Famiglia e rapporto tra le generazioni

Eugenia Scabini
Famiglia e rapporto tra le generazioni
Nel rappresentare la famiglia è impossibile non rappresentarla come costituita da
generazioni diverse, almeno due. Nel depliant si vedono infatti in una sequenza sempre
più ricca una madre e il figlio, una coppia e il figlio, i genitori i figli ed un nonno. A dire
il vero quest’ultima è quella che ci introduce meglio ad uno sguardo veramente
generazionale sulla famiglia.
A Natale mi hanno regalato un libro di fotografie della famiglia, un libro fatto da
artisti. Come si sa l’artista intuisce spesso la realtà profonda delle cose. Colpisce che la
maggior parte delle fotografie rappresentino generazioni non contigue tra loro, come
nonni o nipoti, mettano in scena ricordi di famiglia in una parola esprimono una catena
generazionale cioè un legame che connette e passa di generazione in generazione. Ecco
perché questa rappresentazione è particolarmente significativa perché la famiglia ha una
storia, è una storia di generazioni che si susseguono e che si perdono nel tempo sia per
quanto riguarda il passato che il futuro. Se la famiglia è dimentica delle sue origini,
della sua genealogia, delle sue tradizioni perde la sua linfa vitale, allo stesso modo
quando la famiglia non si proietta più nelle generazioni a venire, non investe e non dà
vita più a nuove generazioni muore (ed è ciò a cui assistiamo in molti casi oggi dato
l’affievolirsi della volontà generativa). Solo la famiglia può produrre famiglia. Per
questo sono solita nelle mie lezioni agli studenti utilizzare una modalità antica e
oltremodo moderna (come dirò) per rappresentare la famiglia, quella dell’albero.
Di certo oggi abbiamo un po’ perso questa idea della famiglia come legame
lungo tra le generazioni, come responsabilità di quelle precedenti su quelle a venire,
appiattiti come siamo sul presente e tentati di sminuire le differenze sia di genere che di
generazione (la figura del genitore-amico è all’uopo significativa).
La odierna configurazione della famiglia come nucleare, cioè composta da
genitori e pochi figli, ed il tramonto della famiglia estesa come luogo in cui
convivevano sotto lo stesso tetto più generazioni ci fa sottovalutare l’importanza dello
scambio lungo tra le generazioni e liquida lo spettro intergenerazionale tutt’al più al
rapporto tra genitori figli. Ma non è così; le generazioni, anche se a distanza, anche se
non vivono sotto lo stesso tetto si scambiano e si influenzano a vicenda. L’influenza è
solo meno evidente e più difficile da catturare. Basti vedere la fitta rete di aiuto che si
scambiano le famiglie per esempio la famiglia giovane e le famiglie d’origine quando
siamo in presenza di bambini. Anzi diciamo che questa influenza proprio perché più
impalpabile, proprio perché vive in una zona latente è, soprattutto per quanto riguarda
gli aspetti psicologici, più sottilmente invischiante. Come si evince da molte ricerche
nel settore psicologico modalità sane o insane di rapporti, traumi non ben elaborati,
rotture dolorose tendono a trasmettersi ed hanno effetti lungo le generazioni. Anche gli
studi sugli effetti del divorzio hanno mostrato che anche figli che hanno ottenuto un
buon adattamento nel lungo periodo di fronte alla scelta di fare famiglie vedono
riemergere in modo consistente fragilità, insicurezze e paure di fallimento.
E’ a dire la famiglia è sempre psicologicamente e relazionalmente estesa e le
influenze tra le generazioni sono meno esplicite ma non per questo meno potenti.
Boszormenyi-Nagy parla di fibre invisibili di lealtà che uniscono le generazioni e che
costituiscono un sotterraneo corpo familiare.
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Occorre perciò che ci riappropriamo di questa prospettiva generazionale per
capire bene che cosa si muove entro le famiglie per far fronte adeguatamente alle sue
esigenze e problemi.
Per far questo cercherò di evidenziare lo spessore intergenerazionale di alcune
transizioni della famiglia. La nascita dei figli, la transizione alla vita adulta e il
problema degli anziani.
