NON SI PRESTA SOLO AI RICCHI
La rivoluzione del microcredito
Maria Nowak
Einaudi, Torino 2005
pp. 214, euro 14,50
Presentazione del libro
«Fare del microcredito è, essenzialmente, un esercizio da equilibristi. Non si guarda sotto
i propri piedi - c’è inevitabilmente il vuoto - ma davanti a sé, facendo attenzione a non
sporgersi troppo da una parte o dall’altra» (p.65). Questo paragone sembra prestarsi
efficacemente alla descrizione dell’impegno che Maria Nowak ha scelto di assumersi e al
tema trattato nel suo Non si presta solo ai ricchi - la rivoluzione del microcredito. I primi
tre capitoli sono incentrati su alcuni dei miti dell’economia che, sebbene tuttora in vigore,
iniziano a mostrare, secondo l’Autrice, i primi segni di cedimento. Innanzitutto, l’Autrice
denuncia come l’idea che la società sia basata sull’industria è falsa e fuorviante. In realtà, è
vero il fatto che l’industria, soprattutto negli ultimi anni, ha spesso ceduto il passo al
settore terziario. Nei paesi in via di sviluppo, inoltre, nonostante la delocalizzazione delle
grandi industrie europee e americane, il lavoro indipendente continua ad essere fonte di
sostentamento per gran parte della popolazione. Un altro mito che Nowak intende sfatare
è quello della suddivisione del mercato del lavoro in due grandi ambiti: datori di lavoro e
salariati. Questa schematizzazione lascia fuori una terza categoria di lavoratori, quella cioè
dei lavoratori imprenditori di se stessi, un tipo di lavoro che sembra sempre più prendere
piede in società che vedono per diversi motivi aumentare la tendenza allo sviluppo delle
piccole unità di produzione a discapito del modello della grande impresa. Secondo
l’Autrice, nel corso dei secoli, l’economia si è progressivamente distaccata dalla realtà, ha
assunto le pretese di essere una scienza, e come tale ha seguito di volta in volta le correnti
di pensiero che andavano di moda e si è in esse sclerotizzata, astraendosi dalla realtà e
ponendo spesso al centro della sua riflessione non l’uomo, ma il mercato.
Con la considerazione che «il diritto all’iniziativa economica è il riconoscimento di quella
scintilla di creatività che ognuno porta in sé all’atto della nascita e che la società sovente
lascia spegnere» (p.12), si spiega l’analisi degli effetti perversi prodotti dallo Stato
provvidenza che, secondo Nowak, non consente alla società di assolvere al suo dovere di
incoraggiare l’iniziativa dei cittadini, e corre il rischio, inoltre, di creare una struttura
burocratica che impiega risorse spropositate per mantenere se stessa. Se è vero che la
solidarietà è cemento indispensabile per ogni società nei confronti dei suoi membri in
grave difficoltà, è vero anche che sua unica preoccupazione non dovrebbe essere tanto il
mantenimento all’interno di una rete di protezione sociale di tutti i cittadini che hanno
avuto difficoltà nel corso della loro vita, quanto piuttosto un sostegno a ritrovare una loro
autonomia che li liberi dal problema dell’esclusione sociale e li aiuti a prevenire una
ricaduta futura.
Altro mito del tempo presente è secondo Nowak la mondializzazione che non fa altro che
scalfire appena l’economia mondiale e, piuttosto, esclude, in realtà, miliardi di persone che
si trovano in condizioni di disuguaglianza (una condizione che potrebbe essere
combattuta a monte con mezzi come l’accesso al credito). Un altro tema caldo, caro
all’Autrice, è quello dell’aiuto ai paesi poveri, o in via di sviluppo, fornito dai paesi
sviluppati. Questo, non solo è tuttora inferiore alle percentuali stabilite dalle Nazioni
Unite, ma si riduce spesso ad essere inutile o persino dannoso per le economie in via di
sviluppo. Alcune contraddizioni che Nowak mette in evidenza riguardano, ad esempio, la
presenza di investimenti stranieri nei paesi in via di sviluppo considerata in rapporto alla
grande quantità di rimesse dei lavoratori espatriati; le discriminazioni commerciali che
devono fronteggiare i produttori dei paesi poveri (affrontare la concorrenza, per esempio,
delle agricolture europee che non solo sono sovvenzionate dai governi locali, ma che sono
anche protette da barriere doganali che di fatto escludono le possibilità, per i paesi in via
di sviluppo, di esportare i loro prodotti verso i paesi sviluppati). L’auspicio dell’Autrice va
verso una regolamentazione del gioco a livello internazionale. In questo contesto, la
microfinanza giocherebbe un ruolo importante sia nei paesi in via di sviluppo che nei
paesi sviluppati. Nei primi, sebbene non risolva tutti i problemi che li affliggono (il
trasferimento di conoscenze, le riforme istituzionali, l’educazione…), il microcredito
permette di valorizzare il lavoro dei poveri e di accrescere l’uguaglianza delle
opportunità. Nei secondi, può essere una risposta ai cambiamenti dell’economia che
tendono ad escludere in maniera sempre crescente i lavoratori poco qualificati.
