Paul Watzlawick: La pragmatica della comunicazione umana : Il

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IL BARATTOLO DELLE IDEE
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OTTOBRE 21, 2016 BY IL BARATTOLO DELLE IDEE LEAVE A COMMENT
Chi ha paura di Watzlawick? Guida
alla Pragmatica della comunicazione
umana
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Paul Watzlawick: RI-Conoscere se
stessi
Paul Watzlawick è il padre della psicologia sistemico-relazione. La sua
pragmatica della comunicazione umana è uno dei testi che ha cambiato la
storia della psicoanalisi. Come successe allora per il complesso di Edipo
elaborato da Freud, concetti come escalation simmetrica e
disconferma sono oggi di dominio pubblico.
Ora che avete sfondato il muro a testate, che cosa farete nella cella
accanto?
S. L. Lec, Neue unfrisierte Gedanke
Conoscere se stessi è conoscere gli altri
L’uomo è un animale sociale. La sua natura è determinata dal rapporto con gli
altri.
La definizione del sé, quella che
potremmo altrimenti definire «autocoscienza», è interconnessa con la
percezione dell’altro. Ciò deriva dal fatto l’immagine di noi stessi viene
costantemente costruita grazie al riflesso di noi nell’altro. Quest’ultimo
costituisce una sorta di metro con il quale misuriamo la nostra realtà interna.
Quando parliamo succede che la nostra voce ritorna all’orecchio e
aggiustiamo i suoni che vocalizziamo man mano che ascoltiamo. E’ un
processo automatico che dura frazioni di secondo, ma se non potessimo
ascoltarci, non saremmo nemmeno in grado di parlare. Questa è poi la ragione
per cui i sordi sono anche muti.
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Qualcosa del genere succede anche con l’immagine di noi. Solo che il nostro
orecchio, la nostra camera di risonanza, sono gli altri, l’immagine che di noi
istante per istante ci restituiscono. Può sembrare paradossale ed è in qualche
misura un concetto rivoluzionario, ma la nostra interiorità, il nostro spazio
interno, è costruito all’esterno. Il nostro IO è un costrutto relazionale parte di
un sistema nel quale siamo centro e periferia assieme. Queste sono le
premesse dell’impostazione sistemico-relazionale elaborata da di Paul
Watzlawick.
L’esempio dei Greci
Per quanto possa sembrarci rivoluzionaria l’idea di Paul Watzlawick non è
affatto nuova. La convinzione che la percezione del sé sia interconnessa con
l’altro ha infatti origini nel mondo greco. Socrate in particolare recupera e
reinterpreta in senso umanistico l’adagio relativistico protagoreo dell’homo
mensura. In particolare nello Alcibiade si legge:
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SOCR. Rifletti anche tu. Se l’iscrizione consigliasse l’occhio,
come consiglia l’uomo, dicendo: «conosci te stesso», in che
modo e cosa penseremmo che voglia consigliare? Non forse a
guardare verso qualcosa guardando la quale l’occhio fosse in
grado di vedere sé stesso?
ALC. Certo. […]
SOCR. Dunque se un occhio guarda un altro occhio e fissa la
parte migliore dell’occhio, con la quale anche vede, vedrà sé
stesso.
ALC. Evidentemente. […]
SOCR. Se allora un occhio vuol vedere sé stesso, bisogna che
fissi un occhio, e quella parte di questo in cui si trova la sua virtù
visiva; e non è questa la vista?
ALC. Si.
SOCR. Ora, caro Alcibiade, anche l’anima, se vuole
conoscere sé stessa, dovrà fissare un’altra anima, e
soprattutto quel tratto di questa in cui si trova la virtù dell’anima,
la sapienza, e fissare altro a cui questa parte sia simile?
(Platone, Alcibiade I, 132d – 133c).
Conoscere sé stessi è un riconoscersi vicendevole. L’intrapsichico è sempre
funzione dell’interpersonale: “L’uomo non è un’isola, un sistema chiuso, ma è
un sistema aperto comunica con l’esterno, sempre in connessione con
l’ambiente, con gli altri esseri umani.” (Marchetta 1992, 12).
L’Io è un crocevia di connessioni
Se l’IO è il risultato delle relazioni esterne, le patologie psichiche possono
essere viste come nodi, grovigli relazionali, piuttosto che come esperienze e
vissuti da disseppellire.
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Si arriva alla soluzione del problema, solo
tramite la dissoluzione della logica dentro il
quale è stato creato.