Prima di entrare nel vivo del discorso vorrei farvi notare come questa perdita del
senso e dell’importanza delle generazioni ha prodotto una cecità previsionale che ha
avuto effetti drammatici nel nostro paese. Mi riferisco alla drammatica caduta della
natalità avvenuta in Italia dalla fine degli anni '70. Drammatica perché, a differenza di
altri paesi, contemporaneamente e molto consistente ed avvenuta in brevissimo tempo.
Qualsiasi buon demografo che è costretto dalla sua disciplina, se vuole praticarla bene, a
ragionare in termini generazionali avrebbe potuto prevedere (e probabilmente ha
previsto) gli effetti devastanti sull’equilibrio della popolazione (rapporto giovanianziani) sulle pensioni, sull’incremento della cura sanitaria…. Bene siamo andati avanti
a vivere nel presente, nel qui ed ora per decenni senza fare nulla e ora siamo nella
situazione che tutti conosciamo. Ecco cosa capita a vedere solo gli individui e non il
legame tra le generazioni, cioè a vedere la famiglia e le sue relazioni come cosa privata
e non costitutiva della società.
1. Nascita dei figli
Nella nascita di un figlio la dimensione generazionale è di tutta evidenza. E’
sempre stupefacente pensare come la nascita di un piccolo bambino abbia una potenza
relazionale così ampia. I coniugi diventano d’incanto genitori, i genitori nonni, i fratelli
zii…Ma tutto questo molto spesso viene vissuto come un fatto vago. I nomi scelti per il
bambino sono oggi poco frequentemente collegati alla storia familiare, più spesso scelti
perché alla moda, o perché suonano bene…
E’ un bambino più che un figlio in senso pieno. La odierna fragilità ed instabilità
della coppia tende a riversarsi compensativamente sul figlio. Come acutamente osserva
Irene Thiery il figlio è oggi l’asse indissolubile della famiglia: il figlio per così dire
fonda la coppia, le dà un senso non contingente. La centralità del bambino/figlio e le sue
esigenze spesso prevalgono sulla logica familiare ed intergenerazionale. Il bambino
sovrano, seduto su un fragile trono di argilla è l’efficace immagine che Daniel Marcelli
ci evoca al proposito, un bambino idolo della famiglia affettiva (ma sarebbe meglio dire
emozionale). I pochi figli su cui si investe molto emotivamente diventano oggi
facilmente lo specchio delle aspettative dei genitori o più esattamente lo specchio delle
aspettative del singolo padre e della singola madre. Il neo-nato pare più esprimere
l’appagamento del desiderio della coppia o del singolo partner che essere vissuto come
una nuova generazione che entra a far parte della storia familiare e della comunità
umana, frutto di una coppia generativa che si sente collegata alle generazioni precedenti
ed è pronta ad assumersi responsabilmente e liberamente il compito di rivitalizzare e
riformulare il patrimonio simbolico-valoriale ereditato. E ciò ha anche chiare
conseguenze sul piano educativo: sempre prendendo lo spunto da Marcelli possiamo
dire che oggi il genitore non è tanto impegnato nel compito di educare (ex-ducere) verso
una meta piuttosto è spinto ad attirare il bambino a sé, a sedurlo (se-ducere) saturando
immediatamente i suoi bisogni su un piano di immediata risposta emotiva.
Ci chiediamo allora cosa vuol dire generare? E’ sintomatico che una comune
radice connette generare, generi e generazioni. La stessa parola generazione che
utilizziamo spesso come scissa da un significato familiare (come ad esempio quando
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parliamo della generazione del '68) in realtà nel suo senso profondo non è scindibile dal
rapporto con il generare. Generazione indica un legame di ascendenza e di discendenza.
Generare non è riprodurre (questo è tipico del mondo animale) è ben di più che
conservare la specie, generare è dar vita ad una persona, ad un irrepetibile essere che
trova e costruisce la sua identità a partire e non a prescindere da una storia familiare che
lo raggiunge attraverso i suoi genitori.
