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CELEBRAZIONI PER IL CONFERIMENTO
DELLA MEDAGLIA D’ORO AL MERITO CIVILE
AL GONFALONE DELLA PROVINCIA DI LATINA
TRA CEFALONIA E KOS
La tragedia della fanteria italiana
nelle isole greche
La mostra, promossa e realizzata nell’ambito delle Celebrazioni per il conferimento della
Medaglia d’Oro al Merito Civile al Gonfalone della Provincia di Latina, è stata realizzata
dalla PROVINCIA DI LATINA
Ideazione: Domenico TIBALDI
Progetto della mostra: Ada BALESTRA
Ricerche documentarie: Domenico TIBALDI e Ada BALESTRA
Coordinamento scientifico e redazione testi: Ada BALESTRA
Un ringraziamento particolare va a Luigi COCOMELLO per la messa a disposizione
del prezioso materiale fotografico e delle carte dell’archivio di famiglia.
Crediti
(in ordine alfabetico)
Archivio di Stato di Latina
Comune di Spigno Saturnia
Eredi Tenente Guerrino Del Vecchio (Divisione <Regina>)
Tenente Colonnello Ciro Maddaluno, 2° Comando F.O.D.
Enzino Russo
Stato Maggiore dell’Esercito-Ufficio Storico
Raffaele Tucciarone
Grafica: A2adv
Stampa digitale: ARCHICOPIA (Latina)
LA TRAGEDIA DELLA FANTERIA ITALIANA NELLE ISOLE GRECHE
TRA CEFALONIA E KOS
Emissione di un francobollo commemorativo dell’eccidio
della Divisione Acqui, 1 giugno 2002
1
Roma, 9 agosto 2009.
Su “America Oggi”, il quotidiano italiano pubblicato
negli Stati Uniti, viene comunicata la notizia della
morte di Otmar Mulhauser, unico imputato nel processo aperto dinanzi al Tribunale militare di Roma a
seguito dell’avvio dell’ultima inchiesta dovuta all’iniziativa di Marcella De Negri, figlia di Francesco,
ufficiale della Divisione Acqui caduto a Cefalonia,
medaglia di bronzo al valor militare alla memoria.
É solo l’ultimo atto, in ordine di tempo, dell’ormai
notevole ed incalzante susseguirsi di vicende giudiziarie, studi, progetti didattici, liste di discussione, viaggi
della memoria, pièces cinematografiche, inaugurazioni e solenni cerimonie in onore dei soldati italiani caduti sul fronte greco-ionico e nelle isole dell’Egeo. Ancora una traccia segnata
sulla via impervia e dolorosa di una continua e sofferta ricerca della verità. Nell’articolo
non firmato, che qui si riporta integralmente, vengono richiamati in tutta la loro stringente
attualità i nodi più critici del “caso Cefalonia”.
ROMA. La vicenda giudiziaria di Cefalonia, l’isola greca dove furono uccisi migliaia di militari italiani dopo l’8 settembre 1943, si chiude senza colpevoli: Otmar Mulhauser, unico
imputato nel processo in corso davanti al tribunale militare di Roma, è morto nella sua
abitazione in Baviera. Aveva 89 anni.
La morte di Mulhauser risale al primo luglio, ma solo in queste ore è stata comunicata all’avvocato Gilberto Pagani, che assiste la parte civile Marcella De Negri, figlia di una delle vittime.
La De Negri, dopo essersi impegnata (a proprie spese) nei vari procedimenti aperti in
Italia e Germania per cercare di far emergere la verità sul peggior eccidio commesso dalla
Wehrmacht nei confronti di militari italiani, oggi amaramente commenta: “Ancora una
volta ha trionfato la ragion di Stato”.
A 66 anni dai fatti, dunque, la vicenda giudiziaria riguardante la strage della Divisione
Acqui si conclude con l’ennesimo “non luogo a procedere”.
A parte infatti la condanna ‘simbolica’ inflitta dal tribunale di Norimberga al generale
Hubert Lanz (12 anni, ma ne scontò solo tre) tutti i numerosi processi che si sono svolti
in Italia e in Germania si sono conclusi con assoluzioni e proscioglimenti.
L’ultima inchiesta sulla strage è stata aperta dalla procura militare di Roma che, il 2 gennaio 2009, chiese il rinvio a giudizio di Mulhauser con l’accusa, tra l’altro, di aver ordinato la fucilazione del generale Antonio Gandin e di altri ufficiali della Divisione Acqui.
Il 5 maggio, alla prima udienza del processo, la difesa di Mulhauser sostenne che l’imputato era incapace di intendere e di volere.
Il giudice dispose una perizia psichiatrica, rinviando al prossimo 5 novembre. Il numero
complessivo delle vittime di Cefalonia è stato a lungo oggetto di controversie, oscillando
da un minimo di 5.000 uomini ad un massimo di oltre 10.000, in pratica l’intera Divisione Acqui: tuttavia, secondo gli studi più recenti e le conclusioni dello stesso consulente tecnico della procura militare di Roma, Carlo Gentile, nell’isola greca morirono circa
2.300 militari, un quarto in combattimento e gli altri fucilati dopo la resa; altri 1.500
affogarono nei naufragi delle navi con cui venivano deportati.
Mulhauser, all’epoca sottotenente del 98/o Gebirgsjager, i Cacciatori delle Alpi, è tra
l’altro accusato di aver comandato il plotone di esecuzione che entrò in azione nei pressi
della famigerata Casetta Rossa.
Una circostanza che non ha mai negato, neppure quando venne interrogato dagli inquirenti tedeschi che lo incriminarono e poi lo prosciolsero perché l’omicidio di Gandin e dei
suoi ufficiali non era “aggravato”, ma semplice, e il reato doveva considerarsi prescritto.
Interrogato il 24 marzo 2004 in Germania, ribadì così il suo pensiero: “Tra gli ufficiali (tedeschi) si parlava della divisione italiana solo come dei traditori. Con l’ordine del
Fuhrer era già chiaro che coloro che appartenevano alla divisione italiana andavo trattati
completamente da traditori.
Al tradimento vi era solo una risposta: l’esecuzione”. Marcella De Negri, che si oppose
(invano) a quella archiviazione e la cui iniziativa fu determinante nella riapertura delle
indagini in Italia, è amareggiata: “Negli anni scorsi - afferma - con la visita a Cefalonia
dei Presidenti Ciampi e Napolitano, che dichiararono, entrambi, che in quell’isola, con
la scelta di combattere contro i nazisti, ebbe inizio la Resistenza, molti cittadini italiani,
con me, hanno creduto che l’aspirazione alla giustizia potesse essere un desiderio non più
negato. Ma il tempo, sapientemente usato, può cancellare qualsiasi possibilità di giustizia.
La giustizia (?) italiana non ha mai voluto processare nessuno per questo crimine. Ancora
una volta ha trionfato la ragion di Stato”. La ragion di Stato, nell’accezione richiamata
dalla signora De Negri, è riferimento che torna più volte nella feconda pubblicistica relativa a questo doloroso e controverso evento della seconda guerra mondiale. I solenni
discorsi pronunciati dai Presidenti della Repubblica Italiana, Carlo Azeglio Ciampi nel
2005, e Giorgio Napolitano nel 2007, hanno sortito un effetto ben lontano dalla pacificazione degli animi, ancora più lontano dall’accertamento chiaro ed inconfutabile delle
cifre, degli eventi, della reale connessione delle cause e degli effetti verificatisi all’indomani dell’8 settembre 1943 sul fronte greco-ionico e sul fronte delle isole dell’Egeo.
Cefalonia, Corfù, Santa Maura, Zante: sono i nomi delle isole ioniche sulle
cui terre, acque e montagne le truppe italiane combatterono tra le più aspre
battaglie del secondo conflitto mondiale. Inizialmente ai margini del fronte principale dell’offensiva italiana in Grecia, apertosi il 28 ottobre 1940,
all’indomani dell’8 settembre 1943 le piccole isole dell’Eptaneso divengono
il teatro di spaventose carneficine. Centinaia di ufficiali, migliaia di soldati vi
muoiono secondo quelle modalità, tutte indistintamente atroci, per le quali
si perde la vita in guerra: sul campo di battaglia, sotto il fuoco dei plotoni,
nelle retrovie, in ritirata, per rappresaglia, per mancato rispetto delle convenzioni internazionali, per non avere ricevuto ordini, o per averli erroneamente
interpretati. Spesso si muore anche sotto il fuoco amico, nei casi fortunati in
cui al nemico siano dati un volto ed un nome sicuri.
Immagine satellitare della regione Ionica.
Quella di Kos, apparentemente, è un’altra storia soltanto perché l’isola si trova nel
mare Egeo, e appartiene all’arcipelago del Dodecaneso che, come è noto, a seguito della stipula del Trattato di Losanna del 1923, era divenuto definitivamente Possedimento italiano delle Isole dell’Egeo sotto la guida del Governatore Mario Lago. Con la proclamazione dell’Impero nel maggio
1936 ed il progressivo mutamento della politica estera italiana in senso anti - francese e anti - britannico, il Dodecaneso assume importanza come
baluardo italiano affacciato sui Dardanelli e sul Mediterraneo Orientale, allora dominio della Gran Bretagna. Ha inizio quindi la militarizzazione
delle isole che si avvarrà di un presidio di circa 40.000 uomini delle tre forze armate. Al momento dell’armistizio la reggenza del possedimento fa
capo all’ammiraglio Inigo Campioni.
Quanto accadde a seguito dell’armistizio è noto a tutti noi, meno noto, o per meglio dire meno “pacificamente” chiaro, è ciò che invece avvenne
in quelle isole, segnatamente a Cefalonia, e che ha assunto negli anni la connotazione di una memoria che, pur nel lodevole intento di rendere riverente omaggio e dovuta giustizia alle vittime, è stato ed è ancora oggetto, mentre noi quelle vittime celebriamo, di un logorante ed infinito casus
belli che si prospetta di difficile conclusione.
A questo acceso dibattito, dal quale pure il presente lavoro non può prescindere, noi non intendiamo partecipare: le citazioni dai testi dei diversi
autori, le notizie riportate nei pannelli, la presentazione degli schieramenti, la ricostruzione delle più salienti vicende belliche sono il risultato di
un’attenta ricerca condotta su tutte le fonti bibliografiche, storiche e documentarie rese pubbliche negli ultimi sessanta anni. Tuttavia da ciascuno
di questi preziosi e fondamentali lavori, che in alcuni casi contengono ipotesi orientate a sostenere tesi a tratti anche suggestive, da tutti si prendono le dovute distanze. Nulla di più, e nulla di meno si vuole dire di quanto è necessario per assegnare il dovuto omaggio ed il commosso tributo
ad un numero di vittime il cui esatto ammontare rimane un onere di giustizia a carico delle autorità politiche e militari, e un dovere per gli storici.
Pertanto il progetto della mostra, che pure trova fondamento nell’accorta analisi delle fonti disponibili, ha il dichiarato obiettivo di celebrare la
memoria di un soldato disperso nel corso delle tragiche operazioni belliche verificatesi a Cefalonia nei giorni immediatamente successivi alla firma
dell’armistizio dell’8 settembre 1943.
I numeri che vengono forniti, senza peraltro sottendere alcun giudizio di valore, non hanno alcuna presunzione di ufficialità.
Da 1.286 a 2.300, da 3.000 a circa 5.000, da 9.500 finanche ad oltre 10.000: si tratta del numero dei morti, numero che gli autori degli studi sulle
battaglie di Cefalonia hanno ricavato con fatica da certosine ricerche, talvolta da fortuite scoperte, effettuate su documenti, prove, sopralluoghi,
calcoli e testimonianze che, proprio per l’enorme divario delle cifre, ci inducono a deporre ogni ansia di rivelazione.
La pubblicazione che negli ultimi anni ha costituito la fonte-guida, per il dichiarato impianto “scientifico” basato su una esaustiva esegesi delle fonti
bibliografiche e documentarie disponibili, italiane e tedesche, è l’opera curata da Giorgio Rochat e Marcello Venturi, La Divisione Acqui a Cefalonia. Settembre 1943, data alle stampe nel 1993. Essa costituisce un’importante fonte ricognitiva alla quale ogni altro studio successivo ha poi fatto
riferimento, ora per sostenerla con ulteriori argomentazioni, ora per infliggere ad essa una condanna su presupposti parimenti scientifici. L’opera,
successivamente integrata ed anche corretta in articoli di recente pubblicazione, sostiene la tesi che potremmo definire “resistenziale”, quella tesi
fatta propria in sede di celebrazioni ufficiali dal Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi già nel 2001, e successivamente nel
2005, e dal Presidente Giorgio Napolitano in occasione del 25 aprile del 2007, evento celebrato proprio a Cefalonia, e con questo inequivocabile
suggello: “La maturità delle motivazioni ideali e politiche che caratterizzarono la Resistenza in Italia sarebbe venuta più tardi, ma a Cefalonia si
manifestò un impulso nobilissimo e destinato a dare i suoi frutti. Si può ben cogliere un forte legame ideale fra quell’impulso e la successiva maturazione dello spirito della Resistenza”.
Sulla base di tali auspici nel settembre 2008 il presidente della Giunta regionale della Toscana ha inaugurato l’Istituto storico autonomo della Resistenza dei militari italiani all’estero nei locali della palazzina dell’Orologio della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Arezzo. Il nuovo
Istituto ospita l’archivio storico che documenta il sacrificio della Divisione Acqui consumatosi a Cefalonia e Corfù dopo l’8 settembre 1943, ed è
il frutto della collaborazione fra la Facoltà di lettere di Arezzo e l’Associazione Divisione Acqui che ha donato 69 faldoni che raccolgono fotografie,
lettere, documenti, reperti delle migliaia di militari che morirono nelle isole greche. A fronte di questo orientamento storiografico consolidato,
suffragato da numerose testimonianze e ricostruzioni storiche, cui si affiancano tesi anche radicali come quella recentemente sostenuta da Paolo
Paoletti in I traditi di Cefalonia, che fa scaturire la strage dall’alto tradimento del generale Gandin, pone le distanze l’altro importante orientamento, efficacemente rappresentato negli ultimi anni in particolare da Massimo Filippini, per il quale il contesto ed i numeri della effettiva “strage”
vanno rivisti e ridimensionati alla luce di meno epiche ricostruzioni.
E tuttavia ciò che per noi maggiormente rileva, e che proponiamo in questa sede come principio costruttivo, è l’invito alla contestualizzazione
dell’8 settembre, invito che ci sembra ben rappresentato proprio nelle parole di Giorgio Rochat : “La premessa di ogni ricostruzione è che non
sarà mai possibile sapere con precisione quanto avvenne nel settembre 1943 a Cefalonia […] Gli uomini della Acqui non erano eroi, né martiri,
soltanto soldati che, per riprendere una frase tradizionale, fecero il loro dovere in parte con convinzione, tutti con obbedienza. La ferocia di una
guerra senza quartiere, la volontà tedesca di vendetta e gli ordini di Hitler portarono a un massacro terribile e ingiusto”.
Su questo punto, benché soltanto su questo, concordano in parte le parole di Massimo Filippini: “Le cifre, al contrario, ci dicono come sia del tutto inadeguato continuare a presentare la vicenda di Cefalonia alla stregua di un mito se si tiene conto che i militari ‘morti in combattimento’ non
furono Martiri ma soldati che combatterono e morirono al pari dei Caduti su tutti gli altri fronti –prima e dopo l’armistizio- mentre gli unici cui
può attribuirsi la qualifica di Martiri furono coloro, in gran parte ufficiali, che vennero vilmente fucilati nella crudele rappresaglia seguita alla resa.”
Per il resto, lo scontro rimane aperto.
La mostra, più in particolare, si avvale della ricostruzione dei fatti contenuta nella Tesi di Laurea del Tenente Colonnello Ciro Maddaluno, che
ha il pregio di avere consultato tutte le fonti disponibili, sintetizzandole ed esponendole all’insegna di una imparzialità e di una correttezza che ne
fanno a nostro parere un riferimento di indiscutibile valore. Si precisa inoltre che il presente lavoro tratta in via del tutto marginale le vicende dei
capitani Renzo Apollonio e Amos Pampaloni, fra i maggiori protagonisti delle vicende di Cefalonia, e del dopo-Cefalonia, a loro volta oggetto di
numerose polemiche che in questa sede si intendono superate con il dichiarato fine di rendere un unico ed indistinto omaggio a tutte le vittime.
Per la ricostruzione delle vicende avvenute a Kos, e conclusesi con l’uccisione dei 103 ufficiali italiani da parte della Wehrmacht, si è tenuta come
riferimento la pubblicazione di Pietro Giovanni Liuzzi, Kos, una tragedia dimenticata, edita nel 2008.
Erasmantonio Cocomello, che in questa circostanza viene ricordato, è quindi soltanto uno fra i soldati dispersi e i caduti della Divisione Acqui provenienti dal territorio della Provincia di Latina, ieri
Littoria, uomini tutti ai quali va il nostro riverente omaggio e il cui numero, ci auguriamo, non venga
smentito da future integrazioni:
Un momento di svago delle truppe. Questi ragazzi, ci piace ricordarli così.
17° REGGIMENTO FANTERIA ACQUI
- COCOMELLO ERASMANTONIO, Caporale, nato a Spigno Saturnia il 01.06.1916, disperso;
- DE MEO GIACOMO, Soldato, nato a Formia il 30.10.1916, disperso;
- CIANFONI GIOVANNI, Soldato, nato a Roccamassima il 23.06.1916, disperso;
- MALLOZZI GIUSEPPE, Caporal Maggiore, nato a Castelforte il 05.01.1923, disperso;
- MELONI ERCOLE, Soldato, nato a Cisterna di Latina, disperso;
- PALLADINI ADELMO, Soldato, nato a Prossedi il 20.02.1912, caduto;
- RAIMONDI GIUSEPPE, Caporal Maggiore, nato a Sezze il 05.06.1915, disperso;
- TRANO SALVATORE, Caporal Maggiore, nato a Formia il 01.01.1914, disperso.
18° REGGIMENTO FANTERIA ACQUI
- MANCINI GIUSEPPE, Soldato, nato a Terracina il 27.08.1912, disperso in prigionia;
- MANCINI TOMMASO, Soldato, nato a S. Felice Circeo il 04.08.1917, disperso;
- ROSETTA AMATO, Sergente Maggiore, nato a Roccamassima il 15.07.1921, caduto;
- SINAPI RAFFALE, Soldato, nato a Itri il 04.03.1913, caduto;
- VELLUCCI ANTONIO, nato a Gaeta il 05.11.1913, caduto.
317° REGGIMENTO FANTERIA ACQUI
- ARZANO QUIRINO, Soldato, nato a Itri il 07.08.1923, deceduto in prigionia.
33° REGGIMENTO ARTIGLIERIA ACQUI
- PECORARO ALFIO, Caporal Maggiore, nato a Cisterna di Latina il 12.01.1913, caduto;
- CIPOLLA GENESIO, Artigliere, nato a Sonnino il 12.09.1923, disperso.
MARINA MILITARE
- CAPOLINO SALVATORE, 2° Capo, nato a Formia il 22.08.1912, caduto.
7° BATTAGLIONE CARABINIERI
- LA ROCCA MICHELE, nato a Minturno il 14.04.1917, morto in prigionia;
REPARTI ED ENTI VARI
- CHIOMINTO UBALDO, Soldato, nato a Cori il 21.05.1923, disperso.
ERASMO COCOMELLO: LA VITA A SPIGNO SATURNIA, LA FAMIGLIA, IL MATRIMONIO CON FRANCESCA
TRA CEFALONIA E KOS
La tragedia della fanteria italiana nelle Isole Greche
Erasmantonio Cocomello nasce a Spigno Saturnia il 1 giugno 1916, da Luigi e da Gemma Meta, nella
Contrada Campolungo. Continuerà a vivere lì, come scopriremo dagli indirizzi riportati sulle lettere spedite dal fronte, anche dopo il suo matrimonio con Francesca Adriano. E quelle stesse pagine ci renderanno
conto di un profondo amore per il luogo di origine, e di un ancor più radicato sentimento per la famiglia,
una famiglia nella quale la forza e la passione degli affetti, nel sacro rispetto dei legami e dei ricordi, hanno
portato alle luce queste vecchie immagini:
Il nonno Erasmo Cocomello.
Quando riceve la prima chiamata alle armi, Erasmo Cocomello è un commerciante, e sa leggere e scrivere, per avere frequentato le scuole elementari. Soldato di leva, una volta giunto alle armi viene assegnato in qualità di
Scritturale ai reparti della Regia Aeronautica: prima nel centro di affluenza
di Centocelle Sud, poi nel Centro di istruzione di Gallarate, infine nell’aeroporto di Montecelia Centro, ad Orvieto. Dopo il regolare congedo illimitato, nel luglio 1940 viene richiamato alle armi “per misure militari di
carattere eccezionale”. Nel marzo del 1941 viene promosso Aviere scelto
con anzianità di grado, e il 12 dicembre dello stesso anno ricollocato in congedo illimitato. Ma la carriera militare di Erasmantonio Cocomello non è
terminata: richiamato nuovamente alle armi nel gennaio 1942, e dopo un
ricovero in ospedale, nel maggio dello stesso anno ottiene un nuovo congedo illimitato per avere due fratelli alle armi ed il padre invalido.
