Su Herbart Se l’universale si volesse determinare più distintamente di quanto fatto nell’uniforme nudità di Kant, non potrebbe diventare il vero principio della morale, se non facendolo derivare dalla materia dell’azione, ossia comprendendo l’universale concordemente alla relazione degli elementi necessari dell'azione, e assegnandogli il concetto dell’armonia. Herbart trova il fondamento dei concetti morali in tale carattere estetico e designa in questo modo le sue cinque idee pratiche come concetti formali che reggono le relazioni armoniche e disarmoniche dei desideri, poiché pronunciano in modo assoluto approvazione o disapprovazione. Secondo lui l’idea della libertà interna nasce quando la volontà corrisponde alla conoscenza ed entrambe d’accordo affermano o negano; nasce l’idea della perfezione, se i rapporti delle quantità sono concordi nelle loro tendenze; l’idea della benevolenza, se la propria volontà si accorda all’altrui in sé e per sé e senza nessun altro motivo; l’idea del diritto, se l’accordo della maggior parte delle volontà diventa regola che previene le lotte; e infine l’idea dell’equità, come idea della ricompensa meritata. Queste idee originali costituiscono tutte insieme l’essenza della morale. Dal presupposto che parecchi esseri ragionevoli si accordino in unità e possano essere riguardati come un tutto, scaturisce l’idea dello Stato; dall’idea del diritto scaturisce la società legale; dall’idea dell’equità il sistema della ricompensa; dall’idea della benevolenza il sistema amministrativo; dall’idea della perfezione il sistema della cultura; dall’idea della libertà interna la società vigorosa, la cui essenza sta nella comune obbedienza alla volontà di tutti consociati. L’armonia in verità è il carattere rivelatore della morale e il bene in tale pienezza si converte in bello. Ma ci si domanda se il concetto formale come tale, l’armonia dei rapporti delle tendenze, possa rivelare il bene in modo che l’essenza piena ed intera della morale possa essere costituita dalla forma dell’armonia. Il principio armonico, come elemento estetico, sta nella prelazione del concetto esterno con quello interno; quindi esso non è causa, ma effetto: è conseguenza di un fondamento più profondo. Se il buono deve essere il bello, se esso non deve esser da meno del bello della natura organica, il quale è la rivelazione concorde degli scopi e dei mezzi, se non deve essere da meno del bello artistico, alla cui base sta un’idea, la forma dell’armonia nella morale deve scaturire dal contenuto dell’idea, e non al contrario il contenuto dell’idea dalla forma dell’armonia. Facendo dell’armonia, che è la forma necessaria del concetto esterno della morale, l’essenza interna ed il principio, si scambia ciò che è la conseguenza (il consecutivum) con l’essenza originale (il constitutivum). Per l’analogia del bello nella natura e nell’arte, l’armonia, come forma universale della moralità, esige a fondamento la necessità di scopi reali1. (...) 1 J. F. Herbart, Allgemeine praktische Philosophie , 1808. Cfr. anche su queste speciali difficoltà delle idee pratiche Il principio morale, compreso solamente nelle relazioni di armonia (Herbart), si offre come conseguenza di uno scopo interno; poiché l’idea che ne deriva è il Bello (§ 37). L’universale formale, il quale è con il particolare solamente in una relazione esterna (Kant), si compie nell’universalità dell’uomo propriamente tale. La simpatia (Adam Smith), per cui l’uomo fa suo l’altrui, e desidera per sé l’altrui consenso, appartiene, come possente impulso della realizzazione dell’uomo, al lato soggettivo del Principio. Il tutto, tirannicamente espresso nella salut public, si mantiene nel più alto senso della sua natura, riconoscendo in sé e per sé le parti come un tutto morale. Il perfezionamento di se medesimo (Wolf) e la conservazione di se stesso (Spinoza), eticamente considerati, sono la conservazione e il perfezionamento della parte che vive nel tutto etico, che vengono da questo lato circoscritti e compresi in un contenuto più vasto. L’interesse dell’amore di sé e del bene compreso utile proprio (Elvezio), indeterminato in sé è tendente al volgare, racchiude la più sicura ed elevata misura etica. Lo stesso piacere (edonismo), che non può mai essere un principio etico, poiché cade solamente in un solo indirizzo morale, nell’individuale