Favorevoli Favorevoli o contrari? o contrari? Soprattutto Soprattutto informati! informati! Negli Nultimi anni la comprensione dei fenomeni biologici di base ha avuto un’accelerazione straordinaria a seguito, non solo di tecniche innovative, ma soprattutto all’integrazione di diversi approcci sperimentali che permettono di affrontare problematiche sempre più complesse. La conoscenza del genoma umano e la sua interpretazione avranno una ricaduta determinante non solo nel campo della genetica, ma anche della medicina, della farmacologia, dell’agricoltura, della zootecnia e in molti altri settori. La diffusione della cultura scientifica in Italia è, però, ancora molto carente e termini quali DNA, genoma, cellule staminali sono entrate nel linguaggio giornalistico, ma la maggior parte delle persone ne ignora il significato. Questo progetto, anche grazie al supporto dell’iniziativa europea Science Generation, vuole rendere gli studenti più consapevoli dei progressi nell’ambito delle bioscienze e attraverso la diffusione del loro lavoro, invitare i compagni e gli adulti ad essere curiosi ed informati anche per poter operare scelte consapevoli. I lavori presentati sono una sintesi di ricerche molto più ampie. Ci auguriamo che siano di interesse per molti studenti, ma non solo…….. e ci scusiamo per eventuali errori o imprecisioni. Il manuale è anche scaricabile dal sito web: www.science-generation.it Maggio 2005 INDICE GLI OGM 3 LE CELLULE STAMINALI 9 LE MALATTIE RARE 13 GENI E CROMOSOMI 19 IL PROGETTO GENOMA 25 LA BIOINFORMATICA E LE NUOVE TECNICHE DI ANALISI DEL DNA 29 GLI OGM di Federico Calloni e Elena Sguotti Che cosa sono gli OGM Gli organismi transgenici o organismi geneticamente modificati (OGM) sono organismi caratterizzati da un patrimonio genetico alterato rispetto a quello tipico della propria specie a causa dell’introduzione artificiale di uno o più geni provenienti da altri organismi. Un po’ di storia Gli OGM sono il risultato della ricerca effettuata, prevalentemente negli Stati Uniti d’America, per il miglioramento delle rese e la resistenza ai parassiti indotta nei vegetali. La ricerca è stata effettuata in prevalenza dalle grandi multinazionali operanti nel settore chimico – farmaceutico, oltre che in quello agricolo. In Europa la coltivazione di OGM è molto limitata. Il solo paese dove vengono coltivate varietà di mais geneticamente modificate su superfici di un certo livello (tra i 20.000 ed i 30.000 ha.) è la Spagna. In Francia sono stati coltivati circa 3.000 Ha di mais transgenico, ma con nota del 11 Dicembre 1998, il Consiglio di Stato ha deciso di sottoporre il Dossier sui vegetali transgenici alla Corte di Giustizia Europea. La Gran Bretagna si trova attualmente in posizione di attesa, anche se esistono già molti progetti avviati sugli OGM. In Austria, un referendum popolare ha invece sancito, col 66% dei voti favorevoli, la sperimentazione e l’impiego di OGM. In Belgio, l’opinione pubblica è nettamente contraria e gli agricoltori sono preoccupati che le nuove varietà provochino un aumento delle rese ed una diminuzione dei prezzi. Varietà di OGM Le principali specie dalle quali si ottengono OGM sono: Mais, Soia, Colza, Barbabietola da zucchero, Pomodoro, Tabacco e Patata, ma la sperimentazione interessa anche altre coltivazioni, alcune di particolare interesse per la nostra nazione, come la vite, l’olivo, il ciliegio, il pioppo, la fragola e il melone. Produzione di organismi transgenici Per ottenere organismi transgenici si utilizzano le tecniche di ingegneria genetica. Il frammento di DNA in cui si trova il gene da inserire viene iniettato in una cellula batterica, o in una cellula uovo, che verrà successivamente fecondata, o in un embrione. Per poter essere attivo, il frammento di DNA deve essere associato a un vettore d’espressione, ossia a un'altra porzione di DNA che controlla le modalità di espressione del gene da trasferire; ad esempio, esso permette che il gene si esprima, cioè svolga la propria attività, soltanto in determinati tessuti. Il DNA estraneo viene inoculato per microiniezione nella cellula ricevente e il nuovo gene si integra con il DNA di questa, e può, di conseguenza, esser trasmesso a tutte le cellule che derivano per successive mitosi della cellula ricevente. Come si fabbrica un OGM Il metodo più diffuso per produrre un organismo geneticamente modificato consiste nell’isolare da una cellula animale o vegetale il gene desiderato e inserirlo nel DNA di un batterio, chiamato Agrobacterium tumefaciens, che trasferisce parte del proprio patrimonio genetico alle cellule che infetta. Riso, mais e frumento non sono infettabili dall’Agrobacterium; in questo caso bisogna utilizzare tecniche alternative come bombardare la cellula vegetale con particelle d’oro o tungsteno rivestite di frammenti di DNA. Un altro metodo sottopone la cellula a brevi impulsi elettrici che provocano l’apertura dei pori della membrana, permettendo l’ingresso al DNA estraneo; per rendere un organismo resistente alle aggressioni 3 di un insetto i biologi inseriscono nelle cellule un gene prelevato da un batterio, il Bacillus thuringiensis, che produce una tossina insetticida. IMPIEGO DEGLI ORGANISMI TRANSGENICI Nella ricerca biologica e genetica, l’impiego di Organismi transgenici è rilevante nell’ambito degli studi sulla funzione di geni specifici; infatti, l’immissione di un gene estraneo in un organismo determina l’insorgenza di particolari caratteristiche (come la resistenza a un erbicida o la capacità di sintetizzare una data proteina) che, confrontate con quelle degli individui della stessa specie, permettono la comprensione del ruolo di quel gene. A scopo di ricerca, sono impiegati anche particolari tipi di organismi transgenici, i cosiddetti Knock-out, in cui un gene dell’organismo viene eliminato o inattivato; alcuni topi così modificati, ad esempio, sono stati utilizzati per studiare il ruolo funzionale di alcuni geni specifici nello sviluppo embrionale. Disattivando in animali da laboratorio il gene corrispondente a un gene non funzionale nei pazienti affetti da una particolare malattia, si possono creare modelli utili a fini diagnostici e terapeutici. Animali produttori di farmaci Una delle principali applicazioni pratiche degli organismi transgenici è l’ottenimento di proteine ad uso terapeutico, quali, per esempio, alcuni fattori di coagulazione da somministrare ai pazienti emofiliaci. Prima della messa a punto della tecnica per la creazione di organismi geneticamente modificati, l’estrazione di proteine veniva eseguita da fluidi corporei animali, come sangue, plasma, urina o tessuti; ciò non garantiva, però, l’ottenimento di quantitativi sufficienti rispetto alle necessità; inoltre, il procedimento non era immune dal rischio che le sostanze estratte fossero contaminate da agenti patogeni. Inoltre, durante il processo di estrazione, potevano verificarsi modificazioni delle sostanze stesse che ne determinavano l’inattivazione e quindi, l’inefficacia. Dalla sintesi operata da organismi transgenici e controllata dai geni estranei di cui essi sono portatori, si ricavano invece quantità maggiori di sostanze e un elevato grado di sicurezza nell’impiego. Alcune specie di mammiferi transgenici, ad esempio, producono latte con caratteristiche particolari, come la presenza di lattoferrina per essere più simili al latte umano. Questa area è una delle aree più proficue di benefici futuri per la produzione di medicinali a basso costo, come nel caso dell’insulina prodotta da batteri geneticamente modificati. Animali donatori di organi Una delle prospettive che appaiono di maggior interesse è l’impiego di animali transgenici come possibili donatori di organi, per l’esecuzione dei cosiddetti xenotrapianti: gli animali possono essere modificati geneticamente in modo che i loro tessuti presentino sulla superficie proteine analoghe a quelle umane, che potrebbero venire facilmente “accettate” dal sistema immunitario limitando così il rischio di rigetto dell’organo trapiantato. Per tale applicazione, molti studiosi ritengono che i suini potrebbero risultare particolarmente adatti, perché possiedono caratteristiche anatomiche che li rendono “sovrapponibili” a quelli umani. Piante e animali resistenti In campo agronomico, la tecnica della modificazione genetica ha permesso di creare vegetali transgenici dotati di particolari caratteristiche di resistenza agli erbicidi. Ciò sembra particolarmente utile nelle colture intensive, quali quelle di mais o di soia, in cui l’uso di diserbanti per eliminare le specie infestanti, in passato rischiava di distruggere anche le specie coltivate. Sono state ottenute anche piante resistenti a patologie responsabili di gravi danni alle colture, come il tabacco transgenico, resistente al virus del “mosaico”. Inoltre, sono stati 4 ottenuti animali con carni meno grasse, in particolare suini, e resistenti a determinate malattie, come polli transgenici resistenti a una particolare forma leucemica, la leucosi aviaria. LA REGOLAMENTAZIONE DELLA SICUREZZA Nei Paesi dotati di solide strutture tecniche di verifica e controllo (ad esempio gli Stati Uniti, il Canada e il Giappone) è prevalso il criterio di valutare l’efficacia e la sicurezza d’uso dei prodotti, senza particolare attenzione alle tecnologie usate per ottenerli. Nella valutazione degli OGM ha avuto una grande importanza il lavoro del Group of National Experts (GNE) on Safety of Biotechnology, che ha operato per l’Organizzazione per la Cooperazione dello Sviluppo Economico (OCSE). I criteri e principi di sicurezza elaborati da questo gruppo, hanno costituito la base di partenza per la redazione di un Protocollo Internazionale di biosicurezza, il cosiddetto “Protocollo di Cartagena”, poi firmato a Montreal nel gennaio 2001, nell’ambito dell’ONU. L’obiettivo principale del protocollo è quello di consentire ai Paesi in via di sviluppo di mettere a punto le misure da adottare per l’impiego sicuro delle biotecnologie e dei prodotti che ne derivano. A differenza degli Stati Uniti, in Europa è prevalsa l’opzione di imporre per legge “regolamentazioni di tecnologia”, collegate a meccanismi di notifica e autorizzazione sia nelle fasi di ricerca che in quelle produttive. In termini di efficacia, nel garantire i necessari livelli di sicurezza, i due diversi approcci, nordamericano ed europeo, non hanno messo in luce significative differenze: la principale differenza oggettiva è di natura burocratica e amministrativa e si manifesta nei tempi più lunghi delle procedure adottate dall’Unione Europea per l’autorizzazione degli OGM a uso agricolo e alimentare. La Normativa Comunitaria di riferimento sugli OGM deriva da direttive e regolamenti comunitari, che si occupano: della relativa emissione nell’ambiente degli OGM, del relativo impiego confinato di microrganismi geneticamente modificati, relativo alla commercializzazione di nuovi alimenti ed in particolare quelli derivati da biotecnologie; la più importante è la Direttiva C.E.E. n. 220/90, che risulta tuttora valida come normativa europea di riferimento. Tale direttiva però, è oggetto di revisione da parte del Parlamento europeo; la Commissione europea ha adottato gli elementi di principio di una proposta che intende modificare l’attuale direttiva e disciplinare l’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati a fini sperimentali e commerciali, in attesa di una legislazione specifica in materia di prodotti. L’iter legislativo non ha ancora approvato ed è in procedura di codecisione; attualmente il Parlamento si è espresso con una soluzione legislativa in data 12/04/2000 e con essa ha deliberato numerosi emendamenti al testo proposto che dovrà tornare al Consiglio. In particolare, notevoli ripercussioni e polemiche ha suscitato l’approvazione della Direttiva 44/98 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche che permette di brevettare piante e animali manipolati geneticamente, oltre che parti e geni del corpo umano. Normativa nazionale: la legislazione italiana di riferimento (Decreti Legislativi n. 91/93 e n. 92/93) individuano nel Ministero della Sanità, l’autorità competente in materia di OGM; presso il Ministero della Sanità medesimo sono state nominate rispettivamente: La Commissione Interministeriale di Coordinamento, per quanto riguarda l’impiego confinato di microrganismi geneticamente modificati ai sensi di quanto disposto dal Decreto Legislativo n. 91/93 La Commissione Interministeriale per le