Ha ventisei anni, quando pensa di poter dare un nuovo corso alla sua vita,
sposando la giovane Francesca, dalla quale avrà presto il piccolo Gigino. Ma
una nuova circolare dello Stato Maggiore del Regio Esercito, la n. 177980/1
del 31 gennaio 1943, lo porterà di nuovo sul fronte, questa volta assegnato
al 17° Reggimento fanteria Acqui. E’ il febbraio 1943. A giugno Erasmantonio parte per Mestre, e da qui si imbarca alla volta di Patrasso, dove giungerà il 7 luglio. E così già il giorno dopo potrà ripartire, per sbarcare nel
porto di Sami, sull’isola di Cefalonia. E’ “giunto in territorio dichiarato in
istato di guerra”. Un’ultima nota, sul foglio matricolare, ci dice che è “Disperso nei fatti d’armi di Cefalonia”.
I Genitori Gemma Meta e Luigi Cocomello
con il figlio “Gigino”.
«Centro strategicamente importante posto sulla
linea Gustav, fu oggetto di violenti rastrellamenti
da parte delle truppe naziste e selvaggi bombardamenti che provocarono numerose vittime civili e la totale distruzione dell’abitato. La popolazione fu costretta ad abbandonare i propri beni
e trovare rifugio in montagna, tra stenti e sofferenze. Con l’arrivo degli alleati il paese dovette
registrare, poi, alcuni atti di efferata violenza su
concittadine da parte delle truppe marocchine.
Ammirevole esempio di spirito di sacrificio ed
amor patrio.»
Foglio matricolare militare di Erasmantonio Cocomello, matr. n. 3608,
Archivio di Stato di Latina, Distretto militare di Latina, reg. 407.
La moglie di Erasmo Cocomello,
Francesca Adriano.
La mamma di Erasmo Cocomello, Gemma,
con il piccolo “Gigino”.
Spigno Saturnia, 23 gennaio 1944,
La chiesa di S. Croce ridotta in macerie dinanzi allo sguardo incredulo del
parroco Antonio Gargano, Archivio
privato di Raffaele Tucciarone.
Spigno Saturnia, luglio 1944, Il paese ridotto in macerie,
Archivio privato di Raffaele Tucciarone.
Spigno Saturnia, luglio 1944, Scorcio del paese dilaniato dalla guerra,
Archivio privato di Raffaele Tucciarone.
Montagne degli Aurunci: gli Alleati celebrano una messa sul campo,
Archivio privato di Raffaele Tucciarone.
Santa Maria Infante, luogo simbolo delle battaglie lungo la Linea Gustav,
Archivio privato di Raffaele Tucciarone.
Le linee di difesa lungo la Linea Gustav,
Archivio privato di Enzino Russo.
2
Mappa dei campi minati sulla Linea Gustav,
Archivio privato di Enzino Russo.
Spigno Saturnia, luglio 1944, Un desolante aspetto di Spigno occupato dalle
macerie, Archivio privato di Raffaele Tucciarone.
ERASMO COCOMELLO DA SPIGNO A CEFALONIA: LE LETTERE DAL FRONTE
Giunto a Cefalonia, il giovane Erasmo si ritrova su un’isola dalle colline aride e sassose, dove il rilievo sale
rapidamente fino a più di mille metri a nord, a 1.600 metri a sud, alternando foreste di cipressi e di abeti a
zone brulle e desolate. Qui la guerra non si combatte: anche un altro militare, l’ancor più giovane aspirante ufficiale Enrico Solito, non può che esternare la sua ansia per i cari rimasti in Italia, dove nel frattempo
i bombardamenti infuriano. Qui, a Cefalonia, gli italiani stanno “benone”, e mangiano più uva di quanto
avrebbero potuto sperare in Italia.
TRA CEFALONIA E KOS
Fotoricordo del Militare
Erasmo Cocomello.
Così Erasmo, fortunatamente, potrà almeno godere della compagnia dei commilitoni, alcuni dei
quali, come scopriremo dalle lettere, provengono
dalle zone intorno a Castelforte.
Ma sopra ogni sentimento, lo scoramento di chi
pensa alla giovane moglie e al piccolissimo figlio,
sperando in ogni momento di tornare a casa, dove
loro patiscono le privazioni e i disagi di un’assenza
che diviene, giorno per giorno, sempre più lunga.
Cefalonia, 19 luglio 1943. Posta militare n. 412. Lettera di Erasmo Cocomello alla “carissima moglie” Francesca, nella quale racconta di avere camminato
per tre notti a piedi, dopo lo sbarco. Il pensiero di lei e del piccolo Giggetto lo
confortano, e lo aiutano a sperare “un felice ritorno tra non tanto tardi.” Tra
le molte difficoltà, gode della vicinanza di giovani provenienti dalle sue zone:
Nardone Emilio di S. Giorgio a Liri, un altro ragazzo di Castelforte, e Trano
Salvatore. Erasmo è alloggiato vicino al mare, può farsi il bagno. Il vitto, a suo
parere, è migliore e più abbondante di quanto non fosse in Italia. Tra le altre
affettuose raccomandazioni, indica alla moglie le modalità attraverso le quali
può spedirgli un pacco con gli effetti personali che gli necessitano, pregandola
di scrivere, anche se si trovi sprovvista di bolli. La posta arriverà ugualmente
a destinazione. La lascia “con la penna ma non mai con il cuore”.
Cefalonia, 5 agosto 1943. Posta militare n. 2. Lettera di Erasmo Cocomello
alla “carissima moglie” Francesca. E’ preoccupato della regolarità degli scambi
epistolari, e il tempo che passa lo rende ansioso circa la salute di Giggetto, ma
ancor più lo fanno stare in ansia i modi bruschi di Francesca: “tu nelle tue
lettere mi mozzichi sempre”. La moglie si consiglia poco con lui, ma Erasmo
la esorta ad essere uniti più di prima, e a prestare attenzione ai forestieri, che
potrebbero essere ospitati in famiglia: “tu per compagnia ciai tuo figlio, se
vuole venire tua mamma va bene se no starai assieme quando verrà il mio
ritorno…” La lettera contiene molte informazioni circa le modalità di invio e
ricezione della posta, dei vaglia, e dei pacchi postali. Su tutto domina, ancora
una volta, il desiderio di comunicare sempre, senza casuali o colpevoli interruzioni.
Cefalonia, 16 agosto 1943. Cartolina Postale per le Forze Armate. 17° Reggimento fanteria – 1° Battaglione – 2° Compagnia. Posta militare n. 2,
indirizzata alla signora Adriano Francesca. Erasmo è appena stato dimesso
dall’Ospedale da campo, e ora sta bene. Vuole sapere se a Ferragosto si è tenuta
la festa della Madonna del Piano, e se la mamma ha comprato una piccola
fisarmonica a Luigino.
Cefalonia, 17 agosto 1943. Posta militare n. 2. E’ passato solo un giorno dalla cartolina postale, ma Erasmo scrive nuovamente alla “carissima moglie”
Francesca, di cui ha appena trovato la lettera del 21 luglio. Lui sta bene, la
febbre è passata. Nella lettera di Francesca c’è una foto del piccolo Giggetto che
guarda con attenzione un aratro: “meno male che il Signore ci ha pensato a
far nascere un altro bovaro.” Chiede che gli vengano spedite bustine di cetrato
per rendere potabile la pesante acqua dell’isola, e le fa da guida circa le incombenze che rimangono da sbrigare a Spigno, dove non vede l’ora di tornare: “sarei pure contento perdere tutto purché fosse finita la guerra.” Di nuovo
la esorta, con eleganza, a tenere conveniente condotta: “…lascia stare tutto
speriamo che presto verrà una decisione così saremo contenti tutti…”. In cuor
suo, sa che Francesca si sta struggendo.
Cefalonia, 22 agosto 1943. Biglietto Postale per le Forze Armate. 17° Reggimento fanteria – 1° Battaglione – 2° Compagnia. Posta militare n. 2,
indirizzato alla signora Adriano Francesca colpevole, secondo il marito, di
essere eccessivamente parsimoniosa con la scrittura. Così la invita a non avere
troppo tristi pensieri: “io mi trovo a un posto per ora fortunato in appresso
non si sa ma adesso sto davvero benone.” Sperando di abbracciarla presto, la
esorta nuovamente a scrivergli, e spesso, evitando di raccontargli sempre tristi
notizie, come quella della morte del giovane Vincenzo Vento.
Cefalonia, 24 agosto 1943. Posta militare n. 2. Lettera di Erasmo Cocomello
alla “carissima moglie” Francesca, angosciato da quanto la giovane gli dice
circa i notevoli ritardi della posta. Erasmo è sconsolato: “penzo al mio Luigino
che sono 7 mesi che non lo vedo […] speramo un presto ritorno se Iddio vuole
così saremo assieme a far palpitare i nostri cuori che si amano e che si vogliono
bene … bacio il piccolo tanto povero mio figlio quanti pianti si fa per trascuratezza...”
Cefalonia, 25 agosto 1943. Biglietto Postale per le Forze Armate. 17° Reggimento fanteria – 1° Battaglione – 2° Compagnia. Posta militare n. 2, indirizzato alla signora Cocomello Sabina, zia di Erasmo. E’ una lettera accorata,
da far vedere soltanto alla madre di Francesca, nella quale il giovane esprime
tutta la sua preoccupazione per la salute cagionevole dell’adorata moglie, che
troppo si trascura. La zia è pregata di accompagnarla dal medico di Minturno, Conte Generale, il quale dovrà poi informare direttamente Erasmo, che si
fa espressamente carico di ogni spesa.
2° Fotoricordo del Militare
Erasmo Cocomello.
Il Caporale Erasmo Cocomello
17° Reggimento Reparto Fanteria
1° Batteria – 2° Compagnia
a Cefalonia con i commilitoni.
Il piccolo Luigi come papà Erasmo
l’ha visto l’ultima volta.
Il piccolo Luigi insieme alla mamma
Francesca Adriano.
Roma, luglio 1957. Il Ministero del
Tesoro con proprio decreto rende definitiva la liquidazione delle somme
spettanti a titolo di pensione di guerra alla signora Adriano Francesca,
vedova di Cocomello Erasmo, deceduto in guerra il 22.09.1943.
3
Il figlio Luigi fiducioso ancora che il papà
possa tornare dalla guerra
«
Spigno Saturnia, 2 luglio 1951. Certificato d’iscrizione di pensione privilegiata di guerra rilasciato dal Ministero del Tesoro alla signora Adriano Francesca, vedova di guerra.
Così, Erasmo Cocomello, da Cefalonia non è più tornato: non era tra i militari
sbarcati a Bari nel novembre 1944, non sarà tra le salme dei caduti ricondotte in
Italia dalla carità di patria. É disperso. A lui, e a tanti altri che hanno conosciuto
la sua sorte, và l’omaggio commosso e riverente della comunità di Spigno Saturnia, e và il giusto tributo della Provincia di Latina, che in questo “leale ragazzo
del Mediterraneo” riconosce il valore e la grandezza del sacrificio in guerra.
«
La tragedia della fanteria italiana nelle Isole Greche
Il Caporale Erasmo Cocomello
17° Reggimento Reparto Fanteria
1° Batteria – 2° Compagnia.
Cefalonia, 16 luglio 1943. Posta militare n. 412. Lettera di Erasmo Cocomello alla “carissima moglie” Francesca nella quale, con molta delicatezza,
comunica che le invierà il “modolo per il pacco”, il contenitore che dovrà trasportare tutto quanto possa aiutarlo a sopportare la sua condizione. Erasmo
pensa ad un amico, che ha bisogno di una lampadina: “Ti comunico che dove
mi trovo io sono in un deserto che non si trova proprio nulla ce solo che monti
e mare ma tutti burroni che fanno paura e perciò per la notte è comoda una
lampatina ossia pile che la lappatina ce lo solo un’altra per questo amico.” Ha
un tenero pensiero per Giggetto lattante. Sperando di poter tornare in Italia
“con la nostra vittoria”, la prega di salutare gli altri della famiglia.
LA DIVISIONE ACQUI: LA STORIA
Insegna storica
Scudo: Inquartato. Il primo d’oro all’aquila spiegata di nero caricata in cuore da
uno scudetto ovale di rosso alla croce d’argento (Savoia); il secondo d’argento seminato di plinti di nero in palo e caricato da un leone di nero lampassato ed armato
di rosso (Chiablese); il terzo di rosso alla croce d’argento; il quarto d’oro all’aquila
spiegata di nero tenente negli artigli una lepre al naturale posta in fascia sopra una
campagna di verde (Acqui). Il tutto abbassato al capo d’oro con il quartier franco
d’argento alla croce di rosso (Cefalonia).
Ornamenti esteriori: sullo scudo corona turrita d’oro, accompagnata sotto da nastri annodati nella corona, scendenti e svolazzanti in sbarra e in banda al lato dello scudo, rappresentativi delle ricompense al Valore. Nastro dai colori dell’Ordine Militare d’Italia accollato alla punta
dello scudo con l’insegna pendente al centro. Sotto lo scudo su lista bifida d’oro, svolazzante con la
concavità rivolta verso l’alto, il motto “Aquensem legionem time”.
TRA CEFALONIA E KOS
La tragedia della fanteria italiana nelle Isole Greche
La Acqui fu una tra le più gloriose Brigate
dell’antico esercito piemontese.
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Nata nel 1703 come Reggimento Des Portes, dal nome del colonnello
Giovanni Ludovico Des Portes che la fondò, era in origine un reparto
di formazione che successivamente, grazie al riordinamento operato da
Carlo Emanuele III, venne rinforzata e solennemente proclamata Reggimento piemontese cattolico.
Il reggimento passò poi attraverso diverse denominazioni fino
ad assumere nel 1774 il nome di Reggimento del Chiablese, di
possidenza del Duca di Chiablese, fratello di Re Vittorio Amedeo III, che introdusse nella bandiera del reggimento lo stemma del Chiablese, destinato a diventare poi quello della Acqui.
Con il passaggio alla Francia nel 1796 il reggimento accrebbe il numero dei suoi effettivi per assumere nello stesso anno la denomina- Stemma del Reggimento del Chiablese
zione di Reggimento di Alessandria.
Esso, unitamente ai reggimenti di “Saluzzo” e di “Monferrato”, andò a formare nel dicembre 1798
la 2° Mezza Brigata di Linea che venne poi sciolta nell’aprile del 1799. L’“Alessandria” si ricostituì nel
luglio 1814 ed il 1° novembre 1815, rimanendo sempre articolata su due battaglioni in pace e quattro
in guerra, prese il nome di Brigata Alessandria. Il 31 maggio 1821 venne sciolta ed il suo personale
andò a formare il 3° Battaglione Provvisorio di Linea.
Con decreto di Carlo Felice del 13 novembre 1821, che decise la formazione di nuove quattro brigate, con il personale della disciolta “Alessandria” venne formata la Brigata Acqui, nella quale vennero
inseriti il 3° Battaglione Provvisorio ed il 3° Battaglione della Legione Leggera: nel 1832 essa ricevette
la bandiera propria – croce bianca su fondo rosso – ed i reggimenti che la componevano presero la
denominazione di 17° e 18° Reggimento di fanteria.
Stemma della “Brigata Acqui”
costituita nel 1821
Dopo essere stata sciolta nel 1871, la Brigata venne ricostituita il 2 gennaio 1881 con il vecchio nome e sempre con gli stessi reggimenti 17° e 18°.
Entrato in vigore nel 1926 il nuovo ordinamento dell’Esercito, la Brigata Acqui venne nuovamente sciolta il 15 ottobre dello stesso anno e i
due reggimenti vennero assegnati, rispettivamente, il 17° alla XIV Brigata e il 18° alla XI Brigata.
Prese parte a tutte le Guerre d’Indipendenza, e prese parte ad importanti
operazioni tattiche e belliche nelle campagne della Prima Guerra mondiale: dapprima schierata sul Carso, venne trasferita nel giugno 1916
sull’Altopiano di Asiago all’inizio dell’offensiva nemica del Trentino; nel
1917 prese parte alle ultime battaglie dell’Isonzo; nel 1918 nel corso
della battaglia di Vittorio Veneto partecipava all’inseguimento dell’avversario raggiungendo il 1 novembre Ala, il 3 Rovereto ed infine Trento.
Diploma rilasciato agli Ufficiali della “Brigata Acqui” che combatterono sul Carso,
sull’altopiano di Asiago ed in Val Lagarina.
Merano, 1938: è costituita la Divisione di fanteria da montagna Acqui
La Divisione di fanteria da montagna Acqui viene costituita nel dicembre 1938 in Merano a seguito di una nuova ristrutturazione dell’Esercito, il cosiddetto “Ordinamento Pariani”, che riduce le divisioni da tre reggimenti
di fanteria a due soltanto. La “Divisione binaria” consente in tal modo la creazione di nuove divisioni con i reggimenti resisi disponibili. La Divisione Acqui risulta così costituita:
• 17° Reggimento di fanteria (per rinumerazione del 50° Reggimento di fanteria della Brigata Parma);
• 18° Reggimento di fanteria (per rinumerazione del 231° Reggimento della Brigata Avellino);
• 33° Reggimento Artiglieria.
Nell’agosto del 1939 la divisione assume definitivamente la dicitura di 33° Divisione “Acqui”. Così già nel giugno del 1940, agli ordini del Generale di Divisione Francesco Sartoris, risulta formata dai seguenti reparti, che
costituiranno l’ossatura della Divisione Acqui fino al 1943:
• Comando Divisione;
• 17° Reggimento fanteria, su tre battaglioni, una compagnia mortai da 81mm, una batteria da accompagnamento da 65/17;
• 18° Reggimento fanteria, con la stessa composizione;
• 317° Reggimento fanteria (dal 1941);
• 33° Reggimento artiglieria, con un gruppo da 100/17, due gruppi da 75/13 e una batteria antiaerea da 20mm;
• 33° Battaglione mortai da 81mm;
• 33° Compagnia anticarro da 47/32;
• due Compagnie del genio (31° artieri e 33° telefonisti e radiotelegrafisti) più la 33° sezione fotoelettricicisti;
• Servizi: sezione sanità, sezione sussistenza, reparto salmerie, autoreparto e due sezioni carabinieri;
• 18° Legione CC.NN. (dal 1940).
Nell’ottobre del 1941 lo Stato Maggiore dell’Esercito decide di assegnare un terzo reggimento di fanteria a otto divisioni, tra cui la Acqui, tutte impegnate nel presidio della penisola balcanica.
Il 1° novembre viene così costituito in Merano, presso il deposito del 18° Reggimento fanteria, il 317° Reggimento di fanteria. Purtroppo le reclute, come si vedrà, riceveranno un addestramento semplice, ed insufficiente. La
Grande Unità si scioglierà definitivamente il 24 settembre 1943, per i noti eventi bellici.
La Divisione Acqui, oggi
La memoria
La riconoscenza della Patria
Per il comportamento delle unità verranno conferite le Medaglie d’Oro al Valor Militare alle Bandiere del 17° Reggimento
fanteria, del 317° Reggimento fanteria e allo Stendardo del 33° Reggimento artiglieria. Tra le ricompense individuali verranno
conferite quattordici Medaglie d’Oro, ventinove Medaglie d’Argento e 23 Medaglie di Bronzo al Valor Militare. Queste le motivazioni delle Medaglie d’Oro concesse alle Bandiere e allo Stendardo dei reggimenti.
L’unità viene ricostituita il 1° ottobre 1975 con
reparti preesistenti ed il concorso della Divisione “Granatieri di Sardegna”, anch’essa in via di
riordinamento.
Inquadra i battaglioni di fanteria 17° “San Martino”, 57° “Abruzzi”, 130° “Perugia”, il 9° corazzato “M.O. Butera”, il 48° gruppo artiglieria da campagna “Taro”, il battaglione logistico
“Acqui”, il Reparto comando ed unità minori.
La Brigata fornisce la struttura portante per la
Forza di Pronto Intervento per le pubbliche calamità (Fo.Pi.) e, dal 1° aprile 1991, svolge le
funzioni di 10° Comando Operativo Territoriale per l’Abruzzo.
Il 1° ottobre 1991 una breve cerimonia, voluta dal comandante Generale Alfonso Pessolano,
segna il passaggio della Brigata da Motorizzata a
Meccanizzata: l’unità, nella nuova veste, perde
il 57° “Abruzzi” ed il 9° “M.O. Butera”, mentre
inquadra il 123° “Chieti”.
Assunto l’ordinamento reggimentale, inquadra i
reggimenti 17° “Acqui” e 130° “Perugia” di fanteria ed il 48° d’artiglieria semovente “Taro”.
