La famiglia tra vecchie e nuove transizioni

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La famiglia tra vecchie e nuove transizioni:
ridefinire i confini e le competenze
Paola Di Nicola
Docente di Sociologia della famiglia, Università degli studi di Verona
1. Premessa
Le parole del titolo di questo contributo e del progetto formativo (I tempi
dell’attesa) già contengono la prospettiva che si può assumere per avvicinarsi ai temi dell’adozione internazionale: tempo, attesa e transizione sono termini che rinviano a un processo che si attua nello spazio relazionale della
famiglia-coppia secondo ritmi e cadenze che hanno conosciuto in questi ultimi decenni fasi di rallentamento e dilatazione.
Nuovi ritmi che ci dicono che socialmente alcune transizioni – quali l’arrivo
di un figlio, sia naturale che adottivo – avvengono in momenti della vita di coppia diversi, rispetto ai calendari seguiti dalle generazioni che ci hanno preceduto, scandiscono diversamente le biografie di vita di uomini e donne, determinando un profondo e sotterraneo mutamento del sistema delle aspettative
che ruota intorno alla generatività e del connesso profilo delle famiglie italiane.
Nuovi ritmi che ci aiutano a comprendere: a) quale sia il “posto’ che uomini e donne lasciano che maternità e paternità occupino nelle rispettive traiettorie di vita; b) come siano cambiati i confini delle identità di donne e uomini
in relazione alla generatività e c) come le dinamiche sociali tendano a restringere il tempo della coppia per la generatività e della generatività.
L’ipotesi che si intende dimostrare è che “riempire” (in termini di sostegno
alla genitorialità) i tempi dell’attesa in caso di adozione internazionale sia
relativamente più semplice, solo nella misura in cui si riconosca che anche per
le coppie non adottive ritardo e rinvio scandiscono i ritmi – un tempo supposti “naturali” – della procreazione: il piano sul quale poter innescare un processo di crescita e di sostegno è quello della condivisione di un “tempo dilatato” che scandisce anche le scelte procreative delle coppie con figli naturali.
Condivisione come meccanismo per uscire dal senso di “straordinarietà della
propria esperienza” e quindi come lenimento per il dolore e la delusione.
Ho formulato tale ipotesi come guida per il lavoro di approfondimento che
andrò a sviluppare, in quanto attualmente il profilo della coppia che programma un figlio e il profilo della coppia che aspira all’adozione si stanno avvicinando: l’elemento che accomuna queste due tipologie di coppia è dato dal
sistema delle motivazioni e delle aspettative che ruotano attorno alla scelta
procreativa e al momento, nella vita di coppia, in cui la decisione di compiere
la transizione verso la genitorialità avviene. Sistema che ricade sotto il domi-
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nio della riflessività che ha contribuito significativamente a ridefinire i ritmi e
i tempi con cui una coppia matura la scelta procreativa.
Nello stesso tempo la dinamica del rinvio e del ritardo influenza il modo in
cui la coppia vive la generatività – aumenta quindi il livello di riflessività –
all’interno di una circolarità in virtù della quale più si medita se fare un figlio,
più tardi si prende la decisione di farlo, più tardi la decisione viene presa, più
la scelta procreativa diventa coinvolgente e fortemente voluta – si parla infatti del figlio a ogni costo; più il figlio è voluto più alti sono i livelli di aspettative nei suoi confronti, ma anche il livello di preoccupazione, paura, incertezza,
senso di inadeguatezza. Emerge un bisogno crescente di sostegno alle competenze genitoriali, che nulla ha di eccezionale e patologico e che sottolinea
ulteriormente quanto la situazione delle famiglie che desiderano adottare un
bambino si stia avvicinando alle coppie con figli naturali.
2. Riflessività
in che senso
e cosa significa?
