamente (l’assorbimento dopo somministrazione orale di caffeina è del 90100%) dal tratto gastrointestinale; il suo completo assorbimento si ha entro circa 90 minuti dalla sua assunzione. Attraverso la circolazione sanguigna viene uniformemente trasferita e distribuita verso ogni parte dell’organismo, raggiungendo con facilità tutti i tessuti, fino ad arrivare al cervello. L’emivita plasmatica21 può variare notevolmente da individuo a individuo, perché può dipendere da fattori quali l’età, la gravidanza, alcuni farmaci concomitanti, il livello degli enzimi nel fegato necessari per il metabolismo della caffeina,... Generalmente (negli adulti sani) l’emivita plasmatica è pari a 3-7.5 ore, ma, come anticipato, può aumentare nei bambini e negli anziani e può addirittura quasi raddoppiare nelle donne gravide. Nella tabella22 seguente viene esposto quanto appena detto: 21 Il tempo necessario al corpo per ridurre del 50% la quantità di una sostanza (di solito di un farmaco) nel plasma. Tabelle tratte da: Bennet A. Weinberg, Bennet A. Weinb erg Bonnie K. Bealer, Bonnie K. Bealer tradotto da G. Tarantin. Caffeina. Storia, cultura e scienza della sostanza più famosa del mondo. Donzelli edito re. Pag. 254 e 257 22 - 23 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio La caffeina è metabolizzata principalmente dal fegato, tramite il sistema del citocromo P-450 23, con il risultato che i principali metaboliti della caffeina riscontrati nel sangue sono le dimetilxantine, ognuna con effetti diversi: paraxantina (circa l’84% della caffeina è convertita in questa xantina), teobromina (12%) e teofillina (4%). Bisogna poi sapere che vi sono vie alternative per metabolizzare la caffeina, anche se questa è la predominante. La caffeina viene eliminata essenzialmente per via urinaria e l’escrezione completa delle metilxantine avviene in circa 9-12 ore. Siccome attraversa agevolmente i tessuti corporei e non è liposolubile, essa non si accumula né in nessun organo, né nei grassi corporei. 3.4.5. Meccanismo d’azione (farmacodinamica) Con l’intento di scoprire come e in qual misura la caffeina produce i suoi effetti, ovvero per comprenderne il meccanismo d’azione sull’organismo umano, gli scienziati l’hanno studiata più di ogni altra droga. Il motivo di tanta attenzione nasce soprattutto dagli annosi dibattiti sui rischi per la salute che la sostanza, assunta attraverso il caffè o il tè, potesse provocare. Nell’affrontare questo problema gli studiosi devono confrontarsi con la complessità di un effetto, e talvolta, come nel caso della caffeina, di più di uno (sul sistema respiratorio, cardiovascolare, renale, nervoso centrale e periferico). Per questo e altri motivi il meccanismo d’azione di questo stimolante risulta ancora in gran parte sconosciuto e incerto, nonostante le tecniche di laboratorio sempre più precise e sofisticate e gli sforzi profusi dagli scienziati per sbrogliare la matassa. Le teorie più convincenti e più recentemente formulate per spiegare l’azione della caffeina e di altre metilxantine sul corpo umano sono: • teoria della mobilità del calcio; • teoria dell’aumento di AMP ciclico; • teoria dell’antagonismo dei recettori dell’adenosina. Sebbene si tratta delle tre ipotesi più papabili e sicuramente dimostrate a livello sperimentale, le prime due sono un po’ meno accreditate rispetto alla terza, perché i livelli ematici di caffeina per produrre tali effetti sono superiori a quelli normalmente riscontrati a seguito di un’assunzione anche rilevante di caffè. Vediamo ora più nel dettaglio le tre teorie. La caffeina è un tipo di agente inotropo, ovvero un agente che accresce la forza di contrazione del muscolo cardiaco. Mediante un’azione sulla produzione di neuromediatori che controllano l’afflusso di ioni calcio nelle cellule, gli agenti inotropi aumentano l’entrata del calcio nello spazio intracellulare. In quanto gli ioni calcio sono responsabili della regolazione della contrazione muscolare – più specificamente interagiscono con due molecole (troponina e tropomiosina) che permettono l’accorciamento della cellula muscolare – un tale afflusso di ioni calcio comporta un aumento della forza di contrazione muscolare che, nel caso della caffeina (agente inotropo) si traduce con un aumento della contrazione del miocardio. Come già anticipato, la caffeina produce questi effetti solo a un livello dosaggio elevato, da 10 a 100 volte superiore di quelli normalmente 23 Enzima epatico che ha detossifica l’organismo poiché catalizza il metabolismo di molti composti endogeni o di origine farmaceutica. - 24 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio contenuti nelle bevande (caffè, tè, energy drinks,…), ed è quindi poco probabile che tale processo serva a spiegare precisamente gli effetti della caffeina assunta per via alimentare. Prima di spiegare la seconda teoria, è utile fare una premessa sull’AMP ciclico. Una possibilità che hanno gli ormoni idrosolubili (ovvero ormoni proteici, ad esempio il glucagone, e catecolamine, ad esempio l’adrenalina e la noradrenalina), per agire sulle cellule bersaglio è quella di legarsi ai recettori proteici sulla membrana cellulare, visto che avrebbero difficoltà ad attraversarla. Il legame ormone-recettore attiva la produzione all’interno della cellula di sostanze dette “secondo messaggeri”, responsabili della trasmissione del messaggio ormonale tramite una serie di successive reazioni a cascata. Uno di questi secondo messaggeri è il cicloadeninmonofosfato (più semplicemente detto AMP ciclico o cAMP), che deriva sostanzialmente da: ATP AMP + P. Tale reazione di sintesi è catalizzata dall’adenilato ciclasi, una proteina enzimatica localizzata sulla membrana. Invece, al termine dell’azione del cAMP, gli enzimi coinvolti nella sua degradazione sono le fosfodiesterasi, che lo trasformano nella sua forma aciclica, disattivandolo. Negli schemi seguenti24 sono rappresentati il meccanismo d’azione di un ormone idrosolubile e la conseguente formazione del secondo messaggero: 24 Immagini tratte da: dispense prof. Duijts, corso BIC – classe III - 25 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio La caffeina aumenta la permanenza di questo secondo messaggero all’interno della cellula prolungando e potenziando l’effetto dell’adrenalina (o di sostanze analoghe come l’anfetamina e le metanfetamina), del glucagone,... Questo è possibile poiché questa xantina interviene in due modi in questi processi: inibisce la fosfodiesterasi, rallentando la degradazione del cAMP, e secondariamente blocca l’inibitore dell’adenilato ciclasi, provocando un aumento della sintesi del cAMP. Tutto questo, come detto, causa un aumento della concentrazione dell’AMP ciclico nello spazio intracellulare. Sia adrenalina, rilasciata nel sangue dalla midollare surrenale, che glucagone, prodotto dal pancreas, mediante l’AMP ciclico, inducono le cellule del fegato a rilasciare glicogeno e a idrolizzarlo. Il risultato finale è, considerando il prolungamento dell’effetto di questi due ormoni dovuto alla maggiore permanenza nello spazio intracellulare dell’AMP ciclico, un sostanziale aumento del glucosio ematico. Il terzo e principale meccanismo d’azione della caffeina è il blocco competitivo dei recettori adenosinici (vedi formula di struttura dell’adenosina qui a fianco25). La caffeina è in grado di legarsi ai recettori dell’adenosina (un nucleoside), poiché le due molecole sono strutturalmente analoghe (l’affinità è riscontrata soprattutto fra caffeina e adenina, la base azotata dell’adenosina). In tal caso viene a determinarsi una situazione di antagonismo, o meglio, di inibizione competitiva, in quanto si limita l’azione del nucleoside. Per capire cosa avviene quando si verifica questo Formula di struttura dell’adenosina antagonismo, bisogna però conoscere le funzioni dell’adenosina. Essa è presente in ogni parte del corpo umano e oltre ad agire nel metabolismo energetico dell’ATP, ha delle specifiche attività a livello cerebrale. Qui assolve un rilevante ruolo di neuromodulatore 26, il che significa che modula l’attività sinaptica cerebrale modificando la risposta delle cellule neuronali ad un dato neurotrasmettitore. A differenza dei neurotrasmettitori, non è immagazzinata nelle vescicole in prossimità della terminazione sinaptica del neurone, bensì si accumula nel liquido extracellulare. Quando l’adenosina si lega ai recettori adenosinici inibisce il rilascio di neurotrasmettitori. Tali recettori possono essere classificati in A1, A2A, A2B e A3, anche se sono particolarmente interessanti i primi due, poiché molto diffusi nel cervello. Un alta attività adenosinica sul recettore A1, il più abbondante nelle aree cerebrali (è concentrato nella corteccia cerebrale, nell’ippocampo e nel cervelletto), blocca il rilascio di un gran numero di neurotrasmettitori cerebrali, tra cui la serotonina, l’acetilcolina, la noradrenalina, il GABA e, la più potente azione inibitrice, la svolge verso il glutammato. Più precisamente, il recettore A1 inibisce l’attività neuronale nella terminazione del neurone presinaptica, bloccando i canali calcio di tipo N. Questo impedisce, all’arrivo del potenziale nervoso, l’afflusso di ioni Ca2+ nella terminazione presinaptica del neurone, ostacolando quindi l’attivazione delle vescicole contenenti neurotrasmettitori che avrebbero rilasciato per esocitosi tali sostanze nello spazio sinaptico. 25 Immagine tratta da: http://it.wikipedia.org/wiki/Adenosina Un neuromodulatore è una sostanza naturalmente secreta dal cervello, che agisce come neurotrasmettitore, tranne per il fatto che la sua azione non è limitata allo spazio sinaptico ma si diffonde in tutto il fluido extracellulare circostante (http://it.wikipedia.org/wiki/Neuromodulatore). 26 - 26 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Neurotrasmettitore Sinapsi (cerchiato in rosso è il canale calcio di cui l’adenosina impedisce l’apertura, con consegu ente blo cco di tu tto il meccanismo) 27 Considerando, quindi, che un effetto generale a livello cerebrale dell’adenosina è quello di limitare l’attività neuronale, un effetto generale della caffeina (antagonista dei recettori adenosinici) sarà, invece, quello di stimolare l’attività neuronale tramite l’aumento del rilascio di neurotrasmettitori (diminuendo il tempo di riposo che necessiterebbero i neuroni per un’attività efficace). Importanti, come detto, sono anche i recettori A2A. Innanzitutto, questi recettori sono molto presenti nelle cellule endoteliali (le cellule che costituiscono i vasi sanguigni), e, un’interazione con l’adenosina, provoca una vasodilatazione. La caffeina, legandosi a questi recettori, ha un effetto opposto a quello adenosinico, ovvero quello di vasocostrizione. Inoltre, a livello encefalico, i recettori A2A sono molto diffusi nei gangli basali, dove avviene (in unione alla corteccia motoria) il controllo del movimento del corpo e dove vi si trovano alte concentrazioni di dopamina. Pertanto, l’attività dell’adenosina su tali recettori induce un’inibizione dell’attività motoria, in parte diminuendo l’azione della dopamina, che, infatti, tra i tanti ruoli che riveste, è molto importante nella regolazione della locomozione. La caffeina, dunque, può provocare un aumento delle funzioni motorie, aumentando anche la liberazione di dopamina, ma, a differenza di altre droghe come la cocaina, la morfina, la nicotina, l’alcool, tale aumento non si verifica nei “centri del piacere” (in cui la dopamina è forse il principale neurotrasmettitore). L’organismo, sottoposto a un elevata assunzione di caffeina, risponde con la formazione di ulteriori recettori adenosinici che, quando il tasso di caffeina diminuisce, si combinano con gli originali. Il risultato di questa compensazione accentua gli effetti dell’adenosina, come sonnolenza e depressione, e questo può spiegare i sintomi d’astinenza dalla caffeina. 