Sciolta nel 1991, il suo nome viene ereditato, nel
2002, dalla 3° Divisione Italiana, affiliata al Corpo di Reazione Rapida della NATO (ARRC),
che assume l’attuale denominazione di Divisione “Acqui”. Al Comando Divisione “Acqui”, costituito nell’ambito del 2° FOD, sono affiliati la
Brigata bersaglieri “Garibaldi”, la Brigata corazzata “Pinerolo”, la Brigata aeromobile indipendente portoghese, il 52° Reggimento artiglieria
semovente ed un “cluster” tratto dal 17° Reggimento di artiglieria contraerea “Sforzesca”.
- Alle Bandiere del 17° e 317° Reggimenti di fanteria Acqui:
“ Nella gloriosa e tragica vicenda di Cefalonia con il valore ed il sangue dei suoi fanti, per il prestigio dell’Esercito Italiano e per tener
fede alle leggi dell’onore militare, disprezzò la resa offerta dal nemico, preferendo affrontare in condizioni disperate una impari lotta
immolandosi in olocausto alla Patria lontana”. Cefalonia, 8 – 25 settembre 1943.
Bari, 1954. I resti dei soldati vengono rimpatriati per essere sepolti
nel Sacrario Militare della città.
- Allo Stendardo del 33° Reggimento artiglieria Acqui:
“Nella gloriosa e tragica vicenda di Cefalonia, con il valore ed il sangue dei suoi artiglieri, primi assertori della lotta contro i tedeschi, per il prestigio dell’Esercito Italiano e per tener fede alle leggi
dell’onore militare, disprezzò la resa offerta dal nemico, preferendo affrontare in condizioni disperate una impari lotta immolandosi in olocausto alla Patria lontana”. Cefalonia, 8 – 25 settembre 1943.
La storia di Cefalonia si conclude con un riconoscimento tributato in data 18 novembre 1991 dal Ministero della Difesa ai combattenti, ai Caduti, e ai superstiti, che presero parte
alla battaglia nelle Isole Ionie nel settembre 1943, contro i tedeschi. Il provvedimento ha un precedente nel Decreto dell’11 agosto 1949 del Ministro della Difesa, che aveva tributato
ai componenti del Comando Marina di Argostoli un Encomio solenne con la seguente motivazione:
“ Nella gloriosa e tragica vicenda di Cefalonia, quale componente della difesa militare dell’isola, agli ordini del Capitano di Fregata Mastrangelo – Medaglia d’Oro al Valor Militare – sprezzava la resa offerta dal nemico e affrontava l’avversario in aspri combattimenti. Dopo tredici giorni di impari lotta, all’estremo delle risorse, cedeva alle soverchianti forze nemiche, che effettuavano inesorabilmente rappresaglie sui difensori” – Cefalonia, 9 – 24 settembre 1943.
La determinazione del Ministro in merito alla concessione dell’Encomio Solenne era del 31 gennaio del 1947; il Decreto relativo venne emanato l’11 agosto 1949 e l’estensione ai
Caduti e superstiti dell’Esercito è stata effettuata il 18 novembre 1991. Ecco la motivazione del decreto ministeriale:
“Nella gloriosa e tragica vicenda di Cefalonia, quale componente della difesa militare terrestre dell’isola, affidata alla Divisione di fanteria da montagna “Acqui” e relativi supporti, in un
impeto di sublime dedizione alla Patria, ispirata alla legge del dovere e dell’onore ed a insopprimibile fremito di libertà, sprezzava la resa offerta dal nemico e affrontava l’avversario in aspri
e sanguinosi combattimenti, rinnovando le gesta degli eroi del Risorgimento. Dopo tredici giorni di impari lotta, all’estremo delle risorse, veniva sopraffatto da soverchianti forze aeroterrestri
nemiche che effettuavano inesorabili rappresaglie”. Cefalonia, 8 – 24 settembre 1943.
- Associazione Nazionale Divisione Acqui
L’Associazione Nazionale Divisione Acqui, fondata nel 1945, rappresenta ed organizza tutti i superstiti degli eventi consumatisi a Cefalonia e Corfù nel settembre 1943, ed ha lo
scopo di onorare e ricordare le vittime di quei terribili accadimenti. Sono soci dell’Associazione Nazionale Divisione Acqui i superstiti, i congiunti dei caduti, dei reduci morti in patria e dei superstiti, e coloro che abbiano interesse alla vita ed alle finalità della stessa. La sede nazionale dell’ Associazione è a Verona. Base organizzativa dell’Associazione Nazionale
Divisione Acqui sono le Sezioni Provinciali, presenti in tutta Italia. I Presidenti e i Vice Presidenti delle Sezioni Provinciali costituiscono il Consiglio Direttivo Nazionale, che elegge nel
suo seno il Presidente e la Giunta Esecutiva. Il Presidente in carica è la professoressa Graziella Bettini. L’attività ordinaria dell’ Associazione consiste nella convocazione semestrale del CDN
e nelle riunioni, più frequenti, della Giunta Esecutiva. Il 21 settembre di ogni anno si svolge a Verona la cerimonia commemorativa del massacro, con la partecipazione di numerosi associati e di autorità locali e nazionali. Le attività straordinarie si sviluppano in una quantità di iniziative, nelle più varie direzioni (celebrazioni, convegni di studio, articoli di giornali e riviste,
interventi mirati in sedi scolastiche, attività pubblicistica), che hanno sempre un unico scopo: tentare di impedire che l’oblio scenda su quegli eventi e trasmettere alle nuove generazioni
la memoria dei fatti tragici e gloriosi di Cefalonia e Corfù.
- Il premio “Acqui storia”
L’idea di un premio letterario che qualificasse la città di Acqui, già nota per le sue acque e fanghi termali, anche da un punto di vista squisitamente culturale nacque e prese forma
dai colloqui fra Marcello Venturi, scrittore e giornalista, Ercole Tasca, Presidente dell’Ente Provinciale per il Turismo di Alessandria, Cino Chiodo e Piero Galliano, rispettivamente
consigliere e Presidente dell’Azienda Autonoma della Stazione di Cura di Acqui Terme. Fu proprio la moglie di Venturi, Camilla Salvago Raggi, a suggerire il tema per caratterizzare
inequivocabilmente il futuro premio: dedicarlo alla memoria della Divisione Acqui trucidata dai tedeschi nel settembre 1943 a Cefalonia (ed a Corfù) di cui l’8 settembre di tutti gli
anni si celebrava il ricordo. Si trattava quindi di creare un premio storico. Nacque così, nell’autunno del 1967, l’idea del Premio “Acqui Storia”. Il premio esordì il 23 giugno 1968:
vinse Storia di un armistizio di Ivan Palermo. Soltanto nell’anno 2001, 34° edizione, il premio andò ad una ricerca sull’eccidio di Cefalonia e Corfù, Italiani dovete morire. Cefalonia,
settembre 1943: il massacro della divisione Acqui da parte dei tedeschi. Un’epopea di eroi dimenticati, di Alfio Caruso.
- L’Istituto storico autonomo della Resistenza dei militari italiani all’estero
Da ultimo, come già ricordato, nel settembre 2008 il presidente della Giunta regionale della Toscana ha inaugurato l’Istituto storico autonomo della Resistenza dei militari italiani
all’estero nella sede della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Arezzo. Il nuovo Istituto ospita l’archivio storico che documenta il sacrificio della divisione Acqui consumatosi a Cefalonia e Corfù dopo l’8 settembre 1943, ed è il frutto della collaborazione fra la Facoltà di lettere di Arezzo e l’Associazione Divisione Acqui che ha donato 69 faldoni che
raccolgono fotografie, lettere, documenti, reperti delle migliaia di militari che morirono nelle isole greche.
LA DIVISIONE ACQUI NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE: IL FRONTE GRECO-ALBANESE
Con gli inizi del secondo conflitto mondiale la Divisione Acqui viene dislocata sul confine occidentale a
difesa della valle Stura. Subito dopo l’armistizio con la Francia, del 22 giugno 1940, si porta nel Veneto per
poi iniziare, il 6 dicembre dello stesso anno, il trasferimento in Albania.
Terminate le operazioni di guerra, le unità vengono dislocate in territorio occupato per la difesa costiera
delle isole greche del Mare Ionio: Corfù, Cefalonia, Santa Maura e Zante.
Nel 1942 la Divisione continua nell’attività di difesa delle isole Ioniche; nell’estate il Comando della grande
unità si trasferisce prima a Santa Maura e poi a Cefalonia. Con il 1943 la Acqui viene posta a difesa costiera
fino all’8 settembre.
L’apertura del fronte e le zone di influenza: ottobre 1940
TRA CEFALONIA E KOS
La tragedia della fanteria italiana nelle Isole Greche
Cartina del fronte greco-albanese
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L’aggressione alla Grecia ha inizio il 28 ottobre 1940, dopo che Hitler ha occupato la Romania, aprendo così un nuovo fronte nei Balcani. Le truppe italiane, da subito in difficoltà, vengono costrette a
subire l’umiliazione di dover arretrare per oltre cinquanta chilometri
in territorio albanese, dovendo così accogliere come una liberazione
l’intervento dei tedeschi che all’inizio del 1941, in poche settimane,
occupano la Grecia e la Jugoslavia. Il 23 aprile 1941 l’armata greca
dell’Epiro si arrende agli italiani e le truppe tedesche raggiungono
Atene e Patrasso. A maggio viene occupata Creta.
Dopo un periodo di riorganizzazione in febbraio e marzo la Divisione Acqui, agli ordini del Generale Luigi Mazzini, il 14 aprile
1941 partecipa all’offensiva finale, coordinata con l’attacco tedesco
alla Grecia. Poi giunge l’armistizio. La Grecia, dal canto suo, si avvia
verso un periodo assai difficile di lotte intestine e di violenze che finiranno per coinvolgere anche gli italiani passati alla montagna dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. In
quattro mesi di combattimenti, tra il 20 dicembre 1940 e il 23 aprile 1941, la Divisione Acqui conta 481
morti, di cui 35 ufficiali, 1.163 dispersi, 1361 feriti e 672 congelati per un totale di 3.677 perdite, a cui si
aggiungono 1.500 militari ammalati e ricoverati in ospedale. Le perdite riguardano essenzialmente le unità di fanteria della divisione impiegate nelle operazioni di guerra, il 17° Reggimento, con il cinquanta per
cento di perdite, ed il 18° Reggimento, con perdite che riguardano addirittura i due terzi degli effettivi; in
particolare si evidenzia una elevata percentuale di perdite tra gli ufficiali, sostituiti quasi tutti da ufficiali di
prima nomina ed insufficientemente addestrati. Ultimate le operazioni militari, il territorio conquistato viene suddiviso e posto sotto il controllo di tre distinte amministrazioni. Alla Bulgaria viene assegnata la Tracia;
alla Germania le più importanti posizioni strategiche, e cioè i territori di confine in Tracia e in Macedonia, le
città e le isole di maggiore importanza militare, come Lemno, Lesbo, Chio, Creta, Le Sporadi settentrionali;
all’Italia viene lasciato il resto del paese, comprese le isole dello Ionio che per le autorità italiane costituiscono
il primo obiettivo dei progressi fascisti di dominio sulla Grecia per la loro posizione geografica e per il loro
passato veneziano. Le isole ioniche vengono sottoposte ad un Governatorato civile con una moneta propria,
la dracma ionica, separata dalla dracma greca, a premessa per una futura annessione all’Italia dopo la vittoria
dell’ Asse italo-tedesco. Il Governatore generale politico delle Isole ioniche dall’inizio dell’occupazione fascista e fino all’armistizio tra Italia e Alleati è il dirigente del partito fascista Pietro Parini, che si insedia a Corfù,
con alle sue immediate dipendenze gli Uffici degli Affari Politici e Civili che vengono creati separatamente
in ciascuna isola dell’Eptaneso.
Da un punto di vista militare, l’occupazione delle isole non ha inizialmente rilevanza strategica, a parte la
maggiore sicurezza che avrebbero avuto i convogli italiani nel navigare lungo le isole per evitare i sommergibili inglesi, per cui si installano batterie costiere e presidi in tutte le isole. La situazione cambia alla fine del
1942, quando il Mediterraneo diviene la principale area dell’offensiva anglo-americana, e le isole ioniche
vanno a costituire una barriera difensiva contro una possibile invasione della Grecia, in particolare attraverso
il golfo di Patrasso, il cui ingresso è protetto appunto da Cefalonia e Itaca. Questa nuova situazione determina il nuovo interesse che gli italiani assegnano, in particolare, a Cefalonia.
Il periodo di occupazione: 1941 – 1943
Soldati al lavoro lungo la costa di Cefalonia.
Il 1941 è un anno durissimo per la Grecia. Dovunque fame feroce,
estrema miseria, malaria, tubercolosi, corruzione politica e morale.
In tale contesto, il 29 aprile 1941, la Divisione Acqui sbarca a Corfù. L’occupazione è condotta alla buona, le isole
non hanno aeroporti e neppure piste per atterraggi e decolli, gli italiani non ne costruiscono preferendo affidarsi
agli idrovolanti lungo la rotta Cefalonia-Corfù-Brindisi.
A Cefalonia e Corfù, i due capisaldi più importanti, non
vengono edificati bunker e ridotte sulla costa né migliorate
le strade, sebbene siano poco più che mulattiere.
D’altronde la Acqui è fornita soprattutto di muli, di asini, di qualche cavallo e di pochissimi automezzi.
Le uniche opere in muratura riguardano gli alloggi per le truppe. In questa prima fase, solo parte della
Divisione Acqui occupa le isole: a Corfù viene collocato il Comando di divisione ed il 17° Reggimento
di fanteria, mentre un battaglione del 18° Reggimento di fanteria è inviato d’urgenza a Santa Maura.
Successivamente, il 5 maggio, la Divisione Acqui assume la responsabilità di tutte le isole ioniche, e
poiché il 18° Reggimento bersaglieri è ancora necessario per il presidio della costa greca, l’occupazione di Cefalonia, Itaca e Zante viene affidata ad un raggruppamento CC.NN. “da sbarco” su quattro
battaglioni, posto alle dipendenze della Acqui, che rileva il 2° battaglione del 18° Reggimento fanteria
a Santa Maura. In agosto il raggruppamento CC.NN. da sbarco rimpatria. Il 17° Reggimento di fanteria lascia quindi Corfù e posiziona il suo 2° battaglione a Santa Maura, il 1° battaglione a Zacinto, il
3° con il comando di reggimento e reparti minori a Cefalonia.
Dislocamento delle truppe nel 1942
All’inizio del 1942 l’occupazione delle isole ioniche appare consolidata, la Divisione Acqui ha recuperato tutti i
suoi reparti e Cefalonia viene rafforzata con artiglierie di corpo d’armata. Questo il dislocamento delle truppe:
Corfù :
• Comando di divisione;
• 18° Reggimento;
• 19° battaglione CC.NN. e 367° compagnia mitraglieri CC.NN.;
• 33° battaglione mortai;
• 33° compagnia cannoni da 47/32;
• Comando, 1° gruppo e batteria da 20 mm del 33° reggimento artiglieria;
• 31° compagnia artieri;
• 33° compagnia mista radiotelegrafisti;
• 33° sezione fotoelettricisti;
• una compagnia del 4° battaglione mitragliatrici di corpo d’armata;
• due sezioni antiaeree da 20 mm di formazione.
Santa Maura:
• II battaglione del 17° reggimento fanteria (meno una compagnia).
Zante:
• I battaglione del 17° reggimento fanteria (con due squadre alle Strofadi);
• una compagnia del 4° battaglione mitragliatrici di corpo d’armata;
• una batteria del II gruppo del 33° Reggimento artiglieria;
• una sezione antiaerea da 20 mm di formazione.
Cefalonia:
• Comando, III battaglione, batteria da 65/17 e compagnia mortai
del 17° Reggimento fanteria (più una compagnia del II battaglione);
• II gruppo del 33° Reggimento artiglieria;
• IV battaglione mitragliatrici di corpo d’armata;
• 3° gruppo contraereo autocampale da 75/25 C.K;
• 7° gruppo da 105/28 di corpo d’armata;
• due sezioni antiaeree da 20 mm di formazione.
Il morale si mantiene buono fino alla metà del 1942, poi le notizie provenienti dagli altri fronti cancellano il sogno di una pace imminente e il sogno
della vittoria. Dopo un affrettato addestramento e un parziale completamento, nel maggio del 1942 il 317° Reggimento fanteria giunge nelle isole con
114 ufficiali, 31 sottufficiali, 1.881 uomini, 142 quadrupedi e 22 automezzi. Il suo 2° battaglione è destinato a Santa Maura, il grosso del reggimento a
Zacinto. Si rendono così disponibili i due battaglioni del 17 ° Reggimento fanteria che presidiano le due isole, i quali possono raggiungere a Cefalonia
il comando e gli altri reparti del reggimento. Il 1° giugno viene costituito in Argostoli il Comando della fanteria divisionale, che assume la responsabilità
della difesa di Cefalonia, Itaca e Zacinto. Nel settembre 1942 giungono presso la Divisione Acqui circa 1.665 uomini della classe 1922 con lo scopo di
portare la fanteria divisionale all’80% degli organici di guerra e al cento per cento gli altri reparti; lo scopo non viene raggiunto tanto che le compagnie
fucilieri devono ridursi su due plotoni, con analoghe contrazioni di altri reparti.
L’ultimo quadro completo della forza della Divisione Acqui risale al 15 novembre 1942: 708 ufficiali, tra presenti e in licenza, 15.759 sottufficiali e
truppa, tra presenti e in licenza. Il grosso degli uomini presidia ancora l’isola di Corfù, circa 6.080 ufficiali, sottufficiali e truppa, 3.860 sono a Cefalonia,
3.300 a Zacinto, 680 a Santa Maura; non si conoscono dati sulla distribuzione di circa 1.460 tra carabinieri reali e guardie di finanza; vanno inoltre
aggiunte le forze della Marina e dell’Aeronautica.
Nel novembre del 1942 l’aumentata pressione degli Alleati nel Mediterraneo muta radicalmente il valore strategico delle isole ioniche, e Cefalonia ne diventa il fulcro strategico: da lì si controllano il golfo di Patrasso e l’istmo di Corinto giudicati la porta della
Grecia. Esse, fino all’autunno del 1942, erano state viste come un estensione del dominio italiano sull’Albania, dal cui comando
superiore dipendevano. A partire dal 1° dicembre 1942 le isole, e quindi la Divisione Acqui, passano sotto la responsabilità del 26°
Corpo d’armata che occupa la Grecia Occidentale. Contemporaneamente il Comando della Acqui viene trasferito da Corfù a Santa
Maura e successivamente pochi mesi dopo a Cefalonia. Nel dicembre del 1942, per consentire una maggiore unità operativa, Hitler
concorda con il Comando Supremo Italiano che tutte le truppe nei Balcani passino agli ordini dei tedeschi in quanto a impiego;
messo in discussione dal Capo di Stato Maggiore Generale Vittorio Ambrosio, l’accordo viene poi limitato all’11° Armata, dislocata
in Grecia, che successivamente viene trasformata in Armata mista italo–tedesca subito dopo la caduta del fascismo.
Il 20 giugno del 1943 il comando della Divisione Acqui viene conferito al Generale Antonio Gandin, decorato della croce di ferro
tedesca di prima classe, che dal dicembre 1940 aveva diretto l’Ufficio Operazioni congiunto del Comando Supremo.
In questa veste il nuovo comandante della Acqui aveva conosciuto Hitler e i vertici della Wehrmacht; per questo la sua nomina viene considerata come
un allontanamento dall’Italia in vista di un probabile rovesciamento del regime.
Fino al luglio del 1943 l’unica attività degna di rilievo delle unità di stanza a Cefalonia riguarda il rafforzamento della difesa di Cefalonia: nessuna incursione da parte dei commandos inglesi o da parte dei partigiani greci, nessun bombardamento dal cielo o dal mare. I morti fino al settembre 1943 sono
meno di venti: due uccisi in un conflitto a fuoco con i contrabbandieri, quattro suicidi, il resto in incidenti causati dalle pessime condizioni delle strade.
Soldati posano per una foto
davanti a una mitragliatrice.
Riproduzione cartografica dell’isola di Cefalonia.
Soldati posano per una foto lungo
la marina del porto di Argostoli.
La ristrutturazione delle forze armate italiane e tedesche nelle isole ioniche
A seguito degli avvenimenti in Italia del 25 luglio 1943, il Comando Supremo della Wehrmacht dispone, nell’area greca e ionica, una ristrutturazione delle forze armate tedesche e italiane ivi dislocate. I tedeschi, inferiori di numero, ma meglio
armati e organizzati, e soprattutto dotati di una consistente arma aerea (350 velivoli) propongono ed ottengono tra il luglio e l’agosto la trasformazione dell’11° Armata italiana in una unità mista italo-tedesca. Questa rimane formalmente ancora
sotto comando italiano ma viene affiancata da uno Stato Maggiore tedesco ed è operativa sotto la giurisdizione del Gruppo d’Armate E del Generale Lohr. La riorganizzazione, che ha l’intenzione di assicurare una maggiore efficienza operativa
congiunta, mette di fatto le truppe italiane sotto il pieno controllo tedesco.
