La nuova attualità del “diritto naturale”

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La nuova attualità del “diritto naturale”
Markus Krienke (Lugano)
“[E]st lex iustorum iniustorumque distinctio, ad illam antiquissimam et rerum
omnium principem expressa naturam, ad quam leges hominum diriguntur”1.
“I tempi del diritto naturale non sono passati, essi sono sempre, anche ora”2.
1. Il documento della Commissione Teologica Internazionale e alla vigilia della nuova enciclica sociale
In occasione della recente pubblicazione del documento Alla ricerca di un’etica universale: Nuovo
sguardo sulla Legge naturale della Commissione Teologica Internazionale3, e alla vigilia della
nuova enciclica sociale di Benedetto XVI, il presente contributo s’interroga dal punto di vista metodologico sia della “filosofia cristiana” che dell’ “etica sociale cristiana” sul contributo che il “diritto
naturale oggi” possa fornire a quel discorso interdisciplinare tra giurisprudenza, filosofia e teologia
sui fondamenti e presupposti dell’ordinamento della convivenza umana – non solo a livello nazionale e continentale ma anche mondiale. Infatti, la “mondializzazione” viene menzionata dallo stesso
documento come il punto di partenza di una nuova attualità della stessa “legge naturale”4, in quanto
“linguaggio etico comune” (n° 4) con il quale solo possiamo aspettarci dei progressi via possibili
soluzioni per i problemi del rispetto della dignità umana a tutti i livelli (politico, giuridico, bioetico,
ambientale, culturale ecc.): “La Chiesa cattolica, consapevole della necessità per gli uomini di ricercare in comune le regole di un vivere insieme nella giustizia e nella pace, desidera condividere con
le religioni, le sapienze e le filosofie del nostro tempo le risorse del concetto di legge naturale” (n°
113).
Come lo stesso testo analizzato in questo primo punto dell’indagine informa, esso è il frutto di un
processo pluriennale di dibattiti e consultazioni all’interno della Commissione Teologica Interna1
Cicerone, De Legibus, II, 5, 13.
K. Bergbohm, Jurisprudenz und Rechtsphilosophie. Kritische Abhandlungen, vol. 1: Einleitung – Erste Abhandlung:
das Naturrecht der Gegenwart, Leipzig 1892, IX; cfr. 111. Ed aggiunge, significativamente: “[d]ipende semplicemente
che cosa si intende con diritto naturale“ (ibid. IX). Per la contestualizzazione di questa citazione si consideri che questo
scritto di Bergbohm costituisce una delle critiche più radicali e aggressive al “diritto naturale” mai pubblicate.
3
Cfr. Commissione teologica internazionale, Alla ricerca di un etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale,
in: La Civiltà Cattolica 160 (2009) 341-398; http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/
rc_con_cfaith_doc_20090520_legge-naturale_it.html (24.06.2009).
4
In generale, il presente trattato utilizzerà il termine “diritto naturale”. In questo primo paragrafo, per mantenere la coerenza con il documento della Commissione Teologica Internazionale, viene però utilizzato il concetto “legge naturale”.
Entrambi i termini sono intesi, all’interno di questa indagine, come equivalenti. Per un ragionamento più approfondito
sui due concetti cfr. sotto la nota 16.
2
1
zionale, che a sua volta approvò la sua forma definitiva all’inizio del dicembre del 2008. Dopo che
Papa Benedetto XVI “ha fatto […] della legge naturale uno degli assi portanti del suo insegnamento”5, il recente documento intende gettare un “nuovo sguardo” sul diritto. Un tale sguardo, qualora
intende inserirsi nei dibattiti attuali e fornire uno sguardo rilevante per il XXI secolo, deve partire
dai “diritti dell’uomo” – “uno dei più bei successi della storia moderna” (n° 5)6. Questa premessa
metodologica impedisce il ritorno ad un diritto naturale che sia identificato con la morale – soluzione neoscolastica ed hegeliana –, e si istaura perciò al livello dell’ “etica sociale” che riconosce come
suo centro e criterio la persona umana in quanto dotato di dignità inalienabile7. La prospettiva dei
“diritti dell’uomo” non solo respinge idee di un ‘regionalismo’ o ‘particolarismo’ morale, ma contemporaneamente rigetta anche l’identificazione dell’universalità dei “diritti dell’uomo” con una
concezione razional-positivistica di diritto (n° 7). Per la realizzazione di tale compito viene individuata la “legge naturale” come l’unica istanza adatta e perciò viene tentato una riproposizione attuale e nuova presentazione della sistematica di San Tommaso (n° 44-54). Per evitare qualsiasi interpretazione neoscolastica-aristotelizzante della “legge naturale” in San Tommaso, quindi contro i rischi sia naturalistici che razionalisti della sua interpretazione, il documento della Commissione Teologica Internazionale evidenzia innanzitutto il carattere “relazionale” della “legge naturale” la quale
viene interpretata quindi meno in riferimento alla “sostanzialità” boeziana dell’uomo quanto piuttosto alla “dignità” e “libertà morale” dell’uomo nelle sue relazionalità ontologicamente fondate. La
“legge naturale” ne esprime, in tale quadro, il momento normativo imprescindibile affinché tali relazionalità rispecchiano il loro criterio quale la “dignità dell’uomo”.
Ovviamente, una declinazione puramente razional-astratta di tale dignità non consente di tematizzare la persona come “diritto sussistente” (Rosmini) ossia attraverso il suo momento relazionale. Di
tale carattere sono non solo le concezioni razionaliste della “legge naturale”, ma persino la morale
casistica della “pura deduzione” (n° 54). Contrariamente a tali metodi razional-costruttivi, il diritto
naturale non si basa né sul momento autocostituivo della razionalità né sulla concezione di una naturalità fisicistica, ma segue il metodo di “osservazione” (n° 61, 113): infatti, è San Tommaso stesso
che delinea l’osservazione delle inclinazioni o tensioni naturali veri e propri dell’uomo e le individua nei tre momenti centrali (1) di esistenza, (2) di riproduzione e (3) di conoscenza e società, nel
loro ordinamento verso Dio (n° 46). Possiamo specificare questi tre “dinamismi naturali” – chiamati
5
S.-T. Bonino, Riflessioni sul documento della Commissione Teologica Internazionale. Etica e legge naturale
s’incontrano in una Parola, in: L’Osservatore Romano del 10.06.2009.
6
Anche se lo stesso paragrafo menziona anche i limiti di tale concezione, quali (1) una carenza di accettazione ed efficaciaa e (2) una crescente giuridicizzazione e quindi svalutazione dei rapporti umani ed internazionali.
7
Cfr. GS 25.
2
da San Tommaso “inclinazioni” – in una triplice relazionalità8: verso sé (esistenza), verso gli altri
(riproduzione) e verso Dio (conoscenza della verità su Dio e vivere in società). Dalle tre “costanti
antropologiche” (n° 61), che sono allo stesso tempo strutture finalistiche e in quanto tali non ‘naturalisticamente’ riducibili (n° 64-66, 79, 81)9, l’esistenzialità oggi ci sembra l’elemento più comune,
soprattutto perché può essere considerato il nucleo dei diritti fondamentali liberal-negativi. Che la
relazionalità agli altri viene basata sulla “riproduzione” ci sembra già meno familiare. Infatti, per la
visione cristiana di considerare le relazionalità su una base personal-ontologica, la relazionalità agli
altri ha la sua radice più profonda nel fatto che l’uomo deve la sua esistenza ad altri nel momenti
della nascita; la famiglia, di conseguenza, viene considerata il primo nucleo della società. La terza
relazionalità, nella sistematica di S. Tommaso, ossia quella della società, invece, non si riferisce alla
società nazionale ma su quel legame personale tra gli uomini per cui uomini che appunto non sono
connessi attraverso legami di sangue, si trovano in un rapporto di solidarietà. Questa solidarietà, appunto perché prende la sua misura nel fatto che gli uomini sono ontologicamente – nel loro conoscere e nel loro vivere socialmente – indirizzati verso Dio, è di respiro universale e fonda un legame
universale, invisibile tra tutti – appunto quello della solidarietà universale. Esso trova la sua ultima
base nel fatto che l’uomo è ontologicamente (non ancora: religiosamente) dotato di una relazionalità, che si evince una dimensione che abbraccia anche gli altri due tipi di relazionalità: quella di tipo
‘generazionale’ della famiglia e quella di tipo ‘identificatorio’ con sé stesso10. Nella loro sintesi gerarchica, queste tre dimensioni formano quel nucleo che non può essere sciolto nelle strutture sociali. In altre parole, la società si costituisce su un criterio che le è sottratto: sulla dignità umana che essa deve rispettare proprio per potersi giustificare come società.
Da queste osservazioni, che rispecchiano senz’altro un’interpretazione che oltrepassa il testo ma che
si giustifica concettualmente a partire dalla sua sistematica, possiamo dedurre tre ragionamenti. (1)
È precisamente la realtà di queste relazionalità dove “nasce la libertà” dell’uomo (n° 77). Libertà in
chiave di tali relazionalità, quindi un concetto di “libertà morale” che il documento propone e nella
quale vede realizzarsi la “legge naturale”.
(2) Il secondo ragionamento si intravvede negli ultimi paragrafi di Alla ricerca di un’etica universale: tutta la socialità umana non è fine a sé (non è “possessore del senso ultimo”; n° 95) ma deve la8
Questa interpretazione troviamo promossa dal n° 51 del documento: “A queste tendenze specifiche dell’uomo corrisponde l’esigenza avvertita della ragione di realizzare concretamente questa vita di relazione e di costruire la vita in società su basi giuste che corrispondano al diritto naturale”.
9
Significativamente, l’apertura della ‘natura’ greca verso una struttura relazionale-finalistica è stata resa possibile per la
concezione del Dio trascendente del cristianesimo: “Con il cristianesimo, la physis degli antichi è ripensata e integrata
in una visione più ampia e più profonda della realtà” (n° 66; cfr., in riferimento al “Logos impersonale e immanente”
dello stoicismo, n° 69).
10
Infatti, “famiglia” e “umanità” vengono segnalate come i due estremi dei “cerchi concentrici” che descrivono le relazionalità umane, ossia il cerchio più stretto e quello più largo cfr. (n° 84, 115).
3
sciare lo spazio alla ricerca umana di proprio quel senso e fine ultimo al quale è indirizzato la persona11. Perciò esso si basa su una fondamentale “distinzione” dall’ambito religioso che esso deve
garantire e rispettare. Solo una tale distinzione, così il documento, riesce a preservare la società dal
pericolo delle ideologie (n° 98). Proprio per esprimere questa distinzione, viene profilato dal documento la “legge naturale” – e con questo passaggio si conosce palesemente che si presenta come
una “legge naturale” critica ed attuale: “La legge naturale che è la base dell’ordine sociale e politico
esige un’adesione non di fede ma di ragione” (n° 99).
(3) Da questa sistematica, si può evincere perché il rapporto dell’ “etica sociale cristiana” al liberalismo moderno non è più quello di rifiuto bensì si è mutato nell’intenzione di affermarlo in quella
dimensione che difende la dignità umana negativamente contro le tendenze invasive da parte della
società e dello Stato. Il documento concretizza questo momento esplicitamente negli argomenti della protezione della vita e dei diritti individuali e della tutela della libertà religiosa. Al contempo
stesso, essa critica però il concetto di libertà di fondo, in quanto esso rimane astratto-negativo e non
è in grado di declinare la “libertà” nella sua dimensione morale, ossia come una libertà moralmente
impegnata, dotata della normatività delle relazionalità concrete. Infatti, queste relazionalità concrete
si esprimono soprattutto nel secondo e nel terzo tipo delle relazionalità accennate, ossia nel sottolineare il valore della famiglia e dell’educazione, e della solidarietà universale. Perciò, il modello di
“legge naturale”, proposto dalla Commissione Teologica Internazionale, non è solo in grado di
‘fondare’ i diritti liberal-negativi, ma si esprime anche per quelli sociali (terza dimensione, della solidarietà universale). Inoltre, esso tematizza il carattere ‘di dovere’, cioè l’impegno morale che è insito nei diritti fondamentali, come si evince dal fatto che la famiglia non viene lasciata all’ambito
dei diritti liberal-negativi, ma si basa su un proprio tipo fondamental-naturale di relazionalità che ha
come conseguenze innanzitutto doveri tra i membri delle relazioni familiari (pars pro toto viene
menzionata l’educazione)12.
11
A questa integrazione soprannaturale è dedicato l’ultimo capitolo del testo, intitolato “Gesù Cristo, compimento della
legge naturale” (n° 101-112). Importantissimo, anche per una valorizzazione attuale di questo capitolo, risulta che esso
ricollega il discorso ai concetti sistematici elaborati nel documento. “La nostra convinzione di fede è che Cristo rivela la
pienezza dell’umano realizzandola nella sua persona. Ma tale rivelazione, per quanto specifica, raggiunge e conferma
elementi già presenti nel pensiero razionale delle sapienze dell’umanità. Il concetto di legge naturale è dunque anzitutto
filosofico […], fa appello a quello che c’è di universalmente umano in ogni essere umano” (n° 114).
12
L’unico momento che una concezione di “legge naturale” non sembra poter trattare allo stesso livello dei “diritti liberal-negativi” (status negativus), dei “diritti sociali” (status positivus) e dei “doveri”, sono i “diritti politici”, “di partecipazione politica” (lo status activus del cittadino), il che si può spiegare a partire dalla struttura sistematica della “legge
naturale” che si rispecchia anche nella sua evoluzione storica. Ovviamente il fatto che tali diritti non possono essere
trattati allo stesso livello non significa che non potrebbero essere fondati in tale modello: tale prospettiva si può intravvedere meglio qualora si considera con Brieskorn i “diritti politici participativi” come “diritti di fondazione”, in quanto
esprimono il fatto che essi derivano dal fatto che lo stato si “fonda” e si giustifica nella dignità degli individui e che i
“diritti politici”, nella loro dimensione fondamentale, esprimono proprio questo rapporto “di giustificazione” ossia “di
fondazione” (cfr. N. Brieskorn, Menschenrechte. Eine historisch-philosophische Grundlegung, Stuttgart 1997).
4
La “dignità umana”, in questa prospettiva della “legge naturale”, non rimane razionalmente astratta,
ma si concretizza e si traduce in concreti diritti fondamentali. Significativamente, proprio in questa
concretizzazione della “dignità” attraverso il ragionamento della “legge naturale” viene intravvista
una reale possibilità per “un dialogo in vista di un’etica universale” (n° 52)13, in quanto, appunto,
essa “[n]on è un insieme chiuso e completo di norme morali, ma una fonte di ispirazione costante”
(n° 27). In tale prospettiva, così è da intendere lo scopo dell’attuale documento, cioè “[p]erché la
nozione di legge naturale possa servire all’elaborazione di un’etica universale in una società secolarizzata e pluralista come la nostra, bisogna […] evitare di presentarla nella forma rigida” (n° 33),
astratta, ossia né nella forma razionalistica né in quella deduttivi sta e astorica.
Il documento sottolinea l’importanza della libertà del soggetto attraverso la quale il Cristianesimo
ha contribuito notevolmente e decisamente alla definizione di persona nei termini di “dignità” ed
“autonomia”, momenti basali affinché la persona si manifesti “nella sua capacità di entrare in relazione” (n° 67). Il momento unificante di tali tendenze e quindi di tali relazionalità viene chiamato
“soggetto” (n° 79), dimensione interiore di normatività etica: “[q]uesta legge è normativa in virtù di
un’esigenza interna allo spirito” (n° 43). In questa istanza del soggetto nella sua ‘libertà morale’ è
quindi da trovare l’istanza normativa della “legge naturale”, non nel vederla come un “insieme già
costituito di regole”. In quanto esercita la sua dimensione oggettivo-etica all’interno del soggetto,
essa è “una fonte di ispirazione” per la “presa di decisione” che dota l’uomo di una “intelligenza
emozionale” (n° 59, 57). Al livello dell’etica sociale questa istanza viene espressa nella formula
della “dignità umana”: “[l]a persona è dunque anteriore alla società, e la società è umanizzante soltanto se risponde alle attese istcritte nella persona in quanto essere sociale”. Da ciò deriva che il criterio a livello social-politico diventa la “libertà” – non la “libertà” autocostitutiva del soggetto moderno ma nel senso della già sviluppata “libertà morale”: “[l]a libertà è la prima condizione di un
ordine politico umanamente accettabile” (n° 86s.). Questa “libertà morale”, a livello sociale, è la
classica dimensione della “giustizia” e quindi della “libertà” nella “verità”14.
Qualsiasi fraintendimento naturalistico ma anche puramente culturale-storico della “legge naturale”
viene chiaramente respinto. Proprio per una corretta interpretazione essa non deve essere basata su
un concetto statico, aristotelico di natura, ma sulla comprensione autenticamente cristiana di
quest’ultima: ossia ‘natura umana’ come relazionalità personal-ontologica. In questo senso, il
13
E la Commissione procede: “I protagonisti di questo dialogo però devono imparare a non considerare i propri interessi particolari per aprirsi ai bisogni degli altri e lasciarsi interpellare dai valori morali comuni. In una società pluralista, in
cui è difficile intendersi sui fondamenti filosofici, questo dialogo è assolutamente necessario”.
14
“La legge naturale (lex naturalis) si esprime come diritto naturale (ius naturale) quando si considerano le relazioni di
giustizia tra gli esseri umani: relazioni tra le persone fisiche e morali, tra le persone e il potere pubblico, relazioni di tutti
con la legge positiva” (n° 88); per il “diritto positivo” cfr. n° 91s.
5
compito della “legge naturale” sarebbe “una comprensione più profonda dei rapporti tra il soggetto
morale, la natura e Dio”, insomma la “dimensione personale ed esistenziale” (n° 10). Questa idea
della “filosofia cristiana” e dell’ “etica sociale cristiana” viene ulteriormente profilata rispetto alla
concezione greca: infatti, il passaggio dall’accezione greca a quella ebraico-cristiana è precisamente
quello da una comprensione di ‘giustizia’ in chiave di legalità razionale (Platone ed Aristotele) e universalità naturale (il logos stoico) alla declinazione della stessa in termini di “dono della Legge”
ed “alleanza” (n° 19-23). Di conseguenza, i Padri della Chiesa integrano la legge naturale stoica, di
‘seguire la natura’ nella ‘sequela di Cristo’, ossia integrano nella sostanzialità della natura la ‘nuova’ relazionalità decisiva dell’esistenza cristiana15: è questo il centro dell’antropologica biblica
dell’uomo imago Dei e quindi del concetto della dignità dell’uomo in chiave ebraico-cristiana.
Analizzando non solo il passaggio dalla “legge” greca a quella cristiana, ma anche da quest’ultima
all’accezione moderna, il documento critica la “secolarizzazione della nozione di legge naturale”, in
quanto nella modernità l’istituzione della ‘legge’ viene interpretata come un mezzo
dell’organizzazione politico-‘autoritaria’ moderna (n° 31). Questo, evidentemente, era possibile solo sulla base di un fraintendimento della nozione di “legge naturale”, la quale fu privata dalla dimensione di esprimere la relazionalità fondamentale che la persona stessa – come imago Dei – è.
Solo in questo modo può essere intesa più profondamente la dimensione epistemologica della metodologica di Grozio: non si tratta del fatto, come peraltro fu già sufficientemente sottolineato, che
egli non escludeva per niente a livello antropologico la relazionalità dell’uomo alla trascendenza e
al divino – infatti egli inserisce nella sua famosa riduzione formal-metodologica: “etiamsi daremus
[…] non esse Deum aut non curari a beo negotia humana” l’inciso “quod sine summo scelere dari
equità”. Il momento epistemologicamente molto più incisivo è stato invece quello che dopo Grozio
la “coerenza” e “razionalità” della legge (n° 32) diventano gli unici criteri giuridici, per cui viene
esclusa dal concetto di “legge” una dimensione che essa nella tradizione occidentale, grecocristiana, ha sempre espresso: ossia la relazionalità, quella della “libertà morale”. In questo senso,
nella ‘razionalizzazione’ della legge operata da Grozio, avvenne qualcosa più significativo che la
semplice “secolarizzazione” del diritto: non si trattava della ‘semplice’ operazione di togliere dalla
nozione fondamentale di legge, dalla “legge naturale”, il suo rapporto a Dio, ma della conseguenza
che tolta alla legge la sua base ontologico-relazionale, si esclude da essa quella dimensione relazionale tout court che essa esprime, appunto perché esprime la persona che è – nel senso vero e proprio
cristiano – ontologicamente-personalmente relazione. È interessante da notare che il documento
della Commissione Teologica Internazionale usa proprio per descrivere il diritto naturale moderno,
15
“Per i Padri della Chiesa il sequi naturam e la sequela Christi non si oppongono. […] i Padri della Chiesa non adottano puramente e semplicemente la dottrina stoica, ma la modificano e la sviluppano” (n° 26).