Biotecnologie, per quanto riguarda l’emissione deliberata degli O.G.M. nell’ambiente. A scopo di ricerca, il Decreto Legislativo n. 92/93 regolamenta anche l’immissione sul mercato di prodotti contenenti O.G.M. Bisogna 5 considerare la clausola di salvaguardia, prevista dall’art. 16 del Decreto Legislativo 92/93, la quale stabilisce che il Ministro della Sanità o il Ministro dell’Ambiente possono disporre di limitare o impedire provvisoriamente l’uso e/o la vendita di prodotti che siano ritenuti pericolosi per la salute umana o per l’ambiente. Inoltre, completano il contesto di riferimento dei decreti applicativi, del Ministero della Sanità in tema di prestazioni fornite dal Ministero stesso in ordine alle notifiche dei seguenti provvedimenti: La Circolare del Ministero delle Politiche Agricole che definisce il protocollo tecnico finalizzato alla iscrizione di piante transgeniche (varietà o ibridi) nel Registro nazionale per la protezione brevettuale. La legge n. 1096 del 25/11/1971 e successive modificazioni che disciplina l’attività cementiera, nonché il relativo regolamento di esecuzione per l’iscrizione al registro varietale. Qualità e OGM Molti possono essere i concetti di qualità, ma quelli che più significativi sono: x le qualità organolettiche del prodotto; x la sostenibilità del processo produttivo; x il rispetto per la salute del consumatore e dell’ambiente; x la situazione socio-economica (in un’unica parola la “ruralità”) esistente dietro un dato prodotto, in sostanza la cultura, la storia, la tradizione che ha determinato uno specifico processo produttivo. Tutto questo con l’introduzione della coltivazione in ambito regionale degli OGM si perde, perché la produzione tende ad avere un’unica finalità: la produttività, eliminando tutti gli altri valori uniti alla nostra produzione agricola regionale. L’etichettatura L’articolo 8 del Regolamento 258/97 “Novel food” riguardante la commercializzazione di nuovi alimenti e in particolare quelli derivanti da OGM, stabilisce che venga data un’indicazione in etichetta della presenza di organismi geneticamente modificati dove sia possibile rilevare la presenza di DNA o proteine derivante da modificazione genetica. La larga diffusione delle colture transgeniche ha messo in luce il problema della contaminazione accidentale della filiera alimentare. Per tale motivo nel gennaio 2000 con il Regolamento 49, sono state dettate le norme riguardanti gli alimenti, prevedendo che sull’etichetta del prodotto non deve essere dichiarata la presenza di OGM nei seguenti casi: x se non sono presenti proteine o DNA derivanti da modificazioni genetiche; x se c’è una presenza inferiore all’1% purché tale presenza sia accidentale e dovuta a contaminazioni ambientali. In questo caso il produttore deve dimostrare di aver fatto il possibile per evitare la contaminazione poichè la diffusione crescente delle coltivazioni OGM, rende sempre più probabile la contaminazione accidentale dei semi non OGM utilizzati dagli agricoltori. Nei casi estranei a questi, la presenza di OGM deve essere dichiarata sull’etichetta del prodotto. Negli USA invece, i prodotti modificati vengono parificati a quelli tradizionali e non esiste nessun obbligo di pubblicazione. Paradossalmente sarà il produttore dell’alimento tradizionale, se vuole, a dichiarare sull’etichetta che il proprio prodotto non contiene organismi geneticamente modificati. Il Regolamento 50/2000 prende invece in considerazione gli additivi e gli aromi derivanti da OGM e stabilisce con carattere evidente che deve esserne denunciata la presenza sull’etichetta. Nel luglio 2003 viene emanato il Regolamento CEE 1830/2003 in seguito al quale il 18 aprile 2004 sono entrati in vigore i nuovi regolamenti sull’etichettatura di alimenti e mangimi geneticamente modificati e sulla tracciabilità degli OGM che prevedono: 6 tutti i prodotti contenenti ingredienti o derivati da un ingrediente che contiene più dello 0,9% di OGM dovranno essere etichettati con la dicitura “Questo prodotto contiene OGM” o “Questo prodotto deriva da OGM”. La soglia massima per la presenza accidentale o tecnicamente inevitabile del 0,9% fa riferimento a ogni singolo ingrediente usato nel prodotto e non alla massa o volume totale. x l’etichettatura è richiesta anche per i prodotti in cui il DNA o proteine specifiche degli OGM non può essere identificato nel prodotto finale. Prima di questo nuovo regolamento non dovevano essere etichettati i prodotti contenti ingredienti di provenienza transgenica nei quali a seguito del processo di lavorazione, non erano più rintracciabili DNA o proteine transgeniche anche se provenienti al 100% da materie prime transgeniche. Con questo regolamento si è stabilito anche l’obbligo di tracciabilità, che ha lo scopo di facilitare una precisa etichettatura del prodotto finale e di fornire i mezzi per ispezioni e controlli in caso di reclami sull’etichettatura. Gli OGM saranno identificati con un codice che permette di conoscere con precisione il tipo di modifica genetica subita. Per ora per gli OGM non ancora autorizzati che arrivano comunque sul mercato europeo, viene stabilita una tolleranza fino a un massimo dello 0,5%. x Una questione controversa L’impiego di organismi geneticamente modificati è uno dei più dibattuti temi della bioetica. Infatti, già da tempo la creazione di nuove cultivar vegetali o di microrganismi modificati può essere siglata da brevetto; la possibilità di estendere questa pratica anche a organismi più complessi, e ai procedimenti industriali che ne permettono l’ottenimento, suscita attualmente atteggiamenti diversi: da un lato entusiasmo, per le nuove prospettive economiche e scientifiche che potrebbero derivarne; dall’altro preoccupazione per tutte le implicazioni, soprattutto etiche e sociali. Si ritiene che la questione dell’impiego delle specie transgeniche non debba limitarsi a un’analisi dei costi e dei benefici economici (anche se è un aspetto primario), e che le attuali leggi sui brevetti per gli OGM e sulle relative applicazioni, debbano essere considerate anche e soprattutto in riferimento agli organismi viventi. Sono inoltre oggetto di discussione le possibili conseguenze sulla biodiversità e sugli equilibri degli ecosistemi dell’immissione nell’ambiente di organismi modificati, con caratteri che potrebbero venire trasmessi alla discendenza; inoltre, suscitano perplessità i possibili effetti a lungo termine sulla salute umana del consumo di prodotti derivanti da organismi geneticamente modificati. La legge stabilisce anche che non sono considerati OGM, gli organismi ottenuti fondendo in laboratorio cellule appartenenti a specie diverse, o il cui DNA sia stato modificato impiegando prodotti chimici oppure fisici (come raggi X e raggi gamma) che causano mutazioni genetiche. Un prodotto ottenuto con queste tecniche è per esempio il grano “Creso” (varietà di grano duro impiegata largamente dagli agricoltori italiani da alcuni decenni), costituito trattando con i raggi gamma altre varietà di grano: si è calcolato che verso la metà degli anni ’80, circa un quarto degli spaghetti prodotti in Italia fosse ottenuto da farina derivata da questa varietà “naturale” di frumento. È quindi considerata OGM una pianta di frumento che contiene un gene modificato attraverso l’ingegneria genetica, mentre la pianta di frumento non è considerata OGM se lo stesso gene o l’intero genoma è stato modificato con altre tecniche, come nel caso della varietà “Creso”; in sintesi, ciò che identifica un OGM è solo la tecnica con la quale è stata effettuata la modificazione. Le nuove allergie Manipolare geneticamente un organismo, vuol dire passare ad esso una molecola di DNA che gli permette di produrre una proteina che prima non era in grado di fabbricare. 7 Noi ci nutriamo da sempre di proteine, ma esse, come talvolta altre sostanze, possono essere “rifiutate” dal nostro organismo. Quando veniamo in contatto con certe molecole infatti, il nostro organismo reagisce in modo talvolta violento con quella che chiamiamo reazione allergica o allergia. I fautori degli alimenti OGM, sostengono che l’introduzione di cibi manipolati nella nostra dieta non possono causare rischi di nuove allergie, e citano l’esempio dell’introduzione del gene di banana nel pomodoro, omettendo di precisare che, in questo caso, si tratta di cibi abitualmente consumati. L’ingegneria genetica, però, riguarda spesso i geni, e dunque proteine, che non fanno parte del consumo alimentare tradizionale: i rischi non sono prevedibili se il gene “trapiantato”, ad esempio nel grano con cui facciamo del pane e della pasta, ecc., proviene da organismi finora mai utilizzati nell’alimentazione. Resistenza agli antibiotici In Francia era stata autorizzata, e successivamente sospesa, la coltivazione di un mais transgenic, in cui era stato introdotto un gene resistente ad un comune antibiotico, l’ampicillina. Questo gene, definito “marcatore”, permette di identificare le cellule in cui è riuscito il “trapianto” dei geni. Successivamente, il marcatore non svolge più alcuna funzione, ma la sua eliminazione sarebbe stata troppo costosa e difficile. Gli antibiotici sono le uniche armi efficaci contro i batteri patogeni, ma a causa dell’insorgenza di resistenza agli antibiotici queste armi sono sempre meno efficaci. D’altra parte, la ricerca scientifica ha serie difficoltà a trovare nuove molecole che siano efficaci e si stima che le malattie da ricovero legate alla resistenza agli antibiotici uccidano 10.000 persone all’anno. Gli antibiotici diventano sempre meno efficaci perché i batteri col tempo riescono a produrre delle difese: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità questo è uno dei più gravi rischi sanitari emergenti. La resistenza agli antibiotici dipende dal fatto che, con l’uso eccessivo di questi medicinali negli ultimi anni, si selezionano, cioè sopravvivono, solo quei batteri che contengono i geni che permettono loro di resistere a questi “veleni”. Il problema è che i batteri non solo possono scambiarsi tra loro questi geni, ma possono acquisirli anche da organismi superiori. Numerosi studiosi temono che la diffusione di geni con resistenza agli antibiotici, tipici delle piante transgeniche, possano accelerare questo processo creando, così, nuovi batteri contro i quali gli antibiotici sono assolutamente impotenti. Il Golden Rice Nel 1991, gruppi di ricerca di Zurigo e di Friburgo, hanno sviluppato l’idea di introdurre il Beta-carotene nell’endosperma del riso, per poter tentare di convertire questa coltivazione primaria in una fonte di Vitamina A nelle zone afflitte da carenza di tale sostanza I ricercatori hanno manipolato geneticamente una varietà da laboratorio di riso giapponese, adatto al clima temperato dell’Europa introducendo una via metabolica per convertire in Beta-carotene una parte di un precursore ormonale presente nel riso; inoltre hanno inserito tre geni estranei nel riso: due dai narcisi ed uno dal batterio Erwinia uredovor. Nel gennaio del 2000, i ricercatori hanno comunicato di aver raggiunto il loro obiettivo, cioè creare i primi campioni di una linea di riso arricchito con Beta-carotene. Il tratto geneticamente modificato dovrebbe essere trasferito nelle varietà predominanti di riso “indica”, diffusissimo in Asia. e verrebbe combinato con le varietà nuove ad alta resa che vengono coltivate in maniera estesa negli ambienti favorevoli e ben irrigati. I programmi per il trasferimento di questo riso dal laboratorio al campo, e successivamente alle popolazioni che soffrono di carenza da vitamina A, sono ancora agli albori; gli inventori del “riso d’oro” hanno reso disponibile i semi per la semina dal gennaio 2004, ma le esperienze agricole lasciano supporre che occorrerebbero almeno quattro o cinque anni per produrre le varietà commerciabili 8 LE CELLULE STAMINALI di Francesca Gangai e Pamela Manco Che cosa sono le cellule staminali? Le cellule staminali sono cellule il cui destino non è ancora deciso e possono originare vari tipi di cellule diverse attraverso un processo denominato differenziamento. Esistono cellule staminali totipotenti che possono dare origine a qualsiasi tipo di tessuto cellulare, cellule staminali multipotenti che possono dare origine ad alcuni tipi di tessuto e cellule unipotenti, progenitrici di un solo tipo di tessuto. Le cellule totipotenti sono presenti fino al 5°-6° giorno dalla fecondazione e possono dare origine a tutti i tessuti dell’organismo e agli annessi embrionali, le