Favorevoli
Favorevoli
o contrari?
o contrari?
Soprattutto
Soprattutto
informati!
informati!
Negli Nultimi anni la comprensione dei fenomeni biologici di base ha avuto
un’accelerazione straordinaria a seguito, non solo di tecniche innovative, ma
soprattutto all’integrazione di diversi approcci sperimentali che permettono di
affrontare problematiche sempre più complesse.
La conoscenza del genoma umano e la sua interpretazione avranno una ricaduta
determinante non solo nel campo della genetica, ma anche della medicina, della
farmacologia, dell’agricoltura, della zootecnia e in molti altri settori.
La diffusione della cultura scientifica in Italia è, però, ancora molto carente e termini
quali DNA, genoma, cellule staminali sono entrate nel linguaggio giornalistico, ma la
maggior parte delle persone ne ignora il significato.
Questo progetto, anche grazie al supporto dell’iniziativa europea Science Generation,
vuole rendere gli studenti più consapevoli dei progressi nell’ambito delle bioscienze e
attraverso la diffusione del loro lavoro, invitare i compagni e gli adulti ad essere
curiosi ed informati anche per poter operare scelte consapevoli.
I lavori presentati sono una sintesi di ricerche molto più ampie. Ci auguriamo che
siano di interesse per molti studenti, ma non solo…….. e ci scusiamo per eventuali
errori o imprecisioni.
Il manuale è anche scaricabile dal sito web: www.science-generation.it
Maggio 2005
INDICE
GLI OGM
3
LE CELLULE STAMINALI
9
LE MALATTIE RARE
13
GENI E CROMOSOMI
19
IL PROGETTO GENOMA
25
LA BIOINFORMATICA
E LE NUOVE TECNICHE DI ANALISI DEL DNA
29
GLI OGM
di Federico Calloni e Elena Sguotti
Che cosa sono gli OGM
Gli organismi transgenici o organismi geneticamente modificati (OGM) sono organismi
caratterizzati da un patrimonio genetico alterato rispetto a quello tipico della propria specie a
causa dell’introduzione artificiale di uno o più geni provenienti da altri organismi.
Un po’ di storia
Gli OGM sono il risultato della ricerca effettuata, prevalentemente negli Stati Uniti
d’America, per il miglioramento delle rese e la resistenza ai parassiti indotta nei vegetali. La
ricerca è stata effettuata in prevalenza dalle grandi multinazionali operanti nel settore
chimico – farmaceutico, oltre che in quello agricolo.
In Europa la coltivazione di OGM è molto limitata. Il solo paese dove vengono coltivate
varietà di mais geneticamente modificate su superfici di un certo livello (tra i 20.000 ed i
30.000 ha.) è la Spagna. In Francia sono stati coltivati circa 3.000 Ha di mais transgenico, ma
con nota del 11 Dicembre 1998, il Consiglio di Stato ha deciso di sottoporre il Dossier sui
vegetali transgenici alla Corte di Giustizia Europea.
La Gran Bretagna si trova attualmente in posizione di attesa, anche se esistono già molti
progetti avviati sugli OGM. In Austria, un referendum popolare ha invece sancito, col 66% dei
voti favorevoli, la sperimentazione e l’impiego di OGM. In Belgio, l’opinione pubblica è
nettamente contraria e gli agricoltori sono preoccupati che le nuove varietà provochino un
aumento delle rese ed una diminuzione dei prezzi.
Varietà di OGM
Le principali specie dalle quali si ottengono OGM sono: Mais, Soia, Colza, Barbabietola
da zucchero, Pomodoro, Tabacco e Patata, ma la sperimentazione interessa anche altre
coltivazioni, alcune di particolare interesse per la nostra nazione, come la vite, l’olivo, il
ciliegio, il pioppo, la fragola e il melone.
Produzione di organismi transgenici
Per ottenere organismi transgenici si utilizzano le tecniche di ingegneria genetica. Il
frammento di DNA in cui si trova il gene da inserire viene iniettato in una cellula batterica, o
in una cellula uovo, che verrà successivamente fecondata, o in un embrione. Per poter essere
attivo, il frammento di DNA deve essere associato a un vettore d’espressione, ossia a un'altra
porzione di DNA che controlla le modalità di espressione del gene da trasferire; ad esempio,
esso permette che il gene si esprima, cioè svolga la propria attività, soltanto in determinati
tessuti. Il DNA estraneo viene inoculato per microiniezione nella cellula ricevente e il nuovo
gene si integra con il DNA di questa, e può, di conseguenza, esser trasmesso a tutte le cellule
che derivano per successive mitosi della cellula ricevente.
Come si fabbrica un OGM
Il metodo più diffuso per produrre un organismo geneticamente modificato consiste
nell’isolare da una cellula animale o vegetale il gene desiderato e inserirlo nel DNA di un
batterio, chiamato Agrobacterium tumefaciens, che trasferisce parte del proprio patrimonio
genetico alle cellule che infetta. Riso, mais e frumento non sono infettabili dall’Agrobacterium;
in questo caso bisogna utilizzare tecniche alternative come bombardare la cellula vegetale con
particelle d’oro o tungsteno rivestite di frammenti di DNA. Un altro metodo sottopone la
cellula a brevi impulsi elettrici che provocano l’apertura dei pori della membrana,
permettendo l’ingresso al DNA estraneo; per rendere un organismo resistente alle aggressioni
3
di un insetto i biologi inseriscono nelle cellule un gene prelevato da un batterio, il Bacillus
thuringiensis, che produce una tossina insetticida.
IMPIEGO DEGLI ORGANISMI TRANSGENICI
Nella ricerca biologica e genetica, l’impiego di Organismi transgenici è rilevante
nell’ambito degli studi sulla funzione di geni specifici; infatti, l’immissione di un gene estraneo
in un organismo determina l’insorgenza di particolari caratteristiche (come la resistenza a un
erbicida o la capacità di sintetizzare una data proteina) che, confrontate con quelle degli
individui della stessa specie, permettono la comprensione del ruolo di quel gene.
A scopo di ricerca, sono impiegati anche particolari tipi di organismi transgenici, i
cosiddetti Knock-out, in cui un gene dell’organismo viene eliminato o inattivato; alcuni topi
così modificati, ad esempio, sono stati utilizzati per studiare il ruolo funzionale di alcuni geni
specifici nello sviluppo embrionale. Disattivando in animali da laboratorio il gene
corrispondente a un gene non funzionale nei pazienti affetti da una particolare malattia, si
possono creare modelli utili a fini diagnostici e terapeutici.
Animali produttori di farmaci
Una delle principali applicazioni pratiche degli organismi transgenici è l’ottenimento di
proteine ad uso terapeutico, quali, per esempio, alcuni fattori di coagulazione da
somministrare ai pazienti emofiliaci. Prima della messa a punto della tecnica per la creazione
di organismi geneticamente modificati, l’estrazione di proteine veniva eseguita da fluidi
corporei animali, come sangue, plasma, urina o tessuti; ciò non garantiva, però, l’ottenimento
di quantitativi sufficienti rispetto alle necessità; inoltre, il procedimento non era immune dal
rischio che le sostanze estratte fossero contaminate da agenti patogeni.
Inoltre, durante il processo di estrazione, potevano verificarsi modificazioni delle
sostanze stesse che ne determinavano l’inattivazione e quindi, l’inefficacia. Dalla sintesi
operata da organismi transgenici e controllata dai geni estranei di cui essi sono portatori, si
ricavano invece quantità maggiori di sostanze e un elevato grado di sicurezza nell’impiego.
Alcune specie di mammiferi transgenici, ad esempio, producono latte con caratteristiche
particolari, come la presenza di lattoferrina per essere più simili al latte umano.
Questa area è una delle aree più proficue di benefici futuri per la produzione di
medicinali a basso costo, come nel caso dell’insulina prodotta da batteri geneticamente
modificati.
Animali donatori di organi
Una delle prospettive che appaiono di maggior interesse è l’impiego di animali
transgenici come possibili donatori di organi, per l’esecuzione dei cosiddetti xenotrapianti: gli
animali possono essere modificati geneticamente in modo che i loro tessuti presentino sulla
superficie proteine analoghe a quelle umane, che potrebbero venire facilmente “accettate” dal
sistema immunitario limitando così il rischio di rigetto dell’organo trapiantato. Per tale
applicazione, molti studiosi ritengono che i suini potrebbero risultare particolarmente adatti,
perché possiedono caratteristiche anatomiche che li rendono “sovrapponibili” a quelli umani.
Piante e animali resistenti
In campo agronomico, la tecnica della modificazione genetica ha permesso di creare
vegetali transgenici dotati di particolari caratteristiche di resistenza agli erbicidi. Ciò sembra
particolarmente utile nelle colture intensive, quali quelle di mais o di soia, in cui l’uso di
diserbanti per eliminare le specie infestanti, in passato rischiava di distruggere anche le
specie coltivate.
Sono state ottenute anche piante resistenti a patologie responsabili di gravi danni alle
colture, come il tabacco transgenico, resistente al virus del “mosaico”. Inoltre, sono stati
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ottenuti animali con carni meno grasse, in particolare suini, e resistenti a determinate
malattie, come polli transgenici resistenti a una particolare forma leucemica, la leucosi
aviaria.
LA REGOLAMENTAZIONE DELLA SICUREZZA
Nei Paesi dotati di solide strutture tecniche di verifica e controllo (ad esempio gli Stati
Uniti, il Canada e il Giappone) è prevalso il criterio di valutare l’efficacia e la sicurezza d’uso
dei prodotti, senza particolare attenzione alle tecnologie usate per ottenerli.
Nella valutazione degli OGM ha avuto una grande importanza il lavoro del Group of
National Experts (GNE) on Safety of Biotechnology, che ha operato per l’Organizzazione per la
Cooperazione dello Sviluppo Economico (OCSE). I criteri e principi di sicurezza elaborati da
questo gruppo, hanno costituito la base di partenza per la redazione di un Protocollo
Internazionale di biosicurezza, il cosiddetto “Protocollo di Cartagena”, poi firmato a Montreal
nel gennaio 2001, nell’ambito dell’ONU.
L’obiettivo principale del protocollo è quello di consentire ai Paesi in via di sviluppo di
mettere a punto le misure da adottare per l’impiego sicuro delle biotecnologie e dei prodotti
che ne derivano.
A differenza degli Stati Uniti, in Europa è prevalsa l’opzione di imporre per legge
“regolamentazioni di tecnologia”, collegate a meccanismi di notifica e autorizzazione sia nelle
fasi di ricerca che in quelle produttive.
In termini di efficacia, nel garantire i necessari livelli di sicurezza, i due diversi approcci,
nordamericano ed europeo, non hanno messo in luce significative differenze: la principale
differenza oggettiva è di natura burocratica e amministrativa e si manifesta nei tempi più
lunghi delle procedure adottate dall’Unione Europea per l’autorizzazione degli OGM a uso
agricolo e alimentare.
La Normativa Comunitaria di riferimento sugli OGM deriva da direttive e
regolamenti comunitari, che si occupano: della relativa emissione nell’ambiente degli OGM,
del relativo impiego confinato di microrganismi geneticamente modificati, relativo alla
commercializzazione di nuovi alimenti ed in particolare quelli derivati da biotecnologie; la più
importante è la Direttiva C.E.E. n. 220/90, che risulta tuttora valida come normativa europea
di riferimento.
Tale direttiva però, è oggetto di revisione da parte del Parlamento europeo; la
Commissione europea ha adottato gli elementi di principio di una proposta che intende
modificare l’attuale direttiva e disciplinare l’emissione deliberata nell’ambiente di organismi
geneticamente modificati a fini sperimentali e commerciali, in attesa di una legislazione
specifica in materia di prodotti. L’iter legislativo non ha ancora approvato ed è in procedura di
codecisione; attualmente il Parlamento si è espresso con una soluzione legislativa in data
12/04/2000 e con essa ha deliberato numerosi emendamenti al testo proposto che dovrà tornare
al Consiglio.
In particolare, notevoli ripercussioni e polemiche ha suscitato l’approvazione della
Direttiva 44/98 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche che permette di
brevettare piante e animali manipolati geneticamente, oltre che parti e geni del corpo umano.
Normativa nazionale: la legislazione italiana di riferimento (Decreti Legislativi n.
