Istituzioni- Economia

annuncio pubblicitario
www.UNICTBLOG.com
SAMUELSON
by zziopippo
PARTE PRIMA
MICROECONOMIA
CAPITOLO I: Le basi dell’economia
Definizioni
L'economia è lo studio del modo in cui le società utilizzano risorse scarse per produrre beni utili, e
di come tali beni vengono distribuiti tra i diversi soggetti ( Samuelson).
Altra definizione (di Robbins): l'economia è la scienza che studia la condotta umana come
relazione tra scopi e mezzi scarsi.
La scienza economica si divide in due branche:
1)Politica economica: studia l'intervento pubblico
2)Teoria economica o Economia: studia le leggi dell'economia e il funzionamento dei mercati;
essa a sua volta si divide in due branche:
La microeconomia è la branca dell'economia che si occupa del comportamento di singole entità,
quali i mercati, le imprese, e le famiglie. Fondatore fu Adam Smith che studiò i meccanismi dei
prezzi e dei mercati e coniò il termine di "mano invisibile" che indica la capacità del mercato di
autoregolarsi al di là delle azioni di singoli individui che mirano ai propri interessi.
La macroeconomia (fondata da Keynes negli anni '30) è la branca dell'economia che si occupa
dell'andamento complessivo di un sistema economico: essa copre un'ampia gamma di settori, dalla
determinazione dell'investimento e del consumo totali, alla gestione della moneta e dei tassi
d'interesse da parte delle banche centrali per arrivare alle cause delle crisi finanziarie
internazionali e infine ai motivi per i quali la crescita è rapida in alcuni paesi e stagnante in altri.
I tre problemi dell’organizzazione economica
Qualsiasi società umana deve affrontare e risolvere tre problemi economici fondamentali.
Deve infatti stabilire cosa, come e per chi produrre.
Cosa produrre, significa stabilire quale bene o servizio produrre e in che quantità
Come produrre significa stabilire a chi spetta il compito di produrre, con quali risorse effettuare la
produzione e quali tecniche produttive utilizzare.
Infine bisogna rispondere anche al quesito di chi gode i frutti dell'attività economica.
A questo punto la prima domanda che ci si pone è: chi prende queste decisioni?
In un'economia di mercato sono gli individui e le imprese private che prendono le principali
decisioni sulla produzione e sul consumo. Al contrario, in un'economia pianificata è lo Stato che
prende tutte le decisioni relative alla produzione e alla distribuzione;
Nella società contemporanea esistono prevalentemente economie miste.
L'intervento statale in economia ha seguito un percorso altalenante nel tempo:
--nel Medioevo l'aristocrazia e le corporazioni controllavano gran parte dell'attività economica.
--Il 16° e 17° secolo furono dominati dal Mercantilismo per il quale i metalli preziosi erano l'unica
ricchezza e solo il commercio era in grado di aumentarla e lo Stato interveniva con leggi
protezionistiche.
--Il 18° secolo (rivoluzione industriale) stabilì che la ricchezza non stava nella terra o nel
commercio ma nel lavoro: è l'epoca del libero mercato, del laissez – faire: lo Stato doveva
interferire il meno possibile sull'attività economica e lasciare le decisioni al mercato.
--ma alla fine del secolo gli Stati Uniti ed i paesi industrializzati dell'Europa occidentale
abbandonarono parzialmente il laissez-faire: lo stato assunse un ruolo sempre maggiore,
regolamentando il monopolio, applicando imposte sul reddito e fornendo pensioni, assistenza
medica e altri beni e servizi indispensabili alle famiglie povere (welfare state).
--intorno al 1980 il clima cambiò di nuovo: in molti paesi i governi conservatori iniziarono a
ridurre il controllo dello Stato sull'economia e lo stesso fecero i regimi comunisti con una
decentralizzazione moderata.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
1
www.UNICTBLOG.com
L'altra domanda alla quale si deve rispondere è: su quali basi vengono prese queste decisioni?
La risposta è: in base alle risorse e alla tecnologia disponibili.
Ogni sistema economico dispone di una dotazione di risorse limitate (terra, lavoro e capitale), non
può produrre tutto ciò che desidera, e quindi deve fare delle scelte cioè quale prodotto produrre e a
quale rinunciare ed eventualmente quale prodotto produrre in maggiori quantità rispetto a un altro.
Quando un sistema riesce a produrre il massimo di quel prodotto, con quelle risorse e quella
tecnologia, si parla di frontiera delle possibilità produttive (o FPP), rappresentata dalla curva
della fig 1.2 pag 11. Un sistema economico efficiente si trova sulla frontiera delle possibilità
produttive (cioè sulla curva); se sono presenti risorse inutilizzate, il sistema economico non si
trova sulla curva, ma piuttosto in un punto al suo interno (punto U).
L'efficienza produttiva si ha quando la società non può aumentare l’output di un bene senza
ridurre quello di un altro bene.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
2
www.UNICTBLOG.com
CAPITOLO II: Mercati e Stato in un’economia moderna
Che cos’è un mercato?
Un mercato è un meccanismo che consente ad acquirenti e venditori di interagire al fine di
determinare il prezzo e la quantità di un bene o di un servizio. In un sistema di mercato ogni cosa
ha un prezzo, cioè ogni bene ha un valore in moneta.
I prezzi rappresentano i termini in base ai quali gli individui e le imprese scambiano
volontariamente beni diversi.
In ogni momento vi sono milioni di individui che comprano e altri che vendono; le imprese
inventano nuovi prodotti mentre altri prodotti scompaiono.
In mezzo a tale caos i mercati “funzionano”, risolvono costantemente i problemi relativi a cosa,
come e per chi produrre, e tutto questo senza che ci sia un Ente superiore che li coordini: questa
specie di miracolo fu scoperto da Adam Smith il quale dice:
1)il singolo individuo non è né buono né cattivo, persegue il proprio interesse
2)nonostante questo egoismo di fondo, la somma di tutti gli egoismi porta alla ricchezza di “tutta”
la società, come se ci fosse una mano invisibile che guida il mercato;
in altri termini il mercato si regola da solo.
Il ruolo economico dello Stato
La forma di mercato alla quale si riferiva Smith è la concorrenza perfetta che presuppone:
a)omogeneità del bene, cioè un bene che viene prodotto con le stesse caratteristiche
b)pluralità di compratori e venditori così piccoli che non possono influire sul prezzo
Nella realtà, tuttavia, nessun sistema economico corrisponde esattamente al mondo ideale
perfettamente guidato dalla mano invisibile; al contrario, tutte le economie di mercato presentano
delle imperfezioni che sono alla base di problemi quali l'eccessivo inquinamento, la
disoccupazione e casi di estrema ricchezza o povertà (concorrenza imperfetta); nelle moderne
economie lo Stato si assume il compito di rimediare a queste imperfezioni in 3 modi:
--aumenta l'efficienza, -- promuove l’equità, --favorisce la stabilità.
Vediamo questi punti in dettaglio:
--1)Efficienza
--Quando in un mercato c'è un solo venditore (monopolio es unico fornitore di gas ed energia) o i
venditori sono in pochi (oligopolio es paesi produttori di petrolio) sono loro che determinano il
prezzo; in tal caso lo stato interviene favorendo la concorrenza e ostacolando il monopolio.
--Le esternalità si hanno quando imprese o individui impongono costi o benefici ad altri soggetti
al di fuori dalle relazioni di mercato ad es un'industria che provoca inquinamento impone dei costi
agli altri (esternalità negative); viceversa la costruzione di un'autostrada dà benefici agli altri
(esternalità positive).
Nelle esternalità negative lo Stato interviene imponendo ad es regolamentazioni per controllare
l'inquinamento atmosferico o idrico, i rifiuti dannosi, i cibi pericolosi e i materiali radioattivi.
Le esternalità positive come la costruzione di una rete di autostrade, il servizio meteorologico
nazionale, la sanità pubblica, hanno un costo e lo Stato si procura il necessario tramite le imposte
sui redditi, sulle vendite di beni di consumo e altri tipi di imposte.
--2)Equità:
Per ridurre la sperequazione del reddito, gli strumenti a disposizione dello Stato sono in primo
luogo l'imposizione fiscale progressiva, che consiste nel tassare di più i redditi elevati e di meno
quelli più modesti.(in Italia ad es c'è l'IRPEF). In secondo luogo può intervenire con l'assistenza
agli anziani, ai ciechi, ai disabili, ai genitori con figli a carico, con i sussidi di disoccupazione.
--3)Stabilità: l’attento impiego di politiche fiscali e monetarie consente allo stato di
influenzare la produzione, l'occupazione e l'inflazione e di attenuarne gli eccessi.
Tutte le economie industriali avanzate sono caratterizzate da un'economia mista in cui il mercato
stabilisce la produzione e i prezzi, mentre lo Stato guida l'andamento economico generale
mediante programmi di imposizione fiscale, spesa e regolamentazione monetaria.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
3
www.UNICTBLOG.com
Capitolo III: Elementi fondamentali di domanda e offerta
La scienza economica dispone di un ottimo strumento per spiegare i mutamenti che avvengono
nel sistema economico: la teoria della domanda e dell'offerta.
Scheda di domanda
Tutti sanno che maggiore è il prezzo di un bene, minori saranno le unità di quel bene che i
consumatori acquisteranno; minore è il prezzo di mercato, più saranno le unità acquistate.
Esiste dunque una precisa relazione tra il prezzo di mercato di un bene e la quantità richiesta, a
condizione che tutti gli altri elementi rimangano costanti: tale relazione tra prezzo e quantità
acquistata è detta scheda di domanda e la sua rappresentazione grafica è la curva di domanda
(sl 42). La legge della domanda con pendenza negativa è stata provata e verificata
empiricamente pressoché per tutti tipi di beni.
Se il prezzo subisce un incremento, la quantità domandata tende a diminuire per due motivi:
-- Il primo di questi è l'effetto di sostituzione: l'aumento del prezzo di un bene fa sì che esso
venga sostituito con altri beni simili (se aumenta il caffè lo sostituisco con il the).
– Il secondo motivo è l'effetto reddito: se il prezzo di un bene aumenta, il consumatore a reddito
fisso diventa più povero e riduce il consumo di quel bene.
La curva di domanda del mercato si ottiene sommando le quantità domandate da tutti gli
individui ad ogni livello di prezzo.
Gli elementi che influenzano la curva di domanda sono:
--il reddito medio dei consumatori: se il reddito degli individui aumenta, essi tendono ad
acquistare maggiore quantità di tutti beni;
--i prezzi e la disponibilità di beni correlati (alternativi es caffè e the e complementari es
hamburger e panino) la domanda del caffè tende ad essere limitata se il prezzo del the è basso ,
e viceversa;
--influenze particolari: es in Sicilia si venderanno meno sci che a Cortina;
--elementi soggettivi, cioè gusti o preferenze di natura culturale, storica, religiosa;
--infine, la domanda di alcuni beni spesso dipende dalle aspettative:ad es se ci aspettiamo che il
prezzo dei telefonini calerà tra breve, oggi ne domanderemo di meno
Non bisogna confondere gli spostamenti sulle curve con lo spostamento delle curve (sl 44 ): è
molto importante non confondere una variazione della domanda (che denota uno spostamento
della curva di domanda) con una variazione della quantità domandata (cioè lo spostamento in un
punto diverso sulla medesima curva di domanda in seguito ad una variazione di prezzo).
La scheda di offerta
La scheda di offerta di un bene e la sua rappresentazione grafica, la curva di offerta a
pendenza positiva (FIG 3.5 pag52) mostrano la relazione esistente tra il prezzo di mercato e la
quantità di tale bene che le imprese desiderano produrre e vendere; a parità di altri fattori, + alto
è il prezzo di mercato, maggiore sarà l'offerta.
Oltre al prezzo, i principali elementi che influenzano la curva di offerta sono:
--1) il costo di produzione. Se i costi di produzione di un bene sono bassi rispetto al suo prezzo
di mercato, è vantaggioso produrne in grandi quantità; se invece i costi di produzione sono
elevati rispetto al prezzo, le imprese riducono la produzione.
I costi di produzione sono determinati soprattutto da:
--costi dei fattori produttivi, quali il lavoro, energia o macchinari.
-- progresso tecnologico, ovvero i cambiamenti nelle tecniche produttive che riducono la
quantità dei fattori necessari a produrre una determinata quantità di output.
--2) l'offerta è influenzata anche dei prezzi dei beni correlati, in particolare quei beni sostituibili
l’uno con l'altro (es se un modello di auto è + richiesto di un altro, la sua offerta sul mercato
aumenta a discapito dell'altro).
--3) Anche le politiche governative hanno una notevole influenza sulla curva di offerta: un
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
4
www.UNICTBLOG.com
governo per ragioni di carattere ambientale o sanitario, può imporre un determinato tipo di
tecnologia da utilizzare, mentre le imposte e le leggi sul salario minimo possono provocare un
sensibile aumento dei prezzi degli input.
--4) Infine sulla curva di offerta si ripercuotono influenze particolari: le condizioni
atmosferiche, per esempio,esercitano una forte influenza sull'agricoltura.
Equilibrio di domanda e offerta
Domanda e offerta interagendo determinano un equilibrio di mercato.
L'equilibrio di mercato è dato dal prezzo e dalla quantità in corrispondenza dei quali le forze
dell'offerta e della domanda si bilanciano; al prezzo di equilibrio la quantità che i consumatori
desiderano acquistare è pari alla quantità che i produttori desiderano vendere.
Il punto di equilibrio è determinato dall'intersezione delle due curve (fig 3.7 pag 55)
Al prezzo di equilibrio non si verificano eccessi di domanda o di offerta e c'è stabilità dei prezzi.
Se varia la domanda o l'offerta, le curve si spostano e si raggiunge un nuovo punto di equilibrio
(fig 3.8 e tab 3.6; la fig 3.9 si riferisce agli aumenti di Q accompagnati da aumento o diminuzione
di prezzo)
Quindi attraverso l'interazione di domanda e offerta il mercato risponde alle domande:
--cosa produrre? Prezzi elevati del petrolio ne stimolano la produzione, mentre prezzi contenuti
dei generi alimentari non invogliano gli agricoltori ad aumentare la produzione.
--per chi produrre? Il potere del portafoglio del consumatore detta la distribuzione del consumo.
--come produrre? Quando i prezzi agricoli sono bassi gli agricoltori non comprano macchinari
costosi e si limitano a coltivare i terreni + fertili.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
5
www.UNICTBLOG.com
CAPITOLO IV: Elasticità della domanda e dell'offerta
Abbiamo visto che se il prezzo aumenta, la domanda diminuisce: in realtà le cose non sempre
stanno così: pensiamo alle medicine o alle sigarette: in questi casi la domanda del consumatore
non diminuirà anche se il prezzo aumenta: dobbiamo introdurre quindi il concetto di elasticità.
Elasticità della domanda
L'elasticità della domanda rispetto al prezzo (talvolta definita semplicemente elasticità
rispetto al prezzo) misura la variazione della quantità domandata di un bene al variare del
prezzo. L'elasticità rispetto al prezzo può essere definita in modo più preciso come la variazione
percentuale della quantità domandata diviso per la variazione percentuale del prezzo e può essere
espressa dalla formula seguente:
Variazione percentuale della quantità domandata
ED =
-----------------------------------------------------------Variazione percentuale del prezzo
Questo rapporto può essere:
A)=1 domanda a elasticità unitaria sl 46
B)>1 domanda elastica sl 50
C)<1 domanda anelastica sl 52
Si noti come + la domanda è elastica + la curva si avvicina all'orizzontale; + è anelastica + si
avvicina alla verticale: linee perfettamente orizzontali o verticali sono gli estremi sl 48.
Quando l'elasticità rispetto al prezzo di un bene è elevata (>1), si dice che la domanda di quel
bene è "elastica", cioè che la quantità domandata del bene risponde sensibilmente alle variazioni
di prezzo. Quando l'elasticità rispetto al prezzo di un bene è scarsa(<1), la domanda è
"anelastica", per cui la quantità domandata non subisce modifiche di rilievo in seguito alle
variazioni di prezzo.
L'elasticità della domanda dipende:
--dal grado di necessità: ad es i beni di prima necessità, essendo indispensabili, anche se subiscono
aumenti di prezzo, non subiscono una diminuzione della domanda, al contrario dei beni di lusso.
--dal grado di sostituibilità del bene:ad es se il pollo aumenta lo sostituisco col tacchino
--dal livello di prezzo del bene: se il prezzo è già alto, un minimo aumento scoraggia la domanda
--dipende anche dal tempo che i consumatori hanno per adattare il loro comportamento alla nuova
situazione: se il prezzo della benzina sale, non posso certo tenere l'auto in garage, ma alla lunga
mi organizzerò meglio, magari compro un'auto che consuma di meno o un motorino.
Perchè l'elasticità è importante?
Se ad es una compagnia aerea ha 2 classi la business e la turistica, e vuole aumentare i suoi
introiti, conviene aumentare il prezzo del biglietto della business o della turistica?
Sapendo che la business è anelastica (se viaggio per affari il prezzo del biglietto è secondario) un
aumento del biglietto business aumenterà i ricavi della compagnia; viceversa un aumento del
biglietto di classe turistica determina una diminuzione dei ricavi perchè i turisti scelgono tratte +
convenienti (domanda elastica).
Quindi se l'elasticità della domanda rispetto al prezzo è nota, si può calcolare quali saranno gli
effetti di una variazione del prezzo sul ricavo totale e + precisamente:
--se la domanda è anelastica rispetto al prezzo, una diminuzione del prezzo riduce il ricavo totale
--se la domanda è elastica rispetto al prezzo, una diminuzione del prezzo aumenta il ricavo totale
--nel caso limite della domanda ad elasticità unitaria, una diminuzione del prezzo non modifica
il ricavo totale
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
6
www.UNICTBLOG.com
Elasticità dell' OFFERTA
Anche l'offerta delle imprese è sensibile alle variazioni di prezzo.
L'elasticità dell'offerta rispetto al prezzo misura la variazione percentuale della quantità offerta
divisa per la variazione percentuale del prezzo.
L'elasticità dell’offerta rispetto al prezzo è espressa dalla seguente formula:
EO
Variazione percentuale della quantità offerta
-------------------------------------------Variazione percentuale del prezzo
Tale rapporto può essere sl 60:
A)=1 elasticità unitaria (Linea a 45°)
B)>1elastica (Linea sopra)
C)<1 anelastica (Linea sotto)
La sl 60 mostra i tre casi di elasticità dell'offerta: la curva di offerta verticale indica l'offerta
perfettamente anelastica (non dipende dal prezzo), la curva orizzontale rappresenta l'offerta
perfettamente elastica (minima variazione di prezzo= massima variazione di offerta), mentre la
linea retta a 45° rappresenta il caso dell'elasticità unitaria (raddoppio del prezzo=raddoppio
dell'offerta).
L'elasticità dipende:
--dal prezzo (+ prezzo=+offerta)
--dalle condizioni di mercato e cioè dal costo dei fattori produttivi, dalla tecnologia e anche da
eventi casuali es condizioni atmosferiche
--anche nel caso dell'offerta un importante fattore che influenza l'elasticità è il periodo di tempo
preso in considerazione: una determinata variazione di prezzo tende ad avere un effetto maggiore
sulla quantità offerta man mano che aumenta il tempo a disposizione dei produttori per far fronte a
tale cambiamento.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
7
www.UNICTBLOG.com
CAPITOLO V: Comportamento del consumatore
Poiché, in definitiva, è il consumatore che decide come disporre del proprio denaro, è essenziale
capire quali sono i criteri che egli utilizza per fare le sue scelte.
Ci sono 2 teorie: teoria dell'utilità e teoria delle preferenze rivelate
Teoria dell'utilità
Secondo questa teoria il consumatore sceglie secondo la propria “utilità” cioè sceglie quei beni
che ritiene gli diano + soddisfazione e piacere.
Supponiamo che il consumatore tra un gelato (soddisfazione 10) e un panino (soddisfazione 8)
scelga di acquistare il gelato: il consumo della prima unità dà all'individuo un alto livello di
soddisfacimento o utilità 10. Supponiamo ora che lo stesso individuo consumi una seconda unità
di gelato: l'utilità totale aumenterà, in quanto la seconda unità del bene fornisce un’utilità
aggiuntiva (l'incremento dell'utilità per il consumatore si definisce utilità marginale; l'utilità totale
è uguale alla somma delle utilità marginali)
Ma la seconda unità di gelato consumata gli darà una soddisfazione minore, diciamo 9.
E se egli consumasse una terza unità di gelato, la soddisfazione sarebbe 8; l'utilità, la
soddisfazione sarà via via minore.
La legge dell'utilità marginale decrescente afferma che all'aumentare del consumo di un bene
l'utilità marginale di quel bene tende a diminuire sl 64.
Il consumatore non consumerà una quarta unità di gelato perchè da essa trarrebbe soddisfazione 7:
a questo punto passa al panino che gli dà soddisfazione 8.
Il principio di utilità marginali uguali per euro speso per ciascun bene afferma che un
consumatore con reddito dato ottiene il massimo soddisfacimento quando l'utilità marginale
dell'ultimo euro speso per un bene è esattamente uguale all'utilità marginale dell'ultimo euro speso
per qualsiasi altro bene.
Se un determinato bene garantisse un'utilità maggiore per euro speso, il consumatore tenderebbe
ad acquistare maggiori quantità del bene a scapito degli altri beni, fino a quando la legge
dell'utilità marginale decrescente non fa scendere l'utilità marginale per euro del bene
uguagliandola a quella degli altri beni: questa è la condizione di equilibrio del consumatore, cioè
il consumatore sceglie tra quei beni che gli danno la stessa utilità marginale.
Teoria delle preferenze rivelate
Negli ultimi decenni tuttavia molti economisti (tra cui Samuelson) spiegano il comportamento del
consumatore utilizzando le curve di indifferenza associate alla retta di bilancio
Le curve di indifferenza
Supponiamo che un consumatore acquisti combinazioni diverse di due beni, per esempio generi
alimentari e vestiario, a prezzi dati. Supponiamo che, posto di fronte a due combinazioni diverse,
il consumatore sia sempre in grado di dire se ne preferisce una all'altra, oppure se la scelta di una
o dell'altra combinazione gli è indifferente. Supponiamo ora che sia A sia B costituiscono per il
consumatore scelte ugualmente accettabili, gli sia cioè indifferente ottenere la prima o la seconda,
e consideriamo ulteriori combinazioni riguardo alle quali il consumatore è ugualmente
indifferente. Nella slide 68 tali combinazioni diverse sono rappresentate in un grafico. Le unità di
vestiario sono misurate su un asse e le unità di generi alimentari sull'altro; i punti A, B, C e D
rappresentano le quattro combinazioni di beni. La curva della figura che collega i quattro punti, è
una curva di indifferenza, cioè l'insieme di combinazioni ognuna delle quali dà al consumatore lo
stesso grado di soddisfazione.
Passando da A a B si sostituirebbero quindi tre delle sei unità di vestiario disponibili con una unità
aggiuntiva di generi alimentari (rapporto 3:1= 3). Spostandosi da B a C, verrebbe invece
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
8
www.UNICTBLOG.com
sacrificata una sola unità di vestiario tra quelle rimanenti per ottenere una terza unità di generi
alimentari, (rapporto 1:1=1).Da C a D si rinuncia a mezza unità di vestiario per 1 unità di
alimentari (rapporto 0,5:1=0,5). Le cifre 3 1 e 0,5 rappresentano il saggio marginale di
sostituzione e decresce da sinistra verso destra.
La slide 74 ci mostra una mappa di indifferenza applicata al settore turistico, formata da 4 curve:
ogni curva rappresenta località che danno al consumatore la stessa soddisfazione: così è
indifferente andare in Albania o in Iraq: man mano che si passa alle curve a destra aumenta la
soddisfazione che diventa massima con un viaggio negli USA o in Giappone.
Andare in Giappone o negli Usa sarebbe dunque il massimo per il consumatore ma egli deve fare i
conti con il suo reddito Y e con i prezzi dei beni, il consumo dipende cioè dal suo potere di
acquisto e questo vincolo è detto vincolo di bilancio.
Il vincolo di bilancio è espresso (sl 76) da una retta di bilancio NM che riassume tutte le possibili
combinazioni dei due beni che il consumatore può acquistare con il reddito di cui dispone: se
compra di meno, la retta sarà all'interno (retta tratteggiata) e il consumatore risparmia (all'esterno
non può andare perchè non se lo può permettere con il reddito di cui dispone).
La pendenza di NM è 3/2, cioè il rapporto tra il prezzo dei generi alimentari e quello del vestiario.
Tale pendenza significa che, dati i prezzi, il consumatore per avere 1 unità di generi alimentari
deve rinunciare a 1,5 unità di vestiario (costo opportunità del cibo in termini di vestiario).
Vediamo come varia la retta di bilancio al variare del reddito o dei prezzi.
Supponiamo che il reddito giornaliero del consumatore sia dimezzato e che i due prezzi
rimangono invariati. La retta subisce uno spostamento parallelo verso l'interno(slide 79) e
viceversa se aumenta il reddito la retta si sposta all'esterno (effetto reddito).
Supponiamo ora che il reddito rimanga fisso ma che il prezzo raddoppi, e si hanno 2 casi:
1)se raddoppiano sia vestiario che generi alimentari la retta si sposta parallelamente a destra
perchè il reddito reale si è ridotto (sl 81);
2)se raddoppia il prezzo di uno solo dei beni ad es raddoppia il prezzo dei generi alimentari
mentre quello del vestiario rimane invariato: in questo caso (slide 83) la retta di bilancio subisce
una rotazione in direzione dell'origine e modifica la pendenza.
La retta di bilancio può essere sovrapposta alla mappa di indifferenza del consumatore. Il
consumatore, ovviamente, si sposta verso il punto che genera il più alto grado di soddisfacimento
e che in questo caso è rappresentato dal punto B: l'equilibrio del consumatore si raggiunge nel
punto in cui la retta di bilancio è tangente alla curva di indifferenza più elevata, vale a dire dove il
rapporto di sostituzione è esattamente uguale alla pendenza della retta di bilancio: nella slide 86 è
3:2.
In sostanza le scelte dei consumatori dipendono
1)--dal reddito
2)--dal tipo di bene: i beni di consumo di prima necessità tendono ad essere meno sensibili alle
variazioni di reddito rispetto alla maggior parte degli altri beni, mentre i beni di lusso mostrano
una maggiore sensibilità.
3)--da relazioni esistenti tra un bene e un altro:
--i beni sostitutivi (caffè-thè)
--i beni, detti beni inferiori, la cui domanda tende a aumentare con la diminuzione del reddito: se
il mio reddito diminuisce, comprerò la mortadella invece del prosciutto.
--i beni complementari, invece sono ad es benzina e automobili : ad un aumento di prezzo del
bene A vi è una diminuzione della domanda del bene complementare B.
--infine ci sono i beni indipendenti, come i libri di testo.
4)—dalle decisioni dei governi: è il caso dei cosiddetti beni meritevoli considerati positivi in sé
e, all'opposto, dei beni non meritevoli, ritenuti talmente dannosi da rendere accettabile la
limitazione della libertà di scelta personale: oggi le società civili promuovono l'istruzione pubblica
e l'assistenza sanitaria gratuite, ma penalizzano o proibiscono l'uso di sostanze nocive come le
sigarette, le bevande alcoliche o l'eroina.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
9
www.UNICTBLOG.com
Dalla domanda individuale alla domanda di mercato
Il singolo consumatore fa la sua scelta ed esprime la sua domanda individuale.
La somma delle domande individuali dà luogo alla domanda di mercato espressa graficamente da
una curva di domanda di mercato o aggregata; la costruzione di questa curva presuppone che le
scelte dei singoli siano tra loro indipendenti e razionali; in realtà esistono delle interferenze nelle
scelte del consumatore:
--effetto traino o imitazione: la domanda del singolo aumenta in conseguenza del consumo di
altri
--effetto snob: quando il prezzo diminuisce, la domanda aumenta, ma, contemporaneamente
diminuisce la domanda del consumatore snob
--effetto Veblen o effetto ostentazione: il prezzo alto di in bene di lusso cattura quei consumatori
che lo considerano un modo di ostentare ricchezza.
Per la domanda aggregata si usano gli stessi principi utilizzati per la domanda individuale:
rapporto con i prezzi, elasticità, variazioni di reddito, prezzi dei beni sostitutivi e complementari
ecc.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
10
www.UNICTBLOG.com
Una volta stabilito “come” sceglie il consumatore, bisogna stabilire “come” sceglie l'impresa,
cioè cosa, quanto e come produrre.
nei capp. VI,VII, VIII saranno esaminati rispettivamente: produzione, costi e offerta.