Inoltre con ordine del 18 agosto 1943 il Comando Supremo Tedesco, per il timore di uno sbarco anglo-americano con forze partenti dalla base di Brindisi, dispone che nei settori vitali della Balcania siano presenti proprie unità o che vi possano accorrere in brevissimo tempo. A tale scopo costituisce il 22° Corpo d’Armata da Montagna sotto il comando del Generale Lanz, con sede a Ianina in Epiro, e direttamente dipendente dal Gruppo di Armate E con alle dipendenze: la 1°
Divisione da montagna Edelweiss, la 104° Divisione Cacciatori da montagna, il 966° Reggimento granatieri di fortezza sotto il comando del Tenente Colonnello Barge a Cefalonia.
Il Comando Supremo Tedesco, che attribuisce molta importanza al possesso dell’isola data la sua posizione strategica, fa sì che il presidio tedesco di Cefalonia (inviato fra il 5 e il 10 agosto 1943) passi alle dipendenze del 22° Corpo d’Armata.
Dopo la ristrutturazione e la trasformazione in Armata mista italo-tedesca l’11° Armata comandata dal Generale Carlo Vecchiarelli, con sede del Comando in Atene, risulta così costituita:
A. 26° Corpo d’Armata italiano (Generale Guido della Bona) in Epiro, sede di Comando in Ianina, con alle dipendenze:
• Divisione fanteria Modena;
• 18° Reggimento fanteria Acqui, con il 3° gruppo e la 333° batteria contraerea da 20mm del 33° Reggimento artiglieria Acqui, dislocati nell’isola di Corfù;
• 1° Divisione da montagna tedesca;
• 2° Gruppo alpini Valle;
• Truppe e servizi di Corpo d’Armata.
B. 8° Corpo d’Armata italiano (Generale Mario Marghinotti) nell’Acarnaia, Etolia e nelle isole di S. Maura e Cefalonia, sede di Comando in Agrinion, con alle dipendenze:
• Divisione di fanteria “Casale” (Gen. Mario Baggiani), con sede del Comando in Attlikon ( Missolungi);
• Divisione fanteria da montagna Acqui (Gen. Antonio Gandin), meno le forze dislocate nell’isola di Corfù e due batterie del 33° reggimento artiglieria nell’isola di Santa Maura, con sede del Comando in Argostoli;
• 104° Divisione cacciatori tedesca con sede del Comando in Agrinion;
• Truppe e servizi di Corpo d’Armata.
C. 68° Corpo d’Armata tedesco (Generale Helmuth Felmy) nel Peloponneso, con sede del Comando in Vityna, con alle dipendenze:
• Divisione fanteria Piemonte;
• Divisione di fanteria Cagliari;
• 117° Divisione cacciatori tedesca;
• 1° Divisione corazzata tedesca;
• Settore autonomo Corinto;
• Settore autonomo Argolide;
• Truppe e servizi di Corpo d’Armata.
D. 3° Corpo d’Armata italiano (Generale Luigi Manzi), in Tessaglia, Attica e nell’isola di Eubea, con sede del Comando in Tebe, con alle dipendenze:
• Divisione di fanteria Forlì;
• Divisione di fanteria Pinerolo;
• Truppe Eubea;
• Truppe e servizi di Corpo d’Armata.
Sbarco di elementi della 1° Divisione da montagna “Edelweiss”.
L’INIZIO DELLA TRAGEDIA
Proclami del 25 luglio 1943 alla Nazione
TRA CEFALONIA E KOS
La tragedia della fanteria italiana nelle Isole Greche
Appena insediato, Badoglio si affretta ad annunciare in un proclama al paese la sua decisione di
continuare la guerra a fianco della Germania.
La frase “la guerra continua” sembra tuttavia
un espediente per prendere tempo e organizzare un armistizio con i governi angloamericani.
Nel frattempo a Rastenburg, il 26 luglio, l’Alto Comando Tedesco dà inizio all’operazione
Alarico. Il Re e Badoglio, preoccupati soltanto
di mantenere il segreto per non dare ai tedeschi
l’occasione di un colpo di stato, non impartiscono alcuna direttiva al Comando Supremo e allo Stato Maggiore dell’Esercito per orientare i comandi sull’eventualità di un armistizio con gli angloamericani. Sono del
6 settembre il Promemoria n° 1 e il Promemoria n° 2 dello Stato Maggiore dell’Esercito, diretti ai Capi
di Stato Maggiore delle tre Forze Armate: si lasciano liberi i comandanti di assumere l’atteggiamento più
conforme alla situazione, precisando di dichiarare ai tedeschi che le truppe italiane non prenderanno le armi
contro di loro né faranno causa comune con i ribelli se non saranno soggette ad atti di violenza armata.
8 SETTEMBRE 1943
L’11° ARMATA E L’ANNUNCIO DELL’ARMISTIZIO
L’ armistizio viene annunciato per radio dal Generale Eisenhower verso le ore 18:00 dell’8 settembre. Alle ore 19:45 il Maresciallo Badoglio
annuncia all’Italia l’avvenuta conclusione delle
trattative con il Generale americano.
Alle ore 7:50 del 9 settembre l’Alto Comando
della Wehrmacht avvio all’operazione Achse, il
piano relativo all’occupazione dell’Italia da parte dell’esercito tedesco in caso di uscita dell’Italia stessa dalla guerra. L’esecuzione del piano è
affidata al Generale Rommel.
L’11° Armata è l’unica grande unità italiana nei Balcani che riceve, sia pure con un solo giorno di anticipo, la generica notizia sulla possibilità di un armistizio tra le forze armate italiane e quelle angloamericane.
L’annuncio dell’armistizio, per quanto giunto in anticipo sui tempi ipotizzati, non sorprende totalmente il
Generale Vecchiarelli, comandante dell’11° Armata, che ha già impartito tassative disposizioni per impedire
che le forze italiane si oppongano a quelle tedesche e per garantire a queste ultime la consegna delle artiglierie e delle difese costiere, in vista di uno sperato, ma improbabile ritorno a casa. Così la sera stessa dell’8
settembre, alle ore 20:00, dirama l’Ordine n. 02/25006:
“Seguito conclusione armistizio truppe italiane 11° armata seguiranno questa linea di condotta. Se i tedeschi non faranno atti di violenza, truppe italiane non rivolgeranno armi contro di loro. Truppe italiane non
faranno causa comune con ribelli né con truppe angloamericane che sbarcassero. Reagiranno con la forza
ad ogni violenza armata. Ognuno rimanga al suo posto con compiti attuali. Sia mantenuta con ogni mezzo
disciplina esemplare. Comando tedesco informato quanto precede. Siano immediatamente impartiti ordini di cui sopra a reparti dipendenti. Assicurare. Firmato Generale Vecchiarelli”.
Alle ore 0:45 del 9 settembre il Generale Lanz nel quartier generale dell’Armata si incontra con il Generale Vecchiarelli intimandogli, secondo i nuovi ordini ricevuti dal Generale Lohr, il completo disarmo delle
truppe italiane. Lo invita così ad impartire gli ordini relativi. A nulla valgono le proteste e le tesi contrarie
del Generale Vecchiarelli, che considera il disarmo in contrasto con l’onore militare. Il comandante dell’11° Armata, pur non avendo più alcuna possibilità di autonome decisioni, sconfessando le istruzioni avute e le stesse sue disposizioni emanate la sera dell’8 settembre, alle ore 9:50 del 9 settembre
trasmette l’ordine di resa, per evitare inutile spargimento di sangue. E’ il Messaggio n. 02/25026.
All’ordine del Generale Vecchiarelli di cedere le artiglierie e le armi collettive segue nel breve spazio di poche ore la capitolazione del Comando dell’8°
Corpo d’Armata e del 26° Corpo d’Armata.
La grande maggioranza dei comandanti nel continente esegue la direttiva Vecchiarelli, mentre i comandanti delle isole rifiutano, per lo più, di obbedire all’ordine, considerando che le possibilità di resistenza delle truppe italiane di fronte ai tedeschi, almeno sulle isole, al momento dell’armistizio
sono ancora notevoli.
ISOLA DI CEFALONIA:
QUADRO POLITICO-MILITARE ALLA VIGILIA DELL’ARMISTIZIO
Al momento dell’annuncio dell’armistizio, presidia l’isola di Cefalonia la Divisione di fanteria da montagna Acqui, eccettuati gli elementi dipendenti dal Comando del 26° Corpo d’Armata. La Divisione, rinforzata da unità varie, è agli ordini del Generale di Divisione Antonio Gandin, mentre Capo di Stato Maggiore è il Tenente Colonnello Giovanni Battista Fioretti, con sede del Comando in Argostoli. É così costituita:
• Comando Fanteria divisionale; • Comando Artiglieria divisionale;
• Comando Genio divisionale; • 17° Reggimento fanteria nella sua integrità organica;
• 317° Reggimento fanteria nella sua integrità organica; • 2° e 4° Compagnia del 110° battaglione mitraglieri di Corpo d’Armata;
• 1° Gruppo (100/17) del 33° Reggimento artiglieria; • 5° Batteria (75/13) del 2° Gruppo del 33° Reggimento artiglieria;
• 7° Gruppo da 105/28, 96° Gruppo da 155/36 e 187° • 2° Gruppo contraereo da 75/27 C.K.;
Gruppo da 155/14 dell’artiglieria di Corpo d’Armata;
• 2 sezioni cannoni da 70/15; • 2 sezioni mitragliere contraeree da 20 mm.;
• 215° compagnia lavoratori del genio; • 1 Sezione fotoelettriche;
• Battaglione genio divisionale; • 31° Compagnia genio artieri;
• 33° Compagnia mista genio • 2° Compagnia carabinieri del 7° battaglione;
trasmissioni radiotelegrafiche;
• 44° Sezione di sanità • 8° Nucleo chirurgico;
con gli ospedali da campo 37°, 527°e 581°;
• Reparti della Marina a presidio del porto di Argostoli
e per il controllo del movimento marittimo.
Il contingente tedesco, formato da truppe trasferite a Cefalonia tra il 5 e il 10 agosto 1943, al comando del Tenente Colonnello Barge, dislocato
nella zona di Lixuri, è costituito da:
• 966° Reggimento fanteria da fortezza su due battaglioni (909 e 910); • 202° batteria semovente su nove pezzi (8 da 75 e 1 da 105);
• 1 plotone genio pontieri; • due batterie antinave;
• un gruppo pionieri fortezza.
L’insieme delle forze è schierato in distinti settori nei punti più idonei per la difesa dell’isola, ma con inevitabili contatti favoriti dalle modeste
dimensioni dell’isola stessa. Le dislocazioni prevedono:
A. Settore nord – orientale:
317° Reggimento fanteria . Sede del Comando: Makrjotica.
B. Settore sud – occidentale:
17° Reggimento fanteria. Sede del Comando: Keramies.
C. Settore nord – occidentale:
Forze italiane e tedesche (due battaglioni d’arresto tedeschi, 3 batterie italiane). Sede del Comando: Lixuri.
Le forze militari e navali italiane in alcune postazioni dell’isola sono rinforzate da importanti opere di difesa e da installazioni costruite fin dalla
metà del 1942 con l’obiettivo di contenere un probabile sbarco da parte degli Alleati.
Fin dall’agosto del 1943 si trova a Cefalonia una Missione Alleata inviata dal Quartier Generale del Medio Oriente per seguire da vicino la situazione in movimento nelle zone della Grecia occupate dagli italiani.
I NEGOZIATI ITALO – TEDESCHI
L’inizio dei negoziati, 9 settembre 1943
Prime ore del mattino: al Comando di Divisione c’è notevole nervosismo, pur controllato dalla superiore serenità del Generale Gandin il quale, nonostante l’ordine ricevuto, non può considerare ancora rotti i rapporti con i
tedeschi. Così convoca a rapporto il Tenente Colonnello Barge per comunicargli il contenuto del telegramma del Comando dell’11° Armata ed il relativo atteggiamento che la Divisione Acqui dovrà sin da ora assumere nei riguardi dell’ex alleato.
Ore 20:00 circa: la radio trasmette il messaggio n. 02/25026 che ordina di cedere le artiglierie e le armi pesanti della fanteria ai tedeschi, i quali si impegnano a rimpatriare tutte le forze italiane in un breve lasso di tempo. A
questo messaggio fa seguito il Radiogramma n. 02/25047 di pari data, avente per oggetto: “Radunata 11° Armata per successivo avviamento in Italia”. La lettura del messaggio suscita grande sorpresa e perplessità nel Comando
di Divisione: i nuovi ordini non solo escludono ogni forma di ostilità verso i tedeschi, ma delineano un preciso atteggiamento collaborativo nei loro confronti. Il corpo degli Ufficiali è diviso. Nella chiara consapevolezza della
situazione, il Comandante della Divisione Acqui cerca di prendere tempo, anche nel dubbio che il secondo ordine del generale Vecchiarelli possa essere apocrifo. Così l’ordine non viene diramato ai reparti, ma viene respinto
come parzialmente indecifrabile all’8° Corpo d’Armata, per il cui tramite era pervenuto.
LA DIVISIONE ACQUI E L’ANNUNCIO DELL’ARMISTIZIO
8 settembre 1943
Cefalonia. Disposizione dei reparti all’8 settembre 1943.
Ore 19:00: il Comando Marina di Argostoli capta da radio
Londra la notizia che gli angloamericani hanno accettato la
domanda di armistizio avanzata dal Governo Italiano.
Ore 19:45: la radio italiana trasmette la comunicazione ufficiale del Maresciallo Badoglio.
É ormai sera tardi, quando la notizia dell’armistizio italiano
si diffonde in tutta l’isola, provocando in molti luoghi manifestazioni di giubilo e di entusiasmo. Il Generale Gandin
informa ufficialmente tutti i comandi dipendenti e ordina la
consegna delle truppe negli alloggiamenti, la intensificazione della vigilanza, il coprifuoco per la
popolazione, la perlustrazione notturna delle vie di Argostoli.
Ore 21:30: l’11° Armata invia alle unità dipendenti il Radiogramma n. 02/25006 che perviene a
Cefalonia verso le ore 23:30. A seguito dell’ ordine del Generale Vecchiarelli, il Generale Gandin
ordina il trasferimento della riserva divisionale e della 1°, 3° e 5° batteria del 33° artiglieria dalle
posizioni di difesa costiera rispettivamente a Svoronata, Klismata, Mavrata, assegnando alle suddette batterie obiettivi in netta funzione antitedesca.
Intanto, per tutta la notte, le stazioni radio dell’isola si trovano nell’isolamento più completo.
mata da montagna invia al 966° Reggimento granatieri da fortezza il seguente comunicato radio:
“L’11° Armata italiana ha dato ordine alla Divisione “Acqui” di consegnare le armi. Comunicare al
più presto al Comando del 22° Corpo d’Armata da montagna se sull’isola è stato realizzato il disarmo degli italiani”. Ancora nella stessa mattina perviene al Generale Gandin l’ordine del Comando
Supremo italiano di considerare i tedeschi come nemici. Il Generale Gandin allora impartisce le
disposizioni per la preparazione di un attacco contro le truppe tedesche di Cefalonia ordinando opportuni spostamenti delle truppe.
Il personale della Reale Marina lascia i Comandi ed il porto per prendere posizione nei due capisaldi
dell’isola ma, quando tutto sembra pronto per iniziare l’attacco, giunge l’ordine del Comando della
Divisione Acqui per il quale le truppe dovranno ritornare alle posizioni primitive, perché il Generale
continuerà le trattative con il Comando tedesco.
Tarda mattinata: il Tenente Colonnello Barge, in applicazione degli ordini ricevuti dal 22° Corpo
d’Armata, fa giungere una proposta scritta in nove punti che, irrigidendo i termini delle precedenti
intese verbali, si presenta come un vero e proprio ultimatum: cedere le armi, schierarsi con i tedeschi
o combattere contro di loro. Prima di decidere sulla risposta definitiva il Generale Gandin convoca nuovamente a rapporto il vice comandante e tutti i comandanti di corpo, facendo notare che
un’aperta lotta contro i tedeschi, pur avendo qualche probabilità di successo iniziale, si concluderebbe senza dubbio in modo tragico e senza speranze, soprattutto per l’assenza dell’aviazione.
Ore 19:00: terminato il rapporto, il Generale Gandin riceve il Tenente Colonnello Barge e lo rende
consapevole del suo orientamento a cedere le armi, ottenendo una dilazione almeno fino all’alba,
per prendere ancora contatto con i sottordini.
12 settembre, ore 4:00: il Generale Gandin affida al Capitano Tommasi, interprete della Divisione,
una breve lettera da consegnare al Comando Tedesco, nella quale il generale conferma per iscritto
che in linea di massima la Acqui è disposta alla cessione delle armi. Senza nessun commento i tedeschi trasmettono immediatamente la traduzione, per radio, al loro comando di Lixuri.
Dopo il rapporto con i comandanti, il Generale Gandin decide di sentire il parere dei cappellani
militari della Divisione.
Si tratta di ascoltare il pensiero anche di coloro che conoscono bene gli animi di quegli “oltre 10.000
figli di mamma”, come li chiama il Generale, la cui vita viene messa a repentaglio in questo gravissimo momento: i cappellani, dopo sofferta meditazione, confermano che la sola soluzione possibile
è da ricercarsi nella cessione delle armi.
Cefalonia. Schieramento della
Divisione Acqui al 9 settembre 1943.
La richiesta di consegna delle armi, 10 settembre 1943
Ore 8:00: il Tenente Colonnello Barge, comandante delle forze tedesche nell’isola di Cefalonia, a nome del Comando Superiore si presenta al Generale Gandin: chiede la consegna di tutte le armi, comprese quelle individuali, da effettuarsi entro le ore
10:00 dell’indomani, nella piazza principale di Argostoli. Il Generale Gandin ribadisce che, soltanto qualora gli venga imposto da ordini superiori, sarà del parere di consegnare le artiglierie e l’armamento pesante, escludendo che la piazza di Argostoli
possa essere il luogo convenuto per la cessione delle armi. Il Tenente Colonnello Barge prende così congedo promettendo di riferire al suo comando i desideri del generale e di tornare al più presto con la risposta. Allora il Generale Gandin chiama a
rapporto tutti i comandanti di corpo, volendo sentire i pareri circa la cessione delle armi di reparto: le discussioni sono molto animate, a tutti i livelli, prospettandosi e confrontandosi essenzialmente le due opposte tendenze: deporre le armi o cacciare
i tedeschi.
6
L’ultimatum tedesco, 11 settembre 1943
Nel corso della giornata si verificano alcuni incidenti, subito circoscritti, tra forze italiane e forze tedesche. Il fermento tra i reparti cresce, alimentato anche dai volantini della propaganda greca che invita i soldati a ribellarsi al generale. Intanto nella notte
tra il 10 e l’11 settembre il Tenente Colonnello Barge presenta al Generale Gandin una controproposta: le postazioni fisse di artiglieria verranno cedute solo al momento dell’imbarco, mentre la consegna delle altre armi pesanti avverrà al rientro in Italia,
dal momento che la Divisione Acqui verrà trasportata in un porto controllato dai tedeschi. Quasi contemporaneamente il Comando Supremo tedesco invia al Gruppo di Armate E un ordine inequivocabile.
Ore 11:00: il Gruppo di Armate E, con il consenso del Generale Vecchiarelli, ordina al Comando del 22° Corpo d’Armata di trasmettere immediatamente al Tenente Colonnello Barge l’ordine di disarmare gli italiani; di conseguenza il 22° Corpo d’Ar-
Ufficiali del 33° Reggimento nei pressi del Comando.
Truppe schierate sull’isola di Cefalonia.
Truppe di soldati in marcia lungo le impervie alture
dell’isola di Cefalonia.
Un cappellano militare celebra la messa per i soldati.
LE ULTIME BATTUTE PRIMA DELLO SCONTRO FINALE
TRA CEFALONIA E KOS
La tragedia della fanteria italiana nelle Isole Greche
12 settembre 1943
7
La giornata trascorre con un crescendo di agitazione
tra i reparti. Sembra che la maggioranza degli ufficiali superiori sia orientata, con il Generale Gandin, alla cessione delle armi pesanti, purché questa
avvenga con onore. La maggioranza degli ufficiali inferiori e degli uomini di truppa, al contrario,
sembra orientata a non cedere nulla. Il nucleo di
chi si oppone ad ogni forma di disarmo, ed è pertanto pronto allo scontro frontale con i tedeschi, è
costituito dagli ufficiali inferiori del 33° Reggimento di artiglieria (Cap. Pampaloni, Cap. Apollonio,
Argostoli. Partigiani greci marciano
Ten. Ambrosini) e del Comando Marina (Com. Mastrangelo).
armati lungo le strade.
Intanto la propaganda greca eccita sempre più l’animo dei soldati, spargendo voci secondo cui l’Italia si è ribellata alle truppe tedesche ivi di stanza, ricacciandole fuori
dal territorio nazionale.