Dall’esposizione di quei cosiddetti “miti”, l’Autrice passa poi a parlare della “realtà” e lo
fa con un breve accenno alla nascita dei sistemi di credito (nati, secondo gli storici, a
Babilonia nel 3400 a. C., ad opera dei sacerdoti del tempio di Uruk), alle prime banche e
cooperative di credito (che risalgono al XIX secolo), per poi scendere nello specifico del
microcredito, illustrandone i principi che stanno alla base e una breve storia della sua
applicazione in diversi contesti extraeuropei prima, ed europei dopo. Dalla Grameen Bank
(fondata da Muhammad Yunus nel 1986 e che conta oggi 2.100.000 clienti in 37.000 villaggi
tra Bangladesh e India) al trasferimento delle esperienze di microcredito in Africa
Occidentale, ai tentativi, inizialmente fallimentari, di importare quel modello nell’Europa
dei primi anni dopo la caduta del comunismo, Nowak arriva a parlare dell’esperienza del
microcredito in Francia e dell’associazione da lei fondata e di cui è presidente: la Adie
(Associazione per i diritti all’iniziativa economica). Un caso come quello francese
presentava, inevitabilmente, condizioni molto diverse rispetto a quelle dei paesi dove
fiorivano già esperienze di microcredito, e queste differenze sono riassumibili in alcuni
punti principali. Innanzitutto, il destinatario di un progetto di microfinanziamento è in
Francia una persona che è rimasta esclusa, ai margini della società civile, spesso dopo anni
di disoccupazione, mentre nei paesi del Sud del mondo il microcredito si rivolge a persone
attive, sebbene povere. I loro prodotti venivano poi venduti su un mercato aperto alla
maggioranza della popolazione, mentre in Francia, la fetta di mercato che accoglieva i
prodotti dei microimprenditori si collocava negli spazi tralasciati dalle imprese affermate.
Al di là di queste differenze, come della varietà di forme attraverso le quali il
microcredito prende corpo (e che comprendono organizzazioni non bancarie di
microcredito, cooperative di risparmio e di credito, programmi specializzati delle banche e
banche di microfinanza) Nowak sottolinea come il microcredito abbia un impatto reale
sulla vita delle persone coinvolte, restituendo fiducia nelle loro capacità e creatività e
sottraendole dall’esclusione sociale cui spesso sono confinate. La novità del microcredito,
infatti, risiede non tanto nei metodi (che corrispondono, di fatto, ai metodi del marketing
applicati da banche e imprese), quanto piuttosto nella loro estensione a persone in
difficoltà, mai prese in considerazione dai sistemi di credito tradizionali. I principi
applicati sono abbastanza semplici:
·
Adattamento del prestito ai bisogni del cliente e tempi rapidi.
·
Sistema di garanzia che tenga conto dell’assenza di beni e di capitale tra i
destinatari e che poggia, quindi, su gruppi di contraenti che si garantiscono a
vicenda, su prestiti di volume progressivo e su un rapporto di fiducia tra il
contraente e l’agente di credito che gioca un ruolo importante soprattutto nei paesi
occidentali dove la rete sociale è meno stretta.
·
Recupero effettuato tenendo conto delle esigenze dei clienti, con scadenze frequenti
e di piccola entità.
·
Copertura dei costi tramite gli interessi, al fine di ottenere in un lasso di tempo
relativamente breve un’autonomia operativa e finanziaria.
Quali le prospettive future per il microcredito, e di cosa ha bisogno per poter diventare
una pratica sempre più diffusa? Nowak individua alcune priorità, che si inquadrano nella
necessità di fare rete. Fondamentale, infatti, è la collaborazione tra istituti bancari e
organizzazioni non bancarie, che può realizzarsi con varie modalità di interazione che
prevedono diversi gradi di rischio: le banche possono, per esempio, offrire semplicemente
servizi di sportello, oppure condividere i locali con l’istituzione di microfinanza, o ancora,
partecipare al suo capitale, o persino creare una società di microcredito. Altrettanto
importante risulta poi la creazione di un quadro istituzionale favorevole che possa aiutare
a creare un ambiente propizio allo sviluppo dell’iniziativa economica. Un’altra questione
fondamentale è il finanziamento delle istituzioni di microfinanza: Nowak scrive che il
risparmio finanzia circa i due terzi delle risorse complessive, mentre il restante terzo
proviene da linee di credito di banche locali, sovvenzioni, prestiti e partecipazione di
organismi di aiuto internazionale. Possibilità di sviluppo si possono intravvedere non solo
nell’aumento degli aiuti pubblici, ma anche nelle sovvenzioni private. L’obiettivo finale da
perseguire resta comunque la copertura totale dei costi da parte del microcredito stesso.
«Il denaro e il credito, in sé, non sono né buoni né cattivi. Sono ciò che noi ne facciamo. Lo
sviluppo di un settore finanziario aperto a tutti non è né un problema di risorse, né un
problema di tecnica o di metodo. È una questione di scelta e di volontà. Può darsi che sia
arrivato il tempo di cercare un altro equilibrio tra passioni, interessi e bene comune, e di
impegnarsi, ognuno al proprio livello e secondo le proprie capacità, a difendere insieme la
Terra e i suoi abitanti» (p.214).
L’Autrice
Maria Nowak, dopo gli studi all’Institut des Etudes Politiques e alla London School of
Economics, ha lavorato a progetti di sviluppo del microcredito presso la Banca Mondiale.
Co-fondatrice dello European Microfinance Network, è oggi presidente dell’Adie,
Association pour le droit à l’initiative économique, nata su sua iniziativa nel 1989.