CAP VI: Produzione e organizzazione delle imprese
Generalità sulla produzione
I beni che non esistono in natura bisogna produrli: produrre significa essenzialmente trasformare
beni e servizi in altri beni e servizi: ma in economia il termine trasformazione significa
trasformazione di valore e non in senso fisico; così quando trasformiamo il legno in tavolo
(trasformazione in senso tecnico), quando conserviamo il grano in un silos (trasformazione nel
tempo), quando vendiamo al dettaglio ciò che abbiamo acquistato all'ingrosso (trasformazione
nel modo), quando importiamo caffè dal Brasile in Italia (trasformazione nello spazio), creiamo
un valore aggiunto.
L'attività di produzione consiste nell'ottenere da certi beni o servizi( detti fattori produttivi o
input), altri beni o servizi (detti prodotti o output).
Gli output tradizionalmente vengono distinti in:
1)beni e servizi destinabili alla vendita che quindi hanno un prezzo: settore primario
(agricoltura e pesca), secondario (industria), terziario (servizi destinabili alla vendita)
2)servizi non destinabili alla vendita come quelli offerti dalle amministrazioni pubbliche (es
servizio sanitario), che non hanno prezzo di mercato (ma gli utenti pagano sotto forma di
tributi).
Gli input, ossia i fattori produttivi sono rappresentati da terra, lavoro e capitale:
1)Terra o risorse naturali
Sono terra, materie prime del sottosuolo, foreste, fiumi, laghi, mare; si tratta di risorse
--appropriabili, cioè che possono essere oggetto di proprietà
--limitate (ad es risorse minerarie)
--non hanno costi di produzione ma costi per l'uso, lo sfruttamento o l'estrazione.
2)Il lavoro
E' l'energia fisica e intellettuale necessaria all'uomo per produrre.
3)Il capitale
E' l'insieme di quei beni prodotti dall'uomo che vengono utilizzati essi stessi come fattori
produttivi per produrre altri beni: ad es attrezzature e macchinari (cd capitale fisso)o scorte di
materie prime o di semilavorati o di prodotti invenduti che rendono efficiente il processo
produttivo impedendone le interruzioni (cd capitale circolante)
L'organizzazione delle imprese
I fattori produttivi devono essere “organizzati”: l'impresa è l'organizzazione efficiente di tali
fattori messa in atto da 1 o + imprenditori, per produrre beni o servizi destinabili alla vendita.
Un'impresa efficiente, specie se di grosse dimensioni, gode di alcuni vantaggi quali:
--produzione su vasta scala
--maggiore potere contrattuale ad es nei confronti dei fornitori, tale da acquistare a prezzi + bassi
--gestione +efficiente della produzione con la ripartizione dei compiti in vari settori: acquisti,
vendite, pubbliche relazioni ecc.
Un'impresa può essere di piccola, media o grande dimensione a secondo che il numero degli
addetti sia rispettivamente fino a 100, da 100 a 1000, oltre i 1000.
A seconda della dislocazione geografica si distinguono:
--imprese nazionali: operano in un solo paese
–internazionali: parte della produzione è all'estero ma la direzione è nel paese originario
--multinazionali: la produzione è dislocata in molte nazioni tramite filiali, con direzione nel paese
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
11
www.UNICTBLOG.com
originario
--transnazionali:produzione e direzione dislocate in vari paesi
Da un punto di vista giuridico si distinguono imprese individuali, collettive e cooperative:
1)imprese individuali
Le imprese individuali sono le classiche piccole imprese a conduzione familiare: sono molto
diffuse ma presentano volumi di vendite totali limitati: si tratta di attività che richiedono un
enorme impegno da parte dei proprietari, che arrivano a lavorare cinquanta o sessanta ore la
settimana e spesso rinunciano alle ferie.
2)imprese collettive o società
Due o più persone possono riunirsi per formare una società di persone (sas,snc) tutti i soci
accettano di fornire parte del lavoro e del capitale, di suddividere i profitti e, naturalmente, di
ripartire eventuali debiti o perdite. Oggi le società di persone rappresentano soltanto una piccola
parte dell'attività economica complessiva: infatti esse presentano lo svantaggio della
responsabilità illimitata: i soci cioè sono responsabili di tutti i debiti contratti dalla società.
Oggi gran parte dell'attività economica si svolge in società di capitali ed in particolare in società
per azioni private: la società per azioni è una forma di organizzazione aziendale istituita mediante
statuto, che dispone di identità giuridica ben definita e può essere considerata come una persona
giuridica che può acquistare, vendere, contrarre prestiti, produrre beni e servizi e stipulare
contratti; tale società gode inoltre di responsabilità limitata, per cui gli investimenti nella società
di ciascun proprietario sono strettamente limitati a una determinata somma. La proprietà di una
società per azioni è determinata dal possesso dei titoli ordinari della società cioè delle azioni; gli
azionisti sono dunque i proprietari della società per azioni, ma la gestione è affidata ai dirigenti.
La società per azioni presenta tuttavia un grosso svantaggio: l'imposta sui profitti della società:
infatti per le imprese diverse dalle società per azioni il reddito viene tassato come normale reddito
personale, mentre il reddito delle società per azioni subisce una doppia tassazione, in primo luogo
come profitto della società e successivamente come reddito personale sui dividendi.
3)Cooperative
Sono organizzazioni che producono beni e servizi a sopo mutualistico, offerti ai soci a prezzi +
bassi in quanto non esiste il profitto d'impresa.
Infine bisogna ricordare:
--Holding: è un'impresa che possiede almeno il 50,1% delle azioni di una spa e quindi la
controlla: è chiamata anche società capogruppo o società madre
--Trust. È una coalizione di imprese integrate che giuridicamente sono autonome e distinte, ma
che sono sotto un'unica direzione
--Cartello: Si tratta di imprese operanti nello stesso settore e indipendenti, che si riuniscono e si
accordano allo scopo di controllare prezzi e mercati ( es OPEC, che riunisce i maggiori paesi
produttori di petrolio)
Cartelli e trust, di fatto ostacolano la concorrenza e in molti paesi sono illegali.
La teoria della produzione
Un'azienda cerca di produrre sempre il livello massimo di output per una data quantità di input,
evitando, dove possibile, qualsiasi spreco.
La relazione tra la quantità di input necessaria e la quantità di output producibile è definita
"funzione di produzione", la quale esprime dunque la capacità produttiva di un'impresa.
La funzione di produzione può essere rappresentata da un grafico in cui in verticale poniamo
l'output cioè il prodotto totale e in orizzontale l'input che può essere o tutti i fattori produttivi
-terra, lavoro e capitale- (F. di produzione aggregata) oppure solo uno di essi (F. di produzione
disaggregata).
Se scegliamo l'input lavoro, mantenendo costanti gli altri input, è facile dire che se aumenta il
lavoro, cioè il numero di lavoratori, il prodotto totale aumenta: il grafico che si ottiene è quello
della sl 113; questo grafico sorprendentemente ci mostra che il prodotto totale aumenta con
l'aumentare del fattore lavoro ma non in maniera proporzionale e fino a un certo punto oltre il
quale un aumento del fattore lavoro non porta + a un aumento del prodotto.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
12
www.UNICTBLOG.com
In altri termini, se con 1 lavoratore ottengo una quantità x di prodotto, con 2 lavoratori non
ottengo 2x cioè il doppio di quantità ma un po' meno: questo significa che il secondo lavoratore
ha ottenuto una quantità aggiuntiva di prodotto (prodotto marginale) non uguale a quella del
primo ma inferiore.
Quindi:
--Il prodotto totale fisico, o prodotto totale, indica la quantità totale di output prodotto.
--Il prodotto marginale di un input è il prodotto aggiuntivo, o output aggiunto da un’unità
addizionale di quel tipo di input, mentre tutti gli altri input sono mantenuti costanti.
--Il prodotto medio è quello che misura l’output totale diviso per le unità totali di input.
Unità di lavoro
0
1
2
3
4
5
Prodotto totale
0
2000
3000
3500
3800
3900
Prodotto marginale
Prodotto medio
2000
1000
500
300
100
2000
1500
1167
950
780
--La legge dei rendimenti decrescenti afferma che, aggiungendo quantità addizionali di un input
e mantenendo costanti tutti gli altri, si otterranno quantità aggiuntive di output sempre minori.
Se si aggiungono quantità di un fattore come il lavoro ad una quantità fissa di terra, macchinari e
altri input, il lavoro potrà contare su quantità sempre minori degli altri fattori: di conseguenza, la
terra diventerà più affollata ed il prodotto marginale del lavoro diminuirà.
I rendimenti decrescenti sono un fattore chiave per spiegare la povertà di molti paesi asiatici: il
tenore di vita nei paesi ad alta densità di popolazione è basso perché vi sono troppi lavoratori per
ettaro di terra e non perché gli agricoltori sono incapaci.
Ma cosa succede se si aumentano tutti gli input?
Occorre distinguere tre casi importanti:
• I rendimenti di scala costanti si hanno quando un aumento di tutti gli input determina un
aumento proporzionale degli output.
• I rendimenti di scala crescenti (detti anche economie di scala) si hanno quando un
aumento di tutti gli input produce un incremento più che proporzionale di output.
• I rendimenti di scala decrescenti ( diseconomie di scala) si verificano quando un aumento
di tutti gli input produce un incremento meno che proporzionale dell’output totale.
Un altro fattore determinante sulla produzione è il progresso tecnologico.
Bisogna distinguere tra innovazione
--di processo, che si ha quando migliorano o vengono introdotte nuove tecniche produttive
--di prodotto, che si verifica quando sul mercato vengono introdotti prodotti nuovi o migliori.
Il progresso tecnologico permette di produrre + prodotti e di migliore qualità, spostando la
funzione di produzione verso l'alto sl 118.
La produttività
--produttività totale è il rapporto tra l’output totale e una media ponderata di tutti gli input.
--produttività di lavoro è il rapporto tra output totale e unità di lavoro
--produttività del capitale è il rapporto tra output totale e unità di capitale
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
13
www.UNICTBLOG.com
CAPITOLO VII: Analisi dei costi
L'impresa decide il livello di produzione in base al criterio: profitto = ricavi totali - costi totali,
Pr=R-CT: diminuendo i costi si otterrà un profitto maggiore.
[NOTA: il profitto può essere:
1)profitto normale, quando i ricavi totali sono uguali ai costi totali (compresi i costi opportunità
del capitale proprio e del lavoro)
2)extraprofitto quando i ricavi totali sono superiori ai costi totali (compresi i costi opportunità ): è
questa differenza che è decisiva perchè l'imprenditore scelga di fare l'imprenditore anzichè
l'impiegato, in quanto guadagna + del costo opportunità ]
I costi si dividono in:
--costi fissi , chiamati anche "costi generali" o "costi non recuperabili": sono costituiti da elementi
quali canoni di affitto di una fabbrica o di un ufficio, le rate per le attrezzature, i pagamenti degli
interessi sui debiti. Tali costi devono essere sostenuti anche se l'impresa non produce alcun output
e non variano al variare della quantità di output prodotta.
--costi variabili: variano al variare dell'output: essi includono i materiali necessari per la
produzione, gli operai che lavorano nelle catene di montaggio, l'energia richiesta per il
funzionamento delle fabbriche.
Il costo totale rappresenta la spesa totale necessaria per produrre ciascun livello di output e deriva
dalla somma CT = CF + CV.slide 124
Il costo medio unitario è il costo di una unità prodotta ed è dato dal costo totale diviso per il
numero di unità prodotte: CU=CT:Q
Graficamente viene rappresentato dalla curva della sl 130
[ NOTA: poicè il CMU comprende costo fisso + costo variabile, esso si può scindere in:
costo fisso unitario CFU= CF:Q(di output)
costo variabile unitario CVU=CV:Q ].
Il costo marginale CM indica il costo aggiuntivo sostenuto per produrre una unità ulteriore di
output, e a un andamento a U slide 128, cioè in una prima fase decresce all'aumentare della
produzione e successivamente cresce.(vedi tabella sottostante)
Quantità
0
1
2
3
4
5
6
Costo fisso
55
55
55
55
55
55
55
Costo
variabile
0
30
55
75
105
155
225
Costo totale
55
85
110
130
160
210
280
Costo
Marginale
unitario
Costo
Unitario
0
30
25
20
30
40
50
85
55
65
40
42
46
In tabella si può notare che, in un primo tempo, il costo medio unitario diminuisce costantemente,
raggiunge il livello minimo di € 40 quando q = 4 e poi cresce lentamente.
Sovrapponiamo ora le due curve CU e CM slide 131:
Quando il costo marginale è inferiore al costo medio unitario, il primo spinge il secondo verso il
basso; quando il costo marginale è uguale al costo medio unitario, quest'ultimo non sale non
scende e si trova al livello minimo; quando invece il costo marginale è superiore al costo medio
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
14
www.UNICTBLOG.com
unitario, il primo spinge il secondo verso l'alto. Al punto M il CU è al suo minimo e il punto ci
indica l'utilizzazione ottimale degli impianti.
Detto in parole + semplici: per aumentare la produzione deve aumentare il fattore variabile ad es il
lavoro, e ogni lavoratore in +, utilizzando la stessa quantità di macchinari, determina una
produttività decrescente per la legge dei rendimenti decrescenti: il CU diminuisce fino a quando
diminuisce il CM: quando il CM inizia a salire, sale anche il CU.
Produzione, teoria dei costi e decisioni dell’impresa
Abbiamo visto che gli imprenditori devono prendere delle decisioni su cosa, quanto e come
produrre e che queste scelte si basano su vari elementi:
--1)grandezza o scala di produzione: essa dipende dalla possibilità di collocare i prodotti sul
mercato e perciò deve essere preceduta dalle previsioni sulla futura domanda (ricerca di mercato)
--2)dislocazione dell'impresa: il luogo dove l'impresa deve sorgere deve seguire criteri di
convenienza economica: ad es un'industria che trasforma materie prime in beni da vendere sul
mercato deve posizionarsi vicino alle materie prime se il costo del trasporto delle materie fino
alla fabbrica è superiore al costo del trasporto dei beni finiti, dalla fabbrica al mercato.
--3)metodo di produzione: ossia quale tecnologia utilizzare.
Se una nuova tecnologia consente all'impresa di produrre la stessa quantità di output con minore
quantità di input, i costi sostenuti dall'azienda diminuiscono e la curva dei costi si sposta verso il
basso: questa scelta è molto importante in quanto da questa scelta dipende il rapporto tra capitale
fisso (macchinari) e capitale variabile (manodopera) e quindi il rapporto tra costi fissi e costi
variabili:ad es se si vuole aumentare la produzione lasciando immutato il capitale fisso (cioè
lasciando la stessa tecnologia) si dovrà aumentare il capitale variabile(la manodopera)
Come si valuta la tecnica produttiva + conveniente?
Una volta scelta la scala di produzione cioè quanto si vuole produrre e quanto input occorre,
l'imprenditore dovrà scegliere, tra 2 tecniche produttive diverse, quella + conveniente: ad es per
ottenere un'unità di output Q con 2 input capitale K e lavoro L si possono utilizzare:
--la tecnica A che prevede l'impiego di 0,25 di K + 0,45 di L
--la tecnica B invece richiede 0,35 di K e 0,30 di L
se il prezzo di 1 unità di K è 4 e quello di 1 unità di L è 5, 1 unità di prodotto costerà:
--con la tecnica A : 0,25x 4 (=1 di K) + O,35x5 (=2,25 di L) = 3,25
--con la tecnica B : 0,35x 4 (=1,40 di K) + 0,30x5 (=1,50 di L) =2,90
La tecnica B risulta quindi + conveniente.
--4)la combinazione ottimale dei fattori produttivi.
L'analisi del modo in cui un'impresa combina gli input per minimizzare i costi può essere
rappresentata efficacemente sotto forma di grafico sl 145. Tale curva mostra tutte le diverse
combinazioni di terra e lavoro che producono un output di 346 unità. Essa viene definita
isoquanto ed è analoga alla curva di indifferenza del consumatore: i punti A, B, C e D e qualsiasi
altro punto sull’isoquanto danno la stessa q di output di 346 unità. Quale di questi punti presenta
il costo totale più basso? Una semplice tecnica consiste nel tracciare degli isocosti sl 146: 9 unità
di lavoro + 6 unità di terra costano 18, 6L + 4T costano 12 ecc. Combinando isoquanti e isocosti
è possibile determinare la posizione ottimale per l'impresa: per individuare tale punto è
sufficiente sovrapporre l’isoquanto alla famiglia di isocosti sl 149.
--5)la concorrenza trattata nel prossimo capitolo
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
15
www.UNICTBLOG.com
CAPITOLO VIII: Offerta e allocazione nei mercati concorrenziali
L'impresa deve anche tener conto del tipo di mercato in cui opera cioè del numero e del
comportamento delle imprese concorrenti che producono gli stessi beni.
Da questo punto di vista tradizionalmente si distingue un mercato a concorrenza perfetta e un
mercato a concorrenza imperfetta.
Un mercato di concorrenza perfetta è caratterizzato da:
1)omogeneità dei prodotti che presentano le stesse caratteristiche
2)un numero elevato di imprese di dimensioni piccole tali da non avere il potere di influenzare il
prezzo.
3)il mercato è libero nel senso che, da una parte i consumatori non sono legati a nessun produttore
particolare per cui, se il prezzo aumenta, essi passano a un altro produttore; dall'altra ogni impresa
è libera di entrare e uscire dal mercato.
Questi 3 elementi hanno come conseguenza che l'impresa in mercato di concorrenza perfetta (cd
impresa price-taker) non ha interesse né ad aumentare il prezzo, perchè perderebbe i clienti, né a
diminuirlo pur di vendere perchè è talmente piccola rispetto al mercato che può vendere qualsiasi
quantit perchè la sua produzione in ogni caso non riuscirebbe a soddisfare l'aumento di domanda.
La curva di domanda da parte dei suoi clienti è orizzontale cioè perfettamente elastica sl 156.
Per determinare il piano di produzione ottimale, cioè la quantità di output da offrire al mercato,
può essere utilizzata la curva del costo marginale sl 158: l'output che consente di massimizzare i
profitti è indicato dal punto in cui il prezzo interseca la curva del costo marginale: nella sl 158 è il
punto B che corrisponde a un output 4 e al prezzo di 40.
Se ci troviamo a sinistra di B ad es alla quantità 3, il prezzo (40) sarebbe maggiore del costo
marginale, per cui all'impresa conviene aumentare la produzione a 4 fino a B.
Oltre B, il prezzo è inferiore al costo marginale per cui non conviene produrre oltre B perchè si
avrebbe riduzione dei profitti; a meno che il prezzo non lo facciamo aumentare a 50: in tal caso si
avrà un extra profitto (segnato dal triangolo tra A e B) che man mano va diminuendo con
l'aumento della produzione, fino ad azzerarsi nel punto E.
Ciò significa che la curva di costo marginale determina la quantità offerta per ogni livello di
prezzo: essa corrisponde quindi alla curva di offerta dell'impresa.
A questo punto possiamo dire che se il prezzo (di vendita) P è uguale (o superiore) al CU
l'impresa funziona; se il prezzo è inferiore l'impresa produce in perdita e viene eliminata dal
mercato.
[NOTA: in realtà un'impresa può continuare anche producendo in perdita:
È necessario tenere presente che, anche se la produzione di un’impresa è zero, essa deve
comunque rispettare i propri obblighi contrattuali, cioè deve sostenere costi fissi, quali gli
interessi da pagare alla banca, gli affitti degli immobili, le imposte sulle licenze ed i compensi
degli amministratori. Ai costi fissi si aggiungono i costi variabili, come quelli per i materiali, i
lavoratori addetti alla produzione ecc.
All'impresa conviene continuare a produrre fino a quando il ricavo meno i costi variabili copre
parzialmente i costi fissi: in altre parole lavoro in perdita perchè chiudere mi costerebbe di +
perchè dovrò rimborsare i costi fissi. Il livello critico del prezzo di mercato al quale i ricavi
corrispondono esattamente al costo variabile viene definito punto di chiusura.
Se i prezzi sono inferiori al punto di chiusura, l'impresa cesserà di produrre poiché in tal modo
perderebbe soltanto i costi fissi.
E' il caso tipico di molte compagnie aeree che hanno costi fissi elevati e perciò continuano la loro
attività ,anche in perdita, fino a quando le perdite sono inferiori ai costi fissi].
L’offerta delle industrie concorrenziali
Finora si è parlato di come la singola impresa decide l'offerta cioè stabilisce la quantità di
prodotto da porre sul mercato.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
16
www.UNICTBLOG.com
Ora vediamo come si comporta il mercato, costituito da un gran numero di imprese.
La curva di offerta del mercato di un bene, è ottenuta dalla somma delle curve di offerta di tutti i
singoli produttori di quel bene.
Dato che le imprese possono modificare la produzione nel tempo, si distinguono due diversi
periodi: l'equilibrio nel breve periodo, dove il prodotto varia entro i limiti consentiti dagli impianti
e dalle imprese esistenti e l'equilibrio nel lungo periodo, dove il numero di imprese e impianti,
nonché tutti gli altri fattori, possono essere completamente adeguati alle nuove condizioni di
domanda.
Nel breve periodo (fig 8.5 pag154) un aumento di domanda (da DD a D'D') viene soddisfatto
aumentando la produzione tramite aumento dei fattori variabili: i prezzi salgono sensibilmente, la
curva di offerta è ripida.
Nel lungo periodo, un aumento di domanda viene soddisfatto con l'aumento della produzione
tramite aumento anche dei fattori fissi (nuovi macchinari, ma anche nuove entrate): la curva di
offerta è + piatta e i prezzi non salgono di molto: infatti, se le imprese possono entrare e uscire
liberamente dall'industria e nessuno gode di particolari vantaggi, il prezzo di mercato elevato
attira altre imprese: ciò comporta un aumento dell'offerta e conseguentemente induce un
abbassamento del prezzo di equilibrio (sl164), eliminando gli eccessi di profitto realizzati dalle
imprese nell'industria. Se quindi da un lato la possibilità di uscire liberamente dall'industria
significa che il prezzo non può scendere al disotto del punto di pareggio, dall'altro la possibilità di
entrarvi liberamente fa si che nell'equilibrio di lungo periodo il prezzo non possa superare il costo
medio unitario.
Efficienza ed equità nei mercati concorrenziali
Un sistema economico è efficiente quando, date le risorse e la tecnologia disponibili, è
organizzato in modo tale da fornire ai consumatori i beni ed i servizi maggiormente desiderati.
L'efficienza allocativa (o efficienza) si ha quando non è possibile riorganizzare la produzione in
modo tale da migliorare le condizioni di vita di qualcuno senza peggiorare quella di altri. In una
situazione di efficienza allocativa, il soddisfacimento (o utilità) di un individuo può aumentare
soltanto riducendo l'utilità di altri individui. Il concetto di efficienza può essere intuitivamente
collegato alla frontiera delle possibilità produttive.
L'efficienza è soddisfatta:
--quando i consumatori massimizzano il proprio soddisfacimento e l'utilità marginale è uguale al
prezzo UM=P;
--quando i produttori in concorrenza scelgono il livello di output al quale il costo marginale è
uguale al prezzo CM=P;
--dato che UM = P e CM = P, ne consegue che UM = CM. Il costo marginale sostenuto dalla
società per produrre un bene in concorrenza perfetta è quindi uguale all'utilità marginale valutata
in termini di perdita di beni o svago. Se il guadagno che la società ottiene dall'ultima unità di bene
consumata è uguale al costo marginale sostenuto per produrre l'ultima unità di prodotto, la
condizione che garantisce l'efficienza dell'equilibrio concorrenziale è soddisfatta.
Il mercato perfettamente concorrenziale quindi si regola efficientemente da solo, senza interventi
statali; tuttavia bisogna sottolineare due cose:
1)efficienza non vuole sempre dire equità: ad es i redditi degli agricoltori possono essere molto
bassi e in tal caso lo Stato interviene a sostegno del prezzo dei prodotti agricoli, acquistando a
prezzi prefissati le eccedenze oppure erogando integrazioni per coprire la differenza con il basso
prezzo del mercato;
2)l'efficienza può venire a mancare nel caso dei cd fallimenti di mercato.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
17
www.UNICTBLOG.com
CAPITOLO IX: Concorrenza imperfetta e monopolio
I fallimenti di mercato sono: concorrenza imperfetta, esternalità e imperfezioni nella diffusione
delle informazioni.
--Concorrenza imperfetta: si ha quando un'impresa gode di un certo potere in un particolare
mercato e può alzare il prezzo del prodotto al disopra del costo marginale. I consumatori
acquisteranno il bene in quantità minori rispetto a una situazione di concorrenza perfetta, per cui
si avrà una diminuzione del soddisfacimento del consumatore.
--Un secondo tipo di fallimento del mercato è costituito dalle esternalità, che si hanno quando
alcuni degli effetti collaterali della produzione o del consumo non sono inclusi nei prezzi di
mercato: può accadere che una fabbrica emetta esalazioni solforose nell'aria provocando danni
alle abitazioni vicine e alla salute delle persone; se l'impresa non risarcisce tali impatti ambientali,
l'inquinamento sarà elevato e danneggerà il benessere del consumatore.
--Un terzo importante fallimento del mercato è costituito dalle imperfezioni nella diffusione di
informazioni: la teoria della mano invisibile dà per scontato che acquirenti e venditori dispongono
di tutte le informazioni necessarie su beni e servizi che acquistano e vendono, ma la realtà si
discosta notevolmente da questo mondo ideale. Il punto importante riguarda l'entità del danno
provocato dalle imperfezioni nella diffusione delle informazioni. In alcuni casi la perdita di
efficienza è limitata, mentre in altri casi la perdita può essere più rilevante.
Se un'impresa è in grado di influire in modo significativo sul prezzo di mercato del proprio output,
cioè può fissarlo entro certi limiti, si dice che opera in condizioni di concorrenza imperfetta.
Gli economisti suddividono la concorrenza imperfetta in tre diverse strutture di mercato.
1)Il monopolio, dove un unico venditore ha il totale controllo di un'industria perchè non esiste
altra industria capace di produrre un bene sostitutivo. Oggi i veri monopolisti sono rari e la loro
esistenza è quasi sempre legata a qualche forma di protezione, quale ad es un brevetto.
2)L'oligopolio dove ci sono pochi venditori (il numero può variare da 2 a 10-15 imprese).
Ma il concetto importante è che il comportamento delle singole imprese può influire sul prezzo di
mercato: ad es nel settore aereo l'abbassamento delle tariffe da parte di una compagnia può
scatenare un guerra dei prezzi. Le industrie oligopolistiche sono numerose es settore auto.
3)La cd concorrenza monopolistica, dove ci sono molti venditori che offrono prodotti
differenziati. Questa struttura di mercato è la + vicina alla concorrenza perfetta, in quanto i
venditori sono numerosi e nessuno possiede una grande quota di mercato, ma se ne differenzia per
il fatto che i prodotti venduti dalle varie imprese non sono perfettamente identici ma presentano
piccole differenze. Dato che i prodotti sono leggermente differenziati, essi possono essere venduti
a prezzi leggermente diversi es la benzina. Il costo opportunità totale dei beni (compreso il costo
del tempo) dipende dalla distanza tra abitazione e punto di vendita. Poiché il costo opportunità dei
punti di vendita più vicini è inferiore, questi saranno generalmente preferiti: l'esempio classico è
la scelta del distributore di benzina + vicino anche se costa qualche centesimo in +.
Quasi tutti casi di concorrenza imperfetta possono essere fatti risalire a due ragioni principali:
1)In primo luogo, le grandi imprese possono produrre grandi Q di output a costi inferiori e quindi
applicare prezzi più bassi di quelli delle piccole imprese, impedendone la sopravvivenza.
2)In secondo luogo, i mercati tendono alla concorrenza imperfetta quando l'ingresso di nuovi
concorrenti nel settore viene ostacolato dalle cd "barriere all'ingresso" che limitano il numero dei
concorrenti, per cui il settore è caratterizzato da poche imprese e da un livello di concorrenza
limitato. Le economie di scala sono un tipo comune di barriere all'ingresso, ma ne esistono altre,
come le restrizioni legali, gli elevati costi d'ingresso, la pubblicità e la differenziazione dei
prodotti.
Le restrizioni legali comprendono i brevetti, i dazi doganali ed i contingenti di importazione.
In alcune industrie il prezzo d'ingresso può essere semplicemente molto elevato: nell'industria
degli aerei commerciali, per esempio, gli elevati costi sostenuti per progettare e collaudare i nuovi
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
18
www.UNICTBLOG.com
aeroplani scoraggiano le imprese che vogliono entrare nel mercato.