Scopo della psicologia clinica, per Watzlawick, è la risoluzione di patologie
relazionali. Su queste premesse nasce la Pragmatica della comunicazione
umana. Scrive Watzlawick:
Ma del tutto indipendentemente dal mero scambio di informazione, ci
pare che l’uomo debba comunicare con gli altri per avere
consapevolezza di sé. La verifica sperimentale di questa ipotesi
intuitiva ci viene sempre più fornita dalle ricerche sulla privazione
sensoriale che mostrano come l’uomo non riesca a mantenere la
propria stabilità emotiva per periodi prolungati comunicando solo con
sé stesso (Watzlawick 1974, 74).
Ogni individuo è funzione del processo inter-relazionale. Una “cattiva”
comunicazione comporterà il sorgere di una disfunzione, che emergerà come
sintomo del membro designato. Quest’ultimo è l’individuo è dunque che da voce
al malessere relazione, colui che assume su di sé il carico di una
comunicazione paradossale e sistematicamente distorta.
Se le relazioni fossero tutte su di un piano, il disequilibrio “peserebbe” su unico
punto. Il membro designato è in questo senso l’individuo su cui caricano tutte
le spinte e le tensioni del sistema di riferimento. Non è semplicemente l’anello
debole della relazione. E’ piuttosto il fulcro della relazione, un centro nodale,
che consente al sistema stesso di mantenersi in equilibrio.
Per fare un esempio: Una donna è oppressiva nei confronti del figlio perché
compensa il suo bisogno affettivo con la sua presenza. L’emancipazione del
figlio necessiterebbe l’elaborazione di un “lutto”, una perdita per la madre, che
probabilmente lei non è disposta a sostenere. Ecco allora che i desideri di
autonomia del figlio vengono costantemente frustrati. Egli è costretto a ricevere
gratificazioni solo dalle “attenzioni” della madre. Sarà un semidio solo di fronte
a lei. Imparerà di contro a diffidare e temere il mondo esterno. depresso o
eccessivamente ansioso dentro il nucleo familiare di appartenenza è
condizione della sopravvivenza stessa di quel groviglio relazionale.
La famiglia come sistema relazionale
Watzlawick con la sua scuola di Paolo Alto provò ad applicare i principi
dell’allora nascente cibernetica alla comunicazione umana. Spostò dunque
l’interesse psichiatrico verso i processi e i pattern anziché verso i
contenuti. L’individuo e il gruppo di appartenenza sono visti quindi in relazione
reciproca come sottosistemi all’interno di svariati sistemi contestuali differenti.
Per questa ragione di estremo interesse è in particolare il sistema
famiglia, centro nodale delle interconnessioni individuali.
Gli assiomi della comunicazione
umana
La comunicazione, proprio per la sua complessità, offre diverse prospettive
dalle quali è possibile analizzarla. Generalmente si distingue un livello
sintattico, un livello semantico ed uno pragmatico. Cosicché ad un primo
livello interessa la struttura della comunicazione e i suoi meccanismi. Ad un
secondo il suo significato. Infine ad un terzo livello i suoi effetti sul
comportamento umano. Quest’ultimo piano è poi il terreno dentro cui opera
la scuola sistemico relazionale inaugurato con Watzlawick.
Autoregolazione,omeostasi,
comunciazione
equifinalità
della
I
sistemi
hanno
una
naturale
tendenza
all’equilibrio, all‘omeostasi.
Tendono cioè a “correggere” le spinte
disgregatrici e ad autoconservarsi. Il corpo umano stesso è un sistema di cellule
che funziona in questo modo. Chi ha un minimo di nozioni di fisiologia sa che
la salute è definibile come l‘equilibrio dinamico di tutti i processi vitali. I gruppi
paiono seguire gli stessi principi di base. Essi hanno perciò una loro capacità
intrinseca di autoregolarsi.
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Si ha comunicazione quando, posto A e B, A invia un messaggio a B, il quale
invia a sua volta ad A un feedback o retroazione. La comunicazione è quindi
sempre circolare. È ormai accertato, infatti, che ogni messaggio inviato riceve
una risposta più o meno esplicita. Quest’ultima condiziona in negativo o in
positivo l’effetto del messaggio stesso. Sapete che parlare al telefono non è
come dirsi le cose in faccia no? Sapete anche il perché? Guardarsi negli occhi,
cogliere le reazioni dell’altro, mentre parliamo ci aiuta a corregge il messaggio
mentre lo stiamo formulando. La risposta può dunque essere di rinforzo al
messaggio o di obiezione allo stesso.