91/93 e n. 92/93) individuano nel Ministero della Sanità, l’autorità competente in materia di
OGM; presso il Ministero della Sanità medesimo sono state nominate rispettivamente:
La Commissione Interministeriale di Coordinamento, per quanto riguarda l’impiego
confinato di microrganismi geneticamente modificati ai sensi di quanto disposto dal Decreto
Legislativo n. 91/93
La Commissione Interministeriale per le Biotecnologie, per quanto riguarda l’emissione
deliberata degli O.G.M. nell’ambiente. A scopo di ricerca, il Decreto Legislativo n. 92/93
regolamenta anche l’immissione sul mercato di prodotti contenenti O.G.M. Bisogna
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considerare la clausola di salvaguardia, prevista dall’art. 16 del Decreto Legislativo 92/93, la
quale stabilisce che il Ministro della Sanità o il Ministro dell’Ambiente possono disporre di
limitare o impedire provvisoriamente l’uso e/o la vendita di prodotti che siano ritenuti
pericolosi per la salute umana o per l’ambiente.
Inoltre, completano il contesto di riferimento dei decreti applicativi, del Ministero della
Sanità in tema di prestazioni fornite dal Ministero stesso in ordine alle notifiche dei seguenti
provvedimenti:
La Circolare del Ministero delle Politiche Agricole che definisce il protocollo tecnico
finalizzato alla iscrizione di piante transgeniche (varietà o ibridi) nel Registro nazionale per la
protezione brevettuale.
La legge n. 1096 del 25/11/1971 e successive modificazioni che disciplina l’attività
cementiera, nonché il relativo regolamento di esecuzione per l’iscrizione al registro varietale.
Qualità e OGM
Molti possono essere i concetti di qualità, ma quelli che più significativi sono:
x le qualità organolettiche del prodotto;
x la sostenibilità del processo produttivo;
x il rispetto per la salute del consumatore e dell’ambiente;
x la situazione socio-economica (in un’unica parola la “ruralità”) esistente dietro un
dato prodotto, in sostanza la cultura, la storia, la tradizione che ha determinato uno
specifico processo produttivo.
Tutto questo con l’introduzione della coltivazione in ambito regionale degli OGM si
perde, perché la produzione tende ad avere un’unica finalità: la produttività, eliminando tutti
gli altri valori uniti alla nostra produzione agricola regionale.
L’etichettatura
L’articolo 8 del Regolamento 258/97 “Novel food” riguardante la commercializzazione di
nuovi alimenti e in particolare quelli derivanti da OGM, stabilisce che venga data
un’indicazione in etichetta della presenza di organismi geneticamente modificati dove sia
possibile rilevare la presenza di DNA o proteine derivante da modificazione genetica.
La larga diffusione delle colture transgeniche ha messo in luce il problema della
contaminazione accidentale della filiera alimentare.
Per tale motivo nel gennaio 2000 con il Regolamento 49, sono state dettate le norme
riguardanti gli alimenti, prevedendo che sull’etichetta del prodotto non deve essere dichiarata
la presenza di OGM nei seguenti casi:
x se non sono presenti proteine o DNA derivanti da modificazioni genetiche;
x se c’è una presenza inferiore all’1% purché tale presenza sia accidentale e dovuta a
contaminazioni ambientali.
In questo caso il produttore deve dimostrare di aver fatto il possibile per evitare la
contaminazione poichè la diffusione crescente delle coltivazioni OGM, rende sempre più
probabile la contaminazione accidentale dei semi non OGM utilizzati dagli agricoltori. Nei casi
estranei a questi, la presenza di OGM deve essere dichiarata sull’etichetta del prodotto. Negli
USA invece, i prodotti modificati vengono parificati a quelli tradizionali e non esiste nessun
obbligo di pubblicazione. Paradossalmente sarà il produttore dell’alimento tradizionale, se
vuole, a dichiarare sull’etichetta che il proprio prodotto non contiene organismi geneticamente
modificati.
Il Regolamento 50/2000 prende invece in considerazione gli additivi e gli aromi derivanti
da OGM e stabilisce con carattere evidente che deve esserne denunciata la presenza
sull’etichetta.
Nel luglio 2003 viene emanato il Regolamento CEE 1830/2003 in seguito al quale il 18
aprile 2004 sono entrati in vigore i nuovi regolamenti sull’etichettatura di alimenti e mangimi
geneticamente modificati e sulla tracciabilità degli OGM che prevedono:
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tutti i prodotti contenenti ingredienti o derivati da un ingrediente che contiene più
dello 0,9% di OGM dovranno essere etichettati con la dicitura “Questo prodotto
contiene OGM” o “Questo prodotto deriva da OGM”. La soglia massima per la presenza
accidentale o tecnicamente inevitabile del 0,9% fa riferimento a ogni singolo
ingrediente usato nel prodotto e non alla massa o volume totale.
x l’etichettatura è richiesta anche per i prodotti in cui il DNA o proteine specifiche degli
OGM non può essere identificato nel prodotto finale.
Prima di questo nuovo regolamento non dovevano essere etichettati i prodotti contenti
ingredienti di provenienza transgenica nei quali a seguito del processo di lavorazione, non
erano più rintracciabili DNA o proteine transgeniche anche se provenienti al 100% da materie
prime transgeniche.
Con questo regolamento si è stabilito anche l’obbligo di tracciabilità, che ha lo scopo di
facilitare una precisa etichettatura del prodotto finale e di fornire i mezzi per ispezioni e
controlli in caso di reclami sull’etichettatura. Gli OGM saranno identificati con un codice che
permette di conoscere con precisione il tipo di modifica genetica subita.
Per ora per gli OGM non ancora autorizzati che arrivano comunque sul mercato europeo,
viene stabilita una tolleranza fino a un massimo dello 0,5%.
x
Una questione controversa
L’impiego di organismi geneticamente modificati è uno dei più dibattuti temi della
bioetica. Infatti, già da tempo la creazione di nuove cultivar vegetali o di microrganismi
modificati può essere siglata da brevetto; la possibilità di estendere questa pratica anche a
organismi più complessi, e ai procedimenti industriali che ne permettono l’ottenimento,
suscita attualmente atteggiamenti diversi: da un lato entusiasmo, per le nuove prospettive
economiche e scientifiche che potrebbero derivarne; dall’altro preoccupazione per tutte le
implicazioni, soprattutto etiche e sociali.
Si ritiene che la questione dell’impiego delle specie transgeniche non debba limitarsi a
un’analisi dei costi e dei benefici economici (anche se è un aspetto primario), e che le attuali
leggi sui brevetti per gli OGM e sulle relative applicazioni, debbano essere considerate anche
e soprattutto in riferimento agli organismi viventi. Sono inoltre oggetto di discussione le
possibili conseguenze sulla biodiversità e sugli equilibri degli ecosistemi dell’immissione
nell’ambiente di organismi modificati, con caratteri che potrebbero venire trasmessi alla
discendenza; inoltre, suscitano perplessità i possibili effetti a lungo termine sulla salute
umana del consumo di prodotti derivanti da organismi geneticamente modificati.
La legge stabilisce anche che non sono considerati OGM, gli organismi ottenuti fondendo
in laboratorio cellule appartenenti a specie diverse, o il cui DNA sia stato modificato
impiegando prodotti chimici oppure fisici (come raggi X e raggi gamma) che causano mutazioni
genetiche.
Un prodotto ottenuto con queste tecniche è per esempio il grano “Creso” (varietà di grano
duro impiegata largamente dagli agricoltori italiani da alcuni decenni), costituito trattando
con i raggi gamma altre varietà di grano: si è calcolato che verso la metà degli anni ’80, circa
un quarto degli spaghetti prodotti in Italia fosse ottenuto da farina derivata da questa varietà
“naturale” di frumento.
È quindi considerata OGM una pianta di frumento che contiene un gene modificato
attraverso l’ingegneria genetica, mentre la pianta di frumento non è considerata OGM se lo
stesso gene o l’intero genoma è stato modificato con altre tecniche, come nel caso della varietà
“Creso”; in sintesi, ciò che identifica un OGM è solo la tecnica con la quale è stata effettuata la
modificazione.
Le nuove allergie
Manipolare geneticamente un organismo, vuol dire passare ad esso una molecola di DNA
che gli permette di produrre una proteina che prima non era in grado di fabbricare.
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Noi ci nutriamo da sempre di proteine, ma esse, come talvolta altre sostanze, possono
essere “rifiutate” dal nostro organismo. Quando veniamo in contatto con certe molecole infatti,
il nostro organismo reagisce in modo talvolta violento con quella che chiamiamo reazione
allergica o allergia.
I fautori degli alimenti OGM, sostengono che l’introduzione di cibi manipolati nella
nostra dieta non possono causare rischi di nuove allergie, e citano l’esempio dell’introduzione
del gene di banana nel pomodoro, omettendo di precisare che, in questo caso, si tratta di cibi
abitualmente consumati. L’ingegneria genetica, però, riguarda spesso i geni, e dunque
proteine, che non fanno parte del consumo alimentare tradizionale: i rischi non sono
prevedibili se il gene “trapiantato”, ad esempio nel grano con cui facciamo del pane e della
pasta, ecc., proviene da organismi finora mai utilizzati nell’alimentazione.
Resistenza agli antibiotici
In Francia era stata autorizzata, e successivamente sospesa, la coltivazione di un mais
transgenic, in cui era stato introdotto un gene resistente ad un comune antibiotico,
l’ampicillina.
Questo gene, definito “marcatore”, permette di identificare le cellule in cui è riuscito il
“trapianto” dei geni. Successivamente, il marcatore non svolge più alcuna funzione, ma la sua
eliminazione sarebbe stata troppo costosa e difficile.
Gli antibiotici sono le uniche armi efficaci contro i batteri patogeni, ma a causa
dell’insorgenza di resistenza agli antibiotici queste armi sono sempre meno efficaci. D’altra
parte, la ricerca scientifica ha serie difficoltà a trovare nuove molecole che siano efficaci e si
stima che le malattie da ricovero legate alla resistenza agli antibiotici uccidano 10.000 persone
all’anno. Gli antibiotici diventano sempre meno efficaci perché i batteri col tempo riescono a
produrre delle difese: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità questo è uno dei più
gravi rischi sanitari emergenti.
La resistenza agli antibiotici dipende dal fatto che, con l’uso eccessivo di questi
medicinali negli ultimi anni, si selezionano, cioè sopravvivono, solo quei batteri che
contengono i geni che permettono loro di resistere a questi “veleni”. Il problema è che i batteri
non solo possono scambiarsi tra loro questi geni, ma possono acquisirli anche da organismi
superiori.
Numerosi studiosi temono che la diffusione di geni con resistenza agli antibiotici, tipici
delle piante transgeniche, possano accelerare questo processo creando, così, nuovi batteri
contro i quali gli antibiotici sono assolutamente impotenti.
Il Golden Rice
Nel 1991, gruppi di ricerca di Zurigo e di Friburgo, hanno sviluppato l’idea di introdurre
il Beta-carotene nell’endosperma del riso, per poter tentare di convertire questa coltivazione
primaria in una fonte di Vitamina A nelle zone afflitte da carenza di tale sostanza
I ricercatori hanno manipolato geneticamente una varietà da laboratorio di riso
giapponese, adatto al clima temperato dell’Europa introducendo una via metabolica per
convertire in Beta-carotene una parte di un precursore ormonale presente nel riso; inoltre
hanno inserito tre geni estranei nel riso: due dai narcisi ed uno dal batterio Erwinia uredovor.
Nel gennaio del 2000, i ricercatori hanno comunicato di aver raggiunto il loro obiettivo, cioè
creare i primi campioni di una linea di riso arricchito con Beta-carotene.
Il tratto geneticamente modificato dovrebbe essere trasferito nelle varietà predominanti
di riso “indica”, diffusissimo in Asia. e verrebbe combinato con le varietà nuove ad alta resa
che vengono coltivate in maniera estesa negli ambienti favorevoli e ben irrigati.
I programmi per il trasferimento di questo riso dal laboratorio al campo, e
successivamente alle popolazioni che soffrono di carenza da vitamina A, sono ancora agli
albori; gli inventori del “riso d’oro” hanno reso disponibile i semi per la semina dal gennaio
2004, ma le esperienze agricole lasciano supporre che occorrerebbero almeno quattro o cinque
anni per produrre le varietà commerciabili
8
LE CELLULE STAMINALI
di Francesca Gangai e Pamela Manco
Che cosa sono le cellule staminali?
Le cellule staminali sono cellule il cui destino non è ancora deciso e possono originare
vari tipi di cellule diverse attraverso un processo denominato differenziamento. Esistono
cellule staminali totipotenti che possono dare origine a qualsiasi tipo di tessuto cellulare,
cellule staminali multipotenti che possono dare origine ad alcuni tipi di tessuto e cellule
unipotenti, progenitrici di un solo tipo di tessuto.