La pubblicità fornisce ai consumatori maggiori informazioni sui prodotti e fà si che essi
rimangano fedeli alle marche più note es CocaCola e Pepsi.
Anche la differenziazione dei prodotti, singolarmente o in combinazione con ampie campagne
pubblicitarie, può costituire una barriera all'ingresso e incrementare il potere di mercato dei
produttori. In numerose industrie, come per esempio, quelle dei cereali per la prima colazione,
delle automobili, di elettrodomestici e dei detersivi, è normale che un ristretto numero di
produttori forniscano una vasta gamma di marche, modelli, e prodotti diversi.
Ricavo marginale e monopolio (da NON fare)
Vediamo ora quale sarà il prezzo e la quantità di output che consentono al monopolista di
massimizzare i profitti.
La tabella 9.3 pag 175, ci dice che a Q=5 con prezzo (o RU) 100, il ricavo totale è di
5X100=500 e con RM ricavo marginale +20 ( il ricavo marginale è l'incremento del ricavo
totale derivante dalla vendita di unità aggiuntiva); a Q=6 e prezzo 80, RT=480, RM= -20 e se
il ricavo marginale è negativo significa che, per vendere unità aggiuntive, la diminuzione di
prezzo ha determinato diminuzione dei ricavi totali. Quindi il punto di massimo ricavo totale
corrisponde a Q=5, P=100 e RM= +20. Questo è raffigurato nella figura 9.3.
Il ricavo marginale è positivo quando la domanda è elastica, zero quando la domanda è a
elasticità unitaria e negativo quando la domanda è anelastica.
Se la domanda è
Elastica
Relazione tra Q e P
Effetti di Q su RT
Variazione % di Q > di P
Aumento di Q incremento di
RT
Aumento di Q, RT invariato
Aumento di Q riduzione di
RT
A elasticità unitaria Variazione % di Q = di P
Anelastica
Variazione % di Q < di P
Valore di ricavo
marginale (RM)
RM > 0
RM = 0
RM < 0
Ma il punto di massimo RT corrisponde al massimo profitto?
Confrontando il RM con il costo marginale CM tab 9.5 si nota come il massimo profitto si ha
quando l’output si trova al livello in cui il ricavo marginale dell'impresa è uguale al suo costo
marginale RM=CM e + precisamente alla Q=4.
Nella figura 9.4 sono riportate le curve dei ricavi e dei costi dell'impresa. Il punto di massimo
profitto si ha al livello di output in cui CM è uguale a RM, che corrisponde al punto di
intersezione E (output q = 4). Per individuare il prezzo che massimizza i profitti, occorre salire
in senso verticale da E verso la curva dd fino al punto G, dove P = €120. Poiché il ricavo
unitario nel punto G è superiore al costo unitario nel punto F, il profitto è positivo.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
19
www.UNICTBLOG.com
CAPITOLO X: Oligopolio e concorrenza monopolistica
Comportamento delle imprese in concorrenza imperfetta
Il potere di mercato indica il grado di controllo esercitato da una singola impresa o da un numero
limitato di imprese sul prezzo e sulle decisioni relative alla produzione.
La misura più comune del potere di mercato è il cd rapporto di concentrazione:di un'industria.
Il rapporto di concentrazione su quattro imprese viene definito come la percentuale del prodotto
totale dell'industria dovuta alle quattro maggiori imprese e, analogamente, il rapporto di
concentrazione su otto imprese è la percentuale di prodotto fornita dalle otto imprese principali.
Molti economisti ritengono insufficiente il rapporto di concentrazione tradizionale e propongono
come alternativa l'indice di concentrazione Herfindahl – Hirschman: esso è dato dalla somma del
quadrato delle quote di mercato di tutte le imprese operanti sul mercato e in situazione di
concorrenza perfetta sarebbe vicino a 0, mentre in monopolio assoluto sarebbe 10.000.
Perchè gli economisti hanno un interesse tanto marcato per le industrie in concorrenza
imperfetta?
Perchè la concorrenza imperfetta spesso conduce a situazioni contrarie all'interesse della
collettività, a prezzi che superano i costi marginali e, talvolta, a una qualità di servizi scadente:
d'altra parte è indubbio che la maggior parte dell'attività di ricerca, sviluppo e innovazione viene
fatta dalle grandi imprese.
Il dato + interessante nello studio della concorrenza imperfetta in un mercato, si riferisce alla cd
interazione strategica cioè ai rapporti che si instaurano tra imprese concorrenti
.--In caso di oligopolio: se in un mercato sono presenti poche imprese, queste possono decidere di
--non cooperare, cioè di agire per conto proprio, senza alcun accordo esplicito o implicito con le
altre imprese, comportamento che spesso si traduce in guerra dei prezzi;
-oppure di cooperare attivamente e in tal caso si parla di collusione. Questo termine indica una
situazione in cui due o più imprese fissano di comune accordo i livelli di prezzo e di produzione,
si suddividono il mercato e prendono congiuntamente altre decisioni.
Accordi espliciti di questo tipo configurano un cartello che di solito è vietato dalla legge: le
imprese allora possono dare vita a collusioni tacite, ossia evitano di adottare comportamenti
concorrenziali anche in assenza di accordi espliciti: la collusione può presentare grossi vantaggi
per le imprese che possono usufruire di prezzi, quantità e profitti di monopolio.
--In caso di concorrenza monopolistica assume importanza determinante la differenziazione dei
prodotti: un esempio di concorrenza monopolistica sono le drogherie o i distributori di benzina di
uno stesso quartiere che offrono i medesimi prodotti ma in luoghi diversi: ciascun venditore gode
di una certa libertà di alzare o abbassare i prezzi, più di quanto non accada in un mercato
perfettamente concorrenziale. La differenziazione dei prodotti fa si che la curva di domanda di
ciascun venditore abbia pendenza negativa. Poiché l'industria produce un profitto, nuove imprese
sono attratte nel mercato, ma il loro ingresso determina uno spostamento verso sinistra della curva
di domanda delle imprese già presenti, in quanto nuovi prodotti differenziati rosicchiano la loro
quota di mercato. In questo tipo di concorrenza imperfetta il tasso di profitto nel lungo periodo
tende a zero man mano che nuove imprese fanno ingresso nell'industria con nuovi prodotti
differenziati (figg 10.3 e 10.4).
Il mondo degli affari è ricco di interazioni strategiche tra i concorrenti, e per analizzare i risultati
gli economisti si basano su un’affascinante teoria, nota come teoria dei giochi, che consiste
nell'analisi di situazioni riguardanti due o più "giocatori" che devono prendere decisioni e hanno
obiettivi contrastanti. La teoria dei giochi ha portato ad alcune interessanti affermazioni:
--all'aumentare del numero di oligopolisti non cooperativi, il prezzo e la quantità dell'industria
tendono ad avvicinarsi alla situazione del mercato perfettamente concorrenziale.
--se le imprese decidono di colludere piuttosto che competere, il prezzo e la quantità del mercato
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
20
www.UNICTBLOG.com
saranno simili a quelli del monopolio.
--spesso l'interazione strategica può condurre a risultati instabili quando le imprese minacciano o
scatenano una guerra dei prezzi, si arrendono di fronte alle imprese più forti, puniscono i rivali più
deboli, palesano le loro intenzioni o semplicemente escono dal mercato.
Le imprese che detengono il potere di mercato possono aumentare i loro profitti attuando la
discriminazione del prezzo, cioè vendendo a clienti diversi lo stesso prodotto applicando prezzi
differenti (es le tariffe aeree business e turistiche). Queste discriminazioni sorprendentemente
migliorano il benessere economico: il monopolista può aumentare il prezzo ma perde quella parte
della clientela riluttante all'acquisto; applicando prezzi differenti a coloro disposti a pagare prezzi
elevati e a coloro che accettano solo prezzi più bassi, l'impresa monopolista può aumentare sia i
profitti sia la soddisfazione del consumatore.
Costi economici della concorrenza imperfetta
Il potere del monopolio conduce all'inefficienza economica, in quanto la Q di prodotto è
artificiosamente tenuta a livelli + bassi del necessario, consentendo al monopolista di alzare i
prezzi al di sopra del CM ed è anche possibile che si verifichi un deterioramento della qualità.
Per frenare gli abusi della concorrenza imperfetta, in passato i poteri pubblici hanno talvolta fatto
ricorso all'imposizione fiscale (tassare i monopoli), ai controlli dei prezzi (soprattutto in tempo di
guerra per contenere l'inflazione) e alla proprietà statale dei monopoli (come i monopoli naturali
acqua, gas, elettricità).
Ma nelle moderne economie di mercato questi strumenti sono utilizzati con minore frequenza.
Gli strumenti di politica industriale adottati con maggiore frequenza sono:
--la regolamentazione, che indica alle imprese come fissare i prezzi e consente il controllo da
parte di enti specializzati
--le leggi antitrust che vietano alcuni comportamenti
--l'incoraggiamento della concorrenza, ad es riducendo le barriere dove possibile.
Comportamento delle grandi società
La concorrenza imperfetta come si è visto, determina inefficienza; d'altra parte la realtà ci dice che
molti settori produttivi sono caratterizzati dall'oligopolio e molti altri dalla concorrenza
monopolistica; ma allora la concorrenza imperfetta ha qualche lato positivo?
Certamente le grandi imprese hanno dato un contributo essenziale alla ricerca e all'innovazione:
Schumpeter è stato il primo a mettere in evidenza il ruolo positivo dell'imprenditore come
portatore di innovazione di prodotti o di metodi organizzativi: le innovazioni producono profitti
enormi ma temporanei perché in tempi rapidi la concorrenza si impossessa delle nuove
conoscenze e procede all'imitazione.
Il fatto di non poter sfruttare a pieno la propria invenzione e di non avere un sufficiente ritorno
economico (cd inappropriabilità delle invenzioni) può indurre a carenza di investimenti nella
ricerca e nello sviluppo, soprattutto nel settore della ricerca di base che è fondamentale per lo
sviluppo di una nazione. Per tale motivo le nazioni sovvenzionano la ricerca di base in campo
medico e scientifico e hanno da tempo riconosciuto la necessità di proteggere pubblicamente le
invenzioni con apposite leggi che regolano brevetti, segreti industriali e commerciali e prodotti
elettronici, e che creano diritti di proprietà intellettuale.
Ciò è valido a maggior ragione ai nostri tempi dove, grazie ai sistemi informatici elettronici a
basso costo come Internet, è tecnologicamente possibile rendere l'informazione disponibile per
tutti e a costo zero; d'altra parte però il prezzo zero per la proprietà intellettuale riduce o distrugge
l'incentivo a produrre nuovi prodotti perché i creatori non traggono alcun profitto dalla loro
attività.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
21
www.UNICTBLOG.com
CAPITOLO XIII: Mercato del lavoro
Determinazione dei salari
NOTA: gli economisti tendono a utilizzare il salario medio reale, che rappresenta il potere
d'acquisto di un'ora di lavoro ossia il salario monetario diviso per il costo della vita.
I livelli salariali sono diversi da una nazione all'altra: queste differenze non sono dovute all'azione
dei governi che impediscono ai salari di aumentare, pur essendo vero che le politiche governative
influenzano il salario minimo e altri aspetti del mercato del lavoro, ma sono dovute all'interazione
della domanda e dell'offerta di lavoro.
La domanda di lavoro (ossia la richiesta di lavoratori) rispecchia la produttività marginale la quale
dipende dalla quantità e qualità dei beni capitali disponibili: macchinari, tecnologie, reti di
comunicazione, ma anche capitale umano cioè istruzione e specializzazione.
L'offerta di lavoro si riferisce al numero di ore che la popolazione desidera dedicare ad attività
remunerative in fabbriche, fattorie, imprese, enti pubblici ecc.: essa dipende da tre elementi chiave:
le ore lavorative, la partecipazione della forza lavoro e l'immigrazione.
--ore lavorative: in genere l'orario di lavoro va da 35 a 40 ore settimanali, senza grandi possibilità di
incremento o riduzione; supponiamo ora che i salari aumentino: la curva di offerta di lavoro (fig
13.4) in un primo tempo sale in direzione nord-est fino al punto C e successivamente presenta una
pendenza all’indietro in direzione nord ovest. Fino al punto C si lavora e si rinuncia alle ore di
svago; per salari più elevati (dopo il punto C) l'individuo richiede ore di svago aggiuntive.
--partecipazione: uno degli sviluppi più notevoli negli ultimi decenni è stato il massiccio ingresso
delle donne nella forza lavoro.
--immigrazione: gli immigrati tendono a concentrarsi in occupazioni faticose e poco pagate.
Consideriamo ora nei dettagli le differenze salariali: in un mercato di lavoro perfettamente
concorrenziale, se gli individui e le occupazioni fossero esattamente uguali, le differenze salariali
non esisterebbero (tutti i salari sarebbero determinati da domanda e offerta): ma nella realtà
individui e occupazioni non sono uguali:
--differenze tra occupazioni: ci sono mestieri che non sono molto ambiti, perchè faticosi o noiosi o
pericolosi, quindi può essere necessario aumentare i salari per persuadere gli individui a svolgerli: le
differenze salariali atte a compensare la mancanza di attrattive relative, sono dette differenziali
salariali compensativi.
--differenze tra individui: perchè allora uno spazzino guadagna meno di un avvocato che
sicuramente esercita una professione + piacevole e prestigiosa?
La risposta sta nel fatto che l'avvocato ha speso molto + tempo e denaro per acquisire una scorta di
conoscenze utili alla professione per cui possiamo considerare che parte del suo elevato salario altro
non è che la remunerazione degli investimenti fatti in capitale umano.
Teoria dei gruppi non concorrenti
Secondo questa teoria il mercato del lavoro non è un mercato unico ed omogeneo ma è costituito da
tanti sottomercati tra loro non concorrenti: così esiste un mercato dei medici, degli avvocati ecc che
non sono concorrenti tra di loro perchè ben difficilmente si avrà il passaggio da uno all'altro di
questi mercati (un medico non può diventare da un giorno all'altro avvocato); questo vuol dire che
ogni sottomercato deve essere considerato indipendentemente dagli altri, soggetto alle proprie leggi
di domanda e offerta: per questo motivo sorgono le differenze salariali tra occupazioni diverse ; cmq
bisogna rilevare che in realtà esiste una parziale mobilità tra i sottomercati che col tempo attenua le
differenze salariali: es se esistono differenze salariali tra uno che estrae rame da una miniera e un
informatico, è probabile che col tempo, poiché l'uso del rame va via via riducendosi, i giovani
preferiscano studiare informatica anziché andare in miniera: il mercato degli informatici sarà allora
+ numeroso e la concorrenza diminuirà i salari che si avvicineranno a quelli del minatore.
Il movimento sindacale
Nelle moderne economie molte scelte vengono fatte non dal singolo lavoratore ma collettivamente
tramite le organizzazioni sindacali: i sindacati contrattano con i rappresentanti delle imprese (ed è
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
22
www.UNICTBLOG.com
come se si avesse un solo venditore e un solo compratore: monopolio bilaterale) e raggiungono
accordi collettivi che di solito contengono:
--un pacchetto economico, che comprende i tassi salariali di base delle diverse categorie
occupazionali e le regole relative alle ferie e alle pause per i pasti e le disposizioni relative alle
indennità accessorie, come il sistema pensionistico, la copertura sanitaria ecc.
--una serie di regole lavorative, che riguardano le assegnazioni e i compiti delle varie attività, la
sicurezza del lavoro e le quantità di lavoro assegnato.
--una serie di regole procedurali, che includono regole di anzianità nonché una procedura per
discutere le vertenze sindacali.
In genere un contratto rimane valido tre anni.
Nella contrattazione collettiva i sindacati fanno pressione per ottenere salari più elevati, mentre gli
imprenditori spingono nella direzione opposta: quali sono gli effetti degli aumenti salariali?
Quando i salari sono troppo elevati, possono verificarsi alti tassi di disoccupazione fig 13.7.
Questo tipo di disoccupazione (dovuta a livelli salariali elevati e ad un eccesso nell'offerta di lavoro)
è chiamata “classica” e si distingue dalla disoccupazione cd Keynesiana, dovuta alla diminuzione
della domanda da parte delle imprese.
Discriminazione razziale e sessuale
Le differenze salariali sono una caratteristica universale delle economie di mercato, ma quando una
differenza di questo tipo si verifica a causa di caratteristiche personali irrilevanti, come la razza, il
sesso o la religione, viene definita discriminazione.
La forma di discriminazione più diffusa è l'esclusione da determinate occupazioni e determinate
zone residenziali: le minoranze vivono in zone in cui le scuole sono scadenti e non possono
permettersi l'istruzione privata; di conseguenza, questi individui non vengono preparati a sufficienza
per poter ottenere posti di lavoro ben retribuiti e devono accontentarsi di occupazioni che non
richiedono specializzazione: si vengono così a creare 2 sottomercati non concorrenziali, quello dei
privilegiati e quello delle minoranze fig 13.8.
Un altro aspetto molto interessante della discriminazione è quella che viene definita
discriminazione statistica in cui gli individui sono considerati in base al comportamento medio degli
appartenenti al gruppo di riferimento più che in base alle loro caratteristiche personali: ad es si
preferisce assumere un laureato presso una università prestigiosa anziché uno di un'università poco
nota; le donne vengono tradizionalmente escluse da occupazioni tecniche e per questo esse
preferiscono le materie umanistiche e sociali, ma così facendo si crea un circolo vizioso che
perpetua questa situazione.
A questo proposito rileviamo come i gruppi + penalizzati sono le minoranze e le donne.
Bisogna cmq dire che le differenze salariali tra gruppi diversi, non sono dovuti interamente alla
discriminazione razziale o sessuale ma ci sono altri fattori importanti come l'istruzione e la
continuità lavorativa: storicamente i lavoratori afro-americani sono meno istruiti dei bianchi, mentre
le donne tendono ad uscire dal lavoro + spesso degli uomini per dedicarsi ai figli o all'attività
domestica.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
23
www.UNICTBLOG.com
CAPITOLO XIV Terra e Capitale (pa 267-293)
La terra costituisce un fattore di produzione essenziale ed ha una caratteristica: la sua quantità è fissa
e completamente insensibile al prezzo: quindi la curva di offerta della terra è completamente
anelastica, cioè verticale.
Il prezzo da pagare per l'utilizzo di un terreno per un certo periodo di tempo è la rendita o, più
formalmente, la rendita economica pura, e viene calcolata in termini di euro per unità di tempo.
Un'imposta sulla rendita non provoca distorsioni o inefficienze economiche in quanto non modifica
il comportamento economico di nessuno.
Capitale e interesse: concetti base
L'analisi economica tradizionalmente suddivide i fattori di produzione in tre categorie: terra e lavoro
(definite fattori primari o originali, la cui offerta è in larga parte determinata al di fuori del
mercato) cui va aggiunto il capitale.
--Il capitale è costituito da quei beni durevoli che risultano da un processo produttivo e che a loro
volta vengono utilizzati come input per la produzione successiva (sono al tempo stesso input e
output): si tratta di tre categorie principali di beni capitali: le strutture (ad es le fabbriche), le
attrezzature (i macchinari) e le scorte di input e output (le auto immagazzinate in attesa di essere
vendute)
Poichè i beni capitali vengono acquistati per la produzione successiva, essi devono “rendere”, cioè
mi devono dare + di quanto io abbia speso per acquistarli.
--il tasso di rendimento del capitale, indica il rendimento monetario netto (ricavi meno spese)
annuo di ogni euro del capitale investito.
--le attività materiali comprendono la terra e i beni capitali come il computer, le abitazioni e le
automobili utilizzate per produrre altri beni e servizi: si distinguono dalle attività finanziarie,
essenzialmente costituite da pezzi di carta, che, più precisamente, sono obbligazioni di natura
monetaria da parte di un soggetto che chiede denaro nei confronti di un altro che lo concede.
Un vasto sistema finanziario di banche, fondi d'investimento, compagnie assicurative ecc., si occupa
di incanalare i fondi dei risparmiatori verso gli investitori: senza questo sistema finanziario, le
imprese non avrebbero la possibilità di fare gli enormi investimenti necessari per sviluppare nuovi
prodotti e gli individui che non possiedono la somma necessaria non potrebbero comprare casa.
I risparmiatori risparmiano perchè vogliono ricavare dai propri risparmi un rendimento: il tasso di
interesse, è il rendimento annuo dei fondi prestati.
Ma i prezzi variano e quindi varia il valore del denaro: la somma di 100 € che ho prestato 10 anni fa,
oggi ne vale 50, in altre parole il suo valore è stato eroso dall'inflazione; il tasso di interesse reale è
dato dal tasso di interesse nominale meno il tasso di inflazione.
Il valore attuale delle attività patrimoniali (paragrafo da NON fare)
è il valore monetario odierno di un flusso di reddito nel tempo e si misura calcolando quanto denaro
occorre investire oggi al tasso di interesse corrente, per generare il flusso di entrate future garantito
dall'attività patrimoniale.
Per calcolare il valore attuale nel caso di una rendita perpetua, ovvero di un'attività patrimoniale
come la terra che dura per sempre e rende N euro all'anno per un numero t di anni, si usa la formula
seguente:
V= N / (1+i)elevato a t
V= valore attuale della terra
N euro = entrate annue perpetue (euro all’anno)
i = tasso di interesse in termini decimali (per esempio, 0,05 o 5/100 all’anno)
Nel caso generale del valore annuale di un'attività patrimoniale che genera un flusso di reddito
variabile nel tempo, il valore attuale si ottiene con la formula seguente:
V = N (X il tempo t) / (1+i) elevato a t.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
24
www.UNICTBLOG.com
I profitti
I contabili definiscono i profitti come la differenza tra i ricavi totali ed i costi totali (salari, materiali,
interessi, imposte ecc). I profitti sono una combinazione di diversi elementi:
1)profitti come rendimenti impliciti: possono consistere nel compenso ottenuto dai proprietari
dell'impresa per il capitale impiegato o il lavoro svolto o altri fattori produttivi impiegati (ad es un
locale messo a disposizione in affitto dal l'imprenditore);
2)i profitti comprendono anche un premio per i rischi che l'imprenditore si assume: esiste un rischio
di inadempienza quando un prestito o un investimento non può essere ripagato, magari perché il
debitore è fallito; esistono molti rischi assicurabili, per esempio contro gli incendi o gli uragani; un
terzo tipo di rischio è il rischio non assicurabile degli investimenti (ad es una recessione dovuta ai
cicli economici). Una quarta categoria è poi quella del rischio del governo, che si ha quando una
nazione viene meno ai suoi impegni e non è previsto ricorso al sistema giudiziario.
Le obbligazioni e le azioni offerte sul mercato dalle società devono quindi offrire un premio
significativo per il rischio. Questo rendimento supplementare dell'azione rispetto agli investimenti
per fini di rischi è detto equity premium.
3)Un terzo tipo di profitti consiste nei compensi per l'innovazione e l'invenzione.
Possiamo definire i profitti per l'innovazione (chiamati talvolta anche profitti di Schumpeter) come
il premio supplementare temporaneo (perchè viene rapidamente eroso dall'imitazione della
concorrenza) agli innovatori e agli imprenditori che hanno speso un sacco di soldi in R&S.
La teoria classica del capitale
I concetti fondamentali sono:
--Le famiglie offrono fondi da investire astenendosi dal consumo e accumulando risparmi nel
tempo; quindi una nazione, sacrificando il consumo corrente, crea un accumulo di beni capitali oggi
per aumentare i propri consumi in futuro
--allo stesso tempo, le imprese domandano beni capitali da utilizzare in combinazione con il lavoro,
la terra e altri input, spinte dal desiderio di realizzare profitti tramite la produzione di beni:
un'impresa che deve scegliere se fare o no un investimento, confronta il costo dei fondi presi in
prestito con il tasso di rendimento del capitale: se il tasso di rendimento è superiore al tasso di
interesse del prestito, l'investimento viene effettuato: maggiore è questa differenza e + le imprese
investono: l'equilibrio si raggiunge quando la quantità di investimenti che le imprese sono disposte a
effettuare corrisponde alla quantità di risparmi offerta, ossia quando il tasso di rendimento
concorrenziale del capitale è uguale al tasso di interesse del mercato.
Il tasso di interesse dunque è una limitazione agli investimenti in quanto sono convenienti solo gli
investimenti che presentano rendimenti maggiori del tasso di interesse; ma d'altra parte il tasso di
interesse è uno stimolo per il risparmio.
La fig 14.5 illustra la curva di domanda (a pendenza negativa) e i suoi rapporti con il tasso di
rendimento: minore è il capitale a disposizione, maggiore è il tasso di interesse e maggiore è
l'interesse verso investimenti con tasso di rendimento elevato: l'equilibrio si raggiunge nel punto E
dove i due tassi corrispondono: nel punto E le imprese sono disposte a pagare il 10% per prendere a
prestito dei fondi per acquistare beni capitali, mentre chi offre denaro è soddisfatto di ricevere il
10% come tasso di interesse.
Questo equilibrio può essere mantenuto solo nel breve periodo: infatti un alto tasso di interesse
induce gli individui a risparmiare di + con aumento dell'offerta, conseguente diminuzione del tasso
di rendimento e raggiungimento del punto di equilibrio in un punto + basso (fig 14.6)
Nel luno periodo (fig 14.6) si ha l'equilibrio in E' : qui abbiamo raggiunto alti stock di capitale con
bassi livelli di interesse: il risparmio si ferma e il capitale non cresce più.
Bisogna cmq tener presente che questa situazione si riferisce ad un mercato ideale: nella realtà i
rendimenti e quindi le scelte degli investitori sono influenzate da altri fattori:
--imposte e inflazione che agiscono in senso negativo
--le innovazioni tecnologiche che invece agiscono positivamente innalzando i rendimenti
--i rischi dell'investimento che inducono ad un aumento del rendimento in modo da convincere
l'investitore a investire compensandolo per il rischio che corre.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
25
www.UNICTBLOG.com
APPENDICE CAP XIV
Mercati ed efficienza economica
L'efficienza è un processo attraverso il quale i consumatori ottengono il massimo soddisfacimento
dalle risorse della società; più precisamente, l'efficienza allocativa (o efficienza in senso paretiano)
si ha quando non si possono migliorare le condizioni di qualcuno senza peggiorare quelle di un altro.
I principali concetti relativi al comportamento dei singoli mercati di cui abbiamo parlato nei capitoli
precedenti sono:
1. la domanda e l'offerta determinano prezzi e quantità nei singoli mercati;
2. le curve di domanda di mercato derivano dalle utilità marginali dei diversi beni;
3. le curve di offerta dipendono dai costi marginali dei diversi beni;
4. le imprese calcolano i costi marginali dei prodotti ed i prodotti marginali in termini di valore
dei fattori, e successivamente i livelli di input e output che consentono loro di massimizzare
profitti;
5. la somma dei prodotti marginali in termini di valore di tutte le imprese fornisce la domanda
derivata dei fattori di produzione;
6. la domanda derivata di terra, lavoro o beni capitali interagiscono con le offerte di mercato
…........ per determinare i prezzi dei fattori, quali la rendita, i salari e tassi di interesse
7. i prezzi e quantità dei fattori determinano i redditi, i quali chiudono il cerchio tornando ai punti
1 e 2, contribuendo in tal modo a determinare la domanda dei diversi beni.
Ciascuna di queste affermazioni è il risultato dell'analisi degli equilibri parziali, cioè riguarda il
singolo mercato, la singola famiglia, la singola impresa.
Ora invece analizzeremo l'equilibrio generale ossia esamineremo l'interazione della totalità dei
mercati, delle famiglie e delle imprese.
La logica del sistema è la seguente: le famiglie vogliono massimizzare la propria soddisfazione,
l'offerta di fattori e l'acquisto di prodotti, mentre le imprese, spinte dal desiderio di realizzare profitti,
trasformano i fattori acquistati dalle famiglie in prodotti da vendere alle famiglie.
Quali sono i presupposti dell'analisi di un sistema economico di libero mercato?
Sono quelli della concorrenza perfetta :
--presenza di numerosi acquirenti e venditori.
--domanda e offerta che si equilibrano
--i consumatori scelgono i panieri di beni preferiti
--le imprese massimizzano i profitti
Non ci sono esternalità, barriere di mercato, sindacati e l'informazione è uguale per tutti.
In un sistema ideale come quello descritto, opera la mano invisibile di Smith:
-- I consumatori distribuiscono i loro redditi fra diversi beni, al fine di ottenere la massima
soddisfazione e scelgono i beni in modo tale che le utilità marginali per euro di spesa siamo uguali
per tutte le ultime unità di ciascun bene.