La retroazione – scrive Watzlawick – può essere positiva o negativa
[…]. In caso di retroazione negativa […] si usa questa informazione
per far diminuire la deviazione all’uscita rispetto a una norma
prestabilita o previsione dell’insieme – di qui l’aggettivo ‘negativa’ –
mentre in caso di retroazione positiva la stessa informazione agisce
come una misura per aumentare la deviazione all’uscita, ed è quindi
positiva in rapporto alla tendenza già esistente verso l’arresto o la
distruzione (P. Watzlawick 1974, 26).
Detta più semplicemente il feedback condiziona la comunicazione convergendo
o deviando dalla direzione prestabilita dall’interlocutore. Tale fenomeno,
studiato per la prima volta dalla cibernetica e applicato da Watzlawick ai
sistemi relazionali.
Sistemi chiusi e sistemi aperti
I sistemi possono essere dunque o circolari e aperti o lineari e chiusi. Nel primo
caso la comunicazione è unidirezionale, da A verso B. Se sposto la prima
pallina questa muoverà la seconda, che forse muoverà una terza e così via. Il
movimento di B è causato da A, in un rapporto diretto e lineare. Nei sistemi
circolari invece la comunicazione di A ha effetto su B, ma la retroazione di B ha
effetti su A. Il sistema in questione oltre ad essere circolare è anche aperto al
cambiamento.
Omeostasi, auto-regolamentazione sono dunque i principi di base di un
sistema aperto. Ad essi si aggiunge l’equi-finalità. Il principio in base al quale
uno stesso risultato può essere raggiunto in modi diversi e comportamenti
identici possono produrre risultati diversi.
Linguaggio analogico e numerico
L’altra importante distinzione da fare nella comunicazione è per Watzlawick
quella tra linguaggio numerico e linguaggio analogico. Nel linguaggio
numerico ad ogni oggetto viene attribuito arbitrariamente un segno (una
parola). In esso l’’insieme delle parole viene organizzato secondo una sintassi
logica e complessa. Nel linguaggio analogico, invece, l’oggetto viene sostituito
da un’immagine, un simbolo. Benché abbia strutture logico-sintattiche piuttosto
carenti è di natura maggiormente intuitiva e primordiale. Un cane non ci può
dire di aver fame, ma può avvicinarci la ciotola che è per lui il simbolo del
mangiare.
Il linguaggio analogico permette perciò associazioni più rapide e viene recepito
con una velocità maggiore rispetto a quello numerico. La comunicazione
analogica spesso non passa neanche sul piano della consapevolezza. Così
avviene che l’espressione del viso dice molto di più su come dobbiamo
intendere il messaggio del messaggio stesso.
Gli assiomi della comunicazione secondo Watzlawick
Secondo Watslawick la comunicazione ha degli assiomi, delle caratteristiche
ineludibili, che definiscono la definiscono.
Il primo importante assioma è che non si può non comunicare. Comunicare
è innanzitutto un comportamento. Non possiamo non assumerne no:
“C’è una proprietà del comportamento che difficilmente potrebbe
essere più fondamentale e proprio perché è troppo ovvia viene
spesso trascurata: il comportamento non ha un suo opposto. In altre
parole, non esiste un qualcosa che sia un non-comportamento o, per
dirla anche più semplicemente, non è possibile non avere un
comportamento.
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Ora, se si accetta che l’intero comportamento in una situazione di
interazione ha valore di messaggio, vale a dire è comunicazione, ne
consegue che comunque ci si sforzi, non si può non comunicare
(Watzlawick 1974, 41-42).
Due individui fanno necessariamente un relazione. Se anche volessero non
comunicare tra loro, almeno questo dovrebbero dirselo in qualche modo.
Classico l’esempio degli sconosciuti in ascensore. Guardarsi allo specchio,
fissare il vuoto, contare uno ad uno i piani o fissare il cellulare, sono tutti
comportamenti che dichiarano con chiarezza l’indisponibilità a comunicare.