Affrontare il tema dei cambiamenti che hanno investito le identità paterne
e materne nella famiglia attuale, costringe a fare i conti con nuovi processi
sociali, in particolare con il crescente distanziamento tra identità individuale e
identità sociale. Non solo, infatti, sono cambiati i profili e i contenuti delle
identità sociali (ruoli), che hanno visto un potenziamento della linea femminile e un significativo ridimensionamento del ruolo sociale del padre, ma oggi le
aspettative di comportamento sono diventate per gli attori sociali meno
cogenti e costrittive.
Aumenta il divario tra il comportamento socialmente atteso (ruolo) e il
comportamento reale dei diversi componenti la famiglia: in seguito ai processi di deistituzionalizzazione, che rimandano sostanzialmente a un profondo
indebolimento della forza prescrittiva delle aspettative di comportamento di
conformità al ruolo, le regole del vivere sotto lo stesso tetto sono il risultato
di accordi e negoziazioni, di scambi comunicativi, di giochi relazionali. Le regole non trovano più un fondamento di legittimità nella tradizione, nella religione, nell’autorità, che le “trasmutavano” in qualcosa di inscritto nella natura,
ma si fondano sulla ragione, sulla razionalità, sugli scambi e quindi diventano
più flessibili, malleabili, negoziabili, discutibili.
Dal punto di vista della relazione individuo-famiglia, si è passati da una
situazione in cui i tempi e i modi dell’essere e del fare famiglia scandivano le
biografie di vita individuali e di coppia, profondamente tracciate e segnate
dalle aspettative di ruolo, a una situazione in cui sono le biografie individuali
che segnano e scandiscono i cicli di vita della famiglia. Non esiste più un’età
giusta per sposarsi, per uscire di casa, il matrimonio non segna più il momen44
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to di passaggio dalla fase adolescenziale a quella adulta, la maternità e la
paternità può avvenire dentro e fuori, prima e dopo il matrimonio, prima o
dopo la conclusione degli studi. In altri termini, oggi l’assunzione della
responsabilità genitoriale, la decisione di procreare è messa nelle mani e nei
cuori della coppia, della donna, dell’uomo che scelgono il momento della loro
vita in cui compiere la transizione.
La genitorialità si è dunque soggettivizzata, nel duplice senso di scelta
squisitamente privata e “libera”:
• libera in quanto oggi nulla impone o invita uomini e donne a generare figli,
se non un loro desiderio, un progetto di autorealizzazione personale;
• privata in quanto uomini e donne devono assumersi della genitorialità
sia gli oneri che gli onori.
Due le conseguenze di questo processo di soggetivizzazione: a) sul versante individuale, cresce il livello di aspettative non solo sul figlio come progetto da realizzare, ma anche sulle caratteristiche personali e relazionali del
figlio; b) sul versante sociale, i figli sono diventati oneri, pesi: non a caso si
parla di “costo” dei figli nella società dell’opulenza! Il processo di crescente
“privatizzazione” della genitorialità, che trova un corrispettivo nel (ed è a sua
volta alimentato dal) disconoscimento, a livello sistemico, della valenza sociale della maternità e paternità, è alla base, infatti, delle difficoltà di impostare
una sistematica, coordinata e coerente politica sociale per la famiglia nel
panorama italiano.
In un siffatto conteso sociale la generatività, anche quella biologica, è il
risultato di una meta-riflessione, che per molti versi accomuna sia le coppie
che pianificano un figlio che le coppie in attesa di adozione.
3. Il contesto
socioculturale
della generatività
Quale il contesto sociale che genera e si alimenta di riflessività?
In tema di maternità, paternità e transizioni all’età adulta alcuni elementi
caratterizzano la realtà italiana, in particolare si elencano i seguenti.