6
che ha ereditato questo metodo di Grozio, delle parole statiche e immobili, appunto a-razionali: “il
razionalismo moderno pone l’esistenza di un ordine assoluto e normativo delle essenze intelligibili
accessibile alla ragione” (n° 32; corsivo mio)16.
Contrariamente a questa concezione, il documento sottolinea quel momento ‘naturale-nonnaturalistico’ dell’uomo che è dato con la sua nascita ossia l’essere irriducibilmente inserito in un
contesto relazionale, fondamentalmente in quella di discendenza famigliare – e che questa relazionalità fondamentale sia la base dello sviluppo della sua personalità e soprattutto della sua autocoscienza attraverso17. La Commissione Teologica Internazionale raggiunge in tal modo quel nucleo
della persona la cui costituzione si esprime nell’istanza giuridico-sussistente dei suoi diritti fondamentali (n° 38), entro il quale l’uomo può fare l’esperienza morale fondamentale di quella responsabilità morale che viene espressa del “bonum faciendum et prosequendum, et malum vitandum”
(STh I/II, 94, 2; n° 39). In altre parole, quel che San Tommaso presupponeva come momento costitutivo della personalità morale nella coscienza, è oggi da ri-scoprire nel contesto globalizzato e interculturale, attraverso il discorso sul nucleo personal-morale (n° 39-42) che viene espresso e tutelato dei diritti umani quando mirano alla “dignità umana” senza poterla né definire né raggiungere
concettualmente in quanto ‘diritto giuridico’. Complessivamente, anche se il documento non lo
formula esplicitamente, si ha l’impressione che esso intraprende proprio questa strada fino a qui delineata: esso partiva dai diritti umani, criticava la loro ‘razionalità’, e propone di raggiungere sotto
la protezione e l’aiuto degli stessi diritti umani il nucleo morale che è quella relazionalità personalmorale la quale i diritti umani esprimono solo in modo ‘esteriore’, ‘astratto’. La “libertà morale”
che si esprime in questo ‘nucleo’, deve essere, poi, rivendicata contro qualsiasi pericolo di essere
invasa o esposta alla violenza, e tra l’altro anche nei confronti di un “laicismo aggressivo che vuole
escludere i credenti dal pubblico dibattito” (n° 35).
2. L’ “eterno ritorno” del diritto naturale?
A buon diritto, questo documento può essere caratterizzato un ulteriore capitolo al famoso studio di
Heinrich Rommen, dal titolo L’eterno ritorno del diritto naturale18. Questo libro, pubblicato in te16
Cfr. anche i quattro elementi di definizione del ‘diritto naturale moderno’: (1) credenza essenzialista, (2) astrazione
dalla situazione concreta, (3) deduzione a priori, (4) “codice di leggi già fatte che regola la quasi-totalità dei comportamenti” (n° 33; corsivo mio).
17
“La persona umana […], fin dalla nascita, è stata inserita in una rete di relazioni umane, a cominciare dalla famiglia,
che le hanno consentito, a poco a poco, di prendere coscienza di se stessa e del reale che la circonda” (n° 38).
18
La traduzione italiana è stata pubblicata nel 1965 a Roma; cfr. 113-135. Nel seguito, sarà utilizzato, invece del termine “legge naturale”, che caratterizza il documento della Commissione Teologica Internazionale, il concetto di “diritto
naturale”. Nella presente argomentazioni, i due concetti hanno lo stesso significato, infatti il primo dei due termini è la
7
desco per la prima volta nel 1936, ha suscitato una più vasta attenzione solo con la sua seconda edizione del 1947, quindi nel clima dell’organizzazione degli ordinamenti politici e giuridici europei –
e specialmente di quello tedesco – dopo la seconda guerra mondiale. Se questo titolo di Rommen
ancora oggi viene spesso citato, questo avviene piuttosto nell’intenzione di assegnare ai tentativi attuali della rivisitazione del “diritto naturale” un’aurea di ‘necessità’ storica. Tale “retorica” del “ritorno” del diritto naturale, comunque, non ci esonera dalla “fatica del concetto”19 di riflettere filosoficamente e teologicamente sulle possibilità e sui limiti dello stesso. Anzi, questa fatica si rende ancora più ostica, nel momento in cui il discorso del “diritto naturale” non può pretendere più di essere un pensiero filosofico sulla base del “senso comune”, dato che nella nostra società la consapevolezza del “diritto naturale” è pressoché scomparsa ossia viene considerata una “esperienza conclusa”20.
Tuttavia, questa costatazione non può non apparirci come una cesura vera e propria all’interno della
tradizione giuridico-culturale occidentale la cui riflessione sulla “giustizia” del diritto si è evoluta
fino al XIX secolo nei termini di “diritto naturale”21 – e fu con i Lineamenti di Hegel che il “diritto
naturale” fu ripreso per essere allo stesso momento superato nella stessa “filosofia del diritto” che
nell’800 e nel ’900 veniva a sostituire la trattazione classica del “diritto naturale”22. Quest’ultima
versione piuttosto classica come si incontra ad es. nella Summa Theologiae. Per l’intenzione di questo articolo, di enucleare l’attualità di tale concetto anche attraverso una riflessione storica e di confrontarlo con la discussione attuale,
viene scelto, però, il secondo termine in quanto è diventato esso il termine tecnico nel recente dibattito. In ogni caso,
intendiamo con tale concetto un ordinamento metapositivo. In quanto tale, esso è sistematicamente posizionato tra la lex
aeterna, della volontà eterna di Dio, e la lex humana che in quanto lex temporalis significa l’ordinamento positivo e politicamente stabilito. Per quanto riguarda la conoscibilità di tale lex naturalis, essa si svolge tra un momento razionalnaturale (Ulpiano) e teologico-rivelativo (Graziano). La modernità, rifacendosi all’argomentazione volontaristica della
scuola francescana da Alessandro di Hales ad Ockham, non condivide una tale fiducia nella razionalità umana come si
esprime nella definizione tommasiana in quanto originale sintesi della tensione accennata tra le definizioni di Ulpiano e
di Graziano (cfr. STh I/II 94, 1). Dopo la scissione epistemologica tra “res cogitans” e “res extensae”, segnale di partenza del pensiero moderno, il concetto di “lex” veniva riferito all’ordinamento empirico della realtà e fu occupato, di seguito, in modo crescente dalle scienze naturali. Dall’altro lato, nella giurisprudenza, veniva a significare la legge positiva, costituita dal sovrano politico. Di conseguenza, la tradizione giusnaturalistica della modernità si avvalerà del concetto di ius naturale. In questo senso, allora, si è cristallizzato il termine “diritto naturale” che in questo senso sfugge al
pericolo di equivocità del termine “legge” nel discorso contemporaneo. Proprio per questo, nel discorso presente si utilizza il concetto di “diritto naturale”, anche quando lo si tratta nei suoi tratti storici e tradizionali (“lex naturalis”).
19
Hegel afferma nella prefazione alla Fenomenologia dello spirito: “Nello studio della scienza, dunque, è importante e
indispensabile assumere su di sé la fatica del Concetto” (Prefazione, III [41]).
20
Questo il giudizio, ad es., di P. Piovani, Giusnaturalismo ed etica moderna, Bari 1961, 46. Si tratta, così Piovani alcune pagine prima, di un “[a]lbero di cui le radici sono ormai disseccate” (ibid. 42). Per un giudizio più differenziato
cfr. N. Bobbio, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Milano 1965, 146s.
21
Cfr. J. Leclercq, Dal diritto naturale alla sociologia, Roma 1962, 17. E al famoso teorico del diritto Radbruch risale
l’affermazione: “[d]al suo inizio fino al XIX secolo tutta la filosofia del diritto era dottrina del diritto naturale”
(G. Radbruch, Rechtsphilosophie II, a c. di A. Kaufmann [Gesamtausgabe, 2], Heidelberg 1993, 240). Il primo che ha
fortemente determinato l’oltrepassamento del classico termine ‘diritto naturale’ fu Kant che sviluppa nella “metafisica
dei costumi” “diritto” e “morale” a partire dal loro comune fondamento metafisico che eivdentemente non è più il diritto naturale ontologico.
22
“Se qui parliamo di diritto, non intendiamo semplicemente il diritto civile, come si intende di solito, ma moralità, eticità e storia mondiale, le quali hanno pure il loro luogo qui, perché il concetto congiunge insieme i pensieri della verità”
(Lineamenti, § 33, Zusatz). È in questo senso, cioè per il rifiuto del “diritto naturale” come inadeguato per svolgere que-
8
conosceva i suoi ‘tre momenti culminanti’ nello stoicismo, nel medioevo e nella modernità – e il loro elemento comune sta nel fatto che il “diritto naturale” viene identificato con un’istanza assoluta e
inalterabile di giustizia. Infatti, per lo stoicismo esso consiste nell’ordine assoluto-immanente che è
il ‘cosmo’23, per cui è questo a rappresentare la maestra ed educatrice dell’uomo: “Ius naturale est,
quod natura omnia animalia docuit, nam ius istud non humani generis proprium est, sed omnium animalium, quae in caelo, quae in terra, quae in mari nascuntur”24. Nel cristianesimo, questa istanza
non è più un ‘logos’ apersonale ma viene identificata con la ragione ossia la volontà di Dio, per cui
la “legge naturale” rappresenta uno specchio dell’eterno disegno divino, della “lex aeterna” che
l’uomo con la sua ragione e volontà può conoscere e parteciparne25: “omnis lex humanitus posita
intantum habet de ratione legis, inquantum a lege naturae derivatur”26. Infine, per la ragione oggettivo-“trascendentale” nel caso della filosofia moderna lo ius naturale viene declinato nella “forma
sta “fatica del concetto”, che Hegel rifiuta i vari modi di trattarlo come essi gli sono pervenuti (cfr. G. W. F. Hegel, Über die wissenschaftlichen Behandlungsarten des Naturrechts, seine Stelle in der praktischen Philosophie und sein Verhältnis zu den positiven Rechtswissenschaften, in: id., Jenaer Schriften 1801-1807 [Werke, 2], Frankfurt a. M. 1986,
434-530, soprattutto 437).
23
“Vi è certo una vera legge, la retta ragione conforme a natura, diffusa tra tutti, costante, eterna, che col suo comando
invita al dovere, e col suo divieto distoglie dalla frode; ma essa però non comanda o vieta inutilmente agli onesti né
muove i disonesti col comandare o col vietare. A questa legge non è lecito apportare modifiche né toglierne alcunché né
annullarla in blocco, e non possiamo esserne esonerati né dal senato né dal popolo, […] essa non sarà diversa da Roma
ad Atene o dall’oggi a domani, ma come unica, eterna, immutabile legge governerà tutti i popoli ed in ogni tempo” (Cicerone, De Republica, III, 22, 33).
24
Ulpiano, Digesto, I 1,1,3.
25
“Ebbene, tra tutti gli altri esseri, la creatura ragionevole è soggetta in maniera più eccellente alla divina provvidenza,
perchè ne partecipa col provvedere a se stessa e ad altri. Perciò in essa si ha una partecipazione della ragione eterna
[…]. E codesta partecipazione della legge eterna nella creatura ragionevole si denomina legge naturale” (STh I/II 91, 2;
per la “legge eterna” cfr. ibid. 93, 1). Il periodo del “diritto naturale cristiano” si può ulteriormente suddividere in un
triplice modo cioè nella fase di accezione “teologica” del diritto naturale, realizzata nella Patristica, nel periodo della
sua declinazione “razionale”, come avviene con la Scolastica, e nella sua articolazione storica ossia caratterizzato di una
precisa “valutazione della storia” nella Seconda Scolastica (cfr. G. Ambrosetti, Diritto naturale cristiano. Lineamenti
storici, Roma 1964, 22). Per la prima concezione cfr. Agostino: “lex vero aeterna est, ratio divina vel voluntas Dei, ordinem naturalem conservari jubens, perturbari vetans” (Contra Faust. Manich., XXII, 27 [PL 42, 418]). Per San Tommaso – siamo nel secondo periodo secondo Ambrosetti – la “lex naturalis” significa la partecipazione della creatura intelligente all’ordine della creazione, e qualora è “recta”, essa si trova in concordanza con la “lex aeterna”: “lex naturalis
nihil aliud est quam participatio legis aeternae in rationali creatura” (STh I/II 91, 2). Secondo Honnefelder, infine, in
Suárez la “legge naturale” della lex aeterna viene declinata come una legge naturale “autarchica” e quindi, rispetto alla
concezione di S. Tommaso, esso viene astratta dalla volontà divina e dall’ordine del cosmo e subisce una decisiva ‘razionalizzazione’ (cfr. L. Honnefelder, Naturrecht und Geschichte. Historisch-systematische Überlegungen zum mittelalterlichen Naturrechtsdenken, in: M. Heimbach-Steins [ed.], Naturrecht im ethischen Diskurs, Münster 1990, 1-27, qui
26; cfr. la critica della tesi di Honnefelder da N. Brieskorn, Wofür benötigen wir überhaupt ein Naturrecht? Sinn und
Notwendigkeit des Naturrechts aus philosophischer und theologischer Sicht, in: W. Härle / B. Vogel [edd.], „Vom
Rechte, das mit uns geboren ist“. Aktuelle Probleme des Naturrechts, Freiburg-Basel-Wien 2007, 97-126, qui 125, nota
49. Comunque, anche Brieskorn conferma la astrazione del “diritto naturale” dall’ordinamento del cosmo in Suárez e la
sua stretta riconduzione alla razionalità della ratio; cfr. ibid., 108).
26
STh I/II 95, 2. “In quanto data da Dio, la legge rimane ‘al di fuori’ dell’uomo: propriamente essa gli è posta di fronte
e l’uomo la trova già prestabilita; in quanto data da Dio, anche la ‘legge dei costumi’, che nella disposizione fondamentale della ragione pratica è posseduta interiormente, può comparire con il carattere di una cosa che si trova ‘di fronte’, di
qualcosa di sovraordinato e già dato” (W. Kluxen, L’etica filosofica di Tommaso d’Aquino, a c. di C. Vigna, Milano
2005, 326).
9
di una scienza rigorosa”, per cui “viene posto un principio immutabile e che nessuno può mettere in
dubbio, dal quale poi viene sviluppato tutto ciò che è di diritto naturale e duraturo”27.
Queste tre concezioni concordano insomma nel sostenere una sorta di ordinamento “vincolante”,
cioè fondamentale e costitutivo, che è sottratto alla relatività della contingenza del mondo, del soggetto e della sua esperienza, e che l’uomo, grazie alla sua ragione può conoscere. Inoltre, egli è moralmente tenuto a corrispondere a quel ordinamento nella sua prassi individuale – per cui il “diritto
naturale” lo può moralmente obbligare di opporsi all’ordinamento giuridico positivo; ma anche lo
stesso ordinamento politico-giuridico della società è tenuto a rispettare il criterio che in questo modo gli è anteposto. Ossia, in altre parole, e parafrasando San Tommaso, siccome l’uomo è intelligente, è dotato con la prima nozione che il bene è da fare e il male è da evitare28 – per cui è in grado
di individuare i precetti concreti della “lex naturalis”29. La norma ad essa opposta non può avvalersi
di essere “legge” nel senso pieno della parola: “lex iniusta non est lex”. In quanto l’uomo è dotato
di questa facoltà, è anche moralmente tenuto a corrispondere all’ordo e di farlo rispecchiare nel suo
agire30.
Riassumendo, possiamo costatare come i due momenti specifici del “diritto naturale” rispetto
all’ordinamento positivo sono (1) il suo essere un criterio meta-positivo31 e (2) la sua conoscibilità
tramite la ragione32. Questo ordinamento può stare nel “cosmo” (nel caso dello stoicismo), nella
“creazione” (cristianesimo), in momenti razionali della “realtà” oggettiva (illuminismo) o nella costituzione aprioristica della “ragione” stessa (idealismo). Ma è sempre la ragione che ha il compito
di conoscere il “diritto naturale”, e per tale compito essa si avvale della “scienza”: nell’antichità della filosofia, nel medioevo della teologia e nella modernità della giurisprudenza. Così possiamo rias27
S. Pufendorf, Eris Scandica, quae ad versus libros de iure naturali et gentium obiecta diluunteur, Frankfurt a. M.
1686, 117; id., Lettera a Boineburg del 1663, in: C. Thomasius, Historia juris naturalis, Halle 1719, 161-163 (appendice II).
28
Cfr. STh I/II 94, 2.
29
Infatti gli animali, che non sono dotati della facoltà dell’intelletto, partecipano alla “lex aeterna” solo per partecipazione naturale e quindi “per similitudinem”, non “rationaliter”: “in creatura autem irrazionali non participatur rationaliter; unde non potest dici lex nisi per similitudinem” (STh I/II 91, 2 ad 3).
30
Cfr. STh I/II 90, 1. Nei suoi studi sullo sviluppo delle istituzioni sociali nella modernità, Weber descrive il diritto naturale come “il complesso delle norme valide indipendentemente da ogni diritto positivo e preminenti rispetto ad esso,
le quali non derivano la propria dignità da una statuizione arbitraria, ma al contrario ne legittimano la forza obbligatoria” (M. Weber, Economia e società, 2 voll., a c. di P. Rossi, Milano 19612, II, 175 [II, 7, § 7]). In quanto tale, il diritto
naturale, per Weber, è perfettamente razionale: “Il tipo più puro di validità razionale rispetto al valore è rappresentato
dal ‘diritto naturale’” (ibid. I, 34 [I, 1, § 7]). Per Weber, così, il diritto naturale accelera il processo della formalizzazione del diritto e quindi proprio quel processo che conduce nella modernità al progressivo rendere obsoleto il “diritto naturale” stesso (cfr. per questo argomento, A. Gimmler, Institution und Individuum. Zur Institutionentheorie von Max
Weber und Jürgen Habermas, Frankfurt a. M. 1998, 127s.).
31
“La vera legge è il giusto rapporto, ossia ragione, che è un’unica cosa con la natura; essa è instillata in ogni uomo e
rimane eguale ed eterna. Nel suo comandare essa chiama al dovere; nel suo proibire essa distoglie dal male” (Stoicorum
veterum fragmenta, a c. di H. v. Arnim, vol. 3: Chrysippi fragmenta moralia. Fragmenta successorum Chrysippi, Leipzig 1903 [rist. 1968], 80, 20).
32
La legge naturale è “aliquid per rationem constitutum” (STh I/II 94, 1).
10
sumere che con il procedere di queste tre epoche il “diritto naturale” ha sintetizzato in sé delle dimensioni filosofiche, teologiche e giuridiche. Fino alla cesura nel XIX secolo, a cui fu già accennato, nel “diritto naturale” incontriamo quindi un vero testimone della storia del ‘pensiero’ occidentale. Infatti, per quanto la filosofia, la teologia e la giurisprudenza in queste tre epoche principali del
“diritto naturale” si impegnarono a scoprirlo, conoscerlo e renderlo pratico per la prassi politicogiuridica, coincidevano con il presupposto che esiste un’istanza metapositiva riconosciuta
all’interno del nostro ambito culturale.
3. Dalla “legge del mondo” stoica al “diritto naturale” cristiano e alla “dignità umana”
nella modernità
Nel Cristianesimo la concezione di “diritto naturale” si contraddistingue per la sua originale sintesi
con la realtà della persona umana in quanto soggetto. Se i padri della Chiesa identificarono Cristo
stesso con la legge naturale33, essi svolsero in campo pratico la identica riflessione che realizzarono
anche in campo teoretico: come in quest’ultimo Cristo viene interpretata come la verità personificata e compiuta, egli è anche il diritto ossia la giustizia incarnata. In questo senso, la legge eterna non
è una nozione astratta, ma giace nella realtà personale dell’assoluto stesso, e perciò viene piuttosto
identificata con l’intelletto e la volontà divina. Come realtà personale, nell’ambito contingente è
proprio il “diritto naturale” cristiano che è indirizzato all’uomo, ma non in quanto individuo particolare, ma in quanto realizza in sé la “humanitas”, cioè in quanto è persona: “non est totaliter idem
homo et humanitas”34. Questa universalità fa dell’uomo, in un certo senso, “fine a sé”: “propter
seipsum existens”35. Così, “l’autonomia morale dell’uomo viene elevata a principio del mondo morale”36 – l’uomo non può essere abbassato alla logica dei “prezzi”, dei “mezzi” o della “causalità
naturale” – anzi in quanto “homo noumenon” fa parte di un’altra logica, ossia della logica del “regno dei fini”37.