Secondo assioma: contenuto e modi della relazione
La comunicazione veicola sempre un’informazione circa il contenuto ed
un’altra circa la relazione. Relazione e contenuto sono quindi i due aspetti
essenziali della comunicazione umana. L’aspetto di contenuto si riferisce quindi
al dato oggettivo ed è il più delle volte espresso dal linguaggio verbalenumerico. L’aspetto di relazione si riferisce al modo con cui dobbiamo
intendere il rapporto tra i partner. Questo aspetto è il più delle volte veicolato
dal linguaggio analogico e non-verbale. A questo livello comunichiamo
un’atteggiamento protettivo, opprimente, rassicurante, aggressivo e così via.
Terzo assioma: il linguaggio è metalinguaggio
di se stesso.
Innanzitutto chiariamo cos’è questo essere “Meta-fisico, Meta-comunicativo,
“meta-linguistico”, insomma, cos’è questo essere “meta” rispetto a
qualcos’altro. La parole “meta” viene dal greco e significa “oltre“. E’ un oltre
che è più un essere “sopra”, al di là, e tuttavia capace di giustificare l’aldiqua.
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Di norma condizione dell’essere “metà” è essere separato rispetto a ciò di cui
si è meta, separato in senso categoriale, come la causa è separata dall’effetto,
oppure in senso fisico, come le idee erano separate dalle cose materiali per
Platone.
Nel linguaggio tuttavia niente è separabile. Tutto infatti è linguaggio e tutto è
comunicazione. In questo momento proprio mentre scrivo, non sto forse
utilizzando lo stesso linguaggio che uso quando parlo? Ma in questo momento
l’oggetto della mia comunicazione è la comunicazione stessa. Sto facendo
meta-comunicazione.
Se esiste dunque un piano linguistico esiste sempre un livello meta-linguistico
e meta-comunicativo nel quale oggettualizziamo la comunicazione, rendendola
contenuto di se stessa. Questo piano non è però separato. Il linguaggio è
dunque meta-linguaggio di se stesso.
La meta-comunicazione
V’è mai successo in una relazione amorosa di arrivare al punto in cui “occorre
dirsi le cose per come stanno”? Magari dopo una prima frequentazione non
arriva forse il punto in cui occorre discutere chiaramente sulla relazione stessa?
Lui magari vi confessa che è innamorato e voi gli fate sapere che “non siete
disposti ad impegnarvi seriamente”. Bene quello è il momento lui o lei vi darà
della stronza/stronzo, ma anche quello nel quale state meta-comunicando.
Meta-comunicare non è sempre un mandarsi a quel paese, ma farlo è senza
dubbio oltre che un sollievo un modo per ristrutturare la relazione.
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Bene per Watzlawick (e non solo per lui) è sempre possibile interrompere la
comunicazione e discutere della comunicazione stessa. Sulla base di quanto
detto prima infatti meta-comunciare significa continuare a comunicare. Si può
sempre prendere un pezzetto della relazione e renderla oggetto della
comunicazione. E’ anche un sospendere l’attività comunicativa ordinaria, il
momento nel quale non si agisce, ma si riflette sulle ragioni profonde delle
proprie azioni.
La comunicazione del sé
Ma cosa ci diciamo di così importante a livello relazionale? Cos’è la cosa più
importante che continuamente “contrattiamo con l’altro”? Cos’è che
all’occasione può diventare contenuto esso stesso di una comunicazione?
Mentre ad un livello più superficiale ogni comunicazione veicola un contenuto.
Ad un livello più profondo questa comunicazione viene sempre accompagnata
da informazioni circa l’immagine del sé. Ogni volta che entro in contatto con
qualcuno è come se a livello non verbale gli dicessi sempre “Ecco come ti vedo,
ecco come mi vedo io”. L’altro dal lato suo mi risponde sempre “ecco come ti
vede, ecco come mi vedo”. Ogni comunicazione in altre parole è sempre una
meta-comunicazione sul sé proprio e dell’altro.
Se siete ad un esame e tirando giù una battuta accompagnata da un sorrisetto
e l’insegnante vi guarda “storto” è presto fatto. Tirate via il sorriso e ritornate
seri. Sapete quante cose vi siete detti in quel micro secondo? Proviamo ad
esplicitare questo non-detto:
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Tu (messaggio): “Io sono un tipo allegro, non mi piace prendere le cose
troppo sul serio. Tu mi sembri disponibile a calarti al mio livello. Che ne
dici?”
L’insegnate (feedback): “Assolutamente no. Non mi sembri affatto serio
e non mi pare serio scherzare in questo momento. Non sono la persona
che scende sul tuo stesso piano.”