27 Immagine tratta da: dispense prof. Duijts, corso BIC – classe III - 27 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio In generale, concludendo, l’adenosina è un depressivo, in quanto ha un effetto soprattutto inibitorio, del sistema nervoso centrale e si crede che promuova il sonno e diminuisca l’eccitazione. Il blocco dei recettori adenosinici causata dalla caffeina aumenta il rilascio, in particolare, di adrenalina (nel sistema cardiovascolare) e di dopamina (nel cervello), in questo secondo caso stimolando il SNC. Questa capacità disinibitoria si traduce con maggior lucidità mentale, aumento dello stato di allerta e maggiore eccitazione. 3.4.6. Caffeina e salute - effetti sull’organismo Volendo approfondire gli effetti sulla salute dell’uomo prodotti dalla caffeina mi sono accorto che, a grandi linee, la complessità delle conseguenze è da ricercare nella complessità delle cause. Infatti, comprendere precisamente gli effetti di questo stimolante sul nostro organismo è molto difficile, vuoi perché essi dipendano dai differenti modi di assunzione, vuoi perché essi derivano da specifiche azioni della caffeina in quasi tutti gli organi del corpo, o semplicemente, vuoi perché possono variare da individuo a individuo. L’elenco potrebbe continuare con altri fattori d’influenza sugli effetti della caffeina, come la quantità della xantina assunta (dose), la situazione fisica e psicologica (malessere, benessere) dell’individuo mentre assume questa “droga”, le interazioni farmacologiche con altre sostanze (alcool, farmaci, altre droghe), e altri ancora. Per questi motivi, nel corso dei secoli, della caffeina si è parlato molto, ma mai in modo “omogeneo”. Arreca, favorisce o cura molteplici malattie? Apporta realmente benefici fisici e mentali, quest’ultimi intesi come un aumento delle capacità intellettuali? A queste domande si tenta di rispondere con molte teorie tradizionali o moderne, scientifiche o meno, ma in genere contraddittorie. Nonostante una dispendiosa indagine scientifica, resta il fatto che molte delle questioni centrali riguardo ai suoi effetti restano tuttora irrisolte. In questo paragrafo cercherò di esporre alcuni aspetti chiave della problematica. Fin’ora non esistono prove che un consumo moderato di caffeina (circa 300 mg al giorno) durante la gravidanza abbia influssi sullo sviluppo del feto (i maggiori problemi derivano da nicotina e alcool), nemmeno che ci sia un legame fra l’assunzione di caffeina e l’aborto, e infine, non pregiudica né l’allattamento al seno, né la capacità riproduttiva della donna. Nonostante l’assunzione di caffeina provochi una leggera variazione della calcemia28, riequilibrabile rapidamente con una dieta adeguata, non è stato dimostrato che influisca sulla salute delle ossa. Da quasi cent’anni a questa parte è provato che la sostanza in questione, grazie a una sua lieve azione broncodilatatrice, migliori le capacità respiratorie e per questo attenua le crisi d’asma. Molto delicato è il rapporto tra caffeina e tumore. Per molti anni si è sospettato l’esistenza di un certo legame fra questi due elementi che però oggi, da studi scientifici, non risulta. Infatti non vi è alcuna prova che il consumo di caffeina aumenti il rischio di cancro a praticamente qualsiasi organo (al seno, a ovaie, prostata e vescica, al pancreas, al colon, alle cavità orali e all’esofago, al fegato e ai reni). Ma oltre ad escludere qualsiasi legame tra tumori e consumo di caffeina, è ormai certo che un consumo moderato e regolare di caffè (e quindi di caffeina) diminuisca del 24% la 28 La calcemia è la concentrazione ematica di calcio. - 28 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio possibilità dell’insorgenza di tumori al colon, del 50% di tumori alle ghiandole mammarie, e del 90% dei tumori alle cavità orali. È stato dimostrato che non esistono legami tra un consumo moderato di caffeina e malattie cardiovascolari (come l’infarto miocardiaco), questo perché non vi è un aumento delle aritmie cardiache. Solo a dosi elevate e nelle persone sensibili possono verificarsi disturbi al cuore e aumenti sensibili della pressione sanguigna. Al contrario, la caffeina esercita una leggera azione cardiotonica, ovvero un aumento delle contrazioni cardiache. La caffeina è un leggero diuretico ma studi scientifici provano che questo effetto si riduce in persone che bevono l’equivalente di due tazze da caffè al giorno. Inoltre sembra che protegga contro la formazione di calcoli renali. Questo stimolante può aumentare la secrezione di acido gastrico e pepsina migliorando la digestione oppure contribuendo al bruciore di stomaco. Persone affette da ulcera peptidica dovrebbero evitare il consumo di bevande contenenti caffeina. Inoltre aumenta la secrezione di bile, contribuendo positivamente alla digestione del metabolismo dei grassi, e contrastando anche in questo caso lo sviluppo di calcoli biliari. La sostanza in questione diminuisce il flusso sanguigno cerebrale del 20-30%, e in unione a un’azione vaso costrittiva, riduce l’emicrania, per questo motivo è inserita nei farmaci contro il mal di testa. Studi recenti hanno dimostrato che la caffeina, prevenendo la perdita dei segnali chimici che vengono a meno nel morbo di Parkinson, protegge parzialmente dal morbo stesso, e, a quanto pare, anche dal morbo di Alzheimer. Infatti, bloccando gli effetti del colesterolo che rendono la barriera emato-encefalica permeabile (BEE), la caffeina risulta preventiva anche nei confronti del morbo di Alzheimer, che è causato da una penetrazione di sangue nel sistema nervoso centrale dovuta alla permeabilità della BEE. Gli studi sulla relazione caffeina – morbo di Alzheimer sono finora comunque stati condotti su animali. Essa aumenta i livelli plasmatici di acidi grassi, cortisolo e adrenalina, influendo positivamente sulle prestazioni atletiche. Questo è dovuto soprattutto a un aumento della lipolisi, ovvero un aumento dell’utilizzazione dei grassi a scopo energetico, possibile grazie all’incremento di acidi grassi plasmatici. Tale processo ritarda l’esaurimento delle forze perché diminuisce la velocità di utilizzazione del glicogeno, conservando i suoi depositi del fegato e dei muscoli scheletrici. Per essere considerato dopato bisogna avere 12 mg di caffeina per litro di urina, e questo corrisponde all’assunzione contemporanea di 12 tazze di caffè espresso. Inoltre la caffeina, provocando un aumento della frequenza cardiaca, favorisce la circolazione ematica e la conseguente ossigenazione dei muscoli ed è soprattutto per questi effetti che viene usata come dopante. Come già detto, la caffeina promuove la veglia poiché si oppone e blocca le azioni dell’adenosina che favorirebbero il sonno. Per di più aumenta l’attenzione mentale e la vigilanza e riduce anche il senso di affaticamento, il tutto dovuto alla stimolazione della corteccia e di altre aree cerebrali. Sembra anche che essa aumenti le capacità mnemoniche e di apprendimento. Solo con un’assunzione maggiore a 1.5 g di caffeina (12-15 tazze di caffè) si riscontrano tremori e ansia, mentre il midollo spinale ne è sensibile solo a dosi molto alte (2-5 g). - 29 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Nelle tabelle seguenti ho raggruppato gli aspetti principali e più importanti degli effeti di questo stimolante: Dosi e effetti sulla salute Quantità (mg di caffeina/giorno) 300-350 (consumo moderato) 500 650 -1000 1000< Nessun pericolo per la salute (degli adulti) e nessuna controindicazione particolare, anche se gli effetti variano da individuo a individuo Comparsa dei primi effetti collaterali Leggero aumento degli effetti dannosi e nocivi per la salute dell'organismo Effetti pericolosi, anche letali (la dose letale è di circa 10 g, ovvero 100 tazze da caffè) Sensazioni piacevoli, aumento dello stato di veglia e di allerta, maggior capacità di concentrazione, in generale un miglioramento dell'efficienza fisico-mentale Legger e palpitazioni, stati d'ansia, insonnia. Agitazione ed eccitazione La tossicità della caffeina, oltre a passeggere. Un consumo di un aumento degli effetti avversi alcune settimane di questa che si riscontrano con dosi minori, dose: disturbi temporanei sulla si traduce con convulsioni e motricità periferica (tremori vomito. Inoltre una dose come alle mani), nausea, ansietà, quella letale induce aritmie irrequietezza, aumento della cardiache. diuresi. Effetti sull’organismo di un consumo moderato di caffeina Effetti antidolorifici (è presente in circa 50 farmaci antidolorifici), stimola le facoltà intellettive, risveglia l'attenzione e la In generale e sul vigilanza, aumenta le capacità sistema nervoso della memoria e centrale dell'apprendimento, stimola la concentrazione e l'attenzione, alla guida facilita la percezione degli stimoli sensoriali; è un antidepressivo naturale Sul cuore Un consumo moderato non fa male al cuore. Accelera il ritmo cardiaco, ma si tratta di variazioni molto lievi, che possono crescere se le dosi di caffeina aumentano. In farmacologia è usato come cardiotonico, poiché potenzia il tono arterioso e migliora la circolazione nelle arterie coronarie - 30 - Sui muscoli Aumenta la resistenza agli sforzi fisici e alla fatica grazie a un potenziamento delle capacità di contrazione e del tono muscolare, migliorando in generale il coordinamento dei movimenti e riducendo la stanchezza e la fatica (meno acido lattico) Sulla respirazione Agisce sulla muscolatura liscia dei bronchi provocando broncodilatazione, ovvero la dilatazione, in particolare, degli alveoli polmonari (per questo motivo è inserita nei farmaci antiasmatici). Il risultato è un miglioramento e una facilitazione della respirazione Gioele Capoferri Chimica Stimola la produzione di succhi gastrici (nello stomaco), la secrezione della bile (nella Sulla digestione cistifellea) e favorisce la peristalsi intestinale, con il risultato di migliorare la digestione. LAM, Liceo Mendrisio Sui reni Con un meccanismo ancora poco chiaro la caffeina stimola la diuresi, il che significa favorire l'eliminazione degli scarti del nostro organismo attraverso le urine. 