Produzione e analisi dei dati: momenti diversi del controllo di gestione Franco Tosco (*) La serie di articoli della sezione che affronta l’organizzazione e l’analisi di gestione e che vanno da gennaio a dicembre di quest’anno, si è posta l’obiettivo di affrontare l’andamento della produzione all’interno dell’azienda odontoiatrica e di descriverne, seppure talvolta per cenni, la sequenza per processi e procedure. Si è cercato anche di osservare le risorse umane addette alla produzione, sia nelle componenti cliniche [medici odontoiatri e igienisti] e sia in quelle metacliniche: l’assistente alla produzione, alla reception e alla gestione/controllo dell’amministrazione. Si è maggiormente approfondito l’argomento dell’organizzazione della segreteria, si è toccata la questione del marketing specifico interno allo Studio Odontoiatrico, si è fatto appena un cenno alla importante questione della cosiddetta comunicazione input-input e input-output. Si è dato naturalmente per scontato che esistesse un supporto informatico con il quale registrare dei dati di input da utilizzare per averne altri di output. Lo strumento informatico è stato assunto come veicolo per fare delle azioni e archiviare delle informazioni variamente articolate, da molti descritte come statistiche, che permettono alla Proprietà e/o ai consulenti [ad esempio a quello fiscale] di avere una serie di segnalazioni, in genere delle percentuali. In ogni caso la linea guida che sottende a tutte le argomentazioni è che i dati ottenuti dovrebbero portare all’affermazione che si conosce l’andamento aziendale. Non si è tuttavia preso in considerazione il rapporto esistente tra la produzione e l’elaborazione dei dati scaturiti dai numeri ottenuti, quasi sempre per accorpamenti, e l’analisi dei dati stessi Per precisare che cosa si intende per analisi dei dati proverò a chiarire con un esempio. Una radiografia della bocca può essere messa davanti a due persone: una è il dentista e l’altra è il paziente. Al medico, che sa leggere e interpretare il risultato, la radiografia dice molte cose, così tante che gli permette di individuare l’eventuale patologia e formulare di conseguenza la diagnosi per intervenire. Al paziente lo stesso documento non dice niente. Tant’è che il medico, quando fa una radiografia della bocca del paziente, o lo invia a farla presso un centro specializzato, non si sogna di passare la tavola all’interessato dicendogli di guardarsela e poi di farsi la diagnosi. Chiede invece di tornare con il materiale perché lui, il clinico, possa guardare, valutare e stabilire come procedere. La realtà dei professionisti contemporanea tende a vedere distinti in modo netto i momenti del rilevamento dei dati, quello dell’analisi dei dati, quello dell’uso dei dati per le azioni concrete di intervento. Specialmente in ambito clinico la separazione dei momenti è nettissima. C’è il prelievo del materiale da esaminare, l’invio al laboratorio di analisi, il ritorno dei risultati per la conseguente procedura operativa. Ma lo stesso metodo vale ormai per quasi tutti i campi professionali. Nessun costruttore serio di fabbricati procede senza disporre dell’analisi dei materiali. Si fanno i carotaggi per le valutazioni in casi di crolli o di ristrutturazioni. Si fanno da sempre le analisi dei dati per interventi nell’ambito sociale, con la proliferazione di società di ricerca che rilevano i dati (1) e altre che li * 1 ) Sociologo, Lessicom srl. ) basti pensare all’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica), all’EURISPES, alla Demoskopea etc. analizzano. Oltre a specialisti di varie materie che producono quantità di analisi muovendo dai dati di cui già si dispone o che si vanno a rilevare ad hoc. Lo stesso discorso vale naturalmente per l’ambito economico dove è indispensabile operare analisi sui dati proprio con il fine di riuscire a fornire, a chi deve operare, vuoi sul piano nazionale e vuoi sul settore produttivo o nella singola azienda, gli strumenti per elaborare strategie di intervento. Se le analisi non esistono, è come se si navigasse in mare aperto senza bussola: si possono provocare danni molto gravi. Un settore economico in crisi, o una azienda che deve ridimensionare gli obiettivi che si è data, ha come diretta