Nel frattempo gli Alleati sono già sbarcati a Corfù, e la flotta inglese si dirige verso le isole ioniche per
bloccare l’ingresso al golfo di Patrasso.
L’occupazione di Cefalonia, ormai, è questione di giorni.
Di fronte a questo stato dei fatti, tutto spinge ad agire subito contro i tedeschi, in modo da meritare dagli Alleati,
a parere dei soldati, il pronto rientro in patria. All’irrequietezza della truppa fa tuttavia da contraltare la volontà negoziale del Generale Gandin, che la mattina del 12
settembre riprende i colloqui con i tedeschi.
Ore 14:00 - 16:00: mentre sono in corso le trattative
i tedeschi, dopo aver intimato la resa, catturano le tre
batterie schierate nel settore di Lixuri.
Argostoli. Arrivo di una rappresentanza
Ore 18:00: si verifica un altro incidente, mentre comincia a spargersi
del Comando alleato.
la voce che il Generale Gandin ha deciso di consegnare le armi ai tedeschi. La situazione sta veramente precipitando, con i soldati e gli ufficiali che attendono chiarimenti e ordini. A
questo punto il Capitano Apollonio ottiene di essere ricevuto dal generale Gandin, insieme al Capitano Amos
Pampaloni, al Tenente Abele Ambrosini e al Capitano Guglielmo Pantano.
A conclusione del rapporto, il Generale assicura agli ufficiali che le trattative continueranno sulla base
della non cessione delle armi, e che qualsiasi nuovo tentativo tedesco di modificare lo status quo violando le trattative in corso verrà represso con il fuoco.
Ore 20:00: si tiene un nuovo consiglio di guerra, nel corso del quale si decide di intimare ai tedeschi di
non effettuare invii di rinforzi dal continente né movimenti nell’interno di Cefalonia prima della conclusione delle trattative garantendo, da parte italiana, di non compiere atti ostili. La lettera con queste
decisioni viene consegnata al Tenente Colonnello Barge perché la trasmetta con la sua stazione radio.
Notte tra il 12 e il 13 settembre: il Capitano Apollonio, dopo avere incontrato alcuni esponenti della
resistenza ellenica, convoca nella propria tenda vari ufficiali di fanteria e di artiglieria per una riunione
che si protrae fino alle prime ore del mattino, e che si conclude con l’impegno di mantenere la calma
per permettere al Generale Gandin di continuare le trattative, con l’intendimento di non cedere le
armi ai tedeschi senza un preventivo accordo, e di far prigioniere le truppe tedesche di stanza nella
città laddove l’artiglieria dovesse aprire il fuoco. Intanto il 2° battaglione del 17° Reggimento fanteria e
il 3° battaglione del 317° Reggimento fanteria si avvieranno alla volta di Lixuri per costringere alla resa
i due battaglioni tedeschi colà dislocati. Realizzato infine tale piano, le truppe dovranno rioccupare le
posizioni costiere precedentemente tenute contro il tentativo tedesco di impossessarsi dell’isola.
13 settembre 1943
Intanto viene tradotto nei fatti l’accordo preso in
nottata dai rivoltosi dell’artiglieria e della marina
per agire di iniziativa, cioè al di fuori e contro gli
ordini del Comando di Divisione.
Ore 7:00: dopo le manovre avvenute durante la
notte, due grosse motozattere tedesche doppiano
la punta di San Teodoro dirigendosi su Argostoli, con l’evidente intento di rinforzare il presidio. Senza attendere ordini superiori, le batterie del 33° Reggimento artiglieria e della Marina
aprono il fuoco. Le motozattere tedesche, colte
Cefalonia. Motozzattere vengono colpite
di sorpresa, lanciano razzi di riconoscimento, alzano cortine
dal fuoco durante i combattimenti.
fumogene, tentano di invertire la rotta, rispondendo al fuoco
con le armi di bordo. Una motozattera viene colpita e affondata, l’altra risulta gravemente danneggiata. Lo scambio violento di fuoco fa cinque morti e otto feriti tra i tedeschi, mentre rimane
ferito un artigliere tra gli italiani. Partono intanto, sia dal Comando Divisione che dal Comando
del 33° Reggimento artiglieria, secchi e perentori ordini di immediata sospensione del fuoco. Il
Generale Gandin non vuole offrire ai tedeschi l’appiglio per dichiarare decaduta ogni trattativa,
ma è con molta fatica che il Comando di Divisione riesce a far cessare il fuoco. Poco dopo l’azione
di fuoco una batteria del 94° Gruppo da 155/35, al comando del Tenente Ermete Ferrara, lascia
di gran fretta la sua precedente posizione presso Capo Munta e viene a piazzare i suoi pezzi sotto il Comando di artiglieria divisionale sbarrandone le vie d’accesso. Contemporaneamente un
gruppo di uomini, con a capo il capitano Apollonio, prendono d’assalto ed espugnano una casa
nella quale staziona un comando tedesco del genio, uccidendo il comandante e facendo prigionieri gli altri militari.
Appena cessato lo scontro, si presenta nel golfo di Argostoli un idrovolante tedesco proveniente da
Atene con a bordo il Tenente Colonnello Bush, inviato dal comandante militare in Grecia. Il Generale Gandin comprende subito l’importanza dell’incontro: a nome del Corpo d’Armata tedesco, ma
per ordine ancora superiore, il Tenente Colonnello Bush invita il Generale Gandin a recarsi da Mussolini che, liberato dal Gran Sasso, si trova in Germania e sta per organizzare le nuove forze italiane
da affiancare a quelle tedesche. Il Generale Gandin, evitando di rispondere all’invito, approfitta della
fortuita presenza nell’isola del Tenente Colonnello Bush per tentare di impostare una nuova soluzione
che possa prevedere, per la Divisione Acqui, il mantenimento delle armi fino al momento dell’imbarco
per il promesso trasferimento in Italia. Il Tenente Colonnello Bush nella speranza, o nella convinzione,
che il Generale Gandin intenda accogliere l’invito di Mussolini, aderisce al seguente accordo: mantenimento in esercizio delle batterie contraeree; consegna ai tedeschi delle artiglierie ad installazione
fissa e delle batterie cedute dai tedeschi agli italiani; trasferimento dei rimanenti reparti della Divisione
nella zona di Sami-Digaleto-Porto Poros, con l’assicurazione di lasciare loro le armi fino al momento
dell’imbarco per l’Italia.
Il Generale Gandin chiede ventiquattro ore di tempo per dare la risposta: termine ultimo saranno le
ore 12.00 dell’indomani, 14 settembre. Gli ufficiali italiani, rimasti soli con il Generale, pur con qualche tentennamento, convengono sull’opportunità di accettare le proposte tedesche.
Ore 13:00: il Generale Gandin dirama un messaggio a tutti i reparti, informando che sono in corso
trattative per ottenere dai tedeschi che vengano lasciate ai reparti le armi e le munizioni. Pertanto sulla
base dell’accordo raggiunto si dà ordine di trasferire a Sami la maggior parte dei reparti.
Per i tedeschi, ormai, la necessità di risolvere la partita è diventata urgentissima, e così il Generale Lanz
decide di intervenire di persona. Nelle prime ore del pomeriggio arriva a Cefalonia e da Lixuri si mette in collegamento telefonico con il Generale Gandin, ingiungendogli per l’ultima volta di adeguarsi,
senza ulteriori indugi, agli ordini trasmessigli giorni prima dal suo diretto superiore. Alle rimostranze
del Generale Gandin relative alla ambiguità delle indicazioni ricevute, il Generale Lanz scrive di suo
pugno l’ultimo ordine definitivo, quello di consegnare immediatamente le armi al Tenente Colonnello
Barge, pena l’uso della forza. Il comandante generale del 22° Corpo d’Armata da montagna comunica
all’Ufficiale Comandante della Divisione Acqui, Generale Antonio Gandin, la presa d’atto che “la
Divisione sotto il Suo Comando, aprendo il fuoco oggi alle ore 7.00 contro le truppe tedesche e due
imbarcazioni tedesche, causando 5 morti e 8 feriti, ha commesso un aperto e chiaro atto di ostilità”.
Ciò fatto il Generale Lanz torna a Ianina.
L’ultimatum viene consegnato più tardi al Generale Gandin dal Tenente Colonnello Barge. Ore 19:00:
rientrato nella sua sede di Ianina, il Comandante del 22° Corpo d’Armata riceve un’ordinanza dell’Alto Comando della Wehrmacht, indirizzata a tutte le unità del Gruppo d’Armate E:
“Per ordini del Fuhrer, verso tutti i reparti italiani che permetteranno a ribelli di impadronirsi delle
loro armi oppure faranno con loro causa comune ci si deve comportare come segue: 1) gli ufficiali
vanno fucilati secondo la legge marziale; 2) sottufficiali e truppa saranno inviati tramite trasporti per
ferrovia ad Est dove verranno utilizzati come manodopera. Essi sono da trattare come prigionieri di
guerra e raccolti in convogli specifici che vanno notificati a parte presso comandi militari incaricati di
sovrintendere ai trasporti competenti per territorio”.
Nel frattempo il Generale Gandin e il Tenente Colonnello Barge proseguono le trattative cercando di arrivare ad una soluzione accettabile per entrambe le parti. In sostanza si tratta della consegna delle armi in tre
fasi, rispettivamente da eseguirsi nei giorni: 14 settembre presso Argostoli, 15 settembre nella zona sud–est
di Cefalonia, 16 settembre nella zona di Sami. A titolo di garanzia la Acqui deve fornire dieci ostaggi. In difetto di tali adempimenti, la cessione delle armi sarà ottenuta con la forza. Nel tardo pomeriggio il Generale
Gandin comunica ufficialmente ai suoi uomini il raggiungimento dell’accordo, mentre il Comando di Divisione emana gli ordini di spostamento di tutti i reparti verso la regione di Sami in previsione dell’ imbarco.
• ordine di brillamento della mina per l’interruzione della rotabile per Lixuri
e Kardakata;
• consegna alle ore 12.00 del 14 settembre al delegato tedesco, Tenente Fauth,
della risposta, ultimativa ma aperta, all’intimazione tedesca di disarmo.
Giunge contemporaneamente dall’isola di Zante la notizia, non certo incoraggiante, che il comandante di quel presidio, Generale Paterni, ha già ceduto le armi ed è stato imbarcato, con circa quattrocento soldati, per essere
internato in Germania. Il Generale Gandin, crollata ogni speranza per una
ragionevole soluzione, forma il cosiddetto Comando tattico: il Comando di
Divisione, il Comando di Artiglieria divisionale, il Quartier generale, il Comando Carabinieri reali e il Comando Genio divisionale abbandonano i loro
Messaggio n. 1029/CS del Comando Supremo, trasmesso alle ore
rispettivi uffici di Argostoli e si stabiliscono nella zona di Prokopata.
10.20 del 12 settembre dalla stazione radio della Marina di BrindiQuindi impartisce i primi ordini intesi a sbarrare le provenienze da nord, tra Phransi, tramite il ponte radio di Corfù.
kata ed il mare (3° Battaglione del 317° Reggimento, con il 2° Battaglione dello
stesso reggimento in riserva), e a raccogliere il 2° e il 3° Battaglione del 17° Reggimento attorno ad Argostoli. Mentre i movimenti sono in corso, vuole che gli
uomini della Acqui vengano interpellati sul quesito fatale: contro i tedeschi, a
fianco dei tedeschi o cessione delle armi.
Alba del 14 settembre: ai comandanti che chiedono la risposta ai tre quesiti, si
risponde con la volontà quasi unanime di combattere i tedeschi. Finalmente
il Generale Gandin può interrompere le trattative ed opporre ai tedeschi un
netto rifiuto alla cessione delle armi, con un messaggio che viene consegnato
al Tenente Fauth alle ore 12:00 dello stesso giorno, mentre le truppe sono già
in movimento per raggiungere le posizioni sulle quali dovranno schierarsi per
opporsi ai tedeschi e cacciarli dall’isola. Chiede che gli venga data una risposta
Cefalonia. Una squadriglia di Stukas
entro le ore 16:00. Con la lettera in mano il Tenente Fauth torna indietro promettendo una
dell’aviazione tedesca sorvolano il cielo dell’isola
risposta entro le ore 13.00. Il Capitano Tommasi rimane ad
attenderlo. Si ripresenta in anticipo e a nome del Tenente Colonnello Barge chiede una riunione con il Generale Gandin alle ore
16:00. Il Capitano Tommasi telefona, il Tenente Colonnello Fioretti accetta. Ore 16:00: la partenza della delegazione tedesca
dal luogo dell’incontro coincide con l’apparire nei cieli di Cefalonia di una squadriglia di Stukas.
15 settembre 1943
Le trattative, intanto, continuano fino all’alba, infrangendosi sul rifiuto tedesco di fornire garanzie di “altissimo livello”, circa il
trasferimento della Divisione Acqui in Italia, e di concedere il mantenimento delle artiglierie mobili e di quelle contraeree fino
al momento dell’imbarco per l’Italia. Le parti, su posizioni antitetiche inconciliabili, continuano a trattare: i tedeschi hanno bisogno di tempo per assicurarsi il concorso aereo. Durante le affannose trattative, il Comando generale del 22° Corpo d’Armata
accelera notevolmente l’invio di rinforzi fissando per il 16 settembre l’arrivo a Preveza di alcuni reparti pronti per l’imbarco.
L’invio di rinforzi continuerà poi nei giorni successivi.
Ore 9:00: il Generale Gandin invia alle sue truppe un messaggio nel quale esorta ufficiali e soldati a prepararsi alla inevitabile lotta.
Ore 11.00: due idrovolanti da trasporto tedeschi, che si dirigono nella rada di Lixuri per ammararvi, vengono colpiti dalla batteria contraerea e affondati.
Ore 12.15: il Tenente Colonnello Barge comunica via radio che, essendo scaduto
l’ultimatum per la consegna degli ostaggi, così come stabilito, procederà all’attacco.
Ore 14.00: mentre il Generale Gandin studia con i suoi collaboratori lo schieramento dei singoli reparti, circa trenta Stukas iniziano a sorvolare il cielo dell’isola,
poi, abbassandosi in una picchiata fulminea, svuotano il loro primo carico di bombe sulle posizioni delle batterie schierate lungo il costone Faraò–Spilia–Chelmata.
Contemporaneamente tutte le batterie e le sezioni contraeree, tutte le mitragliere
aprono il fuoco segnando il vero, definitivo, inizio delle ostilità.
14 settembre 1943
Notte fra il 13 e il 14 settembre: negli accampamenti italiani, intanto, si diffonde la notizia di un prossimo ritorno a casa, mentre cominciano a serpeggiare precisi timori circa la lealtà dei tedeschi nell’adempimento delle loro promesse. D’altronde anche il Tenente Colonnello Barge deve nutrire qualche dubbio,
perché nella stessa notte ordina il trasferimento del 910° Battaglione d’arresto dalla penisola di Lixuri
alla zona di Kardakata e dà ordine al Gruppo Tattico del Tenente Fauth di attaccare le forze italiane nel
caso in cui rifiutino la consegna delle armi.
Nel frattempo, alcuni incidenti fanno divampare ovunque feroci propositi di vendetta. Di fronte agli
avvenimenti che si susseguono di ora in ora alcuni reparti cominciano a rifiutarsi di obbedire all’ordine
di trasferimento, molti comandanti riferiscono che le loro truppe rifiutano assolutamente di muoversi e
che anzi diventano sempre più minacciose. Si diffonde fra i soldati la voce che il Generale Gandin voglia
tradire, e che il Comando tedesco si rifiuta, per il momento, di caricare insieme con la truppa anche le
armi pesanti a causa della scarsezza dei mezzi navali di trasporto. Nella stessa notte arriva un messaggio
del Comando Supremo, trasmesso alle ore 10.20 del 12 settembre dalla stazione radio della Marina di
Brindisi, tramite il ponte radio di Corfù:
L’ordine, perentorio e diretto alla sua persona, ha certamente un peso determinante nella decisione
del Generale Gandin di resistere con le armi. In tal senso dà immediata esecuzione all’ordine ricevuto, prendendo i seguenti provvedimenti:
• revoca dell’ordine di trasferimento dei reparti nella zona di Sami – Digaleto – Porto Poros;
• ordine di schieramento dei reparti;
Un aereo Stukas sorvola la baia di Argostoli.
LE BATTAGLIE DI CEFALONIA: DA ARGOSTOLI A KARDAKATA
Cefalonia. Lungo una spiaggia dell’isola i militari italiani
allestiscono le tende per i prigionieri tedeschi.
Le battaglie, che dal 15 al 22 settembre avvolgeranno in
una spirale di fuoco l’isola di Cefalonia, hanno inizio con
un rapporto di forze quasi pari: se all’8 settembre gli italiani erano superiori nel rapporto sei a uno, ora, per i consistenti rinforzi pervenuti ai tedeschi per via aerea, e quelli
che stanno giungendo via mare, si è raggiunto un rapporto di quasi parità.
I tedeschi, inoltre, dispongono dell’assoluta padronanza
del cielo, sottoponendo a costante azione di fuoco le truppe e contrastandone dall’alto i movimenti.
Il nuovo schieramento delle truppe italiane si presenta, la mattina del 15 settembre, suddiviso in tre grossi
blocchi:
TRA CEFALONIA E KOS
La tragedia della fanteria italiana nelle Isole Greche
• Primo blocco, Settore di Argostoli: comprende i tre battaglioni del 17° Reggimento fanteria;
• Secondo blocco, Settore orientale: comprende il 1° e il 2° battaglione del 317° Reggimento, mentre il
3° Battaglione occupa, fronte a nord, le posizioni ad ovest dell’abitato di Pharaklata fino al mare.
• Terzo blocco: comprende le artiglierie ritirate dalla penisola di Argostoli e schierate sul lato orientale del
golfo omonimo, da dove possono sostenere l’azione di entrambi i settori.
Solo la batteria da 152 mm della Marina, con il comando e tutto il personale della Marina, rimane in postazione a Minies, da dove sorveglia la baia di Busen e può sostenere l’azione delle truppe del settore di
Argostoli.
I piani e gli obiettivi della strategia, pur avendo un certo successo all’inizio delle operazioni, poco più tardi
vedono l’assetto generale volgere a favore dei tedeschi, in seguito agli attacchi subiti dai reparti e dalla popolazione greca. Mancano i mezzi di collegamento radio, e il grado di addestramento della fanteria è ben
inferiore a quello della fanteria tedesca. Manca agli italiani il supporto dell’aviazione. Nulla avviene per improvvisazione, invece, presso le unità nemiche.
La battaglia di Argostoli,
detta anche di “Monte Telegrafo”
15 settembre 1943
É la più importante e la più grave di tutte le operazioni di guerra e
degli scontri tra italiani e tedeschi nel quadro generale della battaglia
di Cefalonia, e viene combattuta in gran parte sulle alture attorno al
capoluogo dell’isola.
Ore 14.00: scaduta la proroga del termine dell’ultimatum italiano
al comando tedesco dell’isola, arriva la risposta tedesca, un violentissimo bombardamento aereo, con aeroplani da picchiata Stukas
contro le postazioni italiane, le fortificazioni e i reparti delle colline.
Nel settore occidentale, contemporaneamente all’intenso bombardamento, i tedeschi attaccano con il 909° Battaglione il settore tenuto dal 2° Battaglione del 17° Reggimento fanteria a Monte TeleCefalonia. La situazione al 15 settembre 1943.
grafo e nella zona di Lardigò, con manovra avvolgente su Argostoli
movendo da Kardakata a nord e da San Teodoro a Lardigò a sud. Il Maggiore Altavilla, comandante del
2° Battaglione del 17° Reggimento fanteria, schierato sulle alture di Cima Telegrafo, sostiene fermamente
l’urto nemico, malgrado la minaccia dal cielo di numerosi aerei che, a volo radente, mitragliano i fanti, costringendoli a nascondersi fra le rocce prive di vegetazione.
Per sfuggire alla minaccia di aggiramento, le compagnie arretrano
su posizioni più idonee alla difesa, dopo aver subito gravi perdite.
Determinante, in questo momento, il contributo dei plotoni mortai
da 81 mm al comando dei Tenenti Cei e Zamparo che, con nutritissimo fuoco di sbarramento a grande capacità, tengono a distanza
i tedeschi dando tempo ai reparti in linea di riprendersi e organizzarsi. Un primo e parziale successo tedesco giunge dagli attacchi
precisi e micidiali degli Stukas e dei semoventi della Sturmbatterie che favoriscono con straordinaria efficacia la fanteria tedesca, co- Soldati del 33° Reggimento artiglieria seguono la traiettoria.
stringendo i soldati italiani sulla difensiva. In questo momento di
maggiore gravità, interviene in linea la 2° Compagnia del 110° Battaglione mitraglieri di Corpo d’Armata
che, grazie al suo appoggio di fuoco costante, facilita l’inserimento in linea del 3° Battaglione del 17° Reggimento fanteria. Inorgogliti dal successo che prelude alla vittoria, i reparti si lanciano all’assalto travolgendo
una dopo l’altra le postazioni difensive tedesche.