Possiamo anche dire che i genitori hanno due compiti e non uno, due compiti
strettamente intrecciati tra di loro. Il primo attiene alla responsabilità della cura ed
educazione della nuova generazione cui essi hanno dato vita, ed il secondo è dato dal
mantenere viva rinnovandola la memoria familiare e la duplice eredità del ramo paterno
e materno. L’uomo e la donna che si sposano, in un certo senso, fanno incontrare due
storie familiari. La coppia genitoriale è un vero e proprio dispositivo di mediazione
intergenerazionale: riceve dalla propria storia familiare d’origine e dalla propria cultura
un nutrimento materiale e simbolico (affettivo e valoriale) ed è chiamata a trasferirlo
innovativamente, non meccanicamente ma neppure in maniera smemorata ai figli. Fa
parte di una trasmissione positiva e sana sia il riconoscimento del dono ricevuto ed il
connesso debito contratto (si pensi ad esempio al dono della vita ricevuta ed al
sentimento di obbligo filiale quando il genitore invecchia e abbisogna di cura) sia il
riconoscimento di deficit, dolori ed eventuali fallimenti. Il riconoscere non teme verità
anche scomode, non censurare è la prima operazione da fare per portare in salvo il
valore, cioè ciò che di bene le generazioni si sono scambiate pur entro i loro errori.
Educare è in questa prospettiva una vera e specifica avventura. Tanti genitori
oggi sono preoccupati di fornire ai figli competenze e opportunità in molti campi (lo
sport, le lingue,…) e ciò è comprensibile e opportuno (potendo), ma a ben vedere non è
l’essenza della funzione genitoriale che può venire esercitata con successo anche dal
genitore meno istruito o meno economicamente dotato. Quante volte leggendo le
biografie di tanti uomini riusciti veniamo a conoscenza delle cosiddette umili origini e
di come tali origini siano riuscite a trasferire e a comunicare un capitale umano che ha
costituito la base sicura dalla quale si è dipanata la libera avventura di una vita
eccezionale. L’educazione non finisce mai perché non si è mai finito, anche da adulti, di
compiere il lavoro di riappropriazione della propria storia, di completare quella
“trattativa” tra ciò che del passato va lasciato e ciò che va conservato, valorizzato e
ridetto con accenti appropriati ai tempi.
Generare è prendersi cura di una nuova generazione familiare e sociale, fornirle
il patrimonio materiale e morale, il nutrimento simbolico affettivo e valoriale, che è
essenziale al dispiegarsi della identità adulta cioè generativa, in grado di portare avanti,
in avanti, si spera in senso migliorativo la storia familiare e sociale. La famiglia è luogo
naturale in cui si giocano le sorti anche psicologiche dell’uomo, della costituzione
dell’identità di ciascuno, in una parola, come ci dice benissimo la Familiaris Consortio
(n. 43), “il luogo nativo e lo strumento più efficace di umanizzazione e
personalizzazione della società”. E questa opera di umanizzazione è efficace se la
famiglia è vissuta e concepita come comunità di generazioni come dice Giovanni Paolo
II nella lettera alle Famiglie.
L’attuale perdita o per lo meno depotenziamento di questo punto di vista
intergenerazionale provoca una pericolosa scissione tra la famiglia e la società. Il
generare viene prevalentemente vissuto come un fatto privato di natura emozionale (e
va bene distinta l’emozione dall’affetto) e la società non “vede” famiglie ma individui
slegati e si occupa dei cosiddetti soggetti deboli bambini, donne, vecchi…
Se fallisce questa lunga e preziosa cura delle nuove generazioni e non viene
valorizzato il lavoro educativo, di trasferimento innovativo del patrimonio simbolico
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familiare e culturale (che è poi la tradizione delle famiglie e delle loro comunità di
appartenenza) la società è destinata ad impoverirsi perché non può contare su quel bene
relazionale che è l’identità della persona. Non si può contare su quello che oggi con
espressione più in uso si dice capitale umano o capitale sociale, materia prima senza la
quale non si fabbrica né società né socialità.
2. Transizione alla vita adulta
La scissione tra il privato familiare ed il pubblico-sociale si vede bene nella
transizione alla condizione adulta che rappresenta un nodo critico del passaggio
generazionale.