Per rispondere alla domanda, in che cosa consiste questa “autonomia morale dell’uomo”, la tradizione cristiana l’ha sempre collocata nell’istanza della coscienza: questa legge è in grado di obbligare l’uomo, in modo tale che proprio l’uomo diventa il nucleo intimo del nostro concetto di “giustizia” e quindi il punto di riferimento invalicabile. Infatti, per Agostino qui si scopre la voce divina
33
Cfr. Clemente Alessandrino, Stromata, PG, IX, 422.
“[…] sed humanitas significatur ut pars formalis hominis; quia principia definientia habent se formaliter, respectu
materiae individuantis” (STh I 3, 3).
35
STh II/II 64, 2 ad 3: la “dignità umana […] consiste nell’esser liberi e nell’esistere per se stessi”.
36
A. Kaufmann, Problemgeschichte der Rechtsphilosophie, in: id. / W. Hassemer / U. Neumann (edd.), Einführung in
Rechtsphilosophie und Rechtstheorie der Gegenwart, Heidelberg 20047, 26-147, qui 61.
37
Cfr. I. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi (Akademie-Ausgabe, IV), BA 83s.
34
11
nell’intimo dell’uomo. Questa istanza viene denominata da San Tommaso con il concetto filosofico
di “synderesis”38 ed esprime quella suprema istanza del soggetto, per cui persino una coscienza oggettivamente erronea è in grado di obbligare39.
In quanto ‘mensuratus non mensurans’40 nell’ordinamento metafisico, nella modernità l’uomo diventa “misura” per tutto l’ordinamento politico-giuridico (etico-sociale)41, e realizza la sua dignità
di essere “fine a sé” e mai un mero mezzo nella mano degli altri o degli Stati. Questo nucleo di “dignità umana”, fondata nella coscienza dell’uomo, che precede ogni istituzione giuridica, fu sempre
associato con una dimensione “sacra”, sottratta all’influsso di “potere” o di “violenza”: in questo
senso, Hegel poté affermare che il “Diritto è qualcosa di sacro in generale, e lo è unicamente perché esso è l’esistenza del Concetto assoluto, della Libertà autocosciente”42. E Kant riassume nel
modo più breve: “[t]utto il potere del cielo sta dalla parte del diritto”43, “perché, se la giustizia
scompare, non ha più alcun valore che vivano uomini sulla terra”44. Questi autori riconoscono il
merito del cristianesimo per lo sviluppo della concezione di “diritto” proprio in tale istanza, cioè di
fondare il diritto nella sfera della “giustizia” trascendentale che si rivela nell’uomo in quanto creato
da Dio ed elevato all’essere “figlio di Dio”. Non a caso Rosmini può riassumere questo passaggio e
incentrarlo nella categoria del “soggetto”: “Se altro dunque non è una società umana che un complesso, un avvincolamento di diritti e di doveri, chi non intende da questo solo, come l’istituzione
della società cristiana, dee aver influito su tutte le altre società, sulla domestica e sulla civile specialmente, facendo comparire in esse nuovi diritti, quasi dal nulla traendoli con potenza creatrice, ed
accertando gli incerti, pur con solo ammigliorarne la radice, coll’ammigliorar cioè e quasi creare
nell’uomo il soggetto de’ diritti?”45.
Invece di collocarlo, però, in una sfera di ‘sacra autonomia’ – concetto del “diritto naturale” da Kant
ad Hegel – Rosmini radica il diritto nella sussistenza reale dell’uomo stesso che diventa quindi nella
triplice realtà del suo essere ideale, reale e morale centro e incarnazione del diritto: “[d]unque la
persona ha nella sua natura tutti i costitutivi del diritto: essa è dunque il diritto sussistente l’essenza
38
“Synderesis dicitur lex intellectus nostri, inquantum est habitus continens praecepta legis naturalis, quae sunt prima
principia operum humanorum” (STh I/II 94, 1 ad 2).
39
Cfr. STh I/II 19, 5s.; De ver XVII, 4. Conviene precisare che nel caso della erronea “cattiva coscienza” il giudizio della stessa è condizione sufficiente per qualificare un atto come moralmente cattivo (funzione assolutamente decisiva della coscienza; art. 5), mentre nel caso della erronea “buona coscienza” il giudizio di quest’ultima “scusa” solo se non c’è
una colpa nel processo della formazione della stessa coscienza: infatti il giudizio della “buona coscienza”, in questo caso, è necessario ma non sufficiente (art. 6).
40
Cfr. STh I/II 93, 1 ad 3.
41
Cfr., per la competenza soggettiva dell’uomo per l’ordinamento etico-sociale, W. Korff, Norm und Sittlichkeit, Mainz
1973, 173.
42
G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, § 30.
43
I. Kant, Reflexionen zur Moralphilosophie (Akademie-Ausgabe, XIX), Rifl. 7006.
44
I. Kant, Die Metaphysik der Sitten (Weischedel, IV), A 197 (B 227).
45
A. Rosmini, Filosofia del diritto, 6 voll., a c. di R. Orecchia, Padova 1967-69 (d’ora in poi: FD), IV, 854.
12
del diritto”46. L’uomo, in quanto nella sua sussistenza reale e relazionale è l’immagine di Dio, la sua
dignità, la vera sfera ‘sacra’, è sempre una sfera incarnata, realizzandosi concretamente, relazionalmente o strutturalmente. Rosmini, in questo senso, può accusare Kant e la tradizione liberale non
solo di concepire un’antropologia astratta, che non considera l’uomo in quanto ‘incarnato’ nelle sue
relazioni concreto-essenziali, ma di derivarne, di conseguenza, un altrettanto astratto concetto di
“diritto” e di “giustizia” che, in linea di massima, si deve realizzare anche a scapito delle condizioni
reali dell’uomo.
In questa realtà della dignità personale dell’uomo, accentuata da Rosmini – non ahegelianamente –
nei confronti di Kant, si esprime la concezione cristiana più propria del “diritto naturale”, che dà al
contempo stesso la chiave ermeneutica decisiva per la comprensione della “naturalità” di tale diritto. Infatti, “natura” nella migliore tradizione cristiana del medioevo non si riferisce ad una natura
materiale, dalla quale basta astrarre le “leggi” concrete, ma vuole dire una “verità” dell’uomo stesso
in quanto lui – non la natura materiale – è una dignità relazionalmente incarnata. È solo in
quest’ultima che l’aspetto materiale e quello razionale sono originalmente uniti. Questa relazionalità, quindi, è un “dato naturale” che l’uomo non crea47; “dato” dal quale prende inizio però la domanda, trattata in maniera diversa da tutti e tre gli approcci storicamente rilevati, in quale modo la
ragione può conoscerlo, realizzarlo nella legislazione concreta e riconoscerlo nell’agire in modo
moralmente e giuridicamente rilevante.
Per valutare correttamente questa “relazionalità incarnata”, cioè per enucleare in quanto essa esprime la “dignità umana” e non la mera materialità della natura umana, si deve integrare, in questa
concezione di “diritto naturale” il filone liberale del pensiero moderno, da Pufendorf a Kant, che ha
declinato l’istanza del soggetto e della dignità umana in quanto appunto astratto e quindi presupposto trascendentale – in termini kantiani – di qualsiasi relazionalità umana48. In questo senso, i loro
approcci di “ius naturale” – al di là del fatto che adoperano specifiche astrazioni riguardo alla natura
individuale, rispetto al classico “diritto naturale” in San Tommaso49 – possono, proprio nella loro
astrattezza, essere considerate una intensa specificazione della “soggettività” di questi diritti nella
46
FD I, 192.
“Il diritto non è stato inventato in un momento qualunque della storia e in un posto qualunque sulla terra […]; l’uomo
trova il diritto in quanto già esistente, ossia meglio: la sfera centrale del diritto che è localizzata nell’essere (physis, natura)” (R. Marcic, Rechtsphilosophie. Eine Einführung, Freiburg 1969, 131).
48
Sarà proprio l’idealismo a denunciare tale astrattezza: “La convinzione che l’idealismo tedesco costituisca il momento culturale di compimento delle dottrine del diritto naturale, mostrandone le insufficienze e gli aspetti di astrattezza, si
è ormai diffusa, divenendo un topos generalmente condiviso, anche se alla base di giudizi diversi” (G. Duso, Crisi e
compimento del diritto naturale nella filosofia classica tedesca, in: L. Fonnesu / B. Henry [edd.], Diritto naturale e filosofia classica tedesca, Pisa 2000, 169-191, qui 169).
49
Cfr. STh I/II 90-108.
47
13
modernità50. Sta qui il momento per cui viene messo in primo piano il concetto di “dignità umana” e
si vede come essa emerge in quanto dimensione astratta proprio dalla più autentica riflessione sul
“diritto naturale”51. La “natura” dell’uomo, in questa chiave, sta proprio in tale dignità che signoreggia la sua mera naturalità. Infatti, Hegel delinea l’ambiguità del concetto di “natura” in quanto
identifica nella natura dell’uomo la sua spiritualità e razionalità, signoreggiando, in tal modo, la sua
immediata naturalità. In questo senso, soprattutto nei “diritti umani” oggi, si può vedere espresso
quella “eterna verità del diritto naturale”52 radicata in una dimensione sottratta al potere umano che
si esprime attraverso la “posizione giuridica”: “[c]i sono, allora, principi del diritto che sono più forti che qualsiasi atto di posizione giuridica. Perciò, una legge che contraddice ad essi, perde la sua
validità. Questi principi vengono chiamati il diritto naturale o il diritto razionale. Certo, nei casi
concreti possono essere circondati da qualche dubbio, ma il lavoro dei secoli ne ha elaborato una
quantità solida raccogliendoli nelle cosiddette dichiarazioni dei diritti dell’uomo e del cittadino con
un tale consenso che il dubbio, per quanto riguarda almeno alcuni di essi, regge solo per la scepsi
forzata”53.
4. Abbiamo “perso” il “diritto naturale”?
L’istanza soggettiva, il momento “attivo” in questa concezione di diritto umano, cioè la “dignità
umana”, era però quel momento da stabilire dalla filosofia, dalla teologia e dalla giurisprudenza a
livello politico; e quanto questo compito si rivela difficile, ha dimostrato il XX secolo nel quale tut-
50
“Mentre, infatti, per i Sofisti lo stabilimento di norme era qualcosa di non vincolante e la natura era concepita invece
come determinante, per Pufendorf sia la natura sia la norma presentano una obbligatorietà necessitante, soltanto che
l’ordine naturale riguarda il regno della natura e l’ordine normativo il regno della libertà. Concetto, questo, che rimarrà
patrimonio acquisito della filosofia tedesca e che, dapprima con Leibniz e, in seguito, con Kant e con Hegel, verrà a costituire il punto di riferimento per le elaborazioni successive delle teorie etiche moderne” (A. Ponsetto, Jus Naturae come Fictio Naturae? Un riesame storico-critico del concetto di diritto naturale, in: id. / M. Passerin D’Entreves /
G. Piazza, Crisi del diritto naturale e nuove teorie morali [Fenomenologia e società, 11], Milano 1986, 7-83, qui 63).
51
Per Kobusch, il passaggio dalla tematizzazione di tali diritti all’interno del classico “diritto naturale” alla loro declinazione come “diritti umani” è il passaggio decisivo verso la loro sistematizzazione in quanto principi autoevidenti: “In
questo modo, la teoria moderna dei diritti umani è stata preparata, per quanto ai contenuti, nel medioevo. Tuttavia, già
dal punto di vista metodologico, si nota una differenza fondamentale […]: mentre nel medioevo i diritti naturali nel senso soggettivo furono menzionati solo incidentalmente, sparse e raccolte non sistematicamente, nella loro accezione moderna i diritti umani appaiono già in Wolffio, al più tardi però nelle dichiarazioni delle rivoluzioni, come principi auto
evidenti, ossia come fondamento indubitabile e invalicabile della vita privata e pubblica” (T. Kobusch, Die Entdeckung
der Person. Metaphysik der Freiheit und modernes Menschenbild, Darmstadt 19972, 36). Conviene, con questo giudizio, Ponsetto: “Tutta quanta la tradizione del pensiero occidentale, da Platone a Hobbes, aveva già da sempre affermato
questo principio della dignità; esso assume, però, con Pufendorf una rilevanza più marcata, in quanto viene a porsi come
valore in sè, non subordinato a una fondazione del diritto naturalistica, utilitaristica o teologicamente orientata” (Ponsetto, Jus Naturae, 66).
52
Rommen, L’eterno ritorno, 25.
53
G. Radbruch, Fünf Minuten Rechtsphilosophie, in: id., Rechtsphilosophie III, a c. di W. Hassemer (Gesamtausgabe,
3), Heidelberg 1990, 78s., qui 79.
14
te e tre le scienze hanno perso proprio quel centro della concezione più propria che le tre epoche
hanno sviluppato del “diritto naturale”: da un lato, la filosofia si volse verso il pensiero postmoderno, debole; essa proclamò la “morte del soggetto” e quindi la scomparsa del fondamento del “diritto
naturale” classico come anche del giusnaturalismo moderno54. La teologia, da canto suo, incastrava
la trattazione del diritto in un arido “diritto naturale” di stampo neoscolastico dove l’istanza
dell’uomo e della sua dignità non vennero più percepiti55. Finalmente, la giurisprudenza finì nel positivismo che si delineava a partire dalla metà del XIX secolo per cui essa perse sempre di più la capacità di teorizzare un’entità meta-positiva come la “dignità umana”56. Tutti e tre i fattori segnalano
una situazione culturale entro la quale potevano nascere i totalitarismi caratteristici del XX secolo,
di destra e di sinistra57. Quel che era andato perso è precisamente l’ancoramento dell’idea di un ordinamento non arbitrario in un’istanza di giustizia che non sta a disposizione della deliberazione politica e che impedisse quindi che il diritto finisce a diventare un fattore di potere.
Fu l’opera di Hegel che segnalò l’accennato cambiamento epocale, la “trasformazione avvenuta
nell’insegnamento dell’antico diritto naturale, che da sistema metafisico-deduttivo era divenuto riflessione filosofica sul diritto storicamente vigente”58. Per quanto riguarda il prevalere dello storicismo, riassume Troeltsch che esso “manda a pezzi, in via di principio, l’idea di qualsivoglia diritto
naturale; esso da allora, in Germania, si dilegua quasi completamente”59. D’altro canto, la positivizzazione del concetto di “diritto” nella giurisprudenza portava nella seconda metà del XIX secolo al
“giuspositivismo” per cui una “legge” è “legge” per la sua posizione da un’autorità che è anche in
grado di esigerlo praticamente. In questo senso, la legalità della “posizione” del diritto decide sulla
sua legittimità60: “[p]oiché vogliamo e possiamo riconoscere come diritto solo il diritto positivo”61.
54
Cfr. M. Zichy / H. Schmidinger (edd.), Tod des Subjekts? Poststrukturalismus und christliches Denken (Salzburger
Theologische Studien, 24), Innsbruck-Wien 2005.
55
Cfr. T. Meyer, Grundsätze der Sittlichkeit und des Rechts nach Maßgabe der im Syllabus § VII verzeichneten Irrthümer beleuchtet, Freiburg 1868.
56
Non si basa sull’ “uomo” o sulla “dignità umana” ma sulla “norma fondamentale” (cfr. H. Kelsen, Die philosophischen Grundlagen der Naturrechtslehre und des Rechtspositivismus, Charlottenburg 1928, 20). Interessante, a tal punto,
il parallelismo tra il “diritto razionale” di stampo neoscolastico e il giuspositivismo moderno; cfr., a tal proposito,
J. Ratzinger, Naturrecht, Evangelium und Ideologie in der katholischen Soziallehre, in: K. v. Bismarck / W. Dirks
[edd.], Christlicher Glaube und Ideologie, Mainz 1964, 24-30, qui 28f.; Kaufmann, Problemgeschichte, 82.
57
Cfr. Rommen, L’eterno ritorno, 128s.
58
G. Marini, Premessa, in: G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto. Diritto naturale e scienza dello stato in
compendio, a c. di G. Marini, Roma-Bari 1987, V-XVII, V, nota 2.
59
E. Troeltsch, Deutscher Geist und Westeuropa, a c. di H. Baron, Tübingen 1925, 16.
60
In un certo senso, il “giuspositivismo” costituisce la reazione necessaria ad una soverchiazione del “diritto razionale”
(giuspositivismo) nelle epoche antecedenti, che ha causato soprattutto il fenomeno generale di “insicurezza del diritto”
(Rechtsunsicherheit). L’identificazione del “diritto” con le leggi in quanto poste dall’autorità legittima serviva innanzitutto a conferire ad esse quell’autorità che necessitano per poter assolvere la funzione di organizzare una società che
nella modernità ormai si era diversificata, funzionalizzata e razionalizzata. Esemplari, in tale chiave, sono le parole di
Feuerbach riguardo al giudice: il giudice deve essere legato alle “severe, nude lettere della legge” e “il suo mestiere non
deve essere diverso da questo cioè di paragonare il caso dato con questa lettera e, senza riguardo al senso e allo spirito
della legge, condannare se il suono della parola condanna, e assolvere se il suono della parola assolve”
15
Per Nietzsche, a volta sua, l’origine genealogica della giustizia come essa giustifica il potere politico, è l’egoismo naturale dell’uomo che nell’istituzione dello scambio trova una forma socialmente
‘domata’: essa è “compensazione e cambio” in quanto “intelligente conservazione di sé, […]
l’egoismo di questa riflessione: ‘Perché dovrei farmi inutilmente danneggiare e magari non raggiungere nemmeno il mio scopo?”. In quanto ogni istituzione di giustizia si basa sulla “dimenticanza” di questa origine della stessa giustizia, afferma Nietzsche “che Dio ha posto la dimenticanza
come custode sulla soglia del tempio della dignità umana”62.
La “dimenticanza” come base della giustizia delle istituzioni sociali – del diritto – si doveva rilevare, però, troppo debole per poter ancora garantire un’incisività del classico discorso filosoficoteologico-giuridico sul piano politico nel XX secolo che esordisce, come già accennato, con la formazione dei totalitarismi. In questo clima, Rommen cercava di revitalizzare il classico “diritto naturale”, nella sua essenza “eterna”, in chiave neoscolastica: cioè come un sistema di diritto superiore,
logicamente e razionalmente impostato, un ordinamento di Dio, in sé e di per sé giusto, dal quale
deriva la legittimità – o anche la delegittimizzazione – degli ordinamenti giuridici concreti: infatti,
qualora il diritto concreto devia in modo clamoroso ed eclatante dalle conseguenze del “diritto naturale”, esso risulta “ingiusto” e quindi delegittimato. Perciò, e nel pieno senso (neo-)tomistico,
Rommen appella in ultima analisi alla coscienza: “Qualsiasi popolo che misconosce le leggi morali
di vita, è destinata alla rovina, e la giustizia rimane il fondamento degli stati, e la storia del mondo
rimane il giudizio del mondo”63. La giustizia come linfa vitale, questo è il fatto che si esprime au-
(P. J. A. v. Feuerbach, Kritik des Kleinschrodischen Entwurfs zu einem peinlichen Gesetzbuche für die Chur-PfalzBayerischen Staaten, 3 voll., Gießen 1804, II, 20).
61
Bergbohm, Jurisprudenz und Rechtsphilosophie, 546, con la conseguenza che, “[i]n altre parole, la mala erba [dal
nome] diritto naturale, in qualunque forma e velatura essa possa apparire – apertamente o timidamente –, deve essere
estirpata, brutalmente, radicalmente” (ibid. 118; cfr. 479). Per Somló “vale […] ineluttabilmente la verità che il potere
del diritto [Rechtsmacht] (ossia, secondo altre terminologie, il legislatore, lo stato, il potere sovrano) può porre qualunque contenuto di diritto” (F. Somló, Juristische Grundlehre, Leipzig 19272, 308s. [§ 94]). Infatti, sono proprio queste le
due concezioni di “diritto” contro le quali si volge il libro di Rommen: “il motivo contingente per questa ‘ricapitolazioneì e per questa ‘ripresentazione’ da parte di Rommen delle tesi del diritto naturale classico, fu l’abbandono del diritto
naturale per opera della Scuola Storica e il trionfo del positivismo” (G. Ambrosetti, Il significato dell’opera di Heinrich
Rommen, in: Rommen, L’eterno ritorno, IX-XXIV, qui XXI).