3.4.7. Caffeina e bevande In tutto il mondo le bevande contenenti caffeina godono di una straordinaria popolarità e è sufficiente solamente un dato per dimostrarlo: si stima che l’80% della popolazione mondiale ogni giorno consuma bevande contenenti caffeina. La caffeina nelle bevande è presente in quantità variabile, infatti nei caffè varia, ad esempio, da modo a modo in cui si prepara il caffè, nei soft ed energy drinks si differenzia da prodotto a prodotto o da tipo a tipo (con o senza zuccheri). Vediamo nella tabella seguente il contenuto teorico di caffeina in alcuni prodotti 29: Bevanda Contenuto di caffeina mg/100 mL mg in una tipica porzione Caffè Caffè espresso 100-170 tazza da 30 mL 30-50 Caffè filtro 40 tazza da 190 mL 85 Caffè istantaneo 43 tazza da 150 mL 65 Decaffeinato 1.5 tazza da 150 mL 3 Tè classico 30 tazza da 150 mL 40-50 Tè fr eddo 16 240 mL 45 Coca Cola 10 330 mL 33 Coca Cola Light 13 330 mL 42 Coca Cola Zero 10 330 mL 33 Pepsi Cola 10.5 330 35 Jolt Cola 32 695 mL 220 Red Bull 32 250 mL 80 Burn 32 250 mL 80 M-budget Energy Drink 32 250 mL 80 Shark Energy Drink 30 250 mL 75 Bevande classiche Energy drinks Cioccolata 29 Dati tratti da: http://www.caffesalute.it/cont/1960sap/0412/1000/; http://www.safefoodonline.com/safefood/Uploads/health_effects.pdf - 31 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Cioccolato al latte 183 30 g 5.5 Cioccolato fondente 340 30 g 10.2 3.5. Taurina La taurina (o acido 2-amminoetanosulfonico), il cui nome deriva dal latino “taurus” (toro), in quanto fu isolata per la prima volta nel 1827 dalla bile del toro, dove è presente in elevate concentrazioni, è un amminoacido di origine non proteica. La sua formula bruta è C 2H6NO3S e quella di struttura 30: Un amminoacido è un composto organico avente nella stessa molecola un gruppo acido, generalmente il gruppo carbossile (-COOH), e un gruppo basico amminico (-NH2). In effetti la taurina si differenzia dai più comuni amminoacidi poiché possiede, invece del tradizionale gruppo carbossile, l’acido sulfonico (-SOOOH). Potrebbe essere dunque chiamata un “amminoacidosulfonico” o un “amminoacido-solforato”. Questa caratteristica, in unione al fatto che, ad eccezione di qualche piccolo polipeptide formato da questo acido organico, non si è ancora scoperto un RNA messaggero codificante la produzione di una proteina a partire da residui di taurina, lo rendono un amminoacido “singolare”. Singolare inteso sia come particolare (acido sulfonico al posto del gruppo carbossilico), sia come solo (non facendo parte di complesse catene proteiche è un aminoacido libero o un semplice peptide). È una sostanza chimica molto diffusa: è abbondante in molti tessuti animali (è quindi presente in carni e pesci), la si trova in alcune specie batteriche, oltre che nelle uova e nel latte, ma non nelle piante. Nell’organismo umano, in aggiunta a piccole quantità presenti nell’urina e nel latte materno (si parla di 4.2 mg di taurina per 100 mL di latte), è molto concentrata nei globuli bianchi, nei muscoli scheletrici, nel cuore, nel tessuto retinale, nel sistema nervoso centrale, nel cervello ed è anche un’importante componente della bile. In generale, essendo la taurina nell’uomo un amminoacido libero, la si trova soprattutto disciolta nel citosol31 o legata alle membrane cellulari. Essa è, dunque, naturalmente presente nella dieta (carne e pesce) ed allo stesso tempo un normale metabolita32 prodotto dal nostro organismo. Nel corpo umano, l’amminoacido in questione viene principalmente sintetizzato nel fegato a partire dal suo precursore, la cisteina (amminoacido), secondo questa reazione: 30 Immagine tratta da: http://fr.wikipedia.org/wiki/Image:Taurine.svg Il citosol è la parte del citoplasma che non comprende gli organuli. 32 Il metabolita (o metabolito) è un prodotto inter medio o finale delle reazioni chimiche del metabolismo (http://ok.corriere.it/dizionario/enc4699.shtml) 31 - 32 - Gioele Capoferri Chimica Formazione d ella taurina LAM, Liceo Mendrisio 33 Questa sua reazione di sintesi è, forse, la via catabolica principale della cisteina. Infatti, come si vede nello schema, la reazione più importante del gruppo sulfidrile (-SH) è probabilmente l’ossidazione della cisteina a cisteinsolfinato. In una tappa successiva, questo prodotto intermedio è decarbossilato ad ipotaurina, il che significa la perdita di una molecola di anidride carbonica (CO2). Da ultimo si assiste a un’altra ossidazione che dall’ipotaurina porta alla taurina. Un contributo alle reazioni di questa via di sintesi è dato da alcuni enzimi, come la cisteina deossigenasi (primo passaggio) e la cisteinsolfinato decarbossilasi (secondo passaggio). Nell’organismo umano l’essenzialità di questo aminoacido risulta molto discutibile, vediamo quindi di capire quali ruoli ricopre. Innanzitutto si può dire che la taurina è coinvolta nella digestione dei lipidi, favorendone l’assorbimento a livello intestinale. Infatti la sua reazione con gli acidi biliari produce dei coniugati, i sali biliari, secreti con la bile. In particolare questo amminoacido migliora e potenzia le proprietà tensioattive34 dei coniugati, agevolandone l’azione. L’ azione dei Sali biliari consiste nell’emulsionare i grassi (fra cui il più noto è forse il colesterolo), ovvero la loro scomposizione in minuscole goccioline, permettendo il loro assorbimento nell’intestino. Tutti i lipidi che derivano dall’alimentazione devono essere emulsionati dai sali biliari per poter essere assorbiti dall’intestino. Quindi, riassumendo, si può dire che la taurina, partecipando all’azione degli acidi biliari, facilita la digestione dei grassi (agevolando l’eliminazione del colesterolo). Inoltre i sali biliari, la cui formazione, come detto, è sostenuta dalla taurina, costituiscono una via di escrezione dello zolfo dal nostro corpo. La taurina è un osmolita35 intracellulare (la sua concentrazione intracellulare è 500-2000 volte superiore a quella extracellulare) che controllando gli scambi osmotici, risultando quindi un importante regolatore delle variazioni del volume cellulare. Strutturalmente simile al GABA, il principale neurotrasmettitore inibitorio del sistema nervoso centrale, sembrerebbe anch’essa implicata nell’inibizione del sistema nervoso, rilassandolo. In situazione di forte stress e sforzo fisico, essa agisce da detossificante, riducendo l’effetto delle tossine prodotte dal metabolismo delle risorse energetiche (zuccheri e grassi) e accumulate durante gli sforzi intensi. Il regolare le funzioni cardiache e muscolari, in particolare aumentando la contrazione cardiaca (apportando più sangue al miocardio) e migliorando la contrattilità muscolare, è la principale capacità di questo aminoacido che può spiegare l’attenuazione del senso di fatica che la sostanza “promuove”. Inoltre può intervenire in altri fenomeni: stabilizza elettricamente le membrane cellulari; partecipa all’omeostasi del calcio; possiede ottime proprietà antiossidanti; potenzia a lungo termine l’ippocampo; controlla la 33 Immagine tratta da: GIUSEPPE ARIENTI, Le basi molecola ri della nutrizione, Piccin, pag. 350. Il tensioattivi sono sostanze che aumentano le proprietà emulsionanti delle soluzioni in cui sono disciolte. 35 Un osmolita è un composto organico che incide sull’osmosi, svolgendo un ruolo importante nel mantenimento del volume della cellula e dell’equilibrio dei fluidi (http://en.wikipedia.org/wiki/Osmolyte) 34 - 33 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio produzione di adrenalina; e altri ancora. Si tratta però di effetti, quest’ultimi, ancora in fase di studio e di poca rilevanza se confrontati con la partecipazione nella sintesi dei sali biliari o nel controllo del volume cellulare, effetti, questi, molto ben dimostrati. Effetti negativi sulla salute del uomo possono essere, a seguito di un’assunzione elevata di taurina, ipertensione e problemi gastrointestinali. Sono comunque effetti, positivi e negativi, da prendere con le pinze, perché sugli uomini non sono ancora tutti pienamente documentati. Inoltre ci sono ancora pochi studi sull’interazione della taurina con gli altri ingredienti contenuti negli energy drinks, quali caffeina e glucuronolattone, o altre sostanze come droghe e alcool. La taurina, negli adulti, è considerata un amminoacido condizionatamente essenziale, che tradotto si significa che in determinate circostanze, come per esempio di forte stress fisico e mentale o di attacchi cardiaci (agisce da cardiotonico, cioè sostiene l’attività del cuore), può non venire sintetizzata a velocità sufficiente per soddisfare le richieste metaboliche dell’organismo. Al contrario, nel neonato e in età infantile, la taurina risulta un amminoacido essenziale poiché svolge un’importante funzione per il corretto sviluppo del sistema nervoso centrale. A normali condizioni psicofisiche, in un corpo adulto la taurina è conservata ad alte concentrazioni ed è presente in grandi quantità. Si stima che un corpo umano di 70 kg contenga fino a 70 g di questa sostanza e che se ne dovrebbe assumere circa 400 mg ogni giorno mediante l’alimentazione (carne, pesce e uova ne sono le fonti più ricche). Con altre cifre, circa il 40% del “fabbisogno” di taurina è prodotta dal nostro corpo e il restante 60% è assimilato con l’alimentazione. Negli ultimi anni, l’utilizzo di taurina in campo alimentare ha conosciuto un forte aumento, soprattutto perché è diventata un ingrediente essenziale delle bevande energetiche. Addirittura la Red Bull, la bevanda energizzante per eccellenza e ai vertici del settore, prende il suo nome da questa sostanza: “bull” significa infatti “toro” (da taurina). Attorno a questo aminoacido e il suo inserimento negli energy drinks si è levato un alone leggendario: si crede che la taurina immessa in queste bevande provenga dall’urina e dallo sperma di toro. È si vero che essa è presenta in entrambe le fonti, ma non è vero che esse siano le reali fonti di taurina per il settore alimentare. In quest’ultimo caso la taurina ha origine sintetica e non naturale, in quanto viene sintetizzata in laboratorio attraverso una combinazione di metionina, cisteina e vitamina E. In Francia, la vendita di Red Bull (e delle bevande analoghe) era stata vietata proprio a causa, in parte, dell’aggiunta di taurina, ritenuta causa di effetti neuro-comportamentali indesiderati. Il 2 aprile del 2008 è la vendita della bevanda che “ti mette le ali” è stata reintrodotta, poiché la taurina è stata rimpiazzata dall’arginina (altro amminoacido). Con un solo energy drinks si assumono circa 1000 mg di questa sostanza, quantità ben al di sopra dei 400 mg che se ne dovrebbero assumere con l’alimentazione, e il doppio del limite di consumo giornaliero consigliato dal Ministero della Salute (Italia). Nella tabella seguente vediamo il contenuto di taurina in alcune bevande energetiche: Bevanda AMP Contenuto di taurina Concentrazione mg/100 mL 148 mg (lattina da 240 mL) 63 - 34 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Burn 1000 (lattina da 250 mL) 400 Jolt Cola 2800 mg (lattina da circa 695 mL) 403 Monster 1000 mg (lattina da 240 mL) 423 NOS 1000 mg (lattina da 240 mL) 423 Red Bull 1000 mg (lattina da 250 mL) 400 Relentless 2000 mg (lattina da circa 480 mL) 423 Rockstar 2000 mg (lattina da circa 480 mL) 423 3.6. Glucuronolattone L’affrontare questo componente dei drink energizzanti nasce da un esperimento svolto in laboratorio. Infatti, prima di quel test ero ignaro dell’esistenza di questa sostanza e la sua presenza nelle bevande energetiche mi era sconosciuta. In quell’esperienza si trattava di effettuare una ricerca sulla presenza di zuccheri in alcune bevande. Oltre a un comune energy drink, affrontai il test anche su un energy drink “sugarfree”, la Red Bull light, nei confronti del quale il test sarebbe dovuto risultare negativo (se infatti realmente si tratta in un sugarfree, dovrebbe essere priva di zuccheri). A sorpresa di tutti, visto che altri del mio gruppo di lavoro di maturità scelsero di effettuare questa analisi su una bevanda senza zuccheri, il test segnalava la presenza di zuccheri. Com’era possibile, dal momento che la sostanza doveva essere effettivamente priva di zuccheri? Si scoprì che la sostanza “incriminata” era proprio il glucuronolattone. È un carboidrato di tipo aldoso, quindi con un gruppo funzionale aldeidico, gruppo che interferiva con l’esperienza e che quindi produceva il risultato inatteso. Il glucuronolattone (anche detto glucoronolattone o acido lattone glucuronico) si trova naturalmente nell’organismo umano, in quanto è prodotto nel fegato, a partire dal glucosio, e prende parte alla formazione del glicogeno. Questo derivato del metabolismo del glucosio è anche una componente strutturale di praticamente tutti i tessuti connettivi. Chimicamente è un lattone (una sorta di estere ciclico), l’acido glucuronico ne è il precursore immediato e la sua formula molecolare è Formula di struttura del C 6H8O6 (vedi la sua formula di struttura qui a fianco36). Fisicamente è un glucuronolattone solido incolore e inodore, solubile in acqua. I suoi effetti non sono ancora bene conosciuti, ma si tratterebbe, così viene anche definito sul sito internet della Red Bull, di un carboidrato coinvolto nei processi di disintossicazione, aiutando il corpo ad eliminare le sostanze di scarto 37. Infatti sembrerebbe che il glucuronolattone intervenga nella disintossicazione del fegato tramite la glucuronizzazione, un meccanismo detossificante che avviene nell’organismo umano. Organismo