Il passaggio alla condizione adulta delle giovani generazioni ci dice bene dei nodi
familiari e sociali del vivere, di come le generazioni si rapportano, di come viene
favorito il passaggio del testimone o viene ostacolato. La famiglia in qualche modo
passa il testimone ad un adulto che ne potrà far rivivere la storia continuando la catena
generazionale familiare ed al contempo la famiglia consegna per così dire alla società
una nuova generazione in grado di essere creativa e responsabile.
Sempre i passaggi tra le generazioni hanno una certa quota di problematicità e a
volte di vera e propria violenza come la storia abbondantemente segnala.
Quelle che precedono spesso temono quelle che seguono. Nel passato tale timore si è
espresso attraverso comportamenti che tendevano a tenere soggiogate le giovani
generazioni, mortificando le loro istanze di differenziazione e sottostimando le esigenze
della persona in via di sviluppo. Oggi siamo in una situazione opposta: viene garantita
alla giovane generazione un ampio spazio di scelta personale ma si affaccia una nuova e
subdola ambivalenza, una ambigua stabilità intergenerazionale tra giovani adulti e loro
genitori.
Cosa sta avvenendo oggi nella nostra società in particolare italiana? Mi riferisco
al fenomeno della cosiddetta “famiglia lunga”, del protrarsi eccessivo della vita dei
giovani nella famiglia d’origine. Le scelte fondamentali o comunque importanti della
vita vengono in questo periodo per lo più procrastinate a favore di un rallentato
inserimento nel contesto lavorativo. Generalmente, infatti, questa fase vede il giovane
concentrato sulla costruzione del proprio percorso professionale e su una
sperimentazione controllata del mondo adulto. Al contempo, sul versante affettivo, le
esperienze vengono vissute all’insegna della sperimentazione più che del reale impegno
o di una prospettiva progettuale e generativa.
Questi fenomeni hanno molte concause di tipo economico, di politica del lavoro,
di politica della casa… A me in questa sede interessa riflettere sulla complessiva
dinamica intergenerazionale cioè di rapporto tra le generazioni in famiglia e nella
società.
Partiamo da quest’ultima:
Cosa troviamo nella società italiana? Quale rapporto tra le generazioni sociali?
Troviamo una marcata competizione e contrapposizione generazionale
Si può evidenziare infatti in Italia un profondo squilibrio che Pierpaolo Donati
ha etichettato come disequità generazionale. Nel nostro paese le generazioni adulteanziane hanno goduto pienamente dei benefici del Welfare e hanno speso poco per
crescere le loro famiglie, anche perché contemporaneamente hanno contratto le nascite.
Avendo acquisito una posizione di preminenza, queste generazioni hanno oggi la
tendenza a conservare ben saldo il loro potere e i loro privilegi nel sociale e a tenere
lontano i giovani dal mercato del lavoro, tanto da far parlare di gerontocrazia italiana
(basti ricordare che l’età media in parlamento è la più alta in Europa.) A questa
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situazione di squilibrio intergenerazionale, si accompagnano le ben note difficoltà legate
alla ricerca delle abitazioni e alla precarietà dei contratti di lavoro. Tutto ciò ci induce a
parlare di società come terreno di conflitto tra le generazioni sociali. Il contesto sociale,
in altri termini, si presenta come un luogo impervio e difficile per le giovani
generazioni.
La famiglia italiana ha risposto a queste difficoltà contestuali facendo quadro
attorno al figlio, cercando di compensare le difficoltà che esso incontra al di fuori della
famiglia, costruendo un ambiente accogliente e supportivo.
I figli stanno in casa a lungo e ci stanno bene. Le ricerche condotte dal nostro
Centro Studi e Ricerca sulla Famiglia hanno evidenziato come le famiglie dei giovaniadulti italiani siano caratterizzate da un clima altamente supportivo e scarsamente
conflittuale e di buona intimità emotiva. Al tempo stesso i giovani sperimentano in
famiglia ampi spazi di libertà e possono avventurarsi a piccoli passi nel mondo adulto
senza farsi carico di troppe responsabilità. In queste famiglie sia i genitori che i figli
affermano di essere globalmente molto soddisfatti del clima presente. All’incertezza che
caratterizza il passaggio dalla giovinezza all’età adulta, la famiglia e i genitori
reagiscono quindi in modo difensivo attorno al figlio, aiutandolo e creando con lui una
sorta di relazione ideale.