• Lento spostamento in avanti dell’età in cui si contrae il primo matrimonio: in base ai dati ISTAT riferiti agli anni 2004-2005 (ISTAT 2005a,
2005b) l’età media dei maschi al primo matrimonio è di 32 anni, quella
della donna si avvicina ai 30. Al lento abbassamento dell’età media al
primo matrimonio, che si è manifestato dagli inizi degli anni Cinquanta
del secolo scorso, ha fatto seguito, dal 1975 in poi, un’inversione di tendenza che non mostra, al momento, flessioni.
• Riduzione dei tassi di nuzialità, accompagnata da una corrispondente
aumento delle convivenze. Sempre in base ai dati ISTAT, nel 2005 sono
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PARTE SECONDA. FAMIGLIA E FAMIGLIE: CONTESTI E ORIENTAMENTI PER L’ATTESA
stati celebrati poco più di 250 mila matrimoni, contro, per esempio, i 419
mila del 1972, anno a partire dal quale inizia la flessione regolare e sistematica del trend. Contemporaneamente, sempre da fonte ISTAT, nel 2005
sono state oltre 500 mila le coppie che hanno scelto di costituire una
famiglia al di fuori del matrimonio.
• Spostamento in avanti dell’età in cui la donna genera il primo figlio (28
anni circa, contro i 25 del 1971), connesso all’innalzamento dell’età della
donna al primo matrimonio e al fatto che in Italia, ancora oggi, la stragrande maggioranza dei bambini nasce dentro il matrimonio. Tuttavia,
anche per questa variabile comportamentale, i costumi stanno cambiando, in quanto sono in aumento le nascite fuori dal matrimonio: attualmente sono il 15%, quasi il doppio, rispetto a 10 anni fa.
• Spostamento in avanti anche dell’età in cui l’uomo lascia la casa dei
genitori, si sposa e genera il primo figlio: l’età mediana al primo figlio per
gli uomini nati nella prima metà degli anni Sessanta supera i 33 anni ed
è aumentata di 3,5 anni rispetto all’età mediana dei nati all’inizio degli
anni Cinquanta.
• Riduzione della differenza di età tra i partner: ad esempio, nel 1952, al
momento del matrimonio l’uomo aveva mediamente 29 anni, la donna
25, oggi la differenza è di circa due anni: in prospettiva, la coppia coniugale tende a caratterizzarsi come un’unione di due soggetti che, appartenendo allo stesso segmento generazionale, sono potenzialmente più
vicini e simili quanto ad aspettative relative alla famiglia, agli stili di vita,
ai valori condivisi.
• Aumento delle coppie con uno, massimo due figli (le nascite di ordine
superiore sono molto diminuite): la maternità e la paternità come “impegni di cura” ad alta densità di lavoro (quando i figli sono piccoli), occupano archi temporali più ristretti nelle biografie di vita di una coppia,
che, inoltre, compie la scelta procreativa in piena maturità, spesso quando il rapporto di coppia si è già stabilizzato. La nascita di un figlio, in tale
situazione, può avere un effetto dirompente e destabilizzante molto
forte, tanto più che l’intensa cura di cui il bambino ha bisogno nei primi
anni di vita genera un processo di ri-tradizionalizzazione dei ruoli coniugali (con la donna che si ritrova molto più coinvolta dell’uomo nei lavori
domestici e di cura del bambino), che può sfociare in tensione e conflitto nella relazione di coppia.
• Aumento delle coppie, al cui interno i partner hanno lo stesso livello di
scolarizzazione o coppie in cui la donna è più scolarizzata del compagno,
a conferma dell’esistenza di una tendenza di progressiva eliminazione
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delle differenze tra maschi e femmine che vedevano, nel passato, la
donna sempre in posizione più debole rispetto all’uomo, anche perché
spesso aveva anche meno capitale umano. D’altro canto, nel passato, le
famiglie investivano poco nella scolarizzazione delle figlie, le facevano
“studiare” di meno dei figli maschi, nella consapevolezza, spesso anche
dichiarata, che in questo modo sarebbero state più docili e sottomesse
ai mariti e perché si riteneva che per ordinare casa e allevare figli fosse
più che sufficiente fare di conto e leggere quasi sillabando.
