26 novembre 2014 55 Genetica Il fotogramma della vita Rosario Iacono Un progetto vuole comprendere l’evoluzione dei genomi in relazione alla poliploidia. Il 28 dicembre del 1895, nel Salon Indien du Grand Café a Parigi, i fratelli Lumière presentarono il cinematografo. Un’idea semplice, ma originale, che ha cambiato la storia dell’umanità. Una serie di immagini statiche che scorrono veloci una dopo l’altra creando l’illusione di una sequenza in movimento. I tentativi di delineare la storia evolutiva del genoma di una specie vivente partendo dall’osservazione della sua struttura odierna è un po’ come cercare di ricostruire l’intera trama di un film guardando un singolo fotogramma. Ricerche basate sulle nuove tecnologie di sequenziamento forniscono indizi sempre più numerosi che permettono di fare ipotesi plausibili su cosa potrebbe essere successo. Nel caso della duplicazione di interi genomi, il “fotogramma osservato” è stato quello con genomi di molti organismi contenenti copie multiple di geni strettamente legati per funzione e struttura. Da questa osservazione si è dedotto che, a un certo punto, nella storia evolutiva dei genomi deve essere avvenuto un evento di duplicazione che ha interessato singoli geni ovvero interi genomi. È quello a cui ci si riferisce quando si parla di duplicazione di genomi interi (Whole genome duplication, Wgd). È ormai chiaro che questo evento si è verificato numerose volte nella storia evolutiva di tutte le specie. L’origine stessa dei vertebrati sembra ormai plausibilmente ascrivibile a un primordiale evento di duplicazione. Così si è ricavato un altro tassello del puzzle, un altro fotogramma osservato. In questo fotogramma c’è la prima cellula di un organismo contenente un genoma poliploide pronta a duplicarsi fino a dare un organismo completo. In questa convivono due genomi, a volte simili (autopoliploidi) a volte molto diversi (allopoliploidi), ma conviventi nello stesso citoplasma condividendo la stessa macchina trascrizionale. Al pari di tutte le convivenze, all’inizio non è facile. Lo spazio all’interno della cellula sembra poco, così prima di tutto si decide di allargare un po’ la struttura, motivo per cui, come si è osservato nel caso di molti poliploidi artificiali (ossia ottenuti in laboratorio simulando un evento di poliploidizzazione ancestrale), questi organismi hanno dimensioni superiori a quelle degli organismi che li hanno generati. In seguito occorre mettersi d’accordo per le “faccende di casa”. Con due serie complete di geni completamente funzionanti, teoricamente, ciascuno dei due genomi sarebbe in grado di svolgere tutte le funzioni vitali. Qui finisce il fotogramma. L’oggetto sul quale si sta concentrando la maggior parte degli studi è cercare di delineare quali sono i fotogrammi che si sono creati tra il secondo e il primo. A riguardo esistono essenzialmente due teorie: la teoria classica e la teoria del Duplication decay complementation (Ddc) pubblicata da Force et al., nel 1999 [1]. La teoria classica, il modello dei doppi recessivi Il modello classico predice che inizialmente i geni duplicati conviventi svolgano funzioni completamente sovrapponibili e ridondanti così che una copia possa proteggere l’altra dalla selezione naturale se il dosaggio non è un fattore limitante, sebbene con un inutile dispendio di energie. Poiché le mutazioni deleterie avvengono con una frequenza superiore a quelle benefiche, il modello classico predice che il destino più probabile delle coppie di geni duplicati dovrebbe essere la fissazione di una mutazione deleteria in una delle due copie con formazione di un allele non funzionale che previene la traduzione, la trascrizione o l’espressione della proteina, come per esempio nel caso della formazione di uno pseudo-gene a uno dei loci duplicati. Sotto questo modello, elucidato per la prima volta da Ohno nel 1970 [4], 1 26 novembre 2014 55 l’unico meccanismo che permette la conservazione di un gene duplicato è la fissazione di una mutazione benefica che conferisce al gene una nuova funzione (neofunzionalizzazione), mentre la seconda copia mantiene la funzione originale. Il modello classico, però, è stato messo in crisi da alcune osservazioni. Secondo la teoria classica, la maggior parte dei