Nel contesto sociale attuale il prolungamento della permanenza del giovaneadulto ha però alcuni aspetti positivi. Di più, può presentare anche degli aspetti di
risorsa se diventa occasione di dialogo tra le generazioni e consente di ridurre il gap di
esse, che oggi è molto consistente, anche per via dei diversi linguaggi e abitudini di vita
innescati dai cambiamenti tecnologici.
Se da un lato il prolungamento della permanenza dei giovani adulti quindi può essere
considerato un fatto fisiologico frutto di una società altamente complessa, dall’altro
questa situazione presenta diverse insidie che possono trascinare la famiglia e il giovane
adulto verso una situazione di stallo, di staticità che di fatto ostacola l’avventura di una
vera identità adulta.
Utilizzando la metafora fiabesca, la famiglia può trasformarsi nell’isola che non c’è e il
giovane adulto in un adulto Peter Pan.
Nelle nostre ricerche abbiamo rilevato rappresentazioni condivise tra genitori e
figli, sintomatiche di tale situazione di stallo.
Innanzitutto essi hanno una rappresentazione condivisa della transizione alla vita adulta
come passaggio arduo che è bene rimandare per attrezzarsi adeguatamente, in modo da
avere migliori opportunità per affermarsi nel mondo sociale. Così la strategia condivisa
da genitori e figli, anche se spesso inconsapevole, consiste nello stare il più a lungo
possibile “al di qua”. A ciò corrisponde un’attribuzione di positività alle relazioni con la
famiglia di origine e un’attribuzione di negatività alla condizione adulta, percepita come
rischiosa e insicura.
Quindi la prima rappresentazione condivisa è questa sorta di “pericolosità” del diventare
una generazione adulta.
La seconda rappresentazione condivisa è relativa al percepire l’età adulta come
ambito di realizzazione individuativa ed espressiva e non prosociale ed etica. Vale a dire
che per genitori e figli affetti e lavoro sono intesi come ambito di autorealizzazione
personale e non come ambiti in cui assumere le proprie responsabilità sia a livello
familiare che a livello sociale.
I figli sentono molto la realizzazione sul versante della scelta personale e molto
poco su quello della risposta e dell’impegno verso le altre generazioni sociali e
familiari; anche i genitori, dal canto loro, sentono i figli esclusivamente come loro figli
e non come nuove generazioni sociali.
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Nelle famiglie che si trovano in questa situazione di stallo, i genitori sono attratti
soventemente dalla seduzione di eternare la loro funzione di accudimento e di
protezione, il loro ruolo centrale nella vita dei figli. I genitori infatti, oltre ad apprezzare
l’aspetto di tregua relazionale che connota questa fase, si trovano a goderne di riflesso,
illudendosi a propria volta di essere “eternamente genitori di un giovane”. Generalmente
hanno pochi motivi per spingere i figli, i pochi figli, fuori casa, anzi temono il nido
vuoto. Inoltre trovano spesso una gratificazione nella presenza dei figli in casa perché
pensano che sia una conferma del fatto che sono bravi genitori.
La famiglia si trasforma dunque in una sorta di Isola che non c’è, in un luogo originario
e luminoso, dove tutto resta uguale a se stesso e dove nulla è soggetto all’evoluzione e
al cambiamento.
In questo contesto idealizzato e fuori dal tempo, o meglio, del tutto centrato su un
presente immobile, forever young è il sogno che conquista il giovane adulto, pronto a
trasformarsi in un vero Peter Pan.