umano che dovrebbe ricevere benefici da questi processi in situazione di particolare stress o affaticamento. Inoltre che questo carboidrato risulti avere effetti positivi su memoria, apprendimento e umore è un fatto dimostrato. Ma in ogni caso, l’assenza di studi approfonditi su questa sostanza impedisce di avere garanzie assolute sulla sua innocuità per l’uomo. A rendere più 36 37 Immagine tratta da: http://it.wikipedia.org/wiki/Glucuronolattone http://www.redbull.it/#page=ProductPage.Ingredients - 35 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio incerta la sicurezza di questo lattone è una “leggenda metropolitana” che l’ha portato agli albori della cronaca: si presumeva che il governo americano lo distribuisse come droga fra i soldati impegnati nella guerra in Vietnam, ma poi fu bandito poiché si credeva il responsabile di alcune morti causate da un cancro al cervello. Ma fu poi tutto smentito e fu dimostrata la falsità di queste voci, tant’è che la Food and Drug Administration, l'autorità che si occupa di regolamentare ogni sostanza presente negli alimenti e nei farmaci negli USA, non prevede avvertenze riguardo alla possibilità di causare tumori o altre malattie. A livello commerciale il glucuronolattone ha riscontrato molto successo soprattutto grazie al suo inserimento negli energy drinks, bevande che a loro volta riscuotono sempre più consenso fra la gente e che di conseguenze si diffondono sempre più. Lo si inserisce per contrastare la fatica e per apportare un senso di benessere generale. Il contenuto di glucuronolattone nella bevanda simbolo di questo settore industriale, la Red Bull, è di circa 600 mg ogni 100 ml di prodotto, una cifra che, nonostante non vi siano ancora prove sulla sua nocività, dovrebbe destare qualche preoccupazione. Parte pratica 4. Le tecniche di laboratorio Prima di entrare nel vivo della parte sperimentale è utile approfondire alcune tecniche di laboratorio per capire il loro significato e la loro funzione. Si tratta delle tre tecniche più utilizzate nella parte sperimentale. Cromatografia su strato sottile La cromatografia su strato sottile (TLC, thin layer chromatography) è una tecnica di analisi qualitativa di piccolissime quantità di sostanza basata sulla ripartizione solido-liquido. È molto importante e diffusa perché di semplice preparazione e perché permette di separare in modo rapido una miscela. Il supporto più comune è una lastrina rivestita da un sottile strato assorbente (costituito da gel di silice, ossido d’alluminio, cellulosa), che prende il nome di lastrina per strato sottile. In prossimità della base della lastrina si pone, tramite una serie di ripetute applicazioni con una pipetta, una piccola macchia del campione da analizzare. La lastrina viene poi posta verticalmente in un recipiente contenente uno strato di solvente opportunamente scelto (il livello del solvente deve essere inferiore a quello della macchia applicata) e accade che quest’ultimo, per effetto di capillarità, salga lungo lo strato sottile di assorbente. Siamo nella fase in cui la lastrina viene sviluppata o, in termine tecnico, viene fatta correre. Durante questo sviluppo, man mano che il solvente sale, il campione viene ripartito tra la fase mobile liquida e quella stazionaria solida, e la lastrina diventa visibilmente bagnata. Le diverse componenti della miscela sono così separate in base, generalmente, a questo principio: la fase stazionaria (lo strato di adsorbente) è molto polare e lega fortemente le sostanze più polari contenute nel campione, la fase mobile (il solvente), al contrario, è meno polare dell’adsorbente, sciogliendo più facilmente le sostanze poco - 36 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio o, addirittura, non polari. Ad esempio, dunque, un solvente non polare “trascinerà” le sostanze non polari più velocemente verso l’alto, mentre quelle più polari, le muoverà più lentamente o le lascerà ferme (principio del “simile scioglie il simile”). La risalita può durare da una decina di minuti a oltre un’ora. Sviluppo di una cromatografia 38 La lastrina sviluppata viene tolta dal recipiente di sviluppo (si traccia a matita una riga lungo il fronte del solvente) e fatta asciugare finché non è più presente il solvente. Se tutto è avvenuto correttamente, si osserverà che la macchia di miscela applicata inizialmente sulla lastrina è stata separata in una serie verticale di macchie. Nel caso in cui si tratta di sostanze colorate le varie macchie saranno chiaramente visibili, nel caso in cui, invece, le sostanze sono incolori le macchie non si possono vedere ad occhio nudo. In questi casi si ricorre a metodi di visualizzazione che rendono evidenti le macchie o a reagenti di visualizzazione che sviluppano macchie colorate. Un esempio del primo caso è quello di porre la lastrina sotto la luce ultravioletta, un esempio del secondo è lo iodio che, reagendo con parecchi composti organici, genera composti di colore bruno o giallo. Alla fine si può procedere con la misurazione del valore di ritenzione, o Rf. Per il suo calcolo basta misurare la distanza che il composto ha percorso dal punto dove è stato originariamente applicato e dividerla per la distanza percorsa dal fronte del solvente: Rf = dist anza percorsa dalla macchia dist anza percorsa dal fronte del solvente Il valore Rf rappresenta un sistema di identificazione e di confronto, ma molto spesso è più utile per una persona nel suo laboratorio che per molte persone in laboratori diverse. Infatti questi valori non sono costanti fisiche perché possono variare a dipendenza del solvente scelto e della lastrina impiegata, oppure perché è molto difficile ricreare esattamente le stesse condizioni di misura tra una macchia e l’altra o tra un operatore e l’altro. Quando viene impiegato per identificare un composto sconosciuto deve essere accompagnato da un’altra misura, il riconoscimento, infatti, non può avvenire sulla base di una sola misurazione, in quanto diversi composti possono avere lo stesso Rf. In ogni caso, conoscendo esattamente i particolari di lastrine e solventi impiegati, oppure applicando sulla stessa lastra una macchia di una sostanza conosciuta e una di una sostanza sconosciuta, il valore di ritenzione risulta essere un’indicazione molto utile per fare previsioni accurate. 38 Immagine tratta da: http://en.wikipedia.org/wiki/Thin_layer_chromatography - 37 - Gioele Capoferri Chimica Calcolo dei valori di Rf LAM, Liceo Mendrisio 39 Estrazione con solvente Si tratta di una tecnica basata sul trasferimento di un soluto da un solvente ad un altro e utilizzata per separare prodotti naturali o per purificare sostanze impure. L’estrazione avviene utilizzando due solventi con differente miscibilità; essi possono essere distinti tra quelli più densi dell’acqua, come il diclorometano, il cloroformio e il tetracloruro di carbonio, e quelli meno densi dell’acqua, come l’etere di petrolio, il benzene, l’acetato di etile e l’etere ciclico. I due liquidi vengono inseriti in un imbuto separatore, e, dopo un po’ di agitazione a mano e olio di gomito, si suddividono in due fasi: la fase acquosa e la fase organica. Imbuto separato re e modo corretto per agita re e la scia re sfogare l’imbuto sepa ratore 39 40 Immagine tratta da: PAVIA DO NALD, LAMPMAN GARY M., KRIZ GEORGE S., Il labora torio di chimica organica, Sorbosa, pag. 626. 40 Vedi nota 38, pag. 547 - 38 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Il processo di estra zione: A) Il solvente 1 contiene una miscela di due molecole diverse (palline biche e n ere), che si desidera separare. Si aggiunge in secondo solvente (colora to in grigio), immiscibile con il primo, e si agita energicamen te. B) Dopo la separa zione in due strati, la maggior pa rte (ma non tutte) delle molecole bianche risultano 41 estratte nel nuovo solvente. C) Sepa rando i due strati, le molecole bian che e nere sono state parzialmente sepa rate ( ) La distribuzione ottenuta delle due fasi una volta compiuta la loro suddivisone e l’equilibrio instauratosi tra la concentrazione del soluto in uno e l’altro solvente, sono regolati dall’equazione: C K= 2 C1 dove K è il coefficiente di distribuzione (o di partizione) e C 1 e C2 sono le concentrazioni all’equilibrio (in grammi per litro) del soluto in questione rispettivamente nel solvente 1 e nel solvente 2. Tranne che per un K molto elevato, è raro trasferire il soluto dal solvente 1 al 2 con un’unica estrazione, infatti normalmente sono necessarie più estrazioni. Per esempio, per estrarre la caffeina (prodotto naturale) da una soluzione acquosa di tè la si può agitare successivamente con diverse porzioni di cloruro di metilene. Viceversa, le impurezze contenute in una miscela ottenuta da una reazione organica sono estraibili con l’acqua. Un ruolo importante nell’attrezzatura dell’estrazione è assolto dall’imbuto separatore, che per questo motivo deve esse usato al meglio. Una volta riempito e assicuratosi di avere chiuso il rubinetto, lo si deve agitare tendendo ben fisso il tappo. Il mescolamento dei due solventi immiscibili provoca nel recipiente un aumento della pressione che può avere conseguenze negative. La situazione di sovrapressione può essere quindi contrastata aprendo ogni tanto e lentamente il rubinetto. Questa operazione di sfogo della pressione e di sfiatatura va ripetuta fino a quando non si sente più uscire gas dall’imbuto. Infatti a questo punto la miscela è equilibrata e si può procedere con la separazione delle due fasi (ricordandosi di levare il tappo messo nell’apertura superiore per agitare). Si lascia fuoriuscire lo strato inferiore regolando il deflusso con il rubinetto fino a che la superficie di separazione dei due strati non si trovi in prossimità del rubinetto. Lo strato superiore rimasto nell’imbuto lo si toglie attraverso l’apertura superiore. 41 Vedi nota 38, pag. 542 - 39 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Spettroscopia UV In generale, le tecniche spettroscopiche sono basate sullo scambio di energia che avviene tra la materia e l’energia radiante e si analizza un campione per mezzo della sua interazione con le radiazioni elettromagnetiche. La più interessante da un punto di vista chimico è la spettroscopia nell’infrarosso (IR), ma molte sostanze organiche possono essere studiate con la spettroscopia nell’ultravioletto (UV), in quanto tali sostanze assorbono luce di queste lunghezze d’onda. Questa tecnica richiede l’uso di uno spettroscopio, che dà origine a spettri dai quali è possibile trarre informazioni utili per Lunghezza d’onda (λ) l’identificazione della sostanza. Lo spettro, generalmente, riporta l’energia emessa o assorbita in funzione della lunghezza d’onda (λ), misurata in nanometri (vedi figura “lunghezza d’onda (λ)”42). Quest’ultimo è uno dei tre fattori che caratterizzano la luce, gli altri due sono: la frequenza (ν), inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda, e l’ampiezza. La lunghezza d’onda della luce visibile all’uomo va da circa 400 a 700 nm, lunghezze d’onde minori corrispondono a raggi ultravioletti (da 10 a 400 nm), raggi X e raggi gamma. Lunghezze d’onda maggiori, invece, appartengono agli infrarossi (da 700 nm a 1 mm), microonde e onde radio. Tornando alla spettroscopia, sappiamo che è basata sull’interazione molecola - radiazioni (di diversa lunghezza d’onda), e volendo misurare il cambiamento subito dal campione in seguito al contatto con la luce, bisogna conoscere alcune leggi legate all’assorbimento della luce. Una di esse è la legge di Lambert-Beer: A = ελ l c. La A è l’assorbanza, ovvero la “densità ottica”, data dal logaritmo del rapporto tra l’intensità della luce che entra nel campione e quella della luce che esce dal campione, mentre ελ è il coefficiente d’assorbimento molare, c è la concentrazione molare della soluzione (mol/litro), e l è la lunghezza in centimetri del campione attraversato (vedi figura “un fascio di…”43). La lunghezza l negli spettroscopi corrisponde alla lunghezza della Un fascio di luce di intensità I0 attraversa un ca mpione di spessore l di una soluzione a concen trazione c, e riemerge con un’intensità I1 cuvetta (normalmente è 1 cm), la cella trasparente che si riempie con il campione da analizzare. Durante una spettroscopia, la cuvetta (contenente il campione) è attraversata dalla luce e grazie a un rilevatore viene misurata l’intensità di luce assorbita (l’assorbanza). Bisogna però sapere che solo le sostanze che contengono elettroni mobili presentano assorbimento nell’ultravioletto, poiché questo assorbimento è dovuto ai salti degli elettroni da un livello energetico all’altro (transizioni elettroniche). Tramite una spettroscopia UV si ricavano dunque grandezze utili per l’analisi del campione. 