--Per quanto riguarda i produttori, ogni impresa fissa il proprio livello di output in modo tale che il
costo marginale di produzione sia uguale al prezzo del bene.
–Unendo le 2 precedenti affermazioni si raggiunge l'equilibrio, in cui l'utilità marginale di ogni bene
utilizzato dal consumatore, è uguale al costo marginale sostenuto dall'impresa per produrre quel
bene.
Di conseguenza, quando tutti i produttori massimizzano i profitti e tutti i consumatori massimizzano
l’utilità, il sistema economico nel suo insieme è efficiente e non è possibile migliorare le condizioni
di qualcuno senza peggiorare quelle di qualcun altro.
Il punto fondamentale da chiarire e che, siccome i prezzi fungono da indicatori della scarsità
economica per i produttori e dell'utilità sociale per i consumatori, un meccanismo di prezzi
concorrenziali consente di produrre la combinazione migliore di beni e servizi avvalendosi delle risorse e della tecnologia a disposizione della società.
Fig 14A.2
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
26
www.UNICTBLOG.com
Samuelson Parte seconda
MACROECONOMIA
by zziopippo
CAP I: Concetti fondamentali
La macroeconomia fu fondata negli anni ’30 da John Maynard Keynes nel tentativo di capire le cause
della grande depressione del '29: il merito di Keynes fu quello di affermare che con un'appropriata
politica monetaria e fiscale, si può influire sulla disoccupazione, sull'inflazione e sulla crescita
economica, mentre, prima di K., gli alti e bassi dell'economia erano considerati inevitabili.
La macroeconomia è lo studio del comportamento del sistema economico nel suo insieme e si
contrappone alla microeconomia, che analizza invece singoli prezzi, quantità e mercati.
In particolare la macroeconomia studia:
--le cause che determinano i cicli economici cioè l'alternarsi di periodi in cui la produzione aumenta
e periodi in cui diminuisce e milioni di persone perdono il lavoro.
--qual è l'origine dell'inflazione e come si può tenerla sotto controllo
I principali obiettivi macroeconomici sono dunque:
mantenere alta la crescita della produzione,
tenere bassa la disoccupazione
mantenere prezzi stabili.
Come si misurano produzione, disoccupazione e inflazione?
Produzione: la misura più completa della produzione totale di un'economia è il prodotto interno
lordo (Pil), che stima il valore di mercato di tutti i prodotti finiti e dei servizi (la pasta, il vino, le
automobili, i concerti, i biglietti del treno, la sanità), realizzati in un paese nel corso di un anno.
Disoccupazione: il tasso di disoccupazione si ottiene calcolando la percentuale dei disoccupati sulla
forza lavoro, che comprende tutte le persone occupate e quelle in cerca di impiego, mentre esclude
disoccupati che non cercano lavoro: disoccupati / forza lavoro X 100.
Il tasso di disoccupazione riflette l'andamento del ciclo economico: quando la produzione scende, la
domanda di manodopera diminuisce e il tasso di disoccupazione aumenta.
Inflazione: è l'aumento generalizzato e continuo dei prezzi : si parla di deflazione quando i prezzi
diminuiscono e di iperinflazione quando aumentano molto rapidamente.
Altri concetti fondamentali
Tasso di interesse: è il costo del denaro: un tasso di interesse alto scoraggia gli investimenti e
aumenta il debito pubblico (determinato da BOT e CCT)
Tasso di cambio: è il prezzo di una moneta espresso con un'altra moneta.
Domanda e offerta aggregata
Il sistema economico è costituito dai cd agenti economici cioè famiglie (che consumano,
risparmiano, pagano le tasse), imprese (che producono) e Stato (che attua politiche economiche).
Il funzionamento del sistema dipende dall'interazione di questi 3 elementi.
In che modo avvengono queste interazioni?
Come in microeconomia così anche in macroeconomia assume un ruolo fondamentale il gioco
della domanda e dell'offerta: in questo caso però, si parla di domanda e offerta aggregata.
L'offerta aggregata (OA) si riferisce alla quantità totale di beni e servizi che le aziende della
nazione sono disposte a produrre e a vendere in un dato periodo: essa dipende dalla capacità
produttiva che a sua volta è influenzata dai costi di produzione (a loro volta determinati dal costo
dei fattori produttivi e dalla tecnologia usata), dalle aspettative, dalle politiche governative e da
influenze particolari (condizioni atmosferiche).
-slide 197 : l'aumento dei prezzi determina l'aumento dell'offerta: spostamento sulla curva;
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
27
www.UNICTBLOG.com
-slide 198: se l'offerta aumenta,fermi restando i prezzi, la curva si sposta a destra .
La domanda aggregata (DA) si riferisce all'importo totale che i diversi settori dell'economia
sono disposti a spendere in un dato periodo: in pratica è la somma della spesa dei consumatori per
beni e servizi (C), degli investimenti delle aziende (I), dalla spesa pubblica (G), e dalla domanda
estera (esportazioni E) e dipende dal livello dei prezzi, dalla politica monetaria e fiscale ecc.
Esaminiamo la figura 20.6: sull'asse orizzontale, o delle quantità, è indicata la produzione totale
dell'economia (il PIL reale), su quello verticale il livello globale dei prezzi; la curva con
pendenza decrescente rappresenta la domanda aggregata, e indica la somma di ciò che i vari
agenti operanti nell'economia sono disposti ad acquistare a diversi livelli dei prezzi. La curva con
pendenza crescente rappresenta l'offerta aggregata che indica la quantità di beni e servizi che le
aziende sono disposte a produrre e vendere a ciascun livello dei prezzi.
L'equilibrio si raggiunge al punto E con Q=3000 e P=150, cioè il punto in cui gli acquirenti sono
disposti ad acquistare esattamente la quantità che le imprese sono disposte a produrre: le imprese
vorrebbero vendere a 200 e produrre 3500 ma i consumatori sono disposti a comprare 3000,
quindi i beni in eccesso si accumulerebbero sugli scaffali e alla fine le aziende diminuirebbero la
produzione e abbasserebbero i prezzi.(vedi sl 203 che rappresenta le variazioni dell'equilibrio).
DA e OA saranno approfonditi successivamente.
A questo punto ci si chiede quale sia il ruolo del terzo agente cioè dello Stato.
Quando lo Stato assume un ruolo predominante, si parla di economia pianificata, se invece le
decisioni avvengono nel mercato si parla di economie di mercato; si può fare anche una
distinzione in base alla proprietà dei fattori produttivi: se essi appartengono allo Stato si parla di
economie socialiste, se appartengono ai privati si parla di economie capitalistiche.
I governi dispongono di diversi strumenti che si possono utilizzare per influire sull'attività
macroeconomica, detti strumenti di politica economica.
I due strumenti principali di politica economica sono la politica fiscale e quella monetaria.
1)La politica fiscale o di bilancio indica il modo di impiego della spesa pubblica e delle imposte.
a)la spesa pubblica viene impiegata in 2 modi diversi:
--innanzitutto vi sono le spese per beni e servizi ( es stipendi dipendenti, costruzione di strade) --vi
sono inoltre i cd trasferimenti pubblici, che aumentano i redditi di gruppi mirati come gli anziani o i
disoccupati.
b)la tassazione, influisce sull'economia nel suo complesso in due modi:
--le imposte riducono i redditi della popolazione e quindi riducono consumi e risparmio privato.
--le imposte incidono sui prezzi dei beni prodotti es l'IVA.
2)La politica monetaria è il secondo grande strumento della politica macroeconomica e consiste
nella gestione della moneta, del credito e del sistema bancario della nazione: una restrizione
monetaria ad es determina tassi di interesse + elevati e quindi riduzione di investimenti e PIL.
I rapporti internazionali
L'azione dei governi si esplica anche nei rapporti commerciali e finanziari con i paesi esteri:
--i rapporti commerciali si riferiscono all'importazione ed esportazione di beni e servizi (le
esportazioni nette sono la differenza tra il valore delle esportazioni e quello delle importazioni):essi
sono controllati con le politiche commerciali che consistono in dazi doganali, contingentamenti e
altre normative che limitano o favoriscono le importazioni e le esportazioni;
--i rapporti finanziari si hanno, per esempio, quando l'Italia contrae prestiti con gli Stati Uniti
per finanziare il proprio deficit di bilancio: i rapporti finanziari sono controllati con la gestione
della finanza internazionale e in particolare dei tassi di cambio.
NOTA: si tenga presente che:
--in microeconomia l'offerta riguarda prezzi e quantità di singoli beni, indipendenti dai prezzi degli
altri beni
--in macroeconomia ci si riferisce a produzione totale e a livello globale dei prezzi
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
28
www.UNICTBLOG.com
CAPITOLO 2 : Misurazione dell’attività economica.
Il prodotto interno lordo
Pil è il nome che si dà al valore monetario totale di tutti i beni e servizi finali prodotti all'interno del
Paese e venduti correntemente in un anno;
vediamo i dettagli:
--valore monetario = il valore dei beni prodotti viene espresso in moneta
--beni finali = vuol dire che si tratta sempre di prodotto finale cioè di un bene realizzato e venduto
direttamente per il consumo o l'investimento; il Pil esclude i prodotti intermedi, cioè quei beni
utilizzati per produrre altri beni e che non vengono mai acquistati dai consumatori; il perchè è presto
detto: consideriamo 2 economie che entrambe producono 1 paio di scarpe: nell'economia A c'è
un'azienda che produce le scarpe a partire dalle materie prime; nell'economia B abbiamo un'azienda
che concia le pelli, una che fa le suole,una che fa le tomaie e un'altra che assembla le componenti e
produce la scarpa; il Pil dell'economia B, sarebbe superiore al Pil dell'economia A se dovessimo
calcolare il prodotto pelle + il prodotto suole+ tomaie + il prodotto completo; questo non sarebbe
corretto perchè in fondo le due economie producono lo stesso quantitativo di prodotto.
--venduti: le scorte (cioè l'invenduto) sono considerate investimenti
--all'interno del Paese = sia da italiani sia da stranieri presenti in Italia (criterio di territorialità)
--correntemente = venduti ai prezzi di mercato
Le componenti del PIL ( C I G X )
--Il consumo, ossia i beni di consumo personale, cioè beni durevoli (automobili), beni non durevoli
(generi alimentari) e servizi (assistenza sanitaria): è la componente + importante del Pil
(raggiungendo quasi i 2/3 del totale negli ultimi anni.
Sono esclusi dal calcolo del Pil:
-beni prodotti da economie sommerse (lavoro in nero) e da economie criminali
-servizi non pagati come il lavoro domestico di un membro della famiglia
-beni culturali e ambientali
--Gli investimenti: parte del prodotto viene riservato alla realizzazione di capitale, cioè di beni che
incrementino la produzione futura: quindi costruire strade vuol dire aggiungere capitale nuovo al
capitale nazionale: ovviamente l'aumento del capitale esige il sacrificio del consumo attuale a favore
di quello futuro.
Da rilevare che si parla sempre di investimenti lordi: lordi significa che non si tiene conto che il
capitale non solo si accresce ma si consuma: in pratica questo vuol dire che gli investimenti lordi
comprendono l'ammortamento, che misura l'ammontare di capitale "consumato" in un anno; perciò
includono ad es. tutti i macchinari costruiti nel corso di un anno, senza tener conto che in quello
stesso anno molti macchinari vecchi o guasti sono andati perduti.
Una misura + precisa del capitale che si è formato in 1 anno si ha dagli investimenti netti, dati dalle
nascite di capitale (investimenti lordi) meno i decessi di capitale (ammortamento).
--La spesa pubblica: la pubblica amministrazione acquista beni di consumo (alimenti per le forze
armate) e beni di investimento (computer) e provvede alla retribuzione dei propri dipendenti.
Il Pil comprende solo la spesa pubblica per beni e servizi, mentre esclude i trasferimenti pubblici
ossia i pagamenti effettuati dallo Stato a singoli individui che non forniscono in cambio alcun bene
o servizio (ad es sussidi per i disoccupati); anche gli interessi sul debito pubblico (gli interessi che lo
Stato deve ai cittadini che gli hanno prestato dei soldi) sono considerati trasferimenti e vengono
omessi dal Pil.
--Le esportazioni nette sono la differenza tra esportazioni e importazioni di beni e servizi.
Come si calcola il Pil
Per capire i 2 metodi di calcolo del Pil, bisogna fare una considerazione preliminare: un sistema
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
29
www.UNICTBLOG.com
economico che, per semplicità, possiamo considerare formato da imprese e consumatori, può essere
visto da 2 punti di vista, della produzione e dei redditi:
--dal punto di vista della produzione esiste un flusso di beni dalle imprese che producono il bene al
consumatore che lo acquista: il consumatore però è anche lavoratore e come tale presta il suo lavoro
all'azienda e quindi esiste un flusso di servizi dal consumatore all'azienda;
--dal punto di vista dei redditi c'è un flusso di denaro che va dal consumatore che compra all'azienda
che vende (reddito dell'azienda) e un altro flusso che va dall'azienda al consumatore che è anche
lavoratore dell'azienda (reddito del lavoratore);
1)metodo dei flussi di prodotto o del valore aggiunto.
Il valore aggiunto di impresa è la differenza tra le vendite effettuate e gli acquisti di materiali e
servizi da altre imprese. Il metodo del valore aggiunto consiste nel fatto che si includono nel Pil
solo i beni finali escludendo quelli intermedi usati per produrre altri beni: quindi si misura il valore
aggiunto in ciascuna fase, sottraendo le spese per i beni intermedi acquistati da altre imprese.
Quindi Pil = Q X P – beni intermedi (nota : Q X P = PNL che comprende dunque i beni intermedi)
Es: il mugnaio compra grano 10, paga salari 20 e produce farina 50: il suo pil è 50-10=40
il fornaio compra farina 20, paga salari 40 e produce pane 100: il suo Pil è 100-20=80
Il Paese ha prodotto 50+100=150 (PNL)- i beni intermedi (10+20) 30 = 120 (Pil)
ossia VA mugnaio 40 + VA fornaio 80 = 120
2)metodo dei redditi o dei costi
Mentre con il primo metodo il Pil è visto dal lato della produzione, con questo metodo il Pil è visto
dal lato dei redditi e dei costi generati dall'attività produttiva: nei nostri 2 esempi basta calcolare i
redditi di tutte le persone che hanno contribuito alla produzione: il profitto del mugnaio è 50 - 20 10 =20; il reddito (salario) del lavoratore che ha macinato il grano è 20: i 2 redditi sommati fanno
20+20=40
Il fornaio ha un profitto di 100-20 (farina)-40 (salari)= 40; al reddito del fornaio sommiamo il
reddito dell'operaio 40 = 80
80+40 =120 sarà il Pil totale;
Pil nominale e Pil reale
Abbiamo visto che il Pil viene calcolato usando come criteri di misura i prezzi di mercato: ma i
prezzi variano nel tempo, dato che l'inflazione di solito li fa salire anno dopo anno: è necessario
quindi utilizzare un criterio di misurazione che non sia influenzato dalla variazione dei prezzi e che
misuri il cd Pil reale: a questo scopo si fissano prezzi di riferimento: quindi il Pil nominale si calcola
in base a prezzi variabili di mercato mentre per quello reale si utilizzano prezzi costanti.
Facciamo un esempio: nell'anno 1 sono prodotti 1000 q di grano al prezzo di 1 €/q mentre nell'anno
2 ne sono prodotti 1010 q a 2 €/q: il Pil nominale sarà di 1000 € nell'anno 1 e di 2020 nell'anno 2; a
questo punto, guardando solo il Pil che nel secondo anno è + che raddoppiato (da 1000 a 2010), si
potrebbe pensare che il Paese abbia “prodotto” il doppio rispetto all'anno 1: in realtà il Paese ha
prodotto effettivamente solo 10 q in + e l'aumento del Pil è dovuto all'aumento del prezzo; per fare
una giusta comparazione del Pil tra l'anno 1 e l'anno 2 si procede nel modo seguente: si prende
l'anno 1 come anno base per calcolare il prezzo che è 1: al secondo anno si divide il prezzo di
mercato di quell'anno (2 €) per il prezzo fissato nell'anno base (1 €) e quindi 2:1 = 2 (cd deflatore);
Il Pil reale si calcola dividendo il Pil nominale per il deflatore, quindi avremo:
anno 1: Pil nominale / deflatore cioè 1000 / 1 = 1000 (Pil reale)
anno 2: Pil nominale / deflatore cioè 2020 / 2 = 1010 (Pil reale)
Ora, confrontando i due Pil reali, possiamo dire che il Pil non è raddoppiato ma è aumentato di 10.
In pratica il Pil reale dell'anno 2 è dato dalla Q dell'anno 2 (1010) X i prezzi dell'anno 1 cioè 1 €.
Il tasso di inflazione è dato da : (deflat 2 – def. 1 / def 1) X 100: (2-1)/1 =1 X 100 = 100 (il tasso è
del 100% cioè doppio rispetto all'anno precedente)
E' conveniente avere un Pil reale né troppo basso, né troppo alto: troppo basso vuol dire scarsa
produzione e quindi disoccupazione; troppo alto vuol dire aumento della produzione > aumento
salari > aumento costi per le imprese > aumento prezzi (inflazione)
L'ideale sarebbe mantenere un Pil reale a quel livello che si combina con un'inflazione costante .
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
30
www.UNICTBLOG.com
Come abbiamo visto prima, il Pil comprende gli investimenti lordi, cioè gli investimenti netti più
l'ammortamento; sottraendo l'ammortamento al Pil si ottiene il prodotto interno netto (PIN).
Sottraendo dal Pil sia l'ammortamento che le imposte indirette si ha il reddito nazionale
Un'altra misura, ampiamente usata fino a poco tempo fa, è il prodotto nazionale lordo (PNL).
Qual è la differenza tra il PNL e il Pil? Il PNL si basa sulla nazionalità: è il prodotto totale ottenuto
con il lavoro di tutti i connazionali anche di quelli che lavorano all'estero purchè risiedano in Italia;
mentre il Pil si basa sulla territorialità, è il prodotto fatto in Italia sia da italiani sia da stranieri non
residenti : quindi ad es i profitti di uno stabilimento Honda di proprietà giapponese situato in Italia,
saranno compresi nel Pil ma non nel PNL; i paesi soggetti a forte immigrazione hanno un Pil > PNL,
tanto maggiore quanto maggiore è l'immigrazione (il PNL comprende anche i beni intermedi).
Infine abbiamo il reddito personale disponibile: stabilisce quanto denaro le famiglie abbiano
veramente a disposizione da spendere ogni anno: si calcola sottraendo le imposte dirette ai redditi
ricevuti dalle famiglie (non dalle imprese) + i trasferimenti cioè gli eventuali aiuti dello Stato.
Il reddito personale disponibile Y, viene ripartito tra i consumi C e il risparmio R: Y = C+R
I limiti del Pil
Il Pil non è un indicatore perfetto:
--trascura le transazioni gratuite: lavoro delle casalinghe, il lavoro nel tempo libero ecc
--trascura gli effetti collaterali es i danni alla salute da inquinamento
--non considera il deprezzamento del capitale naturale o capitale ambientale: se viene costruita una
strada il Pil aumenta ma non si sottrae ad esso il valore del terreno
--considera il valore dei servizi pubblici (es sanità) in base al costo di produzione ma sul mercato
avrebbero un valore superiore
--ovviamente non considera l'economia sommersa
--indica la crescita economica di un Paese ma non può essere considerato come indicatore di
benessere: l'Arabia Saudita ha un Pil notevolmente superiore a quello dell'Italia, ma i suoi abitanti
hanno un livello medio di istruzione inferiore, un'assistenza sanitaria di livello mediamente + basso
ecc.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
31
www.UNICTBLOG.com
CAPITOLO 3 : Consumo risparmio e investimento.
Abbiamo detto che il reddito Y delle famiglie è destinato parte al consumo C, parte al risparmio R
Y=C+R. : consumo e risparmio svolgono un ruolo fondamentale nell'economia familiare.
Il consumo e il risparmio
Il consumo (o, più precisamente, le spese per i consumi) è la spesa delle famiglie per beni finali e
servizi, mentre il risparmio è la parte del reddito disponibile non destinata ai consumi.
Quali sono i principali elementi del consumo?
Tra i + importanti vi sono le spese per casa, automobili, generi alimentari, abbigliamento e i servizi
che assumono importanza sempre maggiore.
Il buon senso ci dice che, in linea di massima, le famiglie povere spendono i propri redditi in gran
parte per i bisogni primari, quali il cibo e la casa, e possono risparmiare ben poco;
i ricchi invece possono spendere e risparmiare più dei poveri, sia in termini assoluti sia come
percentuale di reddito; chi è poverissimo è del tutto incapace di risparmiare, anzi tende ad attuare un
risparmio negativo, cioè a spendere più di quanto guadagna, riducendo il risparmio accumulato in
precedenza o indebitandosi sempre di più.
Quindi reddito, consumi e risparmi sono elementi strettamente collegati: in particolare, il reddito è il
principale fattore che determina il consumo e il risparmio.
I rapporti tra reddito, consumo e risparmio sono indicati da due funzioni:
• la funzione di consumo, che mette in relazione consumo e reddito;
• la funzione di risparmio, che mette in relazione risparmio e reddito.
La fig 22.3 illustra graficamente la funzione di consumo, ponendo in verticale la spesa per il
consumo e in orizzontale il reddito disponibile: il punto di riferimento è la bisettrice degli assi: in
qualsiasi punto di essa il consumo è uguale al reddito disponibile. La bisettrice indica
immediatamente se la spesa è uguale, maggiore o minore del livello di reddito disponibile. Il punto
B sulla curva rappresenta il pareggio, ossia il punto in cui si spende tutto il proprio reddito
disponibile per beni di consumo. Quando la funzione di consumo si trova al disopra della bisettrice
la famiglia ha un risparmio negativo; quando si trova sotto, la famiglia ha un risparmio positivo.
La fig 22.4 mostra graficamente la funzione di risparmio, il rapporto tra risparmio e reddito
disponibile: qui il punto di riferimento è la linea orizzontale equivalente a risparmio zero: se la
funzione di risparmio è sotto la linea 0 il risparmio è negativo (e viceversa).
In ogni caso le due funzioni mostrano la loro dipendenza dal reddito: + reddito =+ risparmio e +
consumi; ora supponiamo di ricevere in premio una certa somma: ognuno di noi si comporterà in
maniera diversa: si può scegliere di risparmiare il 50% e spendere il restante 50%, oppure spendere
il 70% e risparmiare il 30% o altre combinazioni: la propensione marginale al consumo (PMC) è la
spesa aggiuntiva che i cittadini spendono quando ricevono un euro in più di reddito; la propensione
marginale al risparmio, è il risparmio aggiuntivo che i cittadini mettono da parte quando ricevono
un euro addizionale di reddito.
La fig 22.5 mostra che la pendenza della funzione di consumo è uguale alla propensione marginale
al consumo: + si alza + aumenta il consumo.
PMC e PMR vengono espressi in % o con una frazione; dire PMC=2/3 significa che su 3€ di reddito
in + , 2 si spendono e 1 si risparmia: la stessa cosa per la PMR
Il risparmio a livello nazionale e gli investimenti
Finora abbiamo esaminato il comportamento delle famiglie: ora passiamo alla nazione nel suo
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
32
www.UNICTBLOG.com
insieme: il risparmio è fondamentale per una nazione perché ciò che non si consuma (il reddito che
si risparmia) è a disposizione della nazione per l’investimento, e quest'ultimo funge da forza
propulsiva della crescita economica di lungo periodo: i paesi che risparmiano e investono una
grande porzione del loro reddito, registrano una rapida crescita del prodotto, del reddito e dei salari;
viceversa le nazioni che consumano la maggior parte del reddito e investono poco, come molti paesi
africani, presentano modesti tassi di crescita della produzione e dei salari.
Anche in ambito nazionale il livello corrente del reddito disponibile è il fattore essenziale nella
determinazione del consumo nazionale, ma ci sono altri fattori che influiscono su di esso:
--i redditi futuri attesi cioè quelli che si pensa di poter ottenere in futuro
--l'ipotesi del “ciclo di vita” afferma che l'individuo risparmia per potersi garantire un livello
soddisfacente di consumo per tutto il corso della sua vita: cioè risparmia in periodo lavorativo per
spendere negli ultimi anni di vita (la PMC è + alta nei paesi avanzati, mediamente + vecchi).
Un altro fattore che determina l'ammontare del consumo è la ricchezza: il fatto che una maggiore
ricchezza porti a maggiori consumi si definisce effetto ricchezza.
Investimenti
--1)il termine investimento, in macroeconomia, indica un'aggiunta, una crescita del capitale (per
aggiunta di nuovo o sostituzione di quello vecchio e tecnologicamente superato): quando un'azienda
costruisce un magazzino fa un investimento, quando lo compra fa una transazione.
--2)gli investimenti di cui si tratta sono gli investimenti interni privati lordi o I, che sono una parte di
tutti gli investimenti (che comprendono anche investimenti esteri, pubblici e investimenti
immateriali nel capitale umano): quindi si tratta di costruzione di strutture residenziali, di
investimenti in attrezzature fisse, software e attrezzature aziendali e in aggiunta alle scorte.
Quali sono i fattori che influiscono sugli investimenti?
1)il livello della produzione: se la produzione ristagna le imprese non hanno bisogno di nuovi
impianti, perciò gli investimenti sono bassi.
2)costi dell'investimento: le imprese investono perchè si aspettano che ciò porti loro profitti, e ciò
si verifica quando l'investimento determina entrate superiori ai costi dello stesso investimento.
Quali sono questi costi?
Se per es un'impresa contrae un prestito, il costo del prestito consiste nella somma prestata + il tasso
d'interesse; + alto è il tasso di interesse, meno conveniente sarà l'investimento: il rapporto tra tassi
d'interesse ed investimenti viene raffigurato dalla curva di domanda di investimenti la quale ci dice
che + alto è l'interesse, minori saranno le spese per gli investimenti e tra i pochi disponibili la scelta
cadrà su quelli che promettono un rendimento + alto (e + rischioso).
Nel decidere tra i progetti di investimento le aziende confrontano i ricavi annui provenienti dagli
investimenti con il costo annuo del capitale, che dipende dal tasso d'interesse. La differenza tra
entrate annuali e il costo annuo dà il profitto netto annuo che, quando è positivo, indica che
l'investimento è proficuo, mentre quando è negativo denota che l'investimento è in perdita [Keynes
suggerisce di confrontare quanto rende 1€ investito in + (EMI efficienza marginale
dell'investimento), con quanto costa 1€ preso in prestito].
Quando la produzione di una nazione langue, Keynes consiglia di abbassare i tassi di interesse per
aumentare gli investimenti: invece i classici consigliano di aumentare il tasso perchè un aumento
dell'interesse stimola un maggiore risparmio e quindi offre + fondi agli investimenti.
Sulla curva di domanda degli investimenti influiscono anche il livello del Pil in senso positivo e le
imposte sul reddito da capitali in senso negativo fig 22.10
3)le aspettative: le decisioni vengono prese sulla base di dati attuali (tendenze governative e
sindacali, andamento di prezzi e salari) e di previsioni spesso influenzate dalla psicologia
dell'investitore: ad es la fiducia nello sviluppo dell'e-commerce portò ad un notevole aumento degli
investimenti (spostamento a ds della curva di domanda (fig 22.10); ma le previsioni possono
rivelarsi inesatte: quindi gli investimenti sono sempre un azzardo sul futuro.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
33
www.UNICTBLOG.com
CAPITOLO 4 : Sistema fiscale e spesa pubblica
Controllo del sistema economico da parte dello Stato
Lo Stato come si sa effettua delle spese (spesa pubblica) e si serve dell'imposizione fiscale per
finanziarle; ma, come vedremo, tramite spesa pubblica e imposizione fiscale, lo Stato è ance in
grado di influenzare l'attività economica privata.
Gli obiettivi della pubblica amministrazione sono:
1)efficienza dei mercati: correggere i principali fallimenti del mercato, tra i quali vanno ricordati il
monopolio e l'oligopolio, le esternalità negative e le informazioni incomplete.
2)equità: redistribuire il reddito cioè limitare le differenze tra ricchi e poveri;
3)stabilità: evitare il ripetersi di disastrose depressioni economiche mediante un'assennata politica
fiscale e monetaria e una rigorosa regolamentazione del sistema finanziario.
4)rapporti internazionali: rappresentare gli interessi nazionali sulla scena internazionale e
negoziare accordi vantaggiosi con altri paesi.