62
F. Nietzsche, Umano, troppo umano, a c. di S. Giametta e M. Montinari, Milano 1965 (Opere, IV,2), 71 (II, 92). Non
per via genealogica, ma per la sua comprensione negativa di “giustizia”, Schopenhauer precede il risultato nietzscheano
sulla non-originalità della giustizia anticipandolo: “[I]l concetto di ingiustizia è un concetto positivo e precede a quello
del diritto che è quello negativo e indica azioni che si possono realizzare senza danneggiare altri, cioè senza commettere
ingiustizia. […] La negatività della giustizia si afferma – contrariamente a quanto sembra – persino nella definizione
banale: ‘dare a ciascuno il suo’. Qualora è il suo, non c’è bisogno di darglielo, e significa: ‘non togliere il suo a nessuno’” (A. Schopenhauer, Preisschrift über die Grundlage der Moral, in: id., Sämtliche Werke, vol. 4, a c. di
A. Hübscher, Leipzig 1938, 103-276, qui 216s.).
63
“Invero, limitare rigorosamente il fenomeno giuridico al diritto della volontà significa non tener conto di una parte
essenziale della realtà: quella costituita dal diritto della coscienza. Di quel diritto, ugualmente positivo, che trova la sua
sede e la sua giustificazione nella coscienza collettiva dei membri che contano di una data comunità” (G. Barile, Il metodo logico-storico di rivelazione del diritto internazionale non scritto e le sue radici giusnaturalistiche, in: AA.VV.
[UGCI], Diritto naturale. Verso nuove prospettive, Milano 1990, 29-49, qui 30s.).
16
tenticamente nella coscienza – sia in quella individuale che in quella collettiva. Per Rommen, il vincolo della legislazione e del potere politico alla legge morale è quindi condizione del loro progresso
che deve essere, per essere vero progresso, progresso morale. Senz’altro l’argomento costituisce
una ripresa del ragionamento di Sant’Agostino che formulava questo ricollegamento dello stato
all’istanza del diritto naturale con le seguenti parole: “Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi
magna latrocinia?”64. E, rivolto contro lo stato totalitario della Germania nazista, Rommen cita
l’Enciclica Mit brennender Sorge di Pio XI: “[q]ualsiasi legge positiva, chiunque sia il legislatore,
può essere esaminata alla luce delle disposizioni del diritto naturale, per quanto riguardano le sue
implicazioni morali e quindi anche per quanto riguarda la sua autorità morale di poter vincolare la
coscienza”65.
Ma pure un tale ricollegamento dell’ordinamento giuridico alla giustizia e alla coscienza, cioè al
“diritto naturale”, non ha saputo impedire le tragedie dei totalitarismi del XX secolo66 – e perciò, a
livello storico rimase così poco incisivo come altrettanto la “dimenticanza” nietzscheana. È proprio
questa conclusione a cui arrivò Rommen e che determinò la seconda edizione del suo libro nel
1947: attraverso quest’ultima, egli esprime indirettamente la critica che i soli principi tradizionali
del “diritto naturale”, proprio per la possibilità moderna “di abusare delle parole e con ciò anche del
pathos del diritto naturale nell’interesse della ideologia razzista” non riuscivano a proteggere quella
dignità umana che si esprimerebbe invece più propriamente nel “diritto di libertà personale
dell’individuo […] che lo Stato abbia da rispettare”, cioè in un “sistema di diritti innati e inalienabili dell’individuo”67. Basandosi su questo ragionamento, nella seconda edizione, pubblicata dopo la
guerra e alla vigilia della Dichiarazione universale dei diritti umani, Rommen aggiunge al discorso
sul diritto naturale pretese concrete di diritti fondamentali elaborando una giustificazione di importanti diritti soggettivi (diritti umani)68. In questo modo, Rommen cercava di fondare ed esigere i valori umani nel passare dalla loro fondazione nel diritto naturale alla pretesa concreta di positivizzarli
64
De civitate dei, IV, 4.
Cfr.
http://www.vatican.va/holy_father/pius_xi/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_14031937_mit-brennendersorge_it.html (1.03.2009); anche questa frase è citata in: Rommen, L’eterno ritorno, 134.
66
Anzi, del concetto di “diritto naturale” è stato fatto un “deplorevole abuso […] nella propaganda dei partiti totalitari”
(Rommen, L’eterno ritorno, 130). E poi aggiunge che è “tuttavia chiaro, che in tale forma le parole ‘natura’ e ‘naturale’
vengono rovesciate nel loro significato e usate in senso ancor più falso che da Hobbes e Hume”, cioè “in un concetto
grassamente materialistico” (ibid.).
67
Rommen, L’eterno ritorno, 131.
68
“Questo diritto naturale individualistico del razionalismo deve la sua importanza nella storia del mondo non alle sue
assurdità, ma ai suoi fini morali e politico-economici, promossi alla dignità di cosa giusta per natura e in modo speciale
valutati proprio dallo spirito del XVIII secolo. Tale diritto naturale non ha soltanto, con la sua critica sociale spezzato le
rigide e vecchie forme del diritto feudale e corporativo […], non ha solo spezzato queste forze in modo rivoluzionario
[…], ma ha ancora preservato da una definitiva rovina, prestando ad essa lo splendore del giusto per natura, qualche antica e preziosa nozione giuridica nazionale. […] Esso ha anche […] tenuto alti i diritti dell’uomo e del cittadino contro
un assolutismo personale dei principi che tutto opprimeva e ha contribuito così a far prevalere di nuovo l’idea dello Stato di dirittto” (Rommen, L’eterno ritorno, 87s.; cfr. 134s.).
65
17
in una codificazione di diritto internazionale e costituzionale. Nel “diritto naturale” stesso, così si
potrebbe interpretare questo passaggio nell’evoluzione del pensiero di Rommen, c’è quindi la tendenza verso la “dignità umana”, verso il soggetto di questi diritti, che non è una natura astratta o
materiale. Il “diritto naturale”, in altre parole, non costituisce un codice positivo di leggi naturali
passivamente da recepire dall’uomo, ma che, al contrario, sussistono nell’uomo stesso: “Esistono
appunto dei diritti della persona ancor prima dello Stato”69. In questo senso, Rommen riesce ad enucleare la tendenza attiva del “diritto naturale” verso il soggetto di questi diritti – e il soggetto esistenziale del diritto è l’uomo70.
Rommen formula questa dinamica come la necessaria “vittoria dello stato liberale di diritto sullo
stato totalitario morale”. In altre parole, egli ritiene più efficiente e appropriato la strategia di legare
i valori personali di giustizia – a livello sociale – alla libertà umana e all’individualità, basata su una
distinzione – non separazione – di “morale” e “diritto”: “[s]i comprende così perché il diritto naturale razionalistico, una volta che abbia raggiunto i suoi fini nella vita politica e nel diritto positivo,
abbia perduto sempre più la sua importanza”, nel “trionfo […] della tolleranza civile in materia religiosa, ma ancor più, [ne]l trionfo dello Stato di diritto liberale sullo ‘Stato educatore’ totalitario”71.
Il “diritto naturale” si intende quindi come un fondamento che si deve ulteriormente articolare in
concrete istanze che proteggono effettivamente la dignità del soggetto: si tratta, concretamente, di
libertà individual-negative, poi politiche e sociali. Solo in questa articolazione, esso riesce nella
modernità ad affermarsi criticamente, perché sono i “diritti umani” il modo concreto attraverso il
quale alla legislazione delle nazioni può essere oggettivamente contrapposto uno standard di giustizia72.
69
Rommen, L’eterno ritorno, 194.
Proprio in questo senso, l’Enciclica Centesimus annus afferma: “Se non si riconosce la verità trascendente, allora
trionfa la forza del potere, e ciascuno tende a utilizzare fino in fondo i mezzi di cui dispone per imporre il proprio interesse o la propria opinione, senza riguardo ai diritti dell'altro. Allora l'uomo viene rispettato solo nella misura in cui è
possibile strumentalizzarlo per un'affermazione egoistica. La radice del moderno totalitarismo, dunque, è da individuare
nella negazione della trascendente dignità della persona umana, immagine visibile del Dio invisibile e, proprio per questo, per sua natura stessa, soggetto di diritti che nessuno può violare: né l'individuo, né il gruppo, né la classe, né la Nazione o lo Stato. Non può farlo nemmeno la maggioranza di un corpo sociale, ponendosi contro la minoranza, emarginandola, opprimendola, sfruttandola o tentando di annientarla” (Centesimus annus, n° 44).
71
Rommen, L’eterno ritorno, 89, 88.
72
Questo “standard” non è da caratterizzare come una ‘morale minima’ o come un ‘compromesso sociale’ (cfr.
M. Krienke, I diritti umani in tensione tra pluralismo ed universalismo. Prospettive dell’etica sociale nella Spätmoderne, in: Rivista Teologica di Lugano 11 [2007] 405-426, qui 412). In tale modo, la giustizia come “prima virtù delle istituzioni sociali” (Rawls) sarebbe fondamentalmente frainteso. Nel ‘diritto’ la giustizia si realizza come forma veramente
e propriamente sociale della moralità – questa forma sociale della moralità non è né un “minimo” né un’ “astrazione”
della morale individuale anche se non è completamente da essa divisa. Anzi, queste due forme riflettono la natura
dell’uomo che contemporaneamente è individuo singolare e natura sociale, come sarà ancora da evidenziare nel prosieguo del nostro ragionamento. Il rapporto complesso fra queste due forme di ‘moralità’ si riflette, in generale, nella determinazione di rapporto tra ‘diritto e morale’.
70
18
In questo senso, i “diritti umani”, dopo la Seconda guerra mondiale, furono basati sulla dignità umana, e pareva che con ciò si è compiuto il passaggio definitivo e irreversibile dal “diritto naturale”
ai “diritti umani”: “Come ultimo elemento del diritto naturale, che vuole essere il più profondamente possibile un diritto razionale – almeno nell’età moderna – sono rimasti i diritti umani. Essi non
sono comprensibili senza presupporre che l’uomo in quanto tale, semplicemente per la sua appartenenza alla specie umana, sia soggetto di diritti, che il suo essere stesso comporti valori e norme che
devono essere individuati, ma non inventati”73. In questo senso, tanti pensatori oggi sono
dell’opinione che i “diritti umani” hanno sostituito il “diritto naturale” in quanto risposta adeguata
alle sfide politiche dal XX secolo in poi. Il loro momento sistematico come “diritti” sta nel non essere “poste” da un autorità legislativa, ma nel fatto che esigono “riconoscimento”; essi – per il loro
radicamento nel soggetto umano – costituiscono quindi una norma che non sta a disposizione della
legislazione umana: “personalitas non est alienabilis”74. Perciò vengono “trovate” o “scoperte” e rivelano, in questo senso, la stessa struttura di base come il “diritto naturale”.
Questo passaggio ‘moderno’ si può verificarlo anche nei documenti della Dottrina sociale della
Chiesa. Infatti, con Giovanni XXIII75 e il Concilio Vaticano II avvenne un vero e proprio cambiamento paradigmatico dal “diritto naturale” al riconoscimento dei “diritti umani”76. In questo senso,
è centralmente la Gaudium et Spes che mette al centro e fondamento di ogni diritto la “natura intelligente della persona umana”77. In questa sfera dell’intelligenza e volontà dell’uomo, quindi nella
sua libertà, viene riconosciuto quel momento che l’ordinamento giuridico deve proteggere nel nome
della giustizia. Così, la “soggettività giuridica” – ragione e libertà dell’uomo – si evidenzia di suprema importanza e rivela quel momento che remotamente è stato sempre il nucleo delle concezioni
più autentiche di “diritto naturale”: ossia non una concezione oggettivistica-ideologica dello stesso,
livellando ogni differenziazione critica tra “diritto” e “natura”, ma invece sempre concie di una distanza critica tra di loro, distanza che esprime esattamente il momento costitutivo della dignità
dell’uomo. Grazie a questa distinzione critica, già presente in San Tommaso come distinzione, e di73
J. Ratzinger, Ragione e fede. Scambio reciproco per un’etica comune, in: J. Habermas / J. Ratzinger, Ragione e fede
in dialogo, a c. di G. Bosetti, Venezia 2005, 65-81, 75s. Cfr. già l’affermazione di D’Agostino: “I diritti umani, infatti,
altro non sono che il modo in cui si ripresentano nel nostro tempo – e in una forma particolarmente agguerrita – le istanze più profonde del giusnaturalismo” (F. D’Agostino, Diritto e giustizia. Per una introduzione allo studio del diritto, Cinisello Balsamo 2000, 27s.).
74
I. Kant, Reflexionen zur Rechtsphilosophie, Rifl. 7857.
75
Con l’Enciclica Pacem in terris, cfr. n° 5, 16, 21-25, passim. In ibid., n° 75, sotto il titolo “segni dei tempi”, il Papa
afferma: “Un atto della più alta importanza compiuto dalle Nazioni Unite è la Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo approvata in assemblea generale il 10 dicembre 1948. Nel preambolo della stessa dichiarazione si proclama
come un ideale da perseguirsi da tutti i popoli e da tutte le nazioni l’effettivo riconoscimento e rispetto di quei diritti e
delle rispettive libertà”.
76
Cfr. anche emplematicamente J. Ratzinger Europa. I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domani, in: M. Pera /
J. Ratzinger, Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, islam, Milano 2004, 47-72, qui soprattutto 67.
77
Gaudium et spes, n° 15; cfr. Mater et magistra, n° 5.
19
ventata una sfida nella modernità, dopo la “legge di Hume”, di ri-relazionare “diritto” e “natura”
senza identificarli, divenne possibile al giusnaturalismo moderno una seconda differenziazione importantissima per la giusta impostazione della soggettività giuridica, che è intimamente collegata
con la prima: ossia quella tra “diritto” e “morale”78. Infatti, solo in una distinzione – non separazione – critica tra “diritto” e “morale” può essere affermata la soggettività dell’uomo non solo davanti
alla natura ma anche davanti all’organizzazione ‘politica’. Per questi due aspetti, che vengono sistematicamente espressi dall’istituzione della ‘soggettività giuridica’, dalla ‘dignità dell’uomo’ e
quindi dai ‘diritti umani’, sembra quindi che ormai, “dopo” la modernità, la tradizione del “diritto
naturale” sia stata definitivamente riassunta e assorbita dai “diritti umani”, che più facilmente rispondono alla sfida filosofica e giuridica di oggi alla quale ormai anche la teologia si sia adeguata.
È quindi irrevocabilmente “falsificata” la tesi di Heinrich Rommen?
5. La crisi del ‘diritto naturale’ e il recupero del ‘diritto naturale’
A ben vedere, questa necessità di un’istanza giuridica internazionale viene necessitata nel momento
in cui i popoli e gli individui differiscono per i loro parametri concreti di giustizia, di cultura e persino di natura. Proprio per questo, l’istanza moderna dei “diritti umani” rivendica un’esigenza che è
propria del tradizionale “diritto naturale”. Ormai non è più il concetto di natura “concreto” che può
darci un criterio oggettivo, ma è il concetto di “diritto” che deve assumersi questo compito e risolverlo79: per il consenso universale non può più essere la ‘natura’ a fornire una base oggettivocomune, ma esso può essere ‘stabilito’ solo tramite il metodo di accordi e contratti80. Sin dalla modernità, un tale ordo non è più da evincere dalla “natura” – infatti quale dovrebbe essere l’ordine
normativo che sarebbe da desumere dai processi incoscienti della natura? In questo senso, era
J. S. Mill ad affermare: “la vera verità è che quasi tutte le cose per cui gli uomini vengono impiccati
o imprigionati quando le commettono l’uno verso l’altro, sono azioni quotidiane della Natura”81.
78
Così, lo sviluppo del diritto naturale nella Seconda Scolastica e nella Neoscolastica tende sempre di più, attraverso la
‘razionalizzazione’ del diritto naturale, verso una tale identificazione e quindi verso l’eliminazione dell’elemento critico
(si potrebbe quasi dire: ‘illuministico’) nella concezione di San Tommaso. Il giusnaturalismo moderno, in quanto mantiene questa distinzione, si giustifica, quindi, attraverso tale momento critico: questo vale esemplarmente per la posizione kantiana. In Rousseau ed in Hegel, invece, questa distinzione critica è di nuovo superata a livello sistematico.
79
Cfr. Schopenhauer, Preisschrift über die Grundlage der Moral, 218.
80
Cfr. J. Rawls, Political Liberalism (The John Dewey Essays in Philosophy, 4), New York 1993, XVIII. Commenta
D’Agostino: “La pretesa di una ragione similmente intesa è quella di unire […], attraverso la forza di un contratto sociale, quegli uomini che sono divisi dagli interessi, dalla religione, dai costumi” (D’Agostino, Diritto e giustizia, 24).
81
J. S. Mill, La Natura, in: id., Saggi sulla religione, a c. di L. Geymonat, Milano 19722, 13-52, qui 28s. Già Hume aveva dubitato che dalla natura e dalle inclinazioni naturali si lascerebbero dedurre naturali diritti ed obblighi: “Perciò
sen noi dovessimo seguire il corso naturale delle nostre passioni e delle nostre inclinazioni, ben poche sarebbero le azioni a vantaggio altrui che compiremmo disinteressatamente, perché la nostra benevolenza e il nostro affetto sono naturalmente molto limitati; e ne compiremmo altrettanto poche guardando al nostro interesse, perché non possiamo contare
20
Quindi, diventa arbitrario quel che viene inteso come la “natura” del “diritto naturale”82? Inoltre,
più recentemente Bobbio ha radicalizzato questo argomento della “fallacia naturalistica”: “Che un
certo evento sia naturale è o dovrebbe essere un giudizio di fatto, ricavato dall’osservazione di ciò
che accade per lo più tra gli uomini, materia, oggi si direbbe, di ricerche empiriche come
l’antropologia o la sociologia. Che quello stesso evento sia da approvarsi come giusto e da condannarsi come ingiusto è invece un giudizio di valore. Ma come è possibile dedurre un giudizio di valore da un giudizio di fatto?”83. Non è da dimenticare che tali interventi non sono da leggere solo come domande critiche al “diritto naturale” bensì in prima linea come confutazioni dei sofisti di tutti i
tempi per i quali il “primo precetto ‘naturale’ [è] quello che riconosce al più forte ogni diritto sul
più debole”84. Un “diritto naturale” critico oggi può e dovrebbe quindi, in un primo momento, servirsi positivamente di questo ragionamento di Mill e Bobbio. In tal senso, fu Ratzinger in un suo
giovane studio a sottolineare il rischio di un diritto naturale ‘ideologizzato’ che implicitamente dichiara ‘normativo’ ciò che invece ci sembra acriticamente – e quindi ‘ideologicamente’ – ‘naturale’85.
Un tale atteggiamento critico, come essi ci insegnano, risulta senz’altro dovuto qualora si considera
l’abuso del “diritto” nel regime nazista: e cioè in quanto era nel nome di una ‘natura’ ideologicamente interpretata che il diritto fu pervertito nel totalitarismo nazista86. Ovviamente, tale ideologia
sulla gratitudine altrui” (D. Hume, Trattato sulla natura umana, a c. di A. Carlini [Opere filosofiche, 1], Roma-Bari
1992, 551).
82
Questo sospetto fu formulato da E. Tugendhat, Vorlesungen über Ethik, Frankfurt a. M. 1993, 71.
83
Bobbio, Giusnaturalismo, 172.
84
D’Agostino, Diritto e giustizia, 22.
85
In questo senso, Ratzinger afferma il sospetto che “c’è una sorta di elementi ‘ideologici’ ossia ragionamenti che sembrano di essere di diritto naturale o teologici, ma in realtà derivano da una struttura sociale storica che è sentita ‘naturale’ e che viene inosservatamente dichiarata normativa” (Ratzinger, Naturrecht, Evangelium und Ideologie, 24).