42 43 Immagine tratta da http://it.wikipedia.org/wiki/Lunghezza_d%27onda Immagine tratta da: http://it.wikipedia.org/wiki/Legge_di_Lambert-Beer - 40 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio 4.1. Ricerca dei coloranti artificiali Obiettivo dell’esperienza Lo scopo di questa esperienza è quello di estrarre i coloranti dalla bevanda per poi identificarli tramite una cromatografia su strato sottile e confrontare se corrispondono con quelli indicati sull’etichetta. Bevande utilizzate: Burn (colorante dichiarato in etichetta E129) e Powerade orange (colorante dichiarati in etichetta E104-E110) Spiegazione dell’esperienza Gran parte dei coloranti artificiali usati nell’industria alimentare per colorare svariati cibi e bevande è di natura acida. Tale caratteristica permette di fissarli su fili di lana, in bagno acquoso acido e a caldo, esattamente ciò che avviene nella tintura dei vestiti (dove la lana e la seta, di carattere basici, sono tinte con coloranti acidi). Su questo principio è basato il vecchio metodo d’Arata (nato nel mondo dell’enologia), che consiste nel concentrare per ebollizione 100 ml di vino fino a ridurre il volume ad 1/3, acidificare con acido cloridrico, aggiungere alcuni fili di lana sgrassata e far bollire per alcuni minuti. La lana viene lavata prima con acqua fredda, poi posta in acqua acidificata con HCl che si porta ad ebollizione, ripetendo l’operazione fino ad ottenere acqua incolore. A questo punto la lana viene posta in acqua addizionata di ammoniaca che si porta all'ebollizione. La soluzione decantata viene acidificata con HCl, vi si introduce un filo di lana e si fa bollire nuovamente. Il metodo si presta bene anche in altri settori, come quello delle aranciate o di altre bevande. Il modo di operare varia, nella fase iniziale, a seconda della natura dell’alimento o bevanda sui quali si deve effettuare la ricerca. Procedimento 1. Nel caso in cui la bevanda impiegata fosse gasata, è consigliato sgasare la bevanda; il metodo più rapido è farlo usando un magnete (centrifugando). 2. Si acidificano con HCl (fino a quando la cartina tornasole diventa rossa, ovvero acido) 100 mL circa della bevanda in esame, vi si immerge un filo di lana pura e sgrassata (lungo circa 10-15 cm) e si fa bollire il tutto per 5 minuti. In queste condizione il colorante artificiale (acido) si fissa sulla lana (basica), insieme con varie impurità che in parte vengono allontanate con ripetuti - 41 - Esperienza svolta con burn e powerade Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio lavaggi con acqua. 3. Per completare la purificazione, si pone il filo di lana in un matraccio (o bicchiere) e aggiungendo 50 mL di H2O alcalinizzata con NH3 (3 o 4 gocce) e facendo bollire moderatamente per 10 minuti. In queste condizioni di pH basico, il colorante passa in soluzione, mentre le impurità restano sulla lana. 4. Si diluisce la soluzione alcalina colorata, si continua a far bollire fino a scomparsa dell’odore ammoniacale. 5. A questo punto si effettua una seconda fissazione: si lascia raffreddare e si aggiungono poche gocce di HCl fino a reazione nettamente acida, Infine si introduce un nuovo filo di lana e si fa bollire per 5 minuti. 6. Operando la doppia fissazione su lana si ha la certezza che, se il secondo filo è colorato, l’alimento o la bevanda esaminati sono stati addizionati di uno o più coloranti artificiali che a questo punto si trovano fissati su un tessuto allo stato puro. 7. Per identificare i coloranti che sono stati così isolati dall’alimento, si riportano in soluzione dalla lana (cfr. punto 3), quindi si sottopone la soluzione, opportunamente concentrata, a cromatografia su strato sottile. Oss.: per quanto riguarda il punto 2, nel nostro caso la bevanda “burn”, essendo già acida, ha necessitato l’aggiunta di solo una goccia di HCl, mentre il powerade ha richiesto l’aggiunta di 4 gocce dell’acido. Ecco il risultato della prima parte dell’esperienza, ovvero le soluzioni di colorante estratte da varie bevande: Estratto di: Burn Powerade orange Cromatografia dei coloranti su strato sottile SI semina sulla linea tracciata a matita su una lastra circa 0.5 µL di ogni soluzione standard dei coloranti che si suppone siano presenti e una quantità di campione tale da ottenere una macchia ben colorata e diffusa. Come eluente, è possibile utilizzare le seguenti miscele: - 42 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio a. Isopropanolo - ammoniaca (80%v-20%v) vedi osservazione 1 pagina seguente b. Butanolo / etanolo / metanolo / acqua / acido acetico: 60 / 10 / 15 / 20 / 0.5 in V c. 10 mL di ammoniaca / 40 mL di acqua / 1g di citrato trisodico POWERADE BURN E133 E131 E104 E110 Schizzo lastra iniziale: Note 44: • • E104: giallo di chinolina E110: giallo arancio S (o giallo tramonto FCF) • E131: blu patent V • E133: blu brillante FCF Osservazioni: 1. Non abbiamo utilizzato il solvente composto da isopropanolo e ammoniaca perché non separa bene i coloranti blu. 2. Il laboratorio della sede è sprovvisto dei coloranti standard E129 (contenuto nel Burn), E101, E150. Risultati La seguente figura riporta la lastra ottenuta dalla cromatografia effettuata nel solvente b: Burn 44 Powerade orange http://it.wikipedia.org/wiki/Additivi_alimentari - 43 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio In base alla distanza delle varie macchie sono stati calcolati i seguenti valori di Rf: dist anza macchia Rf = (da sinistra verso destra) dist anza solvente 1 .4 = 0.26 5 .3 0 .6 E104: Rf = = 0.11 5 .3 3 .1 E131: Rf = = 0.59 5 .3 1 .6 E133: Rf = = 0.30 5 .3 1 .4 burn: Rf = = 0.26 5 .3 E110: Rf = 0 .6 = 0.11 5 .3 1 .1 Rf (sopra) = = 0.21 5 .3 Powerade orange: Rf (sotto) = Spettro UV dei coloranti Visto che dall’osservazione della cromatografia non potevamo dedurre quale colorante potesse contenere il Burn a causa dell’assenza dello standard E129 in laboratorio, abbiamo optato per l’esecuzione di un’ulteriore analisi: lo spettro UV dei coloranti. Abbiamo colto l’occasione per effettuare anche uno spettro del Powerade orange, per una maggiore sicurezza. Per procedere con lo spettro UV, si scioglie una goccia del colorante estratto dalla bevanda in una soluzione 0.02 M di acetato di ammonio. Si esegue quindi lo spettro. Infine, nel caso del Burn, si confronta il valore dell’assorbimento con quello teorico di 502 nm. Nel caso del Powerade orange si fa un raffronto fra gli spettri ottenuti con la miscela di coloranti estratta dalla bevanda e i coloranti standard. - 44 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Risultati Spettro UV del Burn Spettro UV del Powerade orange Spettro UV dello standard E104 Spettro UV dello standard E110 - 45 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Valori teorici di assorbimento 45: E104: max 290 nm max 416 nm E110: max 235 nm max 314 nm max 482 nm Commento ai risultati Per quanto riguarda la cromatografia, per rilevare i risultati è meglio fare riferimento all’immagine della lastra, piuttosto che ai valori di ritensione (Rf). Burn: come già anticipato, ci risulta pressoché improbabile fare un riferimento alla cromatografia per stabilire quali coloranti contenga questa bevanda. Precisamente, consultando gli ingredienti indicati sull’etichetta della bibita in questione, abbiamo osservato che i coloranti presenti nel Burn sono l’E129 e l’E150d. sfortunatamente questi coloranti, come già più volte accennato, non sono presenti in laboratorio. Da questo punto di vista ci risulta, dunque, difficile trarre delle conclusioni. A questo punto, una valida alternativa, la giocano gli spettri UV. Infatti, nello spettro della bevanda, si nota l’assorbimento a 502 nm (cerchio rosso), standard docet. Finalmente possiamo dedurre che un colorante contenuto nel Burn sia l’E129. Powerade orange: osservando la lastra (vedi indicazioni in blu) constatiamo che la traccia segnata dalla nostra bevanda combacia, prima, con quella dello standard E104 e più in su, con quella dell’altro standard, l’E110. I valori di ritensione ottenuti ci permettono di dedurre con più certezza nel primo caso (sotto), un po’ meno nel secondo (sopra), che i coloranti contenuti in questa bevanda siano l’E104, rispettivamente l’E110. Infatti il primo risultato coincide esattamente con quello del giallo di chinolina, il secondo si distanzia solo di 0.05 da quello del giallo tramonto. Pure confrontando gli spettri UV risulta quanto dedotto finora. L’etichetta del Powerade orange dichiara di contenere, come coloranti, l’E104 e l’E110, confermando così le nostre analisi. 4.2. Ricerca qualitativa degli zuccheri Obiettivo dell’esperienza Lo scopo di questi test è dimostrare qualitativamente la presenza di zuccheri nelle bevande energetiche. Introduzione all’esperienza Molti alimenti contengono zuccheri riducenti 46 (ad esempio glucosio e fruttosio), e la loro presenza può essere facilmente dimostrata ricorrendo alla reazione di Fehling. A questo fine 45 Tratti da: Schweizerisches Lebensmittelbuch - 46 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio occorre innanzitutto preparare il reattivo di Fehling, un reagente specifico per le sostanze con carattere riducente, suddiviso in Fehling A e Fehling B. Nel nostro caso le due soluzioni sono già pronte in laboratorio, ma è bene conoscere la loro composizione: Reattivo di Fehling A: in 100 mL di acqua distillata o deionizzata si sciolgono 7 g di solfato di rame (CuSO4), un sale di colore blu e facilmente reperibile in quanto molto usato in agricoltura e giardinaggio. Reattivo di Fehling B: in 80 mL di acqua distillata calda si sciolgono 34 g di sale di Seignette (tartrato doppio di sodio e potassio, reperibile in farmacia) e 12 g di idrossido di sodio (NaOH), si lascia raffreddare la soluzione e poi si aggiunge acqua sino a 100 mL. Le due soluzioni vanno conservate separatamente; si mescolano in parti uguali solo al momento dell’uso e nella quantità necessaria per l'esperienza. La miscela delle due soluzioni, che ha un colore blu intenso, deve essere utilizzata entro non più di 10 minuti dalla preparazione. Spiegazione dell’esperienza È opportuno sapere che gli zuccheri possono comprendere due tipi di gruppi funzionali: aldeidico o chetonico (vedi capitolo zuccheri). Il primo attribuisce un potere riducente maggiore del secondo. Questo perché i chetoni difficilmente si ossidano, ma si possono ridurre ad alcoli secondari (addizione di H2), mentre le aldeidi si possono ossidare ad acidi carbossilici (R-COOH), trovandosi a loro agio nelle vesti di riducente. La verifica sperimentale di quanto detto sopra si effettua, come anticipato nell’introduzione, con il reattivo di Fehling. In questo reattivo è presente del Cu2+, ione dal tipico colore blu, che può essere ridotto a Cu+, precipitando sotto forma di Cu2O (colore mattone), per azione di un agente riducente. Bevande utilizzate: Red Bull sugarfree (light) e Migros Budget energy drink Procedimento Esecuzione di un test qualitativo per gli zuccheri riducenti (test di Fehling) 1. Si decolora circa 50 mL di bevanda con del carbone attivo. 