Le cellule totipotenti sono presenti fino al 5°-6° giorno dalla fecondazione e possono dare
origine a tutti i tessuti dell’organismo e agli annessi embrionali, le cellule pluripotenti possono
dare origine a tutti i tessuti, ma non agli annessi embrionali, le cellule multipotenti possono
dare origine a diversi tipi cellulari dello stesso tessuto, come nel caso delle celle cellule
staminali del midollo osseo che possono dare origine ai diversi tipi cellulari del sangue, ma non
ad altre cellule, ed infine le staminali unipotenti possono dare origine ad un solo tipo cellulare
come quelle dell’epidermide.
Tutte le cellule staminali si dividono dando origine a due cellule differenti tra loro: una
è uguale alla cellula madre e rimane staminale, mentre la seconda, chiamata progenitrice, può
dividersi molte volte, ma non indefinitamente, perdendo quindi la staminalità e originando
solo un tipo di cellula (staminale unipotente) o diversi tipi di cellula (staminale multipotente).
Il meccanismo per il quale la cellula staminale si duplica raramente, producendo cellule
figlie non ancora mature che a loro volta si duplicano moltissime volte, consente di ridurre i
rischi connessi con la proliferazione cellulare, preservando la cellula staminale originaria.
Infatti ad ogni duplicazione cellulare si corre il rischio di un danno genetico e si determina
l’invecchiamento della cellula stessa.
Le staminali hanno una serie di sensori in grado di recepire il segnale chimico liberato
da cellule alterate in seguito ad un danno e modificano, di conseguenza, la velocità di divisione
da molto lenta a molto veloce. Vi sono differenze individuali nella risposta delle cellule
staminali, legate all’età, allo stile di vita, e ai danni precedenti e questo può influenzare
l’invecchiamento.
L’esistenza di staminali primitive e progenitrici non è dimostrabile direttamente perché
le due cellule sono indistinguibili, ma è possibile farlo in modo indiretto. Attraverso tecniche di
ingegneria genetica è possibile ottenere cellule staminali, progenitrici delle cellule del sangue,
trasformate in modo da produrre una proteina fluorescente e trapiantarle in un topo. Se le
cellule trasferite sono staminali primitive tutte le cellule del sangue prodotte saranno
fluorescenti per tutta la vita del topo, ma se le cellule modificate sono le cellule progenitrici
ottenute dalla prima divisione della cellula staminale primitiva gli elementi del sangue
saranno fluorescenti solo per un certo periodo.
Come si classificano le cellule staminali
In base alle conoscenze attuali le cellule staminali vengono divise in due gruppi a
seconda della fonte da cui vengono prelevate: le cellule staminali embrionali e le cellule
staminali adulte. E’ necessario, però, fare un’ulteriore distinzione in base alle modalità di
prelievo delle cellule stesse.
Le cellule staminali embrionali derivano dalla regione interna della blastocisti, cioè dal
primo ammasso formato da 156 cellule che si forma dopo la fecondazione della cellula uovo, ma
prima del suo impianto in utero; da sole tre di queste cellule si originerà tutto l’organismo.
Queste cellule possono essere coltivate in opportune condizioni e sono in grado di generare un
grandissimo numero di cellule figlie che possono produrre qualunque tipo di tessuto e sono,
pertanto, totipotenti. Questo tipo di cellule viene definito eterologo perché saranno trasferite
in un organismo diverso da quello che le ha prodotte.
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Le cellule staminali embrionali autologhe sono ottenute dopo che il nucleo di una
cellula somatica adulta di un paziente viene trasferito in una cellula uovo, matura ma non
fecondata, privata del suo nucleo di una donatrice. In un certo numero di casi la cellula uovo
così modificata incomincerà a dividersi fino allo stadio di blastocisti. Le cellule staminali
potranno essere prelevate, coltivate opportunamente e trasferite a scopo terapeutico per
sostituire tessuti danneggiati; poiché queste cellule avranno lo stesso genoma del paziente
saranno riconosciute come proprie dal sistema immunitario e non ci saranno problemi di
rigetto.
Le cellule staminali fetali somatiche sono derivate da feti abortiti, utilizzabili, però,
solo per alcuni tessuti e solo a determinati stadi di sviluppo.
Le cellule staminali del cordone ombelicale vengono ottenute dal sangue estratto dal
cordone ombelicale dopo il parto e conservate opportunamente; queste cellule permettono di
creare delle banche cellulari alle quali attingere per trapianti e in un futuro potranno essere
personalizzate. Si può prevedere che, alla nascita di ogni bambino, le cellule del suo cordone
ombelicale vengano conservate per creare una riserva biologica personale da utilizzare nel
caso di malattie future.
Le cellule staminali adulte hanno la funzione di mantenere l’integrità dell’organismo,
sostituendo cellule danneggiate o morte. Mentre negli organismi unicellulari o pluricellulari il
ciclo vitale è legato alla longevità delle singole cellule, negli organismi complessi la durata
della vita è di gran lunga superiore a quella delle singole cellule proprio perché attraverso le
staminali è possibile rinnovare i tessuti.
Le cellule staminali adulte
Fino ad alcuni anni fa si riteneva che solamente i tessuti sottoposti a continuo
rinnovamento cellulare, come il sangue o l’epidermide, possedessero cellule staminali e proprio
per la maggior frequenza delle duplicazione cellulare rispetto ad altri tessuti fosse più
probabile la comparsa di tumori. Si riteneva anche che i tessuti soggetti a scarso ricambio
fossero privi di staminali e affetti, soprattutto da patologie degenerative. Oggi, invece, si sa
che anche in questi tessuti, come nel caso del sistema nervoso o del tessuto muscolare
cardiaco, sono presenti cellule staminali in grado di generare i diversi tipi di cellule nervose,
come neuroni e glia, o cellule cardiache.
Non si conoscono, però, ancora tutti i tipi di staminali presenti nel nostro organismo e
questo pone un limite al loro utilizzo terapeutico generalizzato.
La plasticità delle cellule staminali
Fino al 1998 si riteneva che una volta differenziate la cellule staminali multipotenti o
unipotenti non potessero produrre altro che le cellule per le quali erano specializzate. In
seguito ad alcuni esperimenti si è potuto verificare che le cellule staminali del midollo osseo
possono produrre, in opportune condizioni e con bassa frequenza, anche cellule muscolari,
neuroni, cellule epiteliali e del fegato. Questo comporta quindi la possibilità di ricondizionare
le cellule staminali facendo ripercorrere all’indietro, almeno in parte, il processo di
differenziamento. In altri esperimenti è stato possibile trasferire cellule staminali in embrioni
di pollo e ottenere cellule del sangue, muscolari e altre ancora. Se gli studi in questa direzione
daranno esito favorevole si potranno utilizzare cellule staminali adulte specializzate per
ottenere cellule da ricondizionare, superando il problema etico relativo all’uso delle cellule
embrionali.
L’utilizzo delle cellule staminali
L’interesse per le cellule staminali si è diffuso dopo il 2000, soprattutto per effetto
mediatico, perché, dal punto di vista scientifico, gli studi relativi risalgono a parecchi anni
prima. Già dagli anni ’60-’70, infatti, sono state utilizzate nelle terapie salvavita nel caso di
leucemie e la scoperta delle cellule staminali del sistema nervoso risalgono al 1991.
Attualmente le cellule staminali vengono utilizzate a scopo terapeutico nel trapianto di
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midollo osseo per la cura delle malattie ematiche, nel trapianto di epidermide in seguito a
lesioni e ustioni e nel trapianto di cornea. Gli studi in corso sono rivolti alla messa a punto di
protocolli terapeutici per numerose altre malattie, quali il morbo di Parkinson, l’Alzheimer, il
diabete, le malattie cardiache e la paralisi.
Condizioni indispensabili perché l’utilizzo delle cellule staminali sia efficace dal punto
di vista terapeutico devono verificarsi le seguenti condizioni:
x le cellule staminali devono essere estratte da un tessuto facilmente accessibile senza
danni per l’individuo
x devono essere isolate in numero sufficiente o fatte riprodurre in vitro senza perdita
della loro staminalità
x devono essere trasferite all’organo bersaglio in modo efficace
x devono essere in grado di mantenere le loro caratteristiche e di riprodursi in modo da
sostituire il tessuto danneggiato e ripristinare le funzioni alterate dalla malattia.
Le cellule staminali cerebrali
Nel passato si riteneva che i percorsi delle fibre nervose fossero qualcosa di fissato e
immutabile e che le cellule nervose non fossero in grado di riprodursi una volta terminato lo
sviluppo; oggi sono note le nicchie delle cellule staminali, il luogo dove queste crescono e che
influenza lo sviluppo delle cellule stesse. Nel sistema nervoso le staminali si dividono una
volta ogni 28 cicli, ma la produzione di nuove cellule nervose avviene però solo in alcune zone.
Per il tessuto nervoso funzionano bene le cellule staminali fetali estratte da embrioni
tra la 6° e la 15°settimana. Nel cervello umano le staminali tappezzano le cavità dei ventricoli.
Le cellule del cervello, sottoposte a opportuni trattamenti, possono essere indotte a credere
che si sia verificato un danno e quindi si attivano per cercare di compensarlo; vengono
prodotte cellule staminali e cellule mature; queste ultime verranno distrutte per conservare
solo le staminali primitive utilizzabili per il trapianto. Anche nei bulbi olfattivi ci sono delle
cellule staminali di tipo nervoso.
Ci sono alcuni trapianti di cellule staminali che non richiedono il ripristino di
connessioni specifiche, come nel caso del morbo di Parkinson che richiede solo l’incremento
nella produzione di dopamina e quindi la precisa localizzazione delle cellule staminali nel
tessuto cerebrale non è rilevante.
Le lesioni del sistema nervoso a livello del midollo richiedono invece una guida da
seguire e per questo vengono utilizzati dei polimeri di supporto che vengono poi gradualmente
riassorbiti. In questo modo è possibile ricostruire dei nervi sintetici. Gli oligodendrociti
producono la mielina e nel caso della sclerosi multipla, dove questo sistema si altera, si
interviene con trasfusione di cellule staminali.
Si possono produrre topi con sclerosi multipla attraverso iniezione di mielina, verso la
quale l’animale scatena una risposta immunitaria, distruggendo, di conseguenza, anche la
propria. Attraverso il trattamento successivo con cellule staminali si sono ottenuti
miglioramenti considerevoli con un recupero quasi completo della capacità motoria
danneggiata dalla malattia. Esperimenti analoghi sono stati fatti con cellule umane sulle
scimmie con discreti risultati.
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LE MALATTIE RARE
di Serena Dottore, Federica Palmerini e Carla Tartaglia
L’ABC DELLA GENETICA
L’organismo umano è formato da circa 100 mila miliardi di cellule. Ognuna di esse
presenta un nucleo nel quale sono racchiusi i cromosomi, formati da lunghi filamenti di DNA.
Il DNA contiene e trasmette tutte le informazioni ereditarie. L’intero patrimonio
genetico di un organismo è detto genoma e la sua unità funzionale è il gene.
La struttura del DNA
Il DNA, acido deossiribonucleico, è formato da due filamenti, disposti a doppia elica,
ciascuno dei quali è caratterizzato dalla successione casuale di nucleotidi formati da una
molecola di zucchero, da un acido fosforico e da una base azotata scelta tra le quattro possibili,
chiamate Adenina (A), Guanina G), Citosina (C) e Timina (T). I due filamenti della doppia
elica sono complementari e le basi azotate si appaiano sempre nello stesso modo: A con T e C
con G.
Il DNA ha la capacità di duplicarsi; quando una cellula si divide i due filamenti si
separano per permettere la sintesi di un filamento complementare ed avere, alla fine del
processo, due molecole di DNA identiche a quella di partenza.
I cromosomi
I cromosomi sono formati da filamenti di DNA, ripetutamente spiralizzato, che assume
la forma di bastoncini visibili durante la divisione cellulare. Normalmente in ogni cellula
umana esistono 46 cromosomi, dei quali 23 sono ereditati dalla madre e 23 dal padre. Due di
questi cromosomi sono detti sessuali: il cromosoma X e Y. Le femmine possiedono una coppia
di cromosomi X, mentre i maschi possiedono un cromosoma X e un cromosoma Y.
Le altre 22 coppie di cromosomi non sessuali, detti autosomi, sono uguali due a due.
Questo fa si che ciascun gene sia presente in due copie, una materna e l’altra paterna,
Non sempre gli alleli sono uguali fra loro, anzi molto spesso presentano delle differenze.
Gli alleli sono quindi versioni diverse dello stesso gene. Fanno eccezione i geni contenuti nel
cromosoma X e Y, che sono presenti in una sola copia nel maschio, in due copie nella femmina.
