circolatorio sono

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Progetto di ricerca per un posto di ricercatore a contratto
“L’assistenza ventricolare meccanica nell’infarto miocardico acuto complicato da shock
cardiogeno e nell’arresto cardiaco refrattario ai trattamenti standard”.
Lo shock cardiogeno è uno stato di ipoperfusione tissutale secondaria ad una “failure cardiaca” ed è
caratterizzato da ipotensione persistente (pressione arteriosa sistolica < di 90 mmHg o riduzione
della pressione arteriosa media di almeno 30 mmHg rispetto a quella di base) associata ad una
riduzione severa dell’indice cardiaco e ad alla presenza di pressioni di riempimento adeguate o
aumentate (pressione telediastolica ventricolare sinistra > di 18 mmHg e pressione venosa centrale
> di 10-15 mmHg) (1). Lo shock cardiogeno complica l’infarto miocardico acuto nel 7-10% dei casi
(2) e, anche quando trattato, come confermato dalle più recenti linee guida della Società Europea di
Cardiologia (3), mediante rivascolarizzazione miocardica percutanea precoce, contropulsazione
intraaortica (IABP) e inibitori delle glicoproteine IIb/IIIa si associa ad una mortalità
intraospedaliera elevata (50-60%) (4,5,6). Lo IABP rappresenta la metodica di assistenza meccanica
al circolo di prima scelta e garantisce nella fase acuta un’iniziale stabilizzazione emodinamica
(7,8,9), tuttavia non è un supporto cardiaco attivo e richiede un certo grado di funzione ventricolare
sinistra (2); quindi, in quei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra severa, può non essere
sufficiente a garantire un adeguato supporto emodinamico (10). Dati della letteratura hanno
dimostrato che la mortalità intraospedaliera potrebbe essere ridotta con l’utilizzo di dispositivi di
assistenza ventricolare meccanica impiantabili per via percutanea che garantiscono un supporto
circolatorio attivo quali l’Impella, il Tandem Heart e l’Extracorporeal Membrane Oxygenation
(ECMO) (anche se questo non è mai stato dimostrato in un trial randomizzato) (2). Inoltre, esistono
evidenze che indicano che la sopravvivenza e la qualità di vita a lungo termine dei pazienti
sopravvissuti ad uno shock cardiogeno è sovrapponibile a quella dei pazienti con infarto miocardico
acuto non complicato (1). È per questa ragione che ogni sforzo organizzativo e terapeutico deve
essere fatto con l’obiettivo di ridurre la mortalità intraospedaliera di questi pazienti.
L’arresto cardiorespiratorio (ACR) rappresenta uno dei più grandi problemi di sanità pubblica (11).
Nonostante la rianimazione cardiopolmonare di base (RCP), la defibrillazione e l’ACLS (Advanced
Cardiac Life Support) la mortalità dopo un ACR rimane elevata (11). I dati della letteratura
indicano che solo il 16-45% dei pazienti risponde, almeno inizialmente, alla rianimazione
cardiopolmonare (12), che solo il 13,4-17% dei pazienti con ACR intraospedaliero (13), (6-11% se
il paziente è critico) (12) e il 6,4% dei pazienti con ACR extraospedaliero (14) sopravvive fino alla
dimissione e che le probabilità di sopravvivenza si riducono drasticamente quando le manovre
rianimatorie hanno una durata superiore a 10-15 minuti (12). Le possibili cause dell’elevata
mortalità associata all’ACR sono (15):
– mancato ripristino di una circolazione spontanea;
– recidiva di ACR dovuta ad instabilità emodinamica dopo ripristino di una circolazione
spontanea;
– morte tardiva in seguito a multiorgan failure (compreso il danno cerebrale ipossico dovuto
all’ischemia o al danno da riperfusione).
