LA FINANZA ISLAMICA
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L’Islam e le sue radici
L’Islam Sciita
I Cinque pilastri dell’Islam
La relazione tra Islam e Diritto
Le principali fonti della
finanza islamica
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L’Islam e le sue radici
L’Islam è la terza religione monoteista del mondo e ha la stessa origine dell’Ebraismo e del
Cristianesimo, ma si caratterizza per una più profonda relazione tra la dimensione
teologica – morale e quella sociale coinvolgendo anche gli aspetti dell’economia e della
finanza: i precetti contenuti nella Shariah, ossia “la via maestra per giungere alla salvezza”
non riguardano soltanto l’aspetto più intimo del credo, quello della relazione tra il
credente e Dio, ma costituiscono i principi di condotta morali in ogni settore della vita
pubblica della comunità islamica, la Ummah.
L’Islam è la religione di coloro che credono nel Sacro Corano: i credenti riconoscono i
profeti delle religioni monoteistiche dell’Ebraismo e del Cristianesimo, ma considerano il
Profeta Muhammad l’ultimo profeta, portatore della verità divina e il Sacro Corano come
il testo sacro più completo e veritiero in quanto dettato direttamente da Allah: questo è il
motivo per cui i credenti musulmani non negano l’esistenza delle altre religioni monoteiste
e nello stesso tempo sottolineano l’importanza della propria come la più compiuta.
La tradizione religiosa islamica affonda le sue radici in una notte del mese del Ramadan
nella città della Mecca del VII secolo d.C. dove un mercante quarantenne, Muhammad
Ibn Abdallah, il Profeta, ricevette direttamente da Allah una serie di rivelazioni che
incominciarono nell’anno 610 d.C. e terminarono nell’anno della sua morte, nel 632 d.C.
Tali rivelazioni costituiscono il Sacro Corano, considerato dai credenti di fede musulmana
parola di Allah, diretta ed atemporale:
“Questo è il libro scevro di dubbi, dato come guida per i timorati di Dio” (il Corano 2;2).
A completamento del Sacro Corano si pone la biografia del Profeta Muhammad,
l’hadith, che tramanda ciò che il Profeta pensò, disse e fece.
L’insegnamento del Profeta Muhammad, che era incentrato sull’unicità di Allah e sulla
condanna dei costumi degli abitanti della Mecca, non fu ben accolto dalla tribù Quraysh
che controllava il culto dello haram, centro di pratica religiosa locale e di pellegrinaggio
dove era custodita la Kaba, qibla, allora circondata da idoli che rappresentavano le
divinità dello haram.
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Le persecuzioni avanzate dagli abitanti della Mecca verso i suoi seguaci convinsero il
Profeta Muhammad, nell’anno 622 d-C-. a spostarsi verso la città settentrionale di Yathrib,
nota da allora come Medina: il drammatico viaggio del Profeta è conosciuto come Egira
(Hijra) e viene considerato dalla tradizione il momento della fondazione della comunità
islamica, la Ummah.
A Medina il Profeta Muhammad continuò la propria missione profetica e divenne capo
politico e militare della Ummah, sostituendo alla complessa rete di relazioni tribali e di
sangue l’idea di un gruppo umano legato da vincoli di fede a prescindere dall’origine
familiare e dalla razza.
Egli mostrò gesti di benevolenza e di perdono nei confronti della tribù Quraysh che gli
aveva opposto resistenza alla Mecca.
Alla morte del Profeta e sotto le dinastie degli Omayyadi (661-750 d.C.) e degli Abassidi
(750-1258 d.C. ) la tradizione islamica si diffuse nell’Asia centrale, in India e in Spagna ed
entro il XVIII secolo la conversione all’Islam caratterizzava la maggioranza delle
popolazioni dell’Africa settentrionale, del Medio Oriente e dell’Asia Centrale, spingendosi
sino agli stati della Malesia, dell’Indonesia e dell’Africa sub-sahariana.