2. Si filtra la soluzione ottenuta. 46 Se nel corso di una reazione chimica, un atomo c ede elettroni, si dice che la specie chimica si ossida. Con il termine riducente si intende un elemento o un composto chimico che tende a cedere elettroni. - 47 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio 3. Si pipetta in un recipiente 10 mL di reattivo di Fehling (5 mL di soluzione A e 5 mL di soluzione B) e 40 mL di acqua distillata. Si fa bollire la soluzione e si aggiunge poco a poco la bevanda decolorata (aggiungerne circa 25 mL al massimo). 4. In presenza di zuccheri riducenti, il liquido acquisterà una colorazione rosso mattone (Cu2O). Risultati Fase di filtraggio (punto 2) Composto ottenuto dalla reazione tra la bevanda decolorata Migros Budget energy drink e il reattivo di Fehling. Fasi di pipettaggio del Red Bull sugarfree: Commento ai risultati L’energy drink della Migros budget, al termine del test qualitativo per gli zuccheri riducenti, assume una colorazione rosso mattone-arancione. Questo sembrerebbe dimostrare che la bevanda contenga zuccheri riducenti. - 48 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Di principio, la Red Bull light, che per la sua natura è priva di zuccheri, non dovrebbe contenere nessuna di queste sostanze. Tuttavia, con nostro stupore, al termine del test sugli zuccheri riducenti presenta sfumature di rosso mattone. Ciò ci ha portati ad effettuare un secondo tentativo, ma l’esito non è cambiato. Lo stupore della scoperta, ovvero della presenza di zuccheri in una bevanda sugarfree, ha avuto vita breve. Infatti dopo una breve ricerca abbiamo scoperto che la bevanda contiene il glucoronolattone. Si tratta di un carboidrato che nulla ha a che fare con gli zuccheri riducenti, ma che, possedendo un gruppo aldoso, interagisce con il reattivo di Fehling. È inserito nelle bibite energetiche con altri scopi (vedi componenti bevande energetiche). 4.3. Test di Tollens per gli zuccheri riducenti Obiettivo dell’esperienza Anche in questa analisi si tratta di determinare la presenza di zuccheri riducenti nelle bevande energetiche. Introduzione all’esperienza Con reattivo di Tollens si intende, solitamente, l’idrossiammoniato d'argento, la cui formula molecolare è Ag(NH3)2+. Tale reagente è utilizzato in chimica per individuare le aldeidi in una soluzione e distinguerle dai chetoni. Le aldeidi, infatti, reagiscono con il reattivo mediante una reazione di ossido-riduzione. Spiegazione dell’esperienza Gli ioni argento ossidano il gruppo carbonilico delle aldeidi e degli zuccheri riducenti a ione carbossilato e contemporaneamente si riducono ad argento metallico: Si osserva precipitazione di un solido nero (argento metallico finemente suddiviso) accompagnata, se la provetta è sufficientemente pulita e sgrassata e se la reazione è sufficientemente lenta, dalla formazione di un sottile specchio d'argento, che permette chiaramente di verificare che la reazione sia avvenuta o meno. Anche se non si forma lo specchio d'argento, qualora si verifichi formazione di un solido nero o marrone scuro il test si deve comunque considerare positivo. Bevande utilizzate: Gatorade tropical e Red Bull light - 49 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Procedimento Dopo aver preparato alcune soluzioni standard di zuccheri (glucosio, fruttosio, saccarosio) alla concentrazione di circa 1% m/m, si procede alla preparazione del reattivo di Tollens, seguendo la seguente procedura: 1. In una beuta si mescolano volumi uguali di soluzione al 5% (m/m) di nitrato d'argento e di soluzione 2 M di idrossido di sodio; gli ioni argento reagiscono con gli ioni ossidrile formando ossido d'argento, un solido di colore marrone, secondo la reazione (a): 2. Nella sospensione così ottenuta si aggiunge, goccia a goccia ed agitando dopo ogni aggiunta, una soluzione di ammoniaca al 10%, interrompendo l'operazione non appena il solido si è disciolto completamente: la soluzione risultante (incolore) è il reattivo di Tollens che, a questo punto, può essere distribuito tra più provette. L'aggiunta di soluzione ammoniacale alla sospensione di ossido d'argento determina la formazione di ioni complessi tra gli ioni argento e l'ammoniaca secondo la reazione (b): La reazione (b) influisce sulla posizione dell'equilibrio (a) e più precisamente fa spostare l'equilibrio (a) verso sinistra determinando la dissoluzione dell'ossido d'argento: se la quantità di soluzione ammoniacale aggiunta è sufficientemente elevata tutto il solido si discioglie e tutto l'argento si viene a trovare in soluzione, in gran parte come complesso ammoniacale, Ag(NH3)2+, e in minor percentuale come ione idratato, Ag +(aq). Avvertenze • • Nel preparare il reattivo bisogna evitare di aggiungere troppa soluzione di ammoniaca perché un suo eccesso compromette la riuscita del test. Il reattivo deve essere preparato sul momento. Terminata l’esperienza occorre smaltire immediatamente il contenuto delle provette e lavarle poiché esso tende, in seguito ad evaporazione, a formare dei solidi esplosivi come l’argento ammide (AgNH2), il nitruro d’argento (Ag3N) e il fulminato d’argento (CNOAg). 3. Una volta preparato il reattivo di Tollens, distribuirne due-tre millilitri in ogni provetta (in totale sono 6). In una provetta si aggiungono alcune gocce della soluzione decolorata della bibita da testare (diluita 1:4) e, per confronto, nelle altra provette si aggiungono alcune soluzione all’1% m/m di alcuni standard (glucosio, fruttosio, saccarosio, aldeide formica 0.1%). - 50 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Risultati Ecco di seguito l’elenco delle provette con i relativi commenti: Provetta 1: formaldeide la soluzione si scurisce (precipitazione di Ag finemente suddiviso) ma non si forma nessuno specchio d’argento; Provetta 2: glucosio accenno ad uno specchio d’argento; Provetta 3: saccarosio il saccarosio non reagisce, la soluzione rimane quindi invariata; Provetta 4: Gatorade tropical accenno ad uno specchio d’argento; Provetta 5: Red Bull light accenno ad uno specchio d’argento; Provetta 6: fruttosio si forma il miglior specchio d’argento del test. Esempi di alcune provette in cui è avvenuta la formazione dello specchio d’argento Commento ai risultati Siccome il test è da considerarsi positivo anche nel caso in cui la soluzione nella provetta assuma un colore marrone scuro, possiamo affermare che nelle provette 2,4,5 e 6 vi è almeno un accenno di zuccheri riducenti. 4.4. Determinazione quantitativa degli zuccheri Obiettivo dell’esperienza Quantificare gli zuccheri presenti in 100 mL di bevanda e confrontare i risultati ottenuti con il valore dichiarato sull’etichetta dell’energy drink. Bevanda utilizzata: Red Devil (zuccheri dichiarati in etichetta: fruttosio e saccarosio) - 51 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Procedimento 1a titolazione - determinazione degli zuccheri riducenti 1. Il liquido da analizzare deve contenere da 0.5 a 5 g/L di zucchero (altre fonti: massimo 1%, quindi massimo 10 g/L), per cui bevande molto dolci vanno diluite (es.: 1:5). A tal fine si può eseguire una determinazione orientativa come segue: in un recipiente si pipettano 10 mL di reattivo di Fehling (5 mL soluzione A e 5 mL soluzione B) e 40 mL di acqua distillata. Si fa bollire la soluzione e si aggiunge la bevanda goccia a goccia fino a quando l’intorpidimento dovuto all’ossidulo di rame acquisti un bel colore rosso mattone. Se il volume della bevanda aggiunto è 5-10 mL, significa che la concentrazione degli zuccheri riducenti è minore dell’1% e quindi si può lavorare con la bevanda cosi com’è, se il volume è inferiore a 5 mL bisogna diluire la bevanda. 2. Si preparano circa 50 mL di bibita diluita (1:5). 3. Si riempie una buretta con la bevanda diluita da analizzare. 4. In una beuta si pipettano 10 mL di reattivo di Fehling (5 mL soluzione A e 5 ml di soluzione B) e si aggiungono 40 mL di acqua distillata. 5. La soluzione azzurra così ottenuta si porta ad ebollizione, dopodiché si comincia ad aggiungervi lentamente la bevanda dalla buretta; inizia a formarsi l’ossidulo di rame (Cu2O) di colore rosso. 6. Per poter cogliere il punto finale della titolazione si aggiungono alcune gocce di una soluzione di blu di metilene all’1% come indicatore di ossido-riduzione. Dopo questa aggiunta il liquido contenuto nella beuta, che viene mantenuto all’ebollizione durante tutta la titolazione, assume un colore verdastro come conseguenza del miscuglio di più colori: il blu dell’indicatore e del rame complessato non ancora ridotto, ed il rosso del Cu2O che viene via via a formarsi. 7. Quando tutto il rame è stato ridotto, cioè al punto equivalente, lo zucchero in eccesso contenuto nella prima goccia di bevanda riduce il blu di metilene a leucoderivato incolore e quindi il colore vira dal verdastro al rosso vivo. 8. A questo punto, essendo terminata la titolazione, si legge sulla buretta il volume di bevanda impiegato e si calcola il contenuto di zucchero (ricordandosi del fattore di diluizione applicato alla bevanda). In generale: 1 mL soluzione di Fehling corrisponde a 0.00515 g di zuccheri riducenti. 2a titolazione - determinazione del saccarosio 1. A 20 mL di bevanda diluita 1:5 aggiungere 1 mL di HCl concentrato. - 52 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio 2. Agitare e porre il pallone/beuta su bagno maria a 70°C per 15 minuti: in queste condizioni si ha l’inversione del saccarosio. 3. Raffreddare rapidamente. 4. A questo punto procedere alla determinazione degli zuccheri totali con la titolazione spiegata precedentemente. 5. Per determinare la quantità di saccarosio presente, sottrarre agli zuccheri totali ottenuti quelli riducenti ricavati dalla prima titolazione. Osservazione a) la difficoltà dell’esperienza e la potenziale fonte di errori sta nel capire il momento esatto in cui il reattivo di Fehling cambia colore, perché tale cambiamento non è netto ma progressivo; b) gli zuccheri riducenti si esprimono come grammi di zucchero invertito 47 per litro di bevanda. 1 mL di liquido di Fehling corrisponde a 0.00515 g di zucchero invertito (quindi 10 mL corrispondono a 0.0515 g di zucchero invertito), da cui si può risalire alla percentuale di zucchero realmente contenuto nella bevanda. Risultati Volume titolante aggiunto = 2.4 mL 0.0515 g x = x = 2.1458 2.4 mL 100 mL · 5 (fattore di diluizione) 10.7 g/100 mL 2a titolazione Bevanda zuccheri indicati in etichetta (g/100 mL) Red Devil 12.50 mL bevanda Zuccheri per zuccheri totali (g/100 totali mL) 2.40 10.70 1a titolazione mL bevanda per zuccheri riducenti zuccheri riducenti (g/100mL) saccarosio (g/100 mL) 3.00 8.60 2.10* * Zuccheri totali – zuccheri riducenti = 10.70 g – 8.60 g = 2.10 g 47 Lo zucchero invertito è semplicemente il saccarosio, che per esigenze dell’industria alimentare (pr ecisamente per ottener e un prodotto più dolce), viene scisso nei due monosaccaridi, fruttosio e glucosio, di cui è composto. Tale scissione avviene per idrolisi acida, con la quale la molecola di saccarosio si scinde nei due esosi componenti, il fruttosio e il glucosio, rendono disponibili i siti carbonilici per una reazione ossido riduttiva. Il saccarosio invertito può quindi ridurre il reattivo di Fehling. Si chiama “invertito” perché alla fine del procedimento le polarità di partenza risultano invertite. Infatti il saccarosio ha un potere rotatorio positivo mentre la miscela ha un potere rotatorio negativo. - 53 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Commento ai risultati Possiamo affermare di avere ottenuto un risultato attendibile poiché il valore degli zuccheri totali riscontrato dalla nostra titolazione non si discosta di molto da quello dichiarato dall’etichetta. La differenza di circa 1.5 g/100 mL è probabilmente legata alla non facile lettura del cambiamento di colore durante la reazione, come già anticipato nelle osservazioni. Siccome sull’etichetta di questa bevanda, come sulla maggior parte degli energy drinks, è indicato un valore generico degli zuccheri contenuti, non possiamo sbilanciarci sulla quantità di saccarosio da noi misurata. 