cioè, ha certamente il suo posto subordinato, ma legittimo, nell’egemonia morale (Aristotele). (...) Le virtù si presentano in parte come libere di Herbart il trattato dell’autore: Herbarts praktische Philosophie und die Ethik der Alten nelle Memorie della R. Accademia delle scienze, 1856, e nelle Historischen Beiträgen zur Philosophie, parte terza, 1867, p. 122 e s. attività produttive se realizzano originariamente l’idea etica (prima dei doveri) e in parte come legate dai rapporti dati (nei doveri). Le loro forme fondamentali si manifestano talmente nell’universale, che le categorie organiche sono elevate per propria natura della morale (la differenza specifica) nell’etica2 (…), ma geneticamente solo nelle condizioni psicologiche della loro origine. Secondo i vari modi di considerare l’Etica che pongono a fondamento un principio formale, sia, come in Kant, la forma dell’Universale sia, come in Herbart, la forma dell’armonia nelle relazioni con la volontà, la dottrina del Bene è opposta alla dottrina delle virtù e dei doveri, in cui solamente si appalesa la volontà pura determinata dal Principio. Si teme che la volontà pura (…) cada nei beni, come oggetti empiricamente dati, e turbi così la purezza dei suoi impulsi. Ma se questo muore è vano, se questi beni sono veramente beni etici determinati dallo scopo interno dell’Idea, ossia non da ciò che è caduco, ma da ciò che deve essere prodotto dalla volontà etica e da questa sostenuto. Senza la considerazione dei beni etici, come la famiglia, la chiesa e lo Stato, l’Etica diventa vuota: essa, a seconda di come intende i beni reali, deve comprendere i beni etici, cioè le forme oggettive per cui la volontà diventa matura e dall’Io si rialza e si solleva (…) nel tutto. Se nel dovere si concepisce solo ciò che lega la volontà, sia la forza di tale legame nella legge o nella coscienza, ogni virtù potrà in questo senso più lato presentarsi, come doverose si potranno quindi annoverare fra i 2 Logische Untersuchungen, seconda edizione, 1862, II, p. 140. doveri il valore e la giustizia, riguardandoli come cosa voluta e pretesa. In tal modo Kant ha posto a capo dell’Etica il dovere, il quale è imposto alla volontà Impura della legge; laddove Platone ed Aristotele vi hanno posto la virtù. Se Kant in mezzo alla sua fredda critica così apostrofa il dovere: «Dovere! nome grande e nobile, che in te nulla comprendi di piacevole e di lusinghiero»; Aristotele invece in una delle sue odi invoca la virtù: «O virtù, penosa all’uman genere7, eppure il più nobile oggetto della vita». In fondo essi dicono la stessa cosa, ma da lati opposti. In questo senso generale virtù e dovere hanno quasi lo stesso valore, quantunque ne sia differente il punto di vista. I doveri d’amore non hanno altro contenuto che l’amore; se non che nei doveri d’amore si vede come imposto ciò che nell’amore si concede liberamente. Nel dovere domina l’assoluto impero del bene, nella virtù la forza liberamente inspirata dal bene. (...) Herbart trova il fondamento dei concetti morali in tale carattere estetico e designa in questo modo le sue cinque idee pratiche come concetti formali che reggono le relazioni armoniche e disarmoniche dei desideri, poiché pronunciano in modo assoluto approvazione o disapprovazione. Secondo lui l’idea della libertà interna nasce quando la volontà corrisponde alla conoscenza ed entrambe d’accordo affermano o negano; nasce l’idea della perfezione, se i rapporti delle quantità sono concordi nelle loro tendenze; l’idea della benevolenza, se la propria volontà si accorda all’altrui in sé e per sé e senza nessun altro motivo; l’idea del diritto, se l’accordo della maggior parte delle volontà diventa regola che previene le lotte; e infine l’idea dell’equità, come idea della ricompensa meritata. Queste idee originali costituiscono tutte insieme l’essenza della morale. Dal presupposto che parecchi esseri ragionevoli si accordino in unità e possano essere riguardati come un tutto, scaturisce l’idea dello Stato; dall’idea del diritto scaturisce la società legale; dall’idea dell’equità il sistema della ricompensa; dall’idea della benevolenza il sistema amministrativo; dall’idea della perfezione il sistema della cultura; dall’idea della libertà interna la società vigorosa, la cui essenza sta nella comune obbedienza alla volontà di tutti consociati. ADOLF TRENDELENBURG