16 settembre 1943
8
Argostoli, capitale dell’isola di Cefalonia:
una veduta del porto.
Ore 2.00: è ormai notte, Monte Telegrafo è finalmente in mano italiana: viene stipulata la resa. Nel corso della notte il 2° Battaglione
del 17° Reggimento fanteria riceve l’ordine di rientrare a Mazarakata, mentre il 3° Battaglione del 17° Reggimento deve rioccupare
le precedenti posizioni in difesa costiera.
Nel settore orientale i combattimenti si svolgono con particolare
asprezza, anche perché i tedeschi, approfittando del ritiro del 2°
Battaglione del 17° Reggimento fanteria dall’importante nodo di
Kardakata, ancor prima dell’inizio dei combattimenti hanno occu-
pato le posizioni predominanti, cioè tutta l’aspra dorsale montana, e si sono spinti fino agli abitati di Pharsa
e Davgata, occupati in gran parte dal 910° Battaglione, comandato dal Maggiore Nennstiel. Il Comando
di Divisione, impegnato nelle trattative, non ha raccolto informazioni precise sui movimenti tedeschi, a tal
punto che lo schieramento tedesco costituisce un’incognita. Dalle alture di Kardakata i tedeschi si trovano
spalancate davanti a loro sia la rotabile di nord-est che conduce ai porti di Sant’Eufemia e Sami, sia la rotabile che punta a sud tagliando a metà lo schieramento della Divisione. Lasciata una compagnia a presidio del
ponte di Kimonico per bloccare un eventuale tentativo di aggiramento, il Maggiore Nennstiel dirige il resto
del battaglione verso Kondogurata, si impossessa dei picchi dell’Aklevuni e raggiunge i sobborghi di Pharsa
avvolgendo intorno a Castrì la 9° Compagnia del 3° Battaglione del 17° Reggimento fanteria. Da Pharsa
a Pharaklata è un inferno di fuoco. L’attacco continua dirigendosi verso Padiera, che deve essere abbandonata, mentre rischia di essere travolta anche Castrì. Gli italiani tengono duro, e bloccano l’attacco tedesco:
l’artiglieria compie un buon lavoro di sostegno, ma richiama l’attenzione degli Stukas, le cui squadriglie si
avventano contro di essa seminando distruzione e morte. Interrotto l’attacco tedesco, il Generale Gandin
effettua una contromanovra con il 2° Battaglione del 317° Reggimento di fanteria il quale, raggiunta Davgata, contrattacca sul fianco sinistro il nemico, minacciando di tagliargli la strada. In attesa che si compia
questa manovra, il Capitano Saettone con una sezione Carabinieri viene inviato nel settore allo scopo di
arginare il ripiegamento, che si accentua sempre più, del 3° Battaglione del 317° Reggimento di fanteria. I
tedeschi, intuita prontamente la manovra, desistono dall’attacco ritirandosi precipitosamente in direzione
di Kardakata. Nello stesso momento il 3° Battaglione del 317° Reggimento, riorganizzatosi, passa al contrattacco attestandosi, unitamente al 1° Battaglione del 17° Reggimento fanteria, su posizioni antistanti
l’abitato di Pharsa tenuto saldamente da pattuglie tedesche.
La situazione è decisamente favorevole alle forze italiane, che potrebbero ormai annientare quelle nemiche, proseguendo per qualche ora
la lotta; ma il Comando di Divisione, forse impressionato dall’asprezza dei combattimenti e dal logoramento degli uomini, fa sospendere
l’inseguimento, rinunciando incredibilmente a sfruttare il successo ottenuto con tanti sacrifici. Si conclude così la prima giornata di combattimenti, che segnano la conquista da parte italiana di Monte Telegrafo, la cattura di oltre 500 tedeschi e la ritirata del 910° Battaglione,
comandato dal Maggiore Nennstiel, verso nord.
Dopo la prima giornata di combattimenti il Tenente Colonnello Barge
riferisce al 22° Corpo d’Armata circa la criticità della posizione tedesca.
Di fronte a tali sviluppi, il Generale Lanz decide di rinviare definitiva- Cefalonia. Le impervie alture, luogo dei combattimenti.
mente l’azione su Corfù, e comincia a far affluire sull’isola, per l’operazione definita Panther, 3 battaglioni di Cacciatori da montagna e 2 batterie da 105 mm.
Il Comandante del 98° Reggimento cacciatori da montagna, Maggiore Herald von Hirschfeld, il giorno
17 settembre assume il comando di tutte le forze germaniche esistenti nell’isola in sostituzione del Tenente
Colonnello Barge.
Quanto alla parte italiana, la serie di messaggi inviati al Comando Supremo inizia alla ore 15.20 per concludersi alle ore 24.00: “ Battaglia ancora indecisa soprattutto per incontrastata azione aerea nemica alt darmi
notizie”. Ma la Divisione Acqui non può attendersi alcun sostegno dall’Italia, né dagli Alleati. I radiomessaggi inviati non avranno nessun tipo di risposta, nonostante il comando di divisione continui a mandarli
ogni due ore. A questo punto nella mente del Generale Comandante si delinea l’inderogabile necessità, ai
fini di una rapida soluzione della battaglia, di occupare il nodo di Kardakata, vera chiave per il dominio
dell’isola. Il disegno di manovra della Acqui è semplice: attaccare da sud le posizioni di Kardakata con il 1°
Battaglione del 17° Reggimento fanteria, il 2° Battaglione ed il 3° Battaglione del 317° Reggimento fanteria, e da est quelle di Ankona con il 1° Battaglione del 317° Reggimento fanteria.
Mentre il Generale Gandin emana gli ordini di trasferimento dei reparti, l’aviazione tedesca effettua un pesante bombardamento su Argostoli.
La battaglia di Kardakata
17-18 settembre 1943
Ricordata anche come “Battaglia di Ponte Kimoniko”, luogo in cui si è immolato il 1° Battaglione del 317°
Reggimento fanteria, la battaglia si sviluppa per la conquista del nodo di Kardakata, posizione indispensabile per il controllo della zona nord–occidentale dell’isola, che è occupata dal grosso delle truppe tedesche.
E’ una zona aspra, montagnosa, con coste ripide che scendono a piombo sul mare, di difficile accesso. E’
tuttavia particolarmente vulnerabile dal cielo, per l’assenza di vegetazione.
17 settembre 1943
Ore 6.00: il 1° Battaglione del 17° Reggimento fanteria oltrepassa la zona di Pharsa schierandosi a nord di
essa. Contemporaneamente il 2° Battaglione del 317° Reggimento si schiera a nord di Davgata ed il 3° BatCefalonia. 17-18 settembre 1943.
taglione dello stesso Reggimento a nord di Monte Pizocuzolo che domina tutta la zona. Tutti i battaglioni
Il disegno di manovra della Acqui.
che operano a sud di Kardakata avanzano allo scoperto e, sebbene vivamente contrastati, riescono a penetrare nel dispositivo nemico, avvicinandosi a Kardakata, Kuruklata e Pharsa. Nello stesso momento nel settore nord un ricognitore tedesco individua il 1° Battaglione del 317° Reggimento fanteria lanciandovi sopra alcuni razzi rossi; dopo pochi minuti sopraggiungono numerosi aerei tedeschi che sottopongono le truppe, per lunghe ore, ad una serie di violenti mitragliamenti e spezzonamenti. Le compagnie,
colte di sorpresa in colonna sulla carreggiata, vengono scompaginate e falcidiate dall’attacco mentre seguitano ad opporre una disperata
resistenza. Allontanatisi gli aerei, la 1° Compagnia riceve l’ordine di avanzare, superando ponte Kimoniko, in precedenza fatto saltare dai
tedeschi. Mentre è in corso l’operazione, e la compagnia è allo scoperto, sopraggiungono nuovamente altri aerei, che seminano bombe
disperdendo la truppa. I tedeschi approfittano della paralisi causata dall’azione aerea e, dopo aver serrato sotto, attaccano con forza sulle
alture l’ala sinistra dello schieramento. Lo scontro è cruento. Sempre combattendo, il 1° Battaglione del 317° Reggimento fanteria ripiega
per nuclei isolati fino a Divarata dove riesce ad arginare l’impeto tedesco opponendo una accanita resistenza. Di fronte ad un successivo
attacco di un gruppo tattico del 3° Battaglione del 98° Reggimento cacciatori da montagna, appena giunto, ripiega definitivamente su
Divarata. La manovra tendente ad aggirare da nord le posizioni di Kardakata è dunque fallita e di conseguenza, per tutta la giornata, anche
le operazioni sul fronte di Pharsa subiscono una sosta.
18 settembre 1943
Ore 6.00: ha inizio il quarto giorno di combattimento. Il Generale Gandin, nonostante l’insuccesso del 1° Battaglione del 317° Reggimento fanteria, decide di tentare nuovamente il superamento, da nord a sud, della difesa di Kardakata. Per controbilanciare la diminuita efficienza del
1° Battaglione del 317° Reggimento di fanteria, predispone l’impiego del 3° Battaglione del 317°
Reggimento, trasferito da Davgata al Kutzuli, affidandogli il compito di attaccare sul fianco Kuruklata. L’11° compagnia del Capitano Pantano conquista e perde per ben tre volte Kuruklata,
compiendo miracoli di audacia, combattendo di casa in casa e costringendo i tedeschi ad abbandonare Pharsa per non correre il rischio di essere tagliati fuori. Nel frattempo nel settore nord ogni
modesta avanzata verso l’obiettivo viene annullata dall’intervento degli aerei. Circa due ore dopo
il 1° Battaglione del 317° Reggimento fanteria, già duramente provato il giorno prima, viene accerchiato da due compagnie tedesche in un’area posta un chilometro a sud di Drakata e, verso le
ore 10.00, quasi totalmente annientato.
L’azione sul campo da parte tedesca si accompagna alla guerra psicologica del lancio di migliaia di
volantini su Argostoli e sulle difese italiane: i concetti dominanti sono la denuncia del tradimento
dei capi e la promessa del rimpatrio, in alternativa alla prigionia inglese.
Argostoli, 18 settembre 1943. Volantino lanciato sulla
In quegli stessi momenti, alle ripetute richieste di aiuto, il Comando Supremo risponde amaramente:
città e sulle difese italiane, in cui si denuncia
il tradimento dei capi e si promette il rimpatrio,
“Impossibilità invio aiuti richiesti alt Infliggere nemico più gravi perdite possibili alt Ogni vostro sain alternativa alla prigionia inglese.
crificio sarà ricompensato alt Ambrosio”.
Da parte opposta, proprio il giorno 18 settembre al Comando del Gruppo di Armate E si rende noto
l’invito di Hitler a cessare l’atteggiamento bonario dei tedeschi verso gli italiani; ma soprattutto viene diffusa l’ordinanza dell’Alto Comando della Werhmacht attraverso la quale il Fuhrer ordina di non “fare prigionieri fra gli italiani a motivo del comportamento insolente e
traditore del presidio dell’isola”. Le forze italiane combattono strenuamente, e tuttavia il 3° Battaglione del 98° Reggimento cacciatori da
montagna riesce a mantenere il possesso di Kardakata. Così le azioni del 17 e del 18 settembre, imperniate sul concetto di raggiungere le
posizioni di Kardakata con azione contemporanea da nord e da sud, si infrangono per la reazione tedesca nella zona di Kimoniko e per
la resistenza tedesca sul fronte di Pharsa, validamente sostenute dall’ininterrotta azione aerea, dalla larga disponibilità di armi pesanti e
dall’affluenza immediata di truppe scelte di rinforzo.
LE BATTAGLIE DI CEFALONIA: DA CAPO MUNTA A DILINATA
La battaglia di Capo Munta
La battaglia di Dilinata
TRA CEFALONIA E KOS
La tragedia della fanteria italiana nelle Isole Greche
Cefalonia. L’attacco tedesco, 21-22 settembre 1943.
19 settembre 1943
A sud dell’isola, tra l’ampia spiaggia di Katelios e quella di Skala, c’è Capo Munta, un pianoro che si spinge verso il mare, e
che ospita un caposaldo tedesco ben fortificato ed armato, presidiato da circa centoventi artiglieri al comando del Tenente
Hans Rademaker. Per la sua posizione viene considerato pericoloso quale facile approdo per i rinforzi che i tedeschi certamente potrebbero far arrivare, come già nei giorni precedenti, via mare, da Patrasso. Per questo il Comando di Divisione
ne decide l’occupazione sin dal 16 settembre, dando l’incarico al Comando della fanteria di predisporre l’esecuzione del
piano. L’azione viene affidata ad un battaglione di formazione agli ordini del Maggiore Altavilla: nei giorni 16, 17 e 18
vengono ammassate nella zona di Skala la 7° e la 10° compagnia del 17° Reggimento fanteria, e aliquote della 4° rinforzate
da un plotone di mitraglieri di Corpo d’Armata, quattro plotoni di mortai da 81 mm, e due pezzi da 75/46.
Ore 3.30: dopo una inefficace preparazione di artiglieria, un razzo rosso segna l’inizio dell’azione. I fanti scattano all’attacco e, nonostante la reazione opposta dai tedeschi, riescono a superare il secondo ed il terzo ordine di reticolati, dove
però vengono falcidiati dalle mitragliatrici tedesche a causa del terreno completamente allo scoperto. Ne segue un feroce
corpo a corpo. Le forze italiane, nonostante le grandi perdite con gran numero di morti e feriti, si trovano sul punto di
sopraffare i tedeschi proprio quando una violenta incursione aerea, improvvisa ed indisturbata, li fa sbandare costringendoli ad arretrare su posizioni più sicure e a lasciare
sul terreno morti e feriti.
Alba del 19 settembre: arrivano gli Stukas, che bombardano l’enorme spianata sulla quale i soldati italiani si trovano
senza alcuna protezione. Nonostante i tentativi dei militari italiani, diventa impossibile mantenere le posizioni, cosicché il Maggiore Altavilla è costretto a rinunciare definitivamente all’impresa e a ordinare il ripiegamento. Circa 150
uomini periscono sotto Capo Munta; i feriti rimasti sul terreno vengono fatti fucilare dal Tenente Rademaker che,
invece di seppellire le salme, le fa sparire con altri sistemi.
Nelle giornate del 19 e del 20 settembre, a parte il fallimento dell’azione di Capo Munda, si verifica nelle operazioni
terrestri una stasi, mentre l’aviazione tedesca continua inesorabile le azioni di bombardamento.
Mattina del 19 settembre: il Generale Lanz vola di nuovo a Cefalonia per definire con il maggiore Hirschfeld il piano
I momenti della battaglia.
d’attacco contro gli italiani e per lanciare dall’aereo altre migliaia di volantini sulle truppe italiane in un estremo tentativo di distoglierle con minacce e promesse dalla resistenza.
Intanto il Maggiore Hirschfeld, incaricato del comando di tutte le unità di manovra, predispone il piano operativo tedesco, che prevede di entrare in azione il 21 settembre e di distruggere la Divisione Acqui entro il 23 del mese.
L’operazione di aggiramento, accompagnata da attacchi frontali condotti dal fronte ovest verso sud, è affidata al 54°
Battaglione cacciatori di montagna e al 3° Battaglione del 98° Reggimento. Insieme costituiscono il Gruppo Klebe (dal
nome del comandante, Maggiore Reinhold Klebe), che conta sull’effetto sorpresa.
Nella stessa giornata il Generale Gandin chiede nuovamente al Comando Supremo l’intervento dell’aviazione e l’invio
di munizioni che durante i tre giorni di lotta si sono pressoché esaurite.
Conscio degli esiti dei combattimenti dei giorni precedenti, il Generale ha modo di constatare che la difesa tedesca
attorno a Kardakata è divenuta assai solida e profonda e che pertanto, vista l’impossibilità di ottenere risultati definitivi operando frontalmente o con manovra sui fianchi a limitato raggio, è necessario eseguire una audace manovra di
avvolgimento. Il 1° Battaglione del 17° Reggimento fanteria deve agire da perno continuando a tenere le posizioni a
nord di Pharsa; il 3° Battaglione del 317° Reggimento fanteria deve costituire l’ala avvolgente, puntando su Kardakata
attraverso le pendici del Dafni; il 2° Battaglione del 317° Reggimento fanteria, posto tra il 1° ed il 3°, non appena si accentui l’azione avvolgente del 3° Battaglione, deve attaccare sulla fronte e sul fianco le posizioni tedesche di Kuruklata.
Cefalonia, 18 settembre 1943. Il generale Lanz lancia dall’aereo altre migliaia di volantini sulle truppe italiane in un estremo tentativo di distoglierle con
minacce e promesse dalla resistenza.
21-22 settembre 1943
É la battaglia finale, che si conclude tragicamente con il massacro di 189 Ufficiali e con la morte di migliaia fra Sottufficiali, graduati
e soldati, la gran parte dei quali catturati e trucidati sul campo immediatamente dopo gli aspri combattimenti.
Essa si svolge nella parte centro–occidentale dell’isola, a cavallo delle rotabili che conducono ad Argostoli: Drakata – Kardakata –
Pharsa – Drapanon; Drakata – Dilinata – Pharaklata – Razata; Dilinata – Krankata – Troianata – Kastro – Metaxata – Lakytra –
Spilea.
La piazza di Argostoli, capoluogo dell’isola, costituisce l’obiettivo finale.
Naufragata la possibilità di far cadere lo schieramento tedesco con un azione combinata da sud e da nord in seguito all’avvenuta
distruzione del 1° Battaglione del 317° Reggimento fanteria, il Generale Gandin decide di effettuare una manovra avvolgente attaccando l’ala sinistra dello schieramento nemico da est con il 3° Battaglione del 317° Reggimento fanteria.
L’attacco dovrà avere inizio alle ore 6.00 del 21 settembre.
Notte tra il 20 e il 21 settembre: il gruppo di aggiramento tedesco, formato dai due battaglioni di Cacciatori da montagna, si mette
in cammino fin dalle ore 20.00 del 20 settembre, nella zona di Ankona. Nel corso della notte le unità tedesche occupano, secondo
gli ordini, le posizioni loro rispettivamente assegnate in vista dell’attacco generale. La manovra, eseguita con tempestiva determinazione, pone in crisi il dispositivo italiano, malgrado la tenace difesa dei fanti e la forte attività dell’artiglieria, chiamata alle prime luci
dell’alba a contrastare energicamente e decisamente l’avanzata tedesca.
Alba del 21 settembre: sul fronte del 3° Battaglione la sorpresa è totale, esso viene praticamente annientato, ed il Comandante costretto alla resa. Intanto altre due colonne
tedesche avanzano nel cuore della notte, una lungo la strada Phalari – Dilinata, la seconda lungo una mulattiera tra il Diculi e il Vrochonas, per attaccare da tergo il fianco
destro delle posizioni tenute dalle due compagnie del 2° Battaglione del 17° Reggimento e del 2° Battaglione del 317° Reggimento, schierate sul Kutzuli. Le compagnie
si impegnano in una disperata difesa ad oltranza, contrattaccando le pattuglie tedesche più avanzate; ma ecco sopraggiungere una trentina di Stukas ed una ventina di
bombardieri pesanti che iniziano una serie di mitragliamenti e bombardamenti che sconvolgono le linee portando paralisi e morte. Dopo circa quattro ore le compagnie,
a posizioni immutate, hanno perso il settanta per cento degli effettivi. Nel bel mezzo dello scontro, sopraggiunge l’altra colonna che ha aggirato il Diculi e attacca le due
compagnie schierate sulla selletta tra il Diculi e il Kitzuli.
La situazione si fa critica: italiani e tedeschi si contendono il terreno combattendo a pochi passi gli uni dagli altri. L’artiglieria deve sospendere il fuoco per non colpire le
proprie fanterie. Le forze sul Kitzuli, a loro volta, prese di fronte dalle fanterie tedesche che avanzano da Kardakata procedendo lungo i canaloni, iniziano a ripiegare e,
sempre combattendo, operano una conversione a destra.
Il destino del 2° Battaglione ormai è segnato: attorniato dal 54° Battaglione e dal 1° Battaglione del 724° Reggimento, sottoposto ad un violentissimo bombardamento
aereo, non ha scampo: il Maggiore Fannucchi raccoglie ciò che resta dei suoi plotoni lanciandosi in un ultimo tentativo.
Alla fine, soverchiati dalle preponderanti forze nemiche e investiti da una tempesta di ferro e di fuoco, i resti dei diversi reparti si ritirano e, esaurite le munizioni, si arrendono, creando un pericoloso vuoto che consente ai tedeschi di procedere con maggiore speditezza.
Ore 8.15: intanto Pharsa, già cinta d’assedio, viene occupata dai tedeschi. Spezzata la resistenza dei battaglioni di fanteria, i tedeschi investono ed accerchiano, una dopo
l’altra, la 5°, la 1° e la 3° batteria del 33° Reggimento di artiglieria, schierate a Dilinata. A questo punto i tedeschi non hanno più ostacoli sulla strada del loro principale
obiettivo: il Comando Tattico di Prokopata, dove puntano decisi.
