Psoriasi, malattia che segna la pelle e ferisce la psiche Il trattamento dovrebbe tener conto in ciascun paziente anche delle ripercussioni psicologiche dovute alla malattia e questo indipendentemente dalla sua gravità e dalla sua estensione. La psoriasi è una malattia in grado di causare un grado di disabilità fisica e psichica rilevante, sovrapponibile a quello di altre gravi malattie quali il diabete e la malattia polmonare ostruttiva. Causa a chi ne è colpito un disagio sociale che si manifesta in difficoltà nei rapporti interpersonali, limitazioni nello svolgimento delle attività quotidiane, perdita dell’autostima. Tutto ciò determina ansia, insicurezza e depressione, anche per una limitata conoscenza della malattia da parte di una società che tende ad assumere spesso un atteggiamento discriminante nei confronti delle persone colpite da psoriasi e che ancora crede nella leggenda metropolitana che sia una malattia contagiosa. La psoriasi è una malattia che segna la pelle e ferisce la psiche. Una ferita così profonda che in alcune persone, soprattutto nelle donne, provoca ansia e sintomi depressivi. Per questo il trattamento dovrebbe tener conto non solo dell’estensione e della gravità della malattia, ma anche dell’impatto psicologico indipendentemente dalla gravità e dall’estensione delle lesioni. Infatti un malato con una buona qualità di vita e curato con una terapia appropriata si sente bene; al contrario può entrare nel tunnel della sofferenza vanificando anche l’adesione alla terapia. Purtroppo per molto tempo l’approccio al malato di psoriasi è stato esclusivamente di tipo “topografico” e la gravità della malattia è stata valutata solo in funzione della gravità e dell’estensione della lesione psoriasica. Il dermatologo non considerava grave la malattia anche se gravi erano le conseguenze psicologiche del paziente, dimenticando il fatto che anche un interessamento della malattia di entità lieve-moderata può avere conseguenze psicologiche anche molto pesanti soprattutto quando le lesioni sono localizzate in aree visibili. Oggi si è più attenti all’impatto che la malattia ha sulla sfera psichica del paziente e questo diverso approccio al malato di psoriasi lo dobbiamo anche ai risultati dello studio PSYCHAE. Lo Studio PSYCHAE ( Psoriasis: SurveY for the Control of Anxiety and dEpression), condotto in 39 Università, realizzato con la collaborazione di Novartis e con il patrocinio dalla Società Italiana di DErmatologia medica, chirurgica, estetica e di MAlattie Sessualmente Trasmesse (SIDEMAST) ha coinvolto 39 Cliniche dermatologiche universitarie di tutta Italia. E’ uno studio tutto italiano, primo al mondo per estensione in questo specifico campo. Allo studio hanno infatti partecipato 1580 pazienti, con un età media di 44 anni, il 96% dei quali era colpito da psoriasi volgare, la forma più comune di psoriasi. Lo studio ha dimostrato che il 46% dei pazienti, colpiti nella quasi totalità dei casi da psoriasi volgare, presentava disagio psicologico e l’11% presentava una vera e propria sofferenza psicopatologica. In entrambi i casi sono risultate più colpite le donne rispetto agli uomini : il 54% delle donne presentava disagio psicologico rispetto al 40% degli uomini; il 17% delle donne manifestava sofferenza psicopatologica rispetto al 7% degli uomini. Una conclusione importante è che il disagio psicologico che vive il paziente non è correlato con l’estensione della malattia sul corpo e la gravità delle lesioni. E’ emerso inoltre che i dermatologi tendono ad avere uno stile di gestione in cui prevale l’aspetto clinico e l’attenzione per gli aspetti dermatologici e a trascurare invece l’impatto psicologico della malattia. Dallo studio, che ha preso in esame i farmaci di prima scelta, è emerso che la terapia topica è quella più frequentemente utilizzata ma i migliori risultati sono stati osservati con i farmaci sistemici ed in particolare con ciclosporina , farmaco immunosoppressore, che è risultata la terapia più attiva (nel 90.2% dei pazienti ha presentato un’efficacia ottima/buona), e con un buon profilo di tollerabilità (nell’84,3% dei pazienti la tollerabilità è stata ottima/buona) e quella che garantisce la miglior compliance e i migliori risultati sugli aspetti psicologici della malattia. Delia Colombo Dermatologa-Farmacologa Dipartimento dermatologia Ospedale L. Marchesi Inzago (MI)