La spesa pubblica
E' la spesa per acquisto di beni di consumo (materiale per gli uffici pubblici) e servizi (retribuzione
dei dipendenti) e per i trasferimenti che sostengono i redditi dei meno abbienti; in Italia, così come
in altri paesi europei, il rapporto tra spesa pubblica e PIL è molto alto e si colloca oggi intorno al
50%.
In Italia, accanto alla pubblica amministrazione centrale operano gli enti locali: regioni, province e
comuni. In teoria a questa suddivisione di poteri e responsabilità tra i diversi livelli della pubblica
amministrazione dovrebbe corrispondere una suddivisione delle responsabilità fiscali, ovvero il cd
federalismo fiscale: ma in realtà al momento in Italia gran parte della spesa è decisa a livello
centrale. In generale le amministrazioni locali sono responsabili dei "beni pubblici locali", vale a
dire attività i cui benefici sono essenzialmente limitati ai residenti locali.
I problemi relativi ai "beni pubblici globali" sono invece soggetti ad accordi internazionali in quanto
superano i confini dei singoli paesi.
In anni recenti le categorie di spesa che hanno presentato la crescita più rapida a livello statale e
locale sono state l'assistenza sanitaria e il sistema carcerario.
L' imposizione fiscale
I governi fanno fronte ai propri programmi di spesa soprattutto con i fondi provenienti dalle
imposte: se questi fondi sono insufficienti si ha un disavanzo pubblico che può essere finanziato
facendo ricorso a emissione di nuova moneta o all'apertura di crediti alla Banca d'Italia oppure con
l'emissione di titoli pubblici.
Quali sono le entrate dello Stato?
Sono entrate extratributarie (es vendita di beni di proprietà dello Stato) ed entrate tributarie che
comprendono:
--contributi sociali obbligatori
--imposte indirette che gravano su beni e servizi e quindi soltanto "indirettamente" sugli individui;
esempi di tali imposte sono quelle sui consumi e sulle rendite.
--imposte dirette che gravano direttamente sugli individui o sulle imprese; ne sono esempi le
imposte sul reddito delle persone fisiche: si determina il reddito dell'individuo in questione, si
sottraggono spese, detrazioni ed esenzioni e si ottiene così l'imponibile su cui calcolare l'imposta che
è progressiva, ossia grava in misura maggiore sui redditi più elevati.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
34
www.UNICTBLOG.com
Su quali principi si basa l'imposizione fiscale?
Economisti e filosofi politici hanno proposto due principi fondamentali per l'organizzazione di un
equo sistema fiscale:
• il principio del beneficio afferma che individui diversi dovrebbero essere tassati in
proporzione al beneficio che ricevono dai programmi di spesa pubblica;
• il principio della capacità contributiva afferma che le imposte pagate dagli individui dovrebbero essere correlate al loro reddito o patrimonio.
Quasi tutti i moderni sistemi fiscali tentano di incorporare anche concetti di giustizia o equità:
-secondo il principio dell'equità orizzontale, gli individui sostanzialmente uguali devono essere
tassati allo stesso modo.
-altro principio più controverso è quello dell'equità verticale, che riguarda il trattamento fiscale di
persone con redditi diversi: come agire in questo caso?
Molti paesi si basano in larga misura sulle imposte progressive sul reddito: cioè il reddito più
elevato paga in percentuale maggiore (quindi si contrappone a un'imposta strettamente
proporzionale, che preleva dai contribuenti esattamente la stessa percentuale di reddito).
La moderna teoria dell'imposizione fiscale efficiente ha prodotto la regola delle imposte di Ramsey,
che afferma che lo Stato dovrebbe imporre le imposte più elevate sugli input e gli output con
domande e offerta maggiormente anelastiche rispetto al prezzo. La regola delle imposte di Ramsey
si basa sul fatto che se l'offerta alla domanda di un bene è molto anelastica rispetto al prezzo,
un'imposta sul bene avrà un'influenza limitata sui consumi e sulla produzione, nel senso che i
cittadini non possono rivolgersi a un bene sostitutivo.
L'incidenza fiscale è il modo in cui si ripartisce l'onere fiscale ed esamina l'impatto dei programmi di
imposizione fiscale e di spesa sui redditi della popolazione.
La curva di Laffer
La curva di Laffer, che ha preso il nome dall'economista e aspirante senatore californiano Arthur
Laffer, mostra i rapporti tra il gettito fiscale e l'aliquota d'imposta: secondo Laffer l'incremento delle
aliquote determina un aumento delle entrate, che salgono fino a un punto massimo corrispondente
all'apice della curva a campana e poi scendono fino a 0 con un'aliquota fiscale del 100% in quanto
l'attività viene completamente scoraggiata: quello che Laffer vuole dire è che aliquote d'imposta
troppo elevate non fanno aumentare il gettito fiscale, anzi lo diminuiscono perchè disincentivano
l'attività economica: viceversa una riduzione delle aliquote comporterebbe un aumento del gettito
fiscale.
La riduzione del gettito fiscale con aliquote troppo alte sarebbe dovuto a:
--evasione fiscale: si dichiara un imponibile minore di quello effettivo
--elusione: aggirare la legge mantenendosi nella legalità: ad es se si vuole vendere un immobile
(tassa 35%) si conferisce ad una spa che può rivenderlo sotto forma di azioni (tassa 20%)
--sottrazione: cioè se un bene prodotto viene tassato posso eliminare la sua produzione o trasferirla
altrove.
Sulla curva di Laffer si basa la proposta della flat-tax cioè della aliquota unica valida per tutti e
corrispondente al livello massimo di introito fiscale (l'apice della curva a campana).
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
35
www.UNICTBLOG.com
CAP 5 : Cicli economici e teoria della domanda aggregata
I cicli economici
La storia economica mostra che l'economia, pur avendo nel lungo periodo un andamento crescente,
non segue un percorso regolare e uniforme: periodi di vivace espansione e di prosperità sono seguiti
da periodi in cui il prodotto nazionale cala, i redditi reali scendono, la disoccupazione sale: quando,
alla fine, si tocca il fondo, inizia la ripresa, che può essere lenta o veloce,incompleta o tanto forte da
portare a una nuova espansione.
Questa oscillazione del prodotto nazionale, del reddito e dell'occupazione, viene chiamata ciclo
economico; gli economisti suddividono i cicli in due fasi principali, l'espansione e la recessione . La
recessione, fase decrescente del ciclo, è un periodo ricorrente di diminuzione del prodotto totale, del
reddito e dell'occupazione ed è segnata da una diffusa contrazione di molti settori dell'economia.
La depressione è una recessione su scala più ampia sia per entità che per durata.
Quelle che seguono sono alcune caratteristiche tipiche di una recessione, ce dimostrano come siano
coinvolte tutte le variabili macroeconomiche:
—riduzione dei consumi e aumento delle scorte: gli acquisti da parte dei consumatori
diminuiscono rapidamente, mentre le scorte delle imprese aumentano inaspettatamente.
--calo della produzione: le aziende reagiscono limitando la produzione e il Pil reale cala; i profitti
delle imprese scendono rapidamente e poco dopo anche gli investimenti delle imprese in impianti e
attrezzature diminuiscono e siccome la domanda di crediti scende, anche i tassi d'interesse in genere
diminuiscono.
--aumento della disoccupazione: per riduzione della domanda di manodopera:
--mentre il prodotto diminuisce, l'inflazione rallenta, e mentre la domanda di materie prime scende, i
prezzi crollano. È improbabile che i salari e i prezzi dei servizi calino, ma nelle fasi decrescenti
tendono ad aumentare meno rapidamente.
Graficamente si ha spostamento a sinistra delle curve di DA e OA.
Quali sono le cause del calo della produzione, dell'occupazione e dell'instabilità dei prezzi ?
--Le teorie esogene individuano l'origine del ciclo economico nelle fluttuazioni di fattori al di fuori
del sistema economico: nelle guerre, nelle rivoluzioni e nelle elezioni politiche; nei prezzi del
petrolio, nella scoperta di giacimenti d'oro e nelle migrazioni.
--Le teorie endogene, invece, cercano di individuare all'interno del sistema economico stesso i
meccanismi che creano i cicli economici. Secondo questo approccio qualsiasi espansione determina
la recessione, e ogni contrazione genera la ripresa e l'espansione.
--Tra i meccanismi interni si ricorda quello espresso dalla teoria del moltiplicatore – acceleratore.
Secondo il principio dell'acceleratore, la rapida crescita del prodotto stimola gli investimenti, che a
loro volta favoriscono una maggiore crescita del prodotto; il processo continua fino a quando si
raggiunge la piena capacità produttiva e a quel punto, poichè non si può andare oltre, il tasso di
crescita economica rallenta; la crescita più lenta riduce la spesa per investimenti e le scorte si
accumulano tendendo a indurre una recessione dell'economia.
--Un'altra teoria è quella della crisi della domanda aggregata, che si verifica quando i consumatori,
le imprese o i governi diminuiscono la spesa totale rispetto alla capacità produttiva dell'economia:
quando queste variazioni della domanda aggregata determinano brusche contrazioni l'economia
attraversa periodi di recessione o persino di depressione.
--la teoria monetarista afferma l'importanza della contrazione dell'offerta di moneta
--la teoria politica dice che sono i politici a manovrare il sistema attraverso politiche monetarie e
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
36
www.UNICTBLOG.com
fiscali
--la teoria della diminuzione dell'offerta individua la causa nella contrazione dell'offerta.
Ciascuna di queste teorie contiene elementi di verità, ma nessuna ha un valore universale in tutti i
tempi e in tutti i luoghi.
Gli economisti hanno cercato strumenti di previsione e in particolare si sono rivolti a modelli
computerizzati di previsione economica, i cd modelli econometrici costituiti da un insieme di
equazioni che rappresentano una stima di come si comporterà l'economia, utilizzando dati storici.
Tutte le teorie elencate portano a un punto chiave : i rapporti tra offerta e domanda aggregata.
Analisi della domanda aggregata
La domanda aggregata è la quantità totale o aggregata di prodotto che viene acquistata
volontariamente a un dato livello di prezzi e a parità di altri fattori. È la spesa complessiva prevista
in tutti i settori economici, ed è costituita da quattro componenti principali:
• Il consumo da parte dei privati è determinato principalmente dal reddito disponibile, cioè dal
reddito personale al netto delle imposte; altri fattori che incidono sul consumo sono le tendenze di
lungo periodo del reddito, la ricchezza delle famiglie e il livello dei prezzi.
• La spesa per investimenti comprende gli acquisti da parte di privati, di strutture e attrezzature
(che servono per la produzione) e l'accumulo di scorte.
I principali fattori che determinano gli investimenti sono il livello di produzione, il costo del
capitale e le aspettative sul futuro.
• Una terza componente della domanda aggregata è la spesa pubblica per beni e servizi.
• L'ultima componente della domanda aggregata sono le esportazioni nette, pari al valore delle
esportazioni meno quelle delle importazioni. Queste ultime sono determinate dal reddito e dal
prodotto interno, dal rapporto tra prezzi interni ed esteri e dal tasso di cambio della moneta.
La fig 23.6 ci mostra la curva di domanda DA che è la somma delle curve delle sue componenti
La curva della domanda aggregata DA ha un andamento decrescente; ciò vuol dire che la spesa reale
diminuisce all'aumentare del livello globale dei prezzi e aumenta al diminuire dei prezzi: o.
Vediamo come variano le singole componenti al variare dei prezzi P:
--C (effetto ricchezza): se P+ C- perchè il potere di acquisto diminuisce
--I (effetto tasso di interesse): se P+ I- perchè diminuisce la disponibilità di moneta, aumenta il
tasso di interesse sui prestiti chiesti dalle imprese per gli investimenti e quindi i prestiti diventano +
difficili da ottenere e sono + cari
--X (effetto cambio): con prezzi bassi la valuta straniera si apprezza e quella nazionale si deprezza
con conseguente aumento delle esportazioni a scapito delle importazioni.
Molti ritengono che la pendenza decrescente della curva DA è determinata principalmente
dall’effetto dell'offerta di moneta: prezzi più alti diminuiscono l'offerta reale di moneta: al contrarsi
dell'offerta reale di moneta, il denaro diventa scarso, è + difficile ottenere prestiti, i tassi di interesse
salgono, diminuiscono investimenti e consumi.
Cmq sia, abbiamo stabilito che variazioni di prezzo determinano spostamenti sulla curva DA.
Se teniamo i prezzi costanti, altre variabili agiscono sulla curva DA determinando spostamenti della
curva; si tratta di:
–variabili di politica monetaria e politica di bilancio: con la politica monetaria lo Stato può
aumentare l'offerta di moneta e diminuire i tassi di interesse, favorendo gli investimenti; con la
politica di bilancio può aumentare la spesa pubblica o diminuire le tasse favorendo i consumi
--variabili esogene, che vengono determinate al di fuori dell'apparato DA – OA: ad es una guerra
porta a un aumento delle spese militari (aumento di G); il progresso tecnologico porta a nuove
opportunità di investimenti e consumi (vedi ferrovie, automobile, internet).
Come abbiamo già accennato l'importanza delle variabili varia secondo le diverse situazioni.
NOTA : differenza tra la domanda in microeconomia e in macroeconomia
1)le cause della pendenza sono diverse: offerta monetaria in macro; effetto sostituzione in micro.
2)prodotto e redditi totali variano lungo la curva in macro; sono fissi in micro
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
37
www.UNICTBLOG.com
Analisi dell'offerta aggregata
L'offerta aggregata descrive il comportamento dell'economia dal lato della produzione e
rappresenta la quantità di beni e servizi che le imprese desiderano produrre e vendere per ogni dato
livello di prezzo.
L'offerta aggregata dipende fondamentalmente da due insiemi distinti di forze: il prodotto
potenziale e la dinamica prezzi – salari.
1)Il prodotto potenziale o pil potenziale è il massimo prodotto sostenibile, cioè è il prodotto che
sarebbe realizzato a un basso tasso di disoccupazione (tasso naturale di disoccupazione). Sostenibile
significa senza scatenare l'inflazione: in altre parole spingendo al massimo la produzione con
industrie a pieno regime e lavoro straordinario, si potrebbe andare oltre il Pil potenziale ma
l'inflazione tenderebbe a salire: quindi il prodotto potenziale non è il massimo prodotto ottenibile ma
di meno.
Il Pil potenziale dipende dalla disponibilità dei fattori produttivi (risorse naturali, capitale e lavoro) e
della tecnologia.
2)I costi di produzione: sono i costi dei salari e degli altri fattori di produzione, e i costi di
importazione: quando i costi aumentano, le imprese devono alzare i prezzi di vendita.
Quindi:
--un aumento del pil potenziale (connesso ad es a una maggiore disponibilità di fattori produttivi o a
una migliore tecnologia) sposta la curva a destra fig 31.1a;
--un aumento dei costi sposta la curva in alto fig 31.1b;
--nella realtà aumentano ambedue per cui la curva si sposta contemporaneamente in alto e a destra
fig 31.2.
I rapporti tra offerta e domanda aggregata
Come reagisce la curva dell'offerta a variazioni della domanda?
Molti economisti della scuola di Keynes ritengono che variazioni della domanda aggregata hanno un
effetto significativo e duraturo sul prodotto: se la domanda aggregata scende (a causa di restrizioni
monetarie o una diminuzione della spesa dei consumatori), questo determinerà una riduzione
notevole del prodotto (quindi aumento della disoccupazione) e riduzione leggera dei prezzi: curva di
offerta piatta fig31.3a.
Un punto di vista contrario è rappresentato dalla macroeconomia classica: questa scuola sottolinea la
grande capacità di bilanciamento delle forze che operano attraverso il meccanismo di prezzi, per cui
se la DA si sposta da A a B, si avrà in un primo tempo un eccesso di offerta , poi i prezzi si
abbasseranno fino a B, ma il prodotto rimane invariato (quindi la disoccupazione non aumenta) fig
31.3b.
Come si vede tutto sta nella pendenza della curva di OA; perchè la curva OA è piatta per Keynes e
verticale per i classici?
La differenza fondamentale sta nel periodo temporale dell'analisi: la curva OA di breve periodo sulla
destra ha pendenza crescente, cioè indica che le imprese sono disposte ad aumentare i livelli di
prodotto in risposta alle variazioni della domanda aggregata; la curva OA di lungo periodo è
verticale e ciò indica che le imprese non aumentano la produzione in risposta ad un aumento della
domanda ma aumentano solo i prezzi.
La spiegazione sta nel fatto che alcuni costi delle imprese sono rigidi o vischiosi nel breve periodo:
un esempio molto significativo sono i salari, che, per vari motivi, si adeguano lentamente quando
cambiano le condizioni economiche. Altri prezzi e costi sono analogamente vischiosi nel breve
periodo: quando un'impresa prende in affitto l'edificio, il contratto spesso durerà per un anno o più e
in genere l'affitto è fissato in termini monetari, e inoltre l'azienda spesso stipula contratti a lungo
termine con i fornitori specificando i prezzi da pagare per il materiale o i componenti. In sostanza
nel breve periodo l'azienda sa esattamente quali sono i suoi costi e sa che non varieranno per un po' e
quindi reagisce all'aumento della domanda come nella curva 31.3a, con un aumento della
produzione, perchè a quei costi fissi, i suoi profitti aumentano.
Ma in tempi lunghi i salari aumentano quindi aumentano i costi per le imprese e i prezzi; le aziende
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
38
www.UNICTBLOG.com
non hanno + un particolare incentivo ad aumentare la produzione, quindi, dopo che i salari e i prezzi
si sono assestati, la curva OA diventa verticale, cioè la Q di prodotto offerto è indipendente dalla
domanda aggregata, dai prezzi o dai costi. Fig 31.3b
CAPITOLO XXIV: Il modello del moltiplicatore.
Il modello di base del moltiplicatore
Abbiamo visto precedentemente che un aumento degli investimenti fa salire il livello del prodotto e
dell'occupazione. Ma di quanto?
Il modello di Keynes del moltiplicatore mostra che un incremento degli investimenti farà crescere il
Pil di un importo ampliato o moltiplicato, rispetto all’incremento iniziale: il termine moltiplicatore
deriva dalla constatazione che ogni variazione di 1 euro di spesa porta una variazione del Pil di più
di un euro (variazione moltiplicata).
Il moltiplicatore è il fattore per il quale si deve moltiplicare la variazione iniziale degli investimenti
per determinare la corrispondente variazione del prodotto totale e la sua entità dipende, come
vedremo, dalla propensione marginale al consumo.
Facciamo un semplice esempio: mi faccio costruire una legnaia per la quale spendo 1000 € che
vanno al falegname che avrà quindi 1000€ in + di reddito: se il falegname ha una propensione
marginale al consumo pari a 2/3, dei 1000 € tenderà a spenderne 666 ad es in un macchinario per
falegnami pagando quindi 666€ al produttore del macchinario: questi spende a sua volta 2/3 di 666
cioè 444 che vanno ad un altro che spende i 2/3 di 444€ cioè 296 ecc: con una catena infinita che
man mano si esaurisce: facendo i conti con 1000 € di investimento iniziali si sono avuti 3000€ di
spese cioè 1000€ X3, di cui 1000 sono la spesa iniziale e 2000 quella provocata dal moltiplicatore.
formula del moltiplicatore : 1/PMR o 1/ (1-PMC)
moltiplicatore X investimento iniziale mi dà quanto aumenta il reddito: dY= M X dI
Applichiamo questa formula in un esempio:
Supponiamo di essere in una situazione in cui 100 = 80 + 20 (Y= C+I) cioè con C=80 e I=20;
supponiamo ora di aumentare di 10 gli investimenti che passano da 20 a 30: la conseguenza
immediata è che il reddito (o il Pil) Y passa da 100 a 110 (80 + 30)
Applichiamo ora la formula del moltiplicatore, ipotizzando una PMC= 0,8:
dY= 1/1-0,8
X 10 (aumento dell'I ) il risultato è 50; cioè con un investimento di 10, il Pil è
aumentato di 60 di cui 10 per effetto immediato e 50 grazie al moltiplicatore;
siamo dunque arrivati a una nuova situazione : da 100=80+20 siamo passati a 160=80+30, questa
situazione tenderà nel lungo periodo a equilibrarsi con l'aumento di C che passerà da 80 a 130.
Il moltiplicatore può essere rappresentato graficamente fig 24.4.
Bisogna aggiungere 2 cose:
1)il meccanismo del moltiplicatore funziona anche in senso inverso, cioè se si diminuiscono gli
investimenti, cala il prodotto;
2)il moltiplicatore funziona per qualsiasi componente della spesa C I G o X: di questi componenti
quello governabile è G perchè è sotto controllo statale
La politica economica nel modello del moltiplicatore
Anche la politica di bilancio dello Stato (spesa pubblica e imposizione fiscale) genera effetti "a
cascata" simili a quelli originati dalla spesa per investimenti:
--La spesa pubblica
In fig 24.8 abbiamo aggiunto la retta tratteggiata in alto che rappresenta un aumento della spesa
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
39
www.UNICTBLOG.com
pubblica di 100.
Ora si deve giungere al punto di intersezione con la bisettrice degli assi per trovare il livello di
equilibrio del Pil indicato dal punto E', al quale corrisponde in basso un aumento del Pil di 300:
questo perchè, ipotizzando un PMC di 2/3, il moltiplicatore è 3.
Il moltiplicatore della spesa pubblica è l'incremento del Pil derivante dall'aumento di un euro della
spesa pubblica per beni e servizi. L’acquisto iniziale di un bene o di un servizio da parte dello Stato
metterà in moto una catena di nuove spese. Il moltiplicatore della spesa pubblica è esattamente
uguale a quello degli investimenti; a causa della loro uguaglianza sono detti entrambi moltiplicatori
della spesa.
--Le imposte
Le imposte aggiuntive fanno diminuire i redditi disponibili, che a loro volta tendono a ridurre la
spesa per consumi. È chiaro che, se gli investimenti della spesa pubblica rimangono immutati, una
riduzione della spesa per consumi farà scendere il Pil e l'occupazione; nel modello del
moltiplicatore, quindi, imposte più elevate senza incrementi della spesa pubblica tenderanno a far
diminuire il Pil reale vedi fig 24.8 in cui una tassa di 100 determinerà uno spostamento in basso
della retta di consumo e una diminuzione del Pil.
Facciamo attenzione: Il moltiplicatore delle imposte è inferiore a quello della spesa di un fattore
pari alla propensione marginale al consumo, perchè l'euro risparmiato con la riduzione delle tasse
non viene tutto speso ma una parte di esso viene risparmiato:
quindi la formula del moltiplicatore delle imposte è PMC X moltiplicatore della spesa.
Nel nostro esempio se con I=10 si è ottenuto 50 (10 X moltiplicatore 5) con una tassa 10 avrò una
variazione del reddito di 10 X 4 (che è il moltiplicatore delle imposte) = 40: la variazione del reddito
è negativa cioè con la tassa 10 ottengo una diminuzione di Y di 40; questo ci porta a fare la
considerazione che se aumento gli investimenti e le tasse nella stessa misura otterrò ugualmente un
aumento del Pil: nel nostro caso 50-40= 10 (teorema di Haavelmo).
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
40
www.UNICTBLOG.com
CAPITOLO 6 : Moneta, banche e mercati finanziari
Moneta e tassi di interesse
Cos'è la moneta?
È il mezzo con cui vengono acquistati beni e servizi.
Prima dell'avvento della moneta esisteva il baratto cioè lo scambio di beni per ottenere altri beni,
ma esso presentava l'inconveniente dell'indivisibilità dei beni e della non coincidenza dei bisogni:
oggi i cittadini non scambiano direttamente un bene con un altro, ma vendono merci per ottenere
denaro e poi utilizzano il denaro per acquistare altri beni.
Quindi la prima e + importante funzione della moneta è quella mezzo di scambio.
La moneta come mezzo di scambio entrò per la prima volta nella storia sotto forma di particolari
merci: bovini, olio, rame, ferro, oro, argento, diamanti e sigarette; ma già nel XIX secolo la moneta
merce era ormai limitata quasi esclusivamente a metalli come l'argento e l’oro che avevano un
valore intrinseco, cioè un valore d'uso in sè.
Il valore intrinseco oggi è l'aspetto meno importante della moneta: non si desidera la moneta per
quello che vale come pezzo di metallo o di carta, ma per ciò che con essa si può comprare.
La moneta metallica o cartacea si è diffusa perché è un mezzo comodo di scambio, è trasportabile, si
conserva facilmente ed è accettata da tutti.
Le altre funzioni della moneta:
• la moneta si usa anche come unità di conto, con la quale si misura il valore delle cose;
• la moneta si usa a volte come riserva di valore, perché consente di conservare il valore
nel tempo: essa si può considerare un'attività finanziaria come i titoli, perchè rappresenta un debito
per chi la emette (la BCE) e un credito per chi la detiene (infatti sulle banconote c'è, o almeno c'era,
la scritta “pagabile a vista al portatore”); a differenza dei titoli, è un'attività infruttifera ma ha il
vantaggio della liquidità, cioè può essere spesa subito e senza costi e l'interesse pagato dalle banche
ai risparmiatori può essere considerato un compenso per la perdita della liquidità (rinuncio a
disporre del mio denaro per darlo in prestito).
Si deve rilevare che mentre per i monetaristi la moneta è quella che svolge unicamente funzioni di
mezzo di pagamento, i keynesiani considerano moneta circolante anche quella che ha funzione di
riserva di valore e in particolare i titoli a breve scadenza.
Vediamo ora i componenti dello stock di moneta, presenti in Italia e stabiliti dalla Banca d'Italia
Moneta in senso stretto o moneta per transazioni (cd aggregato M1)
Monete metalliche e Moneta cartacea (a volte indicato come M0). sono monete in circolazione, a
corso forzoso e a corso legale (significa che hanno valore perchè lo stabilisce lo Stato e devono
essere accettate in pagamento di qualsiasi debito).
Moneta bancaria: comprende i depositi in conto corrente nelle banche e in altri istituti, vaglia
cambiari, assegni circolari: sono i cd depositi a vista e altri depositi traibili.
La moneta M1 serve come mezzo di pagamento
Moneta in senso ampio (aggregato M2) che comprende la M1 + i depositi NON in conto corrente
ad es conti di risparmio, fondi comuni di investimento; non si può utilizzare come moneta per gli
acquisti (quindi non è moneta per transazioni) ma si può convertire in contanti molto velocemente e
senza perdita di valore.
La moneta M2 ha la funzione di riserva di valore
Aggregato M3: comprende M2 + BOT, CCT, buoni fruttiferi, investimenti esteri
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
41
www.UNICTBLOG.com
Come si nota, la classificazione usa il criterio di liquidità, da M1 massima liquidità, a M3 liquidità
minima.
I tassi di interesse
L'interesse è il pagamento effettuato per l'uso del denaro. Il tasso d'interesse è l'entità degli interessi
versati per unità di tempo: in altri termini, i cittadini devono pagare per avere l'opportunità di
prendere in prestito il denaro, il cui costo, misurato in euro all'anno per ogni euro preso in prestito, è
il tasso di interesse.
I tassi di interesse differiscono tra loro in base alle caratteristiche dei prestiti:
i prestiti infatti, differiscono per scadenza, il tempo nel quale devono essere restituiti: i prestiti a più
lungo termine in genere esigono un tasso di interesse più elevato di quelli a breve scadenza;
i prestiti variano anche in termini di rischio: alcuni prestiti sono praticamente privi di rischi, altri
sono altamente rischiosi e per essi sono richiesti tassi elevati;
Il tasso d'interesse nominale misura il rendimento in euro annui per euro investito, ma poiché i
prezzi possono salire in seguito all'inflazione, è necessario un concetto diverso di interesse, che
misuri il rendimento degli investimenti in termini di beni e servizi reali invece del reddito in termini
monetari. Questo concetto alternativo è il tasso d'interesse reale, che si ottiene correggendo il tasso
d'interesse nominale monetario mediante il tasso di inflazione, es tasso nominale 8% – tasso
inflazione 3% = 5% tasso reale.
L’attività bancaria e la creazione di moneta bancaria
Nella maggior parte dei paesi la valuta viene emessa dalla Banca centrale che controlla l'offerta
totale di moneta (la banca centrale italiana è la Banca d'Italia BdI).
La moneta bancaria e molti altri servizi finanziari vengono forniti oggi da intermediari finanziari,
come le banche commerciali, che raccolgono depositi e fondi da un gruppo di individui e li prestano
a un altro. Altre categorie importanti di intermediari finanziari sono le casse di risparmio, le
compagnie di assicurazione, i fondi pensione e i fondi comuni.