cellule pluripotenti possono dare origine a tutti i tessuti, ma non agli annessi embrionali, le cellule multipotenti possono dare origine a diversi tipi cellulari dello stesso tessuto, come nel caso delle celle cellule staminali del midollo osseo che possono dare origine ai diversi tipi cellulari del sangue, ma non ad altre cellule, ed infine le staminali unipotenti possono dare origine ad un solo tipo cellulare come quelle dell’epidermide. Tutte le cellule staminali si dividono dando origine a due cellule differenti tra loro: una è uguale alla cellula madre e rimane staminale, mentre la seconda, chiamata progenitrice, può dividersi molte volte, ma non indefinitamente, perdendo quindi la staminalità e originando solo un tipo di cellula (staminale unipotente) o diversi tipi di cellula (staminale multipotente). Il meccanismo per il quale la cellula staminale si duplica raramente, producendo cellule figlie non ancora mature che a loro volta si duplicano moltissime volte, consente di ridurre i rischi connessi con la proliferazione cellulare, preservando la cellula staminale originaria. Infatti ad ogni duplicazione cellulare si corre il rischio di un danno genetico e si determina l’invecchiamento della cellula stessa. Le staminali hanno una serie di sensori in grado di recepire il segnale chimico liberato da cellule alterate in seguito ad un danno e modificano, di conseguenza, la velocità di divisione da molto lenta a molto veloce. Vi sono differenze individuali nella risposta delle cellule staminali, legate all’età, allo stile di vita, e ai danni precedenti e questo può influenzare l’invecchiamento. L’esistenza di staminali primitive e progenitrici non è dimostrabile direttamente perché le due cellule sono indistinguibili, ma è possibile farlo in modo indiretto. Attraverso tecniche di ingegneria genetica è possibile ottenere cellule staminali, progenitrici delle cellule del sangue, trasformate in modo da produrre una proteina fluorescente e trapiantarle in un topo. Se le cellule trasferite sono staminali primitive tutte le cellule del sangue prodotte saranno fluorescenti per tutta la vita del topo, ma se le cellule modificate sono le cellule progenitrici ottenute dalla prima divisione della cellula staminale primitiva gli elementi del sangue saranno fluorescenti solo per un certo periodo. Come si classificano le cellule staminali In base alle conoscenze attuali le cellule staminali vengono divise in due gruppi a seconda della fonte da cui vengono prelevate: le cellule staminali embrionali e le cellule staminali adulte. E’ necessario, però, fare un’ulteriore distinzione in base alle modalità di prelievo delle cellule stesse. Le cellule staminali embrionali derivano dalla regione interna della blastocisti, cioè dal primo ammasso formato da 156 cellule che si forma dopo la fecondazione della cellula uovo, ma prima del suo impianto in utero; da sole tre di queste cellule si originerà tutto l’organismo. Queste cellule possono essere coltivate in opportune condizioni e sono in grado di generare un grandissimo numero di cellule figlie che possono produrre qualunque tipo di tessuto e sono, pertanto, totipotenti. Questo tipo di cellule viene definito eterologo perché saranno trasferite in un organismo diverso da quello che le ha prodotte. 9 Le cellule staminali embrionali autologhe sono ottenute dopo che il nucleo di una cellula somatica adulta di un paziente viene trasferito in una cellula uovo, matura ma non fecondata, privata del suo nucleo di una donatrice. In un certo numero di casi la cellula uovo così modificata incomincerà a dividersi fino allo stadio di blastocisti. Le cellule staminali potranno essere prelevate, coltivate opportunamente e trasferite a scopo terapeutico per sostituire tessuti danneggiati; poiché queste cellule avranno lo stesso genoma del paziente saranno riconosciute come proprie dal sistema immunitario e non ci saranno problemi di rigetto. Le cellule staminali fetali somatiche sono derivate da feti abortiti, utilizzabili, però, solo per alcuni tessuti e solo a determinati stadi di sviluppo. Le cellule staminali del cordone ombelicale vengono ottenute dal sangue estratto dal cordone ombelicale dopo il parto e conservate opportunamente; queste cellule permettono di creare delle banche cellulari alle quali attingere per trapianti e in un futuro potranno essere personalizzate. Si può prevedere che, alla nascita di ogni bambino, le cellule del suo cordone ombelicale vengano conservate per creare una riserva biologica personale da utilizzare nel caso di malattie future. Le cellule staminali adulte hanno la funzione di mantenere l’integrità dell’organismo, sostituendo cellule danneggiate o morte. Mentre negli organismi unicellulari o pluricellulari il ciclo vitale è legato alla longevità delle singole cellule, negli organismi complessi la durata della vita è di gran lunga superiore a quella delle singole cellule proprio perché attraverso le staminali è possibile rinnovare i tessuti. Le cellule staminali adulte Fino ad alcuni anni fa si riteneva che solamente i tessuti sottoposti a continuo rinnovamento cellulare, come il sangue o l’epidermide, possedessero cellule staminali e proprio per la maggior frequenza delle duplicazione cellulare rispetto ad altri tessuti fosse più probabile la comparsa di tumori. Si riteneva anche che i tessuti soggetti a scarso ricambio fossero privi di staminali e affetti, soprattutto da patologie degenerative. Oggi, invece, si sa che anche in questi tessuti, come nel caso del sistema nervoso o del tessuto muscolare cardiaco, sono presenti cellule staminali in grado di generare i diversi tipi di cellule nervose, come neuroni e glia, o cellule cardiache. Non si conoscono, però, ancora tutti i tipi di staminali presenti nel nostro organismo e questo pone un limite al loro utilizzo terapeutico generalizzato. La plasticità delle cellule staminali Fino al 1998 si riteneva che una volta differenziate la cellule staminali multipotenti o unipotenti non potessero produrre altro che le cellule per le quali erano specializzate. In seguito ad alcuni esperimenti si è potuto verificare che le cellule staminali del midollo osseo possono produrre, in opportune condizioni e con bassa frequenza, anche cellule muscolari, neuroni, cellule epiteliali e del fegato. Questo comporta quindi la possibilità di ricondizionare le cellule staminali facendo ripercorrere all’indietro, almeno in parte, il processo di differenziamento. In altri esperimenti è stato possibile trasferire cellule staminali in embrioni di pollo e ottenere cellule del sangue, muscolari e altre ancora. Se gli studi in questa direzione daranno esito favorevole si potranno utilizzare cellule staminali adulte specializzate per ottenere cellule da ricondizionare, superando il problema etico relativo all’uso delle cellule embrionali. L’utilizzo delle cellule staminali L’interesse per le cellule staminali si è diffuso dopo il 2000, soprattutto per effetto mediatico, perché, dal punto di vista scientifico, gli studi relativi risalgono a parecchi anni prima. Già dagli anni ’60-’70, infatti, sono state utilizzate nelle terapie salvavita nel caso di leucemie e la scoperta delle cellule staminali del sistema nervoso risalgono al 1991. Attualmente le cellule staminali vengono utilizzate a scopo terapeutico nel trapianto di 10 midollo osseo per la cura delle malattie ematiche, nel trapianto di epidermide in seguito a lesioni e ustioni e nel trapianto di cornea. Gli studi in corso sono rivolti alla messa a punto di protocolli terapeutici per numerose altre malattie, quali il morbo di Parkinson, l’Alzheimer, il diabete, le malattie cardiache e la paralisi. Condizioni indispensabili perché l’utilizzo delle cellule staminali sia efficace dal punto di vista terapeutico devono verificarsi le seguenti condizioni: x le cellule staminali devono essere estratte da un tessuto facilmente accessibile senza danni per l’individuo x devono essere isolate in numero sufficiente o fatte riprodurre in vitro senza perdita della loro staminalità x devono essere trasferite all’organo bersaglio in modo efficace x devono essere in grado di mantenere le loro caratteristiche e di riprodursi in modo da sostituire il tessuto danneggiato e ripristinare le funzioni alterate dalla malattia. Le cellule staminali cerebrali Nel passato si riteneva che i percorsi delle fibre nervose fossero qualcosa di fissato e immutabile e che le cellule nervose non fossero in grado di riprodursi una volta terminato lo sviluppo; oggi sono note le nicchie delle cellule staminali, il luogo dove queste crescono e che influenza lo sviluppo delle cellule stesse. Nel sistema nervoso le staminali si dividono una volta ogni 28 cicli, ma la produzione di nuove cellule nervose avviene però solo in alcune zone. Per il tessuto nervoso funzionano bene le cellule staminali fetali estratte da embrioni tra la 6° e la 15°settimana. Nel cervello umano le staminali tappezzano le cavità dei ventricoli. Le cellule del cervello, sottoposte a opportuni trattamenti, possono essere indotte a credere che si sia verificato un danno e quindi si attivano per cercare di compensarlo; vengono prodotte cellule staminali e cellule mature; queste ultime verranno distrutte per conservare solo le staminali primitive utilizzabili per il trapianto. Anche nei bulbi olfattivi ci sono delle cellule staminali di tipo nervoso. Ci sono alcuni trapianti di cellule staminali che non richiedono il ripristino di connessioni specifiche, come nel caso del morbo di Parkinson che richiede solo l’incremento nella produzione di dopamina e quindi la precisa localizzazione delle cellule staminali nel tessuto cerebrale non è rilevante. Le lesioni del sistema nervoso a livello del midollo richiedono invece una guida da seguire e per questo vengono utilizzati dei polimeri di supporto che vengono poi gradualmente riassorbiti. In questo modo è possibile ricostruire dei nervi sintetici. Gli oligodendrociti producono la mielina e nel caso della sclerosi multipla, dove questo sistema si altera, si interviene con trasfusione di cellule staminali. Si possono produrre topi con sclerosi multipla attraverso iniezione di mielina, verso la quale l’animale scatena una risposta immunitaria, distruggendo, di conseguenza, anche la propria. Attraverso il trattamento successivo con cellule staminali si sono ottenuti miglioramenti considerevoli con un recupero quasi completo della capacità motoria danneggiata dalla malattia. Esperimenti analoghi sono stati fatti con cellule umane sulle scimmie con discreti risultati. 11 LE MALATTIE RARE di Serena Dottore, Federica Palmerini e Carla Tartaglia L’ABC DELLA GENETICA L’organismo umano è formato da circa 100 mila miliardi di cellule. Ognuna di esse presenta un nucleo nel quale sono racchiusi i cromosomi, formati da lunghi filamenti di DNA. Il DNA contiene e trasmette tutte le informazioni ereditarie. L’intero patrimonio genetico di un organismo è detto genoma e la sua unità funzionale è il gene. La struttura del DNA Il DNA, acido deossiribonucleico, è formato da due filamenti, disposti a doppia elica, ciascuno dei quali è caratterizzato dalla successione casuale di nucleotidi formati da una molecola di zucchero, da un acido fosforico e da una base azotata scelta tra le quattro possibili, chiamate Adenina (A), Guanina G), Citosina (C) e Timina (T). I due filamenti della doppia elica sono complementari e le basi azotate si appaiano sempre nello stesso modo: A con T e C con G. Il DNA ha la capacità di duplicarsi; quando una cellula si divide i due filamenti si separano per permettere la sintesi di un filamento complementare ed avere, alla fine del processo, due molecole di DNA identiche a quella di partenza. I cromosomi I cromosomi sono formati da filamenti di DNA, ripetutamente spiralizzato, che assume la forma di bastoncini visibili durante la divisione cellulare. Normalmente in ogni cellula umana esistono 46 cromosomi, dei quali 23 sono ereditati dalla madre e 23 dal padre. Due di questi cromosomi sono detti sessuali: il cromosoma X e Y. Le femmine possiedono una coppia di cromosomi X, mentre i maschi possiedono un cromosoma X e un cromosoma Y. Le altre 22 coppie di cromosomi non sessuali, detti autosomi, sono uguali due a due. Questo fa si che ciascun gene sia presente in due copie, una materna e l’altra paterna, Non sempre gli alleli sono uguali fra loro, anzi molto spesso presentano delle differenze. Gli alleli sono quindi versioni diverse dello stesso gene. Fanno