Di nuovo tu (raggiustamento): “Ok ma io non stavo ridendo perché
come pensi tu io sia poco serio e non penso affatto che tu lo sia. Volevo
solo alleggerire la tensione, comunque adesso ritorno serio”.
La risposta di B alla mia proposta di lettura del sarà sulla base di quanto detto
sin’ora negativa o positiva. B in altre parole confermerà o rifiuterà la lettura
che do di me.
Le relazioni sono rapporti di potere
Ma quando si comunica si è sempre sullo stesso piano? Al di là di cosa e di
come lo si comunica, abbiamo sempre la sensazione di comunicare alla pari?
E se fossimo noi alla risata del professore a puntualizzare che ad un esame
non è opportuno ridere? Secondo voi a lui la nostra comunicazione farebbe lo
stesso effetto che a noi avrebbe fatto la sua? La risposta è evidente.
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La ragione semplice per cui stessi comportamenti possono produrre risultati
diversi è che le relazioni sono sempre giochi di potere. Anche
inconsapevolmente ciascuno di noi lotta per la leadership, per ottenere la
supremazia sull’altro. Già Hegel aveva notato come il primo incontro tra le
autocoscienze è in realtà una lotta per la vita e per la morte. La “contesa”
stabilisce la tipologia del rapporto. Le relazioni, possiamo dire, avvengono su
di un piano e il piano o è in equilibrio o è inclinato.
Secondo Watzlawick dunque le relazioni o sono simmetriche o sono
complementari o c’è reciprocità o c’è subordinazione. L’interazione
simmetrica è caratterizzata dall’uguaglianza e dalla minimizzazione della
differenza. Nell’interazione complementare uno dei due partner assume un
ruolo di superiorità (posizione up), l’altro di sudditanza (posizione down).
Errori di “punteggiatura”
La punteggiatura è importante si sa. “Vado a mangiare Nonna” e “Vado a
mangiare, Nonna” è un caso nel quale la virgola può fare di te un uomo molto
affamato piuttosto che un serial killer con tendenze al cannibalismo. Nelle
relazioni in modo diverso esiste una punteggiatura ed è altrettanto importante.
Da un punto di vista pragmatico quest’ultima infatti stabilisce l’andamento della
sequenza delle azioni. Stabilisce il verso e la direzione della comunicazione
stessa.
Nell’esempio che fa lo stesso Watzlawick possiamo immaginare la situazione
nella quale sia il topolino a dire:
Ho addestrato il mio sperimentatore. Ogni volta che premo la leva
mi dà da mangiare, rifiutando vale a dire la punteggiatura dello
sperimentatore (Watzlawick 1974, 47).
L’azione è esattamente la stessa, ma la punteggiatura cambia totalmente il
significato di quanto sta accadendo, esattamente come succedeva poco prima
con la virgola. Che sia lo sperimentatore ad addestrare l’animaletto e non
viceversa sembra del tutto evidente.
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Non sempre tuttavia le cose sono così chiare. Non posso viaggiare perché ho
paura dell’aereo o ho paura dell’aereo perché non voglio spostarmi da casa?
Decidi di allontanarti da casa proprio quando ci sono problemi in famiglia o i
problemi in famiglia nascono quando decidi di allontanarti da casa? Come si
nota la lettura che si dà degli eventi è in grado di condizionare i nostri
comportamenti.
Le Patologie della comunicazione
Possono essere riassunte in:
1. Escalation simmetrica.
2. Disconferma
3. Doppio Legame
1- Escalation simmetrica
Il concetto di punteggiatura è importane per acquisire una delle due patologie
fondamentali della comunicazione: l’escalation simmetrica. Quest’ultima
come suggerisce la stessa espressione può solo avvenire in una relazione
simmetrica e precisamente in caso di conflitto non risolto. E’ la classica
situazione nella quale ciascuno da la colpa di quanto successo all’altro e non
vuole addossare su di sé la parte di responsabilità che lo riguarda.
Succede insomma che capire chi tira e chi spinge è piuttosto complicato.
Spesso vale a dire non ci si accorge che i propri comportamenti non sono
conseguenza di quelli dell’altro, ma ne sono la causa. Un esempio potrebbe
essere quello del marito che si chiude in sé stesso perché la moglie brontola e
della moglie brontola perché il marito si chiude in sé stesso. Le relazioni si
avvitano così in un circolo vizioso o esclation infinita. Per riassumere quando
A e B danno letture discordanti della punteggiatura, ma soprattutto l’uno non
accetta la lettura dell’altro, la relazione si avviluppa su se stessa.