Ore 10.00-14.00: il 910° Battaglione occupa anche Davgata, mentre quasi contemporaneamente il 1° Battaglione del 724° Reggimento cacciatori dà l’assalto a Lamia, nonostante la tenace difesa ed il violento fuoco d’artiglieria; e nonostante si trovi già a corto di munizioni, il 1° Battaglione del 724° Reggimento cacciatori prosegue l’attacco
investendo alle ore 12.00 Pharaklata. Nel frattempo il 54° battaglione ed il 3° Battaglione del 98° Reggimento riescono ad aggirare senza essere notati quota 832 metri,
e a piombare alle ore 14.00 totalmente inaspettati a Phrankata, il cui presidio è costituito da circa duecento uomini. Il Generale Gandin, rientrato al comando tattico di
Procopata, emana un nuovo ordine di operazioni, per cercare di arrestare l’avanzata nemica all’altezza dei capisaldi di Castrì, Radierà, Procopata, Razata, Passo Kolumi.
Purtroppo, ancora una volta, l’intervento dell’aviazione risulta determinante e decisivo per l’andamento della battaglia:
il 2° Battaglione, sorpreso mentre sta predisponendosi al trasferimento, viene distrutto quasi totalmente; il 3° Battaglione, contrastato da mitragliamenti e bombardamenti aerei, riesce a stendere una debole linea di difesa da Castrì a
Razata. Intanto i battaglioni tedeschi continuano ad avanzare e, dopo aver unito le proprie forze, il 910° Battaglione
ed il 1° Battaglione del 724° Reggimento cacciatori assaltano verso le ore 18.00 Pharaklata ed una serie di rilievi a sud
di quella località: in tal modo tutti gli obiettivi fissati per il 21 settembre vengono raggiunti. Il generale Gandin lascia
per ultimo Procopata per Keramies.
Ore 18.45: il generale Gandin fa partire un ennesima richiesta di aiuto, ma la comunicazione viene captata dai radiotelegrafisti del Maggiore Hirschfeld. Il Generale comprende che la situazione della Divisione Acqui è ormai disperata,
e dà le dovute disposizioni per chiudere la partita.
La potenza dell’aviazione tedesca,
punto di forza della vittoria sulle truppe italiane.
Chi era Antonio Gandin
9
Antonio Gandin, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria, Generale della Divisione Acqui, nacque ad Avezzano nel 1891. Laureato in lettere, fu Ufficiale di vasta dottrina, cultore di studi storici, di scienza e di arte. Uscito
con il grado di Sottotenente dalla Scuola Militare di Modena nel 1919 e destinato all’82° Reggimento fanteria, partecipò nel 1911 e nel 1912 in Libia alla guerra italo – turca. Promosso Tenente nel 1913, due anni dopo, con il 136°
Reggimento fanteria, partecipava alla guerra contro l’Impero austriaco. Promosso Capitano nel 1915 e Maggiore
nel 1917, dopo essersi distinto sul Piave nel 1918 come Ufficiale in servizio di Stato Maggiore di una divisione, fu
trasferito, a guerra ultimata, nel Corpo di Stato Maggiore. Disimpegnò poi importanti incarichi presso il Ministero della Guerra finché, promosso Tenente Colonnello nel 1926, fu prima al Servizio Informazioni Militare come
capo sezione e, dal 1932, insegnante alla Scuola di Guerra. Promosso Colonnello nel 1935, tenne il comando del
40° Reggimento fanteria per circa due anni, per ritornare poi nello Stato Maggiore. Dal 1° luglio 1940 fu promosso
Generale di Brigata e durante la seconda Guerra Mondiale fu una delle personalità più spiccate del Comando Supremo. Promosso Generale di Divisione nell’ottobre 1942, l’anno dopo, il 16 giugno 1943, fu nominato comandante
della Divisione Acqui. Il 24 settembre muore a Cefalonia in località S. Teodoro, presso la Casetta Rossa, fucilato dai
tedeschi insieme ad altri ufficiali.
Il Generale Antonio Gandin.
IL SACRIFICIO DELLA DIVISIONE DI FANTERIA DA MONTAGNA ACQUI
TRA CEFALONIA E KOS
La tragedia della fanteria italiana nelle Isole Greche
La resa incondizionata
22 settembre 1943
Ormai l’avanzata tedesca è divenuta inarrestabile, e la resistenza si trasforma in una lotta disperata, portata
avanti da sparuti gruppi di soldati che non intendono cedere e che impegnano il nemico in durissimi combattimenti.
La Acqui può ancora contare sui resti del 2° e 3° Battaglione del 17° Reggimento fanteria e delle tre batterie
del 33° Reggimento artiglieria, tutti duramente provati: contro di loro le tre colonne tedesche, appoggiate
dagli Stukas, provenienti da Pharsa, Dilinata e Pulata si dirigono con azione irruenta. Il gruppo di aggiramento inizia l’operazione su Argostoli, verso cui si dirige il 54° Battaglione cacciatori da montagna, avanzando via Kocolata, ed il 3° Battaglione del 98° Reggimento, avanzando via Metaxata; quest’ultima cade alle
ore 10.00, dopo essere stata strenuamente difesa dalle truppe italiane. Circa un’ora dopo le avanguardie del
3° Battaglione del 98° Reggimento entrano in Argostoli.
Ore 08:00: il 1° Battaglione del 724° Reggimento cacciatori ha preso d’assalto Razata, notevolmente fortificata e tenacemente difesa, ed il 910° Battaglione granatieri da fortezza occupa Kostantin alle ore 10:00.
Mezz’ora dopo i granatieri da fortezza giungono all’estremità meridionale della baia di Argostoli. Il Maggiore Hirschfeld, convinto che il Generale Gandin e alcuni rimasugli della Acqui si trovino ad Argostoli, vi
rivolge il grosso delle truppe. Alle ore 11:00 il 3° Battaglione del 98° Reggimento entra ad Argostoli.
Il Generale Gandin così telegrafa:
“La resistenza è divenuta impossibile. Di conseguenza al fine di evitare un ulteriore inutile spargimento di
sangue, la Divisione offre la resa”.
Ogni ulteriore resistenza è diventata ormai vana.
Ore 11:00. Dall’alto della sede del Comando viene spiegato un grande drappo bianco: il Maggiore Hirschfeld accorda la resa senza condizioni. La riunione per la resa dura circa due ore; quindi tutti gli ufficiali del
comando di divisione depongono sul tavolo del salone centrale le loro pistole, diventando da quel momento prigionieri di guerra.
Ore 16:00: espletate le ultime formalità, si ordina il lungo corteo delle automobili con in testa quella degli
ufficiali tedeschi ed in coda una vettura con militari tedeschi armati di mitragliatrici. Il corteo si dirige verso
il palazzo che ha ospitato il Comando Marina ad Argostoli. Ai prigionieri viene assegnato l’ultimo piano e
la soffitta: il Generale Gandin fa un giro d’ispezione passando in rivista, per l’ultima volta, lo sparuto avanzo
della sua gloriosa Divisione. La Battaglia di Cefalonia è finita.
Ore 22.30: il Generale Lanz comunica con un telegramma al Comando Gruppo Armate E l’avvenuta distruzione in massa della Divisione Acqui, chiedendo precisazioni circa le modalità da seguire contro il Generale Gandin, il suo Stato Maggiore e i pochi militari superstiti. La risposta arriva il giorno dopo:
“Il Generale Gandin ed i suoi comandanti responsabili devono essere immediatamente trattati in base
all’ordine del Fuhrer. Con gli altri prigionieri si può procedere in modo più mite”.
Gli Ufficiali catturati dopo la resa del 22 settembre vengono rinchiusi in parte nella ex Caserma Mussolini,
e in parte nei locali dell’ex Comando Marina .
La rappresaglia tedesca
I superstiti
23 settembre 1943
Sera: un sottufficiale tedesco avverte i prigionieri che il giorno dopo verranno trasferiti in continente per un breve interrogatorio e
che, perciò, devono preparare il grosso dei loro bagagli da inviare a casa, e trattenere solo l’indispensabile per il breve viaggio. Nella
stessa sera il Generale Lanz, d’accordo con il Maggiore Hirschfeld, ordina una corte marziale che condanna a morte il Generale
Gandin e venti suoi Ufficiali come responsabili di ammutinamento.
Ultimati i combattimenti e i massacri, rimangono ancora in mano tedesca circa cinquemila prigionieri: i
soldati rimangono smistati tra l’ex caserma Mussolini e le carceri civili di Argostoli; gli Ufficiali, oltre un
centinaio, vengono ristretti nell’ex Comando Marina.
Altri 150 – 200 militari hanno cercato rifugio presso famiglie greche, che li nascondono; altri ancora trovano riparo presso le organizzazioni partigiane attive sull’isola.
I militari, fortemente debilitati, sono vittime delle febbri malariche e della dissenteria.
Tuttavia, essi rappresentano una buona scorta di mano d’opera agli occhi del generale Lanz che ordina i trasferimenti verso l’Europa centrale, precisando che si deve avere cura che lo spazio disponibile venga sfruttato
al massimo possibile.
28 settembre 1943: il primo piroscafo, l’Ardena, carico di prigionieri oltre ogni limite di sicurezza, affonda
su una mina poco a sud di Argostoli, a 800 metri da riva. Si salvano tutti i 60 tedeschi imbarcati, ma soltanto 120 degli 840 prigionieri chiusi nelle stive.
13 ottobre 1943: un secondo piroscafo, il Margherita, viene affondato in alto mare da una mina. Muoiono
544 dei 900 prigionieri imbarcati.
13 ottobre-2 novembre 1943: riescono a raggiungere il porto di Atene altri quattro piroscafi con quasi 4.500
uomini, partiti da Argostoli;
Dicembre 1943: raggiungono il porto di Atene due motovelieri con 102 uomini.
6 gennaio 1944: terzo ed ultimo affondamento, quello del motoveliero Alma, con un numero imprecisato
di morti, certamente meno di cento.
In totale partono da Cefalonia 6.316 prigionieri: i morti durante i trasporti sono 1.264; tenendo conto dei
prigionieri affondati con l’Alma, i totali salgono a circa 6.400 e 1350. Di questi 6.400 circa 2.550 provengono da Zacinto mentre gli altri, poco meno di 4.000, da Cefalonia. Quelli che giungeranno sul continente
verranno smistati nei diversi campi di concentramento dell’Europa centrale e orientale. A Cefalonia rimane
poco più di un migliaio di prigionieri, con i quali il Comando tedesco costituisce dei reparti organizzati:
due compagnie di lavoro, alla cui testa viene posto il Capitano Tommasi e due batterie guidate dal Capitano Renzo Apollonio e dal Tenente Aldo Diamantini. A costoro si aggiunge il reparto di sloveni che erano al
seguito della Acqui in qualità di compagnia di lavoro.
Settembre 1944: le forze tedesche sgombrano Cefalonia.
I militari italiani vengono riuniti in un Raggruppamento Banditi Acqui, agli ordini del Capitano Renzo
Apollonio: forte di circa 1.300 uomini, in parte provenienti dal continente, il Raggruppamento si appoggia alla missione del governo greco e agli inglesi. Il 12 novembre il grosso del raggruppamento, armato e
inquadrato, si imbarca per l’Italia, salvo un centinaio di uomini che partono volontari per combattere sul
continente con i partigiani comunisti. In via di larga approssimazione, dei 5.000 militari della Acqui sopravvissuti alle vicende belliche del settembre 1943, meno di 3.500 sono tornati in patria.
Novembre 1944: nel momento in cui le navi attraccano alla banchina di Taranto, al Capitano Apollonio
viene consegnato dal Comandante del Presidio il seguente messaggio, inviatogli dal Ministro della Guerra,
on. Alessandro Casati: “Al Capitano Apollonio, A nome Esercito Italiano, Governo e Paese, porgo a S.V.,
ai vostri valorosi soldati della Divisione “Acqui”, il plauso riconoscente per le eroiche gesta compiute contro
secolare nemico da voi, che addito alla riconoscenza del Paese. Plaudo anche per azione svolta al fianco degli
alleati”. Un anno dopo, il 13 settembre 1945, con il Comunicato straordinario della Presidenza del Consiglio dei Ministri, fatto diramare da Ferruccio Parri, tutta la Acqui con i suoi caduti e con i suoi gloriosi
superstiti viene additata alla riconoscenza della Nazione.
24 settembre 1943
Ore 7:30: un ufficiale tedesco si presenta nell’appartamento dove sono stati rinchiusi gli Ufficiali del Comando di Divisione e
preleva il Generale Gandin. Primo fra gli Ufficiali ad essere fucilato, il Generale Gandin viene ucciso nella stessa mattinata, presso
una villa isolata, la famigerata Casetta Rossa, nelle adiacenze di San Teodoro.
Ore 8.30: non è passata neanche un’ora, e quattro autocarrette prelevano tutti gli Ufficiali rinchiusi nella palazzina della Caserma
Mussolini. Altri due mezzi portano via gli Ufficiali che si trovavano insieme al Generale. La speranza di libertà che animava gli
Ufficiali, avviatisi sulle autocarrette con un certo sollievo, si infrange mentre le vetture si addentrano nell’aperta campagna, verso
la zona deserta e rocciosa della penisola di San Teodoro. Le vetture si fermano poco distante dal faro, anch’esse davanti al cancello
della Casetta Rossa. Una decina di soldati tedeschi, con l’elmetto da combattimento e le pistole mitragliatrici, fanno scendere gli
ufficiali. Dopo averli minuziosamente depredati di ogni oggetto prezioso, li allineano a ridosso del muro di cinta della villa.
Nella tragica scena che segue, appare come volontario protagonista una nobile figura di sacerdote, il coraggioso cappellano don
Romualdo Formato, del 33° Reggimento artiglieria.
Non ha voluto abbandonare i suoi compagni, confortandoli nell’ora della morte.
Intanto continuano a giungere le autocarrette con altri gruppi di ufficiali.
Tutti, non appena scendono davanti alla casa rossa, divengono immediatamente consci del destino che li attende. Gli Ufficiali vengono condotti a circa trecento metri di distanza, su una radura declinante verso il mare dove è già pronto un plotone di esecuzione:
la carneficina è iniziata.
A quattro, a otto, a dodici per volta, senza un ordine, senza che i tedeschi si preoccupino di tenere un elenco delle loro vittime, gli
Ufficiali italiani vengono portati davanti al plotone di esecuzione. I tedeschi non hanno riguardo per nessuno, nonostante i tentativi di intercessione avanzati da parte di don Formato. Cadono così, con grande dignità, 129 Ufficiali italiani. Solo uno sparuto
numero di 37 Ufficiali, per ragioni diverse, viene risparmiato: chi mostrando una fotografia che lo ritrae vicino al Duce, chi perché
è trentino, o giuliano, chi perché si trova di fronte alla stanchezza degli stessi tedeschi, che da diverse ore uccidono senza ragione. I
superstiti, con le medesime vetture che li hanno prelevati al mattino, vengono poi trasferiti ad Argostoli e rinchiusi in alcuni locali
della ex mensa del Comando di Divisione. Sono le ore 17:00 del 24 settembre, la giornata più lunga e più drammatica della vita
dei 37 Ufficiali scampati alla carneficina.
Sera: mentre il bollettino del Comando Supremo Tedesco comunica al mondo l’annientamento della Divisione italiana Acqui, la
notizia delle fucilazioni a San Teodoro si sparge nella città di Argostoli, e la sera qualcuno la fa arrivare anche al 37° Ospedale da
campo dove si trovano ancora undici Ufficiali ricoverati.
25 settembre 1943
Notte fra il 24 ed il 25 settembre: fuggono dal 37° Ospedale, attraverso una breccia del muro di cinta, il Capitano Mario Bianchi
e il Tenente Edgardo Benedetti, entrambi della 10° compagnia del 17° Reggimento fanteria, della quale il Capitano era il comandante.
Mattina del 25 settembre: i Tedeschi, scoperta la fuga sin dal primo mattino, prelevano per rappresaglia sette dei nove ufficiali ricoverati e li portano a San Teodoro, dove vengono barbaramente fucilati. Tra di essi il Maggiore Federico Filippini, comandante
del Genio divisionale. Con questa esecuzione il numero degli Ufficiali uccisi della Divisione Acqui sale a 325, di cui 136 fucilati
alla Casetta Rossa nei giorni 24 e 25 settembre, e 189 uccisi immediatamente dopo i combattimenti. Con i 65 Ufficiali caduti
durante la battaglia, le perdite complessive salgono a 390 Ufficiali su 525 presenti l’8 settembre nei quadri della Acqui nell’isola
di Cefalonia.Terminata l’esecuzione degli Ufficiali, i cappellani militari presenti nell’isola cercano in ogni modo di dare sepoltura
alle salme dei caduti, ottenendo sempre un tassativo diniego: è chiaro il desiderio, da parte tedesca, di occultare il misfatto. In qualche caso i tedeschi provvedono a coprire le salme facendo brillare delle mine nei pressi dei luoghi di esecuzione; mentre, per quelle
abbandonate all’aperto, fanno ricorso al fuoco, dopo averle cosparse di benzina. Ma non tutte le salme subiscono questa sorte: per
i corpi degli ufficiali fucilati il 24 mattina a San Teodoro, presso la Casetta Rossa, si fa in modo di riesumarli di notte e quindi,
appositamente zavorrati, di disperderli nel mare al largo dell’isola di Vardiani, all’ingresso del porto di Argostoli.
I tedeschi assumono il comando dell’isola.
Cefalonia. Capo S. Teodoro.
Uno scorcio della “Casetta Rossa”, luogo dell’eccidio.
10
Padre Romualdo Formato,
cappellano militare della Divisione Acqui.
Cefalonia. La rotta delle navi in partenza dall’isola verso l’Italia.
Un Raggruppamento Banditi Acqui
prende parte ad una commemorazione dei caduti.
Cefalonia. Cadaveri di militari uccisi giacciono insepolti sull’isola.
Cefalonia. Un mucchio di cadaveri giace insepolto sull’isola.
Cefalonia. Cimitero italiano di Argostoli.
LA TRAGEDIA DI KOS: IL 10° REGGIMENTO FANTERIA REGINA
TRA CEFALONIA E KOS
La tragedia della fanteria italiana nelle Isole Greche
LE VICENDE DEL 10° REGGIMENTO FANTERIA “REGINA”
Il 10° Reggimento fanteria Regina fu costituito l’8 aprile 1734, per essere sciolto il 16 novembre 1943 nell’isola di Lero in Grecia. Motto:”Sicut te candidi
candidissima Regina”
Festeggia i combattimenti di Bosco Cappuccio del 29 giugno 1916, dove guadagnò la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Decorato di Ordine Militare d’Italia, due Medaglie d’Oro, una Medaglia d’Argento e due di Bronzo al Valor
Militare.
Le sue vicende sono legate alla storia della 50a Divisione di fanteria “Regina”,
che trae origine dalla Brigata “Regina” costituita il 25 ottobre 1831, con alle
dipendenze organiche il 1° e il 2° Reggimento fanteria dell’Esercito Sardo, e che
fu sciolta nel 1871. In esecuzione della legge 11 marzo 1926 sull’ordinamento
dell’esercito, assume il numero ordinativo di XXIII Brigata di Fanteria e assume
alle dipendenze, oltre al 9° e al 10°, anche il 47° Reggimento fanteria della disciolta Brigata Ferrara. Successivamente la XXIII Brigata e il 14° Reggimento artiglieria divisionale entrano a
far parte della Divisione Militare Territoriale di Bari (23a) e nel 1934 assume, per estensione, il nominativo
di Brigata di Fanteria delle Murge (XXIII), allorché tale nominativo viene attribuito alla Divisione Militare
Territoriale di Bari. Nel 1938 la Brigata delle Murge (XXIII) trasferisce il 9° e il 10° Reggimento fanteria
Regina che entrano a far parte del Comando Truppe delle Isole Italiane dell’Egeo e assume alle proprie dipendenze, oltre al 47° Fanteria già in forze, anche il ricostituito 48° Reggimento fanteria. Perde così, da tale
data, la fisionomia di erede della Brigata Regina che viene trasferita al Comando Truppe delle Isole Italiane
dell’Egeo, e acquista, sia pure sotto altro nome, quella di continuatrice delle tradizioni della Brigata Ferrara.
Il 1° marzo 1939 il Comando Truppe Regio Esercito delle Isole Italiane dell’Egeo - che fino all’ottobre 1935
coincideva con quello del 9° Reggimento fanteria Regina, ivi dislocato dal 1924, e in coincidenza con la
guerra d’Etiopia era diventato un comando a livello brigata (9° e 34° Reggimento Fanteria, 28° Reggimento
Artiglieria per Divisione di fanteria) - si trasforma nella 50° Divisione di Fanteria “Regina” ed inquadra il 9°
e 10° Reggimento fanteria ed il 50° Reggimento artiglieria divisionale.