eccezione i geni contenuti nel cromosoma X e Y, che sono presenti in una sola copia nel maschio, in due copie nella femmina. I geni All'interno di ciascun cromosoma si trovano migliaia di geni. Ognuno è un segmento di DNA che contiene le istruzioni per fabbricare una proteina. I geni sono le unità funzionali del patrimonio genetico. Si stima che nel genoma umano esistano 30-40 mila geni, i quali rappresentano solo il 3 per cento circa di tutto il DNA umano. La maggior parte del DNA non codifica per alcuna proteina, e la sua funzione non è ancora del tutto chiara. LE MALATTIE GENETICHE Trasmissione delle malattie genetiche Le malattie genetiche sono causate da alterazioni nel DNA di un individuo. Possono essere acquisite o ereditarie se l’alterazione del DNA viene trasmessa alle generazioni successive. Le malattie causate da difetti in un solo gene si dicono monogeniche, mentre se i geni alterati sono più di uno la malattia è poligenica. Se a causare la malattia intervengono anche fattori ambientali, si parla di malattia multifattoriale. Le malattie genetiche ereditarie si possono trasmettere secondo diverse modalità: x Eredità monogenica o mendeliana: per le malattie dovute all'alterazione di un singolo gene. 13 x Eredità multifattoriale: dovuta al concorrere di più geni e all'intervento di fattori ambientali. x Eredità cromosomica: per le malattie causate da alterazioni nel numero e nella struttura dei cromosomi. x Eredità mitocondriale: per le malattie causate da alterazioni genetiche nel DNA dei mitocondri. Ereditarietà monogenica Molte malattie ereditarie dell'uomo sono determinate da mutazioni in singoli geni e sono quindi trasmesse come caratteri monogenici. In questo le malattie monogeniche si differenziano da quelle multifattoriali, ma questa distinzione non è così netta, perché molte malattie monogeniche presentano sintomi che variano, per tipo e gravità, da individuo a individuo, spesso per la presenza di geni modificatori diversi. Le malattie monogeniche si possono trasmettere con tre modalità diverse: x Autosomica dominante x Autosomica recessiva x Legata al cromosoma X Eredità multifattoriale La maggior parte delle caratteristiche fisiche di un individuo, come il colore degli occhi o l’altezza è determinata dall'intervento di più geni, che spesso interagiscono con l'ambiente. Nelle malattie multifattoriali l'eredità è complessa e difficilmente prevedibile perché non si eredita la malattia, ma la predisposizione ad ammalarsi e la malattia è determinata da un insieme di fattori genetici e ambientali. Sono molte le malattie che vengono ereditate come caratteri multifattoriali, fra queste il diabete mellito giovanile e le malattie autoimmuni. Eredità cromosomica Le malattie causate da anomalie cromosomiche sono tra le più importanti cause di morte prenatale o di malattie congenite. Derivano da variazioni nel numero dei cromosomi o da alterazioni nella loro struttura. Le più frequenti alterazioni numeriche sono le trisomie nelle quali è presente un cromosoma in più in ciascuna cellula, come nel caso della sindrome di Down (trisomia del cromosoma 21) o le monosomie nelle quali manca un cromosoma (come la sindrome di Turner). Tra le alterazioni della struttura dei cromosomi vi sono la delezione, la duplicazione o l’inversione di un segmento cromosomico e la traslocazione che consiste nel trasferimento di porzioni tra cromosomi diversi. Se in quest’ultimo processo, non viene perso DNA la traslocazione è detta bilanciata e gli individui che ne sono portatori sono clinicamente normali, ma rischiano di dare alla luce figli con anomalie cromosomiche. Eredità mitocondriale I mitocondri (le centrali energetiche della cellula) sono dotati di un proprio DNA, con caratteristiche molto diverse da quello nucleare (cioè quello contenuto nei cromosomi). Il DNA mitocondriale contiene l'informazione per la fabbricazione di proteine importanti per funzionamento del mitocondrio. Le alterazioni nel DNA mitocondriale si trasmettono solo per via materna. Questo perché i mitocondri dell'embrione derivano tutti dalla cellula uovo. Non tutte le malattie mitocondriali dipendono da alterazione nel DNA dei mitocondri. Molte sono dovute ad alterazioni in geni nucleari e si trasmettono come malattie monogeniche. COSA SONO LE MALATTIE RARE Le malattie rare sono condizioni morbose poco frequenti, ma anche poco conosciute, poco studiate e spesso mancanti di una terapia adeguata. Sono spesso chiamate "malattie orfane" perché poco appetibili alla ricerca sperimentale e clinica. La peculiarità delle malattie rare risiede nel fatto che esse richiedono un’assistenza specialistica e continuativa di dimensioni tali da non poter essere supportata senza un importante intervento pubblico. 14 La rarità della malattia comporta un minor interesse della ricerca, sia per le cause che la determinano che per la sua patologia, una maggiore difficoltà nel descrivere la storia naturale con le sue possibili varianti, nel progettare ricerche cliniche, ma anche un minor mercato capace di ammortizzare i costi di una ricerca farmacologica specifica ed una scarsa diffusione delle conoscenze, comunque disponibili, nella pratica corrente. I soggetti affetti si trovano, pertanto, in una situazione di doppio danno: il primo derivante dall’essere affetto da una patologia quasi sempre molto severa e il secondo dal non essere riconosciuti, diagnosticati e curati per quanto si potrebbe. Le malattie rare costituiscono un gruppo eterogeneo di affezioni caratterizzate solo dalla comune bassa prevalenza. Esse possono venire a comprendere un numero diversificato di malattie a seconda di quale sia la frequenza nella popolazione. Vengono definite rare le malattie che hanno una prevalenza inferiore a 5 casi ogni 10.000 abitanti nell'insieme della popolazione comunitaria. Viene definita patologia rara nel Piano Sanitario Nazionale una patologia o affezione con incidenza variabile da 1 su 20.000 a 1 su 200.000 abitanti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità considera almeno 5.000 le malattie e le sindromi che si possono considerare rare pari al 10% del totale delle malattie conosciute. Di queste la maggioranza sono malattie causate da un’anomalia genetica. Molte malattie sono rare in alcune aree geografiche o in alcune popolazioni e più frequenti in altre per ragioni legate a fattori genetici, alle condizioni ambientali, alla diffusione di agenti patogeni, alle abitudini di vita. Nelle classificazioni più ampie di malattie rare si ritrovano gruppi molto eterogenei di patologie: x un primo gruppo rappresentato da malattie su base genetica o supposta tale, molto rare, con incidenza alla nascita inferiore a 1 su 10.000 nati, x un secondo gruppo di malattie relativamente frequenti, come le leucemie, varie forme di tumori del bambino e dell'adulto, e patologie infettive come l'AIDS, la sifilide acquisita, ecc., x un terzo gruppo di patologie tipiche della senescenza, di diffusione sempre più ampia, come l'Alzheimer, il Parkinson, ecc. Le caratteristiche Rarità: da essa dipende la difficoltà di ottenere una diagnosi appropriata e tempestiva e un trattamento idoneo. la rarità incide sulla possibilità della ricerca chimica in quanto la valutazione di nuove terapie è spesso resa difficoltosa dall’ esiguo numero di pazienti arruolabili nei trial clinici. Numerosità: nel loro insieme le Malattie Rare rappresentano circa il 10% delle patologie umane e interessano complessivamente una frazione importante della popolazione, ciò motiva interventi di sanità pubblica comuni e coordinati. Natura genetica: la maggior parte di queste patologie è geneticamente determinata e ciò induce a comuni approcci di prevenzione (individuazione dei fattori di rischio, screening dei portatori, ecc.), di diagnosi (diffusione e validazione delle tecniche di genetica molecolare e citogenetica). Contenuto emotivo dei pazienti e dei loro familiari: i pazienti e dei loro familiari vivono un'esperienza doppiamente dolorosa rappresentata dalla malattia e dalla condizione di solitudine, legata alla scarsità di conoscenze scientificamente disponibili e professionalmente utilizzabili. Un primo passo per migliorare l’assistenza ai malati con malattie rare è la valutazione della frequenza di tali patologie. Le patologie rare sono frequentemente croniche ed invalidanti. Per la loro natura comportano difficoltà diagnostiche che spesso richiedono indagini specifiche, a volte, non disponibili nel territorio nazionale. Il trattamento può richiedere l’impiego di farmaci cosiddetti orfani in quanto non previsti dal prontuario terapeutico nazionale e la maggior parte dei medicinali sono estremamente costosi. 15 Molte patologie inoltre richiedono trattamenti e presidi riabilitativi. Per alcune di esse è possibile la prevenzione attraverso specifiche indagini genetiche e screening di massa. Al momento non esistono stime sull’ entità del carico assistenziale necessario per la prevenzione e la cura delle malattie rare in territorio piemontese. I Farmaci Orfani I Farmaci Orfani sono quei prodotti farmaceutici, potenzialmente utili per il trattamento di una Malattia Rara, che non hanno mercato sufficiente per ripagare le spese di ricerca e produzione. La bassa incidenza di queste malattie si traduce in un grande deficit di capacità diagnostica e terapeutica. LA NORMATIVA Il Ministero della Salute ha stabilito forme di tutela per le persone affette da “malattie rare" attraverso il Decreto Legislativo n.124 del 1998 e ha elaborato un Regolamento mediante l’attuazione del Decreto Ministeriale 18 maggio 2001, n.279 che prevede l'istituzione di una Rete nazionale dedicata alle malattie rare. Il Regolamento (Decreto Ministeriale 18 Maggio 2001, n.279): x Istituisce una Rete nazionale dedicata alle "malattie rare" mediante la quale sviluppare azioni di prevenzione e sorveglianza, migliorare gli interventi volti alla diagnosi e alla terapia e promuovere l'informazione e la formazione. La rete è costituita da Presidi accreditati individuati dalle Regioni: sono Centri abilitati ad erogare prestazioni finalizzate alla diagnosi ed al trattamento delle malattie rare. x Istituisce il Registro nazionale delle Malattie Rare presso l'Istituto Superiore di Sanità al fine di ottenere a livello nazionale un quadro complessivo della diffusione delle malattie rare e della loro distribuzione sul territorio. x Individua 284 malattie e 47 gruppi di malattie rare per le quali si prevede l'esenzione dalla partecipazione al costo delle correlate prestazioni sanitarie. Sono esentate le prestazioni effettuate presso i Presìdi della rete individuate dal regolamento. Per i soggetti riconosciuti affetti da malattia rara è prevista l'esenzione per tutte le prestazioni efficaci ed appropriate al trattamento ed al monitoraggio della malattia e per la prevenzione degli ulteriori aggravamenti. Normative europee per le malattie rare Le principali normative europee riferite alle malattie rare sono: - Estratti dalla Decisione No 1400/97/del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 Giugno 1997 per un programma di monitoraggio della salute nel quadriennio 1997 2001. - Estratti dalla Disposizione N. 1295/1999/EC del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 Aprile 1999 per adottare un programma di azione comunitaria sulle malattie rare entro le iniziative nel campo della pubblica salute (quadriennio 1999-2003) - Estratti dal Regolamento (EC) No 141/2000 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 Dicembre 1999 sui medicinali orfani Articolo 1. Normative italiane per le malattie rare Le principali normative italiane riferite alle malattie rare sono: - Estratti dal Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare (sancito il 18 maggio 2001 ai sensi del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124). - Estratto dalla illustrazione delle attività del Centro Nazionale Malattie Rare (notiziario ISS - vol. 14 - n. 7/8 Luglio/Agosto 2001). 