2 – La disconferma
L’escalation simmetrica è tipica delle relazioni simmetriche. In una condizione
di subordinazione è infatti più improbabile che la situazione si avviluppi in modo
circolare. Secondo Watzlawick, le relazioni complementari sono soggette
invece ad un’altro potenziale “errore” non meno grave. B può infatti
fraintendere il messaggio di A. Può cioè essere convinto di stare rispondendo
alla realtà di A, senza di fatto accorgersi che la sua immagine di A non
corrisponde affatto al modo con cui A si rappresenta di fronte a lui. B quindi non
risponde alla definizione di A, ma semplicemente dice altro di lui.
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B disconferma l’immagine di A, ovvero conferma un immagine distorta di lui:
“Non c’è il mimino dubbio che una situazione simile porti alla perdita del Sé che
non è nient’altro che la traduzione del termine alienazione” (Watzlawick 1974,
75):
L’impermeabilità può aversi al primo livello della discussione: al
messaggio di A “Ecco come mi vedo” B risponde “Ecco come ti vedo“,
in un modo che non concorda con la definizione che A dà di sé. È
possibile che allora A concluda che B non lo capisce (o non lo
apprezza o non lo ama) mentre B da parte sua può presumere che A
si senta capito (o apprezzato o amato) da lui. In questo caso B non è
in disaccordo con A, ma ignora o fraintende il messaggio di A.
La disconferma può anche avvenire in una relazione simmetrica, ma in questo
caso B sarà meno coinvolto del meccanismo. La sua definizione del sé, può
tranquillamente essere ricontrattata e non produce alienazione.
3 – Il doppio legame un paradosso pragmatico
Prima di spiegare cos’è un doppio legame, conviene fare luce sui paradossi. Il
paradosso è il cortocircuito della ragione. E’ un ragionamento corretto che
porta ad un risultato contraddittorio. E’ dunque il sentiero mediante il quale la
ragione seguendo percorsi apparentemente lineari giunge a conclusioni
distorte o inaccettabili sul piano gnoseologico o etico.
I tipi di paradosso
I paradossi logici sono forse i più celebri e capaci di suggestionare.
Particolarmente interessante per la sua forma “contratta” è il paradosso
di Epimenide di Creta il quale affermava che “tutti i cretesi mentono”. La frase
“Tutti mentono” ha una sua contraddittorietà intrinseca che emerge in un paio
di passaggi nel ragionamento. Se tutti mentono, infatti, lo fa anche chi dice di
mentire, che dunque sta dicendo la verità, contraddicendo la sua stessa
affermazione mentre la afferma.
Su questo genere di paradossi Aristotele fondò il suo principio di non
contraddizione. L’affermazione “Non esiste la verità” è infatti ugualmente
paradossale, perché mentre la si afferma se ne sta sostenendo appunto la
validità. Esiste almeno una verità ed è che non esiste verità alcuna. In modo
simile Cartesio fonda il suo Cogito: se dubito su tutto, non dubito almeno sul
fatto di dubitare. Dal dubbio iperbolico si guadagna la certezza delle tre
sostanze: IO, Dio e il MONDO.
Questo solo per dire che esistono paradossi che “cortocircuitano” la ragione e
paradossi che la aiutano a rimettersi in marcia (terapeutici). Esistono però
paradossi etici altrettanto interessanti. Cosa dovrebbe fare il soldato cui è stato
assegnato il compito di sganciare la bomba atomica? Si macchina del reato di
omicidio o di insubordinazione? Qualunque cosa faccia fa la cosa giusta e la
cosa sbagliata contemporaneamente.
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In tutti i casi non è possibile risolvere il paradosso, perché è proprio il tentativo
di risolverlo che lo crea. I paradossi vanno “sciolti”, disinnescati, non risolti.
Come ebbe a dire il noto filosofo del linguaggio Ludwig Wittgenstein: “La
risoluzione del problema si scorge allo sparire di esso” (Tractatus LogicoPhilosophicus, pr. 6.521). Un problema che non ha una soluzione non è
neanche un problema. E’ insito infatti nella “grammatica” del problema il fatto
che abbia una soluzione.
La risoluzione dei paradossi
Giusto per dare un senso a quanto detto e non lasciarvi sulle spine, proviamo
a sciogliere i due paradossi che vi ho sopra indicato.