4.5. Estrazione di caffeina da bevande, analisi qualitativa e determinazione quantitativa della sua concentrazione Obiettivo dell’esperienza Lo scopo primario dell’esperimento è l’estrazione di caffeina da una bevanda energetica, per poi confrontarne la concentrazione risultata con quella teorica tramite analisi spettrofotometrica, e, infine, procedere con un’analisi qualitativa. Bevande utilizzate: Coca Cola e Red Devil Spiegazione dell’esperienza Innanzitutto è bene sapere che la caffeina, avendo gruppi funzionali basici (vedi gli atomi di azoto) è presente perlopiù sotto forma protonata, i cui cationi (o basi protonate) sono più solubili in un solvente polare, come l’acqua, che in uno apolare, come il diclorometano. Quindi per estrarre la caffeina da bevande molto acide, quali Coca Cola e bevande energetiche, bisogna aggiungere NH3, ovvero ammoniaca (base debole). L’aggiunta di quest’ultima, comporta un aumento della concentrazione di ioni OH- e in modo indiretto di quella della caffeina non protonata (per il principio di Le Châtelier, aggiungere OH- equivale a togliere H3O+, e di conseguenza significa spostare l’equilibrio dalla parte dove si è tolto qualcosa, in questo caso dalla parte della caffeina non protonata). Di fatto è sotto questa forma che ci interessa: essendo meno polare è più facilmente estraibile con il diclorometano. Caffeina in forma basica (non protonata) Caffeina in forma acida (protonata) - 54 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Procedimento 1. A 25 mL di bevanda sgasata, ovvero agitata con un agitatore magnetico per almeno 5 minuti, si aggiungono alcune gocce di NH3 concentrata, in modo che il pH sia basico (controllare con la cartina tornasole). 2. Si estrae in un imbuto separatore con 30 mL di diclorometano, agitando per 3-5 minuti. Si pone la fase sottostante in un becher e si ripete l’estrazione per altre due volte. 3. Si uniscono nel becher le 3 fasi organiche in cui si trova disciolta la caffeina, le si disidrata con qualche spatola di Na2SO4 e si filtra con un filtro di carta. Si porta a volume 100 mL con diclorometano in un matraccio. 4. Arrivati a questo punto si possono eseguire due analisi: una qualitativa della caffeina (spettro UV, cromatografia e punto di fusione) e un’altra spettrofotometrica per determinare la concentrazione di caffeina nelle bevande. Fase di separazione delle due fasi a) Determinazione per via spettrofotometrica della concentrazione di caffeina - Si effettua con uno spettro UV della caffeina disciolta in diclorometano e lo si confronta con lo spettro UV della caffeina standard. La lunghezza d’onda di assorbimento massimo dovrebbe risultare 276 nm. - 55 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Risultati: Spettro UV del campione derivato dalla Coca Cola Spettro UV del campione derivato dalla Red Devil - Si prelevano 10 mL di fase organica e si portano a 25 mL con il solvente (diluizione necessaria per “rientrare” nei parametri dello spettro UV). A questo punto è bene fare un calcolo sulla diluizione totale (viste le numerose diluizioni intermedie): - 56 - Gioele Capoferri Chimica 100mL LAM, Liceo Mendrisio 25mL :4 25mL : 2,5 10mL Diluizione totale: 1/4 x 1/2,5 = 1/10 Prima di effettuare l’analisi dell’assorbimento UV della bevanda con la soluzione è necessario preparare una curva di taratura, misurando l’assorbimento a λ max = 276 nm di alcune soluzioni di caffeina in diclorometano a concentrazione nota, le preparate in questo modo: Soluzione madre 1: Soluzione madre 2: 25 mg di caffeina in 50 mL (concentrazione: 0.5 mg/mL) prelevo 5 mL e porto a 50 mL (conc.: 0.05 mg/mL) Dalla sol. madre 2: prelevo 2 mL e porto a 20 mL (conc.: 0.005 mg/mL) prelevo 4 mL e porto a 20 mL (conc.: 0.01 mg/mL) prelevo 8 mL e porto a 20 mL (conc.: 0.02 mg/mL) prelevo 16 mL e porto a 20 mL (conc.: 0.04 mg/mL) Dalla sol. madre 1: prelevo 10 mL e porto a 20 mL (conc.: 0.25 mg/mL) Misurando l’assorbimento di tutte le soluzioni a concentrazione nota si ottiene la seguente curva di taratura della caffeina: assorbimento curva di taratura caffeina (caff3) 2.5 2.4 2.3 2.2 2.1 2 1.9 1.8 1.7 1.6 1.5 1.4 1.3 1.2 1.1 1 0.9 0.8 0.7 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 0 y = 47.332x 0 0.005 0.01 0.015 0.02 0.025 concentrazione [mg/mL] 0.03 0.035 0.04 0.045 Adesso si misura l’assorbimento della bevanda e poi grazie alla retta costruita e alla legge di Lambert-Beer si può conoscere il valore della concentrazione di caffeina nella bevanda. - 57 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Risultati: bibita Coca Cola Red Devil assorbimento concentrazione concentrazione effettiva contenuto di caffeina massa caffeina misurata(mg/mL) nella bibita (mg/100 mL) teorico (mg/100 mL) pesata 0.5017 0.0106 10.6 10 x 1.8221 0.0385 38.5 33.8148 x x: massa insufficiente, non rilevante. b) Purificazione della caffeina e analisi: si concentra la fase organica con il rotavapor49, dopodiché si può purificare la caffeina per cristallizzazione ed effettuare una cromatografia come descritto più avanti, o eventualmente misurare la temperatura di fusione (se si ricava sufficiente caffeina). Il punto di fusione della caffeina è di 235°C, più il valore si abbasserà, più la caffeina estratta sarà impura. Rotavapor Cromatografia su strato sottile della caffeina Questa analisi ci permetterà di determinare se il nostro estratto contiene caffeina. Procedimento: - Sulla lastra si deposita in un punto prestabilito qualche goccia di caffeina standard, nel punto successivo qualche goccia dell’estratto di Coca Cola disciolto in diclorometano e nell’ultima posizione qualche goccia dell’estratto di Red Devil, anch’esso disciolto nel solvente diclorometano. - Si effettua una cromatografia su strato sottile utilizzando due diversi solventi di sviluppo: • solvente A: acetato di etile 85%, metanolo 10%, ammoniaca 5%; • solvente B: diclorometano 97%, etanolo 2%, ammoniaca 1%. 48 Valore estratto da http://www.energyfiend.com/caffeine-content/red-devil L'evaporatore rotante o Rotavapor, è un apparecchio utilizzato comunemente per allontanare i solventi da una soluzione di un composto d'interesse, tramite evaporazione a bassa pressione 49 - 58 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio - Dopo una mezzoretta si estraggono le lastre dai solventi A e B per osservarle con la lampada UV. Commento ai risultati a) In entrambi gli spettri UV si nota l’assorbimento a 279 nm (vedi il picco cerchiato), confermando che il composto derivato dalla bevanda contiene caffeina, in quanto anch’essa assorbe a 279 nm. Si può affermare con discreta certezza che il valore del contenuto di caffeina indicato sull’etichetta da Coca Cola corrisponde suppergiù al valore ottenuto dalla nostra analisi, anche se quest’ultima è condizionata da possibili imprecisioni derivate dalla sperimentalità e dal lavoro nel laboratorio. A conferma di questo fatto è il valore ottenuto con l’altra bevanda, la Red Devil: la concentrazione effettiva ottenuta di caffeina si distanzia, anche se solo di 4.69 mg/100mL, dal valore dichiarato dalla casa produttrice. Rimane comunque il dubbio se non sia quest’ultima ad indicare un valore inferiore di caffeina a quello realmente contenuto. b) Per quanto riguarda la cromatografia, è stato necessario effetturare la cromatografia due volte, visto che la prima volta la concentrazione di caffeina seminata sulla lastra era troppo piccola. A livello qualitativo, la cromatografia ci ha consentito di confrontare la nostra caffeina estratta con la caffeina standard: visto che le distanze percorse dalle due macchie nel solvente è la stessa, possiamo concludere che il nostro estratto conteneva caffeina. c) La quantità di caffeina estratta non è stata sufficiente per effettuare il punto di fusione. 4.6. Estrazione dell’acido citrico Obiettivo dell’esperienza Lo scopo principale di questo test è l’estrazione dell’acido citrico a partire dal succo di pompelmo. Introduzione all’esperienza L’acido citrico è una molecola organica appartenente alla famiglia degli acidi carbossilici. La sua formula molecolare è C 6H8O7 e quella di struttura50: Venne isolato la prima volta nel 1784 da Carl Wilhelm Scheele. 50 Immagine tratta da: http://it.wikipedia.org/wiki/Acido_citrico - 59 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Si presenta come una sostanza solida, essenzialmente incolore e solubile in acqua. È uno degli acidi organici più diffusi nel regno vegetale: lo si trova in quasi tutta la frutta (limone, pompelmo, ribes, mirtillo, cedro,…), nei legni, nei funghi, nel tabacco (in cui si trova sotto forma di sale di potassio e calcio). Per avere un’idea sulla sua concentrazione, il succo di limone ne contiene il 5-7%. Lo si può trovare persino nel vino e nel latte. È presente anche in tutti i tessuti degli esseri viventi aerobici (incluso l'uomo) ed è qui che ricopre il ruolo di maggiore importanza: infatti è un prodotto intermedio nel catabolismo dei carboidrati. Per questo motivo il relativo processo biochimico che prende il nome di ciclo di Krebs è anche chiamato ciclo dell’acido citrico. Nell’organismo umano, somministrato a basse dosi, promuove la rigenerazione ossea, mentre a dosaggi elevati può risultare tossico (test di laboratorio eseguiti su dei topi evidenziano una LD5051 di 3 g/kg). In origine lo si ricavava dal succo di limone mediante un complesso processo chimico. Al giorno d’oggi, grazie all’evolversi della tecnologia, lo si ottiene da un fungo transgenico (Aspergillus niger). Nell'industria alimentare viene impiegato come additivo alimentare (acidulante e/o conservante) ed identificato con la sigla E 330. L’acido citrico è anche utilizzato in campo farmaceutico (anticoagulante nella conservazione del sangue estratto, farmaco contro certi tipi di calcoli renali, antiacido, come conservante in alcuni medicinali,…) e nei detersivi (come agente sequestrante del calcio, per ridurre gli effetti della durezza dell’acqua). Procedimento 1. Si parte da 50 mL di succo, si aggiunge ammoniaca fino a reazione alcalina (verificare con la cartina tornasole, che deve assumere un colore blu). Il colore della soluzione diventa più scuro per la formazione di citrato di ammonio secondo la reazione: 2. Si elimina, se il caso, la parte insolubile della soluzione mediante filtraggio. 3. Per separare l’acido citrico dalle altre sostanze solubili si deve trasformare il citrato di ammonio in un sale di calcio, che è difficilmente solubile. A questo scopo si mette il filtrato in un bicchiere da 600 mL e si aggiunge una soluzione composta da 15 g di CaCl2 e 40 g di H2O. 4. Si porta ad ebollizione, in modo che appaia un precipitato bianco fioccoso costituito da citrato di calcio. 51 In tossicologia il termine LD 50 (che in inglese sta per "Lethal Dose, 50%") si riferisce alla dose di una sostanza, somministrata in una volta sola, in grado di uccidere il 50% (cioè la metà) di un determinato numero di cavie (generalmente ratti). - 60 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio 5. Si raffredda e si filtra; si lava il residuo sul filtro con acqua e si pone in un bicchiere, a cui si aggiungono 15 mL di H2O. 6. Per liberare l’acido citrico, occorre fissare il Ca in un sale più difficilmente solubile del precedente (CaSO4), preparando una soluzione formata da 1.25 mL di H2SO4 concentrata in 3.75 mL di H2O (attenzione, si tratta di una reazione esotermica) e versandola nel bicchiere contente il citrato di calcio. 