geni duplicati dovrebbe avere un’elevata probabilità di divenire priva di funzione entro poche generazioni. Per esempio, secondo Force [1], se si considera un tasso di mutazioni negative pari a 10-6 per generazione, il tempo necessario per fissare una mutazione negativa nella popolazione è di pochi milioni di generazioni al massimo. Numerose osservazioni invece riguardano geni che, seppure duplicati, si sono conservati funzionali per un numero di generazioni estremamente superiore a quello predetto dal modello classico. Per esempio, in alcune linee di pesci tetraploidi, dal 30 al 75% dei geni codificanti hanno evitato la perdita di funzione per periodi di tempo che vanno dai 50 ai 100 milioni di anni [2, 3]. Tra i tentativi fatti per cercare di spiegare l’alto tasso di conservazione di geni duplicati individuato da osservazioni empiriche, c’è il modello Ddc. è che, secondo il primo modello, le mutazioni degenerative favoriscono la conservazione dei geni anziché ostacolarla. Secondo il modello generale di Ddc, il processo di maturazione genica che segue la duplicazione avviene in due fasi. Durante la fase I, i geni possono andare incontro a tre differenti destini (i primi due di questi hanno come risultato i destini previsti dal modello classico): • non-funzionalizzazione: una delle copie del gene incorre in una mutazione deleteria nella regione codificante che, successivamente, è fissata e porta il gene a essere non funzionante. La perdita di funzione può anche verificarsi se tutti gli elementi che regolano il gene sono distrutti; • neo-funzionalizzazione: una delle copie del gene subisce una mutazione che le permette di acquisire una nuova funzione che è successivamente fissata per selezione darwiniana positiva. Oggi si sa che queste mutazioni possono riguardare anche la regione regolatrice del gene. L’assunzione della nuova funzione provoca la perdita della funzione essenziale ancestrale. La neo-funzionalizzazione porta alla conservazione della copia non mutata. In teoria, la neo-funzionalizzazione può avvenire anche se una delle due copie acquisisce una nuova regione regolatrice mantenendo inalterate le sub-funzioni; • sub-funzionalizzazione: ognuna delle due copie del gene può subire perdita o riduzione delle subfunzioni a causa di mutazioni degenerative. In questo caso, l’azione combinata delle due copie è necessaria per mantenere la funzionalità completa del gene ancestrale. Se questo avviene, la complementazione delle funzioni delle due copie permette la conservazione delle due copie del gene. Nella seconda fase del modello Ddc, le copie neofunzionalizzate o sub-funzionalizzate subiscono un’eliminazione casuale della ridondanza funzionale poiché l’accumulo di mutazioni provoca la perdita di sub funzioni in una o nell’altra copia. La subfunzionalizzazione può avvenire per via qualitativa o quantitativa. Nel caso di sub-funzionalizzazione qualitativa una copia del gene duplicato va incontro alla fissazione di una mutazione che provoca la perdita totale di funzione per una delle sub-funzioni, mentre il secondo locus perde totalmente un’altra funzione. Per contro, la sub-funzionalizzazione quantitativa risulta dalla fissazione di una riduzione della funzione in entrambe le copie. In questo caso, una volta che la funzionalità delle Il modello Ddc (Duplication decay complementation) Il modello Ddc è stato proposto nel 1999 da Force e cerca di spiegare le incongruenze tra modello classico e osservazioni empiriche. Se è sì vero che le due copie del gene devono assumere funzioni differenti per sopravvivere alla selezione, nel modello proposto da Force si guardano le mutazioni geniche da un nuovo punto di vista. Il modello parte dall’osservazione che il Dna e la sua struttura regolativa sono molto più complessi di quanto fosse ipotizzato dal modello classico. Un singolo gene, infatti, è in grado di codificare per differenti proteine e di svolgere quindi differenti funzioni (subfunzioni). Questo è dovuto, da un lato ai processi posttrascrizionali che subisce l’Rna messaggero e ai processi post-traduzionali subiti dalla proteina, dall’altro alla possibilità del genoma di modulare la trascrizione genica tramite elementi modulatori presenti nel genoma stesso. Questi elementi sono