16 UNA MALATTIA ORFANA: LA SINDROME DI RETT La Sindrome di Rett (SR) è una malattia genetica che interessa prevalentemente le femmine e si ritrova con particolare frequenza (10%) tra le ragazze di età inferiore ai 14 anni affette da ritardo mentale profondo. Non tutte le bambine affette dalla sindrome presentano il quadro completo della malattia, per cui accanto alle forme classiche (con sintomatologia e andamento caratteristici), sono state descritte varianti con sintomatologia attenuata, anticipata o differita, oppure con assenza di uno o più sintomi tipici. Come si manifesta: L' arresto dello sviluppo psicomotorio e dell' accrescimento della circonferenza cranica costituiscono i primi sintomi della malattia. Dopo uno sviluppo apparentemente normale, la malattia si manifesta nel primo/secondo anno di vita con una graduale perdita del linguaggio e delle abilità manuali, accompagnate da stereotipie delle mani (che ripetono uno stesso schema di movimenti anche senza ragione apparente), microcefalia acquisita (testa più piccola rispetto al resto del corpo), rallentamento della crescita, convulsioni, atassia della marcia (disturbo di coordinazione del movimento) e del tronco (alterazioni del controllo del busto), disturbi respiratori (iperventilazione ed apnee), tratti autistici incostanti e comunque temporanei. Segue un periodo di regressione con perdita di interesse per l' ambiente e le persone, perdita di abilità manuali e linguistiche già acquisite, comparsa di movimenti ripetuti delle mani portate alla bocca o al petto (stereotipie tipo lavaggio, applauso, sfregamento, preghiera). Questi disturbi possono presentarsi lentamente in forma subdola o comparire in modo drammatico ed evidente. Dopo questo periodo di regressione, solitamente la malattia si stabilizza: le bambine recuperano le capacità di interazione sociale, ma possono intervenire altri disturbi neurologici (convulsioni, alterazioni respiratorie di origine centrale) e fisici (scoliosi, osteoporosi, stipsi, difficoltà alimentari). Come già detto la SR colpisce le femmine, nelle quali la malattia appare tra i 6 ed i 18 mesi di vita. Nei pochi casi di Rett maschile descritti, la sintomatologia non appare mai nella forma classica. Secondo alcuni autori nel maschio la malattia potrebbe manifestarsi in grado assai più grave, con decesso nel primo anno di vita, cosa che ne renderebbe ancora più problematico il riconoscimento. Le cause: Ci sono molti studi finalizzati alla ricerca genetica sulle cause della SR. Recentemente sono state identificate mutazioni di un gene, localizzato nel cromosoma X. Nella stragrande maggioranza dei casi la mutazione, allo stato attuale delle conoscenze, appare in forma sporadica. Nei casi familiari, considerando l’interessamento quasi esclusivo del sesso femminile e la letalità precoce nei maschi, resta valida l’ipotesi di una malattia a modalità di trasmissione dominante, legata al cromosoma X. Secondo questa ipotesi, i maschi con la mutazione nel cromosoma X presenterebbero la malattia in forma molto più grave delle femmine (ricordiamo che i maschi hanno un solo cromosoma X, mentre le femmine ne possiedono una coppia); per questo motivo solo pochi maschi vivi presenterebbero la malattia. L’alterazione genica è stata identificata in circa l’80% delle femmine con diagnosi clinica, pertanto la diagnosi genetica è molto affidabile. Come si trasmette: Nelle casistiche fino ad oggi studiate la malattia generalmente appare in forma sporadica. Esistono peraltro casi familiari molto più rari. Lo studio dei gemelli ha consentito di verificare una concordanza per la malattia pressoché sistematica nelle gemelle monozigoti ed una discordanza assoluta in quelle eterozigoti. Esistono casi di trasmissione madre-figlia e alcune famiglie nelle quali sono state identificate più femmine affette. E’ chiaro, quindi, che esiste una base genetica per la SR, ma non sono note le precise modalità di trasmissione ereditaria. La diagnosi: la diagnosi, pur essendo più difficoltosa all'esordio e nelle forme varianti, è agevolata dalla conoscenza della storia naturale della malattia, che la rende assolutamente specifica e permette di differenziarla da patologie con sintomi simili. Non esiste al momento una terapia specifica in grado di guarire le persone affette dalla SR. Esistono però terapie sintomatiche che possono mantenere e sviluppare le abilità residue e migliorare la qualità della vita delle bambine e delle famiglie. 17 GENI E CROMOSOMI di Daniele Dragano e Alessandra Gangai La struttura della cellula La cellula rappresenta l'unità organizzativa fondamentale degli organismi viventi: è infatti la più piccola unità di un organismo in grado di funzionare in modo autonomo. Ogni cellula è delimitata spazialmente da una membrana esterna, la membrana cellulare, che ha la funzione di separare il contenuto della cellula dall'ambiente esterno e regola i flussi di sostanze in entrata e in uscita dalla cellula grazie alla sua permeabilità selettiva. All'esterno della membrana cellulare, le cellule di vari organismi (batteri, vegetali, funghi) sono ulteriormente delimitate dalla parete cellulare, che svolge una funzione essenzialmente strutturale. All'interno della cellula vi è il citoplasma, una sostanza fluida, ad elevato contenuto d'acqua, che contiene una varietà di molecole e di strutture specializzate dette organelli. Esistono tuttavia due tipi di cellule, fondamentalmente distinti per il loro diverso grado di complessità organizzativa. Le cellule degli organismi procarioti (dal greco pro-,”prima di” e karion, “nucleo”) sono di dimensioni più piccole, con il diametro generalmente compreso tra 1 e 5 µm, e hanno una struttura interna molto semplice; il loro materiale genetico non è separato dal citoplasma per mezzo di una membrana. Un esempio di organismi procarioti sono i batteri. Le cellule degli organismi eucarioti (dal greco eu, “bene” e karion, “nucleo”) hanno invece. dimensioni maggiori con diametro tra 10 e 50 µm, e il loro materiale genetico è racchiuso all'interno di una membrana, detta involucro nucleare, che delimita il nucleo. Il materiale genetico, che contiene le informazioni ereditarie, dirige l'attività della cellula e le consente di trasmettere le sue caratteristiche ai suoi discendenti. Le cellule umane sono di tipo eucariote. Il DNA L'ereditarietà biologica, ovvero il processo di trasmissione di caratteri individuali dai genitori ai loro discendenti, è stata da sempre oggetto di stupore. Tuttavia, solo nella seconda metà del diciannovesimo secolo, grazie agli studi effettuati da Mendel, si è iniziato a chiarire il funzionamento dei meccanismi ereditari. Mendel dimostrò che le caratteristiche ereditate vengono trasmesse come unità discrete, dette geni, che si distribuiscono secondo determinate regole da una generazione all'altra. I geni degli organismi eucarioti sono localizzati nei cromosomi, strutture complesse formate da proteine e da una macromolecola detta acido desossiribonucleico o DNA. La struttura del DNA, scoperta negli anni '50 da Watson e Crick, e paragonabile a una scala a pioli avvolta a spirale. I montanti della scala sono formati da un'alternanza di molecole di zucchero (desossiribosio) e di fosfato, mentre i pioli sono costituiti da quattro basi azotate: adenina (A), citosina (C), guanina (G), timina (T). Ogni piolo è formato da due basi e ogni base è legata a un'unità zucchero-fosfato. Le basi appaiate sono legate fra loro da legami idrogeno e, per la loro struttura, l'adenina può appaiarsi solo con la timina e la citosina solo con la guanina. L'insieme di una base e dell'unità zucchero-fosfato si chiama nucleotide. Il DNA è quindi una catena di nucleotidi. La sequenza di tre nucleotidi, o tripletta, rappresenta l’unità su cui si basa il codice genetico: nella sintesi delle proteine, ad ogni tripletta, corrisponde un dato amminoacido. Le sequenze di basi contenute nel DNA costituiscono l'informazione necessaria per l'attività vitale della stessa e il DNA è in grado di autoreplicarsi, consentendo così il passaggio dell'informazione genetica da una cellula a un'altra. 19 Il genoma umano Tutto il DNA di un organismo costituisce il suo genoma. Negli ultimi anni il genoma di molti organismi, tra cui l’uomo, è stato decodificato, cioè è stata definita la sequenza nucleotidica che lo compone. Solo in parte, però, si è riusciti ad interpretare e a tradurre le informazioni ricavate e il lavoro da svolgere è ancora grandissimo. Mentre nei procarioti tutto il genoma è presente come sequenze uniche, negli eucarioti è presente anche in sequenze ripetute; in particolare il genoma umano è costituito dal 64% di DNA a sequenze uniche, il 25% di DNA a sequenze moderatamente ripetute e il 10% di sequenze altamente ripetute che tendono a essere localizzate in regioni specifiche dei cromosomi. Le unità funzionali del genoma sono i geni, caratterizzati da particolari sequenze di basi. Solo il 3% circa del nostro DNA contiene informazioni che vengono tradotte in proteine attraverso la sintesi proteica, tutto il resto ha funzione di regolazione o altre funzioni non ancora note. Anche i geni che si esprimono sono a loro volta formati da regioni codificanti, gli esoni, alternate a regioni non codificanti, gli introni. I cromosomi Nelle cellule degli eucarioti il DNA, contenuto nella cellula, è associato a proteine e suddiviso in filamenti chiamati cromosomi. L’intero DNA genomico è presente nel nucleo di tutte le cellule e dal momento che la lunghezza totale del nostro DNA, in ogni cellula, è di circa 2 metri e il diametro del nucleo è di soli 5-10µm, la doppia elica deve essere compattata di almeno 100.000 volte. Il livello più semplice di impacchettamento è il nucleosoma costituito da un ottamero di proteine istoniche attorno alle quali è avvolta la doppia elica. Questa struttura a forma di collana di perle, dove il filo è il DNA fra due nucleosomi successivi e la perle sono i nucleosomi stessi è ulteriormente avvolto su se stessa per formare una struttura solenoidale; a sua volta questa struttura è ripiegata ad anse e agganciata a una matrice proteica. Infine si formano le spirali condensate che costituiscono i cromosomi veri e propri. Durante la divisione cellulare i cromosomi appaiono suddivisi in due parti chiamate cromatidi che corrispondono ai due filamenti di DNA duplicati, in attesa di essere separati. La struttura che unisce i due cromatidi è chiamata centromero e da essa dipende la corretta ripartizione dei cromosomi nelle cellule figlie. Le estremità dei cromosomi sono chiamate telomeri e sono costituite dalla sequenza di sei nucleotidi (TTAGGG) ripetute migliaia di volte. Queste strutture hanno la funzione di impedire che i cromosomi si sfilaccino alle estremità e aiutano il sistema di riparazione delle DNA a distinguere le semplici estremità da zone di rottura della doppia elica. Recenti studi hanno evidenziato che i telomeri sono coinvolti nel processo di invecchiamento delle cellule. Le proteine cromosomiche sono distinte in proteine istoniche, dotate di carica positiva che facilita il loro legame con il DNA e che contribuiscono alla spiralizzazione della doppia elica per formare i cromosomi, e proteine non-istoniche con funzione enzimatica, strutturale, coinvolte nel processo di replicazione e trascrizione del DNA. Il corredo cromosomico. Il numero e la forma dei cromosomi sono tipici per ogni specie. I cromosomi umani sono 46, distinti in 22 coppie, chiamati autosomi, numerati da 1 a 22 e una coppia di cromosomi sessuali detti anche autosomi. Nella donna due i cromosomi sessuali sono uguali (XX), mentre nell’uomo sono diversi (XY). I cromosomi di ciascuna coppia sono chiamati cromosomi omologhi. Una cellula che presenta un corredo cromosomico costituito da coppie di cromosomi viene definita diploide, mentre una cellula con un solo cromosoma per tipo viene chiamata aploide. Nell’uomo tutte le cellule sono diploidi ad esclusione delle cellule della riproduzione, cioè cellula uovo e spermatozoo. 