Oggi i musulmani nel mondo sono circa un miliardo e trecentomila, facendo dell’Islam la
seconda religione più diffusa del mondo. La maggior parte della comunità islamica
aderisce al Sunnismo che rappresenta circa il 90% dei fedeli musulmani e che insiste sul
modello del Profeta Muhammad come modello di condotta per il buon musulmano,
mentre la minoranza più importante è costituita dallo Sciismo che sorse subito dopo la
morte del Profeta.
I musulmani sciiti scelsero quale successore del Profeta il genero Ali Ibn Abi Talib, anziché
Abu Bakr. Le principali divisioni dell’Islam sciita, letteralmente traducibile come “seguaci di
Ali”, sono rappresentate da tre correnti: quella dei duodecimali, degli ismailiti e dei
settemani, di cui la più estesa è quella dei duodecimali, chiamati così in quanto in attesa
del dodicesimo Imam, un ragazzo di nome Muhammad.
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L’Islam sciita
L’Islam sciita nacque e si diffuse per motivi politico – religiosi riguardanti la designazione
del califfo: secondo i musulmani sciiti il capo della Comunità, che essi preferirono
chiamare imam, ossia colui che guida e che è esente dal peccato e dalle colpe, doveva
essere individuato all’interno dell’Ahl al-Bayt, ossia tra le “genti della casa”, la parentela
più stretta del Profeta Muhammad e considerata unica erede degna.
I musulmani sciiti riconoscono il primo imam nel genero del Profeta Muhammad Ali Ibn Abi
Talib: alla morte di Ali i suoi seguaci offrirono lealtà a suo figlio Hasan ed alla morte di
questi a suo fratello Husayn.
A partire dallo scisma tra musulmani sciiti e sunniti gli studiosi sciiti svilupparono un
complesso insieme di dottrine centrato sull’ufficio dell’imam: secondo la dottrina sciita
l’istituto dell’imam è un anello della profezia che si estende da Abramo e da Gesù fino al
Profeta Muhammad e deve essere un diretto discendente di quest’ultimo e designato
dall’imam precedente. Secondo il culto sciita l’imam è l’unica autorità legittima sulla terra
ed è esente dai peccati e dalle colpe in quanto depositario di un insieme di conoscenze
direttamente trasmesse da Allah.
Il ramo più importante dell’Islam sciita è quello duodecimano chiamato così in ragione
della credenza nel dodicesimo imam: secondo i musulmani duodecimali dopo la morte
dell’undicesimo imam, Hasan al-Haskari, il figlio Muhammad scomparve. Secondo il credo
duodecimano il dodicesimo imam Muhammad non sarebbe morto, ma sarebbe entrato
in uno stato di nascondimento miracoloso, la durata del quale è conosciuta solo a Allah.
Gli ulama (con il termine ulama si indicano gli studiosi della legge della Shariah)
duodecimali detenevano inizialmente soltanto il ruolo di guida spirituale della Comunità
limitato temporalmente in attesa del risveglio del dodicesimo imam, mentre con il tempo
hanno assunto un ruolo sempre di maggior influenza anche in campo politico e giuridico.
Il secondo ramo principale dell’Islam sciita è quello del ramo ismailita, o settemano, che
sorse a seguito della morte del sesto imam, Jafar al-Sadiq.
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Gli sciiti ismailiti parteggiavano per il figlio maggiore Ismail quale settimo imam, anziché
per il figlio minore Musa che viene invece considerato il settimo imam dall’Islam
duodecimano.
A differenza degli sciiti duodecimali che attendono il dodicesimo imam nascosto, gli sciiti
ismailiti credono nella discendenza degli imam fino ad oggi.
In generale dove prevale l’Islam sciita piuttosto che quello sunnita, quindi in Iran, in Iraq e
in una parte del Libano, il ruolo degli imam è molto forte e caratterizza una fede più cupa
e nostalgica rispetto a quella sunnita che non riconosce intermediari tra il fedele e Allah, e
che riconosce agli imam solo il ruolo di dotti.