conseguenza la perdita di posti di lavoro, di disponibilità alla spesa e al consumo, di insicurezza diffusa, di offuscamento delle prospettive future. Nello specifico di una azienda, l’assenza di analisi dei risultati è di fatto come chiudere gli occhi e mettersi nelle mani di Dio. Ma bisogna essere molto religiosi e sperare che Dio si occupi di te. In altri termini: non è un comportamento serio e nessuno lo fa. ELABORAZIONE OBIETTIVI STRATEGIE CORREZIONI RACCOLTA DATI ANALISI Per l’azienda odontoiatrica è invece raro vedere una situazione in cui i dati vengono analizzati al fine di stabilire gli obiettivi da raggiungere e successivamente formulare procedure di controllo per seguire step by step il working progress. E’ strano questo modo di agire, perché è antitetico all’atteggiamento professionale quotidiano. Nessun dentista, ad un paziente che si presenta lamentando un problema orale, penserebbe di dire: speriamo che le passi! Farebbe invece accomodare il cliente, lo ascolterebbe, lo visiterebbe, consiglierebbe delle analisi per meglio comprendere la situazione e alla fine esprimerebbe il suo parere. Il che non esclude che alla fine il tutto si risolva con la dichiarazione di inesistenza di patologie e si possa far risalire il fastidio ad una situazione momentanea causata da un colpo di freddo. Ma il metodo è comunque quello di rilevare, analizzare e poi esprimere una diagnosi. Quando invece il dentista si pone di fronte alla sua azienda sembra subire uno sdoppiamento di personalità. Il metodo scientifico applicato fino a quel momento viene rimosso e sostituito dal principio di approssimazione. E questo si nota a partire dai dati che si raccolgono o che si ritiene importante conoscere. Si vuole assolutamente sapere quanti impianti si sono applicati (dato di base). Quale percentuale rappresentano sul totale delle prestazioni fornite (già più raffinato). E poi magari non si sa quanti pazienti, al momento, possono essere ritenuti pazienti attivi [cioè che mi producono reddito], come sono distribuiti tra maschi e femmine, come sono distribuiti per fasce di età. Quale è la distribuzione della scolarità, come si distribuiscono le professioni tra i pazienti, nelle visite quanti sono i pazienti nuovi (cioè mai visti) e quanti ritornano dopo aver ricevuto precedentemente delle cure. Solo raramente si conoscono i tassi di mancata produzione dovuti ad assenze, difficilmente si conosce il delta tra la produzione erogata e i corrispondenti flussi finanziari in entrata. Quasi mai gli emolumenti ai collaboratori clinici e alle igieniste sono sostenuti da una preventiva analisi dei costi che l’azienda deve sostenere per erogare la prestazione. E conseguentemente non si procede alla verifica della produttività dei collaboratori e quindi di quanto rendono i collaboratori all’azienda. Difficilmente si procede alla verifica e alla raccolta dei dati sulle motivazioni che spingono un paziente a non accettare un preventivo. In questi casi ci si accontenta di darsi la risposta che è per motivi economici! La risposta è semplicistica. A parte il fatto che se è davvero per motivi economici, chi ha disegnato la terapia ha sbagliato il suo intervento, poiché doveva conoscere a monte almeno l’approssimativa possibilità economica dell’interlocutore, in modo da sottoporgli la massima qualità possibile e non quella teorica, altrimenti ha lavorato sapendo in origine di non avere possibilità di riuscita. Rimane comunque il serio dubbio sulla veridicità della motivazione economica per la mancata accettazione, soprattutto nel caso di vecchi pazienti. I motivi possono essere altri, ad esempio il trasmettere l’impressione di aver fretta, il doversi dedicare a qualcosa di più importante, il non motivare a sufficienza e con linguaggio adeguato la necessità della cura, l’ostinarsi a fornire la motivazione o a discutere di questioni economiche con il paziente sdraiato o seduto sulla poltrona in posizione fastidiosa e di soggettiva inferiorità psicologica, e altri ancora. Muoversi su impressioni non è serio quando si possiede un’azienda. Il dentista non lo farebbe mai nella sua professionalità specifica. Non lo deve fare nemmeno rispetto alla sua azienda, perché è da essa che ricava il suo reddito e quello delle persone