Le banche e gli altri intermediari finanziari sono molto simili ad altre imprese: sono concepite per
realizzare profitti per i loro proprietari. Quindi ad es il bilancio di una banca appare molto simile a
quello di una qualsiasi impresa; l'unica sua caratteristica distintiva è una voce detta "riserve", che
compare dal lato dell'attivo: le riserve sono attività che le banche accantonano sotto forma di
contante o di depositi presso la Banca centrale e che vengono tenute perchè è obbligatorio tenerle:
ad es se la riserva obbligatoria fosse del 10%, ciò vuol dire che se io deposito 1000 € in banca, la
banca è obbligata a tenere solo 100 € mentre può utilizzare gli altri 900 € in attività dalle quali
ricava i suoi profitti: la banca in sostanza tiene una quantità di moneta inferiore a quella che i clienti
hanno depositato, ma riesce a lavorare normalmente perchè è improbabile che all'improvviso tutti i
depositanti vogliano essere rimborsati completamente e contemporaneamente: di solito in un dato
giorno alcuni effettuano prelievi e altri invece depositi e questi tipi di transazione generalmente si
compensano. Notiamo che con la riserva obbligatoria l'autorità monetaria può controllare l'entità dei
depositi in conto corrente che le banche possono creare: imponendo una quota fissa elevata di
riserva obbligatoria, l'autorità monetaria può controllare meglio l'offerta di moneta.
Che succede ai rimanenti 900 € che io ho depositato in banca?
Succede che vengono utilizzati dalla banca per attività finanziarie ad es un prestito e vanno a finire
in un'altra banca, la quale deve mettere in riserva 90 € e può utilizzare i rimanenti 810 €; questi 810
vanno in un'altra banca che mette in riserva 81 € e utilizza i rimanenti 810—81 =729 e così via, fino
al momento in cui la somma di tutte le riserve che si sono venute a creare raggiunge i 1000 €: in
questo preciso momento si scopre che il mio deposito di 1000 € si è trasformato in tanti depositi in
diverse banche per un totale di 10000 €, di cui 1000 in riserve e 9000 in depositi: insomma siamo di
fronte a una specie di moltiplicatore di valore 10 (moltiplicatore dell'offerta) uguale a 1 / frazione
di riserva obbligatoria, nel nostro caso 1: 1/10 = 10. Naturalmente questo moltiplicatore si mantiene
solo se la moneta si trasmette da banca a banca: se il terzo elemento della catena decide di spendere i
729 € anziché depositarli, il circuito salta e il moltiplicatore finale sarà inferiore a 10.
La stessa cosa succede quando una banca per suoi motivi, decide di non investire la quota che è a
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
42
www.UNICTBLOG.com
sua disposizione e in tal caso avrà riserve in eccesso.
In oni caso si può notare come la banca abbia creato moneta bancaria che si aggiunge alla
moneta in circolazione.
L’economia finanziaria
Le famiglie che possiedono moneta, possono scegliere tra:
--detenere la moneta liquida
--spenderla in consumi
--depositarla in banca
--acquistare attività patrimoniali
--acquistare attività finanziarie ad es titoli
Prima di avventurarsi in queste attività, ci si dovrebbe chiedere quanto rendono e che rischi si
corrono.
Il tasso di rendimento è il guadagno monetario totale derivante da un titolo; il rischio si riferisce
alla variabilità dei rendimenti su un investimento: di solito le attività + rischiose presentano + alti
tassi di rendimento.
Il luogo in cui sono vendute e acquistate le azioni di società quotate e i titoli delle imprese, è la
borsa: ogni grande centro finanziario ha una borsa.
Quando l’eccitazione assale il mercato può determinare bolle speculative e crolli. Le prime si
verificano quando i prezzi aumentano perché i cittadini pensano che in futuro i titoli saliranno: a
ben vedere una bolla speculativa mantiene le promesse, poiché se i cittadini comprano perché
ritengono che le azioni saliranno, l'atto stesso di acquisto farà salire i prezzi inducendo gli investitori
a comprare ancora di più e innescando così una spirale vertiginosa; ma è pure vero che le bolle
speculative provocano sempre crolli e a volte scatenano il panico e l'esempio classico è il crollo di
Wall Street del 1929.
Numerose ricerche hanno confrontato le scelte di investimento fatte da esperti con quelle fatte a
caso, (“fatte con le freccette”: teoria del bersaglio) e sono giunte alla conclusione che i risultati sono
gli stessi: questa sorprendente conclusione avrebbe un fondamento logico: infatti nel mercato ciò
che conta non sono le notizie vecchie (le tendenze dei prezzi in passato, le notizie del giorno prima)
ma le notizie + recenti, quelle impreviste e imprevedibili che determinano variazioni improvvise dei
prezzi; chi conosce queste notizie in anticipo rispetto agli altri è favorito: ma in un mercato
efficiente qualsiasi nuova notizia (es la scoperta di un nuovo giacimento di petrolio o una guerra) è
immediatamente posta alla conoscenza di tutti, per cui un mercato finanziario ben funzionante
impedisce la possibilità di profitti costantemente superiori a quelli normali (teoria dei mercati
efficienti).
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
43
www.UNICTBLOG.com
CAPITOLO XXVI: L’attività delle banche centrali e la politica monetaria.
L’attività delle banche centrali
La Banca d'Italia
Nei primi decenni del regno d'Italia vi erano sei banche autorizzate dallo Stato ad emettere banconote
aventi corso legale. Nel 1893, dalla fusione della Banca nazionale del regno d'Italia, la Banca
nazionale Toscana e la Banca toscana di credito per le industrie e il commercio, venne creata la
Banca d'Italia, come società per azioni di diritto privato. Il banco di Napoli il Banco di Sicilia
mantennero l'autorizzazione ad emettere banconote aventi corso legale fino al 1926, quando la Banca
d'Italia divenne l'unico istituto di emissione; infine nel 1936 fu trasformata in istituto di diritto
pubblico, cioè le sue azioni potevano essere possedute solo da enti pubblici.
La Banca centrale italiana ha una struttura fortemente centralizzata, dove le decisioni cruciali
vengono prese da 4 persone che compongono il direttorio, e in ultima istanza dal governatore che ne
è a capo: il governatore viene nominato a vita, con un decreto del presidente del consiglio, su parere
del ministro del Tesoro, controfirmato dal presidente della Repubblica.
La Banca Centrale Europea
In Europa la responsabilità della politica monetaria è affidata alla Banca centrale europea, che
assieme alle banche centrali nazionali costituisce il "sistema europeo di banche centrali".
La Banca centrale europea è dotata di personalità giuridica ai sensi del diritto pubblico
internazionale: l'organo decisionale supremo è il consiglio direttivo che si occupa della politica
monetaria dell'area dell'euro, con obiettivo fondamentale la stabilità dei prezzi.
[D'ora in poi con banca centrale si intenderà la BCE]
Il mercato monetario
Il mercato monetario, come qualsiasi altro mercato, è formato da domanda e offerta di moneta:
La domanda (sl 331) è la quantità detenuta dalle famiglie e dalle imprese sotto forma sia di moneta
circolante sia di deposito, ed è utilizzata a scopo transattivo (pagamenti) o precauzionale (per spese
impreviste) o speculativo (si acquista a prezzi bassi per rivendere a prezzi + alti: secondo Keynes è
l'elemento + determinante): essa è in stretto rapporto con il tasso di interesse (- interesse, +
domanda)
L'offerta di moneta è una variabile controllata dalla Banca Centrale, perciò è verticale.
L'incontro tra domanda e offerta determina il tasso di interesse nominale cioè a questo tasso si
incontrano i desideri di chi offre moneta e di chi la domanda.
La fig 26.3a presenta la quantità totale di moneta sull'asse orizzontale e il tasso d'interesse nominale
su quello verticale; la curva dell'offerta è una retta verticale perchè è la Banca centrale che la
mantiene a quel livello, mentre la curva di domanda ha pendenza decrescente, perché le giacenze
monetarie diminuiscono all'aumento dei tassi d'interesse: l'intersezione delle curve della domanda e
dell'offerta determina il tasso d'interesse di mercato: l'offerta di moneta soddisfa pienamente la
domanda.
Se la banca centrale contrae l'offerta di moneta ci sarà un momentaneo squilibrio tra offerta, che è
diminuita, e domanda, che è rimasta la stessa; questo squilibrio viene superato al raggiungimento di
E';
Se sale la domanda, aumenta il tasso di interesse e il nuovo equilibrio sarà in E” (fig 26.4b)
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
44
www.UNICTBLOG.com
La politica monetaria
La Banca Centrale può influire sull'offerta di moneta con i seguenti mezzi:
---operazioni di mercato aperto: vendendo o acquistando titoli di Stato nel mercato aperto, la
Banca centrale può rispettivamente ridurre o aumentare le riserve delle banche: se la banca centrale
vende 1 miliardo di € in titoli di stato alle banche, avrà 1 miliardo di € in +, mentre le banche
avranno 1 miliardo di meno nei loro depositi.
---tasso di sconto: quando le banche commerciali sono a corto di riserve possono contrarre prestiti
con la Banca centrale: il tasso di sconto rappresenta il tasso d'interesse praticato sui prestiti alle
banche dalla Banca centrale; di solito il tasso di sconto segue i tassi d'interesse di mercato per
impedire alle banche di ottenere enormi profitti prendendo a prestito il denaro a un tasso di sconto
basso per poi prestarlo ad un tasso di sconto elevato sul mercato aperto.
+ alto è il tasso di sconto e meno denaro le banche prendono in prestito dalla banca centrale.
-- riserva obbligatoria: se non fossero costrette dalla legge, probabilmente le banche terrebbero
solo una piccola parte dei loro depositi sotto forma di riserve; per le banche commerciali la riserva
obbligatoria rappresenta un onere, dal momento che i fondi impiegati come riserve hanno una
remunerazione inferiore a quelli impiegati in modo alternativo. Poiché la Banca centrale controlla
sia le riserve bancarie sia il coefficiente di riserva obbligatoria, detiene il controllo dell'offerta di
moneta: se, per esempio, vuole restringere la massa monetaria da un giorno all'altro, può aumentare
il coefficiente di riserva obbligatoria; d'altro canto, se vuole creare condizioni di credito più facile
può fare il contrario.
Un accenno soltanto ai depositi esteri: cosa succede se ad es una società USA deposita 1000€ in una
banca italiana? Ovviamente aumentano ugualmente le riserve obbligatorie totali: il che vuol dire che
i movimenti internazionali possono interferire sull'equilibrio monetario interno; in tali casi la Banca
centrale ha il potere di isolare l'offerta interna di moneta dai flussi internazionali cd azione di
sterilizzazione.
Gli effetti della moneta sul prodotto e sui prezzi
Vediamo ora il meccanismo con cui le variazioni dell'offerta di moneta si traducono in variazioni di
prodotto, occupazione, prezzi e inflazione.
Supponiamo che, in seguito ad un aumento dell'inflazione, la Banca centrale abbia deciso di
intervenire: il processo ha cinque fasi:
1)la Banca centrale provvede a ridurre le riserve bancarie (cioè delle banche commerciali) ad es
vendendo titoli di stato;
2)ogni euro di riduzione delle riserve bancarie produce una contrazione multipla (vedi
moltiplicatore) dei depositi traibili, diminuendo quindi l'offerta di moneta;
3)la riduzione dell'offerta di moneta tenderà ad aumentare i tassi d'interesse e restringere le
condizioni di credito;
4)con tassi d'interesse più elevati e minore ricchezza, le spese sensibili ai tassi d'interesse, soprattutto gli investimenti, tenderanno a diminuire (diminuzione della domanda di moneta);
5)infine, le restrizioni creditizie, riducendo la domanda aggregata, faranno diminuire il reddito, il
prodotto, i posti di lavoro e l'inflazione.
Quindi una politica di restrizione monetaria porta a :
--diminuzione di C, I , X , quindi del Pil; quindi aumento disoccupazione;
--diminuzione dell'inflazione
Una politica monetaria espansiva porta invece a (vedi fig 26.5):
aumento offerta monetaria > diminuzione tasso di interesse > aumento della spesa per consumi,
mutui, automobili, investimenti > aumento Pil con meccanismo del moltiplicatore.
Molti economisti ritengono che variazioni nell'offerta di moneta, a lungo termine facciano salire
principalmente il livello dei prezzi con influsso scarso o nullo sul prodotto reale. Ciò significa che
nel lungo periodo, mentre i prezzi e i salari diventano più flessibili, l'effetto di una variazione di
offerta di moneta si esplica sempre più sui prezzi e sempre meno sul prodotto
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
45
www.UNICTBLOG.com
Fig 26.6: a breve termine con curva OA relativamente piatta, la variazione di DA incide
prevalentemente sul prodotto (per i 2/3 circa) e solo minimamente sui prezzi; a lungo termine la
curva OA diventa + verticale e le modifiche monetarie portano principalmente a modifiche dei
prezzi e molto meno a cambiamenti del prodotto.
Si può arrivare così ad una situazione in cui il Pil risulterebbe aumentato ma solo il Pil nominale,
mentre il Pil reale resta invariato: l'aumento del Pil nominale è dovuto interamente all'aumento dei
prezzi (cd moneta neutrale).
CAPITOLO XV: Commercio internazionale e protezionismo
Il fondamento economico del commercio internazionale
Esistono tre elementi che differenziano il commercio internazionale da quello interno:
1)ampliamento delle possibilità di scambio;
2)coinvolgimento di nazioni: quindi ci sono maggiori difficoltà di circolazione di merci e persone
tra nazioni diverse che non all'interno della stessa nazione
3)le valute sono diverse e quindi bisogna tener conto dei tassi di cambio.
Le nazioni trovano utile partecipare al commercio internazionale per vari motivi:
-a causa delle diverse risorse disponibili: se ho molto petrolio posso venderlo agli altri.
-a causa dei diversi costi di produzione: se sono in grado di produrre in gran quantità e a basso
costo, le altre nazioni acquisteranno da me anziché produrre in proprio: ad es gli USA acquistano
tessuti dall'Europa perchè costa meno che produrli in proprio: in tal caso si dice che l'Europa ha un
vantaggio assoluto vs USA per i tessuti, vale a dire che un lavoratore europeo ad es. produce in
un'ora + di quello che produce un lavoratore USA; supponiamo anche che un lavoratore USA
produca in 1h una Q di grano maggiore di un lavoratore europeo: stavolta saranno gli USA ad avere
un vantaggio assoluto per il grano vs l'EUR; è intuitivo che in queste condizioni gli USA
esporteranno grano in EUR ed importeranno tessuti: il contrario farà l'EUR.
Ora supponiamo invece che gli USA abbiano un vantaggio assoluto sia per il grano sia per i tessuti:
si potrebbe pensare che gli USA esporteranno grano e tessuti in EUR la quale importerà le due merci
con la conseguenza che si indebiterà sempre di + con gli USA, e la sua produzione di grano e carne
crollerà; il contrario succederà per gli USA.
Le cose non stanno così:
L'economista inglese David Ricardo dimostrò che un Paese può beneficiare del commercio sia nel
caso in cui è + efficiente di altri Paesi nella produzione di un bene, sia nel caso in cui è meno
efficiente: principio del vantaggio comparato: un paese avrà un vantaggio se si specializzerà nella
produzione e nell'esportazione dei beni che può produrre a costo relativamente basso (nei quali è
relativamente più efficiente di altri paesi); ugualmente avrà un vantaggio se importerà i beni che
produce a un costo relativamente elevato (nei quali è relativamente meno efficiente di altri paesi).
Vediamo perchè:
Un lavoratore produce in 1 h le seguenti unità di grano G e di tessuti T:
USA
6G 4T
EUR
1G 2T
Il vantaggio assoluto è dalla parte degli USA sia G sia per T; ma EUR ha un vantaggio comparato
nella T perchè per avere 4T ci vogliono 2G mentre negli USA per avere 4T occorrono 6G. Viceversa
gli USA hanno un vantaggio comparato per G perchè per avere 6G occorrono 4T mentre in EUR ne
occorrono 12T
Se vogliamo essere + precisi:
1 G......... negli USA costa 4/6 = 0,66T EUR 2/1= 2T
1 T..........negli USA costa 6/4 = 1,5 G EUR 1/2= 0,5 G
Ricardo dice che, in situazione di libero scambio, se gli USA si specializzano nella produzione ed
esportazione di G ed EUR fa altrettanto con T, ne avranno vantaggi economici ambedue.
Infatti, consideriamo un paniere costituito da 6G + 6T:
--a un lavoratore USA, in assenza di scambi, costa 1h (6G) + 1,5h (6T) = 2,5h di lavoro
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
46
www.UNICTBLOG.com
in presenza di scambi costa 1h (6G) + 0,5h (6T) = 1,5 h di lavoro
[Da dove viene fuori 0,5 h ? Il costo di T è quello europeo in cui 1G = 2T : se un lavoratore USA
produce 6G in 1h e li manda in EUR otterrà 12T , quindi gli basta 0,5 h per averne 6]
--a un lavoratore EUR, in assenza di scambi, costa 6h (6G) + 3h (6T) = 9h
in presenza di scambi, costa 2h (6G) + 3h (6T) = 5h
[per avere 6G americani, pari a 4T, un europeo produce i 4T in 2h]
Il Protezionismo
Per secoli gli stati hanno utilizzato i dazi doganali e i contingenti per aumentare i ricavi e influire
sullo sviluppo delle singole industrie:
--dazio doganale è un tributo prelevato sulle importazioni,
--contingente di importazione è un limite posto alla quantità di beni importati.
Per comprendere gli effetti economici dei dazi e dei contingenti osserviamo la fig 15.9 di pag 309
che ci mostra la curva di domanda e di offerta del bene “vestiario”: se non ci fosse nessuno scambio
tra Italia ed estero, l'equilibrio si raggiungerebbe al punto N al prezzo di 8 € e Q=200; apriamo ora le
frontiere all'importazione: poichè il prezzo mondiale del vestiario è 4€, conviene importarlo anzichè
produrlo e infatti a 4€ la produzione nazionale si riduce a ME e le importazioni vanno da E a F.
Supponiamo ora di imporre un dazio di 2€ per ogni unità importata (fig 15.10): in questo caso il
prezzo sarà di 6 €, si riducono le quantità consumate e importate e si incrementa la produzione
nazionale. Se mettessimo un dazio doganale proibitivo, ad es di 4 € si arriverebbe al prezzo di 8 €
che annulla qualsiasi importazione per cui non ci sono scambi.
Un contingente produrrà lo stesso risultato di un dazio: infatti la riduzione forzata delle importazioni
porterà la retta EF a HJ: la differenza è che un dazio fornisce entrate allo Stato, magari consentendo
che altre imposte vengano ridotte; un contingente, invece, arricchisce quegli importatori che hanno
ottenuto il permesso o la licenza di importazione.
Anche i costi di trasporto hanno lo stesso effetto dei dazi doganali: se il trasporto del bene in Italia
costa 2€ il prezzo di vendita sarà di 6 €.
Quindi in conclusione possiamo dire che un dazio determina aumento dei prezzi interni, degli
introiti dello stato e della produzione interna; mettendo questi 3 elementi in un grafico (fig 15.11)
possiamo vedere che i fattori negativi, cioè lo svantaggio per il consumatore che deve pagare un
prezzo alto (e rappresentato da LMJF = 550€ ) superano i fattori positivi rappresentati dall'aumento
del gettito statale, AHJC=200, e dall'aumentata produzione LMHE= 250 (in totale 450): la
conclusione è che un dazio determina effetti di inefficienza economica.
Le argomentazioni dei sostenitori del protezionismo sono facilmente confutabili:
1)se compro un bene italiano almeno i soldi spesi restano in Italia: ma sappiamo già che il benessere
di una nazione non è legato all'accumulo di oro o moneta come sosteneva il mercantilismo
2)si tutelano i salari dei propri lavoratori: ma sappiamo che il libero scambio ha effetti positivi sui
salari (vedi legge di Ricardo)
3)si aumenta il tasso di occupazione dei propri lavoratori: ma sappiamo che si ottengono risultati
migliori con un'opportuna politica fiscale e monetaria
In definitiva gli unici argomenti validi a favore della protezione mediante dazi o contingenti di
importazione e contro la concorrenza delle importazioni straniere sono:
1)argomentazioni non economiche: a volte è auspicabile sacrificare il benessere economico per
sostenere altri obiettivi: ad es la Svizzera limita per ragioni ecologiche il numero dei Tir che la
attraversano;
2)la necessità di cambiare a proprio favore le cd ragioni di scambio (rapporto tra prezzi di
esportazione e prezzi di importazione): un grande paese come gli USA potrebbe diminuire
l'importazione di auto straniere e questo permetterebbe una riduzione delle esportazioni di grano con
cui pagare le auto importate: il risultato è che il prezzo delle auto sul mercato mondiale scende
(perchè diminuisce la domanda di auto visto che gran parte della domanda viene dagli USA) mentre
il prezzo del grano sale (perchè gli USA, grande produttore, hanno ridotto l'offerta sul mercato); ma
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
47
www.UNICTBLOG.com
è chiaro che così si agisce in danno degli altri paesi che potrebbero reagire imponendo a loro volta
dazi sulle loro importazioni.
3)la protezione delle industrie bambine (cioè nascenti) che permetterebbe il loro sviluppo in
ambiente protetto dalla feroce concorrenza internazionale: qui bisogna fare molta attenzione: nel
1984 il Brasile chiuse le frontiere ai computer stranieri ma la scarsa qualità dei computer brasiliani
finì per incidere negativamente sullo sviluppo dell'intera economia brasiliana.
CAPITOLO XXIX: Tassi di cambio e sistema finanziario internazionale.
La bilancia dei pagamenti internazionale
La bilancia dei pagamenti internazionali è un documento che registra tutte le relazioni economiche
intercorse tra i cittadini di una nazione e i non residenti.
La struttura della BP è uguale in tutti i paesi del mondo e si divide in 3 parti:
1)movimenti di merci (le cd partite correnti): comprendono scambi di beni, scambi di servizi e i
trasferimenti unilaterali
--gli scambi di beni sono registrati nella bilancia commerciale
--gli scambi di servizi sono registrati nella bilancia dei servizi: tra i servizi abbiamo i viaggi
all'estero che riguardano in particolare il turismo, dove per servizio si intende il servizio di trasporto,
di ristorazione, alberghiero: il turista italiano che va all'estero, fa registrare sulla BP un debito.
--i trasferimenti unilaterali sono ad es le rimesse degli emigranti
2)movimenti di capitali: comprendono:
a)prestiti e crediti che i privati o lo Stato assumono nei confronti di privati stranieri o stati stranieri:
ad es io privato posso comprare azioni di una società americana o comprare buoni del tesoro emessi
dal governo americano.
b)investimenti diretti e finanziari: es acquisti e vendite di titoli stranieri da parte dei cittadini italiani
e acquisti e vendite di titoli italiani da parte di cittadini stranieri.
3)movimenti monetari: registrano i movimenti valutari delle transazioni con l'estero e
comprendono 2 voci:
a)variazioni delle riserve ufficiali
b)variazioni sull'estero della posizione netta delle aziende di credito
Bisogna fare attenzione a 2 cose:
1)ci sono 2 bilance diverse: la bilancia dei pagamenti che accorpa i punti 1 e 2 (bilancia merci +
servizi + capitali) e la bilancia valutaria
2)il saldo della bilancia valutaria è uguale al saldo della bilancia dei pagamenti, ma con segno
invertito: dobbiamo infatti considerare che se ad es compro una macchina fotografica giapponese, in
Italia si importa un bene (la macchina fotografica), ma contemporaneamente si esporta valuta ( cioè
valuta lascia l'Italia e va in Giappone)
L'equilibrio si presenta alquanto complesso perchè tutte le grandezze sono strettamente
interdipendenti: dal punto di vista economico, sl. 396 la BP può presentare un avanzo o un
disavanzo a seconda che le uscite sono minori o maggiori delle entrate; se c'è un disavanzo questo
deve essere pagato con le riserve valutarie della BdI: essa serve a fronteggiare gli squilibri
temporanei tra incassi e pagamenti e può essere utilizzata per periodi brevi (4-6 mesi): oltre questo
periodo deve essere ricostituita [non è auspicabile avere riserve valutarie in eccesso o in difetto : se
sono troppe il paese avrebbe delle risorse inutilizzate, se sono poche, viene meno la possibilità di
importare ed effettuare pagamenti all'estero; di solito l'entità della riserva si commisura al volume
del commercio internazionale: in fase di sviluppo degli scambi conviene aumentare le riserve.]
Le riserve valutarie si costituiscono in 2 modi diversi:
1)riserve in valuta nazionale: se i pagamenti vengono fatti con valute nazionali anche le riserve
devono essere costituite da valute nazionali: se pago in yen o dollari, nella mia riserva ci dovranno
essere yen e dollari; questo sistema presenta degli inconvenienti perchè divide i paesi in 2 gruppi,
quelli a valuta forte e quelli a valuta debole: (a parte il potere politico che ciò comporta), i paesi a
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
48
www.UNICTBLOG.com
valuta debole come i PVS possono disporre di valuta forte solo se le loro esportazioni nei paesi a
valuta forte superano le importazioni.
2)riserve in valuta internazionale: tutti questi problemi non ci sarebbero se esistesse una valuta
internazionale cioè una valuta nuova, emessa da una Banca Internazionale che venisse accettata
come forma di pagamento da tutti i paesi: quando un paese deve effettuare dei pagamenti all'estero,
può prelevare valuta internazionale dalla Banca Internazionale e restituirla successivamente.
La determinazione dei tassi di cambio
Le transazioni economiche all'interno di uno stesso Paese sono semplici perchè effettuate con la
stessa moneta: lo stesso accade in ambito europeo dove circola l'euro.
Ma il commercio con nazioni che hanno una moneta diversa è + complicato: se voglio comprare un
prodotto americano, lo devo pagare in dollari e quindi per prima cosa devo procurarmi cioè comprare
dollari con la moneta di cui dispongo cioè con euro: il tasso di cambio è il prezzo di una valuta in
termini di un'altra ed è stabilito dal mercato dei cambi; dire che il tasso di cambio dell'euro nei
confronti del dollaro è di 1,10 significa 1,10/1, cioè con il denominatore 1 € posso comprare 1,10 $
(1$ = 1/1,10 = 0,91€); tasso di cambio della sterlina (£/€) 0,60 significa 0,60/1 con 1 € posso comprare
0,60 sterline (1£= 1/0,60 = 1,66 €)
Il tasso di cambio è determinato dall'equilibrio della domanda e dell'offerta di cambio: supponiamo
che ci siano cittadini italiani che vogliono comprare prodotti inglesi, e inglesi che vogliono
acquistare prodotti italiani: gli italiani offrono € (per acquistare sterline) e gli inglesi domandano €:
la fig 29.3 mostra la curva di domanda e offerta di sterline in Italia: all'aumentare del tasso di
cambio £/€ cioè quando l'€ si apprezza rispetto alla £, l'offerta + (gli italiani vogliono comprare di+),
mentre la domanda diminuisce (gli inglesi vogliono comprare di meno): il punto di equilibrio
rappresenta il tasso di cambio al quale domanda e offerta si incontrano. Se l'Inghilterra fosse in un
periodo di recessione, gli inglesi comprerebbero meno prodotti italiani, cioè la loro domanda di €
calerebbe con spostamento della curva di domanda a sinistra; il tasso di cambio passerebbe da 0,62 a
0,50, questo significa che la £ è + cara e quindi diminuiscono gli acquisti di prodotti inglesi da parte
degli italiani: l'offerta quindi cala e si raggiunge un nuovo equilibrio in E' fig 29.4.
Viceversa un aumento della domanda sposta la curva a destra (fig 29.5) e provoca aumenti del tasso
di scambio: questo aumento fa apprezzare la moneta nei confronti delle altre monete, rende + care le
esportazioni e + convenienti le importazioni: ecco dunque come il tasso di cambio può essere
utilizzato per stabilizzare la bilancia dei pagamenti.
La domanda di € aumenta per:
--aumento della domanda dall'estero
--aumento dei prezzi esteri (per cui è conveniente acquistare prodotti italiani)
--aumento tassi di interesse in Italia (attira gli investimenti stranieri)
--aumento tassi di rendimento degli investimenti
--aumento del reddito del paese estero
--aumento dei turisti stranieri
L'aumento della domanda determina l'apprezzamento dell'euro.
L'offerta di € diminuisce per:
--riduzione del reddito italiano (minori importazioni)
--riduzione turisti
--riduzione dei prezzi italiani
--aumento tassi di interesse e tassi di rendimento
Quando il tasso di cambio varia solo per effetto della domanda-offerta, si parla di fluttuazione pulita:
nella realtà parte della domanda e dell'offerta sono di origine speculativa per cui la Banca centrale
deve intervenire acquistando o vendendo valuta per aumentare o diminuire le riserve ufficiali: in
questo senso si può dire che il cambio flessibile è uno strumento di politica monetaria attraverso il
canale estero.