geni che hanno la funzione di regolare l’espressione di altri geni. Così, per esempio, lo stesso gene svolge una funzione nell’occhio e una funzione differente nella pelle, grazie a elementi regolatori attivi in un tessuto piuttosto che nell’altro. La principale differenza tra il modello Ddc e il modello classico 2 26 novembre 2014 55 due copie è stata ridotta sotto un certo limite determinato da esigenze dell’organismo, ogni successiva ulteriore riduzione di funzione è impedita per selezione. Dal punto di vista molecolare, considerando la struttura fisica della molecola di Dna, il processo di subfunzionalizzazione appare molto più complesso, ma anche affascinante. Le sequenze delle regioni regolatrici sul genoma spesso non sono completamente separate, ma condividono alcune sequenze e talvolta possono agire come elementi regolatori in maniera bidirezionale. Un caso particolare è quello che si verifica quando geni duplicati aventi funzione ridondante sono conservati grazie all’effetto dosaggio. Si consideri il caso di un gene con due alleli e tre sub-funzioni: A, B e C. Può succedere, dopo l’evento di duplicazione, che le funzioni A e B rimangano inalterate in tutti e 4 gli alleli e che quindi il gene presenti un’espressione eccessiva di queste due funzioni. Tuttavia, se la funzione C subisce mutazioni per cui ogni singolo allele non è in grado da solo di esprimere il gene completamente, allora tutti gli alleli saranno mantenuti funzionanti [5]. presenti in regioni specifiche del genoma di B. napus. I risultati hanno rivelato che nessun QTL è presente nella regione di PrBN, suggerendo che questo gene non ha subito duplicazioni. Il progetto Cogeprbn ha contribuito a incrementare la comprensione dell’evoluzione dei genomi in relazione alla poliploidia, investigando le dinamiche di geni/regioni geniche duplicati e la regolazione dell’appaiamento e ricombinazione di cromosomi omeologhi. Riferimenti bibliografici [1] Force A., LynchM., Pickett F.B., Amores A., Yan Y., Postlethwait J., 1999. Preservation of Duplicate genes by complementary, degenerative mutations. Genetics, 151, 1531-1545. [2] Allendorf F. W., Utter F. M., May B. P., 1975. Gene duplication within the family Salmonidae: II. Detection and determination of the genetic control of duplicate loci through inheritance studies and the examination of populations. Isozymes, 415-432, C. L. Markert academic press, New York. Il progetto Cogeprbn Il progetto Cogeprbn (http://cordis.europa.eu/result/rcn/87179_en.html) è finanziato sotto il programma specifico People del programma europeo Framework Programme 7. Il progetto si prefigge la caratterizzazione molecolare del locus PrBN e di alcuni altri QTLs controllanti la ricombinazione omeologa in Brassica napus, una specie allopoliploide di origine relativamente recente. Il progetto, finanziato dall’Unione europea, ha lo scopo di caratterizzare segmenti del genoma di B. napus che contengano il locus del gene PrBN così come alcuni QTL responsabili per la ricombinazione omeologa per permettere l’avanzamento della conoscenza nel fenomeno di co-soppressione di geni omeologhi. Le attività si sono focalizzate sullo scoprire se PrBN e alcuni altri QTL sono geni mantenuti dopo eventi di duplicazione dell’intero genoma e se questi cooperano nel regolare la ricombinazione omeologa (ricombinazione tra geni di specie diverse). I ricercatori erano anche intenzionati a scoprire se PrBN rimane un determinante chiave per il livello di ricombinazione omeologa all’interno delle specie poliploidi. È stata svolta un’analisi genetica di tutti i QTL e delle loro regioni duplicate nel genoma di B. napus. I ricercatori hanno impiegato un approccio che combina bioinformatica e genetica per stabilire quali QTL erano [3] Ferris S. D., Whitt G. S., 1979. Evolution of the differential regulation of duplicate genes after polyploidization. Journal of molecular evolution, 12, 267-317. [4] Ohno S., 1970. Evolution by gene duplication. Springer-Verlag, Heidelberg, Germany. [5] Lynch M., Force A., 2000. The probability of duplicate gene preservation by subfunctionalization. Genetics, 154, 459-473. Rosaro Iacono è laureato in Scienze e tecnologie agrarie presso l’Università degli Studi di Catania. www.intersezioni.eu 3