• Aumento dei tassi di occupazione delle giovani donne in coppia (che si
attestano intorno al 65-70%): anche in questo caso, si rileva una riduzione della dipendenza economica della donna dall’uomo, uno dei capisaldi di quella divisione di ruoli e competenze complementari che per
alcuni era alla base della stabilità – forzosa – dei matrimoni del passato.
• Permanere di una divisione dei carichi familiari e di cura ancora di tipo
tradizionale e asimmetrico, che vede il maschio italiano poco coinvolto
nei lavori domestici e relativamente e lievemente più coinvolto, rispetto
al proprio padre, nell’accudimento dei figli, ma sempre e ancora marginale nella cura di casa e figli rispetto alla donna.
• Crescita delle famiglie monogenitoriali (circa 12% del totale delle famiglie), che nella maggioranza dei casi sono costituite da donne con figli.
• Ancora contenuti i tassi di conflittualità coniugale (rispetto al resto di
Europa), ma in costante crescita (circa un matrimonio su tre si conclude
con una separazione); crescono le probabilità che un genitore debba
affrontare il carico di cura dei figli in situazioni di più forte instabilità e
senza più la presenza quotidiana dell’altro genitore con cui condividere
gioie e dolori della filiazione; crescono le probabilità di doversi fare carico dei figli di “altri” (in caso di famiglia ricostituita).
• Diffusione di un’organizzazione familiare più simmetrica ed egualitaria
(uomo-donna), prevalentemente nei ceti medi, medio-alti. Molte delle
decisioni sono condivise, anche se permane un 20-25% di coppie che
vede una più forte autonomia della donna nell’uso del denaro per le
spese quotidiane, mentre il partner ha maggiore voce in capitolo nella
gestione dei risparmi e degli investimenti.
• Aumento del rischio povertà tra le famiglie con figli piccoli e monoreddito e tra le famiglie monogenitoriali, soprattutto se il genitore unico è la
madre.
In tema di maternità e paternità, appare forte e radicato il modello culturale che vede la responsabilità genitoriale e il lavoro di cura ancora saldamente
in mani femminili, con tutti i costi personali che questo comporta, ma appare
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PARTE SECONDA. FAMIGLIA E FAMIGLIE: CONTESTI E ORIENTAMENTI PER L’ATTESA
altrettanto chiaramente quanto le scelte procreative abbiamo cambiato di
tono e coloritura sociale: da dovere della coppia coniugata, complemento
“naturale” al matrimonio sin dall’inizio, sono diventate scelte individuali, che
si fanno sempre più spesso dopo alcuni anni dal matrimonio; da elemento di
legittimazione sociale e simbolica del matrimonio, sono diventate realizzazione di progetti, che si possono collocare anche al di fuori del vincolo istituzionale (conta più la dimensione affettiva, dell’investimento personale che non il
senso di obbligazione verso la collettività); da risorsa, punto forte per l’ancoraggio delle identità di uomini e donne nel passato, sono diventate scelte
spesso ad alto rischio, che possono, soprattutto per la donna, diventare fonte
di povertà e di marginalità sociale.
Nello stesso tempo, tra le coppie con figli, i tassi di separazione sono più
bassi (Barbagli, Saraceno, 1998), a conferma del fatto che la genitorialità può
indurre alcune coppie in crisi a scelte maggiormente ponderate e più attente
alla complessità totale delle relazioni familiari. Nonostante da più parti si
metta in evidenza la centralità che ancora oggi la famiglia e i figli hanno per
uomini e donne italiane, centralità che spiega la relativa tenuta delle relazioni
familiari, quale si evince dai tassi ancora contenuti di conflittualità coniugale,
dalla bassa percentuale di convivenze e di figli nati al di fuori del matrimonio,
non si può non rilevare che in Italia sono in atto processi di veloce allineamento con i trend europei e che, in generale, la generatività è uscita dagli orizzonti di realizzazione di molti giovani.