Cosa influisce sui tassi di cambio?
Nel breve periodo, come abbiamo visto la politica monetaria, eventi politici e aspettative.
Nel lungo periodo, secondo la teoria della parità del potere d'acquisto dei tassi di cambio, il tasso
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
49
www.UNICTBLOG.com
di cambio di un paese tenderà a bilanciare il costo di acquisto di prodotti commerciati internamente
con quello di acquisto di quegli stessi beni all'estero.
Facciamo un esempio: una macchina viene venduta 1000 $ negli USA e 10mila pesos nel Messico;
siccome 1$= 100 pesos la macchina in Messico costa 1000: 100 = 100 $ : si avrà allora un'invasione
di americani che comprerà in Messico a 100$ un prodotto che in USA ne vale 1000.
Si ha così un aumento di domanda di pesos che aumenta il tasso di cambio, cioè apprezzerà il peso
vs il dollaro, fino a quando i prezzi della macchina saranno uguali negli USA e in Messico cioè fino
al cambio 1$=10 pesos
La dottrina della parità di potere d'acquisto afferma inoltre che i paesi con tassi d'inflazione elevati
(prezzi alti-esportazioni basse) tenderanno ad avere monete che si deprezzano di una misura pari alla
differenza tra i tassi di inflazione : es la valuta di un paese con inflazione del 10%, si deprezza
rispetto a quella di un paese con inflazione del 2%, esattamente di un valore pari a 10%-2%=8%.
La teoria della PPA non è una teoria perfetta perchè:
--non tutti i beni sono commerciabili (i beni ambientali)
--alcuni beni, anche se commerciabili, non sempre sono sostituibili: i tedeschi preferiscono la birra
tedesca a quella americana, anche se è + costosa rispetto a quella americana.
Il sistema monetario internazionale
Il sistema monetario internazionale designa le istituzioni che controllano gli scambi internazionali e
in particolare, stabilisce le regole che fissano i tassi di cambio.
I sistemi principali con cui si fissano i tassi di cambio sono 3:
• il sistema di tassi di cambio fissi;
• il sistema di tassi di cambio flessibili o fluttuanti in cui i tassi sono determinati dalle forze di
mercato e oscillano liberamente;
• tassi di cambio amministrati in cui i tassi oscillano ma le nazioni intervengono per attenuare
le oscillazioni e mantenerle entro limiti prestabiliti.
Tassi di cambio fissi: qui i governi specificano esattamente il tasso al quale ad es gli euro saranno
convertiti nelle altre monete. Storicamente il sistema di tassi di cambio fissi più importante fu il
sistema monetario aureo (Gold Standard), secondo il quale ogni paese definiva il valore della
propria moneta nei termini di una quantità fissa d'oro: ad es se la sterlina d'oro contiene ¼ d'oncia di
oro e il dollaro ne contiene 1/20 di oncia cioè 5 volte meno, ciò vuol dire che 1 sterlina vale 5
dollari; è un sistema che riesce ad equilibrarsi da solo, come dimostrato dal filosofo Hume nel 1752
(equilibrio aureo di Hume): supponiamo che gli scambi avvengano solo tra Italia e Inghilterra e che
in Italia ci sia l'inflazione e quindi prezzi alti: con il cambio fisso è logico che sia + conveniente per
gli italiani importare dall'Inghilterra mentre agli inglesi non conviene importare dall'Italia: abbiamo
così l'Italia con importazioni massicce e scarse esportazioni e l'Inghilterra con molte esportazioni e
poche importazioni: questo comporta che l'Italia perde oro che viene trasferito in Inghilterra: la
perdita di oro equivale a una diminuzione dell'offerta di moneta (in Inghilterra invece sale) che
determina una diminuzione dei prezzi (aumento dei prezzi in Inghilterra): con la diminuzione dei
prezzi in Italia e l'aumento di quelli inglesi, le importazioni dell'Italia calano e aumentano le
esportazioni (il contrario avviene in Inghilterra) fino a ristabilire l'equilibrio a nuovi prezzi.
Un sistema di cambio fisso è vulnerabile ad attacchi speculativi devastanti se i flussi di capitale
finanziario circolano liberamente da un paese all'altro: se è probabile che una moneta sia svalutata,
gli speculatori inizieranno velocemente a venderla; in tal modo, l'offerta di moneta aumenta mentre
la domanda scende.
Questo sistema rimase valido fino alla seconda guerra mondiale: nel dopoguerra si rese necessario
creare istituti che facilitassero la ripresa delle economie compromesse dal conflitto.
Così nell'ambito degli accordi di Bretton Woods (1944), nacquero il Fondo monetario internazionale
(FMI, una specie di banca centrale per le banche centrali), la Banca Mondiale (che concede prestiti
ai PVS a tassi agevolati e a lungo termine), il GATT (accordo generale sui dazi doganali e il
commercio) e oggi sostituito dal WTO; ma gli accordi di Bretton Woods decretarono la fine del
sistema aureo a favore di un sistema che prevedeva tassi di cambio fissi ma aggiustabili; in
particolare si doveva scegliere tra il sistema della valuta internazionale proposto da Keynes e quello
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
50
www.UNICTBLOG.com
della valuta nazionale proposto da White e venne preferito quello di White: lasciando da parte le
ragioni di tale scelta (scelta di potere in quanto gli USA in fondo erano i vincitori della 2 guerra
mondiale e la loro economia era intatta), il risultato fu che il dollaro divenne di fatto la valuta
internazionale, la preferita come forma di pagamento degli scambi internazionali: gli accordi
prevedevano un regime di cambi fissi, cioè si stabilì il valore del dollaro in base all'oro (35 $ per 1
oncia di oro) e il valore delle valute nazionali in base al dollaro; questo valore poteva oscillare entro
certi limiti, ma in linea di massima le autorità monetarie si impegnavano a difendere questo cambio
fisso.
Successivamente con lo sviluppo industriale dell'Europa e del Giappone altre valute andavano
emergendo come valute forti; questo motivo, assieme ai pericoli di speculazione sul dollaro (se i
miliardi di dollari esistenti al di fuori degli USA fossero state messi sul mercato, avrebbero
provocato una svalutazione massiccia della moneta americana : a questo punto sarebbe intervenuta
la Banca centrale con le proprie riserve per difendere la moneta: ma trattandosi di miliardi in poche
ore, prima o poi la Banca centrale avrebbe svalutato la moneta), determinò prima un sistema a due
cambi (un mercato ufficiale a prezzo dell'oro fisso per gli scambi tra le banche centrali e un mercato
libero) , poi l'abbandono del sistema di Bretton Woods e il passaggio alle valute plurime e ai cambi
flessibili
Tassi flessibili o fluttuanti: in questo sistema non è previsto l'intervento dello Stato e i tassi si
muovono unicamente sotto l'influsso della domanda e dell'offerta; i tassi flessibili sono oggi
utilizzati dalle principali aree economiche del mondo: USA, Area dell'euro, Giappone.
Tassi di cambio amministrati: si pongono tra i due estremi dei tassi di cambio rigidamente fissati e
tassi completamente flessibili: in sostanza sono determinati dalle forze di mercato, ma i governi
comprano e vendono valute o variano l'offerta di moneta per influenzarli; facciamo un esempio (fig
29.8): se il tasso di cambio è stato fissato in modo che 1 peso argentino vale 1 $ e per qualche
motivo la domanda di pesos dovesse scendere, ci troveremo nella situazione B cioè 2 pesos per
dollaro, quindi con un deprezzamento del peso del 50%; a questo punto l'Argentina può intervenire
aumentando la domanda di pesos:
--acquistando pesos (o vendendo dollari)
--aumentando il tasso di interesse argentino e così i risparmiatori si butterebbero sul peso: ma
l'aumento del tasso di interesse avrebbe ripercussioni negative sull'economia interna.
L'attuale sistema di cambi presenta contorni che non sono nettamente delineati. Senza che nessuno
lo avesse progettato il mondo è passato a un sistema di cambi ibrido, le cui principali caratteristiche
sono le seguenti:
• alcuni paesi consentono alla propria moneta di fluttuare liberamente: es Europa e USA
• alcuni grandi paesi hanno tassi di cambio amministrati ma flessibili. Oggi questo gruppo
comprende il Canada, il Giappone e molti paesi in via di sviluppo;
• molti paesi, soprattutto piccoli, agganciano la loro valuta a una moneta importante o un
paniere di monete;
• inoltre quasi tutti i paesi tendono a intervenire quando i mercati diventano turbolenti o
quando i tassi di cambio sembrano molto lontani da quelli appropriati per i livelli di prezzi e
flussi commerciali esistenti.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
51
www.UNICTBLOG.com
CAPITOLO XXX: La macroeconomia dell’economia aperta.
Il commercio estero e l’attività economica
La macroeconomia dell'economia aperta è lo studio del comportamento dell'economia quando si
prendono in considerazione i legami commerciali e finanziari tra le nazioni.
Vediamo quindi, alla luce dell'economia aperta,
1)la relazione commercio estero / Pil
2)la relazione tassi di interesse / tassi di cambio
3)la relazione risparmio / investimenti
Il commercio estero prevede esportazioni ed importazioni. Si definiscono esportazioni nette le
esportazioni di beni e servizi meno le importazioni di beni e servizi.
Fattori che influenzano importazioni ed esportazioni
--Importazioni:
Dipendono principalmente dal Pil e dai prezzi relativi dei beni nazionali rispetto a quelli esteri:
-quando il Pil aumenta le importazioni aumentano, perchè si compra di + all'estero sia da parte dei
consumatori, sia da parte delle imprese che richiedono + materie prime;
-il volume e il valore delle importazioni sono influenzati anche dai prezzi relativi dei beni nazionali
ed esteri e dal tasso di cambio: quando il prodotto estero aumenta di prezzo o scende il tasso di
cambio dell'euro, il volume e il valore delle esportazioni tendono a crescere.
Bisogna infine considerare:
-il PMm propensione marginale alle importazioni che rappresenta che parte del prodotto
aggiuntivo viene speso nelle importazioni;
-ma anche costo dei trasporti e atteggiamento dei governi nei confronti del commercio estero.
--Esportazioni: sono l'immagine speculare delle importazioni, cioè dipendono dal prodotto estero e
dai prezzi relativi dei beni;
Come influiscono le variazioni dei flussi commerciali sul Pil e sull'occupazione?
In presenza del commercio internazionale viene aggiunta la quarta componente della spesa, le
esportazioni nette, che fanno aumentare la domanda aggregata: nella fig 30.2 al punto E il Pil è
uguale a ciò che consumatori, imprese, stato e stranieri vogliono spendere per beni e servizi prodotti
in quel paese; se le ESP > IMPORT la retta andrà sopra, viceversa la retta andrà sotto e la differenza
sarà il disavanzo. ( in figura l'aggiunta della componente X fa diminuire il Pil in quanto le
importazioni sono > esportazioni).
L'aggiunta di X comporta, come sappiamo, l'attivazione del moltiplicatore: poiché in un'economia
aperta, un aumento di reddito viene in parte destinato all'importazione (vedi Pmm), il che vuol dire
che va fuori dalla nazione; il moltiplicatore dell'economia aperta è leggermente inferiore a quello di
un'economia chiusa dove Pmm=0; la formula è: 1/ PMR+PMm.
Il sistema dei cambi e i tassi di interesse
La politica macroeconomica dipende dal sistema dei cambi:
--tassi fissi: i Paesi con tassi di cambio fissi ed elevata mobilità di capitali (cioè i capitali possono
defluire facilmente da un paese all'altro senza barriere normative), si contraddistinguono per tassi
d'interesse pressoché allineati fra loro: qualsiasi divario nei tassi d'interesse di due paesi attira gli
speculatori, che venderanno una valuta e acquisteranno l'altra fino a che i tassi si livelleranno. --tassi
flessibili: nell'ambito dei tassi di cambio flessibili, la politica economica diventa molto efficace: per
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
52
www.UNICTBLOG.com
es un aumento del tasso di interesse provoca un aumento di domanda di valuta che determina a sua
volta un aumento del tasso di cambio con ovvie conseguenze sulle esportazioni che diminuiscono
con ripercussioni negative sul Pil reale.
Il risparmio e gli investimenti nell’economia globale
In un'economia chiusa gli investimenti dipendono esclusivamente dal risparmio interno, mentre per
le economie aperte i mercati finanziari mondiali sono un'altra fonte a cui si può ricorrere sia per
cercare capitale sia per investire i propri risparmi.
In un'economia chiusa i risparmi (R) sono uguali agli investimenti (I) R=I ; perchè?
Semplifichiamo al massimo le cose e non consideriamo né G né X:
-- dal punto di vista dei prodotti Pil = C+I
--dal punto di vista dei redditi Pil inteso come reddito nazionale = C+ R
Quindi C+I=C+R da cui I=R
Se vogliamo essere + precisi: risparmio totale = risparmio privato(R P ) + risparmio pubblico (RG)
(l'avanzo del bilancio ossia ciò che non è stato speso), quindi I = RP +RG
La fig 30.7 ci mostra il punto di equilibrio tra risparmio e investimenti ad un determinato tasso di
interesse: un maggior disavanzo pubblico riduce gli investimenti, spostando la curva del risparmio a
sinistra e si raggiunge un nuovo equilibrio in r” a un tasso + alto.
Esiste quindi un rapporto inverso tra risparmio-investimenti da una parte e tasso di interesse
dall'altra.
Un'economia aperta ha + opportunità in quanto ha fonti alternative d'investimento e sbocchi
alternativi per il risparmio, nel senso che si possono dirottare parte dei risparmi per fare investimenti
all'estero; ma d'altra parte un paese in economia aperta deve porre il proprio tasso di interesse
interno uguale a quello reale mondiale, perché è troppo piccolo per influire su di esso, e dato che la
mobilità del capitale è elevata, il capitale finanziario si sposterà per equilibrare i tassi di interesse
all'interno e all'estero.
Qui bisogna aggiungere le esportazioni nette: quindi gli investimenti totali = investimenti interni (I)
+ investimenti esteri ossia esportazioni nette (X):
Quindi I + X = RP + RG da cui:
I = RP + RG – X (1)
e X = RP + RG – I , cioè le esportazioni sono la somma del risparmio privato + l'avanzo pubblico –
gli investimenti interni.
Le esportazioni nette sono dunque determinate dalla differenza tra risparmi e investimenti interni e
dal tasso di interesse mondiale. Le variazioni dei cambi sono il meccanismo mediante il quale si
adeguano i risparmi e gli investimenti.
Dalla (1) possiamo capire cosa succede quando aumenta il disavanzo pubblico: diminuiscono gli
investimenti > tassi di interessi interni rispetto a quelli mondiali, aumento degli investitori esteri,
aumento tassi di cambio, diminuzione delle esportazioni che scendono fino ad eliminare il divario
tra risparmio e investimenti.
Altri esempi importanti della teoria del risparmio e degli investimenti in un'economia aperta sono i
seguenti fig 30.8 (in pratica con le variazioni di X si compensano le variazioni di Rp, Rg e I):
• Un aumento del risparmio privato o una spesa pubblica inferiore del paese aumenterà il risparmio nazionale rappresentato da uno spostamento verso destra nella scheda del risparmio
nazionale. Questa situazione determinerà un deprezzamento del cambio fino a quando le
esportazioni nette non aumenteranno quanto basta per bilanciare l'aumento del risparmio
privato.
• Un aumento degli investimenti interni, per esempio a causa di un miglioramento del clima
commerciale o dell'esplosione di innovazioni, determinerà uno spostamento della scheda
degli investimenti che porterà a un apprezzamento del cambio fino a quando le esportazioni
nette diminuiscono quanto basta per equilibrare il risparmio e gli investimenti. In questo caso
gli investimenti interni spiazzano quelli esteri.
• Un aumento dei tassi di interesse mondiali ridurrà il livello degli investimenti portando a un
ampliamento del divario tra risparmi e investimenti, a un deprezzamento del cambio e
all'incremento delle esportazioni nette e degli investimenti stranieri.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
53
www.UNICTBLOG.com
Le politiche economiche nell'economia aperta
Abbiamo detto che un'economia aperta ha opportunità maggiori rispetto ad un'economia chiusa.
I fattori + importanti sono:
--la presenza di concorrenti esteri ce impedisce che i produttori nazionali possano monopolizzare un
settore e l'adozione di tecnologie avanzate (magari con joint-venture con aziende straniere)
--istituzioni sicure di mercato ce forniscono un ambiente sicuro per gli investimenti e
l'imprenditorialità mediante un insieme di diritti di proprietà certi per assicurare che inventori e
artisti creativi traggono profitto dalle proprie attività (es Lussemburgo e Taiwan).
--un clima macroeconomico stabile con imposte ragionevoli e prevedibili, inflazione bassa e tassi di
cambio relativamente stabili, attirano flussi di capitale estero.
CAPITOLO XXXI: La disoccupazione
La popolazione in età da lavoro può essere suddivisa in:
1)forza lavoro: comprende tutti coloro che sono in grado di lavorare, materialmente e lealmente:
occupati, ovvero coloro che svolgono un lavoro retribuito;
disoccupati, che comprende le persone che non sono occupate ma cercano attivamente un
impiego o sono in attesa di tornare a lavorare;
2)persone non appartenenti alla forza lavoro, ovvero ci è minorenne, studente, pensionato, o è
troppo malato per lavorare o semplicemente non cerca lavoro.
Il tasso di disoccupazione è dato dal numero di disoccupati diviso la forza lavoro totale X 100.
Il costo economico della disoccupazione è certamente elevato: l'economia spreca effettivamente tutti
i beni e servizi che i lavoratori disoccupati avrebbero prodotto (la misura di queste perdite può
essere data dalla diminuzione del Pil).
Ma il costo sociale è enorme: nessuna cifra può indicare adeguatamente il prezzo umano e
psicologico di lunghi periodi di disoccupazione involontaria persistente.
La disoccupazione di solito dipende dalla produzione: quando il prodotto cala, le imprese
necessitano di minori input di lavoro, perciò non assumono nuovi lavoratori e licenziano parte della
forza lavoro: questo rapporto fu individuato da Arthur Okun: la legge di Okun afferma che per ogni
due punti percentuali di diminuzione del Pil rispetto al Pil potenziale il tasso di disoccupazione sale
di un punto percentuale fig 31.4. Un' importante conseguenza della legge di Okun è che il Pil
effettivo deve crescere con la stessa rapidità di quello potenziale unicamente per impedire che la
disoccupazione aumenti. Se si vuole far scendere il tasso di disoccupazione, inoltre, il Pil effettivo
deve crescere più velocemente di quello potenziale.
Gli economisti individuano 3 tipi diversi di disoccupazione:
1)La disoccupazione frizionale si verifica a causa dell'incessante movimento di persone tra regioni diverse, tra occupazioni diverse o in diverse fasi del ciclo di vita: insomma anche se ci fosse la
piena occupazione, ci sarebbe sempre una certa rotazione dovuta a studenti che cercano lavoro dopo
il diploma, o donne che rientrano a far parte della forza lavoro dopo aver avuto dei figli. Poiché i
lavoratori colpiti dalla disoccupazione frizionale spesso stanno passando da un lavoro all'altro o
sono alla ricerca di occupazioni migliori, si parla di disoccupazione volontaria,
La disoccupazione frizionale si può risolvere con misure volte a far incontrare domanda e offerta
(agenzie per il lavoro, internet)
2)La disoccupazione ciclica si verifica durante le recessioni, quando la domanda globale di lavoro
è bassa e l'occupazione diminuisce.
Essa si può risolvere con una politica economica espansiva.
3)La disoccupazione strutturale è legata alle caratteristiche strutturali dell'economia:
--squilibri territoriali: posti di lavoro al Nord, disoccupati al Sud
--squilibri di settore: ci sono settori in cui c'è carenza di lavoratori disponibili ed altri saturi.
--squilibri di qualificazione: c'è domanda di lavoro qualificato e carenza di lavoratori qualificati
Quali sono le cause della disoccupazione?
Cominciamo a fare una distinzione tra classici e keynesiani.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
54
www.UNICTBLOG.com
Per i classici vale la legge di Say: l'offerta crea la propria domanda: le imprese producono
tranquillamente, tanto tutta la produzione viene assorbita dal mercato; il sistema economico è
sempre in piena occupazione: non esiste disoccupazione che non sia volontaria: se esiste
disoccupazione essa è dovuta al comportamento degli organi pubblici e dei sindacati che fissano
salari + alti di quello dell'equilibrio
Fig 31.5a : il punto di equilibrio è E dove le imprese sono disposte ad assumere X lavoratori a un
determinato salario e X lavoratori sono disposti a lavorare per quel salario: il tratto E-F rappresenta
la disoccupazione volontaria composta dai disoccupati frizionali e da coloro che preferiscono le
attività ricreative o il tempo libero o il sussidio al lavoro malpagato.
Le variazioni della domanda di lavoro vengono compensate da variazioni dell'offerta e si
raggiungono nuovi equilibri.
Ora supponiamo che per una decisione governativa, i tassi salariali aumentino al di sopra del tasso di
equilibrio fig31.5b: al tasso salariale troppo elevato ci sono più lavoratori alla ricerca di un impiego
G, ma le imprese sono disposte ad assumere lavoratori H: H-G sono i disoccupati involontari,
lavoratori che vogliono lavorare a quel salario, ma non riescono a trovar impiego.
Il caso opposto si verifica quando il salario viene fissato al disotto del tasso tendente all'equilibrio di
mercato; in questa situazione in un'economia con carenza di manodopera i datori di lavoro non
riescono a trovare un numero sufficiente di lavoratori per riempire posti vacanti.
Keynes contesta le teorie dei classici e dice:
--i salari non possono né salire né scendere per bilanciare i mercati. Perchè?
Perché i salari sono costi vischiosi, sono fissati di solito per un periodo contrattuale di tre anni
quindi nel breve periodo non possono adeguarsi al gioco dell'offerta e della domanda.
Cosa che invece si verifica nel lungo periodo, ma questo periodo può durare molti anni.
--è la domanda di un bene che crea l'offerta, non viceversa: se la domanda di un bene diminuisce
(perchè i gusti sono cambiati o per altri motivi), diminuisce l'offerta del bene, cioè le imprese ne
producono di meno, impiegano meno manodopera e la disoccupazione aumenta.
Da ciò deriva che per diminuire la disoccupazione occorre stimolare la domanda tramite un aumento
della spesa pubblica G: se la domanda aumenta, le imprese sono disponibilissime ad aumentare la
produzione (e quindi l'occupazione) perchè essendo i salari (e gli altri costi tipo l'affitto dei locali) fissi
per un certo periodo, con l'aumento della produzione esse avrebbero un aumento dei profitti: quindi
nel breve periodo: + domanda di beni= + offerta (+ produzione) a prezzi + alti = + occupazione.
Nel lungo periodo invece aumentano i costi (salari, affitti ecc) e l'aumento della domanda provoca solo
un aumento dei prezzi dei prodotti ma non della produzione (e dell'occupazione)
sl 346: disoccupazione al punto A : lo stato interviene aumentando la spesa pubblica; ciò provoca
aumento della domanda di beni (che si porta in alto) : nel breve periodo l'aumento della domanda di
beni è soddisfatto dall'aumento della produzione; l'aumento della produzione determina una
diminuzione della disoccupazione: nel punto B la disoccupazione keynesiana (da carenza di domanda)
è stata eliminata e in questo punto B si parla di tasso naturale di disoccupazione cioè esiste sempre un
certo livello di disoccupazione inevitabile dovuto a imperfezioni del mercato (squilibri
settoriali,territoriali, di qualificazione); si potrebbe superare il punto B e ridurre ulteriormente la
disoccupazione fino a C solo se ci sono i presupposti di una riduzione dei costi (ad es con il progresso
tecnico.
In conclusione
La disoccupazione per i classici non esiste perchè il mercato si equilibra da solo e se esiste dipende dai
salari fissati a livelli troppo alti; Keynes ritiene che questo meccanismo di regolazione non possa
avvenire perchè i salari non sono abbastanza flessibili da equilibrare i mercati, cioè di fronte alla
disoccupazione i salari non si riducono: per Keynes la disoccupazione non dipende dai salari ma dalla
diminuzione della domanda: per diminuire la disoccupazione occorre stimolare il consumo, non
diminuire i salari, come vorrebbero i classici (la riduzione dei salari d'altra parte ridurrebbe il reddito
disponibile e farebbe diminuire ulteriormente i consumi e quindi la domanda).
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
55
www.UNICTBLOG.com
CAPITOLO XXXII: Assicurare la stabilità dei prezzi. L'inflazione
L'Inflazione: definizione
L'inflazione è l'aumento generale e continuo dei prezzi.
Il tasso di inflazione misura, in percentuale, la variazione del livello generale dei prezzi e viene
calcolato ogni anno utilizzando l'indice dei prezzi al consumo (IPC) o il deflatore del Pil;
[ L'indice dei prezzi al consumo misura il costo di un paniere di beni di consumo e servizi, ri- spetto
al costo di quel paniere in un particolare anno base: il paniere è costituito da un migliaio di beni e
servizi rappresentativi del consumo nazionale (alimentazione, trasporti, vestiario, casa, energia,
sanità, tempo libero ecc) viene elaborato dall'ISTAT e periodicamente revisionato].
Il tasso di inflazione si misura come segue:
se voglio calcolare il tasso del 2001 rispetto al 2000 preso come anno base:
--IPC 2001 – IPC 2000 / IPC 2000 X 100
--oppure con il deflatore del Pil: DEFL 2001 – DEFL 2000 / DEFL 2000 X 100
La differenza tra i 2 metodi sta nel fatto che il deflatore del Pil misura la variazione dei prezzi di tutti
i beni e servizi prodotti all'interno del Paese (anche ciò che viene prodotto da industrie straniere
impiantate in Italia), mentre l'IPC misura tutti i beni e servizi acquistati dai consumatore (quindi
anche i beni prodotti all'estero e importati).
A seconda della gravità l’inflazione si suddivide in tre categorie:
1) inflazione moderata, contraddistinta da prezzi che aumentano lentamente in modo prevedibile; il
tasso di inflazione annuale è a una sola cifra; i cittadini sono disposti a tenere liquido perchè sanno
che la moneta non perderà molto valore nel tempo.
2)l'inflazione galoppante: è a due o tre cifre; in questo caso si verificano gravi distorsioni
economiche: C e I si riducono, la moneta perde valore molto rapidamente, i mercati finanziari
languono mentre il capitale viene trasferito all'estero;
3)iperinflazione: è la forma + grave; è a 8-10 cifre; tutti cercano di disfarsi della moneta comprando
beni immobili, facendone lievitare ulteriormente i prezzi.
Nelle economie moderne un tasso di inflazione, seppure minimo, esiste sempre: è il cd tasso di
inflazione inerziale o di fondo o prevista; questo tasso si mantiene agli stessi livelli per periodi + o
– lunghi: in questi periodi le aspettative dei cittadini si adeguano per cui ad es se il tasso di fondo si
è stabilizzato sul 3%, nella determinazione dei salari e degli stipendi si terrà conto di questo tasso
come se dovesse mantenersi uguale anche negli anni successivi.
L'inflazione inerziale si verifica quando le curve DA e OA si spostano costantemente verso l'alto
allo stesso ritmo (fig 32.7).
Questo tasso di inflazione tende a persistere fino a quando uno shock lo fa salire o scendere.
Effetti economici dell'inflazione
Sono rappresentati da:
--- effetti sulla distribuzione del reddito
In generale l'inflazione imprevista ridistribuisce la ricchezza dai creditori ai debitori, favorendo chi
assume prestiti (ad es lo stato che emette titoli di credito, e infatti il debito pubblico diminuisce) e
colpendo chi li concede; in genere cmq l'inflazione rode il reddito e colpisce in particolare i titolari
di un reddito fisso, salariati, impiegati, pensionati.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
56
www.UNICTBLOG.com
---effetti sull'efficienza economica
Poichè con l'aumento dei prezzi si riduce il potere di acquisto, si riducono i consumi e i risparmi (e
quindi gli investimenti) e diminuisce il prodotto totale: si ha la corsa all'acquisto di beni durevoli (es
immobili e oro) che finiscono con l'aumentare di prezzo e alimentare l'inflazione:.
Oltre a questo effetto fondamentale, l'inflazione produce tutta una serie di effetti secondari ma da
non trascurare; per es distorce i segnali dei prezzi: infatti se il prezzo di un solo bene sale, sia gli
acquirenti sia i venditori se ne accorgono subito e reagiscono adeguatamente(ad es se il prezzo della
carne è aumentato, il consumatore sceglierà il pollo). Ma con inflazione elevata, ad es del 30% al
mese, è molto più difficile distinguere le modifiche dei singoli prezzi visto che i listini cambiano
continuamente: il consumatore si trova disorientato e spesso perde tempo e denaro per gestire al
meglio la riduzione delle proprie disponibilità monetarie.