I geni
All'interno di ciascun cromosoma si trovano migliaia di geni. Ognuno è un segmento di
DNA che contiene le istruzioni per fabbricare una proteina. I geni sono le unità funzionali del
patrimonio genetico. Si stima che nel genoma umano esistano 30-40 mila geni, i quali
rappresentano solo il 3 per cento circa di tutto il DNA umano. La maggior parte del DNA non
codifica per alcuna proteina, e la sua funzione non è ancora del tutto chiara.
LE MALATTIE GENETICHE
Trasmissione delle malattie genetiche
Le malattie genetiche sono causate da alterazioni nel DNA di un individuo. Possono essere
acquisite o ereditarie se l’alterazione del DNA viene trasmessa alle generazioni successive. Le
malattie causate da difetti in un solo gene si dicono monogeniche, mentre se i geni alterati
sono più di uno la malattia è poligenica. Se a causare la malattia intervengono anche fattori
ambientali, si parla di malattia multifattoriale.
Le malattie genetiche ereditarie si possono trasmettere secondo diverse modalità:
x Eredità monogenica o mendeliana: per le malattie dovute all'alterazione di un singolo
gene.
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x Eredità multifattoriale: dovuta al concorrere di più geni e all'intervento di fattori
ambientali.
x Eredità cromosomica: per le malattie causate da alterazioni nel numero e nella
struttura dei cromosomi.
x Eredità mitocondriale: per le malattie causate da alterazioni genetiche nel DNA dei
mitocondri.
Ereditarietà monogenica
Molte malattie ereditarie dell'uomo sono determinate da mutazioni in singoli geni e sono
quindi trasmesse come caratteri monogenici. In questo le malattie monogeniche si
differenziano da quelle multifattoriali, ma questa distinzione non è così netta, perché molte
malattie monogeniche presentano sintomi che variano, per tipo e gravità, da individuo a
individuo, spesso per la presenza di geni modificatori diversi. Le malattie monogeniche si
possono trasmettere con tre modalità diverse:
x Autosomica dominante
x Autosomica recessiva
x Legata al cromosoma X
Eredità multifattoriale
La maggior parte delle caratteristiche fisiche di un individuo, come il colore degli occhi o
l’altezza è determinata dall'intervento di più geni, che spesso interagiscono con l'ambiente.
Nelle malattie multifattoriali l'eredità è complessa e difficilmente prevedibile perché non
si eredita la malattia, ma la predisposizione ad ammalarsi e la malattia è determinata da un
insieme di fattori genetici e ambientali.
Sono molte le malattie che vengono ereditate come caratteri multifattoriali, fra queste il
diabete mellito giovanile e le malattie autoimmuni.
Eredità cromosomica
Le malattie causate da anomalie cromosomiche sono tra le più importanti cause di morte
prenatale o di malattie congenite. Derivano da variazioni nel numero dei cromosomi o da
alterazioni nella loro struttura. Le più frequenti alterazioni numeriche sono le trisomie nelle
quali è presente un cromosoma in più in ciascuna cellula, come nel caso della sindrome di
Down (trisomia del cromosoma 21) o le monosomie nelle quali manca un cromosoma (come la
sindrome di Turner). Tra le alterazioni della struttura dei cromosomi vi sono la delezione, la
duplicazione o l’inversione di un segmento cromosomico e la traslocazione che consiste nel
trasferimento di porzioni tra cromosomi diversi. Se in quest’ultimo processo, non viene perso
DNA la traslocazione è detta bilanciata e gli individui che ne sono portatori sono clinicamente
normali, ma rischiano di dare alla luce figli con anomalie cromosomiche.
Eredità mitocondriale
I mitocondri (le centrali energetiche della cellula) sono dotati di un proprio DNA, con
caratteristiche molto diverse da quello nucleare (cioè quello contenuto nei cromosomi). Il DNA
mitocondriale contiene l'informazione per la fabbricazione di proteine importanti per
funzionamento del mitocondrio.
Le alterazioni nel DNA mitocondriale si trasmettono solo per via materna. Questo perché
i mitocondri dell'embrione derivano tutti dalla cellula uovo.
Non tutte le malattie mitocondriali dipendono da alterazione nel DNA dei mitocondri.
Molte sono dovute ad alterazioni in geni nucleari e si trasmettono come malattie monogeniche.
COSA SONO LE MALATTIE RARE
Le malattie rare sono condizioni morbose poco frequenti, ma anche poco conosciute, poco
studiate e spesso mancanti di una terapia adeguata. Sono spesso chiamate "malattie orfane"
perché poco appetibili alla ricerca sperimentale e clinica. La peculiarità delle malattie rare
risiede nel fatto che esse richiedono un’assistenza specialistica e continuativa di dimensioni
tali da non poter essere supportata senza un importante intervento pubblico.
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La rarità della malattia comporta un minor interesse della ricerca, sia per le cause che la
determinano che per la sua patologia, una maggiore difficoltà nel descrivere la storia naturale
con le sue possibili varianti, nel progettare ricerche cliniche, ma anche un minor mercato
capace di ammortizzare i costi di una ricerca farmacologica specifica ed una scarsa diffusione
delle conoscenze, comunque disponibili, nella pratica corrente.
I soggetti affetti si trovano, pertanto, in una situazione di doppio danno: il primo
derivante dall’essere affetto da una patologia quasi sempre molto severa e il secondo dal non
essere riconosciuti, diagnosticati e curati per quanto si potrebbe.
Le malattie rare costituiscono un gruppo eterogeneo di affezioni caratterizzate solo dalla
comune bassa prevalenza. Esse possono venire a comprendere un numero diversificato di
malattie a seconda di quale sia la frequenza nella popolazione. Vengono definite rare le
malattie che hanno una prevalenza inferiore a 5 casi ogni 10.000 abitanti nell'insieme della
popolazione comunitaria. Viene definita patologia rara nel Piano Sanitario Nazionale una
patologia o affezione con incidenza variabile da 1 su 20.000 a 1 su 200.000 abitanti.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità considera almeno 5.000 le malattie e le sindromi che
si possono considerare rare pari al 10% del totale delle malattie conosciute. Di queste la
maggioranza sono malattie causate da un’anomalia genetica. Molte malattie sono rare in
alcune aree geografiche o in alcune popolazioni e più frequenti in altre per ragioni legate a
fattori genetici, alle condizioni ambientali, alla diffusione di agenti patogeni, alle abitudini di
vita.
Nelle classificazioni più ampie di malattie rare si ritrovano gruppi molto eterogenei di
patologie:
x un primo gruppo rappresentato da malattie su base genetica o supposta tale, molto
rare, con incidenza alla nascita inferiore a 1 su 10.000 nati,
x un secondo gruppo di malattie relativamente frequenti, come le leucemie, varie forme
di tumori del bambino e dell'adulto, e patologie infettive come l'AIDS, la sifilide
acquisita, ecc.,
x un terzo gruppo di patologie tipiche della senescenza, di diffusione sempre più ampia,
come l'Alzheimer, il Parkinson, ecc.
Le caratteristiche
Rarità: da essa dipende la difficoltà di ottenere una diagnosi appropriata e tempestiva e
un trattamento idoneo. la rarità incide sulla possibilità della ricerca chimica in quanto la
valutazione di nuove terapie è spesso resa difficoltosa dall’ esiguo numero di pazienti
arruolabili nei trial clinici.
Numerosità: nel loro insieme le Malattie Rare rappresentano circa il 10% delle
patologie umane e interessano complessivamente una frazione importante della popolazione,
ciò motiva interventi di sanità pubblica comuni e coordinati.
Natura genetica: la maggior parte di queste patologie è geneticamente determinata e
ciò induce a comuni approcci di prevenzione (individuazione dei fattori di rischio, screening dei
portatori, ecc.), di diagnosi (diffusione e validazione delle tecniche di genetica molecolare e
citogenetica).
Contenuto emotivo dei pazienti e dei loro familiari: i pazienti e dei loro familiari
vivono un'esperienza doppiamente dolorosa rappresentata dalla malattia e dalla condizione di
solitudine, legata alla scarsità di conoscenze scientificamente disponibili e professionalmente
utilizzabili. Un primo passo per migliorare l’assistenza ai malati con malattie rare è la
valutazione della frequenza di tali patologie.
Le patologie rare sono frequentemente croniche ed invalidanti. Per la loro natura
comportano difficoltà diagnostiche che spesso richiedono indagini specifiche, a volte, non
disponibili nel territorio nazionale. Il trattamento può richiedere l’impiego di farmaci
cosiddetti orfani in quanto non previsti dal prontuario terapeutico nazionale e la maggior
parte dei medicinali sono estremamente costosi.
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Molte patologie inoltre richiedono trattamenti e presidi riabilitativi. Per alcune di esse è
possibile la prevenzione attraverso specifiche indagini genetiche e screening di massa. Al
momento non esistono stime sull’ entità del carico assistenziale necessario per la prevenzione
e la cura delle malattie rare in territorio piemontese.
I Farmaci Orfani
I Farmaci Orfani sono quei prodotti farmaceutici, potenzialmente utili per il trattamento
di una Malattia Rara, che non hanno mercato sufficiente per ripagare le spese di ricerca e
produzione. La bassa incidenza di queste malattie si traduce in un grande deficit di capacità
diagnostica e terapeutica.
LA NORMATIVA
Il Ministero della Salute ha stabilito forme di tutela per le persone affette da “malattie
rare" attraverso il Decreto Legislativo n.124 del 1998 e ha elaborato un Regolamento mediante
l’attuazione del Decreto Ministeriale 18 maggio 2001, n.279 che prevede l'istituzione di una
Rete nazionale dedicata alle malattie rare.
Il Regolamento (Decreto Ministeriale 18 Maggio 2001, n.279):
x Istituisce una Rete nazionale dedicata alle "malattie rare" mediante la quale sviluppare
azioni di prevenzione e sorveglianza, migliorare gli interventi volti alla diagnosi e alla terapia
e promuovere l'informazione e la formazione. La rete è costituita da Presidi accreditati
individuati dalle Regioni: sono Centri abilitati ad erogare prestazioni finalizzate alla diagnosi
ed al trattamento delle malattie rare.
x Istituisce il Registro nazionale delle Malattie Rare presso l'Istituto Superiore di Sanità
al fine di ottenere a livello nazionale un quadro complessivo della diffusione delle malattie
rare e della loro distribuzione sul territorio.
x Individua 284 malattie e 47 gruppi di malattie rare per le quali si prevede l'esenzione
dalla partecipazione al costo delle correlate prestazioni sanitarie. Sono esentate le prestazioni
effettuate presso i Presìdi della rete individuate dal regolamento. Per i soggetti riconosciuti
affetti da malattia rara è prevista l'esenzione per tutte le prestazioni efficaci ed appropriate al
trattamento ed al monitoraggio della malattia e per la prevenzione degli ulteriori
aggravamenti.
Normative europee per le malattie rare
Le principali normative europee riferite alle malattie rare sono:
- Estratti dalla Decisione No 1400/97/del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30
Giugno 1997 per un programma di monitoraggio della salute nel quadriennio 1997 2001.
- Estratti dalla Disposizione N. 1295/1999/EC del Parlamento Europeo e del
Consiglio del 29 Aprile 1999 per adottare un programma di azione
comunitaria sulle malattie rare entro le iniziative nel campo della pubblica
salute (quadriennio 1999-2003)
- Estratti dal Regolamento (EC) No 141/2000 del Parlamento Europeo e del Consiglio del
16 Dicembre 1999 sui medicinali orfani Articolo 1.
Normative italiane per le malattie rare
Le principali normative italiane riferite alle malattie rare sono:
- Estratti dal Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie
rare (sancito il 18 maggio 2001 ai sensi del decreto legislativo 29 aprile 1998,
n. 124).
- Estratto dalla illustrazione delle attività del Centro Nazionale Malattie Rare
(notiziario ISS - vol. 14 - n. 7/8 Luglio/Agosto 2001).
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UNA MALATTIA ORFANA: LA SINDROME DI RETT
La Sindrome di Rett (SR) è una malattia genetica che interessa prevalentemente le
femmine e si ritrova con particolare frequenza (10%) tra le ragazze di età inferiore ai 14 anni
affette da ritardo mentale profondo. Non tutte le bambine affette dalla sindrome presentano il
quadro completo della malattia, per cui accanto alle forme classiche (con sintomatologia e
andamento caratteristici), sono state descritte varianti con sintomatologia attenuata,
anticipata o differita, oppure con assenza di uno o più sintomi tipici.