86
Questa analisi di Rommen implica una presa di posizione riguarda alla domanda delle ‘colpe’ storiche del giuspositivismo vs del giusnaturalismo per la realizzazione della legislazione nazionalsocialista, domanda che ultimamente ha
conosciuto ad un vero e proprio cambiamento paradigmatico: mentre fin ora ci si basava sulla tesi di Gustav Radbruch,
secondo la quale è stato un diffuso giuspositivismo alla fine della repubblica di Weimar – che insomma ha penetrato
quasi l’intera categoria dei giuristi – a favorire la presa di potere del regime fascista (cfr. G. Radbruch, Gesetz und
Recht, in: id., Rechtsphilosophie III, 96-100, qui 96), ormai si sta consolidando l’interpretazione contrastante secondo la
quale invece sarebbe stato un conglomerato di varie comprensioni, tutte insufficienti e falsificanti, sul giusnaturalismo
che erano diffuse tra i giudici dell’epoca e che li ha resi servili alla legislazione nazionalsocialista: su questa base – cioè,
con altre parole, che i giudici per la loro vaga impostazione giusnaturalistica erano propensi di accettare ‘valori’ transpositivi – il regime poteva proclamare l’ideologia “naturalista” del nazionalsocialismo come il ‘valore’ assoluto rispetto al quale è da interpretare il sistema delle leggi positive. Questa ideologia, quindi, derivava da dati biologici, ideologicamente assunti, le conseguenze per l’ordinamento politico-giuridico, trasformando quest’ultimo in una diretta espressione delle ‘valutazioni’ fasciste il che conduceva all’emarginazione di tutti quelli che non adempivano a questi criteri
biologico-“naturalistici”. Evidentemente, un tale fraintendimento del fondamento di ‘valore’ del giusnaturalismo
all’interno della giurisprudenza si poteva conciliare con certi impostazioni derivanti dal neokantianismo e dalla filosofia
dei valori dell’inizio secolo (Lask, Scheler et al.). Secondo la perversione nazionalsocialista del “diritto naturale”, i ‘valori’ furono ideologicamente stabiliti quelli del popolo, della nazione, del sangue, della razza. Chi ha il potere di definire tali ‘valori’ in modo assoluto-totalitario per la comunità politica, può quindi esercitare una “tirannia dei valori” sugli
sudditi, sottomettendo la loro individualità e libertà a quei principi che vengono presunti “naturali”, “eterni”, “assoluti”
ecc. Si evince subito come davanti ad un’accezione del genere di abuso di “diritto naturale”, l’individuo non ha più di-
21
ci rende immediatamente consapevoli della conseguenza che il concetto di natura non può risultare
più immune di fraintendimenti, appunto dopo il suo abuso clamoroso. Per porre un limite invaricabile ad un tale pericolo, Rommen nella seconda edizione del suo libro sviluppa la dimensione del
radicamento del diritto nel soggetto in quanto persona, in quella sfera che la tradizione liberalmoderna ha difeso nel concetto trascendentale della “dignità umana”: “la prima e propria sede della
libertà giuridica è la persona umana”87. In questo senso, è da riscoprire il diritto in quanto può stabilire e garantire la convivenza degli uomini in libertà e riconoscimento reciproco di quella dignità
la quale non deve essere privata a loro da nessuna istanza sovra-individuale. Prima di restringere la
libertà attraverso la legislazione e l’autorità politica, l’ordinamento giuridico apre quindi socialmente gli spazi di libertà umana: in quanto tale, il diritto è un dato di cultura.
A tale punto sistematico, però, il “diritto naturale” pone la domanda se questa impostazione fa svanire ogni suo contenuto materiale o se ci sono momenti materiali centrali, invariabili, che devono
essere rispettati finché il diritto può assumere questa funzione? Oggi, dopo decenni di tradizione
democratica, possiamo costatare che non ci è difficile enumerarne alcuni elementi centrali, in quanto troviamo una buona parte di questi valori codificati nei diritti umani, nella costituzione ecc.88
Questi sono valori alla base della nostra società che lo Stato deve rispettare. In questi valori e in
queste norme si esprime, in una forma senz’altro recente, quel che la tradizione occidentale ha sempre espresso con il termine “diritto naturale”. Perciò, si può arrivare persino fino alla conclusione:
“Chi nega l’esistenza di norme meta statuali vincolanti, sul piano giuridico, anche il legislatore costituzionale, sia costituito che costituente, nega, di fatto, il nostro ordinamento positivo, e non il nostro soltanto”89.
ritti liberali personali che precedono lo Stato e che esigono di essere rispettati dallo stesso. Allora, sottolineando unilateralmente l’aspetto di “natura” nella concezione di “diritto naturale”, ci si espone al rischio di falsificare l’intenzione più
originale del “diritto naturale” stesso – quella critica –, spalancando le porte a ideologizzazioni perniciose. Invece è la
critica distanza tra “diritto” e “natura”, distanza nella quale si svolge il ‘valore’ dell’individuo e della sua libertà, che
una concezione adeguata di “diritto naturale oggi” deve considerare.
87
FD I, 193.
88
Davanti a quest’orizzonte, c’è chi trae un bilancio alquanto positivo per la “salute” del “diritto naturale” oggi: “Nondimeno, soprattutto negli ultimi due o tre decenni e comunque a far data, per riferirci ad uno spartiacque storico, dalla
già ricordata Dichiarazione universale del 1948, l’istanza giusnaturalistica non è di certo andata perduta, e anzi ha dato
prova di una notevole capacità di adattamento ai nuovi moduli culutrali, tanto da poter dire che essa oggi gode di ottima
salute” (F. Dal Pozzo / M. Roncoroni, Filosofia, giustizia, diritto. Lineamenti di filosofia del diritto, Torino 2001, 421).
E Rommen sottolineava il fatto che il diritto naturale “si nasconde, per così dire, dietro il sipario del diritto positivo,
mentre esso ricompare sulla scena quando il diritto positivo […] diventa una ingiustizia obiettiva. Da ciò proviene ugualmente il fatto che il giurista pratico si accontenta nella maggior parte dei casi della teoria e della validità del diritto
positivo” (Rommen, L’eterno ritorno, 216).
89
G. Morelli, Il diritto naturale nelle costituzioni moderne. Dalla “dottrina pura del diritto” al “sistema
dell’ordinamento democratico positivo”, Milano 1974, 5. Morelli, da parte sua, spinge il suo discorso fino al ragionamento elenctico: “La dottrina che nega queste affermazioni è incoerente, in quanto pur dichiarando, eventualmente, di
voler essere fedele a un metodo positivo, di fatto se ne allontana; e si contraddice, in quanto, pur pretendendo di prescindere da qualsiasi metafisica o ideologia, di fatto è condizionata e determinata da premesse metafisiche o metagiuridiche oltre che gnoseologiche” (ibid.). Cfr. questa figura argomentativa già al fondamento della Dichiarazione dei dirit-
22
Quel che oggi, riguardo alla normatività etica, è più concreto e più ricco di implicazioni nella coscienza quotidiana è quindi il concetto di “diritto”, meno quello di “natura”. La società ci garantisce
lo spazio per realizzare quel che siamo soggettivamente, la nostra “natura” individuale, attraverso i
diritti fondamentali che in un primo momento non sono egoismi ma realizzazioni dei costitutivi della nostra esistenza in quanto esseri umani dotati di dignità personale90: vita, integrità del corpo, tutela dall’arresto arbitrario, libertà di movimento, di opinione, di associazione, proprietà personale, libertà religiosa. In questi momenti si esprime la “dignità dell’uomo”, quella dignità che non è un dato natural-positivo, deducibile dalla natura ma che spetta all’uomo in quanto uomo. In quanto questi
elementi vengono riconosciuti, non soggettivamente, ma costituzionalmente come “valori” e che in
quanto tali stanno alla base degli ordinamenti giuridici, è proprio la loro salvaguardia che impedisce
la strumentalizzazione dell’uomo nei totalitarismi.
Anche se oggi, senz’altro, per le società occidentali si può parlare del superamento dei totalitarismi
da parte dei sistemi democratici, esistono comunque delle forme sociali che minacciano la “dignità
umana”: “Va aggiunto che il totalitarismo nasce dalla negazione della verità in senso oggettivo: se
non esiste una verità trascendente, obbedendo alla quale l’uomo acquista la sua piena identità, allora
non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini. Il loro interesse di
classe, di gruppo, di Nazione li oppone inevitabilmente gli uni agli altri. Se non si riconosce la verità trascendente, allora trionfa la forza del potere, e ciascuno tende a utilizzare fino in fondo i mezzi
di cui dispone per imporre il proprio interesse o la propria opinione, senza riguardo ai diritti dell'altro. Allora l’uomo viene rispettato solo nella misura in cui è possibile strumentalizzarlo per un'affermazione egoistica. La radice del moderno totalitarismo, dunque, è da individuare nella negazione
della trascendente dignità della persona umana, immagine visibile del Dio invisibile e, proprio per
questo, per sua natura stessa, soggetto di diritti che nessuno può violare: né l’individuo, né il gruppo, né la classe, né la Nazione o lo Stato”91. Come tali forme moderne non-militari di minaccia della
“dignità umana” si può pensare agli aspetti pericolosi dei mass media, del consumismo e delle dinamiche della società spät-moderna che rivelano il pericolo a trasformare l’uomo in un “uomo eterodiretto”92. A queste problematiche sociali si associano tutti i temi attualmente discussi nel campo
della bioetica, dell’etica della medicina, dell’etica della tecnica93. Inoltre, come sviluppi politici re-
ti dell’uomo e del cittadino del 1789 che in articolo 16 affermò: “Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri stabilita, non ha una costituzione”.
90
“In primo luogo, la personalità che si trova nella natura umana è quella che raccomanda quel principio; e nella dignità della persona, o più propriamente nell’elemento che dà alla persona la sua dignità, anche noi riponiamo la ragione
universale de’ diritti, e prima ancora la scaturigine de’ doveri” (FD I, 166).
91
Centesimus annus, n° 44.
92
Cfr. D. Riesman, La folla solitaria, a c. di G. Sarti, Bologna 1999.
93
Cfr. Ratzinger, Europa. I suoi fondamenti spirituali; 68.
23
centi, siamo tenuti di nuovo a confrontarci all’interno delle nostre società occidentali, senz’altro,
con nuovi scenari di violenza, terrorismo e tortutra. Come conseguenza comune da questi scenari
varissimi e in parte incommensurabili, deriva l’ammonito che libertà e giustizia diventa la misura
per ogni istituzione politico-giuridica, in quanto fondate su quella dignità umana che si rivela essa
stessa “misurata”, in una “legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo”94. Ricordiamo la distinzione
kantiana tra quel che ha un “prezzo” e quel che è dotato di “dignità” – e la dignità dell’uomo consiste nel basarsi su un nucleo non suscettibile a calcoli economici o giuridici. Nella sua dignità
l’uomo è sottratto da tali logiche ed esige riconoscimento incondizionato. In questo senso, deduce
Kant, l’organizzazione di una società di persone è possibile, anche se si dividono di Weltanschauung, di religione, di opinioni, di schieramento politico – persino se non riconoscono una concreta moralità (Sittlichkeit), quindi se sono i presunti “diavoli” kantiani. Se rispettiamo nell’altro la
dignità, se lo riconosciamo su questa base, la convivenza è possibile: e questo è il fondamento del
sistema giuridico.
A questo punto sistematico – e tornando a livello mondiale della problematica dei “diritti umani” –
si deve senz’altro affrontare il dubbio se i diritti umani, fondati in tal modo astrattamente sulla “dignità umana”, possano garantire essi stessi il rispetto che invece esigono per poter essere socialmente incisive95. Tale rispetto presuppone più che una semplice “libertà negativa” di stampo liberale.
Quello che Arrow e Sen96, ricorrendo a Condorcet, hanno dimostrato, cioè che un “dogmatismo”
della libertà – come Ratzinger caratterizza la posizione del ‘libertinismo’ – conduce paradossalmente ad un restringimento invece che alla realizzazione della libertà, l’attuale Papa lo formula con le
seguenti parole: “[è] evidente che questo canone per niente chiuso della cultura illuministica contiene valori importanti alla quali noi, proprio come cristiani, non possiamo e non dobbiamo rinunciare;
ma è altrettanto evidente che questo concetto – definito vagamente o proprio nemmeno definito – di
libertà che le sta al fondamento, conduce inevitabilmente in aporie e conduce – proprio per la sua
applicazione apparentemente radicale – a restrizioni della libertà le quali noi, una generazione fa,
non potevamo neanche immaginarci”97.
94
Evangelium vitae, n° 70.
“Il diritto naturale, per il quale le carte dei diritti umani, le convenzioni ecc. hanno lo stato di leges humanae, fornisce
la ragione, il quadro per il contenuto e la legittimazione per il dovere. Esso assolve questa funzione per ciascuna lex
humana. Aiuta di chiudere i buchi. I diritti umani, al contrario, non possono fondare il loro dovere. Perché sono da rispettare? Un individuo singolo e pure un collettivo non mi possono prendere in obbligo in quanto uomo singolo. I diritti
umani vigono, perché sono fondati su un dovere di dare e di garantiere o di concedere a ogni e a tutti gli uomo il rispettivo Suo – o in altre parole: essi sono fondati sul diritto naturale qui delineato” (Brieskorn, Wofür benötigen wir überhaupt ein Naturrecht?, 118).
96
Cfr. A. Sen, The Impossibility of a Paretian Liberal, in: Journal of Political Economy 78 (1970) 152-157.
97
J. Ratzinger, Europa in der Krise der Kulturen, in: M. Pera / J. Ratzinger, Ohne Wurzeln. Der Relativismus und die
Krise der europäischen Kultur, Augsburg 2005, 61-84, qui 70 [l’articolo di Ratzinger in questa raccolta non corrisponde
95
24
In altre parole, sono le “contraddizioni interiori nella forma attuale della cultura illuministica”98 che
si traducono immediatamente nel problema giuridico del riconoscimento universale dei “diritti umani” e della conseguente esigibilità degli stessi a livello mondiale, in quanto manca una struttura
politica adatta per una realizzazione più efficace e ‘perfetta’. Con questa problematica, cioè della
domanda del fondamento del loro riconoscimento e del problema pratico dell’esigibilità, si arriva a
quella crux del concetto di ‘diritto’ oggi che richiama attualmente il discorso del “diritto naturale”:
“[l]a stessa Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, firmata da quasi tutti i Paesi del mondo
nel 1948, […] esprime pienamente, perfino nel suo titolo, la consapevolezza che i diritti umani […]
appartengono all’uomo per natura, che lo Stato li riconosce, ma non li conferisce”99. A questo punto, i “diritti umani” rimandano ad un discorso che oltrepassa l’argomento giuridico e che svolge
quella “fondazione” dei diritti umani che essi stessi non possono realizzare.
6. La relazionalità dell’uomo come base del “diritto naturale”
Questo ‘oltrepassamento’ tradizionalmente fu individuato nella natura dell’uomo. Partendo da
un’impostazione metafisico-aristotelica, il progetto moderno del “diritto liberale” doveva sembrare
un discorso da rifiutare già nel suo punto di partenza: per il fatto che esso concepire l’uomo esclusivamente in modo individualistico, astraendolo dalla sua costitutiva determinazione di appartenenza
alla famiglia, alla nazione e alla religione. Infatti, i fondamentali e primari diritti dell’uomo furono
fondati quelli liberal-negativi, per salvaguardare la sfera della dignità dell’uomo, quell’istanza che
precede qualsiasi sua organizzazione sociale e qualunque norma a livello politico. Se quindi lo Stato
non può intromettersi nell’ambito più privato ed “intimo” della persona, allora il diritto si riferisce
al regolamento dei comportamenti “esteriori” dell’uomo, mentre la morale è trasferita nel momento
dell’obbligazione ‘interiore’ dell’uomo la quale non spetta più all’autorità pubblica di regolarla.
La prospettiva liberale del diritto si basa, in altre parole, su una sola dimensione dell’uomo cioè su
quella individuale la quale viene accentuata nei confronti dell’istanza autoritaria dello stato (moderno). Ma l’uomo, così la critica, non è solo caratterizzato da relazionalità negative verso gli altri
(concorrenza, orientamento razional-oggettivo) ma anche da momenti di collaborazione e di cura
(carità)100. Con un’immagine molto tipica, Schopenhauer ha caratterizzata questa doppia dinamica
al contributo equivalente di lui – dal titolo Europa. I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domani – nella traduzione
italiana di questo volume, Senza radici].
98
Ratzinger, Europa in der Krise der Kulturen, 71.
99
J. Ratzinger, La via della fede. Saggi sull’etica cristiana nell’epoca presente (Ragione & fede, 19), Milano 1996, 113.
100
Come precisa Korff, l’uomo è antropologicamente caratterizzato dai momenti dell’autoaffermazione, della capacità
di cura e della tensione al soddisfacimento dei propri bisogni. Questi tre elementi, della concorrenza, della cura verso
25
della natura umana – respingimento ed attrazione – nella metafora del “porcospino”101. In questo
senso, il compito del diritto non consiste solo nel rimediare interessi contrastanti e quindi nel risolvere situazioni conflittuali, bensì – e forse in modo primario e fondativo – di aprire e rendere possibile spazi pubblici di libertà, contrassegnate dalla relazionalità, nelle quali l’uomo si può realizzare
nella sua dimensione social-relazionale: “La prima caratteristica dell’uomo, individuabile mediante
il diritto, è la relazionalità: l’uomo per natura è un ente in relazione”102.
Questa relazionalità, per natura sua, oltrepassa le possibilità tecnico-strumentali del giuspositivismo
e della sua “dogmatica, del volontarismo giuridico”103, in quanto reclama un elemento che va oltre
una pura razionalità strumentale – fondamento epistemologico del giuspositivismo. È in questo senso che Ratzinger, da Cardinale nella discussione con Habermas a Monaco di Baviera, assegnò al
“diritto naturale” un fondamento epistemologico diverso, cioè il “rapporto correlativo” tra ragione e
fede, non sottacendo che proprio questa concezione nella discussione attuale non viene ampiamente
condivisa104. Nonostante questa costatazione, egli non teme la “fatica del concetto”, ossia di correlare questa sua pretesa con l’istanza ‘individualistica’ della “dignità umana”, in quanto declina criticamente la persona umana non come materialmente predeterminata – e quindi evitando le trappole
di Hume e di Darwin – ma come una realtà relazionale, appunto specificamente umana e perciò
come “relazione sussistente”. È stato Rosmini a identificare nella persona umana, delineato in tal
modo, “il diritto umano sussistente”, in quanto “ha per sua essenza tutti i costitutivi che entrano nella definizione del diritto”105: la fondamentale sostanzialità dell’uomo – dignità individuale e sottratta all’organizzazione politica – con la sua costitutiva relazionalità.
Solo una tale – complessa – concezione di “natura umana” rende ragione all’uomo nella sua dignità
che non si lascia completamente ridurre ad una dignità astratta al di fuori di ogni realizzazione e
quindi individuazione, né viene assorbita acriticamente da una ragione di appartenenza (nazione,
l’altro e dell’orientamento razional-oggettivo, si implicano e si penetrano a vicenda, tanto da costituire una “pericoresi
sociale” la quale stabilisce la ‘natura sociale’ dell’uomo (cfr. W. Korff, Norm und Sittlichkeit. Untersuchungen zur Logik der normativen Vernunft [Tübinger Theologische Studien, 1], Freiburg-München 19852, 76-113).
101
A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena, 2 voll., a c. di M. Carpitella, Milano 20032, II, 884 (II, 396). E precisa,
ibid., che “[l]a distanza media, che essi riescono finalmente a trovare e grazie alla quale è possibile una coesistenza, si
trova nella cortesia e nelle buone maniere”.
102
S. Cotta, Diritto naturale: ideale o vigente?, in: AA.VV. [UGCI], Diritto naturale. Verso nuove prospettive, 5-28,
qui 20.
103
Bobbio, Giusnaturalismo, 138. Commenta Castellano: “È chiaro che, in questa prospettiva, l’ordinamento giuridico
è (e non potrebbe non essere) autoreferenziale. Esso, cioè, troverebbe in sé, meglio nel potere attraverso il quale viene
imposto, il punto archimedeo della sua esistenza e della sua operatività” (D. Castellano, Introduzione, in: id. [ed.], Diritto, diritto naturale, ordinamento giuridico, Padova 2002, 1-17, qui 10).
104
Ratzinger, Ragione e fede, 80.
105
FD I, 191.
26
cultura, religione)106. Solo mantenendo questa duplice prospettiva, si riesce quindi a determinare un
“diritto naturale” critico e perciò attuale: correlazione tra “dignità” (individualità) e “morale” (relazionalità) senza identificazione; ma anche distinzione tra loro senza separarli. Si tratta, quindi, di
due momenti che caratterizzano l’essenza specificamente umana: l’istanza trascendentale della sua
dignità sacra e inviolabile e il suo sussistere in relazionalità naturali, non materialmente determinate
ma che situano l’uomo aprioristicamente in quanto egli si comprende come “spirito nel mondo”107:
nella relazione dell’uomo a sé (diritti umani liberali), nella relazione agli altri (doveri morali fondamentali e riconoscimento dei diritti umani liberali altrui), nella relazione a Dio (trascendentalità e
vero fondamento del “diritto” che l’uomo esistenzialmente è).