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I cinque pilastri dell’Islam
La religione islamica si caratterizza per la presenza di cinque precetti che rappresentano
le fondamenta del credo e che contribuiscono all’educazione del buon musulmano. Essi
non sono espressi in modo organica, ma si trovano sparsi in diverse sure del Sacro Corano.
I pilastri dell’Islam sono: la doppia testimonianza di fede, le cinque giornaliere, l’elemosina,
il pellegrinaggio alla città della Mecca e il digiuno nel mese del ramadan.
1.
La doppia testimonianza di fede (sciahada): è un pilastro che si esegue
oralmente e che è considerato la porta d’ingresso per l’Islam.
“Non vi è altra divinità che Allah e Muhammad è servitore e messaggero di
Allah”
La prima parte della sciahada è l’espressione dell’unicità di Allah, e rappresenta
uno dei concetti principali del credo islamico: il tawhid.
La seconda parte della sciahada è incentrata sul Profeta Muhammad,
considerato dai credenti musulmani “il sigillo dei Profeti” e testimonia l’amore di
Allah, verso il suo Profeta. Ai credenti musulmani è richiesto di convincersi che il
messaggio portato dall’Islam è stato dettato direttamente da Allah, e di
riconoscere la natura umana del Profeta Muhammad: il credente buon
musulmano deve seguire gli insegnamenti sella Sunna, la pratica di vita del
Profeta, e considerarlo un modello di ispirazione.
2. La preghiera: è un pilastro indispensabile nell’Islam e rafforza la doppia
testimonianza di fede. La preghiera è un insieme di atti e parole che vengono
richiesti al buon credente musulmano allo scopo di adorare e mantenere vivo il
legame con Allah. Il buon musulmano compie la preghiera cinque volte al
giorno rivolto verso la Kabla, qibla, che si trova alla Mecca. La posizione assunta
dai fedeli in preghiera rispecchia la parola Allah scritta in lingua araba:
Il
richiamo alla preghiera è il Takbir, Allah Akbar, espressione equivalente a “Sia
Lode a Dio”.
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“Recita quello che ti è stato rivelato del Libro ed esegui l’orazione. In verità
l’orazione preserva dalla turpitudine e da ciò che è riprovevole. “
3. Il versamento della zakat: la zakat consiste nel prelievo di una determinata
somma di denaro che ogni buon musulmano fa della propria ricchezza, quando
essa supera un limite minimo stabilito, in modo disinteressato e che versa a
favore dei poveri in modo da sovvenire alle loro necessità e non privarli dei loro
diritti. Il pilastro della zakat si caratterizza per il suo contenuto economico e per
molto tempo ha rappresentato l’unica imposta dovuta dai musulmani all’interno
dei paesi islamici. La zakat è fissata al 2,5% dell’imponibile. Una delle condizioni
della zakat è l’appartenenza alla comunità islamica e non è obbligatoria per i
non musulmani. Oltre all’appartenenza al credo è necessario che il credente
possegga da almeno un anno una ricchezza che supera il limite minimo
imponibile, nissab, fissato pari all’equivalente del prezzo di 85 grammi d’oro.
La zakat ha l’obiettivo di combattere la povertà all’interno della comunità
islamica e di promuovere l’ideale di solidarietà sociale tra i fedeli oltre a
purificare i cuori dei credenti dall’eccessivo amore per le ricchezza della vita
terrena. “Preleva sui loro beni un’elemosina tramite la quale li purifichi e li mondi
e prega per loro”.
4. Il digiuno (sawm) nel mese del Ramadan: il digiuno cade nel mese del
calendario lunare islamico del Ramadan e quindi non trova una corrispondenza
specifica con il calendario occidentale. Durante il mese del Ramadan è
richiesto al buon musulmano di purificarsi attraverso la rinuncia dall’alba al
tramonto non soltanto dal mangiare, dal bere e dall’avere rapporti sessuali, ma
anche dal commettere peccato espresso in tutte le sue forme, menzogna,
tradimento, truffa, inganno ed altri vizi. Il digiuno permette al credente di vincere
i suoi vizi e le sue passioni e lo sforzo compiuto, gihad, è manifestazione della sua
fede in Allah.