20 Le mappe cromosomiche e i bandeggi Per poter riconoscere e classificare i cromosomi di un individuo si costruisce la mappa cromosomica, nella quale i cromosomi vengono disposti convenzionalmente in base alle loro dimensioni relative e alla posizione del centromero. L’identificazione inequivocabile dei cromosomi viene fatta utilizzando tecniche di colorazione delle diverse regioni cromosomiche, i bandeggi. I cromosomi presentano infatti zone più spiralizzate, geneticamente inattive e che si colorano intensamente, dette eterocromatiche, e zone meno condensate, geneticamente attive e che si colorano più debolmente, dette eucromatiche. Esistono diversi tipi di bandeggio: x le bande “Q” sono ottenute mediante l’impiego di un colorante fluorescente, la quinacrina. Le bande meno luminose sono più ricche in adenina e timina x le bande ”G” sono ottenute con colorante Giemsa. Le bande più scure corrispondono alle zone ricche in adenina e timina e sono quindi complementari alle bande “Q”. x la FISH è una tecnica di ibridazione con fluorescenza in situ che consente di colorare sequenze specifiche e differenziare i cromosomi tra loro. Le mutazioni Le mutazioni cromosomiche sono delle alterazioni del DNA, a livello di un singolo gene, della struttura di uno o più cromosomi o dell’intero genoma. Le mutazioni possono essere spontanee o indotte; quelle spontanee possono essere dovute ad errori nel processo di duplicazione del DNA o agli effetti non riconosciuti di agenti esterni, quelle indotte possono essere ottenute con mutageni fisici o chimici. I fattori fisici più comuni sono le radiazioni UV, i raggi X e i raggi DŽ che ionizzano le basi azotate modificandone la struttura o rompono il legame zucchero-fosfato. I composti chimici mutageni agiscono sul DNA già esistente o provocano errori nella sintesi del nuovo DNA, modificandone l’assetto e il funzionamento. Non sempre l’azione di mutageni porta a mutazione perché il DNA non è l’unico potenziale bersaglio, lo sono anche RNA e proteine, e perché l’effetto mutageno è in relazione con la dose e con l’efficacia dei meccanismi di riparazione di cui la cellula dispone. I prodotti genici che si ottengono dopo mutazione, quando questa non li renda del tutto privi di senso o letali, sono di solito inattivi o meno attivi degli originari e, solo raramente, hanno attività maggiore o diversa. Le mutazioni possono essere somatiche o germinali; quelle somatiche provocano danni all’individuo che le porta mentre quelle germinali, che interessano le cellule riproduttive, possono ripercuotersi sulla discendenza. Le mutazioni possono essere di tre tipi: genomiche, cromosomiche e geniche. Mutazioni genomiche Le mutazioni genomiche consistono in una variazione del numero dei cromosomi dovuta a perdita o aggiunta di interi cromosomi. Si distinguono in: x Aneuploidie: sono piuttosto dannose e si verificano quando ad un organismo viene a mancare, oppure viene aggiunto, un particolare cromosoma (trisomia 21 o sindrome di Down, trisomia 13 o sindrome di Patau, trisomia 18 o sindrome di Edwards, XO o sindrome di Turner); tali alterazioni sono compatibili con la vita solo per cromosomi di piccole dimensioni e con pochi geni espressi. x Poliploidie: compaiono quando si aggiungono uno o più corredi cromosomici completi. In questo modo un individuo si trova a possedere, all’interno dei nuclei delle sue cellule, un corredo cromosomico triplo o quadruplo. Mutazioni cromosomiche Interi pezzi di cromosomi vengono casualmente eliminati o si fondono con altri già presenti. I geni si vengono così a trovare in una posizione diversa da quella originale. Dato che 21 la regolazione dell’attività di un gene dipende, in parte, dalla sua localizzazione nel genoma, le mutazioni cromosomiche hanno generalmente, effetti drammatici. Si evidenziano questi tipi di mutazioni: x delezioni: consistono nella perdita di una porzione di cromosoma x duplicazioni: si verificano quando una parte di cromosoma viene duplicato ed è quindi presente nella cellula in triplice copia x inversioni: sono dovute a pezzi di cromosoma che si staccano e si inseriscono nel cromosoma in posizione capovolta x traslocazioni: sono scambi di materiale cromosomico tra cromosomi non omologhi x fusione centrica: consiste nella fusione tra due cromosomi con perdita di un centromero x dissociazione centrica: fenomeno inverso alla fusione; in questo caso da un cromosoma se ne ottengono due con formazione di un nuovo centromero. Mutazioni geniche Le mutazioni geniche o puntiformi consistono in cambiamenti nella sequenza delle basi con conseguente alterazione dell’informazione genetica contenuta. Le mutazioni puntiformi comprendono le sostituzioni, le delezioni e le inserzioni. x la sostituzione di una base può avvenire per errore di appaiamento durante la duplicazione del DNA e questo può provocare una mutazione sinonima, se la tripletta modificata codifica per lo stesso amminoacido di quella originaria, una mutazione missense, se l’aminoacido inserito è diverso, una mutazione non-senso, se la tripletta non codifica per alcun aminoacido o una mutazione di allungamento se la tripletta nuova sostituisce una di interruzione del messaggio. x La delezione, cioè la perdita di una base, o l’inserzione, cioè l’aggiunta di una base, determinano uno spostamento della lettura del codice genetico, perché, dal quel punto in poi, cambieranno tutte le triplette e il messaggio codificato sarà completamente diverso. E’ importante ricordare che le mutazioni possono essere anche silenti,cioè non avere alcun effetto. Questo si verifica quando: x la mutazione avviene in un gene che codifica per una proteina non indispensabile x il gene mutato non si esprime x la mutazione forma una tripletta che codifica per lo stesso amminoacido x la mutazione viene soppressa da un’altra mutazione x l’amminoacido mutato non altera la funzione della proteina I cicli biologici, la replicazione semiconservativa del DNA con il mantenimento di un filamento originario, la segregazione etc. predispongono diverse barriere alla fissazione delle mutazioni, le quali si stabilizzano con con tassi non elevati. Per tasso di mutazione si intende la probabilità che una mutazione abbia luogo e si fissi in un genoma di una dimensione data e in un tempo definito. La maggior parte delle mutazioni sono dannose per l’organismo e il portatore di una mutazione sfavorevole, quasi sempre, muore prima di riprodursi. La selezione naturale, quindi, tende a sottrarre geni alterati all’ambiente. Nonostante i problemi che possono causare, le mutazioni sono state di fondamentale importanza per l’evoluzione; senza di esse non si sarebbe potuti sviluppare dalle più semplici forme di vita organismi sempre più complessi. 22 I TERMINI DELLA GENETICA Nome Cos’ è Basi azotate Adenina A, timina T, citosina L'adenina si lega C e guanina G. alla timina, con ponti idrogeno. guanina si lega solo citosina. solo due La alla La successione di tre basi azotate forma una " tripletta ". Cromatina Sostanza colorabile, Per il 50% da proteine e contenuta nel nucleo delle per il restante 50% dal cellule eucariote. Meno DNA. condensata che nei cromosomi forma nel nucleo una trama reticolare colorabile con coloranti basici. Contiene le informazione genetiche, ed è visibile quando la cellula è a riposo. Cromosomi Organelli presenti nel nucleo, con tipica forma a bastoncino, con dimensioni dell'ordine delle decine di micrometri, visibili solo durante la fase di divisione cellulare. Sono formati da una lunghissima molecola di DNA superavvolta e condensata grazie agli istoni e altre nucleoproteine. Presenti in un numero costante e tipico di ogni specie sono sede del genoma. Sigla di Acido Desossiribonucleico. E' la più grande molecola naturale presente negli esseri viventi, ed è formato dalla ripetizione di 4 diverse unità più piccole chiamate nucleotidi. In una molecola di DNA vi sono migliaia di nucleotidi. Se srotolato, il DNA complessivo dei 46 cromosomi umani, raggiungerebbe i 3 metri di lunghezza. E' costituito da due lunghi filamenti complementari avvolti a formare una "doppia elica", che viene spesso paragonata a una scala a chiocciola. La ringhiera della scala è costituita da molecole di acido fosforico che si alternano a molecole di desossiribosio. I gradini della scala sono formati dalla base azotata di un filamento legata alla base azotata dell'altro filamento. Responsabile della trasmissione ed espressione dei caratteri ereditari, mediante la duplicazione e la sintesi proteica. DNA Come è fatto 23 Funzioni Genoma Istoni Il genoma o patrimonio genetico è un codice molecolare costituito dalla successione delle triplette di basi azotate. Ogni tripletta è una lettera dell'alfabeto genetico. A una determinata sequenza di triplette corrisponde una particolare sequenza di amminoacidi e perciò una particolare proteina. Piccole e particolari proteine, Raggruppati in gruppi di Permettono al DNA presenti solo nel nucleo delle 4, formano i nucleosomi di ripiegarsi e cellule eucariote avvolgersi ripetutamente su se stesso. Unità fondamentale di E' formato da un di DNA, condensazione della filamento avvolto attorno ad un cromatina. nucleo proteico centrale costituito da 8 istoni Nucleosoma Nucleotide Tripletta Il codice genetico è universale: una certa tripletta codifica lo stesso amminoacido in qualsiasi vivente. Sottounità del DNA. Esistono 4 tipi di nucleotidi, che differiscono tra loro solo per la base azotata. E' formato da tre parti: 1) una molecola di desossiribosio (zucchero a 5 atomi di carbonio) 2) una molecola di acido fosforico. 3) una base azotata. Attaccati al DNA , ne permettono un complicato avvolgimento e ripiegamento su se stesso. Il DNA può essere contenuta in un nucleo di pochi micrometri di diametro. La sequenza specifica dei nucleotidi determina il codice genetico E’ l’unità di lettura del codice La tripletta o " codone " Ad ogni tripletta genetico è la successione di tre corrisponde, nella basi azotate sintesi proteica, un preciso amminoacido. 24 PROGETTO GENOMA di Laura Caridi INTRODUZIONE Il Progetto Genoma Umano è un progetto internazionale di ricerca che ha come obiettivo la mappatura del patrimonio genetico umano, ovvero l’identificazione della struttura, della posizione e della funzione dei circa 30000 geni che caratterizzano la specie umana. Lo studio del genoma implica il sequenziamento del DNA, cioè l’identificazione dell’esatta sequenza dei 3 miliardi di coppie di basi azotate che ne compongono la molecola e la mappatura, ovvero la determinazione della posizione occupata da ciascun gene rispetto agli altri. La comprensione della funzione del gene e di quali malattie possano derivare dalle sue alterazioni costituisce l’obiettivo finale del progetto. Il progetto genoma umano fu avviato nel 1990 con il coinvolgimento di istituti di ricerca pubblici coordinati dal National Institutes of Health, e dal Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti. La sua conclusione, prevista inizialmente nel 2005, fu in seguito anticipata nel 2003. Tra gli stati partecipanti vi sono la Francia, la Germania, il Giappone, l’Italia (solo per la prima parte del progetto), la Gran Bretagna e altri membri dell’unione europea. L’idea di intraprendere uno studio coordinato del genoma umano sorse tra il 1985 e il 1987, nel corso di una serie di congressi scientifici internazionali. Nel 1988 due istituzioni governative statunitensi, National Institutes of Health, e Dipartimento dell’Energia, stanziarono i fondi necessari e formalizzarono la loro collaborazione con un documento in cui si proponevano di coordinare la ricerca e le procedure tecniche per lo studio del genoma umano. ’avvio delle ricerche si ebbe nel 1990, quando fu pubblicato un piano quinquennale degli istituti coinvolti; tra gli obbiettivi, erano indicati il sequenziamento e la mappatura di organismi comunemente impiegati nei laboratori di ricerca genetica e della specie umana, la diffusione dei dati tra i vari centri e lo sviluppo delle tecnologie di laboratorio. In realtà, nel 1993, prima dello scadere dei cinque anni, poiché erano stati compiuti molti progressi in tempi più rapidi del previsto ed erano state elaborate nuove efficienti procedure sperimentali, il piano quinquennale originario fu rivisto e aggiornato; la scadenza fu prorogata al 1988 e furono aggiunte nuove finalità, tra cui la ricerca di marcatori genetici e la messa a punto di nuove tecniche di mappatura. Nel 1988 un nuovo accordo quinquennale tra National Institutes of Health, e Dipartimento dell’energia fissò al 2003 il completamento del lavori e aggiunse all’obiettivo originario anche quello dello studio della variabilità genetica del genoma umano e della sua funzione. Uno dei primi direttori del progetto fu il biochimico statunitense James Watson che, con il biofisico britannico Francis Crick, elaborò lo storico “modello a doppia elica” del DNA. Attualmente il progetto è coordinato dal medico statunitense Francis Collins. REALIZZAZIONE DEL PROGETTO Il genoma umano Il termine genoma definisce l’insieme di tutto il materiale genetico di un organismo vivente. Il genoma umano è composto da circa 35.000 geni, localizzati su 23 coppie di cromosomi presenti nel nucleo di ciascuna cellula. Ogni gene è formato da un tratto di molecola di DNA, e contiene una sequenza di coppie di base azotate. Diversi geni si trovano sui cromosomi, strutture osservabili nelle cellule al momento della divisione (mitosi). Un singolo cromosoma 25 può arrivare a contenere più di 250 