Secondo questo approccio il diritto è ontonomo – non è né unicamente eteronomo né completamente autonomo, ma è ontologicamente fondato nell’essere che nel suo senso vero e proprio è sussistenza che si esprime in relazione. Questa ‘ontonomia’ coincide con la ‘antroponomia’108 in quanto
si realizza all’interno dell’epistemologica ontologica dell’ ‘ontologia trinitaria’: infatti possiamo rilevare come il proprium autentico dell’ ‘ontologia trinitaria’ è il declinarsi contemporaneamente di
“relazionalità” e “sussistenza” e di concepire, perciò, l’uomo come “relatio subsistens”109. In questo
senso, un’ontologia del diritto rende ragione alla natura dell’uomo in quanto sussistenza autonoma e
relazionalità relata110. Il luogo dove si intrecciano tutte le dimensioni di queste tre relazioni ontologiche è l’uomo – e sta, in ultima analisi, proprio qui la ragione per cui Rosmini può definire la persona il “diritto umano sussistente”: nella sussistenza si inverano le relazionalità per cui l’ontologia
trinitaria di Rosmini svolge il discorso fondativo della sua concezione di “diritto” e realizza il concetto autentico dell’universalità cristiana: “[p]er parlare di se stesso, il cristiano dovrà parlare di tutti
gli uomini e per tutti gli uomini”111. Infatti, è la ‘universalità concreta’ che Rosmini aggiunge al
concetto astratto-negativo dell’universalità trascendentale della ragione umana e profila in modo autentico l’attualità del “diritto naturale” in qualsiasi considerazione autentica dei “diritti umani”. Rosmini, nella sua concezione di diritto, ontologicamente fondato e antropologicamente declinato, cer106
“[L]a personalità che si trova nella natura umana è quella che raccomanda quel principio; e nella dignità della personal o più propriamente nell’elemento che dà alla persona la sua dignità, anche noi riponiamo la ragione universale de’
diritti, e prima ancora la sca<turigine de’ doveri. Ma quanto è giusto il prendere la persona per la ragione universale de’
diritti, altrettanto è ingiusto e falso prendere la sola persona pel principio della derivazione o determinazione de’ diritti”
(FD I, 166).
107
Cfr. K. Rahner, Spirito nel mondo, a c. di M. Marassi e A. Zoerle (Metafisica e storia della metafisica, 7), Milano
1989.
108
Per questa equazione, cfr. il seguente ragionamento: “Con la domanda sull’uomo andiamo oltre la domanda
sull’essere. L’uomo accoglie in sé la domanda sull’ente e la radicalizza” (A. Baruzzi, Rechtsphilosophie der Gegenwart,
Darmstadt 2006, 132).
109
Cfr. M. Krienke, “… io vorrei preparare una Filosofia cristiana”. Das theoretische Anliegen Antonio Rosminis, in:
Münchener Theologische Zeitschrift 56 (2005) 23-48.
110
Questo sarebbe, in altre parole, lo schema di un’ontologia trinitaria, applicata alla teoria del diritto.
111
F. D’Agostino, Lezioni di Filosofia del Diritto (Recta Ratio, V, 10), Torino 2006, 94.
27
ca un’originale sintesi di queste due tradizioni. È stato Sergio Cotta a formulare questa fondazione
nel seguente modo: “Solo poiché si è uomini si deve comportarsi in un dato modo”112 – ossia: ‘devi
perché puoi’.
A ben vedere, il Roveretano profila in questo senso nella modernità un’intuizione che egli stesso è
riuscito a individuare già in San Tommaso, anche se ovviamente nell’Aquinate questa dimensione
non risulta ancora articolata e sviluppata. Il pensiero di San Tommaso è caratterizzato da un approccio dall’individuo che è profondamente cosciente della dimensione sociale: “[q]uidlibet autem homo est pars communitatis”113. Nell’Aquinate manca ancora la riflessione sistematica a livello antropologico per cui è stato proprio il confronto rosminiano con Kant ed Hegel e la sua teoria del “sintetismo” che è il risultato più autentico dell’incontro tra “tradizione” e “modernità” in Rosmini, a
consentirgli di riformulare questa esigenza antropologica nella teoria del diritto della modernità (del
“diritto razionale”114). Con questa formula, Rosmini riesce ad accentuare l’antropologia cristiana
nella modernità e a superare le impasse di un diritto naturale neoscolastico che non possedeva gli
strumenti necessari per un tale confronto. Rosmini, dal canto suo, valorizza la dignità individuale
umana, che si realizza proprio nella realtà ontologico-relazionale della persona. Con quest’ultimo
aspetto, non solo corregge Hegel che scioglie il fondamento ontologico nelle istituzioni dello “spirito oggettivo”, ma anticipa fondamentalmente Pareyson: “L’uomo è una relazione, non nel senso che
egli è in relazione con, oppure, intrattiene relazioni con: l’uomo è una relazione, più specificamente
una relazione con l’essere (ontologico), con l’altro”115. Con la sua teoria, in altre parole, Rosmini
sottolinea la ‘tragicità’ dell’individualismo moderno e della sua strada che lo portava sempre più
lontano da quella autentica sintesi antropologica del cristianesimo. Il progetto di Rosmini è di evitare le conseguenze dell’individualismo liberale senza sfociare nel collettivismo – le due polarità moderne, emblematicamente rappresentate da Kant ed Hegel. Perciò, egli intende – sulla scia di Tocqueville – di rafforzare i legami della società civile, di una libertà positiva in quanto correttivo ne-
112
Cotta, Diritto naturale, 18.
STh II/II 64, 5.
114
Cfr. FD I, 176. Tommaso “aveva osato molto quando aveva cercato di tradurre la rivoluzionaria realtà di un Dio rivelatosi come uni-trinità nella definizione delle tre Persone divine come relazioni sussistenti; una intuizione che non si
tradusse però in una coerente antropologia relazionale: la persona umana, infatti, anche per Tommaso restava definita
più dall’individualità che dalla comunione con l’altro. L’umanesimo aveva sviluppato la componente fenomenica, storica, della socialità ma la riflessione filosofica sui ‘fondamentali’ della relazionalità umana non fu profonda. E se la relazione interumana non è affermata come elemento costitutivo della persona allora diviene possibile pensare teorie del
sociale sostanzialmente individualiste, caso che è accaduto con Machiavelli o Hobbes, che spiegavano la vita in comune
come risultati della dinamica di individui a-sociali, impauriti ed egositi, che scelgono di relazionarsi (attraverso un contratto o altro) ma potrebbero anche non farlo. È così che il politico viene fondato sulle macerie del civile” (L. Bruni /
S. Zamagni, Economia civile. Efficienza, equità, felicità pubblica, Bologna 2004, 81s.).
115
L. Pareyson, Ontologia della libertà. Il male e la sofferenza, Torino 1995, 23.
113
28
cessario alla “libertà negativa” delle istituzioni moderne di mercato e di democrazia liberale116, senza assegnare a loro, però, un valore proprio che sia staccato dalla dignità individuale umana.
Probabilmente questo approccio dell’ ‘ontologia trinitaria’ in quanto discorso epistemologico può
essere la via, oggi, per adempiere quella funzione, centrale del diritto naturale, “di raggiungere in
ugual modo cristiani e pagani, credenti e non credenti, con ragioni razionali”117. Questa svolta è individuabile nell’identificazione della “natura” con la “natura umana” che sintetizza in sé “sussistenza” e “relazionalità” – sintesi che per il pensiero greco sarebbe stato inconcepibile. Infatti, per Aristotele, pur avendo egli elaborato alcuni termini fondamentali del nostro ‘diritto naturale’, non incide sulla formula rosminiana, in quanto non prevede la valorizzazione della dignità individuale
dell’uomo: “l’uomo non è la realtà di maggior valore nell’universo”118. E così sarà solo San Tommaso ad affermare – correggendo la tradizione aristotelica – che “persona significat id quod est perfectissimum in tota natura”119, in quanto realizza in se stesso in modo contingente ma epistemologicamente valido quella sua realtà di essere immagine dell’essere assoluto divino che realizza in modo sussistente e quindi fondativo la coincidenza di “sussistenza” e “relazionalità” nel concetto di
“persona”. Questa relazionalità è una prima strutturazione dell’idea del diritto che – proprio per essere universale – deve rimanere formale120.
Per esprimere questo momento complesso della natura umana – sintesi originale di Rosmini, con la
quale egli “non tollit sed perficiat” la concezione di San Tommaso, attualizzandola nella modernità
– a livello dell’ “astrazione” del diritto, e quindi costretto di declinarlo con un concetto giuridicamente realizzabile, Rosmini introduce un’universalità di un secondo genere, non per esprimere
l’individualità (universalità astratta della concezione liberale) ma, appunto, la relazionalità121. Mentre il primo tipo delle due universalità tematizzate da Rosmini – il concetto ‘astratto’ – esprime la
base moderna dei “diritti umani”, il secondo costituisce l’inquadramento teoretico del classico “diritto naturale”: infatti è la ‘universalità concreta’, la quale unicamente puntava il pensiero medievale. Questa non è la particolarità delle inclinazioni soggettive o delle tradizioni particolari, ma stabilisce la necessità di giustificarli rispetto al criterio dell’universalità delle relazionalità umane: e infatti, già nella Politica prima di Rosmini incontriamo una tipologia sistematica delle relazionalità
umane: legami (1) “delle cose inanimate colle persone”, (2) “delle azioni umane colle persone”, (3)
116
“La democrazia e l’economia di mercato non bastano. La libertà ha bisogno di un terzo pilastro per essere salvaguardata: la società civile” (R. Dahrendorf, Moralità e società civile, Torino 1992, 18).
117
C. Schönberger, Positivität des Rechts und Naturrecht im katholischen Staatsdenken, in: A. Rauscher (ed.), Handbuch der katholischen Soziallehre, Berlin 2008, 801-811, qui 808.
118
Et. Nic. VI, 7 (1141 a 22).
119
STh I 29, 3.
120
“L’idea di giustizia è assoluta, certamente formale, ma per questo universale” (Radbruch, Rechtsphilosophie II, 303).
121
Cfr. FD I, 164.
29
“del corpo umano colla persona”, (4) “della vita umana colla persona”, e (5) “della persona umana
con sé medesima”122. In tal modo, Rosmini fonda, quindi, i diritti fondamentali che egli chiama
“gius reale”, “gius signorile”, “gius maritale”, “gius paterno” e, come fondamento di tutti i diritti, il
“diritto umano inalienabile”123. In questi termini, egli reinterpreta la classica dottrina delle “inclinazioni” come base e fondamento dei diritti nella chiave delle umane “relazionalità” e quindi il passaggio verso il soggetto e la sua dignità124. Tale fondamento di tutti i diritti particolari conosce solo
un’unica ulteriore integrazione, e cioè (6) nel “[l]egame dell’essere con Dio”125. Anche se Rosmini,
come si evince subito, in questo lavoro giovanile declina le relazionalità ancora fortemente come
relazionalità date ‘dalla natura’ in senso materiale, è significativo che la relazionalità basale è la autorelazionalità del soggetto nella quale sola si esprime lo specifico delle relazionalità umane. In
questo senso, Rosmini riflette il momento della relazionalità della natura umana attraverso il criterio
kantiano e attualizza in modo originale il classico “diritto naturale”. Con Del Noce si può riassumere questo rinnovamento critico del classico “diritto naturale” come la “personalizzazione del diritto
naturale”126.
In altre parole, è proprio in questa triplice relazionalità che può essere ravvisata la “forza morale”,
sotto le condizioni di universalità (del secondo tipo) e perciò come fondamento del diritto127. Questa
si basa, in ultima analisi, sulla relazionalità fondamentale dell’uomo che è la sua relazionalità ontologico-trascendente a Dio che si esprime in modo trascendentale in quell’universalità astratta di
primo tipo come essa fu analizzata come caratteristico della tradizione liberal-moderna. In quanto
quest’ultima, quindi, ha cercato di esprimere la relazionalità fondamentale dell’uomo unicamente
122
A. Rosmini, Politica prima, a c. di M. d’Addio, Roma 2003, 756-758; cfr. anche ibid. 763s.
Rosmini, Politica prima, 756s. E commenta quest’ultimo: “Questo legame consiste nella coscienza che ha l’uomo di
avere in se stesso un principio di attività per cui può determinarsi ad operare ciò che vuole indipendentemente dal piacere e dal dolore che possono esercitare sopra di lui tutte le esterne cose. Questa essenziale indipendenza non può giammai venir tolta all’uomo […]. Il diritto o la possessione di questo principio consiste appunto nella inalienabilità, consiste
nella indipendenza. […] Il diritto adunque della propria personalità è il diritto della essenziale libertà, la quale non consiste in alcun atto esterno, ma nella pura intenzione; il diritto della essenziale libertà è il diritto della virtù, e il diritto
della virtù è il diritto della felicità. Egli è per questo che stabilendo i diritti inalienabili dell’uomo, affermammo che non
ce n’è che uno solo, e questo l’abbiamo appellato ora diritto della personalità, ora della libertà, ora della virtù, ora della
felicità: non è tutto questo che un solo diritto” (ibid. 757-759).
124
“Tutti i diritti enumerati fin qui [cioè (1)-(4)] sono alienabili: questo solo è inalienabile: questo solo non si può né
rapire né distruggere” (Filosofia prima, 759).
125
Politica prima, 760. “V’ha dunque qualche altra cosa da cui la stessa personalità dipende, v’ha qualche cosa da cui
ha ricevuto l’essere indipendente da tutte le altre. In fatti abbiamo veduto, che la personalità o sia la libertà dell’uomo
non realizza in se stessa questa assoluta indipendenza da tutto il mondo sensibile, se non col sottoporsi alla legge della
verità se non coll’unirsi alla verità riconoscendola per suprema signora” (ibid.).
126
A. Del Noce, Rosmini e la categoria filosofico-politica di Risorgimento, a c. di G. Nocerino, in:
http://www.cattedrarosmini.org/site/view/view.php?cmd=view&id=44&menu1=m2&menu2=m6&menu3=m56
(1.04.2009), 4-16, qui 5.
127
Cfr. Ratzinger, Europa in der Krise der Kulturen, passim.
123
30
attraverso l’istanza dell’umanità in generale – ossia nella formula etsi Deus non daretur128 – ha
formulato la base del diritto liberale quale si esprime poi nell’istituzione dei “diritti umani”. Più che
questa impostazione del diritto liberale si allontana però da quella relazionalità che è il fondamento
ontologico di questo modo astratto di parlare di “dignità”, ossia quella alla trascendenza di Dio, esso si allontana da un essenziale suo caratteristico: ossia di essere relazionalità reale-assoluta, non
strumentalizzabile da nessun’istituzione politica o giuridica. Ma è proprio il privarsi da tale fondamento di ogni relazionalità umana – ossia dell’ “universalità” del secondo tipo – e quindi lo sfociare
nella contraddittorietà di un’universalità unicamente del primo tipo – astratta e perciò contraddittoria nel senso di Arrow e Condorcet – che porta attualmente a specifiche problematiche a livello politico e giuridico internazionale129. In questo senso, è Ratzinger stesso a riproporre di integrare questo tipo di razionalità con quello che fu definito rosminanamente il “secondo tipo” di universalità: la
relazionalità universale, fondato sulla generalità (non specificità religiosa) della relazione dell’uomo
alla trascendenza, ossia, come suggerisce l’attuale Papa: “veluti si Deus daretur”: “[n]on dovremmo
invertire l’assioma degli illuministi e dire: anche chi non può trovare la strada verso l’affermazione
di Dio, dovrebbe cercare di vivere e di realizzare la vita veluti si Deus daretur – come se ci fosse
Dio”130.
Solo in questa dimensione, se la sussistenza naturale dell’uomo è contemporaneamente universale
relazionalità, il “diritto naturale” diventa il mezzo di solidarizzazione universale, che oltrepassa
qualsiasi limite e raggiunge tutti quanti che vengono usati, sfruttati e maltrattati dal potere pubblico:
una solidarizzazione ancora una volta sulla base di quel caratteristico umano che esige la stessa giustizia, ossia la dignità umana. In riferimento a Heidegger si potrebbe parlare che l’uomo, per questa
sua costituzione di “persona” è ontologicamente una “predisposizione [Gestimmtheit] giuridica” e
affermare con Marcic: “il diritto, a lungo termine, non potrebbe realizzare il senso della sua validità
e obbligatorietà, se l’uomo non fosse ‘predisposto al diritto’”131.
128
Per Grozio, questo criterio fungeva unicamente come regola euristica dato che per Grozio non si poteva ammettere
una tale ipotesi senza cadere in grave peccato (“quod sine summo scelere dare nequit”; H. Grotius, De Iure Belli ac Pacis Libri Tres, Prolegomena, 11, 10). Jüngel commenta questa frase groziana nel modo seguente: “Questo argomento,
per la sua intenzione propria e per la struttura originale non è per niente ateologico o persino antiteologico. E se deve
essere specificamente moderno, allora la modernità comincia già nel medioevo. Perché l’argomento si può ricostruire
fino al medioevo ed è, inteso in modo autentico, una lode del creatore per la sua creazione riuscita (Gn 1, 31), che appunto è riuscita talmente bene che si conserverebbe nel suo buon ordine casomai anche senza il creatore ed il signore
del mondo” (E. Jüngel, Gott als Geheimnis der Welt, Tübingen 20017, 22).
129
Per quest’analisi rimandiamo al prossimo paragrafo. Sottolinea Ratzinger: “[i]l tentativo, condotto alla sua fine, di
formare le cose umane prescindendo completamente da Dio, ci conduce sempre più vicini all’abisso – verso
l’abolizione dell’uomo” (Ratzinger, Europa in der Krise der Kulturen, 82).
130
Ratzinger, Europa in der Krise der Kulturen, 82.
131
Marcic, Rechtsphilosophie, 137. Ma che cosa realizza questo ‘sentimento’? Piovani: “sentimento del diritto naturale”, parte notevole sostenuta nella difesa della libertà contro ogni tipo di totalitarismo e statalismo, ma non è giusnaturalismo, in quanto non basato sul “diritto naturale” (Piovani, Giusnaturalismo, 8-15).
31
Quindi, la differenza di Rosmini alla concezione liberale di Kant non è da trovare nel fatto del “dovere” – siccome anche quest’ultimo basa il diritto su un concetto forte di “dovere” che a sua volta
viene moralmente giustificato – infatti tale è la posizione di “diritto naturale (razionale)” di Kant.
Mentre essa si fonda nella libertà trascendentale, e quindi nella dignità astratta dell’uomo, per Rosmini questo ricollegamento è una relazionalità trascendente. Da ciò deriva che per la sua costituzione ontologica l’uomo si basa su una relazione trascendente, la quale giustamente fonda la dignità
individuale dell’uomo, sottratta alla sfera politica, ma che allo stesso momento sorregge anche le
relazionalità esistenziali dell’uomo per la sua appartenenza famigliare e sociale: “la radice ultima
dell’odio contro la vita umana, di tutti gli attacchi contro la vita umana, è la perdita di Dio. Dove
Dio scompare, scompare anche la dignità assoluta della vita umana. Solo questa dimensione divina
garantisce la piena dignità della persona umana”132.
In questo senso, Rosmini fonda oggettivamente la vita sociale, l’ambito sociale dell’uomo. Questa
oggettività, in quanto antropologicamente fondata, sembra di poter valere come istanza reclamata da
Ratzinger nel suo discorso con Habermas133 – ossia, in altre parole: nella fondazione rosminiana di
‘fondazione’ del diritto incontriamo una concezione razionale che potrebbe fungere come programma di realizzazione della proposta di Ratzinger–Benedetto XVI?
7. Limiti della concezione liberale di diritto
Per rispondere a tale domanda bisogna analizzare punto per punto gli argomenti critici che l’attuale
Papa sviluppa a riguardo delle “aporie” dello Stato liberale. In questa chiave, innanzitutto sia di
nuovo sottolineato che egli senz’altro parte dal riconoscimento dei “diritti umani” in quanto sono
essi la forma attuale in cui il “diritto naturale” attualmente si articola a livello politico. Ma nella sua
critica a specifiche disfunzionalità del concetto positivistico-liberale di “diritto”, egli riprende
senz’altro quei “discepoli […] di Tommaso d’Aquino” che sembrano rimasti gli unici a ribadire la
rilevanza del “diritto naturale” ancora oggi134: scienziati che nei loro rispettivi ambiti tra filosofia
teologia e giurisprudenza tentano una ripresa producente del pensiero di San Tommaso in chiave at-
132
Ratzinger, La via, 120.
“La vita sociale, nell’impossibilità di fondarsi su un qualsiasi riferimento oggettivo comune, dovrebbe venir concepita come esito di un compromesso d’interessi al fine di garantire a ciascuno il massimo di libertà possibile” (Ratzinger,
La via, 112).