“O voi che credete, vi è prescritto il digiuno come era stato prescritto a coloro
che vi hanno preceduto. Forse diverrete timorati”.
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5. Il pellegrinaggio (hajj): viaggio alla Mecca, richiesto ai credenti almeno una
volta nella vita ed in determinati periodi dell’anno, allo scopo di visitare la Kaba
e compiere determinati riti di adorazione in nome di Allah.
La Kaba, quibla, è un simbolo potente della presenza divina e viene definita
“Sacra Casa di Dio”: essa rappresenta il simbolo fisico del legame tra Allah, e
l’umanità. I fedeli musulmani credono che la qibla sia stata costruita da Adamo
e poi purificata e ricostruita da Abramo.
Sono esonerati dall’obbligo del viaggio coloro che soffrono di un male
incurabile, che possono mandare un altro credente al loro posto, coloro che
sono troppo poveri per permetterselo e coloro che non possono assicurare che
ci sarà qualcuno a prendersi cura di chi hanno in carico.
Il pellegrinaggio è il più grande raggruppamento della comunità islamica del
mondo ed ai non musulmani non è consentito l’ingresso alla città della Mecca.
Durante il pellegrinaggio tutti i credenti sono vestiti di bianco in modo che non vi
sia distinzione in base al ceto sociale, al colore della pelle o tra un fedele arabo
ed un fedele non arabo.
“Il Pellegrinaggio avviene nei mesi ben noti. Chi decide di assolverlo, si astenga
dai rapporti sessuali, dalla perversità e dai litigi durante il Pellegrinaggio”.
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La relazione tra Islam e diritto
Il diritto musulmano nasce e si afferma con la nascita e l’affermazione dell’Islam, termine
che non indica soltanto la religione, din, fonda dal Profeta Muhammad, ma anche il
sistema politico, sociale e culturale che ad essa intimamente si riconnette: in realtà la
ripartizione dell’Islam in tre sistemi (religioso, politico e giuridico) è un adattamento
occidentale di una realtà che internamente si presenta unitaria e che trova le proprie
fondamenta nella legge della Shariah.
Le radici storiche della Shariahsi ritrovano nel concetto di Ummah: il concetto di
inscindibile unità della Comunità dei Musulmani dimostra che non esiste il concetto di
Chiesa distinto dallo Stato in quanto è la Ummah ad essere allo stesso tempo Chiesa e
Stato allo stesso modo e nello stesso tempo.
Nonostante l’Islam tenda a dominare minuziosamente tutti gli aspetti della vita del
credente, esso ignora l’esistenza di un clero organizzato: a tutela del dogma, del rito e del
diritto sono destinati i dottori della legge, gli ulama.
Il fiqh è la scienza giuridica musulmana e parte dallo studio della Shariah che è l’insieme
di regole, principi e valori in cui si ricavano leggi e normative.
Il fiqh può essere definito come la “conoscenza dei comandamenti di Allah che
concernono
le
azioni,
qualificate
come
wajib
(obbligatorie),
haram
(vietate),
mandub(raccomandate), makruh (disapprovate)o mubah(indifferenti).
La Shariah islamica contiene le caratteristiche dell’universalità, della totalità e
dell’adattabilità ad ogni luogo e tempo ed i suoi sistemi e norme comprendono sia la
religione che il mondo terreno.
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A questa complessità si aggiunga che ogni Stato nel quale vige il diritto islamico è
caratterizzato da una propria storia, che per i paesi della cosiddetta “franconomie” è
stata influenzata dal diritto della civil law francese, mentre altri paesi sono stati influenzati
dalla common law inglese: nonostante l’affermarsi della legge della Shariah, che trova le
proprie fonti normative sul testo del Sacro Corano, sulla Sunna e sul consenso dei dottori
della legge, l’influenza di secoli di storia di sistemi giuridici esterni alla Shariahè ancora
riscontrabile nelle consuetudini, sebbene non tutti gli esperti di legge le considerino fonti
del diritto.