milioni di coppie di basi, mentre l’intero genoma umano, secondo alcune stime, è costituito da circa 3 miliardi di coppie di basi. Il DNA analizzato dal progetto Genoma Umano proviene da piccoli campioni di sangue o di altri tessuti, ottenuti da individui diversi per sesso ed etnia. Benché i geni del patrimonio genetico di ciascun individuo siano costituiti da sequenze uniche di DNA, la variazione media del genoma di due persone diverse risulta essere inferiore all’1%. Quindi rispetto alle somiglianze le differenze tra i campioni di DNA ottenute da fonti diverse si possono considerare estremamente ridotte. Tecniche di mappatura Esistono due tipi fondamentali di tecniche per la mappatura dei geni: la mappatura genetica e la mappatura fisica. La mappatura genetica identifica solo l’ordine relativo dei geni lungo ciascun cromosoma; la mappatura fisica localizza la posizione esatta dei geni sui cromosomi e ne determina le distanze reciproche. Entrambi questi metodi fanno uso di marcatori genetici, ossia particolari caratteri fisici e biochimici che variano tra gli individui. Il metodo di mappatura genetica fu sviluppato agli inizi del XX secolo dal biologo e genetista Morgan. Osservando la frequenza con cui alcuni caratteri venivano trasmessi associati in numerose generazioni di moscerino della frutta, Morgan giunse alla conclusione che i tratti più frequentemente ereditati in modo associato, cioè contemporaneamente, dovessero corrispondere a geni localizzati l’uno accanto all’altro sullo stesso cromosoma. Questi studi portarono Morgan a tracciare una mappa genetica del moscerino. Sofisticate tecniche di laboratorio permettono ai ricercatori di creare mappe confrontando la posizione del gene di interesse con l’ordine relativo di alcuni marcatori genetici o di specifici segmenti noti del DNA La mappatura fisica determina la distanza fisica tra alcuni punti di riferimento sui cromosomi, mediante apparecchiature computerizzate. Il DNA viene estratto da cromosomi umani e spezzato in modo casuale in numerosi frammenti. Questi ultimi vengono riprodotti in laboratorio in cloni identici, cioè in numerose copie che possono essere analizzate una a una allo scopo di individuare la presenza o l’assenza di specifici marcatori genetici. I cloni che condividono più marcatori molto probabilmente derivano da segmenti del cromosoma sovrapponibili, cioè molto simili fra loro. Le regioni dei cloni che si sovrappongono, quindi, possono essere confrontate per determinare l’ordine globale dei marcatori e l’esatto ordinamento dei frammenti clonati di Dna sul cromosoma Sequenziamento del DNA Secondo il metodo sviluppato dal britannico Sanger, specifiche porzioni di DNA vengono duplicate e modificate alle estremità attraverso l’aggiunta di un composto fluorescente, diverso a seconda della base azotata cui è legato. I sequenziatori automatici riconoscono con un raggio laser il nucleotide modificato, e determinano l’esatto numero di nucleotidi di ciascuna catena. Queste informazioni vengono integrate da un computer, che ricostruisce la sequenza di coppie di basi presente nella molecola di DNA originale. Fino agli anni Ottanta i frammenti di DNA umano venivano integrati al patrimonio genetico di organismi unicellulari a rapido ciclo vitale, come batteri o lieviti, allo scopo di ottener rapidamente numerose copie di quei frammenti. Questa tecnica fu in seguito sostituita da una procedura automatizzata il cui avvento costituì una vera rivoluzione nella biologia molecolare: la reazione a catena della polimerasi, messa a punto dal biochimico Mullis. Grazie a questa tecnica in poche ore si ottengono milioni di copie di un singolo filamento di DNA. La PCR La PCR è una tecnica innovativa che consiste nell’amplificazione specifica di segmenti di DNA mediante reazioni a catena dell’enzima DNA polimerasi. 26 Il principio teorico su cui tale tecnica si basa è molto semplice:data una sequenza di DNA genomico a doppio filamento e due corte sequenze di DNA (primer), di cui una complementare ad un tratto di un filamento (forward primer) e l’altra complementare ad un altro tratto posto all’altra estremità del DNA da amplificare (reverse primer), in presenza di una DNA polimerasi termostabile e di una miscela di desossinucleotidi trifosfati in appropriate condizioni di reazioni, è possibile far copiare numerosissime volte il tratto compreso tra i due primers, semplicemente facendo variare ciclicamente la temperatura di reazione. Il successo della PCR è dipeso anche all’uso di una DNA polimerasi termostabile estratta da batteri termofili (che vivono ad altra temperatura). La DNA polimerasi utilizzata nelle reazioni della PCR è la Taq polimerasi, estratta dal batterio Thermus aquaticus. Il metodo di analisi del DNA mediante la PCR presenta vantaggi molto evidenti:è molto rapido (da 60 a 90 minuti), la manualità è semplicissima, è automatico e i risultati sono visualizzabili con facilità. La tecnica della PCR ha rivoluzionato la genetica molecolare e le sue applicazioni sono praticamente infinite. I principali ambiti di utilizzo sono la diagnosi prenatale di malattie genetiche e le indagini di medicina legale. Per ogni reazione di PCR, è necessario usare due primer (forward e reverse). La scelta della coppia di primer è critica per una buona riuscita della PCR, ovvero ottenere amplificazione di un tratto di DNA in modo specifico. I primer devono essere “disegnati” a livello di sequenze uniche nel genoma, in modo che possano appaiarsi al DNA solo nella zona di interesse e non in altre zone del DNA I termociclatori Il successo della PCR è dipeso in gran parte dalla possibilità di far avvenire l’intero processo in modo automatico all’interno di strumenti detti termociclatori, in grado di variare ciclicamente la temperatura tra le varie fasi di ogni ciclo di PCR. Il costo di un thermal cycler si aggira sui 10.000 euro L’ elettroforesi È una tecnica che consente di separare in base al peso molecolare, molecole dotate di carica facendole migrare sul gel in presenza di un campo elettrico. La corsa viene effettuata ponendo il gel in una vaschetta, immerso in una soluzione tampone, e applicando un campo elettrico generato da un alimentatore. Il tracciato della corsa elettroforetica è costituito da una serie di bande, disposte a livelli diversi sul gel come risultato di una diversa velocità di migrazione dei frammenti di DNA (inversamente proporzionale al log del peso molecolare). Dopo la corsa elettroforetica, i frammenti di DNA sono visualizzabili come bande esponendo il gel alla luce ultravioletta. Questo è dovuto al fatto che, durante la preparazione del gel all’agarosio è stato aggiunto il bromuro di etidio, una sostanza che ha la proprietà di legarsi al DNA e di emettere fluorescenza quando viene esposta a luce ultravioletta. Il bromuro di etidio va maneggiato con estrema cautela in quanto è un agente intercalante del DNA e, come tale, ha proprietà mutegene. SCOPERTE FONDAMENTALI TRA RICERCA PUBBLICA E PRIVATA La mappatura del cromosoma 22 Nell’ambito del Progetto Genoma Umano, il primo risultato eclatante è stata la decifrazione del cromosoma numero 22, annunciata il 22 dicembre 1999 dai ricercatori inglesi del Sanger Center di Cambridge, coordinati dal biochimico Ian Dunham, e da scienziati statunitensi della Oklahoma University e giapponesi della Keio University di Tokio. 27 Il cromosoma 22 è il più piccolo cromosoma umano; contiene numerosi geni implicati nella risposta immunitaria e in patologie com le disfunzioni cardiache congenite, la leucemia, il ritardo mentale, la schizofrenia e la trisomia del cromosoma 22. Il sequenziamento e la mappatura del cromosoma 22 hanno condotto alla individuazione di 679 geni; si ritiene che sul cromosoma se ne trovino complessivamente circa un migliaio. La scoperta, a livello del grande pubblico, ha indotto molte speranze circa lo sviluppo della terapia genica per la cura di gravi malattie; gli addetti ai lavori, invece, mantennero un atteggiamento più cauto, e giudicarono necessari ancora anni di ricerca prima di poter applicare in ambito medico le nuove scoperte. L’industria privata nella ricerca genetica: la Celera Genomics Nel dibattito sui risultati del Progetto Genoma Umano è emerso il crescente interesse dell’industria privata a partecipare alla ricerca genetica; non era chiaro, però se le società private e gli istituti pubblici fossero disposti a collaborare e a stabilire reciprocamente un libero accesso ai dati. In particolare, nel 1999 è divenuto noto che la società privata Celera Genomics di Rockville, nel Maryland, guidata dal biologo e imprenditore Craing Venter, stava anch’essa conducendo studi sul genoma umano e prevedeva di completarne la mappatura in tempi più brevi e con costi inferiori rispetto ai laboratori pubblici coinvolti nel Progetto Genoma Umano. IL SEQUENZIAMENTO DEL GENOMA UMANO Il 6 Aprile 2000, nei laboratori della Celebra Genomics, Craig Venter ha dichiarato di esser riuscito a sequenziare l’intero DNA di un essere umano, cioè è stata definita la sequenza delle coppie di basi azotate presenti nelle molecole dell’acido nucleico. I laboratori di Venter hanno completato il lavoro in sei mesi, avvalendosi di 300 sequenziatori e computer sofisticati. Per la ricerca è stata adottata una particolare tecnica: il sequenziamento WHOLE-GENOME SHOTGUN che consiste nel prendere un campione contente il patrimonio genetico umano intero dividerlo in frammenti, fare analizzare i frammenti separatamente dai sequenziatori, mentre i calcolatori elettronici elaborano i dati in modo da ricomporre le sequenze delle basi azotate ed infine si procede alla mappatura. Il successo continua: la mappatura dei cromosomi 5, 16 e 19 Un nuovo passo nella comprensione del genoma umano è stato effettuato dai ricercatori del Progetto Genoma, pochi giorni dopo l’annuncio della Celera Genomics. Il 15 aprile 2000 Bill Richardson, segretario del DOE, ha dichiarato che l’istituto del genoma di Walnut Creek, in California, ha completato la mappatura dei cromosomi numero 5, 16 e 19, su cui si trovano, fra l’altro, geni coinvolti nel cancro colon-rettale e in tumori della prostata e del seno. Da questo momento in poi il sequenziamento e la mappatura del DNA, sia dell’uomo che di altre specie viventi, si sono susseguiti a ritmo incalzante. Il completamento della fase di sequenziamento La prima parte della ricerca genetica della Celera Genomics è stata completata il 26 giugno 2000 e comunicata con l’annuncio del sequenziamento del genoma di cinque esseri umani di diverso sesso ed etnia. I dati raccolti possono essere elaborati per definire un’unica sequenza del patrimonio genetico umano, tenendo conto della variabilità esistente tra individui ed etnie differenti. In tale occasione, si è stabilito un accordo tra Venter della Celera Genomics, e Collins, l’attuale coordinatore del progetto pubblico, in base al quale i risultati delle reciproche ricerche potranno essere condivisi mediante database presenti su reti informatiche; inoltre, potranno essere brevettate le applicazioni terapeutiche delle scoperte, ad esempio nuovi farmaci. 