7. Si porta ad ebollizione e poi si filtra il CaSO4. 8. Si scalda il filtrato contente l’acido citrico disciolto, a fiamma bassa, finché non compaiono dei cristalli. Si lascia raffreddare in modo che i cristalli si moltiplichino. 9. Si filtra, si essiccano i cristalli e si verifica il punto di fusione (circa 100°C, anidro 153°C) 10. Si calcola la resa cercando di prevedere in quali punti vi possono essere state delle perdite. La resa teorica è di circa il 10%. Soluzione d’acido citrico in ebollizione Risultati Massa iniziale: 50 mL 51.4 g Resa finale teorica: ca. 5 g Resa finale effettiva: 0.042 g Commento ai risultati Riscontrando una resa effettiva molto inferiore alla resa teorica, e quindi al di sotto delle aspettative, abbiamo provato a ipotizzare delle possibili cause: - un eccessivo riscaldamento del prodotto intermedio all’ottavo punto del procedimento; - i numerosi filtraggi operati durante il test (vedi procedimento). 4.7. Sintesi di un estere (n-ottilacetato) Obiettivo dell’esperienza Lo scopo è di ottenere l’n-ottilacetato (o acetato di ottile), un estere, mediante una reazione di esterificazione. Introduzione all’esperienza Le proprietà organolettiche di un estere sono sfruttate dall’industria alimentare per potenziare l’aroma di una bevanda. Per questa sua funzione “integrante” l’estere gioca un ruolo fondamentale negli aromatizzanti, una delle più vaste e conosciute classi di additivi alimentare. - 61 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Nel nostro caso, l’n-ottilacetato è responsabile dell’odore d’arancio (un aroma tipico delle bevande energetiche). Formula di struttura dell’acetato di ottile: gruppo carbonile catena alifatica (alcani) L’estere è il prodotto della reazione fra un alcool e un acido carbossilico (esterificazione di Fischer). Nel presente esperimento prepareremo l’n-ottilacetato per esterificazione diretta dell’acido acetico con ottanolo, impiegando l’acido solforico come catalizzatore. + H Poiché l’equilibrio è sfavorevole alla formazione dell’estere, esso deve essere spostato verso destra (a vantaggio del prodotto). Normalmente per avere questo risultato si usa un eccesso di uno dei due reagenti (secondo il principio di Le Châtelier). Nel nostro caso il reagente in eccedenza è l’acido acetico, e la reazione è quindi: + H CH3COOH + CH3(CH2)7OH acido acetico ottanolo CH3COO(CH2)7CH3 + H2O acetato d’ottile Procedimento 1. Si mettono 13 g di alcool ottilico e 25 g di acido acetico in un pallone da distillazione da 250 mL. 2. Si aggiungono con cautela circa 20 gocce di H2SO4 (attenzione, trattasi di una reazione esotermica). 3. Si aggiungono alcune pietrine di ebollizione. 4. Si attacca un condensatore e si scalda per circa un’ora. 5. Si raffredda la miscela, la si diluisce con 20 mL di acqua ed si estrae due volte con 20 mL di diclorometano. 6. Si versa la miscela ottenuta in un imbuto separatore e si aggiungono con cautela 55 mL di acqua fredda; si risciacqua - 62 - condensatore Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio il pallone vuotato con 10 mL di acqua fredda e si versa il risciacquo nell’imbuto, agitando con una bacchetta di vetro. 7. Si tappa l’imbuto e si agita rigorosamente per diverse volte (durante l’agitazione si fa sfiatare l’imbuto separatore a causa della produzione di CO 2); si lascia infine emulsionare le diverse fasi della miscela. 8. Si separa lo strato acquoso inferiore dalla fase organica superiore (D = 0.87 g/mL), dove rimane l’estere, fino a scartare totalmente lo strato acquoso (accertandosi di aver conservato la fase organica). 9. L’estere grezzo nello strato organico contiene un po’ di acido acetico, che si può eliminare per lavaggio con soluzione acquosa al 5% di bicarbonato sodico (Na2CO3). Si aggiungono cautamente 25 mL di tale soluzione allo strato organico, imbuto sepa ratore agitando poi l’imbuto con movimento rotatorio finché cessa lo sviluppo di anidride carbonica. 10. Si separa lo strato acquoso e si ripete l’operazione due o tre volte con altre porzioni di 25 mL di acqua. 11. Dal sommo dell’imbuto si versa l’estere in una beuta e seccarlo con 2 g di solfato di magnesio anidro. 12. Si tappa la beuta e la si agita dolcemente con movimento rotatorio, si lascia poi riposare il tutto finché il liquido diventa limpido (circa 15 minuti) e poi si filtra. 13. Arrivati a questo punto si esegue un’analisi qualitativa del composto ottenuto. Osservazione - Invece di 13 g di alcool ottilico e 25 g di acido acetico abbiamo impiegato rispettivamente 13.1 g e 25.4 g. - Alla fine dell’esperimento abbiamo versato i risultati di ogni gruppo del nostro LAM in un unico bicchiere di plastica. Il giorno seguente, la nostra professoressa M. Stamm, sistemando il laboratorio, ha notato che il contenitore di plastica si è sciolto e il nostro estere è fuoriuscito. Ad oggi non abbiamo ancora precisamente quale fosse la causa. Siamo comunque riusciti a recuperare una quantità di estere sufficiente per effettuare la successiva analisi. Identificazione per spettroscopia infrarossa (spettro IR) È bene accertarsi che il prodotto sintetizzato sia effettivamente acetato di ottile. Un metodo che ci permette di procedere nell’identificazione è la spettroscopia infrarossa con la tecnica del film liquido, che consiste nell’interazione tra la radiazione elettromagnetica e la materia. Per fare ciò occorre inserire un campione della sostanza ottenuta fra due lastrine di NaCl (attenzione, evitarne il lavaggio con H20, ma usare cloruro di metilene) e effettuare uno spettro IR. Le bande d’assorbimento con numero d’onda maggiore di 1500 cm-1 danno indicazioni dei gruppi funzionali - 63 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio (vedi tabella qui sotto), mentre la zona compresa tra 700 cm-1 e 1500 cm-1 si chiama “fingerprint” ed è caratteristica per ogni composto, ma non permette di trarre conclusioni sui gruppi funzionali. Spettroscopio IR del nostro laborato rio Risultati Spettro IR standard dell’acetato di ottile e del composto sintetizzato: banda degli alcani banda del gruppo carbonile - 64 - zona del fingerprint Gioele Capoferri Chimica banda degli alcani banda del gruppo carbonile LAM, Liceo Mendrisio zona del fingerprint Resa teorica: Massa molare CH3(CH2)7OH = 130 g/mol Massa molare CH3COO(CH2)7CH3 = 173 g/mol Massa (teorica): 13.1 g xg = x = 17.3 g 130 g / mol 173 g / mol Resa effettiva: 12.449 g Commento ai risultati - Comparando lo spettro IR ottenuto con quello standard, si nota che entrambi presentano i picchi di assorbimento degli alcani a circa 3000 cm-1 e del gruppo carbonile a circa 1780 cm-1. Inoltre anche la zona del fingerprint, caratteristica d’ogni sostanza, combacia. Per questo motivo possiamo affermare che la sostanza sintetizzata sia realmente acetato di ottile. Un elemento a supporto di questa considerazione è il fatto che l’odore del composto richiamava l’aroma d’arancio, aroma tipico di questo estere. - La resa effettiva, inferiore di circa 5 g a quella teorica, è da considerare abbastanza buona, essendo una reazione di equilibrio e poiché durante l’esperimento abbiamo eseguito parecchie separazioni fra le due fasi, acquosa e organica, della miscela intermedia; parte del prodotto finale può quindi venire eliminato con la fase acquosa. - 65 - Gioele Capoferri 5. Chimica LAM, Liceo Mendrisio Conclusioni generali Per concludere mi ritengo soddisfatto di aver svolto questo lavoro di maturità, soprattutto perché sono riuscito a capire cosa si trova dietro ad un apparentemente semplice prodotto da consumare in ogni occasione. Apparentemente perché difatti, studiandolo, si rileva complesso, composto da molteplici sostanze con effetti variabili e di cui, talvolta, scientificamente si conosce ancora ben poco, soprattutto per quello che riguarda l’azione sull’organismo umano. Dico questo perché molto spesso noi mangiamo e beviamo inconsapevoli di quello che può contenere l’alimento, e con questo non intendo che bisognerebbe passare ai raggi x ogni cosa che entra nel nostro stomaco, bensì semplicemente che qualche volta è utile sapere cosa si nasconde dietro a determinati prodotti, nel mio caso agli energy drinks. Ora, quelle volte che mi capita di sorseggiarli e di pensare contemporaneamente a tutto quello di cui sono realmente costituiti, mi ritrovo in una situazione un po’ più singolare, inconsueta. Mi sono anche accorto, durante l’elaborazione del mio lavoro, di quanto si possa ampliare un semplice soggetto, come una bevanda: infatti mi è risultato difficile scegliere i temi da approfondire puntigliosamente e quelli da mettere “in secondo piano”. Posso anche affermare di avere avuto un coinvolgimento particolare nella parte pratica del lavoro, dove ho trascorso la maggior parte delle ore scolastiche dedicate al LAM, e dove, grazie anche a un bel gruppo, lo svolgimento delle esperienze pratiche non è mai stato né un peso né una noia. Dagli esperimenti di laboratorio ho pure imparato che qualsiasi cosa si fa, dalle operazioni più banali ai procedimenti e calcoli eseguiti, fino alle spiegazioni ricevute dalla professoressa, bisogna sempre prendere nota minuziosamente di tutto perché al momento della stesura può capitare di non ricordarsene più così bene. Infine voglio rivolgere un ringraziamento particolare alla mia professoressa, Martha Stamm, sempre disponibile in ogni momento, anche in orari extrascolastici, e che ha condiviso con il gruppo le sue conoscenze teoriche nel campo, ma che soprattutto, grazie alla sua esperienza, ci ha condotti pazientemente durante gli esperimenti pratici, mostrandoci il modo più corretto possibile di lavorare in un laboratorio chimico e insegnandoci accorgimenti sempre utili in questo ambiente, ma che non trovi scritti da nessuna parte. 6. Bibliografia e webgrafia Bennet A. Weinberg, Bonnie K. Bealer, Bonnie K. Bealer tradotto da G. Tarantino. 2002. Caffeina. Storia, cultura e scienza della sostanza più famosa del mondo. Donzelli Editore. Giovanna D. Canino. 2008. Nuove sostanze dopanti. Effetti sull'organismo e rilevamenti nei liquidi biologici. Pubblicato da GAIA srl - Edizioni Univ. Romane. - 66 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Pavia Donald L., Lampman Gary M., Kriz George S. 1994. Il laboratorio di chimica organica. Editore Sorbona. Helena Curtis, N. Sue Barnes. 2003. Invito alla biologia. Zanichelli, quinta edizione. Mary J. Mycek, Richard A. Harvey, Pamela C. Champe. 2000. Farmacologia. Zanichelli. Felice Nava. 2004. Manuale di neurobiologia e clinica delle dipendenze. Editore Angeli. Giuseppe Arienti. 2003. Le basi molecolari della nutrizione. Pubblicato da PICCIN Le garzatine. 2005. Le scienze. Redazione Garzanti. http://www.wikipedia.com http://www.benbest.com/health/caffeine.html http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/Caffeina_e_malattia_di_Parkison/1290494 http://www.bioblog.it/2008/04/04/caffe-contro-alzheimer/20082520 http://www.cosic.org/ http://www.decoffea.it/cont/2000hom/ http://www.efsa.eu.int/EFSA/KeyTopics/efsa_locale-1178620753820_FoodAdditives.htm http://www.my-personaltrainer.it/nutrizione/glucidi.html http://www.eufic.org/article/it/Sicurezza-qualita-degli-alimenti/additivi-alimentari/expid/basicsadditivi-alimentari/ http://www.efsa.eu.int/EFSA/efsa_locale-1178620753820_AspartameFAQs.htm http://www.medicinalive.com/senza-categoria/glucoronolattone-taurina-guarana-caffeinaconosciamo-meglio-le-sostanze-contenute-negli-energy-drink/ http://www.schering-plough.it/itcardiologia/story$num=39&sec=1 http://www.my-personaltrainer.it/integratori/taurina.html http://www.naturalmanbb.com/integrazione/art6_int.html http://www.safefoodonline.com/safefood/Uploads/health_effects.pdf - 67 - Gioele Capoferri Chimica LAM, Liceo Mendrisio Microsoft ® Encarta ® 2008. © 1993-2007 Microsoft Corporation. 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