Le quattro scuole legali dell’Islam sono nate nel XI secolo e hanno rappresentato uno dei
passi chiave della formalizzazione del Sunnismo. Esse sono: la scuola hanafita, la scuola
malikita, la scuola shafiitae la scuola hanabalita.
L’Islam sciita tende invece a fare maggiore ricorso alle opinioni degli imàm: la scuola
giuridica sciita più importante è quella duodecamana.
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Le principali fonti della Finanza Islamica
L’Islam si caratterizza rispetto alle altre religioni monoteiste, per una stretta relazione tra la
dimensione teologica, morale e quella sociale, politica ed economica. L’elemento
caratterizzante la finanza islamica è il suo esplicito richiamo ai precetti della legge
religiosa islamica. L’analisi dell’economia e della finanza islamica non può ignorare la
conoscenza dei contenuti religiosi dell’Islam, della sua storia e delle sue fonti: il Corano e
la Sunna. Le fonti del diritto musulmano sono quattro: Sacro Corano, Sunna, igmae qiyas.
A queste si aggiunge la consuetudine: nonostante le scuole legali non siano concordi nel
definirla fonte del diritto essa assume molta importanza nella giurisprudenza islamica.
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Il Sacro Corano (al-Qur’àn): è il testo sacro per eccellenza del credo islamico e contiene
le rivelazioni che Allah, fece al Profesta Muhammad, attraverso l’arcangelo Gabriele dal
momento della rivelazione, nel 610 d.C., fino al momento della sua morte, nel 632 d.C.
Il Sacro Corano fu rivelato a brani isolati, anche di brevissima lunghezza. Il Profeta affidò
prima queste rivelazioni alla sua memoria e poi ai suoi scrittori che avevano il compito di
riportarle per iscritto: fu solo dopo la morte del Profeta Muhammad che i suoi Compagni
decisero di riordinare il materiale scegliendo come metodo quello della lunghezza dei
brani, anziché quello cronologico o quello logico. Secondo la tradizione islamica il Sacro
Corano raggiunse la sua forma attuale durante il califfato di Uthman (644-656 d.C.) che
ordinò ad un gruppo di stimati musulmani di stilarne la versione definitiva.
I musulmani attribuiscono una sacralità fisica al Sacro Corano e ritengono che esso
possegga potere divino e preferiscono maneggiarlo solamente in condizioni di estrema
purezza rituale.
Il Corano risulta composto da 114 sure, ordinate secondo lunghezza dalla più breve alla
più lunga ad eccezione della prima detta l’”Aprente del Libro”, che possono essere
distinte tra sure della Mecca, rivelate quando il Profeta viveva alla città della Mecca, che
si caratterizzano per il loro contenuto morale e religioso, e Sure di Medina, rivelate dopo il
viaggio dell’Egira quando il Profeta era diventato capo politico e militare della comunità
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islamica creatasi e che trattano dell’organizzazione della società toccando anche i
campi dell’economia, della finanza e del diritto.
La materia giuridica del Corano compare quindi nelle sure di Medina, ma è scarsa in
paragone alla mole del libro: secondo gli scrittori musulmani, su poco più di 6200 versetti
contenuti nel Corano solo un centinaio si caratterizzano per un contenuto strettamente
giuridico.
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La Sunna: il termine “sunna” deriva dalla radice asl, termine arabo che designa le norme
morali di condotta, e che con la nascita e l’affermazione dell’Islam viene inteso come
sunnat al-nabì, “la Sunna del Profeta”, intendendo il modo di comportarsi di Muhammad
nelle varie circostanze, norme di condotta consistenti in un detto, in un fatto o in un
silenzio assenso.