Come si manifesta: L' arresto dello sviluppo psicomotorio e dell' accrescimento della
circonferenza cranica costituiscono i primi sintomi della malattia. Dopo uno sviluppo
apparentemente normale, la malattia si manifesta nel primo/secondo anno di vita con una
graduale perdita del linguaggio e delle abilità manuali, accompagnate da stereotipie delle
mani (che ripetono uno stesso schema di movimenti anche senza ragione apparente),
microcefalia acquisita (testa più piccola rispetto al resto del corpo), rallentamento della
crescita, convulsioni, atassia della marcia (disturbo di coordinazione del movimento) e del
tronco (alterazioni del controllo del busto), disturbi respiratori (iperventilazione ed apnee),
tratti autistici incostanti e comunque temporanei. Segue un periodo di regressione con perdita
di interesse per l' ambiente e le persone, perdita di abilità manuali e linguistiche già acquisite,
comparsa di movimenti ripetuti delle mani portate alla bocca o al petto (stereotipie tipo
lavaggio, applauso, sfregamento, preghiera). Questi disturbi possono presentarsi lentamente
in forma subdola o comparire in modo drammatico ed evidente. Dopo questo periodo di
regressione, solitamente la malattia si stabilizza: le bambine recuperano le capacità di
interazione sociale, ma possono intervenire altri disturbi neurologici (convulsioni, alterazioni
respiratorie di origine centrale) e fisici (scoliosi, osteoporosi, stipsi, difficoltà alimentari). Come
già detto la SR colpisce le femmine, nelle quali la malattia appare tra i 6 ed i 18 mesi di vita.
Nei pochi casi di Rett maschile descritti, la sintomatologia non appare mai nella forma
classica. Secondo alcuni autori nel maschio la malattia potrebbe manifestarsi in grado assai
più grave, con decesso nel primo anno di vita, cosa che ne renderebbe ancora più problematico
il riconoscimento.
Le cause: Ci sono molti studi finalizzati alla ricerca genetica sulle cause della SR.
Recentemente sono state identificate mutazioni di un gene, localizzato nel cromosoma X. Nella
stragrande maggioranza dei casi la mutazione, allo stato attuale delle conoscenze, appare in
forma sporadica. Nei casi familiari, considerando l’interessamento quasi esclusivo del sesso
femminile e la letalità precoce nei maschi, resta valida l’ipotesi di una malattia a modalità di
trasmissione dominante, legata al cromosoma X. Secondo questa ipotesi, i maschi con la
mutazione nel cromosoma X presenterebbero la malattia in forma molto più grave delle
femmine (ricordiamo che i maschi hanno un solo cromosoma X, mentre le femmine ne
possiedono una coppia); per questo motivo solo pochi maschi vivi presenterebbero la malattia.
L’alterazione genica è stata identificata in circa l’80% delle femmine con diagnosi clinica,
pertanto la diagnosi genetica è molto affidabile.
Come si trasmette: Nelle casistiche fino ad oggi studiate la malattia generalmente
appare in forma sporadica. Esistono peraltro casi familiari molto più rari. Lo studio dei
gemelli ha consentito di verificare una concordanza per la malattia pressoché sistematica nelle
gemelle monozigoti ed una discordanza assoluta in quelle eterozigoti. Esistono casi di
trasmissione madre-figlia e alcune famiglie nelle quali sono state identificate più femmine
affette. E’ chiaro, quindi, che esiste una base genetica per la SR, ma non sono note le precise
modalità di trasmissione ereditaria.
La diagnosi: la diagnosi, pur essendo più difficoltosa all'esordio e nelle forme varianti, è
agevolata dalla conoscenza della storia naturale della malattia, che la rende assolutamente
specifica e permette di differenziarla da patologie con sintomi simili. Non esiste al momento
una terapia specifica in grado di guarire le persone affette dalla SR. Esistono però terapie
sintomatiche che possono mantenere e sviluppare le abilità residue e migliorare la qualità
della vita delle bambine e delle famiglie.
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GENI E CROMOSOMI
di Daniele Dragano e Alessandra Gangai
La struttura della cellula
La cellula rappresenta l'unità organizzativa fondamentale degli organismi viventi: è
infatti la più piccola unità di un organismo in grado di funzionare in modo autonomo. Ogni
cellula è delimitata spazialmente da una membrana esterna, la membrana cellulare, che ha la
funzione di separare il contenuto della cellula dall'ambiente esterno e regola i flussi di
sostanze in entrata e in uscita dalla cellula grazie alla sua permeabilità selettiva. All'esterno
della membrana cellulare, le cellule di vari organismi (batteri, vegetali, funghi) sono
ulteriormente delimitate dalla parete cellulare, che svolge una funzione essenzialmente
strutturale. All'interno della cellula vi è il citoplasma, una sostanza fluida, ad elevato
contenuto d'acqua, che contiene una varietà di molecole e di strutture specializzate dette
organelli.
Esistono tuttavia due tipi di cellule, fondamentalmente distinti per il loro diverso grado
di complessità organizzativa. Le cellule degli organismi procarioti (dal greco pro-,”prima di” e
karion, “nucleo”) sono di dimensioni più piccole, con il diametro generalmente compreso tra 1
e 5 µm, e hanno una struttura interna molto semplice; il loro materiale genetico non è
separato dal citoplasma per mezzo di una membrana. Un esempio di organismi procarioti sono
i batteri.
Le cellule degli organismi eucarioti (dal greco eu, “bene” e karion, “nucleo”) hanno invece.
dimensioni maggiori con diametro tra 10 e 50 µm, e il loro materiale genetico è racchiuso
all'interno di una membrana, detta involucro nucleare, che delimita il nucleo. Il materiale
genetico, che contiene le informazioni ereditarie, dirige l'attività della cellula e le consente di
trasmettere le sue caratteristiche ai suoi discendenti. Le cellule umane sono di tipo eucariote.
Il DNA
L'ereditarietà biologica, ovvero il processo di trasmissione di caratteri individuali dai
genitori ai loro discendenti, è stata da sempre oggetto di stupore. Tuttavia, solo nella seconda
metà del diciannovesimo secolo, grazie agli studi effettuati da Mendel, si è iniziato a chiarire il
funzionamento dei meccanismi ereditari. Mendel dimostrò che le caratteristiche ereditate
vengono trasmesse come unità discrete, dette geni, che si distribuiscono secondo determinate
regole da una generazione all'altra.
I geni degli organismi eucarioti sono localizzati nei cromosomi, strutture complesse
formate da proteine e da una macromolecola detta acido desossiribonucleico o DNA. La
struttura del DNA, scoperta negli anni '50 da Watson e Crick, e paragonabile a una scala a
pioli avvolta a spirale. I montanti della scala sono formati da un'alternanza di molecole di
zucchero (desossiribosio) e di fosfato, mentre i pioli sono costituiti da quattro basi azotate:
adenina (A), citosina (C), guanina (G), timina (T). Ogni piolo è formato da due basi e ogni base
è legata a un'unità zucchero-fosfato. Le basi appaiate sono legate fra loro da legami idrogeno e,
per la loro struttura, l'adenina può appaiarsi solo con la timina e la citosina solo con la
guanina. L'insieme di una base e dell'unità zucchero-fosfato si chiama nucleotide. Il DNA è
quindi una catena di nucleotidi.
La sequenza di tre nucleotidi, o tripletta, rappresenta l’unità su cui si basa il codice
genetico: nella sintesi delle proteine, ad ogni tripletta, corrisponde un dato amminoacido.
Le sequenze di basi contenute nel DNA costituiscono l'informazione necessaria per
l'attività vitale della stessa e il DNA è in grado di autoreplicarsi, consentendo così il passaggio
dell'informazione genetica da una cellula a un'altra.
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Il genoma umano
Tutto il DNA di un organismo costituisce il suo genoma. Negli ultimi anni il genoma di
molti organismi, tra cui l’uomo, è stato decodificato, cioè è stata definita la sequenza
nucleotidica che lo compone. Solo in parte, però, si è riusciti ad interpretare e a tradurre le
informazioni ricavate e il lavoro da svolgere è ancora grandissimo.
Mentre nei procarioti tutto il genoma è presente come sequenze uniche, negli eucarioti è
presente anche in sequenze ripetute; in particolare il genoma umano è costituito dal 64% di
DNA a sequenze uniche, il 25% di DNA a sequenze moderatamente ripetute e il 10% di
sequenze altamente ripetute che tendono a essere localizzate in regioni specifiche dei
cromosomi.
Le unità funzionali del genoma sono i geni, caratterizzati da particolari sequenze di basi.
Solo il 3% circa del nostro DNA contiene informazioni che vengono tradotte in proteine
attraverso la sintesi proteica, tutto il resto ha funzione di regolazione o altre funzioni non
ancora note.
Anche i geni che si esprimono sono a loro volta formati da regioni codificanti, gli esoni,
alternate a regioni non codificanti, gli introni.
I cromosomi
Nelle cellule degli eucarioti il DNA, contenuto nella cellula, è associato a proteine e
suddiviso in filamenti chiamati cromosomi.
L’intero DNA genomico è presente nel nucleo di tutte le cellule e dal momento che la
lunghezza totale del nostro DNA, in ogni cellula, è di circa 2 metri e il diametro del nucleo è di
soli 5-10µm, la doppia elica deve essere compattata di almeno 100.000 volte. Il livello più
semplice di impacchettamento è il nucleosoma costituito da un ottamero di proteine istoniche
attorno alle quali è avvolta la doppia elica. Questa struttura a forma di collana di perle, dove
il filo è il DNA fra due nucleosomi successivi e la perle sono i nucleosomi stessi è ulteriormente
avvolto su se stessa per formare una struttura solenoidale; a sua volta questa struttura è
ripiegata ad anse e agganciata a una matrice proteica. Infine si formano le spirali condensate
che costituiscono i cromosomi veri e propri.
Durante la divisione cellulare i cromosomi appaiono suddivisi in due parti chiamate
cromatidi che corrispondono ai due filamenti di DNA duplicati, in attesa di essere separati. La
struttura che unisce i due cromatidi è chiamata centromero e da essa dipende la corretta
ripartizione dei cromosomi nelle cellule figlie.
Le estremità dei cromosomi sono chiamate telomeri e sono costituite dalla sequenza di
sei nucleotidi (TTAGGG) ripetute migliaia di volte. Queste strutture hanno la funzione di
impedire che i cromosomi si sfilaccino alle estremità e aiutano il sistema di riparazione delle
DNA a distinguere le semplici estremità da zone di rottura della doppia elica. Recenti studi
hanno evidenziato che i telomeri sono coinvolti nel processo di invecchiamento delle cellule.
Le proteine cromosomiche sono distinte in proteine istoniche, dotate di carica positiva
che facilita il loro legame con il DNA e che contribuiscono alla spiralizzazione della doppia
elica per formare i cromosomi, e proteine non-istoniche con funzione enzimatica, strutturale,
coinvolte nel processo di replicazione e trascrizione del DNA.
Il corredo cromosomico.
Il numero e la forma dei cromosomi sono tipici per ogni specie.
I cromosomi umani sono 46, distinti in 22 coppie, chiamati autosomi, numerati da 1 a 22
e una coppia di cromosomi sessuali detti anche autosomi. Nella donna due i cromosomi
sessuali sono uguali (XX), mentre nell’uomo sono diversi (XY). I cromosomi di ciascuna coppia
sono chiamati cromosomi omologhi.
Una cellula che presenta un corredo cromosomico costituito da coppie di cromosomi viene
definita diploide, mentre una cellula con un solo cromosoma per tipo viene chiamata aploide.
Nell’uomo tutte le cellule sono diploidi ad esclusione delle cellule della riproduzione, cioè
cellula uovo e spermatozoo.
20
Le mappe cromosomiche e i bandeggi
Per poter riconoscere e classificare i cromosomi di un individuo si costruisce la mappa
cromosomica, nella quale i cromosomi vengono disposti convenzionalmente in base alle loro
dimensioni relative e alla posizione del centromero.
L’identificazione inequivocabile dei cromosomi viene fatta utilizzando tecniche di
colorazione delle diverse regioni cromosomiche, i bandeggi. I cromosomi presentano infatti
zone più spiralizzate, geneticamente inattive e che si colorano intensamente, dette
eterocromatiche, e zone meno condensate, geneticamente attive e che si colorano più
debolmente, dette eucromatiche.
Esistono diversi tipi di bandeggio:
x le bande “Q” sono ottenute mediante l’impiego di un colorante fluorescente, la
quinacrina. Le bande meno luminose sono più ricche in adenina e timina
x le bande ”G” sono ottenute con colorante Giemsa. Le bande più scure corrispondono alle
zone ricche in adenina e timina e sono quindi complementari alle bande “Q”.
x la FISH è una tecnica di ibridazione con fluorescenza in situ che consente di colorare
sequenze specifiche e differenziare i cromosomi tra loro.
Le mutazioni
Le mutazioni cromosomiche sono delle alterazioni del DNA, a livello di un singolo gene,
della struttura di uno o più cromosomi o dell’intero genoma.