che ha coinvolto perché lavorino con lui. E poi, in generale, perché un’azienda non si conduce così. In alcuni casi il Titolare, soprattutto quelli in cui si dispone di un supporto informatico, tende ad essere tranquillo perché i dati io li ho, me li fornisce il programma. Ammesso che si tratti di un programma serio, di uno che funziona bene, e che i dati vengano sempre inseriti da personale dedicato e formato bene e non da un operatore che, tra le tante cose da fare, deve provvedere anche –quando ha tempo- ad aggiornare i dati, e che quindi si possa essere tranquilli sui risultati di sintesi che si ricavano, siamo solo alla prima fase del processo, cioè in quello del rilevamento dei dati. Adesso bisogna leggerli e formulare, in base ad esso delle strategie o apportare delle correzioni di rotta per raggiungere gli obiettivi prefissati. Per tornare alla metafora iniziale, siamo solo al momento in cui abbiamo tra le mani la lastra della radiografia. Adesso bisogna guardarla e capire che cosa dice per formulare diagnosi e terapia. Il clinico dentista ha gli strumenti per fare l’analista aziendale? Credo di no, perché siamo in un campo lontano da ciò che ha studiato per anni, che approfondisce quotidianamente e che arricchisce ogni giorno con l’esperienza che acquisisce. L’analista aziendale ha condotto altri studi altrettanto lunghi e seri, che vengono approfonditi quotidianamente e che si arricchiscono ogni giorno con l’esperienza acquisita. E’ opportuno che segua conferenze per diventarlo? Anche qui credo di no, e per due motivi: - è uno specialista delle malattie orali e, oltre a praticare la sua specializzazione, è più utile che indirizzi le restanti risorse di tempo e di energie alla specializzazione. Tanto non potrà mai, per quanto si sforzi, raggiungere una formazione di alto livello per praticare il mestiere di analista aziendale. Molto semplicemente, perché vuole e ha studiato per fare altro; - nessun Titolare di azienda, come nessuna persona in generale, è in grado di applicarsi con oggettività all’analisi distaccata della sua propria realtà, è necessario che lo faccia qualcuno dall’esterno in cui ripone fiducia e a cui delega questa funzione. Anche un medico non si cura da solo, ma va dal collega di fiducia come un qualunque altro paziente non medico. A volte si tende a delegare questa funzione al consulente fiscale, più genericamente denominato commercialista. Occorre stare attenti a non confondere le professioni. L’ottica da cui si pone questo professionista è quella fiscale, quella di ottimizzare la situazione economico-finanziaria dell’azienda rispetto agli oneri fiscali che la normativa vigente prevede. Altro è l’analista aziendale, il quale si pone da quella di ottimizzare gli obiettivi economici e di programmare le risorse a disposizione (i bisogni, le aspettative, le risorse umane, gli investimenti, le richieste di mercato) per il loro raggiungimento e il successivo sviluppo. Naturalmente è doverosa la collaborazione tra di loro per allineare le strategie, ma il metodo e gli strumenti utilizzati sono diversi, ancorché sinergici. Naturalmente da questa azione dell’analista aziendale il Titolare non si può estraniare. La sua partecipazione è indispensabile, anche qui per almeno due motivi: - per discutere il risultato dell’analisi e pianificarne l’applicazione successiva nell’azione quotidiana, al fine di disegnare gli obiettivi strategici e mettere a punto le verifiche step by step volte a tenere sotto controllo l’avanzamento di quanto stabilito; - per appropriarsi del metodo di lettura dell’andamento della propria azienda, in modo da operare sempre meno in base a impressioni e sempre più sulla lettura dei dati di sintesi che emergono dalla rilevazione continua e precisa. Le aziende che operano bene nel mondo occidentale contemporaneo e che vogliono diventare e/o rimanere competitive sul mercato seguono ormai da tempo questo metodo. Credo che anche nell’ambito della realtà odontoiatrica, prima di andare a costruire patenti di certificazione europea, occorra conoscere bene che cosa si va a certificare. La qualità passa necessariamente attraverso il controllo di gestione, il quale pone alla base l’analisi corretta e approfondita dei dati sui risultati aziendali.