1940 – 1943. Alla Divisione vengono assegnati la 201a Legione
CC.NN. e il CCCXII Battaglione Carri. La Grande Unità svolge un
ruolo di guarnigione permanente nelle isole del Dodecaneso, ripartita in numerosi distaccamenti: Rodi, Lero, Kos, Scarpanto, Caso,
Calino, Castelrosso, Stampalia, Patmo e Gaidaro oltre a molte isole
minori, assicurandone la difesa.
Nel mese di marzo 1941 il 10° Reggimento, con il IV Battaglione,
ha l’incarico di rioccupare l’isola di Castelrosso caduta nelle mani di
un corpo da sbarco inglese, recuperando così, in mano italiana, un
fondamentale punto strategico. Nel corso delle operazioni congiunte
italo -tedesche in Grecia, ai primi di maggio alcune unità del 10° Reggimento fanteria, partite da Kos,
occupano le isole di Amorgo, Anafe, Io, Tera, Nasso, Paro, Andrò, Tino, Termia, Zea, Serfanto, Sira,
Mikonos, Samo, Icaria e gli isolotti viciniori. Un raggruppamento tattico composto di due Battaglioni
di fanteria (il I/9° e il II/10°), la 3a Compagnia carri L del CCCXII Battaglione carri, una batteria da
65/17 e una Compagnia controcarro del 9° Reggimento fanteria parte da Rodi e sbarca nella baia di
Seteia e dopo essere avanzato per circa 50 km si congiunge con le truppe tedesche nella zona di Hierapetra il 1° giugno. Nel periodo tra il 1942 e il 1943 continua la difesa costiera e territoriale delle isole
del Dodecaneso fino agli eventi del settembre 1943. Due plotoni e una sezione cannoni, sull’isola di
Kos, resisteranno agli attacchi dei tedeschi fino al 4 ottobre e il III battaglione del 10° Reggimento,
con una batteria cannoni e una compagnia carri, difenderà Lero fino al 16 novembre. Alcuni elementi
dei reparti CC.NN. si affiancarono ai tedeschi al momento dell’invasione di Rodi.
La 50° Divisione di Fanteria Regina viene considerata disciolta nel Dodecaneso alla data dell’11 settembre
1943 in conseguenza dei fatti che determinarono l’armistizio.
Le insegne della Divisione Regina sono state ereditate dal 9° Reggimento di Fanteria “Bari”, reggimento di
antiche tradizioni, che si compone di un comando di reggimento, una compagnia di supporto logistico ed
un battaglione meccanizzato, pedina operativa dell’unità.
Alimentato con personale volontario, il reggimento è di stanza a Trani.
La Bandiera di Guerra è decorata di un Ordine Militare d’Italia, due Medaglie d’Oro, una Medaglia d’Argento e una Medaglia di Bronzo al Valor Militare e una Medaglia d’Argento di Benemerenza. La festa del
reggimento cade il 24 ottobre, anniversario del combattimento di San Michele del Carso (1915).
Alla data dell’armistizio, il 10° Reggimento Fanteria era così strutturato:
11
- I Battaglione
Compagnia Mortai
- II Battaglione
- III Battaglione
9a Compagnia
10a Compagnia
12a Compagnia
- V Battaglione
1a Compagnia Mortai da 81
2a Compagnia Mortai da 81
- Batteria accompagnamento
- 17a Compagnia Fucilieri
- Compagnia Mitraglieri del 10°
UN TENENTE DEL 10° REGGIMENTO FANTERIA “REGINA”
GUERRINO DEL VECCHIO, DA KOS ALLA LINEA GUSTAV
Alle vicende del 10° Reggimento Fanteria, e all’assetto militare nelle isole dell’Egeo, sono strettamente legate le sorti di un giovane ufficiale della
provincia di Latina, Guerrino Del Vecchio. Guerrino, figlio di Vincenzo
e di Vozzolo Giovanna, è nato il 2 dicembre 1917 a Castelforte: nominato
aspirante Ufficiale di complemento nell’arma di fanteria, ed assegnato al 10°
Fanteria per il servizio di prima nomina, sbarca sull’isola di Kos il 29 aprile
1939. Pochi giorni dopo, il 2 maggio, presta giuramento di fedeltà proprio
su questa isola. Dopo una prima licenza speciale di 30 giorni concessagli
il 30 settembre 1941, che lo vedrà sbarcare di ritorno a Rodi soltanto il 21
novembre dello stesso anno, partirà nuovamente via aerea da Rodi, per una
seconda licenza speciale di 30 giorni, il 5 agosto 1943. Quella che gli è stata
concessa è una licenza di esami, ma nel frattempo il comando del 10° Reggimento Fanteria gli accorda una proroga di 15 giorni per motivi di salute.
Al momento della dichiarazione dell’armistizio, Guerrino Del Vecchio si trova a Castelforte: nonostante
la licenza non sia ancora scaduta, la mattina del 10 settembre in abito borghese si avvia verso il territorio
occupato dagli alleati, ma a Sessa Aurunca viene fermato dai tedeschi e condotto nei pressi della centrale
elettrica di Suio, sul Garigliano, e costretto a lavorare. Dopo cinque giorni, eludendo la vigilanza, riesce a
trovare rifugio sulle montagne di Castelforte, in località Ruffiano, dove i primi giorni di ottobre ha modo
di incontrarsi con il Tenente Colonnello dello Stato Maggiore Giuseppe Aloia e con il Maggiore Antonio
Testa, tutti del luogo, e provenienti rispettivamente da Roma e da Milano.
Il 2 novembre i tre militari tentano di passare le linee, ma vengono
catturati dai tedeschi e condotti a lavorare nelle vicinanze di Coreno. Guerrino riesce nuovamente a liberarsi, torna a Ruffiano ma
poi, per sottrarsi alla pressione dei movimenti tedeschi, ripara nella località Tralli. Nei pressi di Castelforte rimane dal 27 dicembre
1943 al 7 febbraio 1944, giorno in cui la zona verrà liberata dagli
alleati. Nella stessa giornata raggiunge Sessa Aurunca per presentarsi al Comando alleato, che lo invia verso l’interno. Con mezzi
di fortuna, il 14 febbraio si presenta a Napoli al Comando Militare
Italiano delle Forze Armate della Campania, da dove parte due giorni dopo per raggiungere Lecce, il 17
febbraio. Da Lecce, il 23 dello stesso mese raggiunge il Comando Campi di riordinamento di Galatina,
per essere assegnato al 1° Raggruppamento. Nel mese di giugno 1944 passerà al 221° Reggimento fanteria,
poi al 571°, per essere infine trasferito al Deposito 47° Fanteria di Lecce nella posizione di inviato in licenza
straordinaria senza assegni. Il 14 dicembre 1944 viene collocato in congedo.
Per avere partecipato alle Campagne di guerra dal 1940 al 1943, con determinazioni del Comando Militare
Territoriale di Roma verranno concesse a Guerrino Del Vecchio nel 1949 ben tre croci al merito di guerra.
Con provvedimento n. 177 del 7 marzo 1959, del Comando Distretto militare di Latina, verrà autorizzato
a fregiarsi del distintivo del periodo bellico 1940-1943, istituito con D.P.R. 17 novembre 1948, n. 1590.
Successivamente, con provvedimento n. 582 del 18 luglio 1973, ancora il Comando Distretto militare di
Latina lo autorizzerà a fregiarsi del distintivo della guerra di liberazione, istituito con il medesimo D.P.R.
n. 1590 del 1948.
LA TRAGEDIA DI KOS: LA BATTAGLIA E L’UCCISIONE DEGLI UFFICIALI ITALIANI
La battaglia di Kos
3 ottobre 1943
Ore 3.30 del mattino: una forza da sbarco tedesca comandata dal generale
Friedrich Wilhelm Muller, composta dalla 22° Divisione di fanteria proveniente da Creta e da altri reparti provenienti dalle isole Cicladi e da Atene,
sbarca in tre punti diversi dell’isola di Kos, difesa da circa 4000 italiani e
poco meno di 2000 inglesi. L’isola è presidiata dal 10° Reggimento fanteria
“Regina”, con due battaglioni, il 2° ed il 3°, al comando del colonnello Felice Leggio che svolge anche le funzioni di comandante dell’isola, mentre il
1° battaglione è di stanza a Lero.
TRA CEFALONIA E KOS
La tragedia della fanteria italiana nelle Isole Greche
Riproduzione cartografica dell’isola di Kos
con l’indicazione delle principali località.
12
L’isola è strategicamente divisa in due settori:
Primo settore, Kos, al comando del Tenente Colonnello Francesco Bonserio;
Secondo settore, Antimachia, al comando del Tenente Colonnello Castrogiovanni.
I movimenti britannici in Egeo, protrattisi per tutto il mese di settembre, hanno procurato forte allarme presso
il Comando delle forze armate tedesche di stanza ad Atene. Il Comandante, Feldmaresciallo Weichs, ordina al
generale Muller di procedere immediatamente alla conquista di Kos e Lero. L’operazione, denominata EISBAR
(Orso Polare), ha inizio il 1° ottobre. I reparti prescelti vengono imbarcati sui piroscafi nel Pireo e nei porti di
Creta, Eraklion e Suda. La partenza avviene in serata. Il convoglio si riunisce il mattino successivo, 2 ottobre,
a nord delle isole Cicladi dove vengono effettuate prove di sbarco con i mezzi anfibi. La navigazione riprende
subito dopo, ma per evitare che il convoglio venga rilevato nella sua entità, si divide in due tronconi: uno diretto a nord est, verso l’isola di Ikaria, l’altro a est, verso Rodi. Nella notte tra il 2 e il 3 ottobre i due gruppi navali
virano per confluire dietro l’isola di Pserino che dista cinque chilometri da Kos. Un violento nubifragio sembra
ritardare o rimandare l’operazione ma, con il susseguirsi delle ore, le condizioni del mare migliorano gradatamente e il piano di azione viene attuato, come previsto, con la massima efficacia. Il convoglio non è passato
inosservato. Al comando britannico di Kos, alle ore 3:00 del 3 ottobre 1943, viene segnalato l’avvistamento nel
pomeriggio precedente di un convoglio nemico composto da tre piroscafi e navi di scorta diretto verso Rodi. Il
colonnello Kenyon, commettendo un grave errore, sottovaluta l’episodio. Quando la stazione di vedetta della
Marina di Calino comunica a Lero la presenza di un convoglio navale davanti a quell’isola, Kos è ormai sotto
attacco. In brevissimo tempo le forze tedesche, prima nel settore nord orientale, difeso dal 1° battaglione, e
pressoché contestualmente nella parte occidentale dell’isola, presidiata dal 2° battaglione, riescono a sopraffare
sia le difese italiane sia le truppe inglesi, che aspettano invano i rinforzi promessi dal Cairo. Il mancato coordinamento tra inglesi ed italiani, la mancata copertura aerea della RAF, la carenza di pezzi antiaerei pesanti
e di mezzi di trasporto sono le principali cause della rapidissima sconfitta. Il giorno dopo, 4 ottobre, l’isola
è praticamente in mano tedesca. Le forze italiane oppongono in alcuni settori una strenua resistenza, come a
Kefalos, ma lo sbandamento generale, unitamente ad altri gravi episodi, quali il passaggio ai tedeschi della 62°
batteria comandata dal capitano Nasca nell’aeroporto di Antimachia, contribuiscono notevolmente al successo tattico dei tedeschi. A Kos vengono catturati 1388 inglesi e 3145 italiani.
L’UCCISIONE DEGLI UFFICIALI ITALIANI
5-7 OTTOBRE 1943
In base all’ordine del Comando Supremo dell’Esercito tedesco, emanato in data 21 settembre, viene decisa la liquidazione degli ufficiali
italiani che vengono segregati presso una caserma a Linopoti. Nei giorni successivi agli scontri armati, tra il 4 ed il 7 ottobre, questi uomini inermi vengono a piccoli gruppi condotti verso il porto e massacrati a tradimento dai tedeschi. 103 ufficiali del 10° Reggimento
di Fanteria “Regina” vengono barbaramente uccisi dai militari della Wehrmacht. Di questi, 66 corpi verranno ritrovati in diverse fosse
a Ciflicà, nei pressi di Linopoti, ma solo 37 potranno essere identificati. Le salme ricuperate verranno traslate dapprima nel cimitero
cattolico della città e, quindi, nel Sacrario Militare di Bari. Gli altri corpi non sono mai stati ritrovati né, da allora, si è tentato di cercarli
sebbene si conosca la zona da scandagliare.
1. Anselmi Antonio - Tenente - Enna 2. Ardito Luigi – Sottotenente - Lucera
3. Aresu Giorgio - Sottotenente - Cagliari
4. Arrigo Filippo - Sottotenente
5. Auricchio Gennaro - Sottotenente - Napoli
6. Azzaro Francesco - Sottotenente - Giarratana (RG)
7. Baldacchino Carlo - T. Colonnello - Rivoli (TO)
8. Battegazzone Andrea - Sottotenente - Tortona (AL)
9. Bellomo Franco - Sottotenente 10.Bianca Ennio - Sottotenente - Siracusa
11.Brignone Raffaele - Sottotenente - Lampedusa
12.Bondanelli Gino - Sottotenente - Argenta (FE)
13.Bonelli Fernando – Sottotenente - Roma
14.Bonserio Francesco - T. Colonnello - Trieste
15.Boschi Aldo - Capitano - Roma
16.Bosio Francesco - Sottotenente - Brescia 17.Bosna Alfredo - Sottotenente
18.Bruatti Fortunato – Sottotenente - Milano
19.Burana Egidio – Capitano - Gazzola (PC)
20.Busi Luciano - Sottotenente
21.Cacciari Camillo – Tenente - Imola (BO) 22.Caminiti Nicola - Sottotenente - Crotone
23.Capecchi Giuseppe - Sottotenente - Pistoia 24.Capparuccia Filippo, Tenente, Benevento 25.Cappelli Vincenzo Andrea - Tenente 26.Cardinale Vincenzo - Tenente - Arenabianca (SA) 27.Casella Mario - Sottotenente
28.Carrieri Aldo - Sottotenente - Catanzaro
29.Caruso Giuseppe - Sottotenente - Misterbianco (CT) 30.Castrogiovanni Vincenzo - T. Colonnello - Palermo
31.Citro Salvatore - Tenente - Napoli
32.Colaprico Leonardo – Tenente - Putignano (BA) 33.Colussi Giovanni Battista - Capitano - Giarre (CT) 34.Comotti Ugo - Sottotenente
35.Corazza Salvatore - Tenente - Giave (SS) 36.Costadoni Mario - Capitano - Frosinone 37.Custodero Francesco - Sottotenente - Monopoli (BA) 38.Dal Cauto Ivan - Sottotenente - Volterra (PI) 39.D’Alessandro Ettore - Tenente - Pescina (AQ) 40.D’Amore Michele - Sottotenente
41.Di Tommaso Antonio - Tenente - Bari 42.De Flaviis Ettore - Capitano - Mosciano (TE) 43.De Giovanni Francesco - Tenente - Napoli 44.De Sanctis Alessandro - Sottotenente - Giussano (MI) 45.Elefante Gioacchino - Sottotenente
46.Esposito Gennaro - Sottotenente
47.Falaschi Olimpio - Maresciallo Carabinieri - Bastia (PG) 48.Ferrera Pietro - Sottotenente - Lombardore (TO) 49.Fladino Matteo - Sottotenente - Motta M. Corvino (FG) 50.Fiorentini Aldo - Capitano - Aulla per Monti (Apuania) 51.Fossati Bernardino - Sottotenente
52.Frezza Giuseppe - Sottotenente
53.La Battaglia Ivo - Sottotenente - Rotondella (MT)
54.Leggio Felice - Colonnello di Fanteria - Ragusa
55.Lettieri Antonio - Tenente - Terni
56.Limandri Vincenzo - Capitano - Palermo 57.Lo Piano Francesco - Sottotenente - Irsina (MT)
58.Lo Russo Michele - Sottotenente - Andria (BA)
59.Lupone Federico - Tenente
60.Mainardis Mariano - Sottotenente
61.Mariani Enzo - Sottotenente
62.Mancini Giovanni - Sottotenente - Serramonacesca (PE)
63.Marino Prospero - Sottotenente
64.Maltoni Domenico - Sottotenente
65.Marrongiu Alberto - Tenente - Roma
66.Menegatti Gino - Tenente - Roma
67.Mastrogiovanni Antonio - Sottotenente
68.Monachesi Remo - Sottotenente
69.Musicori Imer - Sottotenente
70.Nocera Gaspare - Sottotenente - Roma
71.Oliveri Giovanni - Capitano - Roma
72.Paola Luigi - Maggiore - Montechiari (AT)
73.Petruni Domenico - Sottotenente
74.Picardi Luigi -Tenente - Napoli
75.Pinto Vincenzo - Sottotenente - Bagnoli - (NA)
76.Pizzicaroli Luigi - Tenente
77.Poggiani Pietro - Sottotenente
78.Quaranta Pietro - Sottotenente
79.Rea Eleuterio - Sottotenente
80.Rizzoli Guido - Capitano - Bologna
81.Rossi Raffaele - Sottotenente
82.Rotella Francesco - Tenente - Sella Marina (CZ)
83.Rovelli Giuseppe - Capitano - Monza (MI)
84.Sardelli Mario - Tenente - San Giovanni al Natisone (UD)
85.Scarvaglieri Vito - Tenente - Catania
86.Scotti Emilio - Capitano - Milano
87.Silvestri Bruno - Tenente - Roma
88.Simone Riccardo - Maggiore - Gravina di Puglia (BA)
89.Somaini Giovanni - Sottotenente
90.Stracuzzi Cesare - Sottotenente - Messina
91.Talbi Vincenzo - Sottotenente
92.Trinastich Giovanni - Tenente - Foggia
93.Terruggia Giovanni - Capitano - Milano
94.Vagliasindi Gaetano - Sottotenente - Randazzo (CT)
95.Valletta Francesco - Sottotenente - Genova
96.Velasquez Angelo - Tenente - Manfredonia (FG)
97.Vezzosi Filippo - Sottotenente
98.Viti Livio – Sottotenente
99.Zaddei Carlo - Tenente - Napoli
100. Zaffagnini Enrico - Capitano - Roma
Le vicende giudiziarie, i silenzi delle autorità
Del triste avvenimento non si era mai parlato in Italia fino a quando il giornalista
Franco Giustolisi lo ha citato nel suo libro L’armadio della Vergogna, allorché venne scoperto presso la Procura Militare di Roma un armadio contenente 695 fascicoli
relativi ad altrettante denunce presentate da cittadini italiani alle autorità giudiziarie, indagini svolte dagli organi di polizia e relazioni di commissioni d’inchiesta
anglo-americane sui crimini di guerra nazifascisti susseguenti l’armistizio del settembre 1943. Essi avrebbero dovuto essere distribuiti ai magistrati militari dei territori
di competenza ove quei delitti furono compiuti. L’armadio viene aperto nel maggio
1994, quando il magistrato militare Antonio Intelisano intima alla Procura Generale
militare la ricerca dei documenti relativi ad Erich Priebke. Uno di quei fascicoli riguarda appunto Friedrich Wilhelm Muller, a seguito della presentazione di due denunce: quella di Luigi Re, in servizio a Lero all’epoca dei fatti, e quella presentata dal
suocero del sottotenente Antonio Anselmi, ucciso a Kos. Il generale Muller, catturato
dai greci nel 1945, ricevette sei condanne alla pena di morte, che fu eseguita nel 1947.
La stessa sorte toccò il generale Brauer, suo vice. Nel libro Kos, una tragedia dimenticata, Pietro Giovanni Liuzzi amaramente considera: “I reduci italiani del Dodecaneso che conobbero le atrocità messe in atto in quelle isole dalle forze di occupazione
germanica ed i familiari dei caduti devono ringraziare la magistratura greca se alcuni
responsabili di quel terrore furono processati e condannati. Quei pochi che furono
sottoposti a giudizio dalla magistratura italiana, come il generale Otto Wagener, benché condannati a pene da 9 a 15 anni, furono poi graziati e consegnati alle autorità
tedesche per intercessione del Vaticano ed in occasione della visita in Italia del presidente Adenauer consentendo loro di godere, da allora, una immeritata libertà.” Per
anni i Reduci dell’Egeo si sono impegnati a che le Istituzioni Governative inserissero
negli itinerari dei Luoghi della Memoria anche l’isola di Kos.
Oggi, a seguito dello scioglimento dell’Associazione dei Reduci dell’Egeo per l’avanzata età degli iscritti, un gruppo di volontari italiani e greci si sta impegnando perché
i Caduti di Kos siano ricordati con la dovuta dignità e il loro sacrificio non resti avviluppato nell’oblio. La Lapide Monumentale nel Cimitero Cattolico, edificata nel
1992 per volontà e con il contributo dei Reduci dell’Egeo e della Municipalità di Kos,
riporta i nomi in ordine alfabetico degli ufficiali italiani fucilati. La piccola lapide alla
base del Monumento fu posta nel 2002 da padre R. Horst Droshin e vi si legge: “Pietosamente piangiamo gli ufficiali fucilati dai nazisti”.
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