134
Forse il detto famoso di Strauss, del 1953, incide piuttosto oggi che alla sua epoca: “la questione del diritto naturale
si presenta oggi come uno degli argomenti su cui più si è ligi alle posizioni di parte. Se ci guardiamo attorno, noi vediamo due campi ostili, fortemente muniti e severamente vigilati. Uno è occupato dai liberali di vario colore, l’altro dai
dioscepoli, cattolici e non, di Tommaso d’Aquino” (L. Strauss, Diritto naturale e storia, a c. di N. Pierri, Genova 1990,
12).
133
32
tuale. Sarebbe da menzionare, pars pro toto per gli studi filosofici, le opere di John Finnis135. Su
questa scia, Benedetto XVI ha dichiarato il “diritto naturale” uno dei temi prevalenti che egli, in
prima persona, intende incentivare e incoraggiare all’interno della Teologia. Oltre il suo discorso a
Monaco di Baviera con Jürgen Habermas, è da menzionare in merito il congresso internazionale sul
“diritto naturale” nel Vaticano nel febbraio 2007, per il quale egli tenne un discorso il 12 febbraio
2007136. Importante, inoltre, il suo discorso presso l’assemblea generale delle Nazioni Unite il 18
aprile 2008137.
Valorizzando questi approccio di un recupero “cattolico” del diritto naturale, è da chiedersi se esso
è diventato, quindi, contrariamente alle sue più genuine intenzioni, una “dottrina” cattolica? Questa
conseguenza – che per l’altro sarebbe una sorta di sconfitta storica del “diritto naturale” – risulterebbe legittima solo qualora si dovesse concludere che al discorso “secolare” sul diritto esso non avrebbe più nessuna incisività. Ma le cose affatto non stanno così. In questo senso, il parlare di un
“ritorno” o di una “riscoperta” è improprio, in quanto, come visto, il “diritto naturale” sta largamente alla base degli ordinamenti della seconda metà del XX secolo nell’Europa occidentale e quindi fu
sostenuto, in quanto espressione dei valori “cristiani” e “democratici”, anche dall’opinione comune
maggioritaria. Si tratta, quindi, di valori de facto immersi nella società e che perciò si affermarono e
perpetuarono nel processo democratico.
Questo discorso può valere per la maggior parte storica che le nostre costituzioni hanno trascorso.
Oggi, però, tutti i segni, rilevati dai sociologi, ci indicano che questa situazione ha profondamente
cambiato – ed è dovuto a questi cambiamenti che il Papa e i citati pensatori si sentono necessitati a
riprendere e insistere nuovamente sulla concezione del “diritto naturale”. In un certo senso, per indicare questi cambiamenti, potremmo dire che non viviamo più nella “modernità” ma si è ormai
realizzato un cambiamento paradigmatico di presupposti e condizioni socio-politiche che ci indica
di comprendere il nostro tempo come la “tarda modernità”. Per quella parte del discorso che interessa il “diritto naturale”, possiamo dire che questa nuova situazione è caratterizzata dal fatto che per
le società occidentali i valori basali dei diritti umani e della costituzione sono essenziali presupposti
sociali ma non esistono meccanismi per poterli assicurare. Questo “dilemma” fu formulato dal teorema di Böckenförde, citato da entrambi i discutanti nell’Accademia di Monaco e che di seguito fu
135
J. M. Finnis, Legge naturale e diritti naturali, a c. di F. Viola, Torino 1996. Nella prefazione, riassume Viola: “Anche se non si può dire che la teoria della legge naturale sia stata del tutto dimenticata negli ultimi decenni, certamente
non sono molte le opere di ampio respiro dedicate ad una rivisitazione di questa tradizione di pensiero” (F. Viola, Introduzione, in: ibid., VII-XXI, qui VII).
136
Cfr.
Discorso,
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2007/february/documents/hf_benxvi_spe_20070212_pul_it.html (1.05.2009).
137
Cfr.
Discorso,
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2008/april/documents/hf_benxvi_spe_20080418_un-visit_it.html (1.05.2009).
33
noto anche nel discorso italiano: lo stato secolare si basa su tali valori, dovendoli presupporre come
dati ma senza poterli “produrre” o “assicurare”138. In questo senso, Ratzinger e Habermas analizzano nei nostri giorni uno specifico erodere di alcuni valori considerati fondamentali per mancanza di
“motivazione” civile. Questa costatazione ha delle sue ripercussioni immediate sulle discussioni
spinose di oggi nelle problematiche etiche nei riguardi dell’inizio e della fine della vita umana. E lo
stesso problema si può ravvisare anche nella problematica di esigere a livello mondiale
l’accettazione e l’osservanza dei diritti umani che spesso vengono rifiutati con l’argomento che rispecchiano valori occidental-moderni, e quindi – globalmente parlando – ‘regionali’ e appunto non
universali, con la conseguenza che essi vengono rifiutati in quanto presunta espressione di “imperialismo culturale”139. In altre parole, l’attualità del “diritto naturale” ci indica l’urgenza di tematizzare
il discorso sui fondamenti e sui presupposti dei pilastri dell’ordinamento politico-giuridico secolare.
Sembra quindi, che al di là dei “diritti umani” quali garanti di una società libera e democratica, emerga l’esigenza di garantire le condizioni basali della stessa: persone individuali dotate di dignità e
relazionalità140. Tali esigenze possono essere declinate, nel senso di un “diritto naturale” rinnovato
ed attuale, in un triplice modo:
138
Habermas concorde, nell’accennato dialogo con Ratzinger, proprio in questo punto con l’attuale Papa: “il dispendio
motivazionale richiesto è molto alto e non può essere imposto per via legale” (J. Habermas, Quel che il filosofo laico
concede a Dio (più di Rawls), in: id./Ratzinger, Ragione e fede, 41-63, qui 47; cfr. 58), pur non sottacendo che egli ritiene possibile il progetto di ‘organizzare’ una tale motivazione in una società secolare (cfr. ibid. 48). Per un tale esito,
egli propone un processo di reciproco apprendimento tra credenti e cittadini areligiosi: “I cittadini secolarizzati non possono, finché compaiono nel loro ruolo di cittadini dello Stato, disconoscere un potenziale di verità in linea di principio
alle concezioni del mondo religiose, né contestare ai propri concittadini credenti il diritto di contribuire alle discussioni
pubbliche in lingua religiosa” (ibid. 62). A questa posizione di Habermas, che da parte ‘cattolica’ fu accolta positivamente, si lascia però rivolgere la considerazione su quale base epistemologica dovrà riuscire un tale dialogo del quale
non si può presupporre apriori che avvenga pacificamente e senza riserve reciproche. In altre parole, l’auspicato processo di reciproco apprendimento non presuppone una base noetica – necessariamente universale e non di una precisa
materialità morale – per assicurare l’aperture reciproca a tale processo? Non ci deve essere almeno l’intesa sulla possibilità “etiamsi Deus daretur”, come formula Ratzinger? (cfr. per questo argomento già W. Huber, Gerechtigkeit und
Recht. Grundlinien christlicher Rechtsethik, Gütersloh 19992, 33-40). È proprio questo il ruolo che da sempre fu assegnato al “diritto naturale” – almeno nelle concezioni più adeguate e significative dello stesso – e che abbiamo individuato anche nell’universalità di “secondo tipo” in Rosmini, che a sua volta, ontologicamente, si realizza in modo trascendente nella relazionalità esistenziale a Dio. In questo senso, già Giovanni Paolo II affermò: “D’altra parte, le stesse
‘democrazie’, organizzate secondo la formula dello Stato di diritto, hanno registrato e ancora oggi presentano vistose
contraddizioni tra il formale riconoscimento della libertà e dei diritti umani e le tante ingiustizie e discriminazioni sociali che tollerano nel proprio seno. Si tratta in effetti di modelli sociali in cui il postulato della libertà non sempre si coniuga con quello della responsabilità etica. Il rischio dei regimi democratici è di risolversi in un sistema di regole non
sufficientemente radicate in quei valori irrinunciabili, perché fondati nell’essenza dell’uomo, che devono essere alla base di ogni convivenza, e che nessuna maggioranza può rinnegare, senza provocare funeste conseguenze per l’uomo e
per la società. […] Totalitarismi di opposto segno e democrazie malate hanno sconvolto la storia del nostro secolo ”
(Discorso
del
5.09.1993,
in:
http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/speeches/1993/september/documents/hf_jpii_spe_19930905_universita-vilnius_it.html [1.05.2009], n° 3s.).
139
Cfr. M. Krienke, Die Herausforderung der Menschenrechte durch den ethischen Relativismus, in: Ethica 16 (2008)
223-247.
140
Cfr. su questo argomento anche F. Di Blasi, Amicizia e/o eguaglianza? Riflessioni sul fondamento della comunità
politica, in: F. Viola (ed.), Forme della cooperazione: pratiche, regole, valori, Bologna 2004, 155-188, qui 178s.
34
(1) Innanzitutto il diritto si basa sulla tutela dei primari beni relazionali, nelle quali la “dignità umana” si esprime nel modo più immediato: ossia la relazione a sé, alla propria famiglia e alla società.
Siccome la relazionalità a se medesimo si fonda ontologicamente sulla relazionalità universale alla
trascendenza (in senso religioso) ossia all’umanità universale (in senso secolare), diventa chiaro che
la auto-relazionalità non significa nessun ‘solipsismo trascendentale’ ma apertura esistenziale in
quanto il fondamento della propria esistenza è relazione: a Dio, e agli altri in modo universale (relazione trascendentale e non ancora concreta e sociale). Inoltre, l’uomo è costitutivamente immerso in
un’ulteriore relazionalità che è quella famigliare di sangue – al di là della sua decisione libera di
fondare una famiglia o meno, egli è costituito nel momento della sua nascita da un legame di sangue. Infine, egli è pure caratterizzato dalla relazionalità sociale, anche se questa rispetto a quelle antecedenti non può più essere definita essenziale. In quanto sono queste tre relazionalità a fondare le
principali diritti liberali (individuali, religiosi, di famiglia, all’educazione…), già questa sistematica
veloce fa vedere in quanto tali diritti non si basano su un individualismo liberale ma che bisogna invece considerare la loro realtà positiva. Ovviamente, il minare delle relazionalità fondamentali da
parte di una cultura individualistica scava alla base dei propri diritti liberali141. Davanti ad un tale
sviluppo, le possibilità dello Stato di rimedio ‘tecnico’ (di diritto) sono molto limitate, dato che esso
non può, in quanto stato moderno, esigere la “dittatura” di valori e di educazione (si deve limitare a
garantire tali istituzioni per costituzione, ma non può obbligare i cittadini a realizzarli). La società
liberal-democratica esige ovviamente l’esistenza di un fondamento relazionale condiviso per la sua
propria legittimazione. Un discorso fondativo che si avvale solo dei mezzi della libertà e individualità del soggetto, urta contro un limite fondamentale.
(2) Come secondo complesso di problemi sarà accennato alle sfide ambientali. Infatti, basandosi sul
diritto individuale e del privato interesse proprio, il sistema dei diritti dispone solo di limitati mezzi
per poter realizzare programmi efficaci di tutela dell’ambiente. In quanto i problemi ambientali, però, si sono formati già in una dimensione da mettere in pericolo la sopravvivenza dell’umanità142, la
questione di disporre di mezzi efficaci si fa più urgente. Come riguarda alla salvaguardia delle relazionalità fondamentali dell’uomo, anche nel caso della minaccia della base naturale della vita umana, viene proposta una riflessione fondamentale sui suoi legami con la concretezza attraverso la
141
“[È] vero che il frequente richiamo dei documenti normativi odierni alla ‘famiglia umana’ è ricondotto al fondamentale riconoscimento della ‘dignità dell’uomo’. Ma il significato di questa formula è dato per intuitivo, per evidente,
mentre esso resta indeterminato e vago se si fuoriesce dal campo semantico giudaico-cristiano. In esso l’uomo, ogni
uomo, è di per sé ‘degno’ (di rispetto e persino di riverenza) poiché è stato creato da Dio a Sua immagine e somiglianza,
ossia, in linguaggio meno metaforico, poiché per natura partecipa dell’Essere di dio. Perciò ogni individuo umano è
portatore di un carattere sacro, intangibile e irrinunciabile. Ma questa semantica religiosa della ‘dignità’ umana non è
condivisa fuori dall’ambito delle religioni professanti il rapporto di partecipazione dell’uomo con Dio” (Cotta, Il diritto
naturale, 31).
142
Cotta, Il diritto naturale, 27s.
35
propria costituzione fisico-naturale. È, in altre parole, anche in questo campo che il discorso del “diritto naturale” – senza un fraintendimento naturalistico – acquisisce una nuova e sorprendente attualità.
(3) Un terzo ambito dove il carattere dei diritti individual-liberali oggi è messo in crisi e in discussione, è la già accennata discussione sull’universalità e legittimità dei “diritti umani”. Nel suo discorso con Habermas, questo risulta anche l’aspetto più focalizzato di Ratzinger: “Comunque, è un
dato di fatto che la nostra razionalità secolare, per quanto illumini la nostra ragione di formazione
occidentale, non è comprensiva di ogni ragione che, in quanto razionalità, nella sua ricerca di rendersi evidente urta contro dei limiti. La sua evidenza è di fatto legata a determinati contesti culturali,
e deve riconoscere che, in quanto tale, non è comprensibile a tutta l’umanità e perciò in se stessa
non può neppure essere del tutto operativa. In altre parole, non esiste una formula di interpretazione
del mondo razionale, etica o religiosa, su cui tutti siano d’accordo e che potrebbe dunque sostenere
il tutto; comunque è attualmente irraggiungibile. Perciò anche la cosiddetta etica globale rimane
un’astrazione”143. Il Papa tematizza, in altre parole, come le dimensioni social-concrete in cui pure
si esprime la dignità umana, possa trovare la sua incisione nel discorso universale sui “diritti umani”144.
Dopo aver accennato a questi tre complessi di problematizzazione del diritto individual-liberale
moderno, è da chiedersi in quale modo il “diritto naturale” possa essere una concezione ‘di risposta’
a tali sfide: proprio a tal fine, esso non può e non deve essere delineato in opposizione alla concezione liberale di diritto, ma deve essere svolto in quanto discorso fondativo, cioè di epistemologia
del “diritto liberale” moderno. Si tratta non di superarlo ma di scoprire le difficoltà sistematiche nella sua concezione e a risolverle in modo conforme – e non di superamento – dell’ordinamento giuridico stesso. Questo fondamento non deve essere visto in un rinuncio alla libertà moderna bensì
nella tematizzazione più radicale e più seria della libertà e delle sue istanze moderne stesse:
“[l]ibertà umana e cultura liberale moderna, nelle loro utopie sembrano essere dipendenti da
un’ultima liberazione dell’uomo a se stesso, la quale non può rendere la società umana con le sole
proprie forze”145. Un “diritto naturale” che rispetta questo presupposto, sarà un “diritto naturale li-
143
Ratzinger, Ragione e fede, 78s. molti paesi islamici tuttora “non hanno accettato la dichiarazione dei diritti
dell’uomo promulgata dalle Nazioni Unite nel 1948, o l’hanno fatto con la riserva di escludere le norme che contravvenivano alla legge coranica, cioè in pratica tutte. Dal punto di vista storico bisogna dunque riconoscere che la dichiarazione dei diritti dell’uomo è un frutto culturale del mondo cristiano, anche se si tratta di norme “universali”, in quanto
valide per tutti” (W. Brandmüller, Molte e fondamentali le differenze tra cristianesimo e islamismo, in:
http://www.internetica.it/cristislam-differenze.htm, 1.03.2009).
144
Cfr. Cotta, Il diritto naturale, 28.
145
J. Römelt, Menschenwürde und Freiheit. Rechtsethik und Theologie des Rechts jenseits von Naturrecht und Positivismus (Quaestiones disputatae, 220), Freiburg 2006, 130.
36
berale” e in quanto tale quell’autentico passaggio che esso deve ancora compiere cioè verso il “diritto della persona”146.
8. La proposta del “diritto naturale”
In quanto si tratta di fondare, quindi di assicurare a livello sociale, la “dignità umana” nella sua relazionalità, si integra quindi anche il dialogo fede-ragione, senza che per questo la “fede” sostituirebbe la “fatica del concetto” ossia il compito della ragione di fondare il diritto in quella “duplice
universalità” la quale solo riesce a superare le aporie di un puro “diritto liberal-individuale”. La “fede” entra in questo senso semmai come affiancamento di quella relazionalità fondamentale che ci
indica la costitutiva relazionalità reale nella costituzione antropologica dell’uomo (“diritto naturale”). Il “diritto naturale”, allora, è quel discorso razionale che realizza per il concetto di “diritto”
questa dimensione che quindi è una dimensione razionalmente afferrabile, nel momento in cui questa “ratio” non viene concepita a-relazionalmente. Solo una ragione che si intende relazionalmente –
per la relazione trascendente ossia per la relazionalità trascendentale che ne è un astratto – potrà declinare autenticamente quella dignità umana che può essere il fondamento ultimo di qualsiasi diritto
e istituzione politica: “il fondamento naturale dei diritti dell’uomo rimand[a] ulteriormente ad un
fondamento divino, e quindi assolutamente indisponibile”147.
Questo criterio, pertanto, non giace in un’istituzione bensì nell’uomo in quanto si realizza come individuo. In quanto tale, attraverso una sua triplice rivalutazione a livello relazionale, è da rifondare
la sua dignità che si esprime attraverso le istituzioni giuridiche moderne: costituzione, diritti umani,
clausole generali. In quanto oltre questi mezzi si propone oggi il rinnovato discorso sul “diritto naturale”, è stato D’Agostino a sottolinearne le difficoltà: “da una parte questo tema è stato troppo a
lungo rimosso per poter essere reinserito con facilità nel dibattito filosofico contemporaneo;
dall’altra esso mantiene una intrinseca carica di ambiguità, che sembra vanificare ogni sforzo di ricondurlo a univocità”148. Da questa duplice obiezione contro l’efficienza del discorso sul “diritto
naturale oggi”, si può derivare un duplice metodo per la realizzazione di tale impresa: per quanto
riguarda il primo aspetto, ovviamente il discorso sul “diritto naturale oggi” deve prendere l’avvio
dai diritti umani e dal diritto costituzionale, in quanto incontriamo in questi codici la realizzazione
146
Cfr. E.-W. Böckenförde, Einleitung zur Textausgabe der “Erklärung über die Religionsfreiheit”, in: H. Lutz (ed.),
Zur Geschichte der Toleranz und Religionsfreiheit, Darmstadt 1977, 401-421; R. Uertz, Vom Gottesrecht zum Menschenrecht. Das katholische Staatsdenken in Deutschland von der Französischen Revolution bis zum II. Vatikanischen
Konzil (1789–1965), Paderborn et al. 2005, 480-482.
147
E. Ancona, Sul fondamento dei diritti dell’uomo, in: D. Castellano / F. Costantini (edd.), Costituzione europea, diritti
umani, libertà religiosa, Napoli 2005, 159-163, qui 163.
148
D’Agostino, Lezioni, 25.
37
attuale del “diritto naturale” all’interno del sistema del diritto positivo. In questo senso, il discorso
sul “diritto naturale oggi” non è da svolgere in contrasto con il diritto positivo vigente, ma consonamente ad esso149. In più, questo diventa importante a livello internazionale dove il processo di
codificazione non è per niente chiuso, anzi – guardando alle sfide della globalizzazione – in certi
aspetti si trova ancora al suo inizio150. Per quanto riguarda invece il secondo aspetto, è da notare la
dialettica intrinseca nel concetto di “diritto naturale” stesso, che in effetti sembra essere diventato
piuttosto un “diritto confessionale”. Innanzitutto, contro un tale pregiudizio, sarebbe da sottolineare
il suo carattere razionale e perciò acquisibile per tutti gli uomini, al di là delle diversità di religione,
morale o costumi. Proprio l’accentuazione di questa dimensione sembra essere uno degli argomenti
centrali di Ratzinger nel suo discorso con Habermas: “Forse oggi si dovrebbe completare la dottrina
dei diritti umani con una sui doveri umani e sui limiti dell’uomo; e ciò servirebbe a rinnovare la
domanda se non esiste una razionalità della natura e quindi un diritto razionale per l’uomo e per il
suo esserci nel mondo. Un tale dialogo oggi dovrebbe avere delle finalità interculturali”151. Si tratta,
allora, né di sostituire il diritto in vigore, né di introdurre un “diritto confessionale”, ma si intende
dare un contributo alla discussione su quei limiti che il discorso giuridico oggi rivela nei tre casi sopra accennati, che problematizzano tutti e tre gli aspetti centrali della “fondazione” del diritto. Precisamente alla risposta di tale sfide è indirizzato anche il concetto del secondo tipo di “universalità”
svolto da Rosmini: la dimensione del diritto naturale, della relazionalità umana, si giustifica per
l’universalità della ragione e non per la particolarità di una confessione.