L’Extracorporeal Membrane Oxygenation (ECMO), aumentando il flusso coronarico, preserva la
vitalità miocardica e favorisce il ripristino di una circolazione spontanea (15). Inoltre, fornendo
sangue ossigenato oltre che al cuore anche al cervello, al rene ed agli altri organi, previene la
disfunzione d’organo aumentando le probabilità di sopravvivenza a lungo termine dopo un arresto
cardiaco (15). In aggiunta, una volta iniziato il supporto, è possibile ricercare le cause dell’ACR e
mettere in atto i trattamenti atti a risolverle (15). Infine, l’ECMO consente di indurre facilmente una
lieve ipotermia (34°C) che si è dimostrata in grado di ridurre il rischio di danno cerebrale ipossico
(13). Dai dati della letteratura (15) emerge che nell’arresto cardiaco l’ECMO è un mezzo utile per
prolungare la durata della rianimazione cardiopolmonare e per migliorare la sopravvivenza.
Tuttavia, a tutt’oggi, non esistono criteri che permettano di identificare i canditati appropriati per
questo tipo di supporto e non è stato stabilito in termini di outcome neurologico il limite massimo
della durata della rianimazione cardiopolmonare che precede l’impianto del dispositivo. Le linee
guida del 2005 dell’American Heart Association sulla rianimazione cardiopolmonare e la gestione
delle emergenze cardiovascolari raccomandano l’utilizzo dell’assistenza ventricolare meccanica nei
pazienti con arresto cardiaco intraospedaliero da cause cardiache con breve durata dell’arresto di
circolo e provocato da cause reversibili (Classe IIb) (16). Infatti, sia con le tecniche standard sia
quando alle tecniche standard viene aggiunto un device di assistenza ventricolare, una rianimazione
cardiopolmonare protratta riduce le probabilità di sopravvivenza (15). Inoltre, in letteratura non
esistono studi che abbiamo dimostrato un chiaro beneficio dell’utilizzo dell’ECMO nell’arresto
cardiaco extraospedaliero (15). Al momento attuale solo l’arresto cardiaco da ipotermia, da
intossicazione con sostanze cardiotossiche e da fibrillazione ventricolare ricorrente costituiscono
indicazione diffusamente accettata al supporto ventricolare meccanico dopo rianimazione
cardiopolmonare prolungata in ambiente extraospedaliero (15). Sembra comunque possibile che il
supporto circolatorio meccanico possa essere esteso all’arresto cardiaco extraospedaliero che sia
testimoniato e che abbia ricevuto un adeguato “basic life support” prima di raggiungere l’ospedale
(15).
Si può dunque concludere, che l’assistenza ventricolare meccanica come supporto
cardiocircolatorio di emergenza rappresenta un settore della ricerca su cui investire con l’obiettivo
di migliorare la prognosi di patologie quali lo shock cardiogeno e l’arresto cardiaco refrattario ai
trattamenti standard.
L’obiettivo del progetto di ricerca è quello di valutare sia a livello organizzativo che terapeutico
l’impiego dell’assistenza ventricolare meccanica nel trattamento dello shock cardiogeno e
dell’arresto cardiaco refrattario ai trattamenti standard ed in particolare:
a. acquisire ulteriori ed approfondite conoscenze teorico-pratiche sull’approccio e sulla gestione
intensivologica dei pazienti con infarto miocardico complicato da shock cardiogeno e con
arresto cardiaco;
b. acquisire ulteriori ed approfondite conoscenze teorico-pratiche sul management dei pazienti
sottoposti ad assistenza ventricolare meccanica;
c. individuare le principali complicanze associate all’assistenza ventricolare meccanica con
particolare interesse alla loro prevenzione e trattamento;
d. valutare la sopravvivenza dei pazienti sottoposti ad assistenza ventricolare meccanica;
e. valutare l’outcome neurologico dei pazienti con ACR sottoposti ad assistenza ventricolare
meccanica.
Per la piena acquisizione di queste competenze il ricercatore dovrà effettuare secondo la
programmazione del responsabile tutte le attività di ricerca e cliniche utili allo scopo.
Prof. Gian Franco Gensini
Bibliografia
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