28 LA BIOINFORMATICA E LE NUOVE TECNICHE DI ANALISI DEL DNA di Stefano De Marinis e Tatiana Russi LA BIOINFORMATICA Negli ultimi decenni, con l’avvio del Progetto Genoma e con lo sviluppo di nuove tecnologie per lo studio del DNA, si è verificata una crescita esponenziale delle informazioni biologiche rese disponibili dai progressi nel campo della biologia molecolare. In particolare, il sequenziamento del genoma umano e di altri organismi ha dato un forte impulso al settore dell’informatica applicato allo studio del DNA e delle proteine. Che cos’è la bioinformatica La bioinformatica è una nuova disciplina che si occupa dello sviluppo e dell’integrazione delle applicazioni della scienza dell’informazione alla ricerca scientifica, in campo biotecnologico. Per fare ciò la bioinformatica utilizza strumenti informatici per analizzare i dati biologici che descrivono sequenze di geni, composizione e struttura delle proteine, processi biochimici nelle cellule, ecc Essa costituisce l’ambizioso tentativo di descrivere dal punto di vista numerico e statistico i fenomeni biologici: storicamente la biologia ha sempre sofferto di una carenza in tal senso rispetto a discipline come la fisica e la chimica, ma oggi la bioinformatica tenta di supplire a questa lacuna fornendo ai risultati tipici della biochimica e della biologia molecolare un insieme di strumenti analitici e numerici davvero promettente. Il settore della bioinformatica è in rapida espansione per svariate ragioni. Innanzi tutto, in seguito alla necessità preponderante di elaborare ed archiviare l’enorme mole di dati che la moderna ricerca biologica produce grazie al progresso tecnologico recente, occorre creare, gestire e mantenere banche di dati specializzate. Basta considerare tra tutti la rilevanza che il progetto Genoma Umano ha avuto, ed ha tuttora, per le possibili ricadute in campo biologico, medico, patologico e bioetico. Oggi il sapere a livello biomolecolare necessita prima di tutto dello sviluppo di banche dati apposite per l’archiviazione di dati in modo corretto dal punto di vista biologico, ragionato e di facile reperibilità per la comunità scientifica. Inoltre, accanto all’archiviazione dei dati, diventa di estremo interesse anche la possibilità di ricavare informazioni in modo automatico dalle banche dati. Infine si può dire che grazie alla bioinformatica la ricerca può essere direzionata e mirata con notevole riduzione nei costi e nei tempi. Di che cosa si occupa la bioinformatica La bioinformatica si occupa principalmente di: fornire modelli statistici validi per l’interpretazione dei dati provenienti da esperimenti di biologia molecolare e biochimica al fine di identificare tendenze e leggi numeriche; x generare nuovi modelli e strumenti matematici per l’analisi di sequenze di DNA, RNA e proteine al fine di creare un corpus di conoscenze relative alla frequenza di sequenze rilevanti; x organizzare le conoscenze acquisite a livello globale sui genomi, in database, al fine di rendere tali dati accessibili a tutti, e ottimizzare gli algoritmi di ricerca dei dati per migliorarne l’accessibilità. x Consente a tutti gli studiosi di disporre in tempi rapidissimi delle conoscenze già esistenti relative al proprio settore di studio, di poter consultare tutte le pubblicazioni scientifiche, da quelle più vecchie alle più recenti, e di poter interagire con gli altri scienziati che si occupano dello stesso progetto. x 29 LE BANCHE DATI Una delle attività principali dei bioinformatici consiste nella progettazione, costruzione e uso di banche dati di interesse biologico. Questo tipo di banche dati raccoglie dati e informazioni derivanti da esperimenti di laboratorio, da esperimenti in silico e dalla letteratura scientifica. Le banche dati sono state progettate come contenitori costruiti per immagazzinare dati relativi alle sequenze del DNA in modo efficiente e razionale al fine di renderli facilmente accessibili a tutti gli utenti: ricercatori, medici, studenti ecc.. Una banca dati è costituita da diverse voci ciascuna contenente informazioni sull’oggetto caratteristico della banca dati insieme a tutte le altre informazioni che si riferiscono a quella voce in particolare. Una voce di una banca dati di sequenze nucleotidiche potrebbe contenere,oltre alla sequenza di una molecola di DNA, l’organismo a cui appartiene, la localizzazione cromosomica, la struttura del gene, il confronto con sequenze analoghe ricavate da organismi diversi e molto altro ancora. Le banche dati del DNA di tutti gli individui costituiscono un tema fra i più controversi. L’idea di un’enorme banca dati nazionale che permetta alle forze dell’ordine di confrontare qualsiasi elemento di prova di natura genetica trovato sulla scena di un delitto è naturalmente ancora di là da venire, ma alcuni recenti avvenimenti sembrano puntare in una direzione non molto lontana. Ad esempio l’FBI ha creato una banca dati nazionale del DNA unificando vari database gestiti da singoli Stati; per adesso si tratta di una banca dati di dimensioni relativamente ridotte, dove sono presenti soprattutto dati relativi al DNA di soggetti condannati per reati sessuali o altri reati violenti. Tuttavia, varie iniziative a livello dei singoli Stati mirano ad incrementare in misura esponenziale le dimensioni dei database nazionali, che sono poi la fonte primaria della banca dati gestita dall’FBI. Le banche dati vengono classificate in primarie e secondarie o di secondo livello. Banche dati primarie Le banche di acidi nucleici (DNA e RNA) vengono spesso definite primarie in quanto contengono solo informazioni molto generiche associate alla sequenza, necessarie per identificarla dal punto di vista del riconoscimento della specie e della definizione della funzione. Le principali banche dati sono tre: x EMBL; x GENBANK; x DDBJ. La EMBL datalibrary è la banca dati europea costituita nel 1980 nel laboratorio Europeo di Biologia Molecolare di Heidelberg (Germania). La GENBANK è la corrispondente banca americana costituita nel 1982 La DDBJ è la corrispondente giapponese. Fra le tre banche dati è stato stipulato un accordo internazionale per cui il contenuto dei dati di sequenza presenti nelle tre banche dati è quasi del tutto coincidente in quanto gli aggiornamenti quotidiani apportati in ciascuna banca dati vengono automaticamente trasmessi alle altre due. La consultazione delle banche dati attraverso internet è libera e gratuita per la maggior parte delle informazioni. Banche dati secondarie Le banche dati di secondo livello svolgono la funzione di integrare le informazioni contenute in diverse banche dati presentandole in maniera unitaria. Questo rende ancora più veloce l’accesso alle informazioni. 30 Inoltre esistono banche dati di secondo livello (o specializzate) che raccolgono informazioni specifiche; alcune di queste possono essere estremamente specializzate altre invece contengono informazioni più ampie. Sistemi di interrogazione delle banche dati La consultazione e l’analisi delle informazioni contenute nelle banche dati si realizza attraverso la disponibilità di sistemi informatici avanzati disegnati per la ricerca e l’estrazione dei dati. L’interrogazione di una banca dati può essere effettuata in maniera molto semplice mediante l’utilizzo di una finestra di ricerca in cui si immette un testo oppure compilando apposite schede organizzate secondo la struttura dei dati su cui si intende effettuare la ricerca. Ricerche più complesse possono essere condotte con combinazioni di criteri utilizzando gli operatori booleani per effettuare intersezioni, somme ed esclusioni di insiemi di dati al fine di ottenere un sottoinsieme rispondente alle nostre richieste. Gli operatori booleani sono degli strumenti che consentono di combinare in tanti modi più concetti nella ricerca di un archivio elettronico; questi operatori sono: “and”,”or” e “but”. La programmazione in bioinformatica: il BLAST Il software BLAST è un algoritmo che consente di: effettuare confronti fra sequenze; effettuare ricerche in banche dati di sequenze; identificare allineamenti ottimali locali ad una determinata sequenza in esame. La ricerca per il riconoscimento di una certa sequenza di DNA, denominata “query”, viene inizialmente effettuata cercando identità con sequenze, presenti in banca dati, di lunghezza definita che ottengono un punteggio di corrispondenza almeno pari ad un valore soglia predefinito. Queste sequenze vengono successivamente estese in entrambe le direzioni nel tentativo di generare un allineamento con un punteggio superiore al valore soglia. In base alla definizione dei parametri soglia si determina la velocità e la sensibilità della ricerca. Dal momento che l’algoritmo BLAST è in grado di identificare sia allineamenti locali che allineamenti globali, esso permette di evidenziare regioni di similarità contenute, ad esempio, in proteine per altri aspetti completamente differenti. Entrambi i tipi di similarità possono fornire importanti indizi sulla funzione di una proteina. In una ricerca con blast è possibile confrontare e analizzare sequenze di aminoacidi e sequenze di nucleotidi tenendo conto di tutte le possibili traduzioni.tutte le possibili traduzioni x x x DNA PROFILING Il DNA profiling è una nuova tecnica di genetica molecolare utilizzata per l’identificazione personale, per risolvere casi di medicina legale e per la determinazione di relazioni familiari. Per potere effettuare il test del DNA è sufficiente una piccola quantità di cellule come quella che si può ricavare da un capello, da una goccia di sangue o dalla saliva rimasta su di un bicchiere o su di un mozzicone di sigaretta. Il test si basa sull’analisi dei “microsatelliti”, sequenze caratteristiche per ciascun individuo, presenti nel DNA non codificante. Il DNA, ricavato dal campione da analizzare, viene amplificato mediante una tecnica di laboratorio, chiamata PCR e successivamente i frammenti ottenuti vengono separati, in base alle loro dimensioni, mediante elettroforesi. Confrontando i risultati ottenuti dal campione in esame con quelli di riferimento è possibile identificare l’individuo da cui il DNA proviene o escluderne l’appartenenza. 31 I MICROARRAY Analisi dell’espressione genica Il sequenziamento del genoma umano ha rappresentato solo l’inizio di una rivoluzione nella ricerca biologica che ha le potenzialità di trasformare la ricerca farmaceutica e di migliorare le condizioni di salute di milioni di persone. In qualsiasi cellula, solamente il 3 % dei geni è espresso o attivo,ossia sta dando istruzioni alla cellula su come deve comportarsi. Gli strumenti disponibili per l’analisi dell’espressione genica permettono di misurare l’attività dei geni quantificando i livelli di RNA da esso prodotto. I microchip Il principale strumento per l’analisi dell’espressione genica è il microarray, detto anche biochip. I primi microarray permettevano di rivelare solo poche migliaia di geni ed erano necessari diversi microarray separati per studiare tutti i geni conosciuti di un genoma. Un microarray è un piccolo rettangolo di vetro con una griglia di decine di migliaia di punti microscopici (spot) che sono invisibili a occhio nudo. Ogni spot consiste di un filamento di DNA corrispondente ad un unico gene; questo filamento è denominato sonda. Quando l’RNA è estratto dalle cellule, è marcato con un colorante fluorescente ed è poi aggiunto al microarray in cui ogni gene si legherà alla propria sonda corrispondente. Uno scanner legge l’intensità di luce di ogni spot e produce un valore numerico di espressione genica per ciascun gene. L’interpretazione di dati consente di confrontare, per esempio, l’espressione genica di cellule normali e tumorali. Recentemente sono stati messi a punto anche dei tissue-microarray che consentono di confrontare contemporaneamente fino a 3000 campioni di tessuti. I microchip a DNA sono un’arma formidabile per la ricerca farmacologica e per lo studio dei tumori. Combinati con i dati della sequenza genetica dell’uomo, permettono di comprendere i passaggi che trasformano una cellula normale in cancro. I microchip offrono la possibilità di scegliere, o addirittura “disegnare”, molecole in grado di inibire la crescita del tumore in modo mirato, aumentando l’efficacia terapeutica. La speranza è di bloccare i geni che inducono la resistenza ai farmaci risolvendo uno dei principali problema della terapia oncologica. Come funziona un microchip. Nella prima fase il medico preleva le cellule cancerose dal paziente e da queste viene estratto l’RNA. L’RNA è in pratica una copia fedele del DNA, ma ciascuna cellula produce RNA soltanto per quei geni che sono attivi in quel dato momento. Nella seconda fase, in laboratorio, con una reazione biochimica, si torna dall’RNA al DNA. Quello che si ottiene è detto cDNA che rappresenta una molecola molto più stabile dell’RNA, quindi più adatta ad essere studiata e manipolata. Nella terza fase i frammenti di cDNA sono messi a contatto con un microchip. Al microchip sono state fissate delle “sonde”, che riproducono i geni che già sappiamo correlati al tumore. I frammenti di cDNA “riconoscono” le sonde complementari e si legano ad esse: usando un termine tecnico, si dice che “si ibridizzano”. A questo punto vengono aggiunte le sostanze fluorescenti, che si fissano ai recettori specifici presenti nel cDNA. Si ottiene così un’immagine caratterizzata da tanti punti colorati, che viene letta da uno scanner: ogni punto corrisponde alla presenza di un marcatore, dunque ad un gene del tumore. L’ insieme di questi geni costituisce il profilo del tumore. Nella quarta ed ultima fase uno speciale software compara il profilo genetico tumorale con i dati archiviati, ottenuti da altri tumori di cui si conoscono il grado di aggressività e la sensibilità ai diversi farmaci. Così il medico potrà decidere il trattamento più adatto per ciascuna paziente. 32