(1) Riprendendo il primo punto in discussione, come esso fu rivelato nel capitolo precedente, il “diritto naturale” incide sulla problematica in quanto esso riflette sul fatto che i “diritti umani” di per
sé sono “diritti” cioè tutelano il soggetto nelle sue pretese di poter disporre di uno spazio di libertà
soggettiva per l’esercitazione della sua vera e propria dignità. Questo è una pretesa che è dovuta al
soggetto in quanto persona. Proprio per questa loro natura, ai diritti umani – per definitionem –
manca il radicamento nella “comunità” umana dove nascono i valori condivisi, dove si situano la
famiglia, la religione e dove vengono coltivati i valori morali. Questo ambito, però, che lo Stato liberale presuppone senza poterlo assicurare, non vive da diritti liberali che “dividono” un soggetto
dall’altro, ma si costituisce sulla base di doveri reciproci. In questo senso, il discorso sul “diritto naturale” cerca di aggiungere questo discorso necessario sui doveri morali a livello sociale, come in149
Questo, per un discorso di “etica sociale cattolica”, è stato reso possibile e sistematicamente istaurato dalla costituzione Gaudium et spes del II Vaticano, quando parla della “legittima autonomia delle realtà terrene”. In questo senso, è
da ripristinare, positivamente e cioè nel pieno rispetto di questa “autonomia”, il discorso inizialmente citato tra teologia,
filosofia e giurisprudenza (cfr. GS 36).
150
Affermò Jellinek: “Il vecchio diritto naturale celebra ancora le sue orgie nei sistemi di diritto internazionale” (questo
passo è citato in: Barile, Il metodo logico-storico, qui 29).
151
Ratzinger, Ragione e fede.
38
tegrazione necessaria della sistematica dei “diritti umani”. Ossia nelle parole di Benedetto XVI nel
suo discorso nel febbraio 2007: “Altra fondamentale istanza del soggetto è la libertà. Tenendo conto, tuttavia, del fatto che la libertà umana è sempre una libertà condivisa con gli altri, è chiaro che
l’armonia delle libertà può essere trovata solo in ciò che è comune a tutti: la verità dell’essere umano, il messaggio fondamentale dell’essere stesso, la lex naturalis appunto. […] Si esprimono, in
questi valori, norme inderogabili e cogenti che non dipendono dalla volontà del legislatore e neppure dal consenso che gli Stati possono ad esse prestare. Sono infatti norme che precedono qualsiasi
legge umana: come tali, non ammettono interventi in deroga da parte di nessuno”152.
(2) Questa cura di una normatività a livello della società civile, cioè della morale vissuta e di valori
condivisi si deve poi trasmetterla – tramite il processo democratico e non tramite un’applicazione
autoritaria – alla salvaguardia della “natura”, e cioè sia di quella ambientale che di quella umana
stessa. Proprio quest’ultimo aspetto sta a cuore al Papa che nello stesso discorso sottolinea: “E’ fuori dubbio che viviamo un momento di straordinario sviluppo nella capacità umana di decifrare le regole e le strutture della materia e nel conseguente dominio dell’uomo sulla natura. Tutti vediamo i
grandi vantaggi di questo progresso e vediamo sempre più anche le minacce di una distruzione della
natura per la forza del nostro fare. […] La capacità di vedere le leggi dell’essere materiale ci rende
incapaci di vedere il messaggio etico contenuto nell’essere, messaggio chiamato dalla tradizione lex
naturalis, legge morale naturale”153. Nella lesione dell’ambiente si realizza, quindi, la lesione della
dignità umana stessa qualora si assiste ad una crescente distruzione dell’ambiente e delle risorse naturali della vita umana, ma non solo. Il “diritto naturale” svolge, in questo senso, l’importante compito della salvaguardia della vita, di quella umana come quella dell’ambiente. In quanto la vita umana si evidenzia minacciata su ambedue i livelli, è palese l’urgenza di trovare uno strumento per
poter affrontare tali esigenze a livello politico internazionale. In quanto i “diritti umani”, per le ragioni analizzate, rivelano in questo senso dei deficit strategici di argomentazione, è piuttosto
l’argomento del “diritto naturale” a poter fornire gli strumenti necessari per questi problemi più at152
Benedetto XVI, Discorso del 12.02.2007. Se questa dimensione del “dovere” si deve anche esprimere in un catalogo
di “doveri dell’uomo” che sarebbero direttamente da integrare nei “diritti umani” o se non sono da considerare su un
altro livello sistematico, è una domanda che va oltre i testi dell’attuale Papa riguardo alla problematizzazione dei “diritti
umani”, e oltrepassa comunque anche l’ambito stretto della “dottrina sociale” della Chiesa che ripetutamente ha affermato che non è il suo compito l’offrire soluzioni “tecniche” (MM 188; SRS 41; CA 43). Una ragione sfavorevole in
chiave ‘tecnica’, in merito ad una tale possibile integrazione, è senz’altro quella che esprime il rischio che
l’introduzione dei “doveri” a pari livello dei “diritti” condurrebbe a specifiche disfunzionalità e quindi a indebolire i
“diritti umani”. È da preferire piuttosto il percorso della “fondazione” dei diritti umani stessi, all’interno del quale
l’argomento morale dei “doveri” assume, senz’altro, un luogo centrale: “Il contributo cristiano alla fondazione di
un’etica razionale normativa non sta nell’addizione di doveri speciali morali e nella definizione di ulteriori comandamenti, ma nella ‘Letztbegründung’ dell’umano in quanto tale” (H.-J. Höhn, Krise der Moderne – Krise der Vernunft?
Motive und Perspektiven der aktuellen Zivilisationskritik, in: Zeitschrift für Katholische Theologie 109 [1987] 20-47,
qui 43).
153
Benedetto XVI, Discorso del 12.02.2007.
39
tuali che mai. In tale senso, la seguente affermazione può essere quindi letta in una duplice chiave,
riferita alla natura umana come anche alla natura cosmologica: “Tale è il principio del rispetto per la
vita umana dal suo concepimento fino al suo termine naturale, non essendo questo bene della vita
proprietà dell’uomo ma dono gratuito di Dio”154.
(3) Non per ultimo, anche a livello internazionale il “diritto naturale” può prestare ai “diritti umani”
quel necessario sopporto di cui essi soprattutto oggi, in una fase di nuove contestazioni sistematiche
a livello mondiale, hanno bisogno. In questo senso, il “diritto naturale” può precisare che i “diritti
naturali” non sono doveri e che con ogni probabilità giuridicamente non sarebbe neanche consigliato aggiungere “doveri umani” allo stesso livello come i “diritti umani”. Tuttavia, si rende sempre
più evidente che un discorso sui “doveri” universali deve essere istituito per poter affrontare le domande circa l’ “ethos” fondamentale degli “diritti umani” stessi e il suo rapporto con le varie culture
del mondo155. Ossia, in altre parole, i “diritti umani” possono garantire a livello mondiale e in modo
efficace la “dignità” dell’uomo da attacchi da parte dell’autorità pubblica? Quali sono le prime conseguenze di questa dignità? E soprattutto, qual è il loro fondamento: “Tali diritti sono basati sulla
legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà. Rimuovere i diritti umani da questo contesto significherebbe restringere il loro ambito e cedere ad una concezione
relativistica, secondo la quale il significato e l’interpretazione dei diritti potrebbero variare e la loro
universalità verrebbe negata in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi differenti. […] L’esperienza ci insegna che spesso la legalità prevale sulla giustizia quando l’insistenza
sui diritti umani li fa apparire come l’esclusivo risultato di provvedimenti legislativi o di decisioni
normative prese dalle varie agenzie di coloro che sono al potere. Quando vengono presentati semplicemente in termini di legalità, i diritti rischiano di diventare deboli proposizioni staccate dalla
dimensione etica e razionale, che è il loro fondamento e scopo”156. La “giustizia” esige quindi non
solo che l’uomo venga assicurato negativamente nell’esercizio della sua dignità-soggettività a livello giuridico, ma che ci siano anche istanze a livello sociale che mantengano vivi i doveri sui quali
questi diritti si basano moralmente garantendo, in questo modo, a livello mondiale quella base sulla
quale solamente si possono vendicarli e tramandarli ad altre culture e alle altre generazioni. Queste
linee confluivano, poi, anche nel discorso del Papa a Ratisbona: l’universalità dei diritti non sta nella loro pura positività giuridica – quindi, in parole giuridiche: non basta avere “diritti universali” a-
154
Benedetto XVI, Discorso del 12.02.2007.
Cfr. Krienke, I diritti umani, passim; id., Fondazione dei diritti umani. Il personalismo rosminiano oltre Kant ed
Hegel, in: VideoCattedra Rosmini (online), http://www.cattedrarosmini.org/site/view/view.php?cmd=view&id=
52&menu1=m2&menu2=m6&menu3=m59 (18.05.2009).
156
Benedetto XVI, Discorso del 18.04.2008.
155
40
stratti a trovare un ethos che abbraccerebbe tutto il mondo157. Queste norme devono rispecchiare veri valori condivisi. Alla coltivazione di questi valori e al fatto che essi esigono un impegno etico da
tutti gli uomini, ricordano i “diritti naturali”.
In questo senso, il ripristino del “diritto naturale” ha il senso di integrare una concezione di “diritti
fondamentali” che ha portato alle menzionate specifiche unilateralità, con la dimensione moraluniversale della relazionalità, che rispetto alla riflessione sui “diritti” ci si è rivelata nella dimensione dell’obbligazione. In questo senso, lo specifico del “diritto naturale” in differenza ai “diritti umani” è di prendere in obbligazione l’uomo, obbligazione che però non è eteronoma in quanto è essa la stessa relazionalità antropologica dell’uomo stesso. In questo senso, il “diritto naturale” formula il discorso dei “doveri dell’uomo”, che stanno alla base degli stessi diritti. Mentre questi doveri
sono di natura morale, i “diritti umani” si esprimono in forma giuridica. In questo senso, nel “diritto
naturale” non si può trattare di sostituzione o di perfezionamento dei “diritti” in quanto diritti; non
si può identificarli o sostituirli con un discorso sul dovere o sul “diritto naturale”. Il discorso del
“diritto” e quello della “morale”, a condizioni moderni di riflessione critica, devono essere distinti
ma non separati, per non lasciarsi sfuggire di mano la dignità umana quale base di entrambi. In questa sistematica, “diritti umani” e “diritto naturale” si richiamano a vicenda e prestano il sostegno argomentativo reciprocamente158.
9. Prospettive attuali
Questi inquadramenti non solo hanno presentato l’attualità del discorso sul “diritto naturale” oggi,
ma al contempo stesso aiutano a superare certi pregiudizi che ancora oggi si esprimono fortemente
– in campo filosofico, teologico e giuridico – contro il “diritto naturale”. Giungendo ad un inquadramento positivo dei due discorsi sul fondamento dei diritti, si può innanzitutto ricavare dal “diritto naturale” un vantaggio rispetto a quella dinamica moderna che inerisce al sistema liberale dei diritti, cioè la tendenza a quel che Rosmini ha definito il “perfettismo”159 – ossia con una parola con157
Cfr.
J. Ratzinger,
Fede,
ragione
e
università.
Ricordi
e
riflessioni,
in:
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2006/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20060912_
university-regensburg_it.html (1.05.2009; cfr. anche in: E. Malnati, Ragione e fede. Necessaria sinergia per un incontro
tra le culture. Commento alla Lectio magistralis di Benedetto XVI presso l’Università di Regensburg, Trieste 2007, 2943; cfr. anche il commento di Malnati, Introduzione, in: ibid., 7-25).
158
Cfr., per questo argomento, ulteriormente Krienke, Fondazione dei diritti umani, passim.
159
“Il perfettismo, cioè quel sistema che crede possibile il perfetto nelle cose umane, e che sacrifica i beni presenti alla
immaginata futura perfezione, è effetto dell’ignoranza. Egli consiste in un baldanzoso pregiudizio, per quale si giudica
dell’umana natura troppo favorevolmente, se ne giudica sopra una pura ipotesi, sopra un postulato che non si può concedere, e con mancanza assoluta di riflessione ai limiti naturali delle cose” (A. Rosmini, Filosofia della politica, Roma
1997, 104s.); cfr., a riguardo, S. Muscolini, Mercato, diritto e persona. I liberalismo di Rosmini e Hayek a confronto,
cap. 2 [in corso di pubblicazione].
41
temporanea: “giuridificazione”. Il diritto, nella modernità, tende all’organizzazione univoca e perfetta della convivenza, esprimendosi in un sempre crescente numero di norme e leggi, correndo il
rischio di produrre proprio in questo modo – invece che giustizia: ingiustizie. La tradizione del “diritto naturale” presenta il discorso opposto e può servire, perciò, ad analizzare le problematiche attuali della “giuridificazione” e ad aiutare a trovare strategie per uscire da questa impasse sociale160.
Quel che manca al diritto spesso non è la perfezione tecnica ma il suo giusto inquadramento etico,
la giusta considerazione delle sue possibilità e dei suoi limiti, e quindi una prospettiva “ontologica”
e “antropologica”. Questo vale sia per le tendenze perfettivistiche della legislazione statale che anche per un certo perfettivismo morale di cui è portatore una concezione tendenzialmente neoscolastica del “diritto”. Infatti, Rosmini ravvisava nel sistema hegeliano proprio questo astrattismo scientifico che staccava il diritto dall’azione umana e lo assegno alla ‘forma politica’ – in questo modo
perdeva la sua dimensione etica, smise di essere “diritto naturale” e divenne momento astratto sociale161 che in ultima analisi solo nell’eticità dello Stato trova il suo inveramento162. Rosmini cerca
invece di salvare la dimensione etica del diritto stesso, radicato nell’agire del soggetto.
Un tale perfettivismo, però, non solo caratterizza i modelli che legano il diritto unicamente alla sfera pubblica dell’eticità o dello Stato fino alle concezioni positivistiche, ma è caratteristico anche di
un discorso acritico di “diritto naturale” che non rispetterebbe la distinzione tra “diritto” e “morale”
e che perciò tenderebbe a superare un diritto liberale moderno, sfuggendosi nella soluzione hegeliana o neoscolastica. A differenza del “perfettismo burocratico” del diritto positivo, questo esito sfocerebbe in un “perfettismo morale” che vede nell’ordinamento giuridico la diretta realizzazione della morale. Anche un tale sistema deve nuocere al riconoscimento della dignità umana. Questo aspetto fu discusso nel secolo scorso sotto il concetto chiave della “tirannia dei valori”: il “diritto naturale”, che assolutizza i valori e non rispetta la sfera autonoma della dignità della persona, degenera in
quel fenomeno che Carlo Schmitt, rifacendosi all’espressione di Nicolai Hartmann, ha chiamato –
appunto – la “tirannia dei valori”: “Per la logica del valore deve sempre valere, che per il valore supremo il prezzo più alto non è troppo alto, e deve essere pagato”163. Sottolineando in questo senso
l’importanza di un recupero critico del “diritto naturale”, o come propone Benedetto XVI, accanto e
160
Già Aristotele includeva nella sua dottrina l’osservazione che anche se il “diritto naturale” è, contrariamente al diritto
positivo, ovunque uguale (“giusto per natura”), non vige in tutti i luoghi allo stesso modo. Infatti, contrariamente alle
leggi della natura fisica che hanno “dovunque la stessa validità”, in parte le “norme della giustizia sono mutevoli” dato
che “sia la natura sia la legge sono mutevoli” (Et. Nic. V, 7 [1134 b 25-30]).
161
“Qui [i. e. in Hegel] la filosofia o scienza politica è teoria, costruzione teorica: non è posizione del problema della
giustizia nel concreto dell’agire, ma al contrario, sulla base dell’indicazione dei pericoli a cui conduce quel problema, la
cui diversa impostazione avrebbe reso possibili soluzioni conflittuali, essa si costituisce come tentativo di dar luogo ad
una soluzione formale, alla forma politica, che garantisca quella pace che l’antica filosofia pratica non sarebbe riuscita a
stabilire” (Duso, Crisi e compimento, 173).
162
Cfr. Hegel, Lineamenti, §§ 157, 257s.
163
C. Schmitt, La tirannia dei valori, a c. di G. Accame, Roma 19882, 71.
42
insieme ai “diritti umani” liberali, si può trovare indicata questa esigenza critica già nel pensiero di
San Tommaso che si esprimeva decisamente contro qualsiasi identificazione in tale senso: “Secondo la legge umana rimangono impuniti molti atti che però sono peccati secondo il giudizio di Dio”164 – il che non vuol dire che essi non siano moralmente deplorevoli. Solo il fatto che la legge non
proibisce non si può dedurre che si tratta di un fatto moralmente indifferente o senza significato.
L’ordinamento politico-giuridico, proprio nel suo compito di riconoscere e proteggere sempre ed
ovunque la “dignità umana”, non deve cadere nell’illusione del perfettivismo – né giuridico né morale. San Tommaso, come si evince dalla citazione appena riportata, proponeva in questo senso un
diritto naturale critico che ancora oggi può servirci nelle domande come il “diritto naturale oggi”
deve essere inquadrato adeguatamente165. Rosmini è riuscito ad attualizzarlo nei confronti di Kant
ed Hegel, proponendo una declinazione di “diritto naturale” come le relazionalità fondamentaleuniversali dell’uomo in quanto “diritto umano sussistente”. Questo approccio convincente, tuttora
troppo poco analizzato, può offrirci ancora oggi un approccio critco-moderno al diritto e
all’esigenza della sua fondazione critica.
Chiudendo queste riflessioni, non possiamo non renderci conto del fatto, che nel “diritto naturale” si
tratta di un concetto ‘forte’, ‘ambizioso’ – e questo vale per tutti i tre piani dai quali siamo partiti,
cioè per il piano teologico, filosofico e giuridico. Mentre siamo abituati a trattare il catalogo dei “diritti umani” nei suoi argomenti fondamentali e nelle sue sfide, la domanda della conoscibilità del
“diritto naturale” costituisce un compito non indifferente166. Hans Welzel, nel suo storico studio sul
“diritto naturale”, chiude proprio a questo proposito con una citazione di Kant: “Tutto scorre in un
fiume davanti a noi, e il gusto variabile e le diverse forme dell’uomo rendono incerto e ingannevole
l’intero gioco. Dove trovo punti fermi della natura, che l’uomo non possa mai rimuovere, e dove
posso trovare dei segni, che gli indichino a quale riva egli deve fermarsi?”167. Con lo stesso significato, nessun altro che Karl Bergbohm non può non esprimere la sua sorpresa sulla “serietà e la dedizione con cui in tempi antichi e più recenti si svolse la ricerca del diritto, la cui esistenza non si
164
STh II/II 69, 2 ad 1. Tommaso rifiuta la “codificazione di tutta la moralità [eticità]. Il fatto che la legge umana rimane indietro rispetto alla legge della natura non gli risulta una carenza ma piuttosto un’imitazione dell’atteggiamento divino” (H. Weber, Wieweit ist Sittlichkeit rechtlich erzwingbar?, in: Trierer Theologische Zeitschrift 74 [1965] 269ff.,
qui 271s.).
165
Non “si tratta di dedurre delle norme da una natura non-normativa, fisica o materiale, come viene oggi in genere affermato dai critici del diritto naturale. Una tale deduzione porterebbe infatti alla ‘fallacia naturalistica’, perché si farebbe un salto dalla premessa non-normativa a delle conclusioni normative. Ma non è questo il problema dell’antico insegnamento del diritto naturale, bensì la conoscenza di una realtà ideale nella natura, la quale è stata prestabilita
all’uomo” (W. Waldstein, Diritto naturale e diritto positivo, in: Castellano [ed.], Diritto, diritto naturale, 153-162, qui
155).
166
“Senza dubbio i diritti dell’uomo […] sono facilmente percepibili dalla coscienza personale a differenza del diritto
naturale, che richiede una accurata riflessione” (S. Cotta, Il diritto naturale e l’universalizzazione del diritto, in: AA.VV. [UGCI], Diritto naturale e diritti dell’uomo all’alba del XXI secolo, Milano 1993, 25-40, qui 39).
167
Cit. in: H. Welzel, Diritto naturale e giustizia materiale, a c. di G. De Stefano, Milano 1965, 359.
43
riconduce ad imprese storiche degli uomini”, anche se questo sforzo “oggigiorno può essere incomprensibile per tanti uomini della scienza”168. Questa coscienza, però, è costruttiva e non scettica, in
quanto un “diritto naturale” oggi deve essere formulato in modo critico – altrimenti si autoespone
facilmente alla sua decostruzione.
168
Bergbohm, Jurisprudenz und Rechtsphilosophie, 355.
44
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