La caratterizzazione dell’adulto Peter Pan si fonda su una miscela di tratti adulti
e adolescenziali. Nella trama del vissuto familiare si delineano dei tratti di reciproca
compensazione ove nel rapporto tra genitori e figli si riflette una immutabilità di ruoli: il
genitore che si prende cura, il figlio che lo sostiene emotivamente. La famiglia elettiva
invece è raramente tematizzata, negata o vissuta senza reale protagonismo. Ciò che è
sottratto alla creazione di un nucleo familiare è restituito alla cerchia degli amici, che ne
diventa a tutti gli effetti il surrogato.
Sia genitori che figli, per non cadere in questa empasse, devono avere forte e
potersi poggiare sul senso di generatività e generazionalità, aver chiaro che il compito
generativo incorpora un progetto che supera le generazioni presenti e si avventura di
generazione in generazione. In realtà questo complesso simbolico si è affievolito. Come
abbiamo visto infatti tende a dominare e ad accomunare le due generazioni una
rappresentazione della realizzazione di sé in termini di autogratificazione e
rispecchiamento reciproco.
La difficoltà del transito della condizione adulta dei giovani e perciò ben più che
un pigro attardarsi di una generazione pigra. E’ il sintomo di uno squilibrio e una
scissione tra generazioni famigliari e generazioni sociali. E’ il sintomo della perdita del
senso delle generazioni e delle generatività e quindi della sottovalutazione del ruolo
centrale della famiglia come soggetto sociale.
Allora ecco il compito: in famiglia un po’ meno figli da proteggere ma giovani
generazioni da lanciare e nella società un po’ meno giovani con cui competere ed un po’
più figli da supportare e a cui lasciare spazio
Le tensioni nel rapporto tra le generazioni si evidenzia ancora con maggiore
rilevanza nel problema degli anziani.
3. Problema degli anziani
Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione è ormai da anni al centro
dell’attenzione, soprattutto per quanto riguarda gli effetti che esso produce
sull’equilibrio demografico complessivo e le conseguenze che da esso derivano in
ordine alla distribuzione e razionalizzazione delle risorse di cui il corpo sociale dispone.
Tale invecchiamento complessivo della popolazione è il risultato di due distinti e
convergenti fenomeni demografici: il prolungamento del tempo di vita e la contrazione
del tasso di natalità.
Il mutato equilibrio demografico tra le generazioni determina una trasformazione
qualitativa del processo di invecchiamento, sia per quanto riguarda le dinamiche interne
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alla famiglia, sia per quanto riguarda le relazioni tra la struttura familiare e la struttura
sociale.
Per quanto riguarda il primo punto possiamo dire che la transizione alla
condizione anziana oggi si pone per buona parte come una lunga stagione di vita di
coppia. Tale lunga stagione di coppia è un fenomeno nuovo, sconosciuto nel passato
quando in genere dopo pochi anni di uscita di casa dell’ultimo figlio almeno uno dei due
coniugi moriva.
Cosa avviene tra le generazioni in questo momento della vita familiare?
L’elemento determinante pare essere costituito non tanto dall’età anagrafica, ma dalla
condizione di salute e malattia della coppia anziana. In caso di buona salute molte
ricerche evidenziano la solidità e la rilevanza degli scambi tra giovane famiglia e
famiglia di origine. E’ noto come la costituzione abitativa dei nuovi nuclei e la cura dei
bambini-nipoti è spesso possibile solo grazie a un consistente supporto economico e
logistico da parte della generazione precedente. Da parte loro i figli adulti spesso
contraccambiano l’aiuto fornendo competenze e supporti in pratiche amministrative o
consigli e aiuti nella gestione della vita quotidiana. E’ proprio in questa stagione della
vita nella quale due generazioni adulte sono presenti sulla scena che viene ancora alla
ribalta ed ha una sua ripresa tematica il tema del passaggio delle eredità morali e
materiali.
Si tratta di un passaggio di consegne che impegna a diverso titolo entrambe le
generazioni. La generazione anziana in progressiva ritirata da una posizione di piena
centralità e autonomia relazionale, è chiamata a fare spazio in modo attivo ai figli
legittimandoli e incoraggiandoli fiduciosamente ad affrontare le sfide del proprio
momento storico. I figli da parte loro sono chiamati a fare da ponte con le generazioni
che seguono nella trasmissione del patrimonio familiare rivitalizzando il senso
generativo delle generazione anziana.