Le mutazioni possono essere spontanee o indotte; quelle spontanee possono essere dovute
ad errori nel processo di duplicazione del DNA o agli effetti non riconosciuti di agenti esterni,
quelle indotte possono essere ottenute con mutageni fisici o chimici. I fattori fisici più comuni
sono le radiazioni UV, i raggi X e i raggi DŽ che ionizzano le basi azotate modificandone la
struttura o rompono il legame zucchero-fosfato. I composti chimici mutageni agiscono sul DNA
già esistente o provocano errori nella sintesi del nuovo DNA, modificandone l’assetto e il
funzionamento.
Non sempre l’azione di mutageni porta a mutazione perché il DNA non è l’unico
potenziale bersaglio, lo sono anche RNA e proteine, e perché l’effetto mutageno è in relazione
con la dose e con l’efficacia dei meccanismi di riparazione di cui la cellula dispone.
I prodotti genici che si ottengono dopo mutazione, quando questa non li renda del tutto
privi di senso o letali, sono di solito inattivi o meno attivi degli originari e, solo raramente,
hanno attività maggiore o diversa.
Le mutazioni possono essere somatiche o germinali; quelle somatiche provocano danni
all’individuo che le porta mentre quelle germinali, che interessano le cellule riproduttive,
possono ripercuotersi sulla discendenza.
Le mutazioni possono essere di tre tipi: genomiche, cromosomiche e geniche.
Mutazioni genomiche
Le mutazioni genomiche consistono in una variazione del numero dei cromosomi dovuta
a perdita o aggiunta di interi cromosomi. Si distinguono in:
x Aneuploidie: sono piuttosto dannose e si verificano quando ad un organismo viene a
mancare, oppure viene aggiunto, un particolare cromosoma (trisomia 21 o sindrome di Down,
trisomia 13 o sindrome di Patau, trisomia 18 o sindrome di Edwards, XO o sindrome di
Turner); tali alterazioni sono compatibili con la vita solo per cromosomi di piccole dimensioni e
con pochi geni espressi.
x Poliploidie: compaiono quando si aggiungono uno o più corredi cromosomici completi.
In questo modo un individuo si trova a possedere, all’interno dei nuclei delle sue cellule, un
corredo cromosomico triplo o quadruplo.
Mutazioni cromosomiche
Interi pezzi di cromosomi vengono casualmente eliminati o si fondono con altri già
presenti. I geni si vengono così a trovare in una posizione diversa da quella originale. Dato che
21
la regolazione dell’attività di un gene dipende, in parte, dalla sua localizzazione nel genoma, le
mutazioni cromosomiche hanno generalmente, effetti drammatici. Si evidenziano questi tipi di
mutazioni:
x
delezioni: consistono nella perdita di una porzione di cromosoma
x
duplicazioni: si verificano quando una parte di cromosoma viene duplicato ed è
quindi presente nella cellula in triplice copia
x
inversioni: sono dovute a pezzi di cromosoma che si staccano e si inseriscono nel
cromosoma in posizione capovolta
x
traslocazioni: sono scambi di materiale cromosomico tra cromosomi non omologhi
x
fusione centrica: consiste nella fusione tra due cromosomi con perdita di un
centromero
x
dissociazione centrica: fenomeno inverso alla fusione; in questo caso da un
cromosoma se ne ottengono due con formazione di un nuovo centromero.
Mutazioni geniche
Le mutazioni geniche o puntiformi consistono in cambiamenti nella sequenza delle basi
con conseguente alterazione dell’informazione genetica contenuta. Le mutazioni puntiformi
comprendono le sostituzioni, le delezioni e le inserzioni.
x
la sostituzione di una base può avvenire per errore di appaiamento durante la
duplicazione del DNA e questo può provocare una mutazione sinonima, se la tripletta
modificata codifica per lo stesso amminoacido di quella originaria, una mutazione missense, se
l’aminoacido inserito è diverso, una mutazione non-senso, se la tripletta non codifica per alcun
aminoacido o una mutazione di allungamento se la tripletta nuova sostituisce una di
interruzione del messaggio.
x
La delezione, cioè la perdita di una base, o l’inserzione, cioè l’aggiunta di una base,
determinano uno spostamento della lettura del codice genetico, perché, dal quel punto in poi,
cambieranno tutte le triplette e il messaggio codificato sarà completamente diverso.
E’ importante ricordare che le mutazioni possono essere anche silenti,cioè non avere
alcun effetto. Questo si verifica quando:
x la mutazione avviene in un gene che codifica per una proteina non indispensabile
x il gene mutato non si esprime
x la mutazione forma una tripletta che codifica per lo stesso amminoacido
x la mutazione viene soppressa da un’altra mutazione
x l’amminoacido mutato non altera la funzione della proteina
I cicli biologici, la replicazione semiconservativa del DNA con il mantenimento di un
filamento originario, la segregazione etc. predispongono diverse barriere alla fissazione delle
mutazioni, le quali si stabilizzano con con tassi non elevati.
Per tasso di mutazione si intende la probabilità che una mutazione abbia luogo e si fissi
in un genoma di una dimensione data e in un tempo definito. La maggior parte delle
mutazioni sono dannose per l’organismo e il portatore di una mutazione sfavorevole, quasi
sempre, muore prima di riprodursi. La selezione naturale, quindi, tende a sottrarre geni
alterati all’ambiente.
Nonostante i problemi che possono causare, le mutazioni sono state di fondamentale
importanza per l’evoluzione; senza di esse non si sarebbe potuti sviluppare dalle più semplici
forme di vita organismi sempre più complessi.
22
I TERMINI DELLA GENETICA
Nome
Cos’ è
Basi
azotate
Adenina A, timina T, citosina L'adenina si lega
C e guanina G.
alla timina, con
ponti
idrogeno.
guanina si lega solo
citosina.
solo
due
La
alla
La successione di
tre basi azotate
forma
una
"
tripletta ".
Cromatina
Sostanza
colorabile, Per il 50% da proteine e
contenuta nel nucleo delle per il restante 50% dal
cellule
eucariote.
Meno DNA.
condensata
che
nei
cromosomi forma nel nucleo
una
trama
reticolare
colorabile
con
coloranti
basici.
Contiene
le
informazione
genetiche,
ed
è
visibile quando la
cellula è a riposo.
Cromosomi
Organelli presenti nel nucleo,
con
tipica
forma
a
bastoncino, con dimensioni
dell'ordine delle decine di
micrometri,
visibili
solo
durante la fase di divisione
cellulare.
Sono formati da una
lunghissima molecola di
DNA superavvolta e
condensata grazie agli
istoni
e
altre
nucleoproteine.
Presenti
in
un
numero costante e
tipico di ogni specie
sono
sede
del
genoma.
Sigla
di
Acido
Desossiribonucleico. E' la più
grande molecola naturale
presente negli esseri viventi,
ed è formato dalla ripetizione
di 4 diverse unità più piccole
chiamate nucleotidi. In una
molecola di DNA vi sono
migliaia di nucleotidi. Se
srotolato, il DNA complessivo
dei 46 cromosomi umani,
raggiungerebbe i 3 metri di
lunghezza.
E' costituito da due
lunghi
filamenti
complementari avvolti a
formare una "doppia
elica", che viene spesso
paragonata a una scala
a
chiocciola.
La
ringhiera della scala è
costituita da molecole di
acido fosforico che si
alternano a molecole di
desossiribosio. I gradini
della scala sono formati
dalla base azotata di un
filamento legata alla
base azotata dell'altro
filamento.
Responsabile della
trasmissione
ed
espressione
dei
caratteri ereditari,
mediante
la
duplicazione e la
sintesi proteica.
DNA
Come è fatto
23
Funzioni
Genoma
Istoni
Il genoma o patrimonio
genetico
è
un
codice
molecolare costituito dalla
successione delle triplette di
basi
azotate.
Ogni tripletta è una lettera
dell'alfabeto genetico.
A
una
determinata
sequenza di triplette
corrisponde
una
particolare sequenza di
amminoacidi e perciò
una particolare proteina.
Piccole e particolari proteine, Raggruppati in gruppi di Permettono al DNA
presenti solo nel nucleo delle 4, formano i nucleosomi di
ripiegarsi
e
cellule eucariote
avvolgersi
ripetutamente su se
stesso.
Unità
fondamentale
di E'
formato
da
un
di
DNA,
condensazione
della filamento
avvolto attorno ad un
cromatina.
nucleo proteico centrale
costituito da 8 istoni
Nucleosoma
Nucleotide
Tripletta
Il codice genetico è
universale:
una
certa
tripletta
codifica lo stesso
amminoacido
in
qualsiasi vivente.
Sottounità del DNA. Esistono
4 tipi di nucleotidi, che
differiscono tra loro solo per
la base azotata.
E' formato da tre parti:
1) una molecola di
desossiribosio (zucchero
a 5 atomi di carbonio)
2) una molecola di acido
fosforico.
3) una base azotata.
Attaccati al DNA ,
ne permettono un
complicato
avvolgimento
e
ripiegamento su se
stesso. Il DNA può
essere contenuta in
un nucleo di pochi
micrometri
di
diametro.
La
sequenza
specifica
dei
nucleotidi
determina il codice
genetico
E’ l’unità di lettura del codice La tripletta o " codone " Ad ogni tripletta
genetico
è la successione di tre corrisponde, nella
basi azotate
sintesi proteica, un
preciso
amminoacido.
24
PROGETTO GENOMA
di Laura Caridi
INTRODUZIONE
Il Progetto Genoma Umano è un progetto internazionale di ricerca che ha come
obiettivo la mappatura del patrimonio genetico umano, ovvero l’identificazione della struttura,
della posizione e della funzione dei circa 30000 geni che caratterizzano la specie umana.
Lo studio del genoma implica il sequenziamento del DNA, cioè l’identificazione
dell’esatta sequenza dei 3 miliardi di coppie di basi azotate che ne compongono la molecola e la
mappatura, ovvero la determinazione della posizione occupata da ciascun gene rispetto agli
altri.
La comprensione della funzione del gene e di quali malattie possano derivare dalle sue
alterazioni costituisce l’obiettivo finale del progetto.
Il progetto genoma umano fu avviato nel 1990 con il coinvolgimento di istituti di ricerca
pubblici coordinati dal National Institutes of Health, e dal Dipartimento dell’energia degli
Stati Uniti. La sua conclusione, prevista inizialmente nel 2005, fu in seguito anticipata nel
2003.
Tra gli stati partecipanti vi sono la Francia, la Germania, il Giappone, l’Italia (solo per
la prima parte del progetto), la Gran Bretagna e altri membri dell’unione europea.
L’idea di intraprendere uno studio coordinato del genoma umano sorse tra il 1985 e il
1987, nel corso di una serie di congressi scientifici internazionali. Nel 1988 due istituzioni
governative statunitensi, National Institutes of Health, e Dipartimento dell’Energia,
stanziarono i fondi necessari e formalizzarono la loro collaborazione con un documento in cui si
proponevano di coordinare la ricerca e le procedure tecniche per lo studio del genoma umano.
’avvio delle ricerche si ebbe nel 1990, quando fu pubblicato un piano quinquennale degli
istituti coinvolti; tra gli obbiettivi, erano indicati il sequenziamento e la mappatura di
organismi comunemente impiegati nei laboratori di ricerca genetica e della specie umana, la
diffusione dei dati tra i vari centri e lo sviluppo delle tecnologie di laboratorio.
In realtà, nel 1993, prima dello scadere dei cinque anni, poiché erano stati compiuti
molti progressi in tempi più rapidi del previsto ed erano state elaborate nuove efficienti
procedure sperimentali, il piano quinquennale originario fu rivisto e aggiornato; la scadenza fu
prorogata al 1988 e furono aggiunte nuove finalità, tra cui la ricerca di marcatori genetici e la
messa a punto di nuove tecniche di mappatura. Nel 1988 un nuovo accordo quinquennale tra
National Institutes of Health, e Dipartimento dell’energia fissò al 2003 il completamento del
lavori e aggiunse all’obiettivo originario anche quello dello studio della variabilità genetica del
genoma umano e della sua funzione.
Uno dei primi direttori del progetto fu il biochimico statunitense James Watson che, con il
biofisico britannico Francis Crick, elaborò lo storico “modello a doppia elica” del DNA.
Attualmente il progetto è coordinato dal medico statunitense Francis Collins.
REALIZZAZIONE DEL PROGETTO
Il genoma umano
Il termine genoma definisce l’insieme di tutto il materiale genetico di un organismo
vivente.