Alcuni economisti parlano anche dei cosiddetti costi di listino dell'inflazione, fondati sul
presupposto che, quando variano i prezzi, le imprese avranno dei costi per adeguare i propri prezzi: i
ristoranti ristampano i menu, le aziende di vendita per corrispondenza cambiano i cataloghi, le
società di taxi modificano il tassametro delle proprie auto.
Le cause dell’inflazione
Le cause + significative dell'inflazione sono l'eccesso di domanda e l'aumento dei costi.
L'inflazione da domanda
Si verifica quando la domanda aggregata cresce più rapidamente del potenziale produttivo del paese:
i beni disponibili son scarsi rispetto all'offerta e c'è la corsa per i prodotti e quindi i prezzi salgono;
la disoccupazione cala, anzi c'è scarsità di manodopera per cui i salari aumentano e l'inflazione
accelera; è un fenomeno ad es caratteristico dei periodi bellici durante i quali l'apparato produttivo è
concentrato nelle produzioni belliche e non può soddisfare la domanda interna dei consumi;
Nelle sl 368-371, un aumento della domanda (da DA0 a DA1 ) fa aumentare prezzi e produzione
(punto di equilibrio A0 e A1 ): le aziende sono disposte ad aumentare l'offerta in risposta
all'aumento della domanda.
Quando si raggiunge il Pil potenziale, il Pil massimo dove l'offerta diventa verticale cioè al punto
A2, le imprese non sono + disposte ad aumentare la produzione (perchè da quel punto in poi i salari
aumentano) e quindi un ulteriore aumento della domanda avrà l'effetto di aumentare i prezzi ma non
quello di aumentare la produzione.
A questo punto può intervenire lo Stato diminuendo la domanda tramite la politica fiscale (aumento
delle tasse = diminuzione dei consumi) o monetaria (diminuzione offerta di moneta = diminuzione
dei consumi e degli investimenti): ma naturalmente una diminuzione della domanda comporterà
inevitabilmente un aumento della disoccupazione.
L'inflazione da costi
E' dovuta ad un aumento dei costi delle imprese: i prezzi salgono, perchè salgono i costi, e tra questi
in particolare salgono i salari perchè sono amministrati e ben difficilmente possono essere tagliati; sl
374 aumentano i salari W ma non aumenta il Prodotto Pr perchè le imprese trasferiscono l'aumento
dei costi sul prezzo di vendita ; l'aumento dei salari può superare l'aumento di prezzo (e si avrà un
aumento del reddito reale del lavoratore, quindi aumento della domanda dei beni, quindi ulteriore
inflazione) o essere inferiore (e questo vuol dire che i produttori ne hanno approfittato per aumentare
i prezzi oltre il dovuto e ottenere profitti + elevati). Ovviamente si innesca una spirale : aumento dei
salari > aumento dei prezzi > aumento dei salari (specie se nei contratti di lavoro c'è l'adeguamento
automatico dei salari all'inflazione)
A parte i salari, i costi per le aziende possono aumentare come successe nelle crisi petrolifere degli
anni '70, per diminuzione di offerta e aumento di costo delle materie prime (shock da offerta).
Rimedi all'inflazione da costi sono:
--politica industriale: per compensare l'aumento dei salari si deve favorire l'aumento della
produttività, incentivando le industrie ad es con riduzioni delle imposte;
--politica dei redditi: lo Stato promuove l'accordo tra sindacati e imprenditori: se ad es per il 2000 è
prevista un'inflazione del 2%, le parti si impegnano a non aumentare i salari + del 2% (un blocco
dei salari non è fattibile) a meno che non ci sia anche un aumento della produttività e che questa sia
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
57
www.UNICTBLOG.com
superiore all'aumento salariale.(tasso di inflazione= tasso di crescita dei salari – tasso di crescita
della produttività)
Curva di Phillips
Phillips individuò nel breve periodo un rapporto inverso tra disoccupazione e salari, riscontrando
che i salari tendevano ad aumentare quando la disoccupazione era bassa e viceversa e lo rappresentò
nella celebre curva di Phillips sl 379.
Perché l'elevata disoccupazione potrebbe ridurre la crescita dei salari monetari?
La ragione risiede nel fatto che, quando i disoccupati sono molti, i lavoratori eserciterebbero minori
pressioni per ottenere aumenti salariali in quanto è disponibile un numero minore di impieghi
alternativi; e d'altra parte le imprese, dati i bassi profitti, non sarebbero disposte a concedere gli
aumenti salariali.
Phillips ci dice in sostanza: per tenere bassa l'inflazione dobbiamo accettare un certo livello di
disoccupazione: il cd tasso naturale di disoccupazione è il tasso di disoccupazione compatibile con
un tasso di inflazione costante.
Al tasso naturale le forze che spingono inflazione e salari verso l'alto e quelle che li spingono verso
il basso, si bilanciano, quindi l'inflazione resta costante e il tasso di disoccupazione è quello più
basso che si possa sostenere.
La teoria del tasso naturale di disoccupazione ci dice che esso rappresenta il livello ottimale di
disoccupazione: ma molti economisti sollevano dei dubbi in proposito, sostenendo che il tasso
naturale di disoccupazione sia al di sopra del tasso ottimale e questa differenza sarebbe dovuta ad
esternalità presenti nel mercato del lavoro (costi in termini di salute, di sussidi statali ecc).
Ciò vuol dire che dovrebbe essere possibile abbassare il tasso naturale di disoccupazione fino al
tasso ottimale, con opportune misure quali:
--il miglioramento dei servizi del mercato del lavoro,
--il miglioramento dei programmi di addestramento professionale
--la ristrutturazione dell'azione pubblica in modo che i lavoratori abbiano incentivi a lavorare (cioè
una riduzione dei livelli di sussidi alla disoccupazione)
Un'analisi obiettiva delle proposte politicamente realizzabili induce la maggior parte degli
economisti ad attendersi solo leggeri miglioramenti da tali riforme del mercato del lavoro.
Il dilemma della politica antinflazionistica
La curva di Phillips è andata in crisi negli anni '70, quando comparve la cd stagflazione cioè alta
inflazione e alta disoccupazione insieme: alcuni economisti ritengono che è vero che diminuendo la
disoccupazione aumenta l'inflazione ma non è vero il contrario: in altre parole aumentando la
disoccupazione i prezzi non scendono, almeno nel breve periodo;
a proposito della stagflazione, Friedman sosteneva che bisognava affrontare separatamente i 2
problemi tramite interventi diversi:
--la disoccupazione tramite riduzione dei salari e l'agevolazione della concorrenza
--l'inflazione tramite la variazione dell'offerta della moneta.
In effetti in quel periodo andava di moda la politica dello stop & go:
-stop: per un periodo si usavano politiche restrittive per abbassare l'inflazione
-go: nel periodo successivo si usavano politiche espansive per abbassare la disoccupazione.
Il dilemma della scelta della politica antiinflazionistica è proprio questo:
Si può ridurre l'inflazione facendo diminuire il prodotto ma così si aumenta la disoccupazione: si è
calcolato che negli USA (1999) per abbassare la disoccupazione dell'1%, occorreva diminuire il Pil
del 4%, e ciò equivaleva ad un costo di 360 miliardi di dollari.
A causa dei costi elevati i governi hanno spesso cercato altri metodi, quali:
--il controllo dei prezzi
--promozione della concorrenza in modo che il mercato stesso si opponga all'aumento dei prezzi
--politiche fiscali volte a premiare i cittadini i cui salari e prezzi crescono meno rapidamente e a
tassare quelli con salari e prezzi che crescono rapidamente.
--le politiche di condivisione dei profitti tra imprenditori e lavoratori
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
58
www.UNICTBLOG.com
CAPITOLO XXXIII: Scuole di macroeconomia in conflitto.
La scuola classica e la rivoluzione keynesiana
L'analisi classica è imperniata sulla legge di Say o degli sbocchi, la quale afferma che "l'offerta crea
la propria domanda" e che la sovrapproduzione è impossibile per sua stessa natura: la flessibilità di
prezzi e salari consente infatti di ripristinare in tempi rapidi l'equilibrio
Fig 33.1: se la DA diminuisce spostandosi in B, avremo a questo punto un eccesso di offerta; i
prezzi allora si abbassano a P' e si ristabilisce l'equilibrio in C: come si vede non vengono toccati né
il prodotto che rimane lo stesso né la piena occupazione.
Le conseguenze di questa teoria sono le seguenti:
--l'economia ha solo periodi brevi in cui non sussistono la piena occupazione e la piena utilizzazione
della capacità produttiva; non vi sono lunghe e protratte recessioni e depressioni e lavoratori
qualificati possono trovare impiego velocemente al salario corrente di mercato; un'eventuale
disoccupazione presente, sarebbe di tipo frizionale.
--le politiche macroeconomiche relative alla domanda aggregata non possono influenzare il livello di
disoccupazione e di prodotto reale, mentre le politiche monetarie fiscali possono incidere sul livello
dei prezzi e sulla composizione del Pil reale: la fig 33.1 ci dice che se uno stato diminuisce l'offerta
di moneta, la DA si sposta e si ha la stessa situazione descritta prima.
In conclusione il mercato si autoregola senza alcun intervento statale.
Keynes determinò una vera rivoluzione nella macroeconomia; egli dice che prezzi e salari non sono
abbastanza flessibili da permettere un rapido riequilibrio e che ci possono essere periodi molto
lunghi in cui il prodotto è ben al di sotto del prodotto potenziale e una porzione cospicua della forza
lavoro è involontariamente disoccupato: una nazione potrebbe rimanere a lungo in condizioni di
bassa produzione e grande miseria, in quanto non esistono né un meccanismo di autocorrezione né
una mano invisibile che riportino l'economia alla piena occupazione.
La curva OA di Keynes infatti, non è verticale e corrispondente al prodotto potenziale, ma è molto +
piatta ed ha pendenza positiva fig 33.2: se la DA aumenta, aumentano i prezzi, il prodotto e
diminuisce la disoccupazione.
Questo vuol dire anche che, mediante le politiche economiche, lo Stato può stimolare l'economia e
contribuire a mantenere i livelli elevati di prodotto e occupazione, ad es aumentando la spesa
pubblica e spostando così la DA in alto e a destra
La scuola monetarista
I monetaristi affermano che le fluttuazioni dell'offerta di moneta sono il principale fattore che
determina le variazioni dei prezzi e del prodotto.
[A questa conclusione si arriva tramite il concetto di velocità di circolazione della moneta, che si
può definire come la rapidità con cui il denaro circola di mano in mano e che viene espressa con la
formula V= PQ /M ; dalla quale si ricava P = MV/ Q e, poiché V/Q si può considerare costante k,
la formula diventa P= kM ]
Cioè i prezzi dipendono dalla quantità di moneta circolante: un'offerta stabile dà prezzi stabili, un
aumento dell'offerta di moneta determina un aumento dei prezzi e del Pil nominale.
Che differenze vi sono tra l'approccio monetarista e quello di Keynes?
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
59
www.UNICTBLOG.com
Le principali divergenze sono:
1)innanzitutto le due scuole non concordano sulle forze che agiscono sulla domanda aggregata: i
monetaristi ritengono che la domanda sia influenzata unicamente dall'offerta di moneta e che
l'effetto di quest'ultima su di essa sia stabile e prevedibile, e che la politica fiscale o variazioni
indipendenti della spesa, se non sono accompagnate da oscillazioni della moneta, abbiano effetti
trascurabili sul prodotto e sui prezzi. Gli economisti keynesiani, invece, pur concordando che la
moneta ha un effetto rilevante su domanda aggregata, prodotti e prezzi, sostengono che tanti altri
fattori sono importanti. I keynesiani indicano inoltre come prova conclusiva il fatto che la velocità
aumenta sistematicamente al salire dei tassi d'interesse, per cui mantenere costante la moneta non
basta per mantenere costante il Pil nominale o reale.
2)La seconda principale differenza riguarda il comportamento dell'offerta aggregata: i keynesiani
sottolineano l'inerzia dei prezzi e dei salari; i monetaristi ritengono che i keynesiani esagerino la
vischiosità dei prezzi e dei salari e che la curva OA di breve periodo sia piuttosto ripida, non
verticale forse, ma molto più ripida di quanto ammetterebbe un keynesiano.
Il principale contributo dei monetaristi alla politica macroeconomica è stato la promozione di norme
monetarie fisse che rendano costante l'offerta di moneta e la mantengano in tutte le condizioni
economiche.
La nuova macroeconomia classica
Esiste una visione radicalmente nuova che si discosta da quella tradizionale: questa teoria, detta
nuova macroeconomia classica, fu elaborata da Robert Lucas, Thomas Sargent e Robert Barro. Tale
approccio prosegue nello spirito della scuola classica discusso in precedenza, in quanto afferma che i
prezzi e i salari sono flessibili e si adeguano rapidamente per bilanciare la domanda e l'offerta; ma
viene aggiunto un elemento nuovo, le cd aspettative razionali: i cittadini utilizzano tutte le
informazioni disponibili per costruirsi determinate aspettative per il futuro.
Questo modo di vedere le cose porta a conseguenze particolari; ad esempio:
--gli economisti della nuova scuola classica ritengono che la maggior parte della disoccupazione sia
volontaria: la disoccupazione, secondo loro, aumenta perché un maggior numero di persone è alla
ricerca di impieghi migliori, non perché non riescano a trovare lavoro.
--per spiegare le fasi di recessione dei cicli economici, la nuova economia classica dice che l’elevata
disoccupazione insorge a causa di impressioni errate cioè i lavoratori sono confusi sulla situazione
economica e lasciano volontariamente il proprio impiego nella speranza di trovarne di migliori.
--le variazioni delle aliquote fiscali non hanno alcun effetto sulla spesa per consumi (teoria
dell'equivalenza ricardiana, elaborata da Robert Barro): secondo la visione di Barro gli individui
sono lungimiranti nel senso che si preoccupano anche delle generazioni future: se lo Stato riduce le
imposte che un cittadino deve pagare ma lascia invariate le proprie spese, questa misura determinerà
inevitabilmente un maggior deficit pubblico che in qualche momento futuro dovrà essere ripianato.
Come? È ovvio che lo Stato dovrà aumentare in futuro le imposte per pagare gli interessi sui nuovi
prestiti. Secondo la visione ricardiana i consumatori hanno aspettative razionali sulla politica futura;
perciò, quando si verifica un taglio delle imposte, sanno che ci dovrà essere un futuro aumento delle
imposte e allora anzichè spendere quello che hanno guadagnato dalla riduzione delle imposte, lo
mettono da parte e il consumo rimane invariato.
La conclusione è che, secondo la teoria dell’equivalenza ricardiana, le variazioni delle imposte non
hanno alcun effetto sul consumo.
Come si vede, la nuova macroeconomia classica sembra affermare l’inefficacia delle politiche
monetarie e fiscali sistematiche nel combattere la disoccupazione (teorema dell'inefficacia della
politica economica): con aspettative razionali e prezzi e salari flessibili, la politica economica non
può influire sul prodotto reale o sulla disoccupazione: semmai le politiche governative possono
peggiorare la situazione con misure discrezionali imprevedibili, che forniscono segnali economici
fuorvianti, distorcono il comportamento economico e provocano sprechi. Piuttosto di rischiare tale
confusione, sostengono i nuovi macroeconomisti classici, il governo dovrebbe evitare qualsiasi
politica macroeconomica discrezionale e affidarsi piuttosto a regole fisse.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
60
www.UNICTBLOG.com
Le tre conclusioni principali che emergono sono le seguenti:
Crescita economica di lungo periodo
I macroeconomisti generalmente convengono che nel lungo periodo sono il prodotto potenziale o la
crescita della capacità a determinare la tendenza del tenore di vita, dei salari reali e dei redditi reali:
il prodotto potenziale dipende inoltre dalla qualità e dalla quantità di fattori come lavoro e capitale,
nonché dalla tecnologia, dall'imprenditorialità e delle capacità manageriali presenti in un'economia.
L'importante conclusione che possiamo trarre da questi dati è che per influire sulla crescita
economica di lungo periodo è necessario incidere sulla crescita dei fattori o determinare
miglioramenti di efficienza e tecnologia.
Prodotto e occupazione di breve periodo. Nel breve periodo il quadro è meno chiaro: il prodotto e
l'occupazione sono determinati dall'interazione della domanda e dell'offerta. I fatti tendono a
indicare che, almeno per alcuni anni, le variazioni della domanda aggregata possono decisamente
incidere sui movimenti ciclici del prodotto e dell'occupazione. Ciò porta a concludere che le
politiche monetarie e fiscali hanno la possibilità di stabilizzare i cicli economici.
Disoccupazione e inflazione. La maggior parte delle prove indica che l'inflazione può essere influenzata dalla pressione della domanda nei mercati del lavoro e del prodotto.
Se la disoccupazione viene spinta oltre il tasso naturale, l'inflazione tende ridursi, mentre produzione
e occupazione elevate tendono a determinare l'accelerazione dell'inflazione, ma il trade – off tra
inflazione e disoccupazione appare stabile nel tempo e nello spazio, per cui la gestione
dell'inflazione è un processo complicato. Siccome, inoltre, non sembra esserci trade – off duraturo, i
paesi non possono ottenere costantemente una minore disoccupazione consentendo all'elevata
inflazione di persistere.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
61
www.UNICTBLOG.com
CAPITOLO XXXIV: Politiche di stabilizzazione e crescita.
Le conseguenze economiche del debito pubblico
I bilanci pubblici sono sistemi usati dai governi per programmare e controllare le uscite e le entrate;
quando lo Stato ha entrate superiori alle spese si ha un avanzo, viceversa si avrà un disavanzo del
bilancio.
Gli economisti distinguono il bilancio effettivo nelle due componenti strutturale e ciclica.
Il bilancio strutturale calcola le entrate e le spese dello Stato come se l'economia operasse al
prodotto potenziale.
Il bilancio ciclico tiene conto dell'effetto del ciclo economico sulle entrate fiscali, sulle spese e sul
disavanzo.
Per valutare l'effetto della politica fiscale sull'economia si dovrebbe fare molta attenzione al
disavanzo strutturale; le variazioni del disavanzo ciclico sono un risultato, non la causa, dei
cambiamenti dell'economia.
Il debito pubblico rappresenta i prestiti contratti con i cittadini dallo Stato, ed è pari alla somma dei
disavanzi passati. Una misura utile dell'entità del debito è il rapporto debito/Pil, che in Italia è
notevolmente cresciuto negli ultimi vent'anni.
Gli economisti si preoccupano che i disavanzi pubblici strutturali nel breve periodo possano
spiazzare gli investimenti.
Se assumiamo prestiti con l'estero per il consumo, condanniamo le generazioni future a restituire
interessi e capitale, e i nostri discendenti si troveranno realmente a sacrificare il consumo per il
servizio di questo debito.
La crescita economica può inoltre rallentare se il debito pubblico spiazza il capitale privato. Questo
effetto si verifica perché il capitale delle imprese, finanziato da obbligazioni e azioni ordinarie, è un
buon sostituto dei titoli di Stato per i risparmiatori; quindi un aumento del debito pubblico può
ridurre le riserve di capitale privato dell'economia.
Nel lungo periodo un maggior debito pubblico può rallentare la crescita del prodotto potenziale e del
consumo a causa dei costi di servizio del debito estero, delle inefficienze che derivano dalla
tassazione per pagare gli interessi sul debito e dalla minore accumulazione di capitale provocato
dallo spiazzamento.
La stabilizzazione dell’economia
Nel fissare le politiche fiscali e monetarie le nazioni si trovano di fronte a due considerazioni: il
livello appropriato di domanda aggregata e la migliore miscela fiscale – monetaria. La miscela di
politiche fiscali e monetarie contribuisce a determinare la composizione del Pil. Una strategia di
elevati investimenti richiederebbe un avanzo di bilancio insieme a tassi d'interesse reali bassi. I
governi dovrebbero seguire regole fisse o discrezionali? I conservatori spesso sposano le regole
fisse, mentre i progressisti sostengono l'attiva calibratura della politica monetaria per raggiungere gli
obiettivi economici. Più determinante è la questione della stabilizzazione o destabilizzazione
dell'economia provocata da politiche attive e discrezionali. Gli economisti sottolineano sempre più
spesso la necessità di politiche credibili, indipendentemente dal fatto che la credibilità sia
determinata da norme rigide o da una saggia opera di guida.
Le prospettive dell’economia del nuovo secolo
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
62
www.UNICTBLOG.com
La capacità di un paese di migliorare il proprio tenore di vita nel tempo dipende quasi interamente
dalla capacità di migliorare le tecnologie e il capitale utilizzato dalla forza lavoro.
La promozione della crescita economica implica anche il miglioramento del ritmo di produttività
totale dei fattori, che misura il prodotto totale per unità dei fattori totali. Il principale ruolo dello
Stato è quello di assicurare liberi mercati, promuovere una forte concorrenza e sostenere la scienza e
la tecnologia di base.
APPENDICE
IL SISTEMA IS-LM (da studiamo.it)
Introduzione storica
La teoria di Keynes, elaborata per la prima volta nel 1936 all’interno del suo libro “Teoria generale
dell’occupazione, della moneta e dell’interesse”, ha rappresentato la roccaforte della teoria economica
per circa 30 anni.Alcuni post-keynesiani hanno integrato e, in parte, modificato la costruzione
keynesiana, adeguandola al modificarsi della realtà storica e modellandola per spiegare i nuovi
fenomeni economici che il mondo stava scoprendo.
Tra di essi, un discorso a parte merita l’economista, premio Nobel, J.R. Hicks.Egli riprende la teoria
keynesiana e ne sviluppa la rappresentazione grafica, integrandola in modo tale da tener conto
dell’importanza ormai assunta dal mercato monetario e finanziario.
All’equilibrio economico di Keynes, infatti, sono estranei sia il mercato monetario, che il suo
equilibrio. Questi ultimi non sono rilevati da Keynes, perché egli li considera già formati e fissati al di
fuori (e prima) della sua costruzione. Invero, il livello degli investimenti (che ricordiamo dipende dal
tasso d’interesse determinato dall’equilibrio formatosi nel mercato monetario) è, per Keynes, un dato
già noto e che presuppone un processo d’equilibrio già avvenuto nel mercato monetario, in precedenza
ed all’esterno, quindi, del processo keynesiano di stabilizzazione dell’equilibrio fra domanda
aggregata e reddito.
J.R. Hicks riesce, invece, ad integrare i due mercati, dei beni e della moneta, in modo tale da
raggiungere l’equilibrio simultaneo degli stessi. Così facendo evidenzia anche l’importanza che, in
qualsiasi sistema economico, hanno la moneta e le sue variazioni. Aspetto che era stato, in parte,
trascurato da Keynes, il quale considerava l’equilibrio monetario come un processo già verificatosi e
quindi di non rilevante interesse pratico ai fini della determinazione del reddito d’equilibrio.
Le curve IS e LM
L’approfondimento del pensiero keynesiano da parte di Hicks parte dalla considerazione separata del
mercato della moneta e del mercato dei beni, per poi arrivare a mettere insieme questi 2 mercati in
un’unica rappresentazione grafica. Essa ha l’indubbio vantaggio di esaltare le conseguenze sul reddito
d’equilibrio derivanti dalle variazioni che avvengono sia sul mercato monetario, sia su quello dei beni
di consumo e d’investimento.
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
63
www.UNICTBLOG.com
In figura è raffigurato il percorso con il quale, partendo dall’equilibrio risparmio=investimenti
(diagramma a) ), si arriva a costruire una curva (diagramma d) ), i cui punti rappresentano ciascuno
l’equilibrio keynesiano del reddito per ogni livello del tasso d’interesse.
Questa curva si chiama curva IS (dove I sta per investimenti e S per risparmio) ed i punti su di essa
configurano l’equilibrio keynesiano della domanda aggregata sul mercato dei beni, in funzione però
(ecco la novità) del tasso d’interesse.
I passaggi che portano alla costruzione di IS possono sembrare complicati per chi non ha
dimestichezza con i grafici cartesiani. E’ sufficiente sapere che la costruzione della curva IS,
d’equilibrio sul mercato dei beni, parte dal grafico d’equilibrio I=S, visto nella lezione precedente, e
passa per la rappresentazione della relazione inversa (diagramma c) ) che c’è fra gli investimenti ed il
tasso d’interesse.
Allo stesso modo si costruisce la curva LM (dove L sta per domanda di moneta e M per offerta di
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
64
www.UNICTBLOG.com
essa), i cui punti rappresentano l’equilibrio nel mercato monetario.
Ciascuno dei punti sulla curva LM configura l’equilibrio, fra domanda ed offerta di moneta, per ogni
livello del tasso d’interesse.
Mettendo insieme le due nuove curve IS e LM abbiamo
in cui il grafico iniziale di Keynes (quello della domanda aggregata o il suo alter ego
risparmio=investimenti) è ora trasformato in questo nuovo grafico, nel quale si evidenzia,
all’intersezione delle curve IS e LM, l’equilibrio simultaneo del mercato monetario e del mercato dei
beni.
Il vantaggio è enorme, perché adesso, attraverso la relazione fra reddito e tasso d’interesse, è possibile
individuare gli effetti sul reddito d’equilibrio, non solo delle variazioni nel mercato dei beni (consumo
C, spesa pubblica G, ecc...), ma anche delle variazioni nel mercato monetario e finanziario (domanda
di moneta, offerta di moneta da parte della Banca Centrale, ecc...).
Conseguenze sulla PE dello Stato
Le conseguenze sulla Politica Economica statale, di questa nuova e più completa rappresentazione
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
65
www.UNICTBLOG.com
grafica del pensiero keynesiano, sono evidenti.
Riprendiamo il grafico precedente:
Il reddito di piena occupazione è Qp.
Il sistema si trova, invece, in equilibrio in Q, lontano dal pieno impiego Qp, e quindi in una situazione
di disoccupazione della forza lavoro e di non completa utilizzazione delle altre risorse economiche.
Anche in questo caso è necessario un intervento statale per cercare di raggiungere il reddito Qp di
pieno impiego, che permette di annullare la disoccupazione.
Se utilizzassimo il vecchio grafico della domanda aggregata di Keynes, per determinare la PE più
opportuna al fine di rilanciare l’economia e far crescere l’occupazione, arriveremmo alla conclusione
di utilizzare la Politica fiscale ed in particolare la politica di Spesa pubblica. Del resto era proprio
questo il ragionamento che faceva Keynes quando esaltava il ruolo della spesa pubblica per espandere
un sistema economico in stato di recessione.
Adesso, con il nuovo grafico IS-LM, abbiamo una visione più completa.
Infatti, è ora possibile determinare gli effetti sul reddito d’equilibrio, oltre che della PF, anche della
Politica monetaria (PM), che Keynes aveva un po’ sottovalutato.
E’ sufficiente un aumento della base monetaria da parte della Banca Centrale, per aumentare (tramite
il moltiplicatore monetario) l’offerta di moneta nel sistema economico. In conseguenza del nuovo
equilibrio sul mercato monetario, la curva LM si sposta verso il basso, determinando, in virtù del
minor tasso d’interesse, un maggior reddito d’equilibrio, più vicino alla piena occupazione oppure, al
limite, coincidente con essa.
Alla nuova intersezione fra IS e LM, si realizza la nuova produzione d’equilibrio, in corrispondenza
del nuovo tasso d’interesse, e questa situazione configura l’equilibrio simultaneo del mercato
monetario e del mercato dei beni di consumo e d’investimento.
Adesso, grazie al diagramma IS-LM, abbiamo la possibilità di valutare gli effetti, sul sistema
economico, sia della PF che della PM. L’opportunità di utilizzare una politica anziché l’altra è scelta
che spetta ai governi del paese, in considerazione anche delle conseguenze che le soluzioni adottate
comportano sul bilancio pubblico o, come vedremo, in termini d’inflazione.
L’ideale è un utilizzo contemporaneo degli strumenti di PE (cioè sia della PF che della PM), in modo
da indirizzare l’economia verso gli obiettivi programmatici prefissati.
Solamente attraverso un mix di politica fiscale e monetaria è possibile raggiungere i livelli desiderati
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
66
www.UNICTBLOG.com
di produzione, senza grandi ricadute su altre grandezze economiche (come, p.es., l’aumento
dell’inflazione o la riduzione degli investimenti).
il portale di informazione degli studenti della facoltà di economia
67
Scarica