Nel paradosso del mentitore il problema è considerare l’affermazione una volta
come comunicazione l’altra come meta-comunicazione sulla relazione. Se sto
dicendo che “tutti mentono” non sto infatti dicendo che tutti mentono sempre e
su tutto. Si mente infatti sempre su qualcosa di diverso dal mentire stesso: la
menzogna non può mai essere contenuto di se stessa.
Quando al paradosso del soldato. Il vero problema è che chi mi sta dando un
ordine non mi sta mettendo di fronte ad una scelta. Il comando mi pone fuori
dallo spazio morale della scelta. Se scelgo di essere un soldato, scelgo di stare
fuori lo spazio morale dunque. Occorre allora chiedersi se ciò che viene
ordinato è in sé giusto o sbagliato.
In entrambi i casi la soluzione di scorge allo sparire del problema per
parafrasare Wittgenstein. Non stiamo affatto cercando di rispondere al quesito,
ma lo stiamo smantellando per così dire.
I paradossi pragmatici
I paradossi che in questa sede ci interessa analizzare sono però quelli che
hanno effetti sul comportamento. D’altra parte ciò che interessa a Watzlawick
è l’aspetto pragmatico della comunicazione. I paradossi che contano a livello
psicologico sono dunque quelli che mi mettono di fronte all’impossibilità di
assumere comportamenti adeguati. “Fai come ti pare!” ci mette di fronte ad
una impossibilità di assumere un comportamento adeguato. Si tratta infatti di
un comando che non può essere eseguito qualunque cosa scelga di fare.
L’unico modo per eseguire il comando è non rispettarlo e l’unico modo per
rispettarlo è non seguirlo.
L’interlocutore di fronte ad un paradosso sbaglia comunque e qualunque cosa
faccia. Le donne spesso ci mettono di fronte questa imbarazzante posizione.
Chiunque abbia un minimo di esperienza al riguardo sa già che la frase “Fai
come ti pare!” non è affatto un permesso, ma linizio di una lite.
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Esempi di comunicazioni pardossali
Altri paradossi pragmatici sono per esempio il grido di rimprovero:
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“Non urlare!”, pure l’ammonimento: “continua pure”.
Possono costruirsi anche su situazioni più che semplici frasi. Se il padre
dice al figlio di finire tutti i compiti prima di andare a dormire, mentre la
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madre lo esorta ad andare a letto presto perché gli fa bene dormire tanto,
il bambino non saprà di certo cosa è più giusto fare.
Ci sono poi frasi del tipo: “Non considerarla una punizione”, “Fa più male
a me che a te”, “Ti lascio perché sento di non meritarti”, oppure “Non avere
paura dei tuoi sentimenti” sembrano ancora suggerire piuttosto la cosa
opposta a quella che si afferma.
Esitino ancora esortazioni come “Non sottometterti alle mie proibizioni”,
“Non pensare a ciò che non devi fare”, “Un giorno capirai” o ancora “Sei
troppo piccolo per capire certe cose”, “So io cosa è meglio per te”,
“Dovresti essere contento di quello che hai ottenuto”.
Sono questi tutti esempi di comunicazioni paradossali. A livelli diversi
l’interlocutore è invitato a non fidarsi delle proprie valutazioni ed è posto perciò
in contrasto con se stesso. Egli può interiorizzare la contraddizione scatenando
conflitti tra ciò che desidera e ciò che pensa di volere, tra ciò che prova e sensi
di colpa e così via.
Conseguenze psicologiche dei paradossi
Le relazioni paradossali danno luogo a doppi legami e quest’ultimo costituisce
la patologia più insidiosa della comunicazione. Una singola comunicazione
paradossale non fa una patologia, proprio come una rondine non fa primavera.
Il doppio legame è piuttosto un modo di costruire la relazione fondata sul
paradosso. Perché una comunicazione paradossale costruisca anche un
doppio legame sono secondo Watzlawick necessarie infatti alcune condizioni.
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1. Due o più persone sono coinvolte in una relazione intensa che ha un alto
valore di sopravvivenza fisica e/o psicologica. […]
2. In un simile contesto viene dato un messaggio che è formulato in maniera
tale che (a) asserisce qualcosa, (b) asserisce qualcosa sulla propria
asserzione e (c) queste due asserzioni si escludono a vicenda. Quindi, se
il messaggio è un’ingiunzione, l’ingiunzione dev’essere disobbedita per
essere obbedita; se è una definizione del sé o dell’altro, la persona di cui
è data la definizione è quel tipo di persona soltanto se non lo è e non lo è
se lo è.