Nel caso di malattia tutto ciò non viene meno, ma il rapporto e squilibrio tra le
generazioni tende a diventare più drammatico.
La trasformazione strutturale della famiglia e in particolare la riduzione del
numero dei suoi componenti limita drasticamente le risorse della famiglia destinabili
alla cura degli anziani. Il problema diventa veramente grave quando, caso non
infrequente, le persone anziane bisognose di cura siano più di una e “pesino” su un
unico figlio o un’unica coppia. Il figlio, nell’impossibilità di fornire la cura desiderata al
suo genitore, è così esposto a un vero conflitto di lealtà. Gestire bene il sentimento di
obbligo filiale è impresa di non poco conto. Assumere una posizione di non evasione
dalla responsabilità della cura e nel contempo di percezione realistica delle proprie
risorse è un equilibrio difficile.
Da quest’ultimo punto di vista, due sono le questioni essenziali che
accompagnano l’invecchiamento della società.
La prima riguarda la necessità di porre mano ad una revisione complessiva delle
forme e dei meccanismi di ridistribuzione della ricchezza sociale, tenendo conto che la
nuova proporzione tra le generazioni rende non più sostenibile economicamente un
sistema di protezione sociale costruito su una proporzione tra giovani e anziani del tutto
diversa. Si tratta cioè della necessità di procedere ad una sostanziale revisione dei
sistemi di welfare e di ripensare le politiche sociali assumendo quale unità di
riferimento non il singolo individuo, ma l’intera famiglia.
La seconda questione, a questa strettamente connessa, riguarda il crescente
fabbisogno di cura e assistenza sanitaria poiché, ovviamente, il prolungamento del
tempo di vita porta con sé anche il prolungamento del “tempo di malattia”. È questo un
problema che, pur mantenendo una forte centralità all’interno delle relazioni familiari e
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trovando nella famiglia la prima e fondamentale risposta, non può essere in essa
confinato. Il problema della cura dell’anziano non può perciò essere affrontato su un
piano esclusivamente familiare, ma richiede l’attivazione di risorse istituzionali e di reti
comunitarie ed una politica dei servizi che sappia guardare all’anziano, non come ad un
individuo isolato, ma come un soggetto inserito in relazioni familiari significative di cui
occorre tenere conto, proprio per il suo benessere complessivo. Molte ricerche del resto
fanno notare come è decisivo, ai fini di un benessere personale, ma anche di una
capacità di ripresa fisica al seguito di una malattia, essere inseriti in circuiti familiari e
relazionali in grado di fornire un sostegno personalizzato. Certamente le famiglie
dovranno sempre più imparare a collaborare coi servizi, ma i servizi dovranno essere
concepiti in stretta sinergia con le famiglie.
Come si può vedere anche qui ciò che è richiesto da parte della famiglia e della
società è di mettere a tema l’intreccio tra le generazioni sia nel sociale che nel familiare.
In conclusione, il pensare per generazioni rappresenta un acquisizione culturale e
sociale fondamentale: tale approccio, infatti, consente di osservare le rapide
trasformazioni in atto senza essere fagocitati da esse ma, al contrario, avendo una linea
di pensiero che consente di vedere le catene generazionali, le relazioni tra di esse e ciò
che tali reti di relazioni producono nel sociale. Solo questo sguardo profondo rende
possibile avere una comprensione piena delle sfide sociali che la famiglia fronteggia e le
risorse di cui dispone per poterle superare. Tale prospettiva potrà contribuire
fattivamente al ristabilirsi di un patto tra le generazioni che sia costruttivo di una
partnership fondata sul compito comune di costruire la società dell’oggi e quella del
futuro.
Testi di riferimento:
•
•
Donati P., Il malessere generazionale della famiglia: dove va l’intreccio tra le
generazioni, in Donati P. (a cura di), Quarto Rapporto CISF sulla Famiglia in
Italia, San Paolo, Milano, 1995
Scabini E., Iafrate R., Psicologia dei legami familiari, Il Mulino, Bologna, 2003
Bologna, 3 marzo 2007
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