Il genoma umano è composto da circa 35.000 geni, localizzati su 23 coppie di cromosomi
presenti nel nucleo di ciascuna cellula. Ogni gene è formato da un tratto di molecola di DNA, e
contiene una sequenza di coppie di base azotate. Diversi geni si trovano sui cromosomi,
strutture osservabili nelle cellule al momento della divisione (mitosi). Un singolo cromosoma
25
può arrivare a contenere più di 250 milioni di coppie di basi, mentre l’intero genoma umano,
secondo alcune stime, è costituito da circa 3 miliardi di coppie di basi.
Il DNA analizzato dal progetto Genoma Umano proviene da piccoli campioni di sangue
o di altri tessuti, ottenuti da individui diversi per sesso ed etnia. Benché i geni del patrimonio
genetico di ciascun individuo siano costituiti da sequenze uniche di DNA, la variazione media
del genoma di due persone diverse risulta essere inferiore all’1%. Quindi rispetto alle
somiglianze le differenze tra i campioni di DNA ottenute da fonti diverse si possono
considerare estremamente ridotte.
Tecniche di mappatura
Esistono due tipi fondamentali di tecniche per la mappatura dei geni: la mappatura
genetica e la mappatura fisica.
La mappatura genetica identifica solo l’ordine relativo dei geni lungo ciascun
cromosoma; la mappatura fisica localizza la posizione esatta dei geni sui cromosomi e ne
determina le distanze reciproche. Entrambi questi metodi fanno uso di marcatori genetici,
ossia particolari caratteri fisici e biochimici che variano tra gli individui.
Il metodo di mappatura genetica fu sviluppato agli inizi del XX secolo dal biologo e
genetista Morgan. Osservando la frequenza con cui alcuni caratteri venivano trasmessi
associati in numerose generazioni di moscerino della frutta, Morgan giunse alla conclusione
che i tratti più frequentemente ereditati in modo associato, cioè contemporaneamente,
dovessero corrispondere a geni localizzati l’uno accanto all’altro sullo stesso cromosoma.
Questi studi portarono Morgan a tracciare una mappa genetica del moscerino.
Sofisticate tecniche di laboratorio permettono ai ricercatori di creare mappe confrontando la
posizione del gene di interesse con l’ordine relativo di alcuni marcatori genetici o di specifici
segmenti noti del DNA
La mappatura fisica determina la distanza fisica tra alcuni punti di riferimento sui
cromosomi, mediante apparecchiature computerizzate. Il DNA viene estratto da cromosomi
umani e spezzato in modo casuale in numerosi frammenti. Questi ultimi vengono riprodotti in
laboratorio in cloni identici, cioè in numerose copie che possono essere analizzate una a una
allo scopo di individuare la presenza o l’assenza di specifici marcatori genetici. I cloni che
condividono più marcatori molto probabilmente derivano da segmenti del cromosoma
sovrapponibili, cioè molto simili fra loro. Le regioni dei cloni che si sovrappongono, quindi,
possono essere confrontate per determinare l’ordine globale dei marcatori e l’esatto
ordinamento dei frammenti clonati di Dna sul cromosoma
Sequenziamento del DNA
Secondo il metodo sviluppato dal britannico Sanger, specifiche porzioni di DNA
vengono duplicate e modificate alle estremità attraverso l’aggiunta di un composto
fluorescente, diverso a seconda della base azotata cui è legato. I sequenziatori automatici
riconoscono con un raggio laser il nucleotide modificato, e determinano l’esatto numero di
nucleotidi di ciascuna catena. Queste informazioni vengono integrate da un computer, che
ricostruisce la sequenza di coppie di basi presente nella molecola di DNA originale.
Fino agli anni Ottanta i frammenti di DNA umano venivano integrati al patrimonio
genetico di organismi unicellulari a rapido ciclo vitale, come batteri o lieviti, allo scopo di
ottener rapidamente numerose copie di quei frammenti. Questa tecnica fu in seguito sostituita
da una procedura automatizzata il cui avvento costituì una vera rivoluzione nella biologia
molecolare: la reazione a catena della polimerasi, messa a punto dal biochimico Mullis. Grazie
a questa tecnica in poche ore si ottengono milioni di copie di un singolo filamento di DNA.
La PCR
La PCR è una tecnica innovativa che consiste nell’amplificazione specifica di segmenti
di DNA mediante reazioni a catena dell’enzima DNA polimerasi.
26
Il principio teorico su cui tale tecnica si basa è molto semplice:data una sequenza di
DNA genomico a doppio filamento e due corte sequenze di DNA (primer), di cui una
complementare ad un tratto di un filamento (forward primer) e l’altra complementare ad un
altro tratto posto all’altra estremità del DNA da amplificare (reverse primer), in presenza di
una DNA polimerasi termostabile e di una miscela di desossinucleotidi trifosfati in
appropriate condizioni di reazioni, è possibile far copiare numerosissime volte il tratto
compreso tra i due primers, semplicemente facendo variare ciclicamente la temperatura di
reazione.
Il successo della PCR è dipeso anche all’uso di una DNA polimerasi termostabile
estratta da batteri termofili (che vivono ad altra temperatura).
La DNA polimerasi utilizzata nelle reazioni della PCR è la Taq polimerasi, estratta dal
batterio Thermus aquaticus.
Il metodo di analisi del DNA mediante la PCR presenta vantaggi molto evidenti:è molto
rapido (da 60 a 90 minuti), la manualità è semplicissima, è automatico e i risultati sono
visualizzabili con facilità.
La tecnica della PCR ha rivoluzionato la genetica molecolare e le sue applicazioni sono
praticamente infinite. I principali ambiti di utilizzo sono la diagnosi prenatale di malattie
genetiche e le indagini di medicina legale. Per ogni reazione di PCR, è necessario usare due
primer (forward e reverse). La scelta della coppia di primer è critica per una buona riuscita
della PCR, ovvero ottenere amplificazione di un tratto di DNA in modo specifico. I primer
devono essere “disegnati” a livello di sequenze uniche nel genoma, in modo che possano
appaiarsi al DNA solo nella zona di interesse e non in altre zone del DNA
I termociclatori
Il successo della PCR è dipeso in gran parte dalla possibilità di far avvenire l’intero
processo in modo automatico all’interno di strumenti detti termociclatori, in grado di variare
ciclicamente la temperatura tra le varie fasi di ogni ciclo di PCR.
Il costo di un thermal cycler si aggira sui 10.000 euro
L’ elettroforesi
È una tecnica che consente di separare in base al peso molecolare, molecole dotate di
carica facendole migrare sul gel in presenza di un campo elettrico.
La corsa viene effettuata ponendo il gel in una vaschetta, immerso in una soluzione
tampone, e applicando un campo elettrico generato da un alimentatore.
Il tracciato della corsa elettroforetica è costituito da una serie di bande, disposte a
livelli diversi sul gel come risultato di una diversa velocità di migrazione dei frammenti di
DNA (inversamente proporzionale al log del peso molecolare).
Dopo la corsa elettroforetica, i frammenti di DNA sono visualizzabili come bande
esponendo il gel alla luce ultravioletta. Questo è dovuto al fatto che, durante la preparazione
del gel all’agarosio è stato aggiunto il bromuro di etidio, una sostanza che ha la proprietà di
legarsi al DNA e di emettere fluorescenza quando viene esposta a luce ultravioletta.
Il bromuro di etidio va maneggiato con estrema cautela in quanto è un agente intercalante
del DNA e, come tale, ha proprietà mutegene.
SCOPERTE FONDAMENTALI TRA RICERCA PUBBLICA E PRIVATA
La mappatura del cromosoma 22
Nell’ambito del Progetto Genoma Umano, il primo risultato eclatante è stata la
decifrazione del cromosoma numero 22, annunciata il 22 dicembre 1999 dai ricercatori inglesi
del Sanger Center di Cambridge, coordinati dal biochimico Ian Dunham, e da scienziati
statunitensi della Oklahoma University e giapponesi della Keio University di Tokio.
27
Il cromosoma 22 è il più piccolo cromosoma umano; contiene numerosi geni implicati
nella risposta immunitaria e in patologie com le disfunzioni cardiache congenite, la leucemia,
il ritardo mentale, la schizofrenia e la trisomia del cromosoma 22. Il sequenziamento e la
mappatura del cromosoma 22 hanno condotto alla individuazione di 679 geni; si ritiene che sul
cromosoma se ne trovino complessivamente circa un migliaio.
La scoperta, a livello del grande pubblico, ha indotto molte speranze circa lo sviluppo
della terapia genica per la cura di gravi malattie; gli addetti ai lavori, invece, mantennero un
atteggiamento più cauto, e giudicarono necessari ancora anni di ricerca prima di poter
applicare in ambito medico le nuove scoperte.
L’industria privata nella ricerca genetica: la Celera Genomics
Nel dibattito sui risultati del Progetto Genoma Umano è emerso il crescente interesse
dell’industria privata a partecipare alla ricerca genetica; non era chiaro, però se le società
private e gli istituti pubblici fossero disposti a collaborare e a stabilire reciprocamente un
libero accesso ai dati.
In particolare, nel 1999 è divenuto noto che la società privata Celera Genomics di
Rockville, nel Maryland, guidata dal biologo e imprenditore Craing Venter, stava anch’essa
conducendo studi sul genoma umano e prevedeva di completarne la mappatura in tempi più
brevi e con costi inferiori rispetto ai laboratori pubblici coinvolti nel Progetto Genoma Umano.
IL SEQUENZIAMENTO DEL GENOMA UMANO
Il 6 Aprile 2000, nei laboratori della Celebra Genomics, Craig Venter ha dichiarato di
esser riuscito a sequenziare l’intero DNA di un essere umano, cioè è stata definita la sequenza
delle coppie di basi azotate presenti nelle molecole dell’acido nucleico.
I laboratori di Venter hanno completato il lavoro in sei mesi, avvalendosi di 300 sequenziatori
e computer sofisticati.
Per la ricerca è stata adottata una particolare tecnica: il sequenziamento WHOLE-GENOME
SHOTGUN che consiste nel prendere un campione contente il patrimonio genetico umano
intero dividerlo in frammenti, fare analizzare i frammenti separatamente dai sequenziatori,
mentre i calcolatori elettronici elaborano i dati in modo da ricomporre le sequenze delle basi
azotate ed infine si procede alla mappatura.
Il successo continua: la mappatura dei cromosomi 5, 16 e 19
Un nuovo passo nella comprensione del genoma umano è stato effettuato dai ricercatori
del Progetto Genoma, pochi giorni dopo l’annuncio della Celera Genomics. Il 15 aprile 2000
Bill Richardson, segretario del DOE, ha dichiarato che l’istituto del genoma di Walnut Creek,
in California, ha completato la mappatura dei cromosomi numero 5, 16 e 19, su cui si trovano,
fra l’altro, geni coinvolti nel cancro colon-rettale e in tumori della prostata e del seno.
Da questo momento in poi il sequenziamento e la mappatura del DNA, sia dell’uomo che di
altre specie viventi, si sono susseguiti a ritmo incalzante.
Il completamento della fase di sequenziamento
La prima parte della ricerca genetica della Celera Genomics è stata completata il 26
giugno 2000 e comunicata con l’annuncio del sequenziamento del genoma di cinque esseri
umani di diverso sesso ed etnia.
I dati raccolti possono essere elaborati per definire un’unica sequenza del patrimonio
genetico umano, tenendo conto della variabilità esistente tra individui ed etnie differenti.
In tale occasione, si è stabilito un accordo tra Venter della Celera Genomics, e Collins,
l’attuale coordinatore del progetto pubblico, in base al quale i risultati delle reciproche ricerche
potranno essere condivisi mediante database presenti su reti informatiche; inoltre, potranno
essere brevettate le applicazioni terapeutiche delle scoperte, ad esempio nuovi farmaci.
28
LA BIOINFORMATICA E LE NUOVE TECNICHE DI
ANALISI DEL DNA
di Stefano De Marinis e Tatiana Russi
LA BIOINFORMATICA
Negli ultimi decenni, con l’avvio del Progetto Genoma e con lo sviluppo di nuove
tecnologie per lo studio del DNA, si è verificata una crescita esponenziale delle informazioni
biologiche rese disponibili dai progressi nel campo della biologia molecolare.
In particolare, il sequenziamento del genoma umano e di altri organismi ha dato un forte
impulso al settore dell’informatica applicato allo studio del DNA e delle proteine.
Che cos’è la bioinformatica
La bioinformatica è una nuova disciplina che si occupa dello sviluppo e dell’integrazione
delle applicazioni della scienza dell’informazione alla ricerca scientifica, in campo
biotecnologico. Per fare ciò la bioinformatica utilizza strumenti informatici per analizzare i
dati biologici che descrivono sequenze di geni, composizione e struttura delle proteine, processi
biochimici nelle cellule, ecc
Essa costituisce l’ambizioso tentativo di descrivere dal punto di vista numerico e
statistico i fenomeni biologici: storicamente la biologia ha sempre sofferto di una carenza in tal
senso rispetto a discipline come la fisica e la chimica, ma oggi la bioinformatica tenta di
supplire a questa lacuna fornendo ai risultati tipici della biochimica e della biologia molecolare
un insieme di strumenti analitici e numerici davvero promettente.