3. Infine, si impedisce al recettore del messaggio di uscir fuori dallo schema
stabilito da questo messaggio, o metacomunicando su di esso
(commentandolo) o chiudendosi in se stesso.
Se l’individuo ha una dipendenza emotiva nei confronti dell’altro, se non
è capace di centrare su di sé il suo sistema valoriale, il paradosso sarà
insormontabile. Il tentativo di “accontentare” il partner sarà fallimentare e la
frustrazione che non può dichiaratamente essere espressa nella
comunicazione prenderà parola in altro modo, ovvero, attraverso il sintomo.
Gli effetti sull’individuo delle patologie relazionali
Come detto la patologia individuale è secondo Watzlawick e la scuola di Paolo
Alto il riflesso di una patologia sistemica. Per un individuo sottoposto a
combinazioni di messaggi destabilizzanti, a comunicazioni che mettono in crisi
la sua sicurezza esistenziale, con ingiunzioni contraddittorie e distruttive, il
presente appare inaccettabile, impossibile, sconfina in un futuro contrario a
tutte le aspettative. Tale convinzione può avere un riscontro reale, effettivo, in
una situazione drammatica, oppure essere soltanto frutto di immaginazione, ma
in ogni caso decisiva è la sensazione di essere in trappola, in una rete di
relazioni che impongono inevitabilmente sconfitta, impotenza, disagio, nullità,
paura, esasperazione, rabbia, assenza di futuro.
Le interazioni con gli altri partner divengono allora esperienze sottili, difficili da
gestire. C’è da una parte il bisogno di trarsi fuori da tali relazioni, in quanto
distruggono aspirazioni, desideri, possibilità, aspettative, progetti, dall’altra
l’incapacità di sottrarsi a un campo di relazioni interpersonali che
contemporaneamente garantisce sicurezza e annichilimento, continuità e
malessere. La situazione viene segnata da un risentimento inespresso, da
un’aggressività conflittuale, che non trovano la forza di esprimersi. Quanto più
terrore si ha di soffocare, tanto più paura si ha di fuggire. Si cerca la sicurezza
in ciò che si odia. La dipendenza ostile è il sottofondo di questa condizione
esistenziale. La dipendenza è permeata di ostilità. Affetto e ostilità vengono
continuamente combinati e distorti in un susseguirsi di comunicazioni ambigue
e abnormi.
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La condizione di falsità, di ambiguità, di contraddittorietà diviene profonda fino
a intaccare l’essere, con l’impossibilità di rimanere integri, di prendere decisioni
lineari, di assumere un comportamento coerente. La caratteristica del rapporto
con gli altri diventa la mancanza di completezza e di autenticità. La regola
diviene quella dell’assenza di interazioni vere. La possibilità sempre imminente
è quella della devastazione di ogni capacità attiva. L’ingiunzione paradossale
fa fallire ogni scelta.
CONCLUSIONI
In contrasto con la psicanalisi tradizionale, che risale nel passato a ricercare le
cause di un disturbo, Watzlawick e la Scuola Palo Alto si concentrano sul qui e
ora. E’ più produttivo fissarsi sul presente, attraverso una causalità
circolare che accerta e cerca di rompere, con i meccanismi del feed-back,
‘anelli causali’ dagli effetti ripetitivi e ridondanti (terapia breve).
Lo psicoterapeuta “breve” per poter attuare una ristrutturazione cognitivorelazionale dovrà:
1. imparare a lavorare sulla lingua del proprio interlocutore;
2. lavorare soprattutto sulla formazione delle situazioni paradossali in base
al quadro che si sarà fatto;
3. progettare il cambiamento proponendosi di sviluppare le risorse del
sistema dell’interlocutore in modo tale da trasformare le regole che non
permettono a un determinato sistema di funzionare.
Vengono definite “terapie brevi” perché non cercano di cambiare una struttura
su basi epistemiche, ma si propongono di promuovere le risorse del sistema
sul qui e ora piuttosto che su quanto è avvenuto in passato.
Articoli suggeriti:
https://simonafocardi.wordpress.com/2011/04/07/la-pragmatica-dellacomunicazione-una-teoria-di-riferimento-basata-sullacomunicazione/#comment-42
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