C’è un «dato» che non può essere ignorato, vale a dire che la famiglia già oggi non ha più nel suo orizzonte i figli come obiettivo e completamento, vera e propria realizzazione, vero e proprio suo inveramento. Questo è il punto cruciale, la
questione centrale di ogni riflessione che voglia essere realistica, di ogni proposta che non intenda fermarsi a una sorta di predicazione, religiosa o laica che sia,
attorno alla necessità della prole. Prima i figli appartenevano imprescindibilmente all’orizzonte della famiglia e, in virtù di questa posizione distinta, la connotavano. La famiglia, semplicemente, li comprendeva e, dunque, ne era costituita.
Oggi non più. I figli possono stare o non stare nell’orizzonte della famiglia, indifferentemente. (Volpi, 2007)
4. Le famiglie adottive
nel contesto
della modernità
riflessiva
La transizione dalla coppia alla coppia con figli avviene dunque sempre più
tardi nel ciclo di vita della famiglia, si realizza in un contesto sociale a elevata
riflessività (valutare sempre i pro e i contro delle azioni da mettere in campo,
attingere a informazioni ricche e circostanziate, rivolgersi ai saperi esperti,
agli specialisti, ri-orientare l’azione in funzione delle informazioni acquisite)
nella piena consapevolezza che non esiste più un sapere tradizionale e/o sup48
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posto naturale al quale attingere per comporre le competenze genitoriali e
assumersi la totale responsabilità delle scelte compiute. La generatività non è
un più un atto dovuto dalla coppia per onorare il debito generazionale, ma
diventa una scelta che sempre più si compie in situazioni di elevata contingenza: la famiglia, il legame di coppia non è più per la vita, la stessa sicurezza lavorativa comincia a incrinarsi.
Nella società del rischio e dell’incertezza, tuttavia, la scelta procreativa che
pure ha un impatto molto dirompente sul modello organizzativo della vita di
coppia, che porta a una sorta di ri-tradizionalizzazione della divisone del lavoro tra i coniugi, esercita tuttavia ancora un funzione di relativa stabilizzazione
della relazione di coppia e spinge verso l’istituzionalizzazione del legame
uomo-donna.
Alla luce di queste considerazione, si può sostenere che, in questi ultimi
decenni, pur nella loro diversità, le coppie che aspirano all’adozione non sono
tanto distanti dalle coppie che decidono di generare un figlio. Si è molto assottigliata la differenza tra chi – come si diceva un tempo – aveva la fortuna di
avere un figlio senza tanti ripensamenti e meditazioni e chi, invece doveva
“guadagnarselo”, dovendo fare i conti con il proprio fallimento “biologico”,
tanto più pesante quanto più le biografie di uomini e, soprattutto, donne ruotavano sull’identità materna. Il fatto che oggi il figlio sia una scelta e, come
detto, sempre più spostata in avanti e sempre meno fattore di identizzazione
sessuale e di coppia, rende, per esempio, il fallimento biologico meno destabilizzante e problematico.
Rimane tuttavia come problema centrale il tempo: minaccia per le coppie
che decidono di spostare in avanti la scelta di procreare un figlio, quando cresce il rischio di infertilità e tiranno per chi ha fatto una richiesta di adozione in
prossimità dei 40 anni. Ed è proprio sul terreno del “tempo” dell’attesa che si
allunga, sia per le coppie naturali che per quelle adottive, e che minaccia la
realizzazione di un progetto che potrebbe non realizzarsi perché ormai “fuori
tempo” che è possibile aprire uno spazio di condivisione della frustrazione,
della delusione, delle paure. Non necessariamente per vincerle, ma, quantomeno, per riconoscerle come tappe di una traiettoria di vita.
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