È intorno all’inizio del terzo secolo dall’Egira che alle norme contenute nella Sunna venne
attribuita efficacia normativa dalla Comunità: il Profeta Muhammad è considerato dai
fedeli musulmani un modello, fonte di profonda ispirazione per il fedele, in quanto uomo la
cui condotta è ispirata direttamente dalla perfezione di Allah.
Gli hadith sono i racconti della vita del Profeta che sono stati trasmetti oralmente da
trasmettitori degni di fede, gli isnàd: lo studio della catena di trasmettitori ha ispirato una
vera e propria scienza, giacché il racconto è tanto più veritiero quanto più sono degni di
fiducia i trasmettitori: per gli studiosi musulmani il punto centrale è quello di garantire la
continuità della memoria storica della Comunità dei Musulmani fondata dal Profeta
Muhammad, la Ummah, che avrebbe trasmesso al suo interno, di generazione in
generazione, le tradizioni dei tempi del Profeta.
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Il Consenso (ijimà’): è uno delle due fonti del diritto minore e trova fondamento in un detto
attribuito al Profeta “La mia Comunità non si troverà mai d’accordo sopra ad un errore”.
L’accordo della Comunità è in realtà l’accordo dei dottori in quanto rappresentanti
qualificati, per profondità di dottrina, della Comunità stessa.
L’ijimà’è importante agli occhi dei fedeli islamici in quanto garantisce l’autenticità sia del
Sacro Corano che della Sunna e non è altro che un’ulteriore manifestazione della volontà
di Allah, che preserva la Comunità dei Musulmani dall’errore guidandola verso la Verità.
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Si deve considerare come l’ijima’ non sia accettata dai musulmani sciiti che restringono il
diritto al consenso ai soli discendenti diretti del Profeta Muhammad seguaci della dottrina
sciita.
In tempi recenti autori musulmani modernisti hanno tentato di dare un nuovo significato al
consenso facendolo coincidere con l’opinione pubblica, o con l’accordo di dottori e
politici in assemblee più o meno elettive: tali forme nuove di consenso sono sempre più
accettate nel campo del diritto dei contratti, del diritto bancario e dell’economia.
Il procedimento analogico (qiyàs): è la quarta fonte del diritto islamico ed anche la più
controversa, Per qiyàs’ si intende deduzione per analogia e quindi comparazione di un
caso o di un atto nuovo con casi o atti che possano giudicarsi analoghi o che trovano
definizione nel Sacro Corano, nella Sunna o nel consenso dei dotti.
Mentre le prime tre fonti del diritto sono espressione diretta o indiretta della volontà divina,
il qiyàs’ è un processo logico e razionale dell’essere umano che, seppur avviene nel
rispetto di determinate regole e procedure può sempre essere soggetto all’errore: ci si è
posti il quesito se sia lecito per l’intelletto umano investigare quali siano le ragioni che
hanno determinato l’intelletto divino.
L’applicazione del qiyàs’ risulta molto controversa: la scuola hanbalita e quella shafiita
sono conservatrici e ne limitano il ricorso al minimo indispensabile, a differenza della
scuola degli hanafiti e di quella dei malikiti.
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La consuetudine: è una forma di fonte del diritto secondaria, ma ricopre un ruolo non
indifferente nel diritto islamico ed ha consentito il progressivo adattamento dei sistemi
giuridici dei paesi islamici con l’evoluzione dei tempi, permettendo anche l’introduzione di
elementi di sistemi giuridici stranieri, sia della common law che della civil law.
I dottori della legge islamica distinguono tra consuetudine generale, ‘urfàmm’, che si
fonda sopra un interesse generale e che viene prevalentemente qualificata come fonte
del diritto,‘urfkhàss’, che non può essere estesa ad altri luoghi e non viene considerata
fonte del diritto.
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In alcune aree dell’Islam il diritto consuetudinario si è mostrato così forte che la legge
della Shariah non è riuscita a penetrare in alcuni ambiti di regolamentazione.
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