Il settore della bioinformatica è in rapida espansione per svariate ragioni. Innanzi tutto,
in seguito alla necessità preponderante di elaborare ed archiviare l’enorme mole di dati che la
moderna ricerca biologica produce grazie al progresso tecnologico recente, occorre creare,
gestire e mantenere banche di dati specializzate. Basta considerare tra tutti la rilevanza che il
progetto Genoma Umano ha avuto, ed ha tuttora, per le possibili ricadute in campo biologico,
medico, patologico e bioetico.
Oggi il sapere a livello biomolecolare necessita prima di tutto dello sviluppo di banche
dati apposite per l’archiviazione di dati in modo corretto dal punto di vista biologico, ragionato
e di facile reperibilità per la comunità scientifica.
Inoltre, accanto all’archiviazione dei dati, diventa di estremo interesse anche la
possibilità di ricavare informazioni in modo automatico dalle banche dati.
Infine si può dire che grazie alla bioinformatica la ricerca può essere direzionata e
mirata con notevole riduzione nei costi e nei tempi.
Di che cosa si occupa la bioinformatica
La bioinformatica si occupa principalmente di:
fornire modelli statistici validi per l’interpretazione dei dati provenienti da esperimenti
di biologia molecolare e biochimica al fine di identificare tendenze e leggi numeriche;
x generare nuovi modelli e strumenti matematici per l’analisi di sequenze di DNA, RNA
e proteine al fine di creare un corpus di conoscenze relative alla frequenza di sequenze
rilevanti;
x organizzare le conoscenze acquisite a livello globale sui genomi, in database, al fine di
rendere tali dati accessibili a tutti, e ottimizzare gli algoritmi di ricerca dei dati per
migliorarne l’accessibilità.
x Consente a tutti gli studiosi di disporre in tempi rapidissimi delle conoscenze già
esistenti relative al proprio settore di studio, di poter consultare tutte le pubblicazioni
scientifiche, da quelle più vecchie alle più recenti, e di poter interagire con gli altri
scienziati che si occupano dello stesso progetto.
x
29
LE BANCHE DATI
Una delle attività principali dei bioinformatici consiste nella progettazione, costruzione e
uso di banche dati di interesse biologico. Questo tipo di banche dati raccoglie dati e
informazioni derivanti da esperimenti di laboratorio, da esperimenti in silico e dalla
letteratura scientifica.
Le banche dati sono state progettate come contenitori costruiti per immagazzinare dati
relativi alle sequenze del DNA in modo efficiente e razionale al fine di renderli facilmente
accessibili a tutti gli utenti: ricercatori, medici, studenti ecc..
Una banca dati è costituita da diverse voci ciascuna contenente informazioni sull’oggetto
caratteristico della banca dati insieme a tutte le altre informazioni che si riferiscono a quella
voce in particolare.
Una voce di una banca dati di sequenze nucleotidiche potrebbe contenere,oltre alla
sequenza di una molecola di DNA, l’organismo a cui appartiene, la localizzazione cromosomica,
la struttura del gene, il confronto con sequenze analoghe ricavate da organismi diversi e molto
altro ancora.
Le banche dati del DNA di tutti gli individui costituiscono un tema fra i più controversi.
L’idea di un’enorme banca dati nazionale che permetta alle forze dell’ordine di confrontare
qualsiasi elemento di prova di natura genetica trovato sulla scena di un delitto è naturalmente
ancora di là da venire, ma alcuni recenti avvenimenti sembrano puntare in una direzione non
molto lontana.
Ad esempio l’FBI ha creato una banca dati nazionale del DNA unificando vari database
gestiti da singoli Stati; per adesso si tratta di una banca dati di dimensioni relativamente
ridotte, dove sono presenti soprattutto dati relativi al DNA di soggetti condannati per reati
sessuali o altri reati violenti. Tuttavia, varie iniziative a livello dei singoli Stati mirano ad
incrementare in misura esponenziale le dimensioni dei database nazionali, che sono poi la
fonte primaria della banca dati gestita dall’FBI.
Le banche dati vengono classificate in primarie e secondarie o di secondo livello.
Banche dati primarie
Le banche di acidi nucleici (DNA e RNA) vengono spesso definite primarie in quanto
contengono solo informazioni molto generiche associate alla sequenza, necessarie per
identificarla dal punto di vista del riconoscimento della specie e della definizione della
funzione.
Le principali banche dati sono tre:
x EMBL;
x GENBANK;
x DDBJ.
La EMBL datalibrary è la banca dati europea costituita nel 1980 nel laboratorio Europeo
di Biologia Molecolare di Heidelberg (Germania).
La GENBANK è la corrispondente banca americana costituita nel 1982
La DDBJ è la corrispondente giapponese.
Fra le tre banche dati è stato stipulato un accordo internazionale per cui il contenuto dei
dati di sequenza presenti nelle tre banche dati è quasi del tutto coincidente in quanto gli
aggiornamenti quotidiani apportati in ciascuna banca dati vengono automaticamente
trasmessi alle altre due.
La consultazione delle banche dati attraverso internet è libera e gratuita per la maggior
parte delle informazioni.
Banche dati secondarie
Le banche dati di secondo livello svolgono la funzione di integrare le informazioni
contenute in diverse banche dati presentandole in maniera unitaria. Questo rende ancora più
veloce l’accesso alle informazioni.
30
Inoltre esistono banche dati di secondo livello (o specializzate) che raccolgono
informazioni specifiche; alcune di queste possono essere estremamente specializzate altre
invece contengono informazioni più ampie.
Sistemi di interrogazione delle banche dati
La consultazione e l’analisi delle informazioni contenute nelle banche dati si realizza
attraverso la disponibilità di sistemi informatici avanzati disegnati per la ricerca e l’estrazione
dei dati.
L’interrogazione di una banca dati può essere effettuata in maniera molto semplice
mediante l’utilizzo di una finestra di ricerca in cui si immette un testo oppure compilando
apposite schede organizzate secondo la struttura dei dati su cui si intende effettuare la ricerca.
Ricerche più complesse possono essere condotte con combinazioni di criteri utilizzando
gli operatori booleani per effettuare intersezioni, somme ed esclusioni di insiemi di dati al fine
di ottenere un sottoinsieme rispondente alle nostre richieste.
Gli operatori booleani sono degli strumenti che consentono di combinare in tanti modi
più concetti nella ricerca di un archivio elettronico; questi operatori sono: “and”,”or” e “but”.
La programmazione in bioinformatica: il BLAST
Il software BLAST è un algoritmo che consente di:
effettuare confronti fra sequenze;
effettuare ricerche in banche dati di sequenze;
identificare allineamenti ottimali locali ad una determinata sequenza in esame.
La ricerca per il riconoscimento di una certa sequenza di DNA, denominata “query”,
viene inizialmente effettuata cercando identità con sequenze, presenti in banca dati, di
lunghezza definita che ottengono un punteggio di corrispondenza almeno pari ad un valore
soglia predefinito. Queste sequenze vengono successivamente estese in entrambe le direzioni
nel tentativo di generare un allineamento con un punteggio superiore al valore soglia. In base
alla definizione dei parametri soglia si determina la velocità e la sensibilità della ricerca.
Dal momento che l’algoritmo BLAST è in grado di identificare sia allineamenti locali che
allineamenti globali, esso permette di evidenziare regioni di similarità contenute, ad esempio,
in proteine per altri aspetti completamente differenti. Entrambi i tipi di similarità possono
fornire importanti indizi sulla funzione di una proteina.
In una ricerca con blast è possibile confrontare e analizzare sequenze di aminoacidi e
sequenze di nucleotidi tenendo conto di tutte le possibili traduzioni.tutte le possibili traduzioni
x
x
x
DNA PROFILING
Il DNA profiling è una nuova tecnica di genetica molecolare utilizzata per
l’identificazione personale, per risolvere casi di medicina legale e per la determinazione di
relazioni familiari.
Per potere effettuare il test del DNA è sufficiente una piccola quantità di cellule come
quella che si può ricavare da un capello, da una goccia di sangue o dalla saliva rimasta su di
un bicchiere o su di un mozzicone di sigaretta.
Il test si basa sull’analisi dei “microsatelliti”, sequenze caratteristiche per ciascun
individuo, presenti nel DNA non codificante. Il DNA, ricavato dal campione da analizzare,
viene amplificato mediante una tecnica di laboratorio, chiamata PCR e successivamente i
frammenti ottenuti vengono separati, in base alle loro dimensioni, mediante elettroforesi.
Confrontando i risultati ottenuti dal campione in esame con quelli di riferimento è possibile
identificare l’individuo da cui il DNA proviene o escluderne l’appartenenza.
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I MICROARRAY
Analisi dell’espressione genica
Il sequenziamento del genoma umano ha rappresentato solo l’inizio di una rivoluzione
nella ricerca biologica che ha le potenzialità di trasformare la ricerca farmaceutica e di
migliorare le condizioni di salute di milioni di persone. In qualsiasi cellula, solamente il 3 %
dei geni è espresso o attivo,ossia sta dando istruzioni alla cellula su come deve comportarsi.
Gli strumenti disponibili per l’analisi dell’espressione genica permettono di misurare
l’attività dei geni quantificando i livelli di RNA da esso prodotto.
I microchip
Il principale strumento per l’analisi dell’espressione genica è il microarray, detto anche
biochip. I primi microarray permettevano di rivelare solo poche migliaia di geni ed erano
necessari diversi microarray separati per studiare tutti i geni conosciuti di un genoma.
Un microarray è un piccolo rettangolo di vetro con una griglia di decine di migliaia di
punti microscopici (spot) che sono invisibili a occhio nudo. Ogni spot consiste di un filamento di
DNA corrispondente ad un unico gene; questo filamento è denominato sonda.
Quando l’RNA è estratto dalle cellule, è marcato con un colorante fluorescente ed è poi
aggiunto al microarray in cui ogni gene si legherà alla propria sonda corrispondente. Uno
scanner legge l’intensità di luce di ogni spot e produce un valore numerico di espressione
genica per ciascun gene. L’interpretazione di dati consente di confrontare, per esempio,
l’espressione genica di cellule normali e tumorali.
Recentemente sono stati messi a punto anche dei tissue-microarray che consentono di
confrontare contemporaneamente fino a 3000 campioni di tessuti.
I microchip a DNA sono un’arma formidabile per la ricerca farmacologica e per lo studio
dei tumori. Combinati con i dati della sequenza genetica dell’uomo, permettono di
comprendere i passaggi che trasformano una cellula normale in cancro.
I microchip offrono la possibilità di scegliere, o addirittura “disegnare”, molecole in grado
di inibire la crescita del tumore in modo mirato, aumentando l’efficacia terapeutica. La
speranza è di bloccare i geni che inducono la resistenza ai farmaci risolvendo uno dei
principali problema della terapia oncologica.
Come funziona un microchip.
Nella prima fase il medico preleva le cellule cancerose dal paziente e da queste viene
estratto l’RNA.
L’RNA è in pratica una copia fedele del DNA, ma ciascuna cellula produce RNA soltanto
per quei geni che sono attivi in quel dato momento.
Nella seconda fase, in laboratorio, con una reazione biochimica, si torna dall’RNA al
DNA. Quello che si ottiene è detto cDNA che rappresenta una molecola molto più stabile
dell’RNA, quindi più adatta ad essere studiata e manipolata.
Nella terza fase i frammenti di cDNA sono messi a contatto con un microchip. Al
microchip sono state fissate delle “sonde”, che riproducono i geni che già sappiamo correlati al
tumore. I frammenti di cDNA “riconoscono” le sonde complementari e si legano ad esse:
usando un termine tecnico, si dice che “si ibridizzano”.
A questo punto vengono aggiunte le sostanze fluorescenti, che si fissano ai recettori
specifici presenti nel cDNA. Si ottiene così un’immagine caratterizzata da tanti punti colorati,
che viene letta da uno scanner: ogni punto corrisponde alla presenza di un marcatore, dunque
ad un gene del tumore. L’ insieme di questi geni costituisce il profilo del tumore.
Nella quarta ed ultima fase uno speciale software compara il profilo genetico tumorale
con i dati archiviati, ottenuti da altri tumori di cui si conoscono il grado di aggressività e la
sensibilità ai diversi farmaci. Così